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da La scultura raccontata da Rudolf Wittkower - Artleo.It

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<strong>da</strong> <strong>La</strong> <strong>scultura</strong><br />

<strong>raccontata</strong> <strong>da</strong><br />

<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

di <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

Storia dell’arte Einaudi 1


Edizione di riferimento:<br />

<strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong>. Dall’antichità<br />

al Novecento, trad. it. di Renato Pedio, Einaudi,<br />

Torino 1985 e 1993<br />

Titolo originale:<br />

Sculpture. Processes and principles, Penguin Books<br />

Ltd, London<br />

© 1977 Margot <strong>Wittkower</strong><br />

Storia dell’arte Einaudi 2


Capitolo quarto<br />

Il Rinascimento<br />

Alberti, Leonardo<br />

I mutamenti che si verificarono durante quel movimento<br />

che denominiamo Rinascimento furono di natura<br />

tanto fon<strong>da</strong>mentale <strong>da</strong> portare alla luce, infine, nulla<br />

di meno che un nuovo tipo d’uomo. Io mi allineo con<br />

quegli studiosi che considerano il movimento rinascimentale<br />

come l’alba dell’epoca moderna: moderna, sia<br />

pure, con alcune delle sue dubbie meraviglie.<br />

Posso, ovviamente, soltanto accennare in questa sede<br />

ad alcuni problemi rinascimentali che ci riguar<strong>da</strong>no<br />

immediatamente. Non vi è ombra di dubbio circa il<br />

fatto che nel primo decennio del xv secolo una piccola<br />

cerchia di maestri fiorentini sperimentasse un singolare<br />

risveglio. Sorgeva fra loro la concezione di un nuovo<br />

tipo di artista, essenzialmente diverso <strong>da</strong>gli artigiani e<br />

<strong>da</strong>i maestri del passato. L’artista diveniva consapevole<br />

delle proprie capacità intellettuali e creative e considerava<br />

le sue speciali doti come un dono del cielo conferito<br />

a pochi eletti. Il locus classicus del nuovo ideale dell’artista<br />

è il trattato Della Pittura di Leon Battista Alberti,<br />

scritto nel 1435. L’Alberti ci dice, in grande dettaglio,<br />

che tipo d’uomo dovrebbe essere l’artista moderno,<br />

e quale attrezzatura morale e dottrinaria gli venga<br />

richiesta. Insiste sulla necessità di porre la professione<br />

dell’arte su una sal<strong>da</strong> base teorica.<br />

Nell’ordine delle cose tipico del Medioevo, le Arti<br />

visive si affiancavano alle Arti meccaniche e non a quel-<br />

Storia dell’arte Einaudi 3


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

le liberali, il cui ciclo era allora ristretto alle scienze linguistiche<br />

e matematiche. <strong>La</strong> nuova stirpe di pittori, scultori<br />

ed architetti mirò a farsi ammettere fra le Arti liberali<br />

e ad assumere il medesimo rango dei letterati, dei<br />

poeti e degli studiosi di geometria. In quanto all’artista<br />

liberale, doveva riconoscere il fon<strong>da</strong>mento scientifico<br />

della propria arte, doveva essere ferrato nella teoria artistica<br />

e, se possibile, persino contribuire personalmente<br />

ad elaborarla. Cosí, <strong>da</strong> allora in poi, le considerazioni<br />

teoriche accompagnarono la pratica dell’arte; o per essere<br />

piú precisi diviene, secondo me, articolo di fede degli<br />

artisti d’avanguardia che la pratica debba fon<strong>da</strong>rsi sulla<br />

teoria. Da quel momento non dovremo soltanto scoprire<br />

che cosa gli scultori fanno, ma anche che cosa pensino<br />

e dicano, o, quanto meno, che cosa abbiano espresso<br />

in parole i loro portavoce letterari.<br />

Accadde cosí che l’Alberti – egli stesso scrittore,<br />

umanista, dotto, teorico, filosofo e pensatore originale,<br />

architetto e scultore: in una parola, un precoce rappresentante<br />

dell’uomo universale del Rinascimento – si<br />

ponesse il compito di porre i fon<strong>da</strong>menti teorici di tutte<br />

e tre le arti. Dopo il suo trattato Della Pittura, si pensa<br />

subito ai suoi Dieci libri dell’Architettura. Quest’opera<br />

ponderosa, scritta in un lungo periodo di tempo e terminata<br />

all’inizio degli anni cinquanta del Quattrocento<br />

(circa un quindicennio dopo il Della Pittura) ebbe un<br />

influsso non meno generale di quest’ultimo. Il suo trattato<br />

di <strong>scultura</strong>, intitolato De Statua, non ha la classe<br />

delle altre due opere. È estremamente breve e sembra<br />

altamente specialistico. Il lettore moderno può trovarlo<br />

in gran parte sconcertante ed astruso, cosí che raramente<br />

viene letto o menzionato <strong>da</strong>gli storici dell’arte.<br />

