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<strong>Thule</strong><br />

ASSOCIAZIONE CULTURALE<br />

I T A L I A<br />

<br />

12/2005<br />

dic/gen


Difesa della Tradizione<br />

5 Nostra Madre Natura<br />

8 Sole, il 25 dicembre<br />

10 Gli Dei o Archetipi presenti<br />

nella storia e nell’Uomo<br />

Rivoluzione e Tradizione<br />

14 La Via di Shiva, La via di <strong>Thule</strong><br />

16 Liberalismo Agnostico<br />

18 Fenomenologia dell’Ordine<br />

Attualità<br />

24 Per una lettura del mondo<br />

Giovanile<br />

26 Trasporti europei<br />

30 Ds come dissoluzione<br />

Storia e Controstoria<br />

34 Apologia di un Imperatore<br />

38 The Nazi Connection<br />

42 Il primo caduto<br />

della guerra civile<br />

Viaggi e resoconti<br />

46 Diario di Viaggio: Linz di Frida<br />

51 Bellatrix<br />

mensile<br />

anno III<br />

Dicembre/Gennaio 2005-2006<br />

distribuzione gratuita interna<br />

fotocomposto in proprio<br />

progetto grafico e copertina<br />

Antonello Molella


thule <strong>italia</strong><br />

editoriale<br />

di Marco Linguardo<br />

Non vi è miglior modo di<br />

aprire questo numero dedicando<br />

l’editoriale ad una figura<br />

di storico verso la quale<br />

occorre portare riconoscenza sia per la<br />

qualità delle Sue opere sia per la coerenza<br />

con le quali ha sostenuto da sempre la<br />

Sua lotta contro le menzogne raccontate<br />

dagli storici “politically correct”.<br />

Studio, passione e lotta che dovrebbero<br />

essere presi da esempio da chiunque e<br />

soprattutto da chi è in <strong>Thule</strong> e con <strong>Thule</strong>.<br />

