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Barbiere di Siviglia - Teatro La Fenice

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8<br />

MICHELE GIRARDI<br />

to nella musica popolare. «<strong>La</strong> strada citta<strong>di</strong>na», nota Serena Facci, «è anche luogo deputato<br />

all’incontro e alla mescolanza tra i ceti sociali e favorevole dunque allo scambio<br />

<strong>di</strong> prodotti materiali o immateriali, come la musica», e le «serenate del <strong>Barbiere</strong> <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong><br />

(da Beaumarchais a Rossini), verosimilmente testimoniano <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> incontro<br />

facendo <strong>di</strong> un topos teatrale-musicale un punto centrale del contratto <strong>di</strong> alleanza<br />

che si stipula talvolta tra i personaggi <strong>di</strong> rango elevato e i loro collaboratori <strong>di</strong><br />

estrazione popolare». Quello fra Almaviva e Figaro è «chiaramente sancito da un gesto<br />

spontaneo del barbiere-musico: il prestito della chitarra, lo strumento che, anche ai<br />

tempi <strong>di</strong> Rossini, era simbolo <strong>di</strong> ibridazione sociale». Una tale prospettiva consente <strong>di</strong><br />

cogliere con maggior vivezza, ad esempio, il potere seduttivo <strong>di</strong> «una canzonetta, così<br />

alla buona» («Se il mio nome saper voi bramate»), che induce la ragazza a comparire<br />

sul balcone senza tutto lo spreco <strong>di</strong> mezzi richiesti dalla paludata serenata iniziale («Ecco<br />

ridente in cielo»), ricca <strong>di</strong> metafore auliche, ma ben poco adatta a conquistare il cuore<br />

e l’animo della sua innamorata. Forse quest’ultima è più vicina a luoghi altrettanto<br />

noti, come il «Deh vieni alla finestra», dal Don Giovanni, e l’analoga serenata dal <strong>Barbiere</strong><br />

<strong>di</strong> Paisiello («Saper bramate, bella il mio nome»), ma in Rossini «le due corde […]<br />

sono anche giustificate dalla complessità dell’espressione amorosa, che richiede, per la<br />

conquista <strong>di</strong> un altro cuore, ora la baldanza, ora la pietà».<br />

In fin dei conti, come scrive Carnini, «noi <strong>di</strong> Rossini conosciamo tutti gli autoimprestiti<br />

(come la vagabonda sinfonia <strong>di</strong> Aureliano in Palmira, resuscitata per Elisabetta<br />

e poi <strong>di</strong>venuta la sinfonia del <strong>Barbiere</strong>) e qualche prestito, ma quante cose ci rimangono<br />

occulte?» Moltissime, aggiungo, ad esempio le sue numerose <strong>di</strong>chiarazioni<br />

d’amore per il teatro <strong>di</strong> Mozart, manifestato col gioco delle citazioni <strong>di</strong> frammenti melo<strong>di</strong>ci<br />

del genio <strong>di</strong> Salisburgo. Basti ricordare, come un esempio fra i tanti possibili, il<br />

coro <strong>di</strong> eunuchi nell’Italiana in Algeri, che riprende il «Non più andrai, farfallone amoroso»<br />

dalle Nozze <strong>di</strong> Figaro, ed è quasi un modo <strong>di</strong> rivolgere uno sberleffo al Bey d’Algeri,<br />

che si crede un irresistibile seduttore. Ma che <strong>di</strong>re <strong>di</strong> fronte a questo passo melanconico<br />

della Sinfonia concertante per violino e viola (Andante),<br />

Vl<br />

Figaro (Imitando moderatamente i moti d'un ubriaco)<br />

Per ché d'un ch'è po co in sè, che dal vi no ca sca già,<br />

ripreso nel momento della seconda «invenzione prelibata» <strong>di</strong> Figaro, a duetto con Almaviva?<br />

Perché questo accento serioso e ispirato (da Mozart), se a motivarlo fosse solo<br />

una burla caricaturale, e non l’ammirazione per una melo<strong>di</strong>a così espressiva? Forse<br />

cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> conoscere Il barbiere <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong> ma non è così: come tutti i capolavori riserva<br />

sempre qualche sorpresa, basta cambiare angolazione.<br />

Michele Girar<strong>di</strong>

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