Esistono una traduzione italiana del 1568 <strong>da</strong>ll’originale<br />

latino, una traduzione inglese del 1733, ed un’affi<strong>da</strong>bile<br />

edizione tedesca pubblicata nel 1877. Circa cinquant’anni<br />

fa, Panofsky ne commentò brevemente alcu-<br />

Storia dell’arte Einaudi 4


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

ni aspetti, e nei tempi piú recenti l’interesse per l’opera<br />

si è accresciuto. È stato dimostrato che non si tratta<br />

dell’ultimo dei tre trattati (come si era sempre presunto),<br />

bensí del primo, <strong>da</strong>tabile agli inizi degli anni trenta<br />

del Quattrocento, il che può pure spiegarne alcuni<br />

difetti.<br />

Consideriamo questo trattato un poco piú <strong>da</strong> vicino.<br />

L’Alberti inizia considerando brevemente la motivazione<br />

dei primi tentativi dell’imitazione tridimensionale<br />

della natura. Da qui, procede ad una definizione delle<br />

arti plastiche, formulando immediatamente una differenziazione<br />

della massima importanza. Coloro che lavorano<br />

in cera o in stucco, egli dice, procedono aggiungendo<br />

o sottraendo materiale, e li chiamiamo modellatori;<br />

mentre coloro che si limitano a togliere ed a portare<br />

in luce la figura umana potenzialmente nascosta<br />

entro un blocco di marmo, li chiamiamo scultori. Quantunque<br />

l’Alberti si lasci qui gui<strong>da</strong>re <strong>da</strong> Plinio e <strong>da</strong> Quintiliano,<br />

nessuno mai prima di lui aveva espresso con<br />

tanta chiarezza la differenza tra modellatore e scultore<br />

(o intagliatore).<br />

Per i successivi cinquecent’anni circa, questa ripartizione<br />

è rimasta sal<strong>da</strong> nella mente degli scultori. Li ha<br />

angosciati, si potrebbe quasi dire che li ha perseguitati,<br />

e gli scultori raramente sono stati capaci di rilevare la<br />

differenza tra modellatori e scultori con la serenità dell’Alberti.<br />

Tanto gli uni che gli altri, cosí l’Alberti ci dice,<br />

tentano egualmente di creare la somiglianza con le forme<br />

della natura. E procede asserendo che essi incorrerebbero<br />

meno in errore nel loro lavoro se volessero seguire<br />

le sue norme ed il suo insegnamento. Ciascuna arte e ciascuna<br />

scienza possiede le proprie regole ed i propri principî,<br />

dice l’Alberti, e lo scultore che li conosca ridurrà<br />

al minimo la possibilità di errori. Poiché scopo dello scultore<br />

è l’imitazione della natura, egli dovrà osservare che<br />

esistono due aspetti del problema dell’imitazione: esi-<br />

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<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

stono cioè, dobbiamo riconoscerlo, universali e particolari.<br />

Tutti gli umani appaiono simili, ma nel medesimo<br />

tempo non esistono due uomini uguali.<br />

Secondo il metodo proprio dell’Alberti, dimensio e<br />

finitio (che sono grosso modo traducibili come «misura»<br />

e «definizione») sono i presupposti della realizzazione<br />

di qualsiasi rassomiglianza. Si può giungere alla misura<br />

impiegando due strumenti: l’exempe<strong>da</strong>, una riga diritta<br />

modulare atta a rilevare le lunghezze; ed un paio di<br />

squadre mobili <strong>da</strong> carpentiere, con cui misurare i diametri.<br />

Con l’aiuto di essi lo scultore può determinare<br />

con precisione matematica la dimensione esatta di qualsiasi<br />

parte del suo modello. Ma quantunque la misura<br />

garantisca precisazioni affi<strong>da</strong>bili per quanto riguar<strong>da</strong> il<br />

rapporto di una parte del corpo con l’altra e con il tutto,<br />

in tal modo si possono determinare soltanto gli universali.<br />

Per determinare i particolari, occorre la finitio o<br />

definizione. Essa è il metodo mediante il quale vengono<br />

determinati i profili, con tutte le cavità e le protuberanze<br />

di una figura in moto, il che si realizza con l’aiuto<br />

di un altro strumento, che l’Alberti denomina definitor.<br />

Esso consiste di un disco circolare cui è fissata una<br />

bacchetta rotante, <strong>da</strong>lla cui estremità pende un filo a<br />

piombo. Con l’uso del definitor si può determinare qualsiasi<br />

punto sul modello. L’Alberti sceglie, come esempio,<br />

una statua sepolta nella creta. Il definitor consentirà allo<br />

scultore di trovare qualsiasi punto <strong>da</strong>to su questa statua<br />

perforando la creta alla profondità necessaria. L’Alberti<br />

non parla mai esplicitamente di trasferimento meccanico<br />

<strong>da</strong>l modello al marmo. Ma <strong>da</strong>to che il nocciolo del<br />