Vi lascio con le parole di Irving presenti<br />

sulla bandella del Suo libro “La Guerra di<br />

Hitler” edito dalla Settimo Sigillo.<br />

Ho il sospetto che quanti mi criticano lo<br />

facciano non per le cose che ho scritto ma<br />

per quelle che non ho scritto e che loro<br />

avrebbero voluto che io scrivessi.<br />

Così non credo di dovere a chicchessia<br />

delle scuse per aver visto in una nuova<br />

ottica l’uomo Adolf Hitler. L’immagine<br />

che di lui ci è stata data in passato è così<br />

piena di errori dovuti a esigenze propagandistiche,<br />

che qualsiasi studio storico<br />

basato su documenti seri è un passo<br />

avanti. Ritengo di avere con questo libro<br />

“processato” Hitler secondo le regole della<br />

giustizia britannica nella quale vige il<br />

giusto rispetto delle prove. Per questo<br />

motivo ho attentamente analizzato tutte<br />

le fonti delle quali mi sono avvalso. Molte<br />

fonti regolarmente usate da altri storici si<br />

sono rivelate falsità ordite, per più motivi,<br />

a scapito della verità. In una occasione<br />

chiesi ai laboratori giudiziari della città di<br />

Londra di sottoporre ad esame chimico<br />

un “Diario dell’Ammiraglio Canaris” che<br />

mi era stato offerto: risultò dall’esame<br />

della carta e dell’inchiostro, che si trattava<br />

di un documento creato nel dopoguerra.<br />

Non sorprende, in simili circostanze, che il<br />

castello messo in piedi da poco scrupolosi<br />

storici cominci oggi a scricchiolare.<br />

E’ cosa comune attribuire ad Hitler una<br />

colpa di tutto quanto accadde agli ebrei<br />

europei. Ma, cosa pensare, in proposito,<br />

dell’editto “urgente” emanato da Rudolf<br />

Hess, vice del Fueher, in occasione della<br />

vergognosa “Notte dei Cristalli” (primo<br />

degli oltraggi antiebraici incoraggiato<br />

da Joseph Goebels), nel quale si ordinava<br />

“per volontà del massimo livello” di<br />

smettere immediatamente ogni atto di<br />

violenza contro le proprietà ebraiche?<br />

Qualsiasi storico, se avesse avuto per le<br />

mani quel documento, avrebbe chiuso gli<br />

occhi nella speranza che, riapertili, dello<br />

stesso non ci fosse più traccia. E infatti alcuni<br />

documenti sono scomparsi: si tratta<br />

di carte della massima importanza, fatte<br />

scomparire nel dopoguerra durante i processi<br />

di Norimberga.Non mi sorprende<br />

dunque che qualcuno mi abbia definito<br />

un grande rompiscatole: sino a questo<br />

momento, quando si è trattato di scrivere<br />

a proposito di Hitler, tutto “andava bene”,<br />

nessuna menzogna era esagerata, nessuna<br />

leggenda era troppo assurda per essere<br />

creduta e fragorosamente applaudita.<br />

David Irving<br />

Per essere vicini in questo momento allo<br />

Storico David Irving scrivere a: David Irving<br />

— Justizanstalt, Wien-Josefstadt,<br />

Wickenburggasse 18-20, A - 1080 Wien,<br />

AUSTRIA


difesa della tradizione<br />

difesa della tradizione difesa della tradizione


Nostra<br />

Madre<br />

Natura<br />

Il tema dell’ecologia, è da decenni parte del bagaglio<br />

“ideologico” di una tale parte culturale, che si<br />

autodefinisce “ambientalista”, o similare.<br />

Tali gruppi partono da presupposti che nella nostra<br />

weltanschauung non trovano posto, essendo anch’essi<br />

dei sottoprodotti della catena di montaggio del sistema<br />

usurocratico, che ogni tanto si da una riverniciata in<br />

verde per dare una parvenza di “ecologismo”: “Si, siamo<br />

stati cattivucci con la natura però tutto sommato ora<br />

siamo pentiti”, senza logicamente fare nulla di concreto.<br />

Strano caso ma a tale ambientalismo va a braccetto un<br />

pacifismo castrante e l’egualitarismo, quasi a voler far<br />

credere che la Natura sia pacifista o egualitaria, quasi<br />

a voler far credere che tali gruppi o individui siano<br />

gli unici a cui ci si può riferire per vedere dei punti<br />

di riferimento in battaglie che riguardano la lotta<br />

all’inquinamento, alla vivisezione, allo smembramento<br />

delle Sacre Montagne, agli OGM ecc...<br />

NOI, nel combattere il non-rispetto della natura, la<br />

“snaturalizzazione della natura” partiamo da presupposti<br />

diversi. Per noi, la difesa delle realtà biologica animale,<br />

vegetale, minerale, non si discosta dalla difesa delle<br />

realtà umana. Non vediamo la Natura come un bel<br />

quadro raffigurante un paesaggio montano, da<br />

contemplare passivamente e da restaurare ogni tanto.<br />

No, noi abbiamo in mente di rappresentare un nuovo<br />

tipo umano che ritorni al suo ambiente. Che riacquisti<br />

la comunione col territorio, col Suolo natio. Riallacciarsi<br />

alla sintonia con la Nostra Madre Natura, in un rispetto<br />

per i suoi componenti, per le sue differenziazioni,<br />

ma soprattutto riacquistare il contatto con le sue<br />

forze spirituali, e questo è ben lontano dall’ecologia<br />

moderna o ambientalismo che dir si voglia. Si tratta di<br />

staccarsi dalle catene opprimenti del modernismo per<br />

ricon<strong>net</strong>tersi al ciclo naturale.<br />

Il peggior male che ha causato l’industrializzazione<br />

dell’agricoltura europea è stata quella di cancellare<br />

la figura del contadino per far posto a quella<br />

dell’imprenditore agricolo e dei braccianti. Ossia<br />

guadagno ottenuto con i minori costi e i maggior<br />

profitti che si traduce nel non rispettare le leggi naturali<br />

Avatar<br />

e nel lavoro alienato e automico.<br />

Finirono così le osservazioni della Luna, del Sole, delle<br />

Piogge, i migliori meteorologi sono sempre stati i<br />

contadini, e nell’ambiente contadino nascevano quelle<br />

persone che potremo ben definire uomini e donne<br />

con facoltà superiori utilizzate nel favorire piogge,<br />

raccolti, per difendere le semine dagli uccelli e così via,<br />

sono cose che soprattutto in alcune zone delle regioni<br />

meridionali dell’Italia si possono sentire raccontare<br />

come non troppo vecchie se non ancora applicate.<br />

Il Lavoro agricolo era lavoro ciclico e strettamente<br />

correlato ai ritmi naturali, non era pensabile un<br />

agricoltura fuori da questi cicli. Nei tempi antichi il<br />

contadino stringeva due patti, uno con il Cavaliere e<br />

l’altro con la Terra. Inutile dire che oggi chiaramente è<br />

scomparso tutti questo, e non facciamoci abbagliare<br />

dall’ “agricoltura biologica”, nient’altro che un business<br />

(altrimenti non verrebbe pubblicizzata), o un attrazione<br />

turistica, di certo non una realtà di agricoltura<br />

alternativa.<br />

Dobbiamo aspirare e progettare un tipo di relazione<br />

col territorio totalmente differente agli attuali canoni<br />

moderni, ritornare alla Terra in senso materiale ma<br />

soprattutto spirituale, sentire la relazione, lo scambio di<br />

energie, tra noi e la terra, la comunanza, una solidarietà<br />

tra l’Uomo (che è diverso dall’umano) e la Natura. In<br />

quest’ottica si può pensare oltre che un vago “amore<br />

per la natura e gli animali” che in noi è Naturalmente<br />

Innato, a un qualcos’altro, un’ agrosofia che dia i suoi<br />

frutti nella costituzione di nuove realtà agricole e<br />

zootecniche, basate, appunto su quel senso spirituale di<br />

fondo. E’ il primo passo per l’abbattimento del sistema<br />

usurocratico, forme di vita, di convivenza, di comunità<br />

basate sul Lavoro e la Tradizione, e non sul denaro e il<br />

caos.<br />

Bisogna imparare che la natura che ci circonda non sta<br />

qui per essere violata, bisogna comprendere che non ci<br />

facciamo abbagliare dal “serve per salvare vite umane”,<br />

per la nostra visione del mondo nessuna forzatura delle<br />

leggi naturali, nessun sopruso verso di essa, nessun<br />

intervento atto a modificare la natura oltre il limite che


testo della tradizione<br />

essa stessa ci concede, può essere giustificato perché<br />

può “salvare” vite umane. E’ proprio qui che viene<br />

violato il patto, un patto non può essere a senso unico,<br />

non si può prendere senza dare,e anche nel prendere<br />

si deve stare dentro il proprio ruolo di comunanza con<br />

la natura.<br />

Chi giustifica la vivisezione o il taglio delle foreste,<br />

con il fatto che da ciò se ne ricaveranno dei farmaci<br />

non è diverso da chi li giustifica perché da questo se<br />

ne potranno ricavare dei cosmetici, entrambi partono<br />

da presupposti antinaturali ed egoistici. Ecco perché<br />

la nostra visione si incentra in un concetto spirituale,<br />

in una visione antimaterialista, antiumanista, in<br />

contrapposizione all’antropocentrismo che pone come<br />

cardine il poter e dover fare qualunque cosa contro la<br />

natura perché questa “umanità” possa “vivere” o “ vivere<br />

meglio” a discapito degli altri essere viventi. Dobbiamo<br />

imparare anche in questo a non pensare nel senso del<br />

sentimentalismo, non ci si struggi il cuore nel veder<br />

soffrire un cagnolino per poi passare indifferenti di<br />

