Mysterion - rivista di spiritualità e mistica

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www.MYS ERION.it 4.1.1. Tra riflessione e vita S. BONGIOVANNI S.I. 38 1 (2008) 32-42 Nella sua potenza evocativa e unitiva (tenere-insieme) il simbolo rinvia il pensiero al suo vincolo originario di appartenenza alla vita, infrangendo i circoli chiusi del mentale e dell’auto-riflessione: in tal modo, il simbolo manifesta come nel linguaggio non tutto sia ordine concettuale ma tutto è subordinato alla vita. L’alterità (della vita e del mondo) non è afferrata dal simbolo, ma soltanto indicata come esteriorità irriducibile (dal punto di vista oggettivo) all’identità/interiorità della riflessione. * Questo primo aspetto mette in luce la capacità della conoscenza simbolica di tenere-insieme – senza mai dissolvere o assimilare l’uno all’altro – l’identità della riflessione/ interiorità e l’alterità della vita/mondo (esteriorità). 4.1.2. Tra passato e futuro Strutturando originariamente il rapporto dell’uomo al mondo secondo l’ordine della appartenenza (e non dell’oggettivazione), il simbolo getta un ponte tra la manifestazione dell’arcaico e della profondità oscura della vita (archè), e il télos o l’eschaton di compimento capace di orientare e di mobilitare le energie positive del desiderio. La funzione simbolica della nostra esistenza tiene insieme una necessità – il nostro esser dati, ‘gettati’, in un certo tempo, modo, luogo –, con la libertà personale (sia pure non assoluta) di progettarci in un avvenire. Anzitutto, dunque, il simbolo non è un’espressione linguistica, né può essere ridotto ad essa: ma costituisce la struttura profonda della nostra relazione al reale. Esso si radica nel legame profondo e originario esistente tra la nostra vita personale e il mondo nella sua totalità. ** Questo secondo aspetto evidenzia la potenza unitiva del simbolo che non separa mai la necessità dalla libertà, il passato dall’av-venire, l’origine (archè) dal compimento (télos). 4.1.3. Tra presenza e assenza: la traccia Infine, si è detto che il simbolo inaugura un altro rapporto alle cose e permette di sperimentare altrimenti la realtà abituale, in modo diverso dall’appiattimento oggettivo/oggettivante a cui spesso la costringiamo. Strappando dalla monotonia di un linguaggio troppo regolato e dalle sue convenzioni, il simbolo lascia intravedere uno scarto e una profondità non percepita del reale. Essendo un misto di linguaggio e di vita, il simbolo può qualificarsi come traccia, indicazione di un percorso di senso non esauribile nella riflessione ma aperto da questa: in quanto rende presente ciò di cui parla, lo indica, ma nella dimensione dell’assenza e del non possesso. Per questa ragione Ricoeur ritiene che la vocazione fondamentale del simbolo sia la manifestazione dell’Altro (Dio). *** Quest’ultimo aspetto denota il carattere di traccia della conoscenza simbolica (rispetto alla conoscenza oggettiva concettuale) nella sua capacità di tenere-insieme presenza e assenza. Il simbolo non possiede come un oggetto ciò che rimane inevitabilmente assente dalla riflessione, ma lo rende presente indicandone le tracce di un senso possibile.

