Barbiere di Siviglia - Teatro La Fenice
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Il barbiere <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong>, in breve<br />
a cura <strong>di</strong> Gianni Ruffin<br />
Almaviva o sia L’inutile precauzione era il titolo con cui il 20 febbraio 1816 Il barbiere <strong>di</strong> <strong>Siviglia</strong><br />
<strong>di</strong> Gioachino Rossini debuttò sulle scene del <strong>Teatro</strong> Argentina <strong>di</strong> Roma. Il Pesarese aveva scritto<br />
l’opera <strong>di</strong> tutta fretta (poco più, poco meno <strong>di</strong> venti giorni) su un libretto del giovane poeta Cesare<br />
Sterbini, rimodellando Le barbier de Séville <strong>di</strong> Beaumarchais già tradotto e ridotto a libretto,<br />
nel 1782, per Paisiello (un vero capolavoro, che lasciò tracce profonde anche su Mozart). Il misurarsi<br />
con la fama <strong>di</strong> uno dei più acclamati maestri della tra<strong>di</strong>zione napoletana fu certo impresa<br />
ardua, ma dopo qualche contestazione il successo puntualmente arrivò, e già a partire dalle successive<br />
serate romane Il barbiere si affermò come una delle opere più note ed eseguite, sia sulle<br />
gran<strong>di</strong> piazze teatrali, sia – soprattutto – nei circuiti minori e provinciali (secondo un veloce calcolo,<br />
è nel manipolo <strong>di</strong> opere che ha ricevuto il maggior numero <strong>di</strong> rappresentazioni sulla faccia<br />
della terra). Per giungere a capo delle seicento pagine che compongono la partitura, il Maestro utilizzò<br />
– come fece in altre occasioni – spunti melo<strong>di</strong>ci e brani tratti dalle sue opere precedenti (ma<br />
non, ovviamente, da quelle già date sulle scene romane). Si sentono così gli echi <strong>di</strong> pagine del Sigismondo<br />
(«Piano, pianissimo»), <strong>di</strong> Aureliano in Palmira («Ecco ridente in cielo» e «Io sono docile»),<br />
della Cambiale <strong>di</strong> matrimonio (duetto tra Figaro e Rosina), dal Signor Bruschino (aria <strong>di</strong><br />
Bartolo). A partire dalla versione bolognese dell’agosto 1816, l’Ouverture originale <strong>di</strong> cui poco si<br />
conosce venne sostituita con quella già utilizzata per Elisabetta, regina d’Inghilterra (Napoli<br />
1815), e prima ancora per Aureliano in Palmira (Milano 1813). In accordo con le riscoperte dell’o<strong>di</strong>erna<br />
Rossini-renaissance, la straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong>ffusione del <strong>Barbiere</strong> ha definitivamente annesso<br />
tali brani a questo capolavoro.<br />
Pur senza <strong>di</strong>scostarsi molto da Beaumarchais e da Petrosellini, Rossini impose subito il suo sigillo<br />
<strong>di</strong> modernità scegliendo <strong>di</strong> infrangere in più occasioni le consuetu<strong>di</strong>ni e i co<strong>di</strong>ci vigenti (mancata<br />
cavatina al comparire <strong>di</strong> Rosina, vitalissima presentazione <strong>di</strong> Figaro) e lanciò alcuni numeri<br />
d’impatto imme<strong>di</strong>ato (l’«Aria della Vipera» <strong>di</strong> Rosina – a Roma interpretata dal contralto Gertrude<br />
Righetti-Giorgi, anche se in seguito, e spesso ancor oggi, fu impersonata da un soprano – e<br />
l’«aria della Calunnia» <strong>di</strong> Don Basilio). L’elemento <strong>di</strong> maggior attualità stilistica è tuttavia l’inserimento,<br />
nella trama del <strong>Barbiere</strong>, dei gran<strong>di</strong> finali d’atto, la cui forma – applicabile sia al genere<br />
comico che a quello serio – Rossini andava perfezionando in quegli anni: con il loro perfetto meccanismo,<br />
che alterna stasi e concitazione, con l’utilizzo a effetto delle risorse armoniche e <strong>di</strong>namiche<br />
(l’arcinoto crescendo), Rossini supera i confini del tra<strong>di</strong>zionale realismo buffo per ottenere una<br />
comicità lu<strong>di</strong>ca estraniante, nevrotica e modernissima. Permangono comunque, specie nell’atto secondo,<br />
i «luoghi» consueti della tra<strong>di</strong>zione buffa: travestimento, comme<strong>di</strong>a nella comme<strong>di</strong>a, satira<br />
<strong>di</strong> costume (l’esilarante duetto «Pace e gioia», con l’untuoso salmo<strong>di</strong>are ecclesiastico del finto<br />
Don Alonso) e la lezione <strong>di</strong> canto, uno dei più tipici effetti <strong>di</strong> musica in scena. Un contesto ideale,<br />
fra l’altro, per sostituire l’originario «Contro un cor che accende amore» con altri brani, a ca-