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HAbITAT UMANO<br />
di Emanuele Gennaretti<br />
S<br />
e guardiamo le nostre<br />
aree urbane,<br />
dove si concentra la<br />
maggior parte della<br />
popolazione, ci<br />
rendiamo conto che<br />
non sono vivibili per<br />
una gran parte delle persone che vi abitano,<br />
o comunque sono usufruibili in condizioni<br />
di grande incertezza, affaticamento e<br />
stress.<br />
Vivibilità non intesa come bellezza architettonica<br />
o qualità ambientale, o sociale, ma<br />
più semplicemente come “vivibilità funzionale”<br />
cioè la possibilità per tutti di accedere<br />
agli spazi urbani, ai mezzi di trasporto,<br />
agli ambienti costruiti pubblici e privati, e<br />
di svolgere le tipiche attività sociali in condizioni<br />
di benessere fisico e di sicurezza,<br />
senza correre rischi di affaticamento, disorientamento,<br />
stress, infortuni ed altri disagi<br />
che possono compromettere il nostro<br />
equilibrio fisico e psicologico.<br />
Il problema è emerso, come è intuibile,<br />
dalla necessità di consentire a persone disabili<br />
e portatrici di handicap l’accessibilità<br />
e la fruibilità ai luoghi pubblici e privati, e<br />
si è concentrato in un momento culturale<br />
mirato al superamento delle “Barriere Architettoniche”.<br />
Per etimo una barriera architettonica potrebbe<br />
essere “qualunque elemento costruito<br />
che impedisca, limiti, o renda difficoltosi<br />
gli spostamenti o la fruizione di<br />
servizi”, quindi qualcosa di fisico costruito<br />
come ad esempio un gradino, una porta,<br />
un muro, una strada, ma questi non sono<br />
elementi costituenti dell’habitat umano?<br />
Quindi potremmo definire barriera architettonica<br />
“tutto quello che genera conflitto<br />
Uomo-Ambiente”.<br />
È paradossale notare che l’habitat che<br />
l’uomo stesso si è creato è invece auto<br />
limitante per l’uomo stesso creando forti<br />
discriminazioni, si notino i servizi igienici<br />
per uomini, donne e disabili come se questi<br />
ultimi siano un altro genere e, come invece<br />
nel resto del regno animale, l’habitat<br />
è il luogo dove gli individui si esprimono<br />
al massimo delle loro potenzialità in ogni<br />
momento della loro vita.<br />
Per risolvere questo problema tecnico nel<br />
corso di oltre trenta anni il legislatore ha<br />
emesso una serie di norme e circolari che<br />
inizialmente ha consentito l’inquadramento<br />
e definizione del problema per poi arrivare<br />
all’emanazione della legge 13/1989 che<br />
centrava la questione nella sua intima natura.<br />
<strong>La</strong> legge prescrive i criteri di costruzione<br />
obbligatori di edifici pubblici e privati<br />
nonché degli spazi urbani come mezzi di<br />
trasporto, stazioni, luoghi di svago e libera<br />
riunione, tutto quello che costituisce il<br />
normale habitat dell’uomo, portando l’attenzione<br />
alla ricerca di parametri comuni<br />
che consentissero di limitare il criterio soggettivo<br />
nella fruizione degli spazi che compongono<br />
l’habitat umano.<br />
Tre sono i criteri guida di qualità che devono<br />
rispettare gli spazi costruiti, e tutto<br />
lo spazio urbano: Accessibilità, Visitabilità<br />
ed Adattabilità, introducendo il criterio<br />
di spazio antropizzato. Di fatto una<br />
rivoluzione della società, eliminando la<br />
dimensione disabile normale e ponendo<br />
in evidenza la dinamicità della vita che va<br />
dall’infanzia all’età adulta a quella senile,<br />
con la possibilità di incorrere in limitazioni<br />
funzionali temporanee o permanenti e in<br />
quest’ottica gli spazi costruiti ed urbani<br />
dovrebbero essere progettati, secondo<br />
norma di legge, non solo in relazione ad<br />
una dimensione fisica ma anche in una dimensione<br />
psicologica in cui ogni persona<br />
in qualsiasi stato della vita possa operare<br />
libere scelte e non trovarsi auto limitato<br />
da ghetti confezionati secondo logiche di<br />
convenienza economica.<br />
Per favorire questa idea sociale la legge<br />
13/89 e le ulteriori norme emanate prevedono<br />
l’accesso a scarichi fiscali, agevolazioni<br />
IVA e crediti agevolati per gli enti pubblici<br />
per le loro politiche di edilizia urbana.<br />
Più di venti anni sono passati dalla nascita<br />
di questa nuova idea di modello<br />
urbano, eppure sulle agenzie stampa di<br />
questo anno si può leggere: 2 milioni di<br />
euro per il Comune di Roma, nell’ambito<br />
dei fondi nazionali per Roma Capitale,<br />
stanziati per interventi tesi all’eliminazione<br />
delle barriere architettoniche; Parma:<br />
presentata la figura del disability manager,<br />
i primi corsi di formazione saranno<br />
attivi dal 2010 nell’Università Cattolica di<br />
Parma e di Milano; 31/3/09: proposta di<br />
legge per introdurre una nuova (?) materia<br />
di studio e di esame per gli aspiranti<br />
geometri, architetti ed ingegneri, perché<br />
“imparino a costruire senza barriere architettoniche”.<br />
Per sperimentare che le barriere architettoniche<br />
non sono qualcosa che interessano<br />
solo una parte della popolazione, e che<br />
soprattutto non sono elementi architettonici<br />
che limitano l’accesso a determinati edifici<br />
costruiti, ma che in realtà costituiscono un<br />
limite nella vivibilità per la persona della città<br />
oltre che delle proprie case, andate a spasso<br />
per la nostra città immaginando di essere un<br />
papà che spinge la carrozzina di sua figlia,<br />
un nonno che porta a spasso uno o peggio<br />
più nipotini, una nonna che torna a casa trasportando<br />
il carrello con la spesa, avere un<br />
dolore qualsiasi agli arti inferiori e decidere di<br />
fare però una passeggiata con la necessità di<br />
fare ripetute soste magari su di una panchina<br />
meglio se all’ombra, abitare nei nuovi quartieri<br />
e passeggiare per andare a prendere un<br />
caffè o qualsiasi altra cosa al bar, essere una