Barbiere di Siviglia - Teatro La Fenice

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15.06.2013 Views

14 DANIELE CARNINI Frontespizio del libretto per la ripresa del Barbiere di Siviglia al S. Moisé di Venezia, 1817; scene di Liberale Bosello. Nei ruoli principali: Gaetano Pozzi (Almaviva), Paolo Rosich (Bartolo), Catterina Amati (Rosina), Giuseppe Placi (Figaro), Carlo Poggiali (Basilio). Archivio storico del Teatro La Fenice (il libretto fu usato per la prima fenicea del Barbiere, nel 1825). Omessa la canzone n. 3 di Almaviva; Bartolo canta (I.8) l’aria «Manca un foglio»; omessa l’«aria della lezione» e quella di Berta, n. 14; l’aria «Cessa di più resistere» (n. 18) è cantata da Rosina invece che da Almaviva (con i ritocchi strettamente indispensabili).

ROSSINI L’ECONOMO. UN ESEMPIO DI STRATEGIA ITERATIVA maestro ha scritto…. fiasco! …Che briccone! han gridato tutti coloro che la prima volta aveano applaudito. Ed io: piano; egli è un povero diavolo il quale non ha torto. Il torto è di tutti gl’impresarj d’Italia che pagan pochissimo; delle circostanze dell’Italia intera che ha fatto nel tempo istesso crescer il prezzo di tutte le cose necessarie alla vita, e diminuir le risorse de’ maestri di cappella. Bisognerebbe pagar più generosamente le loro fatiche. Il prezzo cresceva davvero, non è un argumentum ad hoc: l’epoca napoleonica fu tremendamente inflazionistica. Un problema economico-sociale, la cui successiva implicazione non sfuggiva all’estensore della lettera: E siccome per ragion de’ tempi, poco rimane loro a sperare dalla musica ecclesiastica, la quale, in Napoli specialmente, era mezzo di comoda sussistenza per molti, così sarebbe necessario accrescere il guadagno che si ritrae dalla musica teatrale. Finché si vorran dare cento scudi per un’opera buffa, il maestro per vivere sarà costretto a farne per lo meno otto in un anno; e siccome queste otto non si posson fare tutte in un’istessa città, così sarà obbligato a correr la posta per tutta l’Italia. Togliete dunque dai dodici mesi dell’anno quattro de’ viaggi, togliete altri quattro che nelle varie città il povero maestro deve perdere per le convenienze teatrali ed i capricci de’ virtuosi; e vedete che otto opere si debbono compiere in quindici giorni l’una. Ed in quindici giorni come si può fare una bella musica, la quale esige sei mesi e forse un anno? 6 La disamina della situazione – benché caricata: il numero di otto opere l’anno è esagerato! – è fatta con notevole sensibilità (di stampo quasi positivista). Se il sistema produttivo rimane quello che è, come si può avere un prodotto di ottima fattura composto nel letto di Procuste delle scadenze teatrali? Un’argomentazione non dissimile (tolti gli otto giorni invece di quindici) fu esposta anche da Carpani: La smania della novità e l’avversione allo studio dei fondamenti sodi dell’arte, congiunta all’avididi un presto guadagno, ed al precipizio in cui si scrivono le opere in musica, talvolta in otto giorni poterono più che gli antichi esempj e i buoni precetti. 7 Due settimane per la stesura di un’opera sono comunque un tempo riportato anche da molti altri contemporanei. Un tempo stretto, brevissimo, ma non impossibile. Possiamo pensare ancora al cinema hollywoodiano o alle produzioni tessili cinesi. Nei suoi riti, nella sua esportabilità, l’opera italiana non aveva rivali nel mondo. Ma si cominciava ad avvertire il problema della qualità di un prodotto che assomigliava troppo a se stesso. Di qui, la ‘perversione’ da parte del pubblico di cercare prestiti, calchi, copie, che ossessionò Rossini fin quasi alle soglie della morte, come dice la lettera a Tito Ricordi citata in esergo. I compositori avevano la coscienza in difetto: noi di Rossini conosciamo tutti gli autoimprestiti (come la vagabonda sinfonia di Aureliano in Palmira, resuscitata per Elisabetta e poi divenuta la sinfonia del Barbiere) e qualche prestito, ma quante cose ci rimangono occulte? C’è da dire che i giornali dell’epoca era- 6 «Giornale italiano», 16 aprile 1806. 7 Lettera datata 12 dicembre 1804, in GIUSEPPE CARPANI, Le rossiniane ossia Lettere musico-teatrali, Padova, Tipografia della Minerva, 1824 (rist. an. Bologna, Forni, 1969, p. 17). 15