suo argomento consiste nel proporre che l’imitazione<br />

scientificamente affi<strong>da</strong>bile della natura possa ottenersi<br />

soltanto con l’uso di metodi meccanici di confronto abilmente<br />

maneggiati, e poiché, per di piú, a tutti gli effetti<br />

egli sta descrivendo il metodo dei punti di riferimento,<br />

ritengo che egli qui pensasse a metodi meccanici di<br />

Storia dell’arte Einaudi 6


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

trasferimento. Di fatto, ricostruendo il suo definitor si<br />

giungerebbe <strong>da</strong>vvero assai vicini ad una moderna macchina<br />

a pantografo.<br />

Nessuno aveva prima parlato della <strong>scultura</strong> come ne<br />

parlava ora l’Alberti. Può essere vero che gran parte di<br />

quanto egli suggeriva era troppo complesso per dei semplici<br />

operatori, ma non dimentichiamo che egli era amico<br />

di artisti e scultori sofisticati, che dedicò il suo Della Pittura<br />

a Brunelleschi, che stimava oltremodo Ghiberti e<br />

Luca della Robbia, e chiamava Donatello «suo amicissimo».<br />

Cosí, non si può dubitare che il suo trattato<br />

venisse letto, e che possa aver determinato agitazione<br />

notevole tra la congrega degli avanguardisti. Ma in quale<br />

misura influenzò la pratica corrente? È impossibile fornire<br />

una risposta conclusiva, poiché – come ho osservato<br />

– gli storici dell’arte hanno trascurato il trattato ed<br />

hanno pertanto omesso di discuterne l’influsso. Pure, si<br />

possono avanzare alcune osservazioni che hanno qualche<br />

importanza per il nostro argomento. Leonardo conosceva<br />

il De Statua dell’Alberti. Probabilmente, egli studiò<br />

con estrema attenzione qualsiasi trattato dell’Alberti su<br />

cui poté mettere le mani. In ogni caso, Panofsky ha<br />

riconosciuto che un disegno nel codice Vallardi (Parigi),<br />

evidentemente copiato <strong>da</strong>ll’originale di Leonardo per<br />

mano di uno dei suoi seguaci, era proporzionato secondo<br />

il sistema dell’exempe<strong>da</strong> dell’Alberti, e pertanto non<br />

ci si stupisce di trovare Leonardo nell’atto di sperimentare<br />

con un metodo pantografico meccanico. <strong>La</strong> sua<br />

descrizione nel ms A dell’Institut de France a Parigi (che<br />

risale all’inizio degli anni novanta del Quattrocento) è<br />

di cristallina chiarezza. Leonardo scrive:<br />

Se vuoi fare una figura, di marmo, fanne prima una di<br />

terra, la quale, finita che l’hai, e seccata, mettila in una<br />

cassa che sia ancora capace, dopo che la figura sarà estratta<br />

<strong>da</strong> esso luogo, di ricevere il marmo che vuoi scolpirvi den-<br />

Storia dell’arte Einaudi 7


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

tro la figura, alla similitudine di quella di terra. Di poi,<br />

messa la figura di terra in detta cassa, abbi bacchette che<br />

entrino a punto per i suoi buchi e spingile dentro tanto, per<br />

ciascun buco, che ciascuna bacchetta bianca tocchi la figura<br />

in diversi luoghi. E la parte d’esse bacchette, che resta<br />

fuori <strong>da</strong>lla cassa, tingi di nero e fa il contrassegno alla bacchetta<br />

ed al suo buco, in modo che a tua posta si scontri.<br />

E trai <strong>da</strong> essa cassa la figura di terra e mettivi il tuo pezzo<br />

di marmo. E tanto leva, del marmo, che tutte le tue bacchette<br />

si nascon<strong>da</strong>no, insino al loro segno, in detti buchi<br />

(ms A, Institut de France, Parigi, 43r).<br />

Il testo originale è accompagnato <strong>da</strong> un piccolo schizzo<br />

ed illustra molto sommariamente la dettagliata esposizione<br />

scritta. Il sistema della «cassa e bacchetta» di<br />

Leonardo è piú semplice del definitor dell’Alberti. Di<br />

fatto, è tanto interamente meccanico che il piú stupido<br />

apprendista di studio avrebbe dovuto essere in grado di<br />

maneggiarlo. Ma era praticabile? Ebbene, sarebbe stato<br />

funzionale per pezzi piccoli, o molto piccoli. Tanto per<br />

dirne una, non riesco a vedere come, secondo Leonardo,<br />

si potesse «levare con i ferri [cioè intagliare], con<br />

gran facilità» (sono queste le parole che concludono il<br />

passo) senza ripetere senza fine l’operazione di togliere<br />

il blocco <strong>da</strong>lla cassa e rimettercelo dentro un infinito<br />

numero di volte.<br />

Per uomini come l’Alberti e Leonardo, i metodi meccanici<br />

di trasferimento costituivano un’autentica sfi<strong>da</strong><br />

scientifica. Quantunque il loro ragionamento differisse<br />

(e su Leonardo ritorneremo), l’uno e l’altro erano<br />

dediti ad una concezione dell’arte fon<strong>da</strong>ta su fatti<br />

oggettivi e verificabili. I metodi meccanici di trasferimento<br />

fornivano una versione corretta o una copia<br />

impeccabile di un’altra immagine. Sembra improbabile<br />

che nessun altro scultore abbia compiuto esperimenti<br />

sul problema nei sessant’anni intercorsi tra i mecca-<br />

Storia dell’arte Einaudi 8


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

nismi suggeriti <strong>da</strong>ll’Alberti e <strong>da</strong> Leonardo. Una volta<br />

posto il problema del controllo meccanico, esso restava<br />

nell’aria, e non lo si poteva piú eliminare <strong>da</strong>lla mente;<br />

e gli scultori ne sarebbero stati attratti per ragioni piú<br />

pratiche che filosofiche.<br />

Desidero <strong>da</strong>rvi un esempio che recentemente mi ha<br />

molto sconcertato. Nella National Gallery di Washington<br />

c’è un piccolo rilievo che rappresenta San Girolamo<br />

nel deserto, di Desiderio <strong>da</strong> Settignano, che è sempre<br />

stato il pezzo di <strong>scultura</strong> prediletto <strong>da</strong>l pubblico nella<br />