fronte a una pianta tagliata, un fiore calpestato, chi<br />

ci dice che il mondo vegetale non ha la capacità di<br />

soffrire come il mondo animale? E di certo a muoverci<br />

nella difesa di animali o vegetali non ci muoviamo per<br />

pietismo o per un teosofico “pacifismo”.<br />

Cosa possono fare oggi, gli aderenti all’Associazione<br />

<strong>Thule</strong> che vogliono iniziare a mettere in pratica nella loro<br />

vita questi principi? Innanzitutto darsi una disciplina<br />

ecosofica. A partire da un alimentazione equilibrata, che<br />

dovrà protrarsi al consumo dei prodotti locali, chi vive<br />

in piccole realtà potrà anche attingere da coltivazioni o<br />

allevamenti familiari veramente fuori dai canoni attuali<br />

industriali, l’utilizzo di prodotti di qualsiasi genere il<br />

più possibile naturali. Il tempo libero dovrebbe essere<br />

dedicato all’esplorazione del proprio territorio, alla<br />

conoscenza di questo, e mentre camminate per i vostri<br />

piani, per i vostri monti, nei vostri boschi, respirate a pieni<br />

polmoni e sentite gli odori e le sensazioni che la natura<br />

ci offre, osserviamo i nostri paesaggi e sentiamoli come<br />

vivi, amiamoli nel vero senso della parola, sentiamoci<br />

partecipi di tutto questo, recuperiamo il contatto con<br />

le sue forze spirituali, meditiamo. In questi momenti si<br />

applicano oltre alle fondamentali regole di rispetto<br />

anche il ripristino del senso della sacralità del nostro<br />

Suolo, è questo che dobbiamo sentire dentro di noi.<br />

La natura ci parla, ascoltiamola. Poniamoci di fronte a<br />

quell’albero di quercia e cerchiamo di parlare con lui,<br />

dopo un po’ sentiremo le sue risposte, lo sentiremo<br />

vivo. E quando torneremo in città ci sentiremo diversi<br />

da chi ha passato la giornata nel caos metropolitano,<br />

e anche qui cercheremo di non abbruttire ancor di più,<br />

come fanno gli altri, l’ambiente cittadino.<br />

Dobbiamo comprendere il senso del ritorno alla Terra<br />

nel suo significato più profondo:<br />

Riacquistare la solidarietà con Nostra Madre Natura.<br />

ifesa della tradizion dife


Sole<br />

il 25 dicembre<br />

Nel corso della ricerca di informazioni e documenti riguardanti<br />

le origini pagane del Natale, quello che stupisce<br />

è che la data del 25 dicembre, prima di diventare<br />

celebre come “compleanno di Gesù”, sia stata giorno di<br />

festa per i popoli di culture e religioni molto distanti tra<br />

loro, nel tempo e nello spazio.<br />

Le origini di questi antichi culti vanno ricercate in ciò<br />

che è “principio” della vita sulla terra e che “dal principio”<br />

è stato oggetto di culto e di venerazione: il sole.<br />

Al centro di questo ciclo c’era l’astro che scandiva il ritmo<br />

della giornata, la “stella del mattino” che determinava<br />

i ritmi della fruttificazione e che condizionava tutta la<br />

vita dell’uomo. Per quest’ultimo, temere che il sole non<br />

sorgesse più, vederlo perdere forza d’inverno riducendo<br />

sempre più il suo corso nel cielo, era un’esperienza<br />

tragica che minacciava la sua stessa vita. Perciò, doveva<br />

essere esorcizzata con riti che avessero lo scopo di evitare<br />

che il sole non si innalzasse più o di aiutarlo nel<br />

momento di minor forza.<br />

È proprio partendo da questa considerazione che possiamo<br />

individuare le origini dei rituali e delle feste collegate<br />

al solstizio d’inverno.<br />

Questo giorno 23, è il giorno quando il Sole (dopo essere<br />

apparso nei giorni precedenti nel punto del massimo<br />

declino: in inverno) e apparentemente sembra per<br />

un giorno intero restare fermo in quel punto del cielo, il<br />

giorno dopo, il 24, riprende il suo cammino verso l’alto,<br />

ogni giorno di più, fino al solstizio d’estate dove invece<br />

si verifica il fenomeno inverso In poche parole quello<br />

dell’inverno significava che il sole giunto nella sua fase<br />

piu’ debole come luce e calore, non sprofondava nelle<br />

tenebre dove sembrava precipitare, ma diventava con<br />

la sua vitalita’ “invincibile” (invictus) sulle stesse tenebre,<br />

“rinasceva”, aveva un nuovo “natale”. Appunto il Natale<br />

del Sole invictus.<br />

Il solstizio: Solstitiu(m) significa proprio “sole fermo”. In<br />

Astronomia sono quei due giorni dove il sole si ferma<br />

per invertire il suo moto nel senso della declinazione; è<br />

cioe’ il punto dove raggiunge la massima distanza dal<br />

piano equatoriale.<br />

Per spazzare via il paganesimo la religione Cristiana<br />

Jera<br />

non potendo abolire questa festa pagana che continuamente<br />

celebravano i romani decise di farla coincidere<br />

con la nascita di Cristo. La nascita di Cristo, questa festa<br />

ricordo, in precedenza si celebrava non senza incontrare<br />

molte opposizioni (Origene e Arnobio) il 6 gennaio<br />

(Epifania- che significava l’apparizione, mostrarsi ), fu<br />

spostata nel IV secolo al 25 Dicembre per soppiantare<br />

la festa appunto culturale pagana del “natale del sole<br />

invitto” di Aureliano istituita nel 273<br />

E dato che il Natale significa anche “nascita”, l’operazione<br />

“pulizia pagana” per i sacerdoti del cristianesimo (nel<br />

321) fu molto semplice e divenne la ricorrenza che tutti<br />

oggi conosciamo.<br />

Il sole, il simbolo portatore della vita in genere: MITHRA<br />

era il dio mesopotamico del Sole gia’ nel 1400 a.C. Lo si<br />

festeggiava proprio il 25 Dicembre, con la festa del son<br />

(vocabolo babilonese) invictis.<br />

Nel culto del dio persiano, Mithra (in babilonese chiamato<br />

anche Bel) era del resto considerato il figlio del<br />

dio supremo: figlio del Sole e Sole egli stesso.<br />

Componenti essenziali della religione di Mithra era la<br />

salute dell’anima e l’immortalità; una dottrina legata<br />

alle idee di salvezza, di purificazione, di immortalità<br />

dopo la morte e dopo la fine del mondo.<br />

Il culto conosceva un battesimo, e una specie di pasto<br />

sacro, consistente in pane, acqua e vino, e parimenti a ricordo<br />

dell’ultimo pasto (ultima cena?) del maestro, Mithra<br />

dopo averlo consumato come atto sacrificale, salì<br />

al cielo portato dal carro del Sole per unirsi al Sole Nelle<br />

tradizioni e ritualita’ della festa del Sole troviamo anche<br />

molte altre cose in comune con il cristianesimo che<br />

certamente mutuò da entrambi i due paesi citati sopra.<br />

Sia nei riti, vedi il battesimo, il pasto sacro dove MITHRA<br />

dopo averlo consumato salì al cielo col carro del Sole;<br />

poi ritroviamo il banco di pietra davanti l’abside, l’altare<br />

dove veniva esposto il disco solare; e ritroviamo l’ascesa<br />

al cielo per gli eletti cui veniva garantita alla morte<br />

-se bevevano la bevanda dell’immortalità- l’ascesa<br />

verso le sette sfere pla<strong>net</strong>arie trasportati dal carro del<br />

Sole. Altro sibolo le Natale: l’albero è un culto di tutte<br />

le religioni arcaiche; è l’albero cosmico della mitologia


germanica (Yggdrasil, e la tradizione odierna riparte<br />

proprio dai germani), l’albero dei Veda (Asbvatta), l’albero<br />

della Vita che Dio stesso mette a dimora nel Paradiso<br />

(e da non confondersi con quello della conoscenza<br />

- Genesi II-27); è l’albero (babilonese) dei frutti , l’albero<br />

dove i primi popoli primitivi (in oriente rappresentava<br />

il risveglio della natura) osservarono proprio alla rinascita<br />

del sole solstiziale le gemme e il contemporaneo<br />

collegamento misterioso della crescenza delle stesse, e<br />

ne hanno fatto poi -nella fantasia delle varie religioni<br />

come abbiamo visto sopra.La concezione della consacrazione<br />

( = dal-sacrificio) era un rituale presente in<br />

tutti i riti arcaici delle antiche religione politeistiche,<br />

monoteistiche e anche dei riti pagani più lontani nel<br />

tempo, ed era concepita -l’offerta sacrificale e la distribuzione<br />

ai presenti- come portatrice di speciali forze<br />

che andavano ad agire sui presenti sacrificanti, e per<br />

questo chiamata “communio” (cioè dividere una cosa<br />

con altri - e la cena, il pasto o la semplice assunzione di<br />

un frammento dell’oggetto del sacrificio, era il rito per<br />

ricevere le speciali forze)<br />

L’accostamento al Sole Mithra non era del resto casuale.<br />

Giovanni nel Nuovo Testamento affermava “...in Lui<br />

era la vita e la vita era la Luce, la luce che splende nelle<br />

tenebre, la Luce vera che illumina ogni uomo” (Giovanni<br />

1,4-5 e 9).<br />

Tertulliano che scrisse su quasi tutti i problemi che agitavano<br />

la Chiesa del tempo, e che coniò molti concetti<br />

che dovevano poi essere alla base della dottrina della<br />

Trinità e della cristologia, scriveva “...ritengono che il<br />

Dio cristiano sia il Sole perchè è un fatto notorio che<br />

noi preghiamo orientati verso il Sole che sorge e che<br />

nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia, a dir il vero per<br />

