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A R C H E O L O G I A E B E N I C U L T U R A L I - Aidu Entos

A R C H E O L O G I A E B E N I C U L T U R A L I - Aidu Entos

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A R C H E O L O G I A E B E N I C U L T U R A L I


AIDU ENTOS<br />

ARCHEOLOGIA E B ENI C ULTURALI<br />

Capanna delle riunioni. Villaggio nuragico di Monte Casteddu (Luogosanto).<br />

Foto di Fausto Ligios (F/64 Progetto Fotografia).<br />

UN PROGETTO:<br />

CON IL CONTRIBUTO:<br />

Università degli Studi di Sassari


AIDU ENTOS<br />

Archeologia<br />

e Beni Culturali<br />

ANNO II n. 5-6<br />

Maggio-Dicembre 2008<br />

(SASSARI 2011)<br />

Direttore Responsabile<br />

Fausto Ligios<br />

Responsabile Scientifico<br />

Ercole Contu<br />

Editore<br />

Associazione Archeologica<br />

<strong>Aidu</strong> <strong>Entos</strong><br />

Redazione<br />

Francesco Bellu<br />

Ramona Cappai<br />

Gabriele Carenti<br />

Florinda Corrias<br />

Luca Doro<br />

Grafica<br />

Luca Doro<br />

Gabriele Carenti<br />

Stampa<br />

T.A.S. s.r.l.<br />

Tipografi Associati Sassari<br />

Registrazione presso<br />

il Tribunale di Sassari<br />

n. 446/07 del 28/06/07<br />

ISSN: 20376103<br />

eISSN: 20376111<br />

www.aiduentos.com<br />

Informazioni<br />

redazione.aiduentos<br />

@gmail.com<br />

Copertina<br />

Il tofet di Sant’Antioco.<br />

Foto di Fausto Ligios (F/64<br />

Progetto Fotografia).<br />

Seconda di copertina<br />

Resti di colonne romane a<br />

Capo Testa.<br />

Foto di Fausto Ligios (F/64<br />

Progetto Fotografia).<br />

Terza di copertina<br />

Il pozzo di Santa Cristina a<br />

Paulilatino.<br />

Foto di Fausto Ligios (F/64<br />

Progetto Fotografia).<br />

Copyright<br />

questa rivista è distribuita<br />

sotto la licenza Creative<br />

Common Attribuzione 2.5<br />

Italia<br />

sommario<br />

Editoriale.<br />

Fausto Ligios<br />

Studi e Ricerche<br />

La fauna della grotta di Su Coloru:<br />

scavi 1996-98<br />

Stefano Masala<br />

3<br />

Problematiche sulla ceramica attica<br />

a vernice nera di IV secolo a.C. nel<br />

Mediterraneo occidentale<br />

Florinda Corrias<br />

La ricognizione aerea applicata<br />

all’archeologia:<br />

metodologia e potenzialità<br />

Giovanna Sanna<br />

Nuragici e Fenici nel Sulcis.<br />

Panorama sugli studi<br />

Luca Cheri<br />

4<br />

18<br />

23<br />

27


Alghero: Il promontorio di Cappo Caccia visto dalla<br />

Pinetta di Mugoni.<br />

EDITORIALE<br />

Fausto Ligios<br />

info@faustoligios.it<br />

Le prime foto aeree della storia della fotografia<br />

furono realizzate in Francia da Nadar nel 1858<br />

(qualche suo detrattore afferma nel 1868 in<br />

quanto il celebre fotografo sembrerebbe che<br />

“truccò” la data), grazie all’ausilio di un aerostato,<br />

ovvero un pallone e un cesto frenato ad un’altezza<br />

di circa 80 metri, dal quale il pioniere della<br />

fotografia mondiale fotografò alcune case del villaggio<br />

di Petit-Becèntre situato nei pressi di Parigi.<br />

Motivi strategici militari e rilievo catastale furono<br />

gli input che portarono all’impresa storica. Oggi<br />

gli utilizzi della fotografia aerea sono i più svariati,<br />

ad esempio l’archeologia, così come ci spiega in<br />

questo numero doppio di <strong>Aidu</strong> <strong>Entos</strong>, un interessante<br />

