Barbiere di Siviglia - Teatro La Fenice
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38<br />
28 Ivi, p. 6 e p. 13.<br />
SERENA FACCI<br />
serenata. 28 Non si può escludere che una chitarra, non scritta, accompagnasse gli strumenti<br />
scritti in partitura, come avveniva in altre opere della tra<strong>di</strong>zione napoletana, e<br />
come avvenne anche nel <strong>Barbiere</strong> <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong> <strong>di</strong> Rossini.<br />
<strong>La</strong> serenata è il pretesto per una lieve canzone <strong>di</strong> tre strofe, come era nella comme<strong>di</strong>a<br />
originale. <strong>La</strong> canzone scritta da Beaumarchais era composta da quartine <strong>di</strong> endecasillabi,<br />
Paisiello sceglie una versificazione in quinari, comune nel melodramma e usata<br />
altre volte nello stesso <strong>Barbiere</strong>, che sembra costringerlo a un testo più conciso. <strong>La</strong><br />
forma strofica, così come compare nel libretto, risulta alquanto bislacca: due quartine<br />
con rima ABAC, DEDC, sono seguite da una sestina con rime irregolari FGFGHC. Nella versione<br />
cantata però, l’asimmetria derivata dai due versi in più non è avvertibile perché<br />
nella resa musicale sia le quartine sia la sestina perdono totalmente la loro connotazione<br />
a causa <strong>di</strong> una ostinata reiterazione dei versi. Viene così generata una struttura nuova<br />
e regolare costituita da <strong>di</strong>eci versi, sud<strong>di</strong>visi asimmetricamente (sei+quattro) da un<br />
interlu<strong>di</strong>o strumentale. Ve<strong>di</strong>amo qui <strong>di</strong> seguito il testo così com’è nella partitura:<br />
Saper bramate Io son Lindoro Ma sempre fido<br />
bella il mio nome <strong>di</strong> basso stato ogni mattina<br />
ecco ascoltate né alcun tesoro a voi mie pene<br />
ecco ascoltate né alcun tesoro cara Rosina<br />
ecco ascoltate né alcun tesoro col cuor su labri<br />
ve lo <strong>di</strong>rò darvi potrò vi canterò<br />
Str. Str. Str.<br />
Ecco ascoltate Io son Lindoro A voi mie pene<br />
bella il mio nome <strong>di</strong> basso stato cara Rosina<br />
ecco ascoltate né alcun tesoro col cuor su labri<br />
ve lo <strong>di</strong>rò darvi potrò vi canterò<br />
Si noti che anche la scelta dei versi ripetuti appare <strong>di</strong>somogenea comparando le tre<br />
strofe.<br />
<strong>La</strong> melo<strong>di</strong>a, che viene ripetuta identica nelle tre strofe, interviene dunque a sanare<br />
l’irregolarità del testo, non prevista dalla canzonetta <strong>di</strong> Beaumarchais e non giustificata<br />
dal contenuto (si potrebbe fare a meno in particolare del «bella Rosina», che contrasta<br />
con il cantare «con in<strong>di</strong>fferenza» richiesto dalla situazione).<br />
Probabilmente è la situazione drammatica a suggerire a Paisiello questo gioco <strong>di</strong><br />
combinazione poetico-musicale. Il Conte è in atto <strong>di</strong> «improvvisar versi» su una melo<strong>di</strong>a<br />
data, in maniera <strong>di</strong>chiaratamente impacciata a causa della sua scarsa consuetu<strong>di</strong>ne<br />
con la pratica poetica.<br />
Nel canto improvvisato, molto comune ancora oggi nella musica italiana <strong>di</strong> ambientazione<br />
rurale, la norma della composizione estemporanea vuole che un modello<br />
melo<strong>di</strong>co conosciuto e fisso funga da guida e base per l’organizzazione del pensiero