collezione della Galleria. Il rilievo non ha provenienza<br />

antica e documentata. Venne trovato a Firenze sullo<br />

scorcio degli anni ottanta del secolo scorso, ed immediatamente<br />

attribuito a Desiderio. Quantunque per tale<br />

attribuzione non si abbia alcuna prova documentaria,<br />

nessun nome può candi<strong>da</strong>rvisi in modo tanto convincente<br />

quanto quello di Desiderio, se si considera la dolce<br />

figura devota del santo, alla cui preghiera il personaggio<br />

sulla croce sembra rispondere piegandosi verso di lui con<br />

pari dolcezza. Soltanto a Desiderio si può associare l’atteggiamento<br />

candi<strong>da</strong>mente sincero e interamente partecipe<br />

del santo, la cui espressione è inseparabile <strong>da</strong> una<br />

raffinatezza straordinaria dei valori plastici. Una qualità<br />

delicata, quasi squisita, è caratteristica di tutte le opere<br />

che oggi conosciamo come sue, e le contraddistingue<br />

rispetto ai lavori piú robusti dei suoi contemporanei.<br />

Desiderio morí a trentacinque o trentasei anni nel 1464,<br />

e vi sono buoni motivi per <strong>da</strong>tare quest’opera a poco<br />

prima della sua morte.<br />

Ora, qualche anno fa, un secondo rilievo in marmo,<br />

assolutamente identico, comparve a Firenze e venne<br />

acquistato <strong>da</strong> un collezionista di New York. Nella primavera<br />

del 1970 fu possibile organizzare un confronto<br />

diretto fra i due pezzi. Ambedue misurano 43 x 55 cm,<br />

ed ambedue si corrispondono in tale misura che rilievi<br />

interni presi a caso con grandi compassi si sono rivelati<br />

Storia dell’arte Einaudi 9


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

praticamente identici. Quantunque, però, la corrispondenza<br />

di disegno sia tanto alta, esistono differenze che<br />

devo menzionare. <strong>La</strong> versione di Washington ha una<br />

superficie luci<strong>da</strong> e scintillante, un calore ed uno sfumato<br />

che mancano nella secon<strong>da</strong> versione, leggermente piú<br />

robusta e piú nettamente definita. Di piú, una patina brunastra,<br />

che conferisce al pezzo della National Gallery un<br />

aspetto quasi di alabastro, ne accresce l’affascinante qualità<br />

di superficie. L’altro pezzo, invece, ha superficie biancastra,<br />

o piuttosto color grigio chiaro. Inoltre, il secondo<br />

pezzo aveva qualche macchia di ruggine nella metà in<br />

basso a destra, che è stata trattata con acido, il che ha condotto,<br />

in certe zone, a un’erosione della superficie.<br />

Come possiamo spiegare queste due versioni identiche?<br />

Sono ambedue falsi moderni, e si avranno altre versioni<br />

identiche sul mercato d’arte fiorentino che compariranno<br />

di tanto in tanto? 0 la secon<strong>da</strong> versione è una<br />

riproduzione moderna in marmo? Io mi sento quasi o<br />

addirittura del tutto certo che, in questo caso, dobbiamo<br />

escludere la frode. Cercando di risolvere il problema,<br />

mi è capitata una vecchia fotografia, ripresa negli<br />

anni novanta dell’Ottocento, di un calco fatto del rilievo<br />

nella National Gallery prima che esso lasciasse Firenze<br />

per la sua destinazione: la grande casa di campagna<br />

di un aristocratico russo-baltico (il pezzo raggiunse gli<br />

Stati Uniti dopo la rivoluzione russa). <strong>La</strong> fotografia rivela<br />

che il pezzo della National Gallery deve aver avuto,<br />

all’epoca in cui il calco venne fatto, una superficie diversa,<br />

e assai piú nettamente definita. <strong>La</strong> dolcezza e lo sfumato<br />

attuali della superficie vanno considerati «acquisizioni»<br />

relativamente recenti, derivanti <strong>da</strong>lla pulitura e<br />

lavatura frequenti. Cosí, originariamente il rilievo aveva<br />

un aspetto assai piú vivace, piú definito, e meno pittorico<br />

di quello che ha oggi. Ciò significa pure che le<br />

superfici delle due versioni erano allora assai piú simili<br />

di quanto siano oggi.<br />

Storia dell’arte Einaudi 10


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

Dobbiamo considerare anche un altro punto. In contrasto<br />

con la vita urbana dei secoli precedenti, <strong>da</strong>l xiv<br />

secolo in poi si sviluppò, nelle città-stato progredite d’<strong>It</strong>alia<br />

e particolarmente a Firenze, un’inclinazione sempre<br />

crescente per un’esistenza civile e como<strong>da</strong>. Nel xv<br />

secolo, numerosi fiorentini della classe medio-superiore<br />

erano fieri possessori di deliziose dimore: cassoni colorati,<br />

quadri <strong>da</strong> studiolo, altari domestici, statue e rilievi<br />

facevano parte in numero sempre maggiore degli arredi.<br />

<strong>La</strong> <strong>scultura</strong> impiegata a tali propositi doveva avere<br />

prezzi ragionevoli, e pertanto si sviluppò una produzione<br />

speciale (che Charles Seymour chiama appropriatamente<br />

mercanzia <strong>da</strong> bottega) di calchi in stucco poco<br />

costosi, papier mâché e terracotta realizzata in base a<br />

stampi. Di norma tali opere riproducevano un pezzo in<br />

marmo dovuto ad un maestro riconosciuto, ed esistevano<br />

probabilmente, per questo tipo di riproduzione, officine<br />

specializzate. Quantunque si conoscano alcuni<br />

pezzi, in materiali deperibili, di qualità alta o persino<br />

altissima, di solito il loro carattere di derivazione è evidente,<br />

e sono facilmente riconoscibili le fasi <strong>da</strong>ll’originale<br />

fino alle forme diluite di tali riproduzioni.<br />

Con una digressione, siamo però ritornati ai nostri<br />

rilievi. Senza dubbio questi due marmi non possono<br />

rappresentare <strong>da</strong> un lato l’originale, <strong>da</strong>ll’altro un pezzo<br />