una ragione del tutto diversa dall’adorazione del Sole”<br />

(Tertulliano, Ad Nationes I, 13).<br />

La coincidenza con il solstizio d’inverno fece sì che<br />

molte usanze solstiziali, non incompatibili con il cristianesimo,<br />

venissero recepite nella tradizione popolare.<br />

D’altronde non si trattava di una sovrapposizione<br />

infondata, perché fin dall’Antico Testamento Gesù era<br />

preannunciato dai profeti come Luce e Sole. Malachia<br />

testo della tradizione<br />

lo chiamava addirittura “Sole di giustizia”.<br />

Insomma nel IV e V secolo, molti cristiani erano attirati<br />

da queste feste spettacolari e la Chiesa romana, preoccupata<br />

dalla straordinaria diffusione dei culti solari e<br />

soprattutto dal mithraismo, che con la sua morale e<br />

spiritualità, non dissimile dal cristianesimo poteva frenare<br />

se non arrestare la diffusione del vangelo, pensò di<br />

celebrare nello stesso giorno del Natale del Sole (Sole<br />

Invictus) il Natale del Cristo, come vero Sole. Sostituire<br />

cioè la “grande festa” del Sole. Ancora l’ostensorio della<br />

liturgia cristiana, contrariamente a quello che si pensa<br />

non prese il nome dall’ostia, ma l’incontrario. Si chiamava<br />

ostensorio un millennio prima di Cristo; ostiare<br />

corrispondeva a un etimo egizio (e si traslò anche nel<br />

latino) e significava mostrare, fare vedere; cioè mostrare<br />

il disco solare ai fedeli; la liturgia cristiana conservò<br />

anche l’abbassamento del capo, perchè nei primi riti<br />

di Aton all’aperto, non era una proibizione guardare<br />

il sole, ma era solo un accorgimento, perchè fissando il<br />

sole si rischia di perdere la vista. Nei successivi riti trasferiti<br />

all’interno dei templi i sacerdoti di Aton ricorsero<br />

a un disco d’oro con i raggi attorno; appunto l’ostensorio,<br />

elevato in alto (elevazione) ma l’abitudine di chinare<br />

il capo rimase, e fu poi successivamente, insieme<br />

all’oggetto, traslato anche nel rito cristiano.<br />

Ostiare - significa infatti “mostrare” la vittima del sacrificio,<br />

ed era la primordiale barbara scena e costumanza<br />

nel sacrificare alle divinità i nemici presi in guerra e<br />

“mostrarli” al popolo. Il vocabolo rimase anche nell’antico<br />

latino; ma il Senato di Roma abolì questa “ostensione”<br />

fin dal 657 a.C., ritenendola una usanza indegna di<br />

un popolo civile.<br />

ifesa della tradizion dife


Gli Dei<br />

o archetipi<br />

presenti nella storia<br />

e nell’Uomo Giorgio<br />

Un alchimista contemporaneo considera gli archetipi,<br />

ovvero i campi energetici emanati dal Principio, come<br />

dèi, cioè figure plastiche suggestive e soggettive che<br />

ogni operatore può scoprire e verificare concretamente:<br />

questo, sulla base che dietro ogni evento di natura<br />

metafisica si rivela, si manifesta un potere chiaramente<br />

contraddistinto. Poiché gli dèi sono presenti nella natura<br />

come forme o modi d’essere del divino, essi sono<br />

‘vivi’ anche nella storia dell’umanità per svolgervi un<br />

ruolo fondamentale, sia a livello individuale che collettivo.<br />

Essi sono determinanti, infatti, per l’affermazione<br />

di certi significati etici, filosofici, religiosi, politici, artistici:<br />

ogni divinità associa tali valori alla sua caratteristica<br />

specifica e pertanto i sistemi culturali e morali variano,<br />

nel corso della storia, col variare degli archetipi o dei<br />

predominanti, in un determinato periodo storico, nell’inconscio<br />

collettivo e quindi nella società..<br />

In ogni periodo, infatti, sono presenti più dèi in posizione<br />

di protagonisti, altri sono in stato di quiescenza<br />

o ricoprono ruoli di secondo piano (in sordina), altri ancora<br />

sono in opposizione ai primi. Tutti gli dei ed i loro<br />

valori, poco o tanto, prima o poi, agiscono comunque<br />

da dietro le quinte del collettivo umano, in un via vai<br />

di ampio respiro nel corso dei secoli. Funzionalmente<br />

un dio chiama altri dei, gli uni come alleati, gli altri<br />

come avversari, come una nota musicale porta sempre<br />

le sue risonanze . Dato che i pregi e i difetti degli dei<br />

sono onnipresenti, anzi onnipotenti, i fenomeni storici<br />

vanno studiati sotto questo profilo, con un’ottica molto<br />

diversa dalla comune. Difatti uomini e popoli sono condizionati<br />

dagli dei, come i soldatini di piombo o le mario<strong>net</strong>te<br />

nel gioco dai bambini. Come gli individui, così<br />

i collettivi sono ge<strong>net</strong>icamente connotati ad una specifica<br />

