Barbiere di Siviglia - Teatro La Fenice
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MICHELE GIRARDI<br />
to nella musica popolare. «<strong>La</strong> strada citta<strong>di</strong>na», nota Serena Facci, «è anche luogo deputato<br />
all’incontro e alla mescolanza tra i ceti sociali e favorevole dunque allo scambio<br />
<strong>di</strong> prodotti materiali o immateriali, come la musica», e le «serenate del <strong>Barbiere</strong> <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong><br />
(da Beaumarchais a Rossini), verosimilmente testimoniano <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> incontro<br />
facendo <strong>di</strong> un topos teatrale-musicale un punto centrale del contratto <strong>di</strong> alleanza<br />
che si stipula talvolta tra i personaggi <strong>di</strong> rango elevato e i loro collaboratori <strong>di</strong><br />
estrazione popolare». Quello fra Almaviva e Figaro è «chiaramente sancito da un gesto<br />
spontaneo del barbiere-musico: il prestito della chitarra, lo strumento che, anche ai<br />
tempi <strong>di</strong> Rossini, era simbolo <strong>di</strong> ibridazione sociale». Una tale prospettiva consente <strong>di</strong><br />
cogliere con maggior vivezza, ad esempio, il potere seduttivo <strong>di</strong> «una canzonetta, così<br />
alla buona» («Se il mio nome saper voi bramate»), che induce la ragazza a comparire<br />
sul balcone senza tutto lo spreco <strong>di</strong> mezzi richiesti dalla paludata serenata iniziale («Ecco<br />
ridente in cielo»), ricca <strong>di</strong> metafore auliche, ma ben poco adatta a conquistare il cuore<br />
e l’animo della sua innamorata. Forse quest’ultima è più vicina a luoghi altrettanto<br />
noti, come il «Deh vieni alla finestra», dal Don Giovanni, e l’analoga serenata dal <strong>Barbiere</strong><br />
<strong>di</strong> Paisiello («Saper bramate, bella il mio nome»), ma in Rossini «le due corde […]<br />
sono anche giustificate dalla complessità dell’espressione amorosa, che richiede, per la<br />
conquista <strong>di</strong> un altro cuore, ora la baldanza, ora la pietà».<br />
In fin dei conti, come scrive Carnini, «noi <strong>di</strong> Rossini conosciamo tutti gli autoimprestiti<br />
(come la vagabonda sinfonia <strong>di</strong> Aureliano in Palmira, resuscitata per Elisabetta<br />
e poi <strong>di</strong>venuta la sinfonia del <strong>Barbiere</strong>) e qualche prestito, ma quante cose ci rimangono<br />
occulte?» Moltissime, aggiungo, ad esempio le sue numerose <strong>di</strong>chiarazioni<br />
d’amore per il teatro <strong>di</strong> Mozart, manifestato col gioco delle citazioni <strong>di</strong> frammenti melo<strong>di</strong>ci<br />
del genio <strong>di</strong> Salisburgo. Basti ricordare, come un esempio fra i tanti possibili, il<br />
coro <strong>di</strong> eunuchi nell’Italiana in Algeri, che riprende il «Non più andrai, farfallone amoroso»<br />
dalle Nozze <strong>di</strong> Figaro, ed è quasi un modo <strong>di</strong> rivolgere uno sberleffo al Bey d’Algeri,<br />
che si crede un irresistibile seduttore. Ma che <strong>di</strong>re <strong>di</strong> fronte a questo passo melanconico<br />
della Sinfonia concertante per violino e viola (Andante),<br />
Vl<br />
Figaro (Imitando moderatamente i moti d'un ubriaco)<br />
Per ché d'un ch'è po co in sè, che dal vi no ca sca già,<br />
ripreso nel momento della seconda «invenzione prelibata» <strong>di</strong> Figaro, a duetto con Almaviva?<br />
Perché questo accento serioso e ispirato (da Mozart), se a motivarlo fosse solo<br />
una burla caricaturale, e non l’ammirazione per una melo<strong>di</strong>a così espressiva? Forse<br />
cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> conoscere Il barbiere <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong> ma non è così: come tutti i capolavori riserva<br />
sempre qualche sorpresa, basta cambiare angolazione.<br />
Michele Girar<strong>di</strong>