Premio Energheia Vol.9

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15.06.2013 Views

Sono precise come ingranaggi di un orologio, metodiche da togliere il respiro dai polmoni. Scambiano tra loro poche parole, talvolta si scambiano baci, ruvidi e affamati come di persone sole che sorvegliano il niente. Perché questo fanno, e si disperano loro malgrado, in quel consumare vanamente il tempo. Le sento senza propriamente udirle né vederle, mentre le loro bocche sembra si divorino. Fanno un rumore come di stoffa che si strappa. Sembra improvvisamente si dimentichino di me, di dove siamo, tutte quante. Ripenso ai tuoi baci spiati, mentre le ascolto in quel modo sospeso e quasi gentile. Vorrei poter dire loro che non c’è ragione per tutto questo. Che starò buona, che non tenterò alcuna improbabile fuga, che non cercherò di attirare l’attenzione di nessuno: che possono uscire da questa casa trasformata in sepoltura, sentirsi libere di passeggiare per la brughiera, e ascoltare i suoni della primavera che arriva come un’onda dolce. Che mi troveranno ancora qui, al loro rientro, rannicchiata contro il muro, immobile come una pietra. Mi sollevano dalle lenzuola, invece, mi sfilano la camicia dalla testa, lavano le mie braccia, le gambe, il petto scheletrico. Mi cospargono di talco al mentolo e mi rivestono di una camicia pulita. Si muovono coordinate e senza fretta, io rimango muta, loro spariscono dietro la porta. Nessuno passeggerà per la brughiera, neanche oggi. Questo è un peccato imperdonabile. Non ho nostalgia delle mie gambe, né del mio naso che si allarga a raccogliere gli odori delle cose, tutte le cose, indistintamente: a lungo ho corso e ovunque ho camminato, in mezzo alle foreste e sulle cime delle montagne più alte, lungo gli oceani e tra la sabbia del deserto. Di ogni luogo percorso le mie narici portano memoria, come se i ricordi fossero sensazioni olfattive indelebilmente impresse sulla sottile pellicola che avvolge e conserva la mia vita passata. Di ogni persona amata custodisco il sentore del fiato che si mischia al mio fiato, della pelle che si scalda, della carne che si apre. Ogni luogo, ogni corpo vissuto potrei rivivere a occhi chiusi senza sbagliare, senza confondermi. Non ho nostalgia delle mie mani, che tanto hanno stretto e altrettante volte hanno lasciato andare. La vita è talvolta una realtà che miracolosamente si riesce a toccare, e illusoriamente a fermare. Con le parole questo è accaduto, ogni volta che è stato possibile: scrivere per toccare, per saggiare una consistenza, per inchiodare 23