divinità che – nel caso di un popolo – è definita lo<br />

spirito della razza; tale ‘divinità’ a volte risulta vincente e<br />

a volte perdente nel corso delle vicende storiche delle<br />

nazioni. La finalità di ogni popolo, di ogni nazione, è la<br />

propria conservazione o affermazione; tali finalità sono<br />

associate a quelle del dio che caratterizza tale struttura<br />

sociale e in essa si realizza. In genere una nazione si<br />

alimenta d’immagini mitiche che recepisce e subisce e<br />

Sangiorgio<br />

che ne rivelano la dipendenza da un dio, piuttosto che<br />

da un altro. Il dio egemone di un dato popolo tende<br />

ad espandere la propria influenza, il proprio potere, a<br />

scapito degli dei di altri popoli. Quando il dio trainante<br />

è perdente, viene meno anche il senso d’identità nazionale,<br />

con la conseguenza che la nazione di riferimento<br />

è soggiogata e in seguito scompare, assorbita da altre.<br />

Si può citare come esempio il primo caso documentato<br />

dalla storia e cioè la dea madre dei popoli matriarcali<br />

del Mediterraneo, soppiantata dalla divinità patriarcale<br />

e solare dei popoli indoeuropei.<br />

La finalità dell’iniziato è quella della trascendenza dell’IO,<br />

dell’espansione della coscienza, ma è contrastata<br />

dalla finalità delle strutture sociali collettive, strumenti<br />

e riflessi automatici degli dei,. La logica collettiva tende<br />

alla massificazione, a sussistere come tale e a perseguire<br />

le proprie dinamiche.. In questo ingranaggio si trovano<br />

presi gli individui, anche i personaggi emergenti<br />

della storia, che perdono così la loro libertà di azione. Il<br />

collettivo tende inesorabile ad uniformare, ad adattare<br />

alla sua chiave di lettura il singolo, fagocitato dagli dei<br />

a loro uso e consumo.<br />

Il compito dell’iniziato è riscattarsi da tale stato di sudditanza,<br />

anzi, servirsi degli dei egemoni e trainanti di<br />

ogni periodo storico per elaborare strategie vincenti,<br />

utilizzandone la spinta travolgente. Ciò è possibile solo<br />

se si sviluppa la capacità di vedere, o meglio prevedere,<br />

gli dei nella loro azione che segue un meccanismo circolare,<br />

composto da spinte e rallentamenti, da fasi positive<br />

e fasi negative, da associazioni con dati archetipi<br />

e contrapposizioni con altri, che si ripetono sempre, sia<br />

nel collettivo che nel singolo.<br />

Un iniziato del secolo scorso ha paragonato questo<br />

meccanismo all’ottava musicale, dove la progressione<br />

vibratoria si sviluppa con cinque intervalli lunghi e due<br />

intervalli più rallentati, uno tra la nota MI e la nota FA<br />

ed un altro tra la nota SI e la nota DO dell’ottava superiore.<br />

In quest’ottica ogni attività umana, trascinata<br />

dagli archetipi, non procede mai in una direzione retta,<br />

verso un traguardo prefissato o verso un certo progresso,<br />

ma in concomitanza con i due rallentamenti di


1 Giammaria, Inter nos dii, La presenza<br />

degli dei, Bergamo, Edizioni Riccardo,<br />

1998, pgg. 15 e sg.<br />

2 L’’assenza di dèi’ nella dottrina cristiana<br />

– in generale nelle religioni<br />

ove prevale il monoteismo – è puramente<br />

apparente. L’attribuzione<br />

di qualità psichiche e morali che siano,<br />

in qualche modo, affini a quelle<br />

umane la ritroviamo non solo negli<br />

dèi del pantheon politeistico, ma<br />

anche nel monoteismo giudaico-cristiano<br />

e nell’islamismo. La differenza<br />

sul piano ontologico si caratterizza,<br />

semmai, tra la concezione teistica,<br />

per cui Dio è considerato come<br />

assoluto trascendente distinto dal<br />

mondo finito, e quella panteistica,<br />

in cui Dio lo si considera invece<br />

quale Principio interiore del mondo,<br />

immanente ad esso. Sul piano psicologico,<br />

ad esempio, il cristianesimo<br />

(come l’ebraismo e l’islamismo) ha<br />

i suoi ‘dèi’, che trovano riscontro nel<br />

pantheon (piuttosto affollato) dei<br />

vari santi, beati, ecc.<br />

3 P.D. Ouspensky, Frammenti di un<br />

insegnamento sconosciuto – La testimonianza<br />

di otto anni di lavoro<br />

come discepolo di G.I. Gurdjieff,<br />

Roma, Edizioni Astrolabio Ubaldini,<br />

1976.<br />

4 Giammaria, Inter nos dii, op. cit., pgg.<br />

34-35.<br />

ifesa della tradizione<br />

tono perde inevitabilmente il suo slancio, devia e torna<br />

gradualmente al punto di partenza. Ciò è in analogia<br />

con il comportamento della luce che, contrariamente<br />

alle apparenze, non ha una direzione rettilinea, ma<br />

curva. Pertanto l’operatore alchimico deve essere in<br />

grado di produrre al momento opportuno uno shock<br />

o un surplus di energia, tale da superare le stasi critiche<br />

e completare le proprie operazioni, supportate dagli<br />

archetipi. In questa logica la trasformazione spirituale<br />

dei collettivi è destinata al fallimento, come dimostrato<br />

dalla pervicace ignoranza e brutalità dell’umanità. La<br />

trasformazione individuale, soprattutto all’inizio, può<br />

essere facilitata all’interno di piccoli gruppi di iniziati,<br />

se questi diventano come delle dinamo - campi energetici<br />

complessi e modulati con una tempistica accorta<br />

- capaci di provocare nel singolo gli shock necessari.<br />

Per conoscere meglio il comportamento degli dèi nel<br />

collettivo si associano di seguito alcuni avvenimenti<br />

dei secoli scorsi all’influenza di determinate divinità o<br />

archetipi, così come suggerito dall’alchimista precedentemente<br />

citato .<br />

testo della tradizione<br />

Impero Romano Giove Apollo Marte<br />

Cristianesimo Dioniso<br />

Impero d’Oriente Saturno<br />

Calata dei barbari Marte<br />

Impero di Carlo Magno Apollo Marte<br />

Papato Saturno<br />

Comuni Mercurio<br />

Signorie Minerva Venere<br />

Umanesimo Mercurio<br />

Islam Diana<br />

Protestantesimo Minerva Mercurio<br />

Controriforma Saturno<br />

Illuminismo Minerva Giunone<br />

Conquiste del Nuovo Mondo Marte<br />

Colonizzazioni Giunone<br />

Esplorazioni Mercurio Minerva<br />

Positivismo dell’800 Minerva Giove<br />

Rivoluzione industriale Vulcano<br />

Rivoluzioni politiche artistiche Dioniso<br />

La Grande Guerra Giunone Minerva Vulcano<br />

contro Apollo Marte Venere<br />

Comunismo Saturno<br />

II Guerra Mondiale Giunone Minerva Vulcano<br />

contro Marte Diana Apollo<br />

Sionismo Saturno<br />

Caduta dei regimi comunisti Mercurio Venere<br />

Integralismo islamico Diana e Marte<br />

Droga musica rock ecologismo Pan<br />

Unificazione politica europea Apollo Giove Giunone<br />

Mercato globale Mercurio Vulcano<br />

Smascherare gli dei in azione ed allinearsi alle loro dinamiche<br />

non significa affatto essere rivoluzionari in<br />

tempo di rivoluzione o reazionari in tempo di reazione,<br />

come una banderuola, ma muoversi con fare distaccato<br />

sullo stesso piano degli archetipi. L’iniziato giostra fra le<br />

loro istanze contrastanti e, quasi cavalcandole, ne sfrutta<br />

l’energia illimitata senza esserne distrutto. Cerca, in<br />

pratica, di trovarsi nel punto d’incontro e compensazione<br />

delle forze circolanti contrapposte, nel punto dove si<br />

reintegra il “principio” nel suo aspetto totale. È il punto<br />

dove ad esempio i sette colori, addizionati tutti insieme,<br />

formano il bianco della luce assoluta. Si consideri poi<br />

che ogni dio ha il suo aspetto positivo ed il suo aspetto<br />

negativo e che, quando viene meno, deve farsi tesoro<br />

di quanto abbia portato di buono nell’ordine politico<br />

e culturale. Invece il collettivo tende a rimuovere e a<br />

demonizzare gli dei caduti in disgrazia in un dato periodo,<br />

senza capire che un dio rimosso è un emporio<br />

di potenza terribile che si scarica tragicamente in un<br />

periodo successivo. Nella storia dell’arte è interessante<br />

vedere quali canoni estetici siano stati supportati dalle<br />

divinità egemoni nel collettivo, sempre secondo il già<br />

citato testo.<br />

Classico Apollo Statuario<br />

Romanico Saturno Massiccio<br />

Moresco Diana Floreale<br />

Gotico Mercurio Slanciato<br />

Barocco Venere Fantasioso<br />

Neoclassico Apollo Misurato<br />

Romantico Saturno Intimistico<br />

Floreale Diana Ornamentale<br />

Impressionista Mercurio Individualistico<br />

Espressionista Venere Spontaneo<br />

Dadaista Dioniso Dissacratorio<br />

Cubista Mercurio Sintetico<br />

Novecento Minerva Razionale<br />

Fascista Apollo Puro<br />

Moderno Pan Informale


ivoluzione e tradizione<br />

rivoluzione e tradizione rivoluzione e tradizione


La Via<br />

di Shiva,<br />

La Via<br />

di <strong>Thule</strong> Ans<br />

Le radici di una differenza<br />

Quali sono i principi e le prassi che rendono la <strong>Thule</strong><br />

una associazione radicalmente differenziata rispetto a<br />

quasi tutte le realtà antagoniste, siano esse di estrema<br />

sinistra, di destra radicale, o di ispirazione ecologica o<br />

animalista ? Partire innanzi tutto da considerazioni veramente<br />

meta politiche e meta storiche, fuori dalle congiunture<br />

e dalle contingenze economiche e sociali.<br />

Prendiamo atto che la via della rinascita passa attraverso<br />

la distruzione - la distruzione è l’opera al nero - che<br />

il sistema in cui viviamo sta preparando. L’enorme catarsi<br />

di una implosione inevitabile. Nonché, secondo il<br />

principio eterno dell’amor fati¸ un implosione giusta e<br />

meritata.<br />

Il risveglio di chi si accosta alla <strong>Thule</strong> è l’apertura del<br />

Terzo Occhio di Shiva e l’avvio della catarsi che porterà<br />

alla nascita della nuova era.<br />

Un prussianesimo nell’era<br />

della ciber<strong>net</strong>ica<br />

La <strong>Thule</strong> non sbandiera al vento formule economiche<br />

desuete (assistenzialismo, statalizzazione, proletarismo,<br />

lotta di classe, ecc.), non propone scioperi generali, o<br />

volantinaggi contro la legge finanziaria; non vuole stipendi<br />

garantiti di stile sovietico. La <strong>Thule</strong> rifiuta qualsiasi<br />

scappatoia riformista al sistema borghese/industriale.<br />

Le fabbriche e i supermarket, nel futuro prossimo,<br />

saranno cattedrali in un deserto di rovine. L’economia<br />

europea infatti, potrebbe non riprendersi mai più, la<br />

natura potrebbe continuare a ribellarsi, come ha fatto<br />

a in Tailandia o a New Orleans più di recente; gli scontri<br />

inter etnici potrebbero divenire endemici e il troppo<br />

kebab cominceremmo a pagarlo in termini di vite<br />

umane.<br />

No!<br />

La <strong>Thule</strong> vuole che il futuro dell’uomo europeo sia un<br />

ritorno consapevole alle proprie origini: agricole, guerriere,<br />

etniche, spirituali. Molti, ma non tutti, potranno<br />

trovare il proprio posto nella comunità organica che<br />

nascerà dalle rovine del mondo post moderno, il giorno<br />

non lontano, che il sistema imploderà.<br />

Ma per arrivare a creare una schiera di risvegliati in grado<br />

di far prevalere il proprio ideale/progetto di civiltà<br />

è necessario raggiungere una condizione spirituale<br />

superiore, che plasmi l’interiorità dei soldati politici del<br />

presente millennio. Questi non nascono “esistenzialmente”<br />

come i loro bisnonni dalle trincee dalla guerra<br />

mondiale, ma stanno forgiando la loro volontà nelle<br />

distese intasate della rete, tra le masse di chip e pixel,<br />

arrivando a dominare la sostanza sotterranea e ctonia<br />

dell’ultra tecnologia. Lo stile cyber punk di Gibson incontra<br />

il soldato di prima linea Junger. Saranno i soldati<br />

di un fronte invisibile, che si snoda nelle piazze, nei<br />

posti di lavoro, nelle scuole ma non solo; non ci saranno<br />

forum, sito, blog o quant’altro che possano sfuggire a<br />

questo fronte invisibile dove il nostro eterno soldato<br />

politico combatterà la sua battaglia, in quella solitudine<br />

agghiacciante, che solo questo odioso sistema poteva<br />

attuare. Il nostro soldato sarà quindi abbandonato<br />

- non dalla <strong>Thule</strong>, che è in primo luogo un mito senza<br />

tempo e in secondo luogo un Ordine guerriero rinato<br />

hic et nunc, -e dovrà risolvere in sé stesso i conflitti interiori<br />

per poi poter riversare la propria rabbia contro<br />

un mondo che non può riconoscere come suo. Questo<br />

fintanto che il sistema, con il suo corollario tecnologico,<br />

durerà. Poi sarà ora di battersi nel corpo a corpo che da<br />

millenni forma le aristocrazie guerriere. Vinta la guerra<br />

spirituale nella solitudine delle distese ciber<strong>net</strong>iche del<br />

sistema il nostro soldato dovrà vincere la guerra materiale<br />

nel mondo del caos scatenato che seguirà al crollo<br />

della presente civilizzazione. Una rivolta silenziosa, una<br />

profonda ribellione Per questo la <strong>Thule</strong> sta preparando<br />

un lavoro di preparazione, di controinformazione,<br />

esoterico se vogliamo. Non stiamo cercando infatti le<br />

masse oceaniche, ma persone che rifiutino il sistema e<br />

la società del nulla una volta per tutte. Chi non si ritrova<br />

nell’egualitarismo, nel consumismo e non vuole che la<br />

propria vita sia sacrificata dalla demonia del lavoro – il<br />

tanto attuale vivere per lavorare – ha mosso il primo<br />

passo per la costruzione di un nuovo progetto di “oltre<br />

umana” civiltà.


