Premio Energheia Vol.9

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15.06.2013 Views

SENZA NULLA GUARDARE Racconto vincitore nona edizione Premio Energheia E’ finita così, in modo quasi ridicolo, come non mi sarei aspettata. A chi non è capitato di fermarsi appositamente, dentro un giorno tra i tanti, a metà di un gesto poco importante, nel bel mezzo di un qualsiasi vago pensiero: chi non ha sostato per un momento, a immaginare la precisione di quell’attimo? Persino per il puro gusto di vedere, per farsi un’idea della maniera in cui accadrà, la fotografia ultima da scattare sul mondo. Sarà capitato anche a te, Mutter R., chissà quante volte, chissà con quanta ossessione. Avrai inventato gesti e ascoltato urla, dipinto la scena con infinite sfumature differenti, usato ora spatole e pennelli, ora i polpastrelli nudi delle tue mani. Eppure, quanto è vero, non ci sarà possibilità alcuna di figurarsi ciò che realmente accadrà. Non ci sarà modo neanche di avvicinarsi ai suoi esatti contorni. La realtà sfuggirà sempre, qualsiasi sforzo tu faccia per tracciarne i lineamenti, e disegnarne con cura maniacale i particolari – il vestito che lei indossa, le sue lacrime come un lago su cui specchiare il mio viso che svanisce come una bolla d’aria; e le sue dita che sollevano le mie palpebre, che premono la pelle del mio collo che palpita appena – non c’è modo di figurarsi come le cose decideranno di andare. Ognuna si muoverà percorrendo il suo sentiero, e tutte insieme tracceranno un mirabile disegno, miracolosamente preciso. C’è una bicicletta, sulla tela dipinta della mia uscita di scena, e le rive pacifiche di un lago, le ruote che girano rapide, le ginocchia leggere, il viso teso a catturare il vento che arriva dalle montagne. C’è una strada bianca e polverosa che attraverso senza pensieri, libera e sola come avevo desiderato a lungo, come sembrava impossibile che riuscissi ad essere. C’è un’aria bella, dentro una giornata innocua e simile a tante altre. Un’aria che avrei dimenticato, 17

lo pensavo, mentre stringevo tra le mani il manubrio della bicicletta. E’ un concerto per orchestra, quel momento che arriva e che non puoi prevedere: tutti gli strumenti fusi l’uno nell’altro, ogni suono in sé perfettamente definito eppure indistinguibile dal resto. Solo da tanta eccezionale miscela di elementi diversi scaturirà l’evento. Sarebbe sufficiente un’unica dissonanza, un unico passo non compiuto o compiuto troppo in fretta, con troppo anticipo sui tempi previsti, perché niente accada, nessun disegno infine si formi, sul telo bianco del tempo. Le combinazioni di spazio, attimi, gesti sono sterminate. Si moltiplicano e si dividono all’infinito. Ogni essere sulla terra è destinato alla sua cifra, a quella e a nessun’altra simile. Per ognuno è stato stabilito il dosaggio esatto di ogni circostanza. Perché tale combinazione si verifichi, è necessaria talvolta una lunga attesa. Un’attesa così lunga da avere la sensazione disperante che ci si sia dimenticati di te, della tua fine, della ricetta particolarissima che infine la determini. Aspetti sulla banchina del tempo, passano treni che ti ignorano, che portano via chi ha trascorso l’attesa accanto a te. Il tempo somiglierà ad un tormento sotto forma di sgocciolìo. E le gocce fanno un rumore che ti buca il cervello, a cui non ti puoi sottrarre neanche a trasformarlo in musica e ad inventarci sopra i passi veloci di una danza. Arriverà anche il tuo treno, s’intende – non è previsto che alcuno sia dimenticato in vita, non è contemplato dalle regole di questo gioco in cui tu mi hai messa, perché corressi, corressi, corressi. Arriverà che ti sarai scordato anche della possibilità di vederlo comparire all’orizzonte. Arriverà che i tuoi piedi avranno imparato così bene quella danza, da aver dimenticato che il suo ritmo era quello del tempo che inesorabile scola da un bicchiere. Salire su quel vagone sarà una paura da venire le lacrime agli occhi. E sarà sollievo: perché quello è infine il tuo turno. Non mi senti, mentre parlo senza voce. Volgi lo sguardo oltre il vetro. Da dove sono stesa non posso vedere ciò che i tuoi occhi ora stanno guardando, ma conosco a memoria lo scenario racchiuso dalla cornice della finestra della mia stanza. E’ un quadro, Mutter R.: la brughiera che scende morbida come un manto fino alle rive del lago, le montagne che si specchiano sulla superficie dell’acqua, qualche barca che si muove così lenta da sembrare ferma. Inconcepibile il tempo 18

SENZA NULLA GUARDARE<br />

Racconto vincitore nona edizione <strong>Premio</strong> <strong>Energheia</strong><br />

E’ finita così, in modo quasi ridicolo, come non mi sarei<br />

aspettata.<br />

A chi non è capitato di fermarsi appositamente, dentro un<br />

giorno tra i tanti, a metà di un gesto poco importante, nel bel<br />

mezzo di un qualsiasi vago pensiero: chi non ha sostato per<br />

un momento, a immaginare la precisione di quell’attimo?<br />

Persino per il puro gusto di vedere, per farsi un’idea della<br />

maniera in cui accadrà, la fotografia ultima da scattare sul<br />

mondo. Sarà capitato anche a te, Mutter R., chissà quante volte,<br />

chissà con quanta ossessione. Avrai inventato gesti e ascoltato<br />

urla, dipinto la scena con infinite sfumature differenti, usato<br />

ora spatole e pennelli, ora i polpastrelli nudi delle tue mani.<br />

Eppure, quanto è vero, non ci sarà possibilità alcuna di figurarsi<br />

ciò che realmente accadrà. Non ci sarà modo neanche di<br />

avvicinarsi ai suoi esatti contorni. La realtà sfuggirà sempre,<br />

qualsiasi sforzo tu faccia per tracciarne i lineamenti, e disegnarne<br />

con cura maniacale i particolari – il vestito che lei<br />

indossa, le sue lacrime come un lago su cui specchiare il mio<br />

viso che svanisce come una bolla d’aria; e le sue dita che<br />

sollevano le mie palpebre, che premono la pelle del mio collo<br />

che palpita appena – non c’è modo di figurarsi come le cose<br />

decideranno di andare. Ognuna si muoverà percorrendo il suo<br />

sentiero, e tutte insieme tracceranno un mirabile disegno,<br />

miracolosamente preciso. C’è una bicicletta, sulla tela dipinta<br />

della mia uscita di scena, e le rive pacifiche di un lago, le<br />

ruote che girano rapide, le ginocchia leggere, il viso teso a<br />

catturare il vento che arriva dalle montagne. C’è una strada<br />

bianca e polverosa che attraverso senza pensieri, libera e sola<br />

come avevo desiderato a lungo, come sembrava impossibile<br />

che riuscissi ad essere. C’è un’aria bella, dentro una giornata<br />

innocua e simile a tante altre. Un’aria che avrei dimenticato,<br />

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