a me ciò che inesorabilmente mi avrebbe lasciata. Scrivere per fermare me stessa nel flusso che mi trascinava con sé, senza una direzione, senza una destinazione, una qualsiasi, senza una compagnia. Il mio inchiostro sulla carta come sabbia che inceppi il meccanismo del tempo, che crei attrito, che renda lo slittare in avanti degli attimi un movimento più lento e più consapevole. Più penoso, a volte. Ma è pena che rende vivi, ed io ho scritto per sentirmi viva, presente a me stessa, per nessun’altra ragione. Tu hai avuto paura, Mutter R., da sempre, delle mie parole sui fogli. Quando ti è stata evidente l’impossibilità a impedire che nascessero, e fiorissero, e si moltiplicassero come figli, le hai evitate con cura, hai finto che non esistessero: ogni sillaba tracciata dal mio pennino è diventata ai tuoi occhi un agguato, un ostacolo da scavalcare di slancio, in groppa ai tuoi cavalli. Sei stata brava, da abile cavallerizza quale sei. Non una volta sei caduta. Eppure non c’era minaccia in quell’inchiostro versato come si versa il sangue. Ti sei esibita in mirabili salti, e il sentiero era libero, il tuo andare sarebbe potuto essere una corsa a occhi chiusi. Dei miei fogli ho nostalgia, del modo in cui le parole si allineavano e poi si contorcevano come serpenti. Delle mie dita che ammaestravano pensieri e se ne facevano ammaestrare, alternativamente e senza lotta, arrendevoli entrambi ed entrambi tenaci. Tu hai svuotato questa stanza e ne hai disinfettato le pareti, hai bruciato le mie carte, distrutto per sempre quelli che credevi essere eserciti di parole da cui doverti difendere. Non esistevi, dentro quei fogli. Eri altrove, ovunque, in ogni passo lontano, in ogni angolo di questa terra in cui ho dormito, dentro ciascuna bocca di donna e di uomo che ho baciato. Non sulla mia carta, non dentro il mio inchiostro. Quella carta era la mia dimensione altra da te. La mia casa senza tetto e senza pavimento, poco importa, ma ad una distanza siderale dal tuo sguardo. Hai bruciato ogni cosa, senza nulla guardare. Non importa, Mutter R., non importa più. Forse l’hai capito, mentre il fuoco mangiava i fogli, e le lettere, e i visi fotografati di sconosciuti. Forse l’hai sentito, che distruggevi il mio rifugio da te, l’unico possibile, più grande e infinitamente più forte di questa casa sul lago, di questa stanza dove sono tornata sfinita e dove mi ritrovo lentamente a morire. Forse hai deciso che andava compiuto quell’ultimo gesto, per avermi di nuovo tra le braccia e perché finalmente 24

Sono precise come ingranaggi di un orologio, metodiche da<br />

togliere il respiro dai polmoni. Scambiano tra loro poche parole,<br />

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persone sole che sorvegliano il niente. Perché questo fanno, e<br />

si disperano loro malgrado, in quel consumare vanamente il<br />

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di stoffa che si strappa. Sembra improvvisamente si dimentichino<br />

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spiati, mentre le ascolto in quel modo sospeso e quasi gentile.<br />

Vorrei poter dire loro che non c’è ragione per tutto questo.<br />

Che starò buona, che non tenterò alcuna improbabile fuga,<br />

che non cercherò di attirare l’attenzione di nessuno: che possono<br />

uscire da questa casa trasformata in sepoltura, sentirsi<br />

libere di passeggiare per la brughiera, e ascoltare i suoni della<br />

primavera che arriva come un’onda dolce. Che mi troveranno<br />

ancora qui, al loro rientro, rannicchiata contro il muro,<br />

immobile come una pietra. Mi sollevano dalle lenzuola, invece,<br />

mi sfilano la camicia dalla testa, lavano le mie braccia, le<br />

gambe, il petto scheletrico. Mi cospargono di talco al mentolo<br />

e mi rivestono di una camicia pulita. Si muovono coordinate<br />

e senza fretta, io rimango muta, loro spariscono dietro la porta.<br />

Nessuno passeggerà per la brughiera, neanche oggi. Questo<br />

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Non ho nostalgia delle mie gambe, né del mio naso che si<br />

allarga a raccogliere gli odori delle cose, tutte le cose, indistintamente:<br />

a lungo ho corso e ovunque ho camminato, in<br />

mezzo alle foreste e sulle cime delle montagne più alte, lungo<br />

gli oceani e tra la sabbia del deserto. Di ogni luogo percorso<br />

le mie narici portano memoria, come se i ricordi fossero sensazioni<br />

olfattive indelebilmente impresse sulla sottile pellicola<br />

che avvolge e conserva la mia vita passata. Di ogni persona<br />

amata custodisco il sentore del fiato che si mischia al<br />

mio fiato, della pelle che si scalda, della carne che si apre.<br />

Ogni luogo, ogni corpo vissuto potrei rivivere a occhi chiusi<br />

senza sbagliare, senza confondermi. Non ho nostalgia delle<br />

mie mani, che tanto hanno stretto e altrettante volte hanno<br />

lasciato andare. La vita è talvolta una realtà che miracolosamente<br />

si riesce a toccare, e illusoriamente a fermare. Con le<br />

parole questo è accaduto, ogni volta che è stato possibile: scrivere<br />

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