articolo della dottoressa Giovanna Sanna.<br />

In Italia l’archeologia aerea è stata fortemente<br />

condizionata dall'esistenza di una legge del periodo<br />

fascista, risalente al 1939, che non consentiva<br />

di scattare fotografie al territorio nazionale.<br />

Solo nel 2000 tale disposizione è stata abrogata<br />

con un decreto del governo italiano che ha rimosso<br />

tutte le precedenti limitazioni e, attualmente,<br />

permette di eseguire riprese e rilevamenti<br />

aerei senza richiedere l'autorizzazione alle autorità<br />

o agli enti pubblici. La semplificazione delle<br />

procedure ha consentito in pochi anni di fare notevoli<br />

passi avanti in questo settore di ricerca, permettendo<br />

così agli studiosi di osservare dall'alto i<br />

siti archeologici e i territori interessati dalla presenza<br />

di resti più o meno visibili al livello del terreno.<br />

Come dire, osservare il medesimo soggetto<br />

cambiando la propria prospettiva visuale, tesi che<br />

non farebbe male se applicata a molti altri<br />

campi.<br />

Nel 1944, un altro pioniere, questa volta nel<br />

campo dell’archeologia, a cui noi sardi in primis<br />

dobbiamo tantissimo, ovvero Giovanni Lilliu, pubblicò<br />

“Rapporti fra la civiltà Nuragica e la civiltà<br />

fenicio-punica”, dando un decisivo impulso ad<br />

una problematica storica tuttora aperta: esiste<br />

una Sardegna nuragica e una Sardegna fenicia?.<br />

Partendo proprio da Lilliu che sosteneva che è esistita<br />

una Sardegna nuragica che si è sviluppata e<br />

trasformata anche attraverso il rapporto con gli<br />

“altri”, nella fattispecie, con i fenici, e viceversa, il<br />

dottor Luca Cheri a pagina 27 tenta di tracciare<br />

un fil rouge tra i maggiori studi che, nel corso degli<br />

anni, hanno cercato di far luce sul rapporto intercorso<br />

fra queste genti.<br />

Buon viaggio a tutti.<br />

AIDU ENTOS 3


Studi e ricerche<br />

Nuragici e Fenici nel Sulcis.<br />

Panorama sugli studi<br />

Luca Cheri<br />

Fig. 1 - Incontro fra Phoinikes e Nuragici; Terralba (Oristano). Foto di Elisa Pompianu.<br />

