N. 2 - Settembre 2011 - OFItalia
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Curiosità<br />
Cibi ricchi di conservanti<br />
aumentano i casi di mummificazione<br />
Mentre la cronaca nazionale è invasa<br />
da notizie riguardanti il sovraffollamento<br />
e il degrado dei cimiteri, un<br />
nuovo problema fa capolino nell’ambito<br />
funerario, le salme dei defunti<br />
non si decompongono più, l’allarme è<br />
stato lanciato da alcuni siti internet e<br />
i necrofori hanno confermato la macabra<br />
notizia segnalando il problema.<br />
Da circa una ventina d’anni, quando<br />
per gli addetti ai lavori arriva il momento<br />
di recuperare le salme (per<br />
legge minimo dopo 10 anni per l’inumazione<br />
e 20 per la tumulazione) che<br />
dovranno essere trasferite nell’ossario,<br />
sempre più spesso si trovano dinanzi<br />
a corpi ancora integri, mentre quelli<br />
completamente consumati sono<br />
sempre di meno. Dopo tutti questi<br />
anni all’interno delle bare rimangono<br />
esclusivamente le ossa o poco più,<br />
invece le salme risultano come mummificate<br />
o saponificate, con carne e<br />
pelle ancora in perfette condizioni, e<br />
quando questo accade il corpo deve<br />
essere nuovamente rilasciato nella<br />
fossa per altri 2 anni. A quanto pare<br />
per trovare le cause di questo inquietante<br />
fenomeno bisogna tornare indietro<br />
fino agli anni sessanta, quando<br />
i cibi preconfezionati e/o precotti arrivarono<br />
per la prima volta sulle no-<br />
stre tavole, rivoluzionando per sempre<br />
le abitudini alimentari di milioni<br />
di persone, ma può un evento all’apparenza<br />
così marginale nella nostra<br />
vita influenzare in maniera drastica il<br />
nostro organismo, tanto da non permettergli<br />
di decomporsi in maniera<br />
naturale? Secondo Seth Roberts, professore<br />
di psicologia all’Università di<br />
Berkeley è possibilissimo, i cibi precotti<br />
hanno un numero di batteri di<br />
gran lunga inferiore rispetto ai cibi<br />
che più tradizionalmente vengono<br />
preparati in casa, di conseguenza un<br />
così basso livello di batteri all’interno<br />
del nostro organismo non ne permette<br />
la naturale decomposizione. Oltre<br />
a questo un'altra causa pare sia da attribuire<br />
ai conservanti che quotidianamente<br />
ingeriamo con il cibo e nelle<br />
bevande, ormai sempre più trattati. A<br />
queste tuttavia bisogna aggiungerne<br />
altre, infatti, secondo il Presidente del<br />
Comitato di Lavoro per i Cimiteri ed i<br />
Crematori, anche i medicinali che assumiamo<br />
in vita “sicuramente possono<br />
influire sull’attività batterica dopo<br />
la morte”, un ruolo decisivo inoltre<br />
possono ricoprirlo anche le nuove<br />
tecniche di costruzione dei loculi che<br />
favorirebbero una migliore conservazione<br />
del corpo. Una notizia simile<br />
era già circolata ai tempi della guerra<br />
nel Vietnam, infatti a quanto pare i<br />
corpi dei soldati americani si decomponevano<br />
molto più lentamente di<br />
quelli vietnamiti sempre a causa della<br />
dieta caratterizzata da cibi ricchi di<br />
conservanti. Ma le informazioni che<br />
circolano in rete tuttavia sono piuttosto<br />
scarse e la maggior parte delle<br />
volte non sono supportate da articoli<br />
di medicina o dati statistici attendibili,<br />
il che potrebbe far pensare ad una<br />
bufala diffusa per spaventare la gente<br />
sulla pericolosità dei conservanti, ma<br />
un recente servizio della trasmissione<br />
tv Le Iene, ha verificato la veridicità di<br />
una notizia che rischiava di divenire<br />
una leggenda metropolitana, dimostrando<br />
che il problema sussiste ed<br />
è reale. I cimiteri italiani sono sempre<br />
più sovraffollati, anche a causa di<br />
questo fenomeno, in particolar modo<br />
è significativa le dichiarazione di Sereno<br />
Scolaro, responsabile servizi funerari<br />
pubblici: “è un problema crescente,<br />
perché i cimiteri ormai non<br />
possono più allargarsi e ingrandirsi”.<br />
La soluzione più immediata pare sia il<br />
ricorso alla cremazione, una soluzione<br />
che in Italia purtroppo viene scelta<br />
ancora da un numero troppo esiguo di<br />
persone, solo il 13%.<br />
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