ivoluzione e tradiz<br />

testo della tradizione


Liberalismo<br />

Agnostico<br />

e diritto nei rapporti<br />

tra etica e ge<strong>net</strong>ica,<br />

tra vita e morte<br />

Una civiltà non è tale se non ha presente a se stessa,<br />

come fondamento proprio, una concezione, una definizione<br />

univoca della vita ed una consequenziale concezione<br />

della morte. La presente epoca, caratterizzata<br />

da una travolgente avanzata del potere tecnologico, figlio<br />

della ragione calcolante, pone dei tremendi dilemmi…che<br />

noi, puntualmente, eludiamo, a cui sfuggiamo,<br />

delegando alla filosofia tautologica della tecnica, le risposte<br />

che non vogliamo o non possiamo più dare. Che<br />

cos’è la vita? E che cos’è la morte? Le due realtà esperienziali<br />

sono, com’è noto, correlate. L’uomo moderno<br />

ha paura dell’una e dell’altra! Noi possediamo, però, la<br />

convinzione che se non si affronta il tema dell’origine e<br />

cioè dall’affermazione cartesiana dell’uomo-macchina,<br />

dalla teoria dualistica della “res cogitans” da una parte<br />

e della “res extensa” dall’altra, dalla effettuale concezione<br />

meccanicistica della vita stessa, non si comprende<br />

quello che sta avvenendo, per la semplice ragione che<br />

le vicende del mondo umano sono comprensibili solo<br />

se sono poste in termini filosofici e cioè come considerazione<br />

pensante dei fatti (Hegel). E tali “fatti” sono<br />

le teorie del meccanicismo dei corpi pesanti e degli<br />

spazi vuoti della vecchia fisica newtoniana e cartesiana<br />

che, per altro, l’ultima fisica dei quanti, con l’intuizione<br />

dei campi gravitazionali, che richiamano la “chòra”<br />

platonica, quale matrice da cui provengono le forme,<br />

smentisce, dimostrando, invece, paradossalmente, che<br />

la materia non esiste (J. Guitton, Dio e la scienza, Milano<br />

2001). Secondo la visione tradizionale e religiosa di<br />

tutte le culture, il macrocosmo ed il microcosmo sono<br />

simili e l’uno e l’altro si strutturano, come confermano<br />

la fisica delle particelle nonché la biochimica, in livelli e<br />

insiemi di conoscibilità differenti, ognuno con il proprio<br />

Giandomenico Casalino<br />

linguaggio e sistema, correlati, però, in un complesso<br />

insiemistica organico, che per noi resta un “quid est”. Il<br />

microcosmo, quindi, anche e soprattutto, quello umano,<br />

è un Tutto, non una somma di parti, non una “”<br />

cioè, come la definisce Aristotele, “un impensabile accatastamento<br />

di legname senza forma”. Sono realtà, per<br />

l’appunto, organiche, solistiche ed unitarie, tendono all’Uno,<br />

vengono da Esso e tornano, tendendovi, ad Esso.<br />

In tale contesto culturale la vita, quindi, deve essere<br />

riconsiderata e riconosciuta come fenomeno complesso,<br />

formale, ideale, sacro, “noi siamo immersi nell’Anima<br />

come la rete nel mare” dice Plotino, per cui non vi è solo<br />

una definizione “cerebrale” o solo “cardiaca” o solo “simpatetico-vegetativo”<br />

della vita (come della morte) che è<br />

tutto ciò insieme ed Altro, cioè Pensiero, Progetto, Intelligenza,<br />

Emozioni, Passioni, Appetiti, come confermano<br />

la micro-biologia e la ge<strong>net</strong>ica comparata, la memoria<br />

della cellula, la funzione del DNA e la sua forma a spirale<br />

come le galassie o…il labirinto! Unitariamente, in<br />

guisa funzionale all’entelècheia, dice Aristotele, alla finalità,<br />

alla virtualità di un soggetto, di un ente, il quale<br />

diviene ciò che è. Esempio di tale verità possono essere<br />

tanto il seme dell’albero quanto l’embrione umano, i<br />

quali in potenza sono ciò che sono già in atto! Allora la<br />

morte è la scomposizione del composto, la disarmonica<br />

rottura dell’armonico, cioè la mia morte, la fine del mio<br />

organismo e quindi…si entra in un’altra dimensione altrettanto<br />

santa, cioè “sancita”, difesa, sanzionata; come ci<br />

insegna, per l’appunto, il Diritto Romano:”Proprie dicimus<br />

sanctae quae neque sacrae neque profanae sunt,<br />

sed quidam sancitone confirmatae” (Ulpiano, Digesto).<br />

Se noi, oggi, dimentichiamo ciò che ha differenziato<br />

sempre l’uomo dalla bestia, cioè il culto religioso del<br />

morto, effettuale testimonianza antropologica della<br />

consapevolezza della Soglia, in conseguenza per tale<br />

cultura diviene “normale” considerare, guardare il morto<br />

come semplice carcassa, quasi autoveicolo in disuso,<br />

dal quale prelevare i pezzi occorrenti al ricambio di cui<br />

necessitano gli altri uomini-macchina non ancora in disuso,<br />

cioè in movimento. Dietro il falso umanitarismo<br />

della cultura dell’espianto e del criterio a dir poco spa-


ivoluzione e tradiz<br />

ventoso del cosiddetto silenzio-assenso, su cui è fondata<br />

la normativa vigente in subiecta materia, è inutile<br />

nascondercelo, vi è questa concezione, questa convinzione<br />

che ora, in virtù della prassi tecnologica, trova la<br />

possibilità di attuarsi nel modo più mostruoso, anche<br />

se con la faccia dolce e pelosa del cosiddetto progresso…Che<br />

fare? Noi osiamo dire che non dobbiamo fare,<br />

bensì è necessario tentare di ritornare a pensare! Pensare<br />

al fatto storico che il meccanicismo filosofico si è coniugato<br />

perfettamente con il razionalismo efficientista<br />

del cosiddetto mercato, ed allora ecco la legittimazione<br />

della mostruosa realtà del traffico degli organi, ecco<br />

che se l’essere vivente è una “macchina” ed il profitto<br />

testo della tradizione<br />

(valore assoluto, anzi l’unico assoluto in un mondo di<br />

relativi...) reclama i suoi diritti, definiti metafisicamente<br />

“prioritari”, allora perché non deve essere lecito “fermare”<br />

questa “macchina” onde prelevare ciò che occorre al<br />

fine di lucro, senza attendere la sua “fermata naturale”?<br />

E se non esiste una definizione clinica univoca della<br />

morte, dato il relativismo gnoseologico imperante, allora<br />

ogni operatore del settore, ogni medico deciderà<br />

ed agirà secondo la propria convinzione e/o cognizione<br />

culturale; deciderà che anche e soprattutto “a cuore<br />

battente”, a temperatura corporea normale (ma ad elettroencefalogramma<br />

piatto…) e cioè sulla persona vi-<br />

vente è “lecito” prelevare organi utili, uccidendo di fatto<br />

e ciò nella totale e paurosa agnostica indifferenza della<br />

comunità e dell’ordinamento giuridico. In una parola, si<br />

deve prendere coscienza che tale problematica, insieme<br />

a quella della cosiddetta ingegneria ge<strong>net</strong>ica (e già<br />

il termine “ingegneria” la dice lunga sulla cultura retrostante),<br />

è figlia della forma mentale dell’epoca presente,<br />

definibile, in una parola, la reificazionedel soggetto<br />

umano a cui corrisponde sostanzialmente la personificazione<br />

dell’oggetto, della “res”, cioè della tecnica che,<br />

quasi come se fosse la metafisica dei tempi ultimi, da<br />

mezzo quale appariva essere diviene fine e come tale<br />

viene riconosciuta e “venerata”…Davanti a tale consolidata<br />

e tirannica “razionalità”, congetturare in termini<br />

solo giuridico-politici senza tematizzare la convinzione<br />

fondata sulla necessità dell’attuazione di un’autentica<br />

rivoluzione culturale, cioè una radicale inversione (che<br />

sarebbe rettificazione) della forma mentis dell’uomo<br />

della presente età, appare stupido ed impotente proprio<br />

in termini di filosofia della prassi. Sono sempre gli<br />

uomini, finchè sono tali, che “costruiscono” le civiltà: e<br />

sugli stessi, anzi nelle loro anime è necessario scrivere,<br />

nello stesso polittico modo in cui ce l’ha insegnato Platone!