La Sardegna dei nuraghi e la Sardegna delle prime<br />

città: per diverso tempo l’archeologia nell’affrontare<br />

lo studio delle due manifestazioni culturali ha<br />

attuato, in molti casi per comodità, una scissione<br />

dei due argomenti.<br />

In ogni caso, soprattutto negli ultimi anni, che potremmo<br />

definire passaggio fra “Medioevo e Rinascimento”<br />

degli studi, si può segnalare un discreto<br />

progresso delle conoscenze sulla società e cultura<br />

nuragica e della civiltà fenicia in Sardegna, dei loro<br />

reciproci contatti e sulla comprensione, per citare<br />

il pioniere di questo filone di studi, delle influenze e<br />

interferenze (LILLIU 1944) originatesi dal reciproco<br />

rapporto-incontro; anche se, sia chiaro, non esiste<br />

una Sardegna nuragica e una Sardegna fenicia,<br />

bensì, una Sardegna nuragica che si sviluppa e si<br />

trasforma anche attraverso il rapporto con gli<br />

AIDU ENTOS 27<br />

luca.cheri@tiscali.it<br />

“altri”, nella fattispecie, con i Fenici, e viceversa.<br />

Ma come è stato il rapporto fra i Nuragici e i Fenici<br />

nel Sulcis?<br />

Tentiamo, pertanto, di tracciare un fil rouge tra i<br />

maggiori studi che, nel corso degli anni, hanno<br />

cercato di far luce sul rapporto intercorso fra queste<br />

genti.<br />

Va tempestivamente premesso che non sono i nuraghi,<br />

di cui manca una sistematica ricerca di<br />

scavo archeologico e di cui non si occupa in maniera<br />

approfondita il presente lavoro, bensì gli insediamenti<br />

fenici, nel nostro caso quelli sorti nel<br />

Sulcis, ad offrire, fra varie testimonianze materiali,<br />

un quadro esauriente di come si svolsero le articolate<br />

forme di relazioni con la componente nuragica,<br />

attestando l’esistenza di un precoce<br />

processo di interrelazione e di pacifica convivenza


a partire dalla prima metà dell’VIII secolo a.C..<br />

In particolare, gli unici insediamenti sulcitani individuati<br />

come certamente fondati in epoca fenicia 1<br />

sono solo sei e sono, da nord a sud, Portoscuso,<br />

Monte Sirai, Inosim, Sulky, Paniloriga e Bitia.<br />

Il lavoro pubblicato nel 1944 da Giovanni Lilliu, dal<br />

titolo “Rapporti fra la civiltà Nuragica e la civiltà<br />

fenicio-punica”, diede un decisivo impulso alla<br />

problematica storica.<br />

Già Lilliu escludeva di fatto la possibilità che la decadenza<br />

della cultura nuragica fosse dovuta ai<br />

primi sbarchi sull’isola di genti fenicie e ipotizzava<br />

un periodo di sviluppo parallelo delle distinte civiltà<br />

e per i loro rapporti reciproci.<br />

Individuò, pertanto, due distinti periodi nella storia<br />

della Sardegna a contatto con genti fenicie:<br />

quello propriamente fenicio (sec. VIII-VII a.C.) e<br />

quello cartaginese (sec. VI-III a.C.); il primo caratterizzato<br />

da un rapporto di interferenze e influenze<br />

culturali fra i due popoli, il secondo, invece, destinato<br />

ad una rottura fra Nuragici e Fenici, provocata<br />

dalla conquista cartaginese dell’isola.<br />

Il carattere stabilitosi fra i primi coloni e le genti nuragiche,<br />

affermava lo studioso, permise che le interferenze<br />

e le influenze in questione fossero<br />

ampie, nella materia e nello spazio, e regolate da<br />

una compartecipazione reciproca che solo la<br />

conquista territoriale cartaginese potè ridurre<br />

senza tuttavia sopprimerle.<br />

Fig. 2 - Urna con ansa a “gomito rovescio” (foto P. Bartoloni).<br />

Mise in rilievo, tra l’altro, che nello sviluppo e nella<br />

produzione dei bronzetti nuragici non fu senza effetto<br />

il modello dei bronzetti levantini e vicino<br />

orientali.<br />

Gli anni successivi a questo contributo sono soggetti<br />

da apporti scientifici che, pur avendo il merito<br />

di attuare regolarmente un sunto sui<br />

ritrovamenti effettuati nell’isola e, come da scuola<br />

di Lilliu, evidenziano le influenze e le interferenze<br />

per ogni classe di reperti, scadono nella lettura<br />

storica che vede ancora permeata la convinzione<br />

di un bramato predominio fenicio atto ad escludere<br />

dal commercio, soprattutto grazie all’intervento<br />

armato cartaginese, le genti nuragiche.<br />

L’errore, ad esempio, comprensibile al tempo, è<br />

l’infondata certezza che definisce fortezze città<br />

come Monte Sirai e, l’intervento militare cartaginese,<br />

a partire dalla metà del VI secolo a.C. in<br />

soccorso degli insediamenti fenici; in mancanza di<br />

dati si affermò che i Nuragici, non contenti dall’intento<br />

espansionistico e di conquista fenicio, che<br />

minacciava sempre più gravemente l’integrità dei<br />

loro territori, non si posero solo sulla resistenza,<br />

bensì si ribellarono contrattaccando; prova di ciò,<br />

è secondo l’errata lettura archeologica del<br />

tempo, ad esempio la distruzione di Monte Sirai da<br />

parte nuragica.<br />

Indiscutibilmente, il discorso sulla resistenza nuragica<br />

non si può estendere a tutto il territorio sardo;


