Barbiere di Siviglia - Teatro La Fenice

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15.06.2013 Views

12 DANIELE CARNINI Ma la situazione era forse molto diversa, Rossini a parte? E la nostra meraviglia per questa compressione di tempi è giustificata? L’opera italiana di inizio Ottocento è una continua corsa di cantanti impresari e compositori da una parte all’altra della Penisola. Una corsa, e una rincorsa a rispettare scadenze a volte elastiche, a volte fisse (come le inaugurazioni del 26 dicembre al centro-nord, gli onomastici della famiglia reale a Napoli). Il fenomeno Rossini, lo sconvolgimento che Rossini porta nelle abitudini teatrali d’Italia, si può comprendere solo se inserito nell’orizzonte teatrale dell’Italia di inizio secolo. Il paragone col cinema hollywoodiano è trito ma calzante: l’opera italiana era una macchina che, a tutto vapore, sfornava prodotti diversi – farse, opere comiche, semiserie, serie – che potevano vantaggiosamente coprire tutto il mercato, in un linguaggio codificato ed esportabile con successo. Troviamo compositori italiani in Francia, in Austria, in Spagna, in Portogallo, in Germania, in Russia, perfino in Romania, perfettamente inseriti nelle nervature dell’Europa musicale come compositori di corte, maestri di cappella, insegnanti di canto. Proprio negli anni prima di Rossini l’opera cosiddetta di «transizione», di «interregno» 4 si rivela degna erede di quella metastasiana, che pure aveva colonizzato il continente. E prepara, dunque, il terreno alla folgorante ascesa di Rossini, novello Napoleone. 5 La macchina, benché a tutto vapore, aveva dei ritmi produttivi esorbitanti. Se pensiamo al numero dei compositori cosiddetti ‘di cartello’ nell’Italia napoleonica (dunque nel periodo che si chiude un anno prima della rappresentazione del Barbiere), troviamo un catalogo di musicisti di lungo corso (Zingarelli, Tritto), di meteore e morti precoci (Nasolini e Manfroce), di nuovi nomi che già sembrano usurati, di qualche gloria ancora verde, di cognomi ricorrenti (un Guglielmi padre e un Guglielmi figlio, gli Orgitano, i Fioravanti, un Giuseppe Finco detto Farinelli che adotta lo stesso soprannome del famoso cantante)… Un panorama senza fari, a parte Mayr, un tedesco, Paër oramai in Francia, Cimarosa morto, Paisiello silente. L’anonimo estensore di una lettera al «Giornale italiano», foglio ufficiale del Regno d’Italia, vedeva l’Italia musicale in sofferenza. Per l’anonimo il problema non era affatto la mancanza di talenti nuovi, ma un circolo vizioso che – per così dire – ne strangolava la creatività: Per l’ordinario i nostri maestri di cappella si danno a studiar la musica per professarla, e la professano per vivere. […] Ne conosco molti, i quali non sapevano bene il contrapunto, e già scrivevan pei primi teatri d’Italia. Vi dirò, che ciò facevano non sempre con infelice successo; effetto di quella forza di natura che spesso anche senza l’arte consegue il bello ed evita il brutto. E mi è avvenuto più di una volta, udendo taluna di queste musiche, di dire a coloro che applaudivano, e volevano scritturare eternamente quel maestro fortunato: ma non vi avvedete che ha incontrato per caso? Scommetto che la seconda volta che scriverà farà fiasco. […] Il 4 STENDHAL, Vie de Rossini. Édition présentée, établie et annotée par Pierre Brunel, Paris, Gallimard, 1992, p. 51. 5 Ivi, p. 35.

ROSSINI L’ECONOMO. UN ESEMPIO DI STRATEGIA ITERATIVA Frontespizio del libretto per la ripresa del Barbiere di Siviglia al Teatro La Fenice di Venezia, 1843 (rappresentato col ballo Il matrimonio per astuzia di Alessandro Borsi). Archivio storico del Teatro La Fenice. Omessa la canzone n. 3 di Almaviva; Bartolo (Pietro Merigo) canta (I.8) l’aria «Manca un foglio» (di Pietro Romani); come aria della lezione Rosina (Emilia Tosi) canta (II.3) «Se contro lui mi parlano // Ma s’ei mi parla all’anima» (dalla Sancia di Castiglia); omessa l’aria n. 14 di Berta; omessa l’aria n. 18 di Almaviva. 13

