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N. 2 - Settembre 2011 - OFItalia

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50<br />

Intervista a<br />

Fausto Paravidino<br />

Dopo una replica di Genova ‘01, io e Matteo<br />

incontriamo Fausto Paravidino e la sua<br />

compagnia e con loro improntiamo una tavola<br />

rotonda sull’arte e sul mondo della cultura.<br />

Fausto, ho partecipato alcuni giorni fa’ ad<br />

una tua conferenza in cui spingevi un<br />

gruppo di giovani attori ad una presa di coscienza<br />

maggiore del loro ruolo. A questi<br />

chiedevi perché avessero scelto di fare gli<br />

attori e se questa motivazione si fosse modificata<br />

durante il loro percorso. Ti rigiro<br />

subito questa domanda.<br />

“O signore! Questa l’ho provocata ma non me<br />

l’aspettavo. Ho scelto di fare l’attore perché mi<br />

piacevano le storie. Il mio primo pubblico è<br />

stata la mia famiglia e mi dicevano che ero un<br />

commediante. Probabilmente era vero. Ero un<br />

commediante. Naturalmente ero un bambino<br />

ed era un gioco. Non ricordo il momento in cui<br />

ho scelto di farlo sul serio ma ricordo il momento<br />

in cui mi sono autopercepito in quel<br />

desiderio. Ad 8 anni nel gioco dei mestieri ho<br />

smesso di dire vorrei fare il poliziotto, vorrei<br />

fare il boia ma voglio fare l’attore.<br />

Poi, nella pratica del lavoro, lo studio e le difficoltà<br />

hanno messo in crisi questa decisione e<br />

mi hanno fatto concepire la domanda perché<br />

vuoi fare l’attore? Ora penso perché ho voglia<br />

di esercitare un gusto. La maggior parte del<br />

mio lavoro è cercare di costruire una sensibilità<br />

e lo vedo come un mio servizio alla società.<br />

Costruire una sensibilità, fare il tifo per<br />

qualcosa che ho scoperto degli esseri umani e<br />

voglio restituirgli, fare il tifo per un certo modo<br />

di guardare le cose.”<br />

“Se mi guardo intorno - dice Matteo - la necessità<br />

più grossa che percepisco nelle persone<br />

che incrocio è quella di essere contaminate<br />

dall’arte. Sento che mi appartiene tantissimo il<br />

concetto dell’etica della testimonianza nonostante<br />

sia un valore totalmente cristiano, cioè<br />

l’idea che quando faccio una cosa bella questa<br />

contamini gli altri. Credo che l’aspetto più<br />

emozionante del nostro lavoro sia il provare a<br />

portare in scena qualcosa di talmente bello che<br />

contami gli altri, anche coloro che non si pongono<br />

mai il problema di come fare per migliorare<br />

questo Paese.<br />

Mi piace pensare che possiamo provocare in<br />

uno spettatore casuale un’emozione talmente<br />

forte e indirizzata verso il bello da risvegliargli<br />

un brividino, una domanda, la necessità di<br />

farsi delle domande che porta all’inizio di un<br />

percorso di consapevolezza.”<br />

Sento sempre di più la necessità di far condividere<br />

una cultura sociale, di riscrivere<br />

tutti insieme le regole della nostra società.<br />

Credete che l’arte possa dare il suo contributo<br />

a questo e, se si, come?<br />

Dice Fausto“se facendo Shakespeare o scrivendo<br />

qualcosa metti in scena un conflitto e<br />

all’interno di questo conflitto fai il tifo per il<br />

più debole invece che per la parte violenta, culturalmente<br />

stai lavorando, per esempio, per<br />

una fabbrica gestita con umanità.<br />

Poi toccherà alla società tutta, non più all’arte,<br />

studiare, cercare delle forme per far trionfare<br />

un amore nei confronti dei deboli.”<br />

“Siamo tutti in attesa di un Cristo Salvatore -<br />

interviene Iris, una delle attrici della compagnia<br />

- e spesso pensiamo che sia l’arte questo<br />

Cristo che deve darci la sua linea di condotta,<br />

ma l’arte, come il pensiero comune, non viene<br />

creata da nessuno. E’ un magma nel quale tutti<br />