in mancanza di scavi archeologici, soprattutto in<br />

contesti indigeni, non si può facilmente cogliere in<br />

una visione globale e unitaria quale fu la reazione<br />

delle popolazioni autoctone al flusso espansionistico<br />

fenicio e viceversa come fu attuato questo<br />

progetto.<br />

La Sardegna nuragica, in ogni modo, conquista in<br />

questo periodo, ossia le fasi finali dell’età del<br />

Bronzo e la successiva età del Ferro, la sua autonomia<br />

e la sua importanza di potenza, inserita in<br />

modo attivo all’interno del composito intrecciarsi<br />

di relazioni e contatti che interessano il bacino occidentale<br />

del Mediterraneo, e di cui la fenicia è la<br />

fondamentale, ma non l’unica componente 2 .<br />

Si potrebbe quindi postulare che il trionfo cartaginese<br />

e la sparizione dei gruppi protosardi dal circuito<br />

internazionale degli scambi sia stata anche<br />

la risultanza dell’incapacità dei gruppi egemoni<br />

nuragici a realizzare alcunché di simile al modello<br />

formativo urbano, noto e, attenzione, non interrotto<br />

dalle colonie fenicie in Sardegna, casomai,<br />

accolto a fondare colonie miste.<br />

Pur non incline ad estendere tale modello di lettura<br />

del fenomeno alle relazioni tra tutte le comunità<br />

fenicie di Sardegna e le comunità nuragiche,<br />

e quindi non ricercando soluzioni univoche, è importante<br />

segnalare a questo punto due distinti<br />

contributi, uno del 1983 e l’altro del 1985, di convincente<br />

interpretazione storica da parte di Piero<br />

Bartoloni.<br />

Il primo, dal titolo “Studi sulla ceramica fenicia e<br />

punica di Sardegna” (BARTOLONI 1983) suggerisce,<br />

in base ad alcuni indizi, quali la presenza in tombe<br />

bitiensi di inumati con faretre in materia deperibile<br />

(cuoio) dotate di tre stiletti e un pugnaletto in<br />

bronzo, databili verso il 620-600 a.C., e di incinerati<br />

in urne (olle con anse a gomito rovescio) coeve<br />

alle faretre e, come quelle, di produzione nuragica,<br />

la presenza nelle polis fenicie di individui o<br />

gruppi allogeni quali Nuragici.<br />

Il secondo, dal titolo “Nuove testimonianze arcaiche<br />

da Sulcis”(BARTOLONI 1985), pionieristico nella<br />

sua sostanza, offre urne arcaiche dal tofet di Sulky,<br />

tra cui diverse di tradizione nuragica (urna con<br />

ansa a “gomito rovescio” (fig. 2) e altre definibili<br />

come ibridi prodotti dall’influenza tra le due culture<br />

(urna biansata strutturalmente di derivazione nuragica<br />

con decorazione geometrica in stile metopale<br />

(fig. 3), testimoniano, secondo lo studioso, una presenza<br />

nuragica nel sito in evidente posizione paritetica;<br />

Bartoloni ripropone dunque, stavolta in una<br />

visione d’insieme, l’ipotesi di una partecipazione attiva<br />

dell’ethnos nuragico al popolamento delle più<br />

antiche città fenicie di Sardegna.<br />

È senza dubbio significativo in questo senso il ritrovamento<br />

di urne nuragiche in un luogo sacro<br />

quale il tofet; infatti la probabile partecipazione e<br />

la possibilità di accesso per le genti nuragiche a<br />

AIDU ENTOS 29<br />

luoghi sacri quali il tofet, anche se tempo fa si voleva<br />

vedere in questo recinto cultuale un luogo<br />

cruento di sacrifici, oltre ad essere una testimonianza<br />

notevole di comunione o, per meglio dire,<br />

di commistione etnica, attesta una accettazione<br />

e un’acquisizione da parte nuragica di credenze<br />

e costumi orientali senza tuttavia dimenticare del<br />

tutto i prodotti della propria cultura materiale.<br />

Ulteriori acquisizioni a testimonianza di un inurbamento<br />

di elementi di stirpe nuragica nella città di<br />

Sulky, sono offerte da Bartoloni in una pubblicazione<br />

del 1992, dal titolo “Lucerne arcaiche da Sulcis”<br />

(BARTOLONI 1992a).<br />

In questo lavoro, oltre a cinque di fabbrica fenicia,<br />

vengono presentate tre lucerne di tipologia<br />

nuragica rinvenute nell’area sacra del tofet; appartengono<br />

tutte al tipo miniaturistico e ai due tipi,<br />

a barchetta (un esemplare) e a paletta (due<br />

esemplari). La tipologia miniaturistica presentata,<br />

sia pur testimoniata anche nelle dimensioni di uso<br />

comune, è riferibile, probabilmente, ad una funzione<br />

votiva, come del resto si intuisce dal loro rinvenimento<br />

nel luogo sacro.<br />

Questo rinvenimento, non essendo certo una tesaurizzazione<br />

da parte di offerenti fenici, conferma<br />

ancor di più l’ipotesi della presenza a Sulky, fin dai<br />

primi anni della sua fondazione urbana fenicia, di<br />

genti nuragiche 3 .<br />

In questo fermento di studi si segnalano nel 2000<br />

gli Atti del Primo Congresso Internazionale Sulcitano<br />

dal titolo “La ceramica fenicia di Sardegna.<br />

Dati, problematiche, confronti”.<br />

Nell’opera, fra tutte le nuove acquisizioni, desta<br />

particolare interesse l’apporto di Paolo Bernardini<br />

(BERNARDINI 2000); infatti, oltre ad illustrare le tombe<br />

riferibili ad una necropoli ad incinerazione impiantata<br />

lungo il dosso sabbioso riferibile all’insediamento<br />

in località San Giorgio di Portoscuso,<br />

documentando i relativi corredi (in particolare si<br />

rende noto il rinvenimento di armi in ferro), segnala<br />

la presenza, sia pur presente in modo frammentario<br />

e disperso lungo la duna, di due anse appartenenti<br />

a tipiche olle nuragiche.<br />

Il fatto, spiega Bernardini, è significativo, considerato<br />

che le operazioni di scavo dell’area non<br />

hanno restituito niente che si possa ricondurre a<br />

presenze preistoriche e protostoriche nel sito della<br />

necropoli fenicia; non è da escludere, conclude<br />

lo studioso, che alcuni defunti di San Giorgio, intorno<br />

al 750 a.C., usassero come contenitori funerari<br />

vasi di questo genere; a livello di semplice<br />

ipotesi, non è altresì da escludere che l’utilizzo e la<br />

presenza di olle nuragiche siano riferibili a delle sepolture<br />

di genti nuragiche 4 , ossia una situazione di<br />

commistione o, per meglio dire, insanguinata e<br />

nuova realtà sociale appurata fra l’altro in altri<br />

contesti, come Sulky, Bitia e, come vedremo,<br />

Monte Sirai.


I punti fissi che infine espone lo studioso sono rivolti<br />

proprio nel rivalutare le prospettive per la quale si<br />

era spesso fatto in passato un collegamento tra<br />

l’arrivo dei Fenici in Sardegna e un supposto collasso<br />

della cultura nuragica all’inizio dell’età del<br />

Ferro, o la visione per la quale gli stanziamenti levantini<br />

prolificassero in aree vuote.<br />

Al sito anonimo di Portoscuso, oppure a Sulky, si<br />

deve l’iniziativa di una più diffusa presenza territoriale<br />

nell’isola attraverso la fondazione di nuovi<br />

centri come, ad esempio, Monte Sirai.<br />

Il territorio di Monte Sirai viene occupato in modo<br />

stabile dai Fenici intorno al 750 a.C., attraverso la<br />

costruzione sul pianoro di un abitato disposto intorno<br />

ad una preesistente torre nuragica semplice,<br />

con funzioni d’avvistamento e di<br />

segnalazione in origine ma, ben presto, destinata<br />

a divenire il fulcro delle frequentazioni successive<br />

dell’abitato sul pianoro.<br />

La presenza protosarda all’interno del tessuto sociale<br />

di questo centro dovette essere addirittura<br />

maggioritaria rispetto ai Fenici d’Oriente (BARTO-<br />

LONI 2000).<br />

Affermazione suffragata dalle testimonianze legate<br />

alle pratiche funerarie arcaiche presenti<br />

nella necropoli e da alcuni oggetti di uso quotidiano,<br />

come pentole di tradizione nuragica ma<br />

fabbricate con l’uso del tornio.<br />

Dall’area della necropoli è recente la pubblicazione<br />

(BOTTO 2005) dello straordinario rinvenimento<br />

di una tomba (n. 158) bisoma datata, in base al<br />

corredo vascolare, nel corso del secondo quarto<br />

del VI sec. a. C..<br />

In essa, oltre al consueto corredo fenicio, sono<br />

Fig.3 - Urna biansata strutturalmente di derivazione nuragica con decorazione geometrica in stile metopale (foto P. Bartoloni).


