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non potessi scappare più, né farti più provare imbarazzo e<br />
disagio insostenibili. Hai bruciato ogni cosa, senza nulla guardare.<br />
Hai segato senza un’esitazione le ossa dei miei polsi.<br />
Mi senti, che ti parlo, meine R.? Le ossa dei miei polsi!<br />
Uscirai a momenti da questa stanza. Le tue visite sono sempre<br />
brevi e sempre più rare. Il silenzio sospeso in questa stanza<br />
toglie disinvoltura ai tuoi gesti. Ti muovi a scatti, insofferente<br />
come un animale chiuso in gabbia. Non so cosa ti spinga<br />
a tornare, ogni volta. Non conosco l’esatto equilibrio esistente<br />
tra senso del dovere e bisogno inquieto di venire a scavare<br />
nei miei occhi, per verificare il miracolo. Per scoprire<br />
una luce, dentro questa carne abbandonata che chiami ancora<br />
figlia ma che è già diventata altro. Nessun miracolo, non attenderlo,<br />
non verrà. Finirà così, questa storia, imprevedibilmente,<br />
meine R., perché profondamente strana è la vita. E’<br />
stato sufficiente che la ruota della bicicletta slittasse sulla strada,<br />
in un giorno pacifico più di qualsiasi altro dei miei. Ogni<br />
elemento perfettamente in sintonia con gli altri, il quadro è<br />
finito.<br />
Mi chiedo se ti rivedrò ancora. Se sentirò ancora l’aria che<br />
si sposta tra le pareti in modo differente, inconfondibile, quando<br />
è il tuo corpo a varcare la soglia e a spostarsi in questo<br />
spazio fermo e sempre identico a se stesso. Non aspetterò che<br />
tu lo faccia, da troppo tempo ho disimparato l’attesa, ne ho<br />
dimenticato il modo. Forse farai in tempo, un’altra volta ancora,<br />
ad ascoltare questo mio respiro sottile che non posso neanche<br />
decidere di spezzare, china sul mio viso per un attimo, l’odore<br />
familiare della tua pelle che mi invade il cervello.<br />
Giulia Balzano<br />
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