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DANIELE CARNINI<br />

Ma la situazione era forse molto <strong>di</strong>versa, Rossini a parte? E la nostra meraviglia per<br />

questa compressione <strong>di</strong> tempi è giustificata?<br />

L’opera italiana <strong>di</strong> inizio Ottocento è una continua corsa <strong>di</strong> cantanti impresari e<br />

compositori da una parte all’altra della Penisola. Una corsa, e una rincorsa a rispettare<br />

scadenze a volte elastiche, a volte fisse (come le inaugurazioni del 26 <strong>di</strong>cembre al<br />

centro-nord, gli onomastici della famiglia reale a Napoli). Il fenomeno Rossini, lo<br />

sconvolgimento che Rossini porta nelle abitu<strong>di</strong>ni teatrali d’Italia, si può comprendere<br />

solo se inserito nell’orizzonte teatrale dell’Italia <strong>di</strong> inizio secolo. Il paragone col cinema<br />

hollywoo<strong>di</strong>ano è trito ma calzante: l’opera italiana era una macchina che, a tutto<br />

vapore, sfornava prodotti <strong>di</strong>versi – farse, opere comiche, semiserie, serie – che potevano<br />

vantaggiosamente coprire tutto il mercato, in un linguaggio co<strong>di</strong>ficato ed esportabile<br />

con successo. Troviamo compositori italiani in Francia, in Austria, in Spagna,<br />

in Portogallo, in Germania, in Russia, perfino in Romania, perfettamente inseriti nelle<br />

nervature dell’Europa musicale come compositori <strong>di</strong> corte, maestri <strong>di</strong> cappella, insegnanti<br />

<strong>di</strong> canto. Proprio negli anni prima <strong>di</strong> Rossini l’opera cosiddetta <strong>di</strong> «transizione»,<br />

<strong>di</strong> «interregno» 4 si rivela degna erede <strong>di</strong> quella metastasiana, che pure aveva<br />

colonizzato il continente. E prepara, dunque, il terreno alla folgorante ascesa <strong>di</strong> Rossini,<br />

novello Napoleone. 5<br />

<strong>La</strong> macchina, benché a tutto vapore, aveva dei ritmi produttivi esorbitanti. Se pensiamo<br />

al numero dei compositori cosiddetti ‘<strong>di</strong> cartello’ nell’Italia napoleonica (dunque<br />

nel periodo che si chiude un anno prima della rappresentazione del <strong>Barbiere</strong>), troviamo<br />

un catalogo <strong>di</strong> musicisti <strong>di</strong> lungo corso (Zingarelli, Tritto), <strong>di</strong> meteore e morti precoci<br />

(Nasolini e Manfroce), <strong>di</strong> nuovi nomi che già sembrano usurati, <strong>di</strong> qualche gloria<br />

ancora verde, <strong>di</strong> cognomi ricorrenti (un Guglielmi padre e un Guglielmi figlio, gli Orgitano,<br />

i Fioravanti, un Giuseppe Finco detto Farinelli che adotta lo stesso soprannome<br />

del famoso cantante)… Un panorama senza fari, a parte Mayr, un tedesco, Paër oramai<br />

in Francia, Cimarosa morto, Paisiello silente.<br />

L’anonimo estensore <strong>di</strong> una lettera al «Giornale italiano», foglio ufficiale del Regno<br />

d’Italia, vedeva l’Italia musicale in sofferenza. Per l’anonimo il problema non era affatto<br />

la mancanza <strong>di</strong> talenti nuovi, ma un circolo vizioso che – per così <strong>di</strong>re – ne strangolava<br />

la creatività:<br />

Per l’or<strong>di</strong>nario i nostri maestri <strong>di</strong> cappella si danno a stu<strong>di</strong>ar la musica per professarla, e la professano<br />

per vivere. […] Ne conosco molti, i quali non sapevano bene il contrapunto, e già scrivevan<br />

pei primi teatri d’Italia. Vi <strong>di</strong>rò, che ciò facevano non sempre con infelice successo; effetto<br />

<strong>di</strong> quella forza <strong>di</strong> natura che spesso anche senza l’arte consegue il bello ed evita il brutto.<br />

E mi è avvenuto più <strong>di</strong> una volta, udendo taluna <strong>di</strong> queste musiche, <strong>di</strong> <strong>di</strong>re a coloro che applau<strong>di</strong>vano,<br />

e volevano scritturare eternamente quel maestro fortunato: ma non vi avvedete<br />

che ha incontrato per caso? Scommetto che la seconda volta che scriverà farà fiasco. […] Il<br />

4 STENDHAL, Vie de Rossini. É<strong>di</strong>tion présentée, établie et annotée par Pierre Brunel, Paris, Gallimard, 1992,<br />

p. 51.<br />

5 Ivi, p. 35.

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