Fenomenologia<br />

dell’Ordine<br />

Quando un raggruppamento umano si costituisce, non<br />

per mero interesse economico o pragmatistico che sia,<br />

è perché un’idealità comune caratterizza tutti i suoi<br />

componenti, perché, nel caso di raggruppamento tradizionale<br />

come <strong>Thule</strong>, vi è un superiore orientamento,<br />

un centro anagogico che lo differenzia. Come nella Politeia<br />

Platonica, un’identità deve contraddistinguere<br />

Idea Trascendente, Comunità e singolo componente<br />

della stessa: ogni elemento, gerarchicamente investito,<br />

deve essere lo specchio di ciò che vi è in Alto, come di<br />

ciò che vi in Basso. Platone poneva come collante della<br />

Politeia l’aretè della Giustizia, intesa come Ordine, come<br />

aderenza al Divino che da forma al manifestato, che trasmuta<br />

l’informe nella polis, come nel cittadino, che in<br />

entrambi infonde il senso del Sacro, del giusto agire,<br />

della natura propria. Se dal dopoguerra in poi sempre<br />

più vane ed illusorie si sono palesate le esperienze movimentistiche,<br />

le agitazioni per la pura azione materializzata<br />

ispirate da un confuso misticismo, se non addirittura<br />

da uno spurio idealismo, obbligata ai nostri occhi<br />

si manifesta la strada da seguire, quella dell’INTRANSI-<br />

GENZA dell’IDEA, quella dell’Ordine e non del movimento,<br />

come organizzazione ferrea, quasi militare, che<br />

non concede giustificazioni, né cedimenti, né ammiccamenti<br />

alla sovversione. Esamineremo l’idea di Ordine,<br />

quindi, prima in relazione alla dimensione comunitaria,<br />

per, poi, trasporla in quella individuale, per accennare,<br />

infine, come spunto aristocratico, a quella che è la concezione<br />

esoterico-iniziatica della medesima idea. Riteniamo,<br />

pertanto, fondamentale qualificare la radicale<br />

differenza tra ciò che è un movimento, un comune centro<br />

di aggregazione, da ciò che deve essere ed è sempre<br />

stato un Ordine: se il primo si realizza come coincidenza<br />

degli interessi, delle opinioni dei singoli, come<br />

forma contrattualistica di coesistenza, il secondo pone<br />

una visione ontologica come riferimento primo e prioritario,<br />

come Centro e come Vertice, a cui la “società di<br />

uomini” ed il singolo aderente devono conformarsi organicamente.<br />

L’Ordine deve, in tale ottica, essere rappresentazione<br />

e bastione difensivo di una Weltanschauung,<br />

di un’Idea, di una Fidesche non va<br />

Janus<br />

compromessa per alcuna ragione profana o d’opportunità,<br />

perché il cedimento intellettuale e di dottrina minerebbe<br />

alla base il senso stesso della sua esistenza.<br />

Alto è l’insegnamento di Servio che ci ricorda come<br />

magna erat apud majores cura Fidei, che rispecchia tutta<br />

la virtù guerriera di Roma, ma non l’unico ed isolato<br />

nel tempo:”La Fides significa personalità e gerarchia. In<br />

essa è il vero superamento di tutto ciò che è servizio<br />

anodino, ordine macchinistico, vile conformismo, routine,<br />

superstruttura ed anche violenza. In essa è una forza<br />

vivificante di virile spiritualità, una forza romana e fascista,<br />

al cessar della cui tensione ogni organizzazione,<br />

ogni legge e ogni istituzione diviene una creatura priva<br />

di sostegno interiore, che il primo urto farà crollare”(1).<br />

Negli ordini monastico-guerrieri, nel periodo delle Crociate,<br />

come i Templari, la saggezza, la disciplina, segnavano<br />

l’aderenza ad una regola spirituale, ad un connubio<br />

vitale, tra Azione e Contemplazione: il crociato<br />

rompeva con la cavalleria laica, egli aveva il Sacro come<br />

riferimento esistenziale, il combattimento per il suo<br />

Dio, la cavalleria profana, comune essendo stigmatizzata<br />

duramente, essendo i suoi membri vanitosi, mondani,<br />

succubi della collera e dell’irrazionalità. L’Ordine diveniva,<br />

quindi, comunità d’elitè, una corporazione<br />

tradizionalmente intesa, con una missione, con un’ideologia,<br />

con i propri valori: nella mitica corte di Re Artù vi<br />

era una ragion d’essere, un codice d’onore che accumunava<br />

tutti i cavalieri, come, per esempio, la disapprovazione<br />

assoluta di colpire alle spalle il proprio avversario.<br />

Qui si evidenzia un sentire, una vibrazione, un<br />

modus vivendi comune, ma regolato dalla’Alto, questo<br />

il senso dell’Ordine. Non è un caso, infatti, che, alla fine<br />

del XII secolo, Chrètien de Troyes esprimesse nei suoi<br />

romanzi tutta la chiarezza e tutta la dignità della<br />

cavalleria:”Gli ha detto che gli ha conferito il più alto<br />

ordine, con la spada, che Dio abbia fatto e stabilito, è<br />

l’ordine di cavalleria, che dev’essere senza villania”(2).<br />

Vi era, vi deve essere la riproposizione di un’etica virile,<br />

su immagine del patriziato romano, in cui i milites devono<br />

coordinarsi organicamente coi magister, ed insieme,<br />

univocamente aderire alla Fides per l’Idea, per la


1) Julius Evola, Corporazione e romana fedeltà in La Nobiltà<br />

della Stirpe, aprile-maggio 1938;<br />

2) Chrètien De Troyes, Le Conte du Graal ou le roman de<br />

Perceval, v.1588;<br />

3) Cicerone, De Legibus, I, 216;<br />

4) Platone, Stato 402;<br />

5) Properzio, Elegie, IV, II;<br />

6) Giuliano Kremmerz, La Scienza dei Magi, 1° v. pp. 140-141,<br />

Edizioni Mediterranee<br />

ivoluzione e tradiz<br />

Tradizione. E’ l’esplicitazione massima della differenza,<br />

della diversità tra l’umanità moderna, tecnologica, psicanaliticamente<br />

scissa e ciò che sentiamo, ciò che vogliamo<br />

fortemente essere, perché lo siamo interiormente:<br />

alma fides, fides sancta, sacra, casta, incorrupta!<br />

In tale direzione nessuno senso può essere attribuito<br />

alla volontà partecipativa dell’individuo, volontà razionale,<br />

se non emozionale ed irrazionale; l’aderenza interna<br />

deve significare identità con lo spirito dell’Ordine,<br />

che è identità con l’Archetipo di riferimento. Nell’ambito<br />

di un sano sentire militante vogliamo riferirci all’antico<br />

concetto di humanitas, come essenza della civiltà<br />

elleno-romana, anche se con forme simili ha potuto<br />

manifestarsi in diverse popolazioni di origine indoeuropea,<br />

come oggettivazione di una comunanza noetica<br />

e di stirpe. La megalopsichìa per i Greci e la magnanimitas<br />

per i Romani, cioè la rispettabilità civile e la personale<br />

grandezza d’animo, sono i presupposti irrinunciabili<br />

di ciò che si realizza quasi come un fine da raggiungere,<br />

cioè uno status tanto ontologico quanto pubblico, lo<br />

spirito incorrotto delle origini, la sua forza vitale, la manifestazione<br />

del proprio demone, che si incarna nella<br />

visione di nobilità solare, di drittura spirituale e guerriera,<br />

di antica grandezza, di primordiale superiorità, nel<br />

mondo greco-romano, ma anche nell’intera cultura<br />

indo-germanica. Tale virtù con lo Stoicismo forgiò la figura<br />

del sapiente, riservato e severo, tradizionalmente<br />

distaccato dalla massa, che sapesse porre un limes, un<br />

distacco tra una superiore condotta di vita e la volgarità<br />

del demos: tale è l’essenza numenica del limes, del<br />

limite, dell’Ordine interno, ma anche pubblico, di cui<br />

l’espressione territoriale è solo una manifestazione<br />

simbolica di una dimensione che supera il fattore naturalistico,<br />

puramente materialistico, (non è questo l’articolo<br />

adatto per trattare anche la dimensione magica di<br />

tale argomento, la strana relazione alchemica, però, che<br />

vi è tra un mandala ed il solco di fondazione di Roma<br />

potrà servire da spunto interessante a qualche ricercatore<br />

scaltro e mercuriale!) che ovviamente viene fraintesa<br />

da chi non possiede in sé una visione UNITARIA del<br />

Cosmo, del Sacro. Si configura per il militante del Fronte<br />

testo della tradizione<br />

della Tradizione l’ideale dell’uomo indoeuropeo, dell’Edeling<br />

germanico, uno stile aristocratico, che coinvolga<br />

ogni aspetto dell’esistenza umana, anche quello<br />

estetico:”Ad ogni moto dello spirito corrisponde in certa<br />

misura per natura una certa espressione del volto”(3).<br />

Non a caso l’humanitas, la stormenska, l’umana grandezza<br />

degli antichi Islandesi, si configura come una<br />

concezione fisico-ontologica, come espressione dell’uomo<br />

organicamente, interamente inteso: l’uomo nobile,<br />

l’aristocratico elleno-romano accompagna, caratterizza<br />

questa sua grandezza, questo suo ideale con la<br />

urbanitas, un comportamento posato e decoroso, con<br />

la comitas e la verecondia, l’amabilità e la socievolezza,<br />

ma anche il pudor, cioè l’amore per la riservatezza. A<br />

quanto abbiamo scritto, reputiamo sia fondamentale<br />

associare la nozione elleno-platonica della kalokagathìa,<br />

della bellezza e della bontà, come valore distintivo,<br />

differenziale dell’uomo, in cui un antico portamento, un<br />

contegno, uno stile siano i segni distintivi di una condotta<br />

e di una forma spirituale spartana, patrizia, aristocratica,<br />

indoeuropea, l’affermazione del vir<br />

magnanimus:”Dove dunque a un nobile carattere dell’anima<br />

si uniscano analoghi e armonici caratteri nell’aspetto<br />

esteriore, partecipi dell’identico modello, là si<br />

avrà uno spettacolo assai bello per chi lo vorrà contemplare”(4).<br />

D’altronde, le tre virtù umane che lo Schiller<br />

espone, cioè “bellezza, armonia e bellezza”, sono, altresì,<br />

anche le virtù artistiche di un Fidia, in cui la forma si<br />

impone sull’informe, sono aretè per il cittadino della<br />

polis, che interiormente e pubblicamente concepisce il<br />

Cosmo dal Caos, colui che impone il proprio dominio<br />

sulla vita e da essa non si fa vincere. L’humanitas valga<br />

come regola d’oro del membro dell’Ordine, che sappia<br />

sorreggerlo, contro le imboscate di una sospetta medianità<br />

o di un dilettantistico occultismo, che tutti incuriosisce,<br />

col suo gossip “esoterico”, con la sua storiografia<br />

“iniziatica”, che nei molti e non solo giovani utili idioti<br />

trova le sue nuove cavie da sacrificare “a chi ben conosciamo”.<br />

E’ questa la sovversione che tende a deprimere<br />

la virilità olimpica insita nella nostra civiltà, che lotta<br />

strenuamente contro qualsivoglia volontà di


Fenomenologia<br />

dell’Ordine<br />

potenza, contro qualsivoglia tentativo di differenziarsi,<br />

perché non più il mondo immortale dei Numi è l’origine<br />

e la fonte dell’esistenza, ma l’uomo, nella sua limitata<br />

razionalità, nella sua condizione caduca e mortale.<br />

L’umanesimo si oggettivizza come una vera parodia<br />

dell’Ordine, della Giustizia platonica, come una mera<br />

somma di individui, senza una reale eticità, senza<br />

un’idealità che possa condurre l’individuo al di là dei<br />

propri angusti ambiti, verso la riscoperta di un’aristocratica<br />

personalità; il tipo umano che non può essere<br />

assolutamente UNO DI NOI è quello del liberalista ottocentesco,<br />

del proletario socialista del ‘900, del globalizzato<br />

del 2000, ma neanche l’esoterista tuttologo, l’opinionista<br />

di ogni circostanza, il qualunquista esistenziale,<br />

l’uomo, cioè, non capace di autodisciplina, non capace<br />

di imporsi il silenzio, non capace di intendere altro al di<br />

fuori del pragmatismo della fenomenicità e della relatività<br />

delle proprie opinioni. Di uomini di tal razza - diciamolo<br />

pure – un Ordine, tradizionalmente istituito, non<br />

Janus<br />

saprebbe che farsene: sacrificio, senso della fedeltà, capacità<br />

di donarsi sono virtù che si manifestano come<br />

anamnesi interiore, come ricordo di un qualcosa che<br />

già si possiede e che non si acquisisce sui libri! Il fondamento<br />

della virile appartenenza sia la presenza REALE<br />

di un antico sentire, che valga come meta da raggiungere,<br />

come stile legionario da ri-affermare con metodo<br />

e sacrificio, come impersonalità vivente ed attiva, che<br />

possa sostituire il Noi all’Io, come adesione comunitaria<br />

ed organica ad un’Idea, visibile come la Luce sulle vette<br />

dei monti al sorgere del Sole:”Mihi natura dedit leges a<br />

sanguine ductas”(5). Tutto ciò, poi, come manifestazione<br />

dell’identità dei piani cosmogonici, può condurci ad<br />

alcune, frammentarie e finali considerazioni sul concetto<br />

di Ordine nell’ambito dell’Arte magistico-metallica,<br />

come squarci di Luce, come piccola e rara porzione di<br />

ambrosia. L’iniziato, secondo la Tradizione Occidentale,<br />

quando si trova nell’ “ingressum” della Via, vi accede<br />

con Passi e Segni che richiamano l’essenza del Lavoro


1) Julius Evola, Corporazione e romana fedeltà in La Nobiltà<br />

della Stirpe, aprile-maggio 1938;<br />

2) Chrètien De Troyes, Le Conte du Graal ou le roman de<br />

Perceval, v.1588;<br />

3) Cicerone, De Legibus, I, 216;<br />

4) Platone, Stato 402;<br />

5) Properzio, Elegie, IV, II;<br />

6) Giuliano Kremmerz, La Scienza dei Magi, 1° v. pp. 140-141,<br />

Edizioni Mediterranee<br />

ivoluzione e tradiz<br />

che si accinge a compiere: “RISPETTO ALL’ORDINE” è il<br />

suo comandamento! Egli sa di porsi interiormente in<br />

una posizione di “Respectus” cioè, da “respicere” che<br />

vale “guardare davanti a se”, equivalente di “contemplare”,<br />

l’atto dell’adepto che osserva l’epifania misterica.<br />

L’Ordine consiste appunto in questa epifania, in questo<br />

svelarsi dell’Armonia cosmica che si presenta nel richiamo<br />

alla “salus”, da “salvare”; salus, cioè salute, è concettualmente<br />

vicino all’idea di vigore e forza; si tratta di richiamare<br />

la forza magica del Genius, il suo volto<br />

vibrante mettendolo in attività:” L’INIZIAZIONE nella<br />

pratica è il complesso di tutte le operazioni che un<br />

Maestro Perfetto può fare su un discepolo per concedergli,<br />

conferire, confermare e sviluppare le virtù ascose<br />

nel suo organismo di uomo volgare”. (6) Salus è anche<br />

analogo a “salis” il Sale, che in alchimia ha una<br />

valenza ignea e ha la funzione di “innesco” del fuoco<br />

potenziale contenuto nello Zolfo, che senza il Sale non<br />

si accenderebbe e resterebbe allo stato di latenza. Parimente<br />

la componente Mercurio viene anch’essa risvegliata<br />

dal Sale: senza di esso non si sublimerebbe. Questa<br />

Forza Solare, che nell’Alchimia Filosofale, la via<br />

alchemica interna, cioè spagirica, è rappresentata appunto<br />

dal calore sprigionantesi dall’astro Sole, si innesca<br />

nell’atto rituale necessario al “movimento dei Piani”.<br />

Nella realtà, in questa Forza, nella qualificazione ad acquisirla,<br />

nell’Iniziazione ad Essa vi è racchiusa la Chiave<br />

dell’intera Opera di Palingenesi:”SOL SALUS SALIS SOL<br />

SOLIS IN MEDIO”. A tal punto, come palesato, il senso,<br />

l’idea dell’Ordine si deve riaffermare in tutte le articolazioni<br />

esistenziali dell’Uomo della Tradizione, come Principio<br />

Platonico, come Idea Arcaica che forgia e fonda la<br />

Comunità Organica dei Combattenti, degli Uomini virilmente<br />

Liberi, gerarchicamente Liberi. Saremo in grado<br />

di assolvere a tale così Alto mandato? Ne saranno degni<br />

gli Uomini e le Donne di <strong>Thule</strong>? Quando, per trasmissione,<br />

ricevemmo la bandiera del nostro Cuib, insieme<br />

ad essa vi era un piccolo bigliettino di carta, in<br />

cui poche parole resero REALE il senso di quel<br />

dono:”Vittoria e Sconfitta sono nelle mani di Dio, ma<br />

del tuo Onore, Tu solo sei Signore e Re”.<br />

testo della tradizione


attualita’<br />

attualita’ attualita’


