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N. 2 - Settembre 2011 - OFItalia

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detto qualcosa e cerchiamo in tutti<br />

i modi di tenerlo legato a noi. In<br />

questo contesto si rende difficile<br />

l’elaborazione del lutto perché il<br />

congiunto scomparso agisce ancora<br />

come immagine nella psiche<br />

dei sopravvissuti, continuando ad<br />

esistere come presenza effettiva e,<br />

pur non essendo più presente, la<br />

sua fisionomia viene rintracciata<br />

in un viso intravisto tra la folla o<br />

nei primi confusi momenti che<br />

seguono il risveglio mattutino,<br />

momento in cui i congiunti non<br />

si rendono ancora conto che il<br />

defunto non c’è più. Questo processo<br />

di dipendenza e di non ac-<br />

cettazione della perdita deriva<br />

dal connubio tra il non aver mai<br />

espresso i propri immaginari sulla<br />

morte e il bisogno di avere un<br />

contatto fisico con il defunto, tanto<br />

da venir definito "lutto complicato"<br />

o “lutto patologico” , nel<br />

quale si rinforzano le condizioni<br />

di stress e di depressione dell’individuo<br />

perché incapace di ritornare<br />

a modelli di comportamento<br />

funzionali al contesto relazionale<br />

e ad un nuovo progetto di vita.<br />

C’è una sostanziale differenza tra<br />

l’essere stati testimoni di una “<br />

buona morte” (quando il morente<br />

ha affrontato il suo destino in<br />

modo sereno e si parla quindi di<br />

“lutto normale”) e quando invece<br />

la morte della persona a noi cara<br />

è collegata a delitto o ingiustizia<br />

profonda, (un incidente stradale,<br />

un omicidio, una morte improvvisa<br />

che scaturiscono poi inevitabilmente<br />

nel “lutto patologico”).<br />

Se la persona cara è morta dopo<br />

aver ascoltato se stessa, aver messo<br />

a posto le questioni in sospeso<br />

e risolto i conflitti personali, ha<br />

vissuto una “buona morte”, ( in<br />

caso contrario il senso delle questioni<br />

pendenti grava sugli eredi<br />

che sentono pesare su loro stessi<br />

la necessità di riparazione), ma se<br />

la persona è perita a causa di una<br />

ingiustizia o di un delitto è molto<br />

difficile che i superstiti possano<br />

uscire dal lutto patologico senza<br />

aver avuto un’autentica riparazione<br />

psicologica. Non si tratta solo<br />

di aver avuto la possibilità di assicurare<br />

alla giustizia i colpevoli o<br />

di vederli giustamente puniti ma,<br />

come insegnano le ricerche sulla<br />

vittimologia e sulla real justice,<br />

si tratta di vedere emergere nel<br />

colpevole il pentimento profondo<br />

per la sua azione. Senza tale<br />

pentimento non è possibile l’esercizio<br />

del perdono che consente la<br />

piena elaborazione del lutto. Alcuni<br />

si sentono responsabilizzati<br />

a mantenere vivo dentro di sé il<br />

dolore per non tradire il ricordo<br />

del defunto, così facendo restano<br />

legati al passato per sempre, mentre<br />

il processo di elaborazione lo<br />

si può attuare soltanto rivolgendo<br />

lo sguardo al futuro.<br />

Non esistono sentimenti rispettabili<br />

o sentimenti deprecabili.<br />

Ciascuna emozione gioca un suo<br />

ruolo specifico nel processo di<br />

cicatrizzazione. Siamo tutti tentati<br />

dal chiudere in un cassetto le<br />

emozioni più difficili e dolorose.<br />

Soprattutto coloro che pensano<br />

di doversi mostrare sempre e comunque<br />

come i più forti. Ma si<br />

rischia di ottenere lo scopo contrario;<br />

si accresce lo stress e si rallenta<br />

il processo di elaborazione<br />

del lutto.<br />

“Un grido del cuore negato<br />

e represso può portare a una<br />

produzione di rabbia ingiustificatamente<br />

espressa ed a una non<br />

voluta brutalità e rudezza nei<br />

confronti degli altri.<br />

Non pretendiamo di negare<br />

queste emozioni, lasciamo che i<br />

sentimenti affiorino”.<br />

Presidente Feder.Co.F.It.<br />

Regione Toscana<br />

Dott.ssa Catassi Katia<br />

Dott.ssa Catassi Katia<br />

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