Barbiere di Siviglia - Teatro La Fenice
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FRANCO ROSSI – DALL’ARCHIVIO STORICO DEL TEATRO LA FENICE<br />
Dopo il tra<strong>di</strong>zionale periodo <strong>di</strong> lutto (quin<strong>di</strong>ci giorni), il teatro riapre proprio con Rossini: naturalmente<br />
la compressione degli spettacoli seguita alla chiusura involontaria venne vissuta con<br />
qualche sofferenza. Le recite dell’Otello con la Malibran vengono ridotte a tre, e alla Norma <strong>di</strong><br />
Bellini vengono affiancate anche <strong>La</strong> Cenerentola <strong>di</strong> Rossini e Il barbiere <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong>. In quest’opera<br />
Maria Malibran calamita l’attenzione del pubblico, tuttavia «<strong>La</strong> gazzetta <strong>di</strong> Venezia» lamenta<br />
la sfortuna che aveva colpito l’impresa (non una lacrima per il defunto imperatore...):<br />
Come vi scrissi, questo <strong>Barbiere</strong> fu l’opera d’un istante e come tutte le cose d’un istante vi si vide dentro<br />
la fretta con la quale fu concepito. Sottosopra, chi ne toglie la Malibran e Donzelli, fu un povero <strong>Barbiere</strong>,<br />
un barbieretto [... ma ] la colpa non è d’altri che della fortuna, la quale volentieri contrasta le belle<br />
imprese, e così in quest’occasione anche quella della <strong>Fenice</strong>. Non rimase dunque che la sola Rosina,<br />
cara Rosina, che quando la gente si pensava ch’ella avesse già dato ad ogni sua ricchezza nel canto, ben<br />
in tal sera mostrò che le rimaneva in serbo ancora qualcosa! Bisognava u<strong>di</strong>re que’ rapi<strong>di</strong> passaggi dalle<br />
più acute alle note più basse, nel primo tempo della cavatina, e la purezza e l’agilità <strong>di</strong> quella voce in<br />
quell’«Io son docile», per conoscere che cosa è magistero e perfezione <strong>di</strong> canto! Nell’aria dell’amorosa<br />
lezione alla quale aggiunse l’aria famosa del Tancre<strong>di</strong>, e tale fu la soavità ch’ella creò in quel concetto e<br />
coll’atto della voce, che la maestria aggiunta d’alcuni mo<strong>di</strong> e accidenti, che parve cosa nuova, cosa bellissima,<br />
non più u<strong>di</strong>ta. Certo che così la sentiva nella sua ispirazione il Rossini! S’intende che a que’ due<br />
luoghi il teatro fu elevato si può <strong>di</strong>re a rumore e che ne chiese la replica. In nessuna sera ella cantò più<br />
poco quanto a parte, ma in nessuna forse meglio quanto a virtù. E quando parlo del canto intendo separarlo<br />
dall’azione; nella quale io sono <strong>di</strong> lei, a me parve in tal sera, e parve ancora a qualch’altro, a lei<br />
stessa inferiore. Certo quella Rosina è maliziata, furbetta, ma la Malibran la fece furbetta un po’ troppo:<br />
vi fu qualche scappatella. Quell’accostare il <strong>di</strong>to a lumini per riscontrare la macchia d’inchiostro,<br />
quel dare a Don Alonso una buona spinta dopo averlo a se tratto per cantargli la buona notte, quello<br />
scompigliare i fogli al povero tutore e a gettarglieli in terra, certo son cose che han fatto ridere; ma si potrebbe<br />
chiedere chi han fatto? E certo non si troverebbe che fosse la parte del pubblico più gentile. 8<br />
E fu proprio a causa dei giorni caotici, che seguirono la scomparsa <strong>di</strong> Francesco I, che si creò una<br />
coda significativa alla conclusione della stagione. Le prime conseguenze che derivarono dall’inaspettata<br />
scomparsa dell’imperatore pesarono sulla parte più debole delle masse, in questo caso i<br />
secon<strong>di</strong> ballerini (quin<strong>di</strong> le parti <strong>di</strong> fatto destinate ai comprimari), che inoltrarono alla Presidenza,<br />
il 15 marzo, una supplica per tentare <strong>di</strong> porre almeno in parte riparo alle per<strong>di</strong>te economiche,<br />
sia pur involontarie, che si vennero a sopportare da ambo le parti. Sotto molto punti <strong>di</strong> vista, le<br />
lamentele avanzate nella supplica sono ampiamente motivate e del tutto comprensibili, dal momento<br />
che i ballerini vennero costretti a stare su piazza (situazione da ritenersi meno pesante, ovviamente,<br />
per le masse più o meno stabili) e a mantenersi spendendo del proprio e senza il vantaggio<br />
<strong>di</strong> trovarsi in totale libertà per lo stesso periodo. Questa situazione, che ovviamente era del<br />
tutto involontaria e che non a caso veniva regolata da un apposito articolo contrattuale, era destinata<br />
a pesare ben più sui comprimari, <strong>di</strong> quanto non avvenisse per le prime parti e contribuiva<br />
quin<strong>di</strong> a mettere in evidente <strong>di</strong>fficoltà proprio la parte più debole tra le masse. Nonostante le motivazioni<br />
– qui del tutto comprensibili – l’amministrazione dell’ente non poté andare incontro alle<br />
esigenze degli artisti; proprio per questo motivo, la supplica venne respinta.<br />
<strong>La</strong> richiesta inoltrata alla Nobile Società, del resto, era stata rapidamente fatta propria anche<br />
da Natale Fabrici, che senza por tempo in mezzo aveva chiesto alla Nobile Presidenza la liquidazione<br />
relativa alle proprie spettanze. <strong>La</strong> risoluzione del contratto viene quin<strong>di</strong> rispettosamente ma<br />
anche pressantemente chiesta dallo stesso Fabrici, una prima volta il 15 marzo, 9 e una seconda<br />
8 «Gazzetta <strong>di</strong> Venezia», 3 aprile 1835, recensione a firma <strong>di</strong> Filinto.<br />
9 Lettera <strong>di</strong> Natale Fabrici alla Presidenza, 18 marzo 1835.