state rinvenute due forme di tradizione nuragica<br />

quali un boccale, definito vaso bollilatte nella terminologia<br />

sarda (CAMPUS, LEONELLI 2000) e una scodellina<br />

d’impasto.<br />

Il boccale non trova confronti puntuali fra i materiali<br />

nuragici pubblicati, soprattutto per quanto riguarda<br />

la resa dell’ansa. La soluzione significativa<br />

di tale produzione, evidenziata in passato (BARTO-<br />

LONI 1985), conferma la validità dell’esistenza di produzioni<br />

ibride, originatesi, per usare l’espressione<br />

dello studioso, in contesti coloniali fortemente acculturati,<br />

nelle quali elementi propri della tradizione<br />

nuragica (cronologicamente nella Prima età del<br />

Ferro) si sommano ad esperienze allogene.<br />

La tomba, per concludere, viene altresì interpretata,<br />

in base agli elementi di corredo duplicati,<br />

come la sepoltura di una madre con il proprio figlio.<br />

In particolare, afferma lo studioso, sembra<br />

possa essere pertinente ad un indigena andata in<br />

sposa ad un colono fenicio, poiché il boccale la<br />

caratterizza come moglie e la scodellina d’impasto,<br />

miniaturistica, come madre.<br />

L’interrelazione fra le due etnie appare evidente<br />

anche nella scelta da parte dei Fenici sull’utilizzo<br />

della suddetta torre nuragica inserita nel tessuto<br />

urbano, che divenne all’atto della fondazione un<br />

luogo sacro destinato a contenere la statua della<br />

dea Ashtart; conseguenza, probabilmente, di una<br />

sostituzione o integrazione di un precedente luogo<br />

di culto di età nuragica, sistemato all’interno della<br />

torre stessa.<br />

Successivamente, all’atto della conquista cartaginese<br />

il nuraghe fu raso al suolo come del resto<br />

distruzioni sono presenti nell’area dell’abitato, e sul<br />

suo circuito di base venne impostata una nuova<br />

struttura, anch’essa modificata successivamente<br />

sempre ad opera cartaginese.<br />

Per il momento, niente a riguardo perviene dai siti<br />

Paniloriga e Inosim, il primo ubicato presso l’odierno<br />

abitato di Santadi il secondo attuale isola di<br />

San Pietro, ascrivibili tra gli insediamenti fenici della<br />

regione sulcitana.<br />

La necropoli di Paniloriga (TORE 1995, 2000), unica<br />

area ad essere stata sottoposta a scavi sistematici,<br />

non ha restituito per il momento situazioni<br />

confrontabili con le necropoli esaminate precedentemente.<br />

Delineata la situazione degli insediamenti urbani<br />

fenici ed evidenziata la realizzazione al proprio interno<br />

di rapporti basati nel segno di un comune<br />

impegno, si può descrivere sommariamente altresì,<br />

tuttavia in termini di premessa, la situazione<br />

restituita da alcuni nuraghi sulcitani.<br />

Una panoramica sugli stanziamenti nuragici nel<br />

Sulcis rivela da subito che essi non sono numerosi<br />

e ampi rispetto ad altre zone dell’isola; il più considerevole<br />

è il villaggio nuragico di Seruci presso<br />

Gonnesa, ubicato alle spalle di Capo Altano e<br />

AIDU ENTOS 31<br />

poco distante dall’insediamento fenicio di Portoscuso,<br />

che viene abbandonato tra la fine del IX e<br />

la prima metà dell’VIII secolo a.C..<br />

Una cifra esaustiva sul numero dei nuraghi nella regione<br />

sulcitana viene offerta da Lilliu (LILLIU 1995)<br />

che ne conta 186, di cui 27 presenti nell’isola di<br />

Sant’Antioco; tuttavia questo dato viene subito<br />

messo in discussione nel 1996 (MARRAS 1996)<br />

quando i risultati di una ricerca di field archaeology<br />

assegnava solo al territorio comunale di<br />

Sant’Antioco 23 nuraghi.<br />

Il nuraghe di cui si possiede una cospicua documentazione<br />

è il Nuraghe Sirai 5 (PERRA 2001), sito a<br />

circa un chilometro in linea d’aria a sud del pianoro<br />

di Monte Sirai.<br />

Si tratta di un nuraghe di tipo complesso di cui furono<br />

individuati, negli anni ottanta (SANTONI 1986;<br />

USAI 1988), alcuni affioramenti di strutture murarie<br />

rettilinee e riferite sin da allora ad un ambito fenicio;<br />

si tratta, infatti, di fortificazioni di età fenicia,<br />

costruite in appoggio all’antemurale nuragico,<br />

che stagionalmente, a partire dal 1999, vengono<br />

sottoposte a indagini sistematiche di scavo.<br />

In particolare è stata messa in luce una porta pedonale<br />

e, racchiuso fra la fortificazione ed il nuraghe,<br />

si è intrapresa l’indagine del tessuto abitativo,<br />