www.MYS ERION.it 4.2. 4.2. Il Il Il rilievo rilievo rilievo simbolico simbolico del del mistero mistero S. BONGIOVANNI S.I. 39 1 (2008) 32-42 Da quanto detto il simbolo risulta coestensivo di una comprensione della finitudine non chiusa su se stessa: né nella presunzione di una piena (auto)trasparenza o di un sapere assoluto sul reale, né nel pessimismo paralizzante di una coscienza infelice compiaciuta propri limiti. Forse in questo senso il simbolo esprime al meglio la nostra fedeltà al frammezzo (Zwischen) che ci costituisce, in cui anche il divino non può darsi che nel furtim et raptim di un’esperienza (forse anche folgorante ma pur sempre) frammentata ed esposta all’universo delle opposte valenze che ci abitano. È in questo senso che si può giustificare il carattere essenzialmente simbolico del mistero. Le cui ‘ragioni’ si condensano nella funzione del tenere-insieme (sym-ballein), senza confonderle né separarle (né negarle), le due esperienze fondamentali della nostra esistenza: sempre tesa tra il silenzio e la parola, la visione e l’ascolto, la luce e l’ombra, la presenza e l’assenza, il passato e l’avvenire, la riflessione e la vita, il fondamento e l’abisso, l’archè e il tèlos, il timore e l’affidamento… Invece delle contrapposizioni teoriche, la valenza simbolica del mistero disegna la strutturale essenza tensionale della nostra esistenza umana. Invece della semplice opposizione antitetica (aut…aut), nel movimento simbolico prevale una messa in relazione originaria (et…et) che impedisce la fissazione (teorica, mentale) e articola dinamicamente la comprensione (Verstehen) che siamo. Il fatto stesso dell’esserci significa che in essa siamo, già da sempre, e che la cifra essenziale della nostra esistenza è costitutivamente simbolica nella tensione che si esprime tra il rinvio ad un passato da cui proveniamo e un av-venire che possiamo liberare. Ogni comprensione è l’apertura e, in un certo senso, il compimento di questa messa in relazione del nostro esserci. Nella sua rilevanza sim-bolica il mistero non è dunque un aldilà o un altrove, ma è l’esperienza originaria del nostro essere in un mondo in quanto possibilità di senso. Se guardiamo alla storia del pensiero occidentale possiamo intercettare molteplici figure del Mistero, più o meno direttamente connesse al suo senso teologico fondamentale inteso nel riferimento alla comprensione e all’esperienza umana del divino. Sia pure in modo molto approssimativo, le diverse figure del Mistero potrebbero riassumersi in due modelli principali: nell’uno tende a prevalere una comprensione negativamente orientata, mentre nell’altro si esprime una concezione positiva del Mistero. In questa seconda posizione, il pensiero e il linguaggio umani sono ritenuti (almeno parzialmente) adeguati all’accoglienza e alla comprensione del Mistero di Dio. Nella prima figura, invece, prevale la sfiducia nelle capacità razionali dell’uomo. Ognuno dei due modelli è fondato su di una precisa presa di posizione di fondo nei confronti del pensiero e del linguaggio umani: e più in generale sul ruolo della ragione. La comprensione negativamente orientata è dominante nella tradizione della teologia apofatica il cui esito è una sorta di abolizione del linguaggio umano, ritenuto incapace di cogliere e di esprimere il Dio irraggiungibile. Si pensi alla tesi della inesprimibilità di Dio di fronte a cui l’unico gesto umano adeguato e rispettoso è ritenuto essere il silenzio adorante. In realtà, le posizioni dei due modelli cui si è accennato non sempre giungono ad una contrapposizione netta, ma, al di là delle polemiche contingenti, spesso permettono di evidenziare intenti ed elementi comuni e complementari. Si può notare, per esempio,

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4.2. 4.2. Il Il Il rilievo rilievo rilievo simbolico simbolico del del mistero<br />

mistero<br />

S. BONGIOVANNI S.I.<br />

39<br />

1 (2008) 32-42<br />

Da quanto detto il simbolo risulta coestensivo <strong>di</strong> una comprensione della finitu<strong>di</strong>ne<br />

non chiusa su se stessa: né nella presunzione <strong>di</strong> una piena (auto)trasparenza o <strong>di</strong> un<br />

sapere assoluto sul reale, né nel pessimismo paralizzante <strong>di</strong> una coscienza infelice compiaciuta<br />

propri limiti. Forse in questo senso il simbolo esprime al meglio la nostra fedeltà<br />

al frammezzo (Zwischen) che ci costituisce, in cui anche il <strong>di</strong>vino non può darsi che<br />