derivato: la loro qualità, egualmente alta, non consente<br />

una simile conclusione. Non riesco a trovare che una<br />

spiegazione sensata, e precisamente che Desiderio<br />

dovesse soddisfare due committenti, ambedue desiderosi<br />

di possedere un marmo, del quale possono aver visto<br />

nella sua bottega un modello preparatorio. Cronologicamente,<br />

ci troviamo esattamente a mezza stra<strong>da</strong> tra gli<br />

esperimenti dell’Alberti e di Leonardo, e suggerisco che<br />

lo stesso Desiderio sperimentasse, in questo caso, un<br />

qualche metodo pantografico: un metodo meccanico che<br />

garantisse la corrispondenza completa fra i due pezzi.<br />

Storia dell’arte Einaudi 11


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

Francamente, dopo aver speso moltissimo tempo nel<br />

tentare di risolvere il mistero, non sono del tutto certo<br />

se la mia conclusione appaia convincente agli occhi di<br />

altri come appare ai miei.<br />

Un altro caso che suggerisce l’impiego di un metodo<br />

meccanico di trasferimento, esattamente alla stessa <strong>da</strong>ta,<br />

il 1464, è stato recentemente trattato <strong>da</strong> Irving <strong>La</strong>vin<br />

in uno stimolante articolo. Il David di Michelangelo è<br />

stato scolpito in un grande blocco di marmo che originariamente<br />

era servito ad Agostino di Duccio per una<br />

figura gigantesca commissionatagli <strong>da</strong>ll’Opera del<br />

Duomo di Firenze. Come c’informano i documenti, la<br />

statua di Agostino doveva corrispondere ad un modello<br />

realizzato in cera. Il tentativo di Agostino di ingrandire<br />

a scala gigantesca quello che aveva dovuto essere un<br />

piccolo modello in cera fallí: il blocco marmoreo restò<br />

male abozatum per quasi quarant’anni nel laboratorio<br />

della cattedrale. È probabile che per l’operazione di<br />

ingrandire il modello a scala gigantesca Agostino abbia<br />

usato il metodo meccanico descritto e raccoman<strong>da</strong>to<br />

<strong>da</strong>ll’Alberti, o qualche apparecchiatura meccanica consimile,<br />

<strong>da</strong> esso derivata. Ora, in margine al documento<br />

che registra il passaggio del vecchio blocco a Michelangelo,<br />

una nota avverte che «il detto Michelangelo cominciò<br />

ad adoperare sul detto gigante la mattina del 13 settembre<br />

1501, quantunque qualche giorno prima, il 9 settembre,<br />

avesse rimosso con qualche colpo di scalpello un<br />

certo nodo (o protuberanza) che aveva sul petto». Il<br />

<strong>La</strong>vin si doman<strong>da</strong> se tale nodus non fosse, di fatto, un<br />

punto, un nodulo di marmo serbato <strong>da</strong> Agostino come<br />

riferimento fisso per prendere le misure del suo colosso<br />

in base al modello.<br />

Può essere difficile che mai si giunga a risultati assolutamente<br />

conclusivi circa l’impiego di procedimenti<br />

meccanici nel xv secolo. Il passo che ho citato <strong>da</strong>i taccuini<br />

di Leonardo, tuttavia, ha dimostrato che l’argo-<br />

Storia dell’arte Einaudi 12


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

mento occupava la mente di uomini del suo calibro verso<br />

la fine del secolo. Vale la pena di tornare indietro, <strong>da</strong><br />

quest’epoca, all’inizio del xv secolo a Firenze. Il rilievo<br />

di Nanni di Banco <strong>da</strong>ta a poco dopo il 1410. Nanni fu<br />

uno dei padri fon<strong>da</strong>tori della <strong>scultura</strong> del Rinascimento,<br />