composto da quartieri fenici e da isolati di costruzioni<br />

circolari ed ellittiche (PERRA 2005).<br />

L’archeologa Carla Perra, attraverso meticolosa<br />

registrazione dei dati stratigrafici, data all’ultimo<br />

quarto del VII sec. a.C. l’impianto della fortificazione<br />

e della relativa porta.<br />

Il dato che, nella sua pubblicazione, desta maggior<br />

attenzione è l’analisi dei materiali fittili; infatti, dagli<br />

strati di crollo del vano esterno della porta, in particolare<br />

il deposito inferiore (US 62), databile in un<br />

orizzonte fenicio dell’ultima parte del VII che può<br />

prolungarsi alla prima parte del VI sec. a.C., restituisce<br />

una percentuale del 43% di ceramica nuragica<br />

in associazione con una lucerna fenicia non utilizzata<br />

e un frammento di Kotyle protocorinzia.<br />

Conclude la studiosa: (PERRA 2005).<br />

Ma chi sono questi cari intrusi, a volte ibridi, “cocci<br />

nuragici” della US 62?<br />

Lo studio dei suddetti reperti viene donato alla letteratura<br />

archeologica da Felicita Farci (FARCI<br />

2005). Le tipologie ceramiche, si riconducono a:<br />

tegami, ciotole, scodelloni, olle e brocche. Di par-


ticolare importanza, il rinvenimento di un boccalino<br />

monoansato poiché trova il suo puntuale confronto<br />

nell’orlo del boccale rinvenuto nella tomba<br />

158, datata al secondo quarto del VI sec. a.C.,<br />

della necropoli di Monte Sirai (BOTTO 2005).<br />

La studiosa, cautamente, conclude la panoramica<br />

del suo contributo, accennando al problema<br />

della difficoltà di attribuzione cronologica<br />

di alcuni manufatti, quale il boccale, rimandando,<br />

secondo giustizia, ad attendere nuovi dati provenienti<br />

dal proseguo delle indagini e afferma:<br />

(FARCI 2005).<br />

Ugualmente al 2005, infine, risale la pubblicazione<br />

dei risultati del progetto di ricognizione topografica<br />

nel territorio di Monte Sirai, svoltasi stagionalmente<br />

dal 2001 al 2004, diretta sul campo da<br />

Stefano Finocchi (FINOCCHI 2005).<br />

Riassumere gli elogiabili contenuti di tale contributo<br />

risulta riduttivo. Infatti emergono notizie inedite<br />

di importanti testimonianze di cultura materiale<br />

fenicia in numerosi centri nuragici: dal Nuraghe<br />

Meurras (Tratalias – CA) emergono dalla superficie<br />

del suolo ceramiche indigene influenzate dalla produzione<br />

fenicia arcaica; dai nuraghi Grutt’Acqua e<br />

Bricco Scarperino di Calasetta, nell’insediamento di<br />

Sa Turrita di Seruci presso Gonnesa e nel villaggio nuragico<br />

di Medadeddu di Carbonia, è stata rinvenuta<br />

ceramica fenicia attestando i contatti attivi,<br />

probabilmente di natura commerciale, fra le due<br />

componenti durante l’età del Ferro.<br />

Infine, gli straordinari risultati acquisiti dalle ricognizioni<br />

svolte in prossimità del nuraghe e dell’abitato<br />

di Sirimagus (a sud di Carbonia) in cui è stato recuperato<br />

materiale nuragico (spiane, tegami, scodellini,<br />

boccali con ansa a gomito rovescio, olle,<br />

dolii) assieme a numerose ceramiche fenicie<br />

(anfore, bacini, tripodi, situle, lucerne, coking pots)<br />

datate dal VII alla metà del VI sec. a.C..<br />

Questi dati, afferma Finocchi: (FINOCCHI 2005).<br />

In breve, al termine di questo lungo viaggio attraverso<br />

le citate, brillanti e storiche intuizioni archeologiche,<br />

la conclusione più semplice che ne può<br />

scaturire, è quella che escluderebbe di fatto l’utilizzo<br />

della parola “conclusione”; lungi dall’essere<br />

conclusa è infatti una storia degli studi in progressivo<br />

sviluppo, verso conferme o rettifiche di tesi<br />

proposte nel tempo.<br />

In ogni modo, la situazione attuale degli studi, risente<br />

di un tassello mancante di fondamentale<br />

importanza per la comprensione dei rapporti fra<br />

Nuragici e Fenici, ossia la poco approfondita conoscenza<br />

della cultura nuragica nella sua fase finale,<br />

che coincide con l’arrivo dei Fenici in<br />

Sardegna in pianta stabile.<br />

Tuttavia, soprattutto dai numerosi indizi registrati<br />

nella regione sulcitana, in particolar modo dalle<br />

stesse città fenicie sorte in quest’area, si registrano<br />

svariati fenomeni di interrelazione, di interscambio<br />

e di confronto culturale con la componente locale<br />

indigena, prefigurando un periodo di<br />

profondi mutamenti nella Sardegna della prima<br />

metà del I millennio a.C..<br />