nel furtim et raptim <strong>di</strong> un’esperienza (forse anche folgorante ma pur sempre) frammentata<br />

ed esposta all’universo delle opposte valenze che ci abitano.<br />

È in questo senso che si può giustificare il carattere essenzialmente simbolico del<br />

mistero. Le cui ‘ragioni’ si condensano nella funzione del tenere-insieme (sym-ballein),<br />

senza confonderle né separarle (né negarle), le due esperienze fondamentali della nostra<br />

esistenza: sempre tesa tra il silenzio e la parola, la visione e l’ascolto, la luce e l’ombra, la<br />

presenza e l’assenza, il passato e l’avvenire, la riflessione e la vita, il fondamento e l’abisso,<br />

l’archè e il tèlos, il timore e l’affidamento… Invece delle contrapposizioni teoriche,<br />

la valenza simbolica del mistero <strong>di</strong>segna la strutturale essenza tensionale della nostra<br />

esistenza umana. Invece della semplice opposizione antitetica (aut…aut), nel movimento<br />

simbolico prevale una messa in relazione originaria (et…et) che impe<strong>di</strong>sce la fissazione<br />

(teorica, mentale) e articola <strong>di</strong>namicamente la comprensione (Verstehen) che siamo.<br />

Il fatto stesso dell’esserci significa che in essa siamo, già da sempre, e che la cifra essenziale<br />

della nostra esistenza è costitutivamente simbolica nella tensione che si esprime tra<br />

il rinvio ad un passato da cui proveniamo e un av-venire che possiamo liberare. Ogni<br />

comprensione è l’apertura e, in un certo senso, il compimento <strong>di</strong> questa messa in relazione<br />

del nostro esserci. Nella sua rilevanza sim-bolica il mistero non è dunque un al<strong>di</strong>là<br />

o un altrove, ma è l’esperienza originaria del nostro essere in un mondo in quanto possibilità<br />

<strong>di</strong> senso.<br />

Se guar<strong>di</strong>amo alla storia del pensiero occidentale possiamo intercettare molteplici<br />

figure del Mistero, più o meno <strong>di</strong>rettamente connesse al suo senso teologico fondamentale<br />

inteso nel riferimento alla comprensione e all’esperienza umana del <strong>di</strong>vino. Sia pure<br />

in modo molto approssimativo, le <strong>di</strong>verse figure del Mistero potrebbero riassumersi in<br />

due modelli principali: nell’uno tende a prevalere una comprensione negativamente orientata,<br />

mentre nell’altro si esprime una concezione positiva del Mistero.<br />

In questa seconda posizione, il pensiero e il linguaggio umani sono ritenuti (almeno<br />

parzialmente) adeguati all’accoglienza e alla comprensione del Mistero <strong>di</strong> Dio. Nella<br />

prima figura, invece, prevale la sfiducia nelle capacità razionali dell’uomo. Ognuno dei<br />

due modelli è fondato su <strong>di</strong> una precisa presa <strong>di</strong> posizione <strong>di</strong> fondo nei confronti del<br />

pensiero e del linguaggio umani: e più in generale sul ruolo della ragione. La comprensione<br />

negativamente orientata è dominante nella tra<strong>di</strong>zione della teologia apofatica il<br />

cui esito è una sorta <strong>di</strong> abolizione del linguaggio umano, ritenuto incapace <strong>di</strong> cogliere e<br />

<strong>di</strong> esprimere il Dio irraggiungibile. Si pensi alla tesi della inesprimibilità <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> fronte<br />

a cui l’unico gesto umano adeguato e rispettoso è ritenuto essere il silenzio adorante.<br />

In realtà, le posizioni dei due modelli cui si è accennato non sempre giungono ad<br />

una contrapposizione netta, ma, al <strong>di</strong> là delle polemiche contingenti, spesso permettono<br />

<strong>di</strong> evidenziare intenti ed elementi comuni e complementari. Si può notare, per esempio,

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