contemporaneo di Donatello, devoto appassionato<br />

della <strong>scultura</strong> antica; ed ebbe un ruolo importante nella<br />

decorazione delle nicchie di Orsanmichele, la chiesa<br />

delle Corporazioni fiorentine. Il rilievo si trova sotto la<br />

nicchia che appartiene alla Corporazione degli scalpellini<br />

e legnaioli. Non è dissimile <strong>da</strong> una parte del materiale<br />

tardo-medievale che abbiamo piú sopra veduto. A destra<br />

si scorge uno scultore che lavora su un putto, sistemato<br />

nella posizione obliqua che conosciamo <strong>da</strong> molti altri<br />

esempi. Lo scultore vibra un martello <strong>da</strong> sbozzo con cui<br />

sta evidentemente rimuovendo la parte posteriore del<br />

blocco, <strong>da</strong>lla quale il putto (che è quasi finito) è stato<br />

tratto. A sinistra, si ha uno scalpellino con un capitello<br />

(risultato del suo lavoro) dinanzi a sé. Maneggia una<br />

squadra <strong>da</strong> carpentiere. Ambedue i personaggi operano<br />

direttamente sulla pietra, ambedue sono vestiti con un<br />

camice simile <strong>da</strong> operaio: indicazioni, queste, del fatto<br />

che essi hanno il medesimo rango in quanto membri<br />

della loro Corporazione.<br />

Detto per inciso, se qui confronto l’interesse dotto di<br />

Leonardo per il trasferimento meccanico con una simile<br />

rappresentazione, che fon<strong>da</strong>mentalmente è ancora<br />

legata alle convenzioni medievali, non intendo suscitare<br />

l’impressione che l’inizio e la fine del secolo fossero<br />

irrevocabilmente separate <strong>da</strong> un abisso. Leonardo stesso<br />

tornò a scivolare nelle concezioni tradizionali asserendo<br />

che la <strong>scultura</strong> non è una scienza, ma un «esercizio<br />

meccanicissimo, accompagnato spesse volte <strong>da</strong> gran<br />

sudore».<br />

Nel suo ben noto Paragone fra le arti, che stimolò gli<br />

artisti del Rinascimento per ben oltre un secolo, Leo-<br />

Storia dell’arte Einaudi 13


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

nardo poneva senza esitare la pittura al di sopra della<br />

<strong>scultura</strong>. «Lo scultore conduce le sue opere – egli diceva<br />

– con maggior fatica di corpo che il pittore, ed il pittore<br />

conduce le opere sue con maggior fatica di mente...<br />

conciossiaché lo scultore nel fare la sua opera fa per<br />

forza di braccia e di percussione a consumare il marmo,<br />

od altra pietra soverchia ch’eccede la figura che dentro<br />

a quella si rinchiude, con esercizio meccanicissimo». Si<br />

può immaginare che, nello stesso momento, il padre di<br />

Michelangelo si esprimesse esattamente nello stesso<br />

modo. Certamente, a quanto pensava Leonardo, l’invenzione<br />

di un metodo pantografico funzionante aiutava<br />

a ridurre la fatica manuale dello scultore, poiché<br />

le mani dei suoi aiuti potevano sostituire le sue senza<br />

alcun rischio di rovinare l’opera. Col passare del tempo,<br />

questa linea di ragionamento ricompare sempre piú<br />

sovente.<br />

L’idea del trasferimento meccanico era strettamente<br />

legata all’esistenza di un modello; un modello preparatorio<br />

ne costituiva un presupposto. Ciò è ovvio, e sia<br />

l’Alberti che Leonardo parlano dei modelli come di cosa<br />

ovvia. Ormai i modelli vengono menzionati nei contratti<br />

e nei documenti, come accade nel caso della statua<br />

gigantesca di Agostino di Duccio, di cui abbiamo<br />

Parlato. Sono sopravvissuti alcuni modelli preparatori<br />

risalenti alla secon<strong>da</strong> metà del xv secolo. Il modello in<br />

terracotta riguar<strong>da</strong> il cenotafio del Cardinal Niccolò<br />

Forteguerri nella Cattedrale di Pistoia, presso Firenze,<br />

dovuto al Verrocchio, commissionato nel 1476. Il Verrocchio<br />

non terminò il lavoro, e si hanno numerose<br />

aggiunte successive; ma il modello, oggi al Victoria and<br />

Albert Museum di Londra, ci dà una buona idea delle<br />

sue intenzioni. Con ogni probabilità il modello non è di<br />

mano del Verrocchio, bensí di un assistente di bottega.<br />

Una vera e propria letteratura si è accumulata intorno<br />

al problema della sua autenticità. Non parleremo, però,<br />

Storia dell’arte Einaudi 14


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

di questo, ma piuttosto della dimostrazione del grado di<br />

rifinitura che possiamo trovare, o che possiamo attenderci,<br />

in un modello del Quattrocento.<br />

Si può asserire tranquillamente che, in generale, l’impiego<br />

di modelli tridimensionali per la preparazione di<br />

un pezzo di <strong>scultura</strong> costituiva un punto di partenza<br />

nuovo; punto di partenza che non può venir separato<br />

<strong>da</strong>ll’installazione di botteghe individuali, <strong>da</strong>lla determinazione<br />

di stili e di procedimenti di lavoro personali, e<br />

<strong>da</strong>lla tendenza a separare l’invenzione <strong>da</strong>ll’esecuzione;<br />

l’accento del processo creativo si sposta <strong>da</strong>ll’oggetto<br />

finito ai primi lampi dell’ispirazione. Retrospettivamente,<br />

tutto ciò può apparire inevitabile. Ma nel xv<br />

secolo, e persino nella prima metà del xvi, queste altro<br />

non erano che potenzialità, tuttora avviluppate <strong>da</strong>lle<br />

pratiche tradizionali. Sembra, inoltre che il desiderio di<br />

mettersi su una nuova stra<strong>da</strong> si limitasse in un primo<br />

tempo largamente a Firenze. Abbiamo visto che in Germania,<br />

all’epoca di Donatello e del Verrocchio, le opere<br />

di <strong>scultura</strong> venivano preparate soltanto in base a disegni,<br />