Sia pur sfumati nella polemica dell’argomento i toni<br />

più radicali, dovuti ad una tematica di grande complessità,<br />

una conclusione, inconfutabile nelle sue testimonianze<br />

più volte elencate, si può comunque<br />

trarre per quanto riguarda il Sulcis. Essa non potrà<br />

non riflettere come la civiltà fenicia, sin dalle sue<br />

prime manifestazioni nell’isola, si configuri come elemento<br />

di forte coagulazione e di potente richiamo<br />

per le genti protosarde. La nuova componente che<br />

venne a contatto con i Nuragici, ciò nonostante,<br />

non assunse un ruolo predominante nell’isola; la cultura<br />

nuragica, infatti, non si imbatté in armi nemiche<br />

fenicie, bensì in un sistema urbanizzato e socio-economicamente<br />

articolato; le genti nuragiche, sicuramente<br />

quelle sorte nelle coste, accolsero il popolo<br />

levantino e con esso fondarono in certi casi nuove<br />

colonie, collaborando pacificamente, ed entrambe<br />

le parti, volontariamente, s’inglobarono in<br />

un orbita culturale sviluppata e proiettata verso una<br />

società fortemente commista.<br />

Cartagine, intorno alla metà del VI secolo a.C.,<br />

volta ad un vasto programma di predominio politico<br />

ed economico, basato sul controllo e possesso<br />

territoriale, sofferma la sua attenzione<br />

sull’isola nuragica, irrompendo e indirizzando la<br />

propria ostilità soprattutto nei confronti delle città<br />

fenicie.<br />

L’alleanza dei Nuragici e dei Fenici, pur con una<br />

prima precaria vittoria, finì per soccombere nella<br />

successiva spedizione magonide.<br />

Il risultato fu la fine dell’indipendenza e dell’autonomia<br />

dei singoli centri fenici e la trasformazione<br />

in facies locale di deboli reminiscenze di cultura<br />

nuragica.<br />

In conclusione (la vera conclusione), non si può<br />

non notare quanto esigua sia la ricerca in merito<br />

alla fase di passaggio dal periodo che vede la cultura<br />

nuragica in contatto diretto con i centri fenici,<br />

ormai pienamente consolidati, a quello, per l’appunto,<br />

denominato punico.<br />

Ipotesi di lavoro da verificare nell’immediato futuro<br />

di ricerca sono senz’altro indirizzate alla comprensione<br />

delle fasi finali della cultura nuragica.<br />

Si dovrà approfondire, su scala regionale, le situazioni<br />

di interrelazione fra Nuragici e Fenici, riscon-


trate più volte nei centri levantini dell’isola, e spesso<br />

verificati, ma insufficientemente chiariti, in diversi<br />

contesti indigeni; si dovrà, in particolar modo, studiare<br />

il tramonto delle manifestazioni di cultura nuragica<br />

nei periodi successivi alla conquista<br />

cartaginese, che innegabilmente, risultano di problematica<br />

comprensione; si dovrà, infine, dedicarsi<br />

alla comprensione delle cosiddette fasi di passaggio,<br />

affascinanti filoni della ricerca storica ma, purtroppo,<br />

troppo spesso soggette a interpretazioni<br />

prive del limpido dato archeologico oggettivo.<br />

NOTE<br />

1 È da considerare a se stante l’insediamento di Antas ,<br />

in origine santuario nuragico probabilmente intercantonale<br />

e attivo in età precoloniale, che mostra una intensa<br />

frequentazione in età punica e romana, mentre non presenta<br />

tracce di attività cultuali in età fenicia.<br />

2 Tra le componenti va citata quella Etrusca e quella<br />

Greca<br />

3 L’insediamento fenicio di Sulky, individuato nelle sue articolazioni<br />

santuariali (tofet), abitative – artigianali (area<br />

del “Cronicario”) e forse funerarie, mette a disposizione<br />

dati archeologici che riportano all’alba della colonizzazione,<br />

mostrandosi già pienamente strutturato alla fine<br />

dell’VIII secolo a.C. [BARTOLONI 1992b].<br />

Per quanto riguarda l’abitato, va detto che esso non restituisce<br />

tracce evidenti di una presenza protosarda; si<br />

sviluppa, per così dire, in una zona “vuota” sovrapponendosi<br />

ad una fase di occupazione neolitica di cultura<br />

Ozieri.<br />

Tuttavia, un nuraghe complesso sottostante il fortino sabaudo,<br />

posto al di sopra del declivio verso la piana costiera<br />

ove sorse l’abitato fenicio, testimonia che doveva<br />

esistere un villaggio, come testimoniato anche dai resti di<br />

una capanna nuragica e da materiali vascolari del<br />

Bronzo finale, nonché dal rinvenimento di un bronzetto<br />

nuragico rappresentante un muflone riportabile alla<br />

