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Barbiere di Siviglia - Teatro La Fenice

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28<br />

SERENA FACCI<br />

te fiorita attraverso molti passaggi melismatici, è costruita su movimenti descrittivi (come<br />

il salto <strong>di</strong> settima e poi <strong>di</strong> sesta laddove si parla dello spuntar dell’aurora, es. 1 a) e<br />

patetici (come la modulazione in Mi minore sulla domanda «E puoi dormir così», es.<br />

1 b, e la <strong>di</strong>scesa cromatica sull’interiezione «oh <strong>di</strong>o!», es. 1 c) e si conclude con una virtuosistica<br />

cadenza, anch’essa modulante, che prelude alla seconda parte della cavatina:<br />

ESEMPIO 1 a – I, n. 1, 23 2 ESEMPIO 1 b – I, n. 1, 23 5<br />

Il conte<br />

8<br />

ESEMPIO 1 c – I, n. 1, 23 12<br />

Il conte<br />

8<br />

spun ta la bel la au ro ra,<br />

Il conte<br />

ren <strong>di</strong> men cru do, oh<strong>di</strong><br />

o! lo stral, lo stral che mi fe rì,<br />

Questo cantar da nobili è almeno in parte ri<strong>di</strong>mensionato dall’organico strumentale,<br />

che dopo la ricca introduzione orchestrale, durante la serenata si riduce al pizzicato degli<br />

archi e alla chitarra.<br />

Il pizzicato degli archi riproduce uno stereotipo abbastanza consueto dei canti a serenata<br />

inseriti nei melodrammi. Era già stato usato da Mozart nella canzonetta (serenata)<br />

del Don Giovanni (1787) e prima <strong>di</strong> lui dallo stesso Paisiello nel <strong>Barbiere</strong> <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong><br />

(1782). Lo userà ancora Donizetti nella barcarola «Or che in cielo alta è la notte»<br />

intonata da un gondoliere fuori scena in Marino Faliero (1835; poi ripresa l’anno dopo<br />

nel Campanello) e nella serenata nel Don Pasquale (1843) «Com’è gentil la notte a<br />

mezzo aprile», anch’essa accompagnata dalla chitarra, e intonata su strofe <strong>di</strong> endecasillabi.<br />

Era un chiaro segno dell’atmosfera che doveva contrad<strong>di</strong>stinguere il suonare<br />

notturno ed evocava gli strumenti a pizzico.<br />

<strong>La</strong> chitarra spagnola era un cordofono tipico del canto popolare urbano <strong>di</strong> strada<br />

nell’ Italia <strong>di</strong> quel periodo. Poteva essere suonata da sola o insieme ad altri strumenti a<br />

corda come il colascione, la chitarra battente, il mandolino o il violino. A Napoli la si<br />

trovava frequentemente nei concertini dei gavottisti o posteggiatori, i suonatori <strong>di</strong> strada<br />

che talvolta si organizzavano in orchestrine anche folte, allargate ad altri strumenti<br />

a fiato, a plettro o ad arco (clarinetti, violoncelli, mandole ecc.). 8 Questi musici ambulanti,<br />

organizzati poi anche in una corporazione, prestavano i loro servigi a chi ne aves-<br />

8 Sui posteggiatori napoletani si veda ROBERTO PALUMBO, Il mandolino nella tra<strong>di</strong>zione popolare urbana a Napoli,<br />

Diss., Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Roma «<strong>La</strong> Sapienza», a.a. 2001-2002. Sull’uso della chitarra e <strong>di</strong> altri cordofoni<br />

in area urbana romana, cfr. ROBERTA TUCCI, I suoni della Campagna Romana, Rubbettino, Soveria Mannelli,<br />

2003, p. 44.<br />

8<br />

6<br />

e puoi dor mir co sì?

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