quanti ci muoviamo. Un aspetto dell’arte,<br />

essendo specchio della realtà, è far prendere<br />

coscienza ai cittadini di quello che sta succedendo<br />

ma che già li riguarda.”<br />

“Certo! – riprende Fausto - Fare propaganda<br />

per il bello rappresentando l’esistente.<br />

Quello che cerco di fare è, all’interno dell’esistente,<br />

mettere una cornice su quelli che sono<br />

gli aspetti più importanti per me e per il mio<br />

senso estetico. In questo l’estetica diventa etica.<br />

Le mie priorità non sono, per esempio, quelle<br />

di La Repubblica.”<br />

A Roma sei stato uno dei partecipanti<br />

all’occupazione del Teatro Valle. Che cosa<br />

sta succedendo?<br />

“Le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo<br />

registrano che il teatro, come tanti settori del<br />

sapere, in questo momento sta vivendo all’interno<br />

di un conflitto tra istituzione e cultura.<br />

Nella tortura economica che la società e questo<br />

governo stanno infliggendo al nostro Paese,<br />

in cui tutti i cittadini sono messi a dura<br />

prova, ci sono delle categorie che in più vengono<br />

attaccate moralmente. Una di queste è<br />

quella dei lavoratori dello spettacolo ed essi si<br />

sono rivoltati a questa vessazione. Vogliono<br />

che la cultura sia considerata un bene comu-<br />

Attore-Regista<br />

e Commediografo<br />

ne, che come tale sia tutelata e non contrastata.<br />

All’interno di questo percorso di rivolta<br />

molto recente il Teatro Valle è diventato un<br />

centro, una specie di simbolo perché dopo che<br />

lo Stato aveva deciso di dismetterlo perché era<br />

caro, sono iniziate manovre più o meno turpi<br />

all’interno di una cultura che dà per scontato<br />

che i teatri siano una zavorra della quale liberarsi<br />

o da regalare all’interno di un mondo di<br />

clientele per metterli a profitto. Per questo il<br />

Valle è stato occupato. L’occupazione lo ha<br />

aperto alla cittadinanza, sta offrendo spettacolo<br />

gratuito tutte le sere e ha aperto il palcoscenico<br />

a tantissimi artisti. Contemporaneamente<br />

si tengono assemblee per cercare di elaborare<br />

una proposta gestionale che consideri il<br />

teatro e la cultura beni comuni, legandoci ai<br />

temi dei referendum, della Val di Susa, di<br />

quella che ci sembra una cultura virtuosa. E’<br />

un movimento dal basso di politica partecipata<br />

che cerca di produrre un modello di società<br />

che sia da esempio. trattando i temi della partecipazione,<br />

della pluralità, dell’etica delle paghe<br />

da un lato e dei prezzi dall’altro, della trasparenza.<br />

E’ una lotta che se sarà partecipata ce la farà<br />

perché libertà è partecipazione.”<br />

Perchè? Cosa non ti piace del sistema culturale<br />

del nostro Paese?<br />

“C’è troppo bordello. L’esercizio del gusto è influenzato<br />

da troppe puttanate.<br />

Il mercato è impuro, gli attori non vengono<br />

giudicati per il loro talento. Non c’è agio per<br />

fare della cultura qualcosa di diverso<br />

dall’emergenziale. Essendo specchio della società<br />

siamo anche noi immersi nel neoliberismo<br />

che sta formando una cultura aggressiva,<br />

di conflitto sociale altissimo. Noi viviamo<br />

all’interno di questo conflitto nonostante siamo<br />

quelli che dovrebbero combatterlo.”<br />

Nel frattempo tenete in ostaggio il Teatro<br />

Valle?<br />

“E’ il luogo per il quale lavoriamo e quindi è il<br />

luogo nel quale lavoriamo”<br />

Perché i nostri lettori si dovrebbero appassionare<br />

a questa lotta che almeno apparentemente<br />

non li riguarda?<br />

Risponde sicura Iris “perché noi siamo 100<br />

anni dopo Pomigliano d’Arco. Devono occuparsi<br />

di noi per non finire come noi”.<br />

E Fausto aggiunge “se, come spero, hanno bi-

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