prima età del Ferro, attivo all’originaria presenza organizzata<br />

fenicia (ZUCCA 2003, pp. 205-213; BERNARDINI 1995,<br />

pp. 193-201).<br />

I materiali, quindi, di tradizione nuragica rinvenuti nell’area<br />

del Cronicario, pur associati alla ceramica fenicia<br />

nei livelli dell’abitato arcaico, non attestano fasi di vita<br />

protosarda tra l’età del Bronzo e quella del Ferro stratigraficamente<br />

percepibile (BERNARDINI1997, pp. 59-61); di<br />

converso parlano di stretti contatti, per quanto meno<br />

commerciali, di natura inevitabilmente pacifica, con<br />

l’hinterland nuragico.<br />

4 Ipotesi che l’autore propone un anno dopo la suddetta<br />

pubblicazione (P. BERNARDINI 2001).<br />

5 Le indagini di scavo, iniziate a partire dal 1999, si svolgono<br />

stagionalmente sotto il coordinamento scientifico<br />

di Piero Bartoloni e Paolo Bernardini con la preziosa collaborazone<br />

sul campo di Carla Perra. Approfitto per ringraziare<br />

i suddetti studiosi per avermi concesso<br />

l’opportunità di studiare il materiale fittile di cultura nuragica<br />

proveniente dalla “capanna 2” interessata dalle<br />

campagne di scavo 2004/2005.<br />

AIDU ENTOS 33<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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AIDU ENTOS<br />

ARCHEOLOGIA E BENI CULTURALI<br />

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:<br />

Fausto Ligios<br />

Sassarese, laureato in Scienze Politiche, fotografo e<br />

giornalista professionista, ha lavorato per due anni nella<br />

redazione de Il Quotidiano di Sassari dove è stato<br />

anche responsabile dell’inserto “Sa Chida Sarda”. Presidente<br />

di F/64 Progetto Fotografia, collabora con diversi<br />

periodici isolani.<br />

Stefano Masala<br />

Assegnista di Ricerca presso il Dipartimento di Storia dell’Università<br />

di Sassari. Dottorando all’università di Sassari<br />

con un progetto di ricerca inerente ai cambiamenti<br />

faunistici in Sardegna fra l’Età del Bronzo e del Ferro. Ha<br />

un master in Information Comunication Tecnology per i<br />

Beni culturali. Collabora, in qualità di archeozoologo,<br />

con diverse università Italiane. Attualmente è impegnato<br />

in una ricerca che affronta le problematiche dei<br />

cambiamenti delle faune isolane connessi alle attività<br />

antropiche.<br />

Florinda Corrias<br />

Dottoranda di ricerca in Storia, Letterature e Culture del<br />

Mediterraneo, indirizzo archeologico, Università degli<br />

Studi di Sassari, Dipartimento di Storia, con un progetto<br />

di ricerca sulla ceramica attica a vernice nera di IV secolo<br />

a.C. nel Mediterraneo occidentale. Ha preso<br />

parte a numerose campagne di scavo in Sardegna e<br />

all’estero. Responsabile del laboratorio degli scavi alle<br />

Terme Pallottino, parco archeologico di Porto Torres,<br />

sotto la direzione scientifica del prof. G. Pianu. Dal 2006<br />

collabora con la Soprintendenza per i beni archeologici<br />

delle province di Sassari e Nuoro. È vice presidente<br />

dell’associazione <strong>Aidu</strong> <strong>Entos</strong> e membro del direttivo regionale<br />

dell’Associazione Nazionale Archeologi, sezione<br />

Sardegna.<br />

Giovanna Sanna<br />

Giovanna Sanna si è laureata a Sassari nel 2003 con<br />

una tesi di Archeologia Romana sulla Sardegna in età<br />

vandalica. Presso la stessa università ha conseguito nel<br />

2008 il Dottorato di Ricerca presentando uno studio sul<br />

riutilizzo in età romana, tardo antica e altomedievale<br />

dei monumenti preistorici e protostorici sardi. L’articolo<br />

proposto nasce in seguito alla frequentazione della XIV<br />

scuola estiva di “Ricognizione aerea fotografia digitale<br />

e interpretazione GIS based”, organizzata dall’Università<br />

degli Studi di Siena in collaborazione con English<br />

Heritage e AARG (Aerial Archaeology Research<br />

Group). Attualmente vive e lavora a Torino.<br />

Luca Cheri<br />

Luca Cheri é laureato in Archeologia presso l'Universitá<br />

di Sassari discutendo una tesi dal titolo "I materiali fittili<br />

nuragici della capanna 2 del Nuraghe Sirai - Carbonia”.<br />

Ha partecipato a numerose campagne di scavo in Italia,<br />

Spagna e Tunisia. Attualmente è iscritto al Master in<br />

"Arquelogia y Territorio" presso l'Universitá di Granada<br />

(Spagna).<br />

Carloforte: la porta del castello.<br />

Foto di Fausto Ligios (F/64 Progetto Fotografia).

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