e spesso a disegni forniti <strong>da</strong> pittori, disegnatori ed<br />

artisti grafici. In una certa misura può essere stato vero<br />

anche per l’<strong>It</strong>alia, esclusa Firenze, almeno durante la<br />

prima metà del xv secolo.<br />

Persino quando lo scultore realizzava lui stesso il<br />

disegno, l’uso di modelli era, a quanto sembra, sconosciuto.<br />

Consentitemi di <strong>da</strong>rvi un esempio importante e ben<br />

documentato. Il 15 dicembre 1408 la città di Siena<br />

diede incarico a Jacopo della Quercia di eseguire, come<br />

suona il contratto, una fontana lunga ventotto piedi e<br />

larga otto, con sculture, figure, fogliami, cornici, gradini,<br />

pilastri e stemmi, e di fare o far fare un disegno<br />

della detta fontana nella sala del Consiglio del Palazzo<br />

Pubblico. Si è presunto che si sia trattato di un disegno<br />

di grandi dimensioni (forse piú o meno scala al<br />

Storia dell’arte Einaudi 15


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

vero) fatto sulla parete della grande sala a beneficio<br />

della commissione responsabile. Un mese dopo, il 22<br />

gennaio 1409, si ebbe un nuovo contratto; il progetto<br />

originale venne ampliato, il prezzo fu aumentato, ed il<br />

contratto fu accompagnato <strong>da</strong> un nuovo disegno tracciato<br />

su un certo foglio di pergamena per mano di maestro<br />

Jacopo: disegno depositato presso il notaio che<br />

aveva steso il contratto. Dopo molte difficoltà, la fontana<br />

venne eseguita e terminata nel 1419. Frammenti<br />

se ne trovano oggi nel Palazzo Pubblico, ed una copia<br />

ottocentesca è stata collocata nella posizione originaria,<br />

nella grande piazza antistante il palazzo. Per uno straordinario<br />

colpo di fortuna, la maggior parte del disegno<br />

del 1409 è giunta fino a noi. <strong>La</strong> metà destra fu acquisita<br />

<strong>da</strong>l Victoria and Albert Museum nel xix secolo; la<br />

metà sinistra è stata scoperta all’inizio degli anni cinquanta<br />

ed acquistata <strong>da</strong>l Metropolitan Museum. Manca<br />

una piccola zona centrale.<br />

Gli studiosi di Jacopo della Quercia hanno sviscerato<br />

i problemi presentati <strong>da</strong> questo disegno recuperato.<br />

Il progetto, qual è rappresentato nel disegno, non corrisponde<br />

affatto alla fontana eseguita; ma non occorre<br />

qui approfondire questo lato della questione. Quel che<br />

desidero stabilire è questo: in primo luogo, il disegno<br />

venne realizzato per il committente ed aveva la validità<br />

di un documento legale. In secondo luogo, in un altro<br />

caso ancora, la decorazione scultorea del portale principale<br />

di San Petronio a Bologna (1425), Jacopo preparò<br />

un disegno a piccola scala, «di propria mano» e lo firmò.<br />

In base a questo schizzo un pittore produsse un murale<br />

scala al vero, a beneficio della commissione competente.<br />

Cosí, in questo caso sappiamo di uno schizzo che<br />

Jacopo può aver fatto pensando ad una doppia finalità,<br />

come studio per sé e, nel medesimo tempo, come base<br />

per l’ampliamento che an<strong>da</strong>va sottoposto ai committenti.<br />

In terzo luogo, in nessuno dei documenti riguar-<br />

Storia dell’arte Einaudi 16


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

<strong>da</strong>nti Jacopo si parla di un modello. Chiaramente, il suo<br />

modo di preparare le opere si accostava ancora alla tradizione<br />

medievale: anche se il suo lavoro successivo<br />

(soprattutto in San Petronio) fu cos˙í avanzato, cosí<br />

potente e personale, che lo stesso Michelangelo ne fu<br />

profon<strong>da</strong>mente impressionato.<br />

Dai primi anni del xv secolo desidero ritornare una<br />

volta di piú alla fine dello stesso secolo e a Leonardo.<br />

Può <strong>da</strong>rsi che alcuni tra voi conoscano la famosa bozza<br />

di lettera nella quale egli, allora a Firenze ed in età di<br />

trent’anni, offriva i propri servigi a Ludovico il Moro,<br />

duca di Milano. Tra molte cose che era capace di fare,<br />

egli scrive: «item, conducerò in sculptura de marmore,<br />

di bronzo e di terra, similiter in pictura, ciò che si possa<br />

fare a paragone de omni altro, e sia chi vole». Per di piú,<br />

prometteva di esser capace di eseguire il monumento<br />

equestre del padre del duca, Francesco Sforza, che <strong>da</strong><br />

un certo numero di anni si progettava di erigere.<br />

Leonardo venne a Milano, e si mise al lavoro per il<br />

Monumento Sforza. Doveva essere un’enorme opera in<br />

bronzo, di dimensione piú che doppia rispetto al Gattamelata<br />

di Donatello. Nel 1493 venne esposto al pubblico<br />

l’immenso modello in argilla del cavallo (senza il<br />

cavaliere), ma esso non venne mai gettato. Nel 1499 i<br />

Francesi invasero Milano al comando del generale italiano<br />

Giacomo Trivulzio, mortale nemico degli Sforza.<br />

<strong>La</strong> dinastia Sforza venne spazzata via; il modello di<br />

Leonardo fu <strong>da</strong>nneggiato <strong>da</strong>i sol<strong>da</strong>ti ed infine distrutto.<br />