ROSSINI L’ECONOMO. UN ESEMPIO DI STRATEGIA ITERATIVA<br />

maestro ha scritto…. fiasco! …Che briccone! han gridato tutti coloro che la prima volta aveano<br />

applau<strong>di</strong>to. Ed io: piano; egli è un povero <strong>di</strong>avolo il quale non ha torto. Il torto è <strong>di</strong> tutti<br />

gl’impresarj d’Italia che pagan pochissimo; delle circostanze dell’Italia intera che ha fatto nel<br />

tempo istesso crescer il prezzo <strong>di</strong> tutte le cose necessarie alla vita, e <strong>di</strong>minuir le risorse de’ maestri<br />

<strong>di</strong> cappella. Bisognerebbe pagar più generosamente le loro fatiche.<br />

Il prezzo cresceva davvero, non è un argumentum ad hoc: l’epoca napoleonica fu<br />

tremendamente inflazionistica. Un problema economico-sociale, la cui successiva implicazione<br />

non sfuggiva all’estensore della lettera:<br />

E siccome per ragion de’ tempi, poco rimane loro a sperare dalla musica ecclesiastica, la quale,<br />

in Napoli specialmente, era mezzo <strong>di</strong> comoda sussistenza per molti, così sarebbe necessario<br />

accrescere il guadagno che si ritrae dalla musica teatrale. Finché si vorran dare cento scu<strong>di</strong> per<br />

un’opera buffa, il maestro per vivere sarà costretto a farne per lo meno otto in un anno; e siccome<br />

queste otto non si posson fare tutte in un’istessa città, così sarà obbligato a correr la posta<br />

per tutta l’Italia. Togliete dunque dai do<strong>di</strong>ci mesi dell’anno quattro de’ viaggi, togliete altri<br />

quattro che nelle varie città il povero maestro deve perdere per le convenienze teatrali ed i capricci<br />

de’ virtuosi; e vedete che otto opere si debbono compiere in quin<strong>di</strong>ci giorni l’una. Ed in<br />

quin<strong>di</strong>ci giorni come si può fare una bella musica, la quale esige sei mesi e forse un anno? 6<br />

<strong>La</strong> <strong>di</strong>samina della situazione – benché caricata: il numero <strong>di</strong> otto opere l’anno è esagerato!<br />

– è fatta con notevole sensibilità (<strong>di</strong> stampo quasi positivista). Se il sistema produttivo<br />

rimane quello che è, come si può avere un prodotto <strong>di</strong> ottima fattura composto<br />

nel letto <strong>di</strong> Procuste delle scadenze teatrali?<br />

Un’argomentazione non <strong>di</strong>ssimile (tolti gli otto giorni invece <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci) fu esposta<br />

anche da Carpani:<br />

<strong>La</strong> smania della novità e l’avversione allo stu<strong>di</strong>o dei fondamenti so<strong>di</strong> dell’arte, congiunta all’avi<strong>di</strong>tà<br />

<strong>di</strong> un presto guadagno, ed al precipizio in cui si scrivono le opere in musica, talvolta<br />

in otto giorni poterono più che gli antichi esempj e i buoni precetti. 7<br />

Due settimane per la stesura <strong>di</strong> un’opera sono comunque un tempo riportato anche da<br />

molti altri contemporanei. Un tempo stretto, brevissimo, ma non impossibile.<br />

Possiamo pensare ancora al cinema hollywoo<strong>di</strong>ano o alle produzioni tessili cinesi.<br />

Nei suoi riti, nella sua esportabilità, l’opera italiana non aveva rivali nel mondo. Ma si<br />

cominciava ad avvertire il problema della qualità <strong>di</strong> un prodotto che assomigliava troppo<br />

a se stesso. Di qui, la ‘perversione’ da parte del pubblico <strong>di</strong> cercare prestiti, calchi,<br />

copie, che ossessionò Rossini fin quasi alle soglie della morte, come <strong>di</strong>ce la lettera a Tito<br />

Ricor<strong>di</strong> citata in esergo. I compositori avevano la coscienza in <strong>di</strong>fetto: noi <strong>di</strong> Rossini<br />

conosciamo tutti gli autoimprestiti (come la vagabonda sinfonia <strong>di</strong> Aureliano in Palmira,<br />

resuscitata per Elisabetta e poi <strong>di</strong>venuta la sinfonia del <strong>Barbiere</strong>) e qualche<br />

prestito, ma quante cose ci rimangono occulte? C’è da <strong>di</strong>re che i giornali dell’epoca era-<br />

6 «Giornale italiano», 16 aprile 1806.<br />

7 Lettera datata 12 <strong>di</strong>cembre 1804, in GIUSEPPE CARPANI, Le rossiniane ossia Lettere musico-teatrali, Padova,<br />

Tipografia della Minerva, 1824 (rist. an. Bologna, Forni, 1969, p. 17).<br />

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