Leonardo tornò a Firenze. Nel 1506 era di nuovo a<br />

Milano, e presto accettava l’incarico del Trivulzio per la<br />

sua tomba, che doveva essere coronata <strong>da</strong> una statua<br />

equestre scala al vero. Solo disegni, e qualche idea buttata<br />

giú <strong>da</strong> Leonardo, recano testimonianza dei suoi<br />

progetti per i due monumenti, e di come egli intendesse<br />

procedere. In breve, egli cominciò col progettare il<br />

Monumento Sforza con un cavallo rampante ed una<br />

Storia dell’arte Einaudi 17


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

figura umana in irrequieto movimento. Alcuni disegni<br />

originali e quattro incisioni tratte <strong>da</strong> disegni perduti<br />

illustrano questa fase.<br />

L’equilibratura di questo cavallo avrebbe presentato<br />

un problema assai grave. Leonardo abbandonò questo<br />

progetto e progettò ora un cavallo che an<strong>da</strong>va tranquillamente<br />

al passo. Esistono numerosi studi per questo<br />

nuovo progetto. Fra essi sono i suoi studi dell’anatomia,<br />

dei muscoli e delle proporzioni dei cavalli, fon<strong>da</strong>ti<br />

sulle ricerche che aveva condotto nelle scuderie del<br />

duca. Un posto centrale è occupato <strong>da</strong>gli studi sulla proporzione<br />

dell’uomo e dell’animale. Il mutato carattere<br />

di simili studi può illustrarsi confrontando il disegno<br />

leonardesco di una testa d’uomo con una pagina del taccuino<br />

di Villard de Honnecourt. L’artista medievale<br />

tende ad imporre all’immaginazione una norma geometrica<br />

prefissata; mentre l’artista rinascimentale tende<br />

ad estrarre una norma metrica <strong>da</strong>i fenomeni naturali<br />

che osserva.<br />

Uno splendido disegno a Windsor (12321) riguar<strong>da</strong><br />

principalmente lo studio dei muscoli pettorali del cavallo.<br />

Un altro disegno a Windsor (12343) ci dà un’idea<br />

del disegno finale del monumento, mostrato una volta<br />

di piú in proiezione laterale completa. Nei disegni per<br />

il monumento, assai piú tardo, del Trivulzio, neppur<br />

esso eseguito, Leonardo di nuovo oscillava tra le due<br />

soluzioni, il cavallo rampante e quello al passo. Uno di<br />

questi disegni ci sembra combinare i due tipi: il movimento<br />

incipiente dell’impennata viene bloccato <strong>da</strong>l<br />

cavaliere.<br />

I disegni di Leonardo possono insegnarci molto circa<br />

il modo meticoloso in cui un grande artista del Rinascimento<br />

preparava il suo lavoro di <strong>scultura</strong>. Ma essi ci<br />

insegnano molto piú che elementi generali. Su uno dei<br />

disegni di cavallo a Windsor (12350) Leonardo annotava<br />

che, per poter maneggiare il modello grande, occor-<br />

Storia dell’arte Einaudi 18


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

reva prepararlo modellando un modello piccolo. E in un<br />

altro luogo scriveva pressappoco: «a te piace vedere un<br />

modello. Sarà utile a te ed a me ed anche a chi sia interessato<br />

alla mia utilità». Combinando quest’informazione<br />

con l’evidenza dei disegni, si ha un quadro del<br />

procedimento scultoreo canonico a quel tempo. Lo scultore<br />

comincia con disegni, studi <strong>da</strong>l vero e schizzi compositivi.<br />

Passo successivo è il piccolo modello in argilla,<br />

cera o terracotta. Tale modello serve sia a lui che al<br />

committente. Poi procede a configurare il modello grande,<br />

corrispondente per la dimensione al lavoro <strong>da</strong> eseguire<br />

in pietra e, per tutti gli elementi essenziali, al piccolo<br />

modello preparatorio. Possiamo apprendere anche<br />

di piú. Abbiamo visto che tutti i disegni preparatori per<br />

i due monumenti presentano il cavallo in semplici vedute<br />

di profilo. Leonardo abbandonò questo tipo di rappresentazione<br />

quando non si occupò piú di statue. Nel<br />

disegno di Windsor 12331 studiò animali in movimento<br />

(per esempio, un gruppo con san Giorgio e il drago<br />

compare <strong>da</strong> tutti i lati ed in tutti i possibili scorci). È<br />

stato suggerito che questo ed altri disegni facessero<br />

parte di un trattato <strong>da</strong> lui progettato sul movimento<br />

degli animali. Questi, e studi consimili, <strong>da</strong>tanti al 1510<br />

circa, difficilmente potrebbero essere piú diversi <strong>da</strong><br />

quelli della tomba Trivulzio, appartenenti al medesimo<br />

periodo.<br />

Ritengo che la spiegazione del carattere dei disegni<br />

per monumenti equestri si possa ritrovare in una delle<br />

profonde note di Leonardo sulla <strong>scultura</strong>:<br />

Dice lo scultore che non può fare una figura, che non<br />

ne faccia infinite per gl’infiniti termini che hanno le quantità<br />

continue; rispondesi, che gl’infiniti termini di tal figura<br />

si riducono in due mezze figure, cioè una mezza <strong>da</strong>l<br />

mezzo indietro e l’altra mezza <strong>da</strong>l mezzo innanzi; le quali,<br />

essendo ben proporzionate, compongono una figura ton<strong>da</strong>,<br />

Storia dell’arte Einaudi 19


<strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong> - <strong>La</strong> <strong>scultura</strong> <strong>raccontata</strong> <strong>da</strong> <strong>Rudolf</strong> <strong>Wittkower</strong><br />

e queste tali mezze avendo i loro debiti rilievi in tutte le<br />

loro parti, risponderanno per sé senz’altro magistero per<br />

tutte le infinite figure che tale scultore dice aver fatte.<br />

Sembrerebbe che, in accordo con questo passo, Leonardo<br />

si limitasse allo studio di due vedute di profilo dei<br />

suoi monumenti equestri.<br />

Storia dell’arte Einaudi 20

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