Per una lettura del<br />

mondo giovanile<br />

Alla luce dell’opera<br />

di G. Faye<br />

Nel 1981 Guillaume Faye, pubblicava “Il sistema per uccidere<br />

i popoli”, una lucida visione del decadimento strutturale<br />

dell’Occidente. Egli, con fine arguzia, ci metteva in guardia da<br />

noi stessi; anni prima che la modernità prendesse il sopravvento<br />

sull’uomo, Guillaume Faye profetizzò ciò che, pochi<br />

anni dopo, al di là di ogni più nera previsione, esplose in quei<br />

processi che negli anni settanta stavano venendo alla luce:<br />

la cultura di massa, lo stupro di ogni pensiero e religione, la<br />

spoetizzazione del territorio, la prima globalizzazione economica;<br />

i cavalieri di una nuova Apocalisse, che presero le redini<br />

del destino dell’uomo. Faye parlava della modernità come<br />

di una “grossa mamma rassicurante”, una piovra, le cui prede<br />

potenziali sono culture, regioni, tutti i raggruppamenti umani<br />

forgiati dalla storia che piano piano sarebbero caduti sotto<br />

l’incessante procedere dell’infimo, creato dall’uomo stesso,<br />

sotto forma di un silenzioso e invisibile killer che utilizza armi<br />

come la tecnica e l’economia, il diritto e l’atto umanitario, l’uccisione<br />

della storia, a volte anche la cultura stessa; questo sta<br />

distruggendo la vita rigogliosa dei popoli, ridotti a spazio di<br />

investimento del marketing e privati di qualsiasi ordine simbolico.<br />

Quel mondo profetizzato con tanta lungimiranza da<br />

Faye - che inoltre, a lume della sua veggenza riuscì a prevedere,<br />

anni ed anni prima che avvenissero, svolte politiche radicali<br />

ed intense, conseguenza della perdita di identità del mondo<br />

stesso - è alle porte ed anzi è in noi, è già parte di noi stessi,<br />

chi più, chi meno, e ci sta divorando da dentro, spersonalizzando<br />

il nostro essere fino a soglie di automazione inconscia<br />

spaventose. I giovani sono la vera dimensione in pericolo, essi<br />

sono la grande realtà sul crinale di un abisso: oramai ridotti ad<br />

una massa di perdenti senza un credo preciso, costretti da loro<br />

stessi a vivere in un universo post-sessantottino, mascherato<br />

da cinema d’essai, dove poter bere vini pregiati e contentarsi<br />

della propria sconfinata cultura di aria fritta, dove puri esercizi<br />

di retorica vengono mascherati da letteratura. Elementi<br />

di persuasione esoterica vengono a galla nella “cultura” “alta”<br />

(per così dire) del nostro tempo, squallide menzogne fatte di<br />

sesso, droga e sentimenti grezzi a caro prezzo che portano<br />

giovani e meno giovani a contentarsi di un essere tellurico<br />

infimo, gretto, malinconico ma ingenuamente annegato in<br />

palliativi artificiali.<br />

E questo nel migliore dei casi: spesso i giovani non hanno<br />

nemmeno la possibilità un appiglio di pseudo-cultura a cui<br />

aggrapparsi, nel mare in tempesta dell’universo, e vengono<br />

trascinati da una corrente fatta di ignoranza e totale sfruttamento,<br />

ad opera di una società ultra-borghese che oramai sta<br />

crollando su se stessa, trascinandosi dietro un sistema fatto<br />

di masse che pensano di divergere su ogni punto e non si ac-<br />

Elio Balbo<br />

corgono di vivere la stessa intensiva schiavitù che li ancora ad<br />

una meschina realtà carnale. Una dimensione, quella dei giovani,<br />

oramai (aldilà di ogni possibile “luogo comune” da parte<br />

di chi scrive…) devastata, annichilita, assopita ed istupidita,<br />

ridotta sulla soglia di una dipendenza totale ed ignorante da<br />

ogni tipo di droga. Un abuso che conta migliaia di vittime non<br />

solo nel senso fisico, ma soprattutto in senso psichico, mentale<br />

ed intellettuale. Molti, moltissimi, giovani sono oramai sulla<br />

soglia della totale morte cerebrale per la continua e massiccia<br />

assunzione di sostanze che in capo a pochi anni li ridurranno<br />

ad amebe assolutamente incapaci alla vita. Soprattutto<br />

l’uso di sostanze psicotrope di sintesi (MDMA e simili) indurrà<br />

l’aumento di patologie degenerative del sistema nervoso<br />

centrale, dovute all’azione lesiva diretta sulle fibre nervose<br />

soprattutto serotoninergiche. A monito valga la confessione<br />

dell’attore Michael J. Fox, che nel 1998 confessò la sua malattia,<br />

il morbo di Parkinson, imputandone l’origine ad un suo<br />

giovanile abuso di una sostanza chiamata efedrina, causa in<br />

seguito comprovata dai medici, i quali non poterono che constatare<br />

l’effettivo danno arrecato dall’abuso di efedrina ed il<br />

successivo e correlato insorgere della patologia. Questa piaga<br />

sociale è un grave pericolo, che minaccia di minare alla base<br />

il futuro della società intera, agendo direttamente sui giovani<br />

e rendendoli in un certo qual modo: “innocui”, sacchi di carne<br />

pronti per essere sfruttati dall’ultra-borghesia; questa concausa,<br />

questa “cultura (se mi è concesso infangare un sostantivo<br />

tanto “subjectum”…) dello sballo”, non farà altro che accelerare<br />

i processi di annichilimento a cui le masse giovanili sono<br />

già soggette! Non posso che constatare, inoltre, che questa<br />

epoca è contraddistinta da fenomeni tremendi di marciscenza<br />

interiore, di cancrena spirituale: uno dei grandi problemi<br />

è rappresentato proprio dall’utilizzazione che le generazioni<br />

ultime fanno di misticismi vari, annegandoli in un calderone<br />

di credenze spurie e corrotte dal loro basso e squallido cannibalismo<br />

religioso: dove sta il rispetto per un’etnia se poi ci<br />

si ciba dal cadavere della sua cultura? Dove sta la cosiddetta<br />

“umanità” se il mondo che queste nuove generazioni creano<br />

è un mondo senza tradizioni? Senza radici? Senza sangue? Un<br />

mondo dove l’uniformazione, la globalizzazione, la standardizzazione<br />

della cultura, della religione, della razza è malcelata<br />

da squallido perbenismo interessato, una velata “voglia di<br />

fratellanza” variegata di alternativismi pseudo-comunisti che<br />

non fanno altro che massacrare ed impoverire ogni cultura<br />

che inglobano in sé con la scusa della tolleranza “a tutti i costi”.<br />

Una “mixitè” variopinta e mescolata in maniera ingenua,<br />

anzi, peggio, ignorante. Un groviglio di nozioni improntate sul<br />

liberalismo più becero, su di una negazione della storicità di


attualita’<br />

proporzioni giganti, una leggerezza a dir poco allarmante nel<br />

rapportarsi con il mondo, con la società, con la cultura: paghi<br />

della situazione economica molto spesso agiata, questi nuovi<br />

post-comunisti, post-capelloni, post-hippy, pseudo-alternativi,<br />

ritengono che ogni cosa gli sia dovuta, ritengono che l’impegno<br />

politico si possa limitare a squallide manifestazioni di<br />

populismo ignorante, quando inneggiano a fantomatiche<br />

“feste del raccolto” (della marijuana), quando si battono per<br />

aprire centri cosiddetti “sociali”, dove (a detta loro) lavorare,<br />

ragionare, dare “asilo politico”, creare una comunità organica,<br />

attiva e pensante, ma che in realtà si limitano ad essere squallidi<br />

capannoni luridi dove è permesso ogni genere di crimine,<br />

per così dire, poiché in fin dei conti, la loro è una “protesta”<br />

dettata da un profondo infantilismo, quindi questi “crimini”<br />

di cui si macchiano altro non sono che l’abuso di sostanze e<br />

tutt’al più dare rifugio a qualche “squatter” senzatetto. Questo<br />

è ciò che i nostri giovani vogliono e stanno ottenendo: io<br />

stesso rilevo nella mia piccola città queste forme di becera<br />

bassezza mascherate da impegno politico. Purtroppo nessuno<br />

si adopera per arrestare questi fenomeni: infatti i centri sociali,<br />

i rave-parties, sono il simbolo della cancrena che divora<br />

i giovani, nessuno si mobilità per fermarli, siamo in un’era di<br />

liberalismo sfrenato, molto spesso tendente al libertinismo;<br />

fermare queste aggregazioni pseudo-politiche, che sono l’infame<br />

scusa per “farsi delle canne”, è un imperativo.<br />

Oramai il pericolo è imminente; il collasso sociale è alle porte<br />

e nel giro di un paio di generazioni sarà inevitabile. Constatando<br />

la situazione odierna, di giovani educati nella libertà<br />

più becera da figli del sessantotto, in cui le eccezioni di individui<br />

raziocinanti e votati al mantenimento di tradizioni o comunque<br />

schierati in maniera anti-positivista, anti-liberale ed<br />

anti-borghese si contano sulle dita di una mano; non posso<br />

che calcolare che la società futura, quella che sarà governata<br />

dalla generazione che in questi anni vive tra i venti ed i trenta<br />

inverni sarà la società della massa informe, la società del<br />

depauperamento culturale, dell’abbassamento delle barriere<br />

intellettuali ed dell’abbattimento di quelle mistico-religiose,<br />

sarà la società della globalizzazione che tanto deprecano, la<br />

società delle società subliminali che masticano per poi sputare<br />

la massa povera (che è povera sotto ogni punto di vista),<br />

una società dove tutto sarà mascherato d’ipocrisia multicolore,<br />

dove suoni, odori, colori e sensazioni saranno sempre più<br />

artificializzate e rese assimilabili tramite trascendenze indotte<br />

da agenti esterni. Sarà la società dove i tempi reazione saranno<br />

sempre più veloci, fino a diventare essi stessi obsoleti<br />

ed ad essere soppiantati dall’accettazione incondizionata di<br />

ogni sorta di imput, una società del tutto, estremizzato in un<br />

tutto informe, in una massa dal colore indefinito, un groviglio<br />

testo della tradizione<br />

di credi e pensieri inutilmente variegata, una società, per citare<br />

un caro amico, “del nulla” più completo. Oramai i tempi<br />

si stringono, siamo quasi sulla soglia di questo cambiamento,<br />

nemmeno così radicale, ma tremendo perché rappresenta<br />

un “punto di non ritorno”, l’inizio, o meglio, il momento in cui<br />

inizia la vertiginosa parabola ascendente di un processo di<br />

distruzione cominciato mezzo secolo fa ma che ha cominciato<br />

a farsi sentire veramente negli ultimi 10 anni del secolo, un<br />

decennio buio che ha silenziosamente assassinato le menti<br />

del futuro con la menzogna di un mondo segnato dalla noia.<br />

Noi ci dobbiamo armare contro l’imminente catastrofe, ci<br />

dobbiamo armare con la fulgida spada della conoscenza,<br />

che più d’ogni altra cosa può guidarci al di fuori del Kali Yuga<br />

squarciando le tenebre di un mondo che collassa; difendendoci<br />

con lo scudo della Tradizione e del Sangue, inneggiando<br />

all’Identità che ci appartiene, alla cultura ed al credo che rappresentano<br />

la nostra anima ed il nostro corpo. Lottando a spada<br />

tratta contro il processo di meccanizzazione del pensiero<br />

umano, contro il sempre più incessante avanzare della cultura<br />

di massa, contro la violenza che vien fatta nei confronti della<br />

nostra Tradizione ad opera di uomini che sono essi stessi nati<br />

e cresciuti nella medesima, ma che vogliono distruggerla abbagliati<br />

dalla falsa promessa di un mondo più buono e giusto<br />

nell’ uguaglianza di ogni cosa: popolo, lingua, etnia, religione.<br />

Uguaglianza che può portare solo al depauperamento intellettuale,<br />

storico e culturale, riducendo tutto il mondo a quella<br />

massa informe fatta di noia e costume benpensante.<br />

Uniamoci noi che, pochi, consci delle rovine che ci circondano,<br />

cerchiamo una soluzione al disfacimento, alla creazione prossima<br />

di una società in cui l’individuo è un nulla in un mare di<br />

niente, di un mondo in cui megalopoli costantemente illuminate<br />

a giorno fanno da sfondo ad un cielo grigio inondato<br />

di nubi purpuree, città veloci e caotiche, città irriconoscibili:<br />

calderoni di pseudo-culture, miscellanee di antiche tradizioni<br />

oramai dimenticate, città e mondi che sono microcosmi insensati,<br />

sproporzionate e deformi cattedrali dedicate ad un<br />

non-Dio. Un mondo in cui il valore di un’anima è nulla ed è<br />

calcolato in grammi, in base al sapore ed al colore, e quindi<br />

rapportata su di una scala di valori dettata da un dittatore<br />

mass-mediatico. “Il futuro richiede il ritorno dei valori ancestrali”,<br />

questo il monito di Faye nel suo altro, preveggente<br />

capolavoro: “Archeofuturismo”, “l’eterno ritorno dell’identico<br />

contro le visioni cicliche e lineari”, questo l’obiettivo concreto<br />

da prefissarsi, riportare il mondo su quei binari sillogistici che<br />

gli permettano di uscire indenne dall’Età Oscura, rientrando<br />

nel ciclo dell’Ouroboros universale.


Trasporti<br />

Europei<br />

Il Quaderno dei Sogni<br />

L’Unione Europea ci ha ormai abituato ad ogni tipo di<br />

litigio, diatriba o contrasti di qualsivoglia natura; sia si<br />

tratti di politica internazionale, sia si tratti di decidere<br />

quali postille mettere nell’ormai giubilato trattato costituzionale<br />

o, più prosaicamente, su chi debba tirare fuori<br />

più soldi o meno per l’anoressico bilancio comunitario.<br />

Lunghe discussioni, pagelle impietose e malignamente<br />

esibite tramite i mezzi d’informazione su chi, tra gli Stati<br />

membri, sia virtuoso e chi no nel rispettare i famigerati<br />

“parametri”, alleanze sotterranee, ed altre amenità di genere<br />

bizantino, non hanno però esaurito quella vena di<br />

retorica che pulsa forte ogni qual volta tanto gli euroburocrati,<br />

che i vari politicanti nel pascolo di Strasburgo,<br />

debbano fare dei gran bei “viaggi psichedelici” sulle<br />

ali della fantasia; prospettando un continente unito e<br />

prospero, grazie alle loro lungimiranti decisioni. Dura<br />

la vita di questi grandi statisti! Costretti a passare ore<br />

ed ore a tentar di far quadrare grigi bilanci continentali,<br />

mentre il loro cuore immagina l’Unione simile alla<br />

grand’Atene di Pericle.<br />

Il problema è che a volte queste pulsioni creative sfociano<br />

in dei veri e propri “quaderni dei sogni” spacciati<br />

nei momenti “giusti” agli imbelli cittadini europei come<br />

imminenti opere in via di realizzazione, prioritarie, categoriche,<br />

ed impegnative per tutti.<br />

Il progetto “TEN” è uno di questi. Vediamo allora brevemente<br />

la sua vita e di cosa si tratta.<br />

Il suo concepimento avvenne nella riunione del Consiglio<br />

Europeo d’Essen del 1993; e da lì fu così dato inizio<br />

a tutta una serie d’azioni volte ad organizzare al meglio<br />

questa grande idea, uno di questi famigerati “quaderni<br />

dei sogni” appunto, relativo ad una gigantesca riorganizzazione<br />

paneuropea delle infrastrutture di comunicazione.<br />

L’ultima modifica, che risale al 21 aprile del<br />

2004, porta l’impronta del Parlamento Europeo stesso,<br />

che ha pensato bene in tale sede di buttare su carta<br />

ufficiale il documento programmatico dei progetti previsti,<br />

con relativi finanziamenti, scaturito dal lavoro delle<br />

commissioni comunitarie addette. Ad Essen era stato<br />

subito battezzato con la lingua madre del commercio<br />

mondiale, l’inglese, prendendo il nome di “Transport<br />

European Network” (TEN); ma il suo sviluppo, in gran<br />

parte teorico, e proseguito negli anni con continue modifiche,<br />

è stato più il frutto delle solite barocche operazioni<br />

di “assalto alla diligenza” dei fondi dell’Unione e di<br />

ripicche incrociate tra i partner europei, che di un vero<br />

e proprio lavoro lungimirante di politica economica.<br />

Infatti è assodato che nella maggior parte dei casi i<br />

”corridoi” terrestri, ideati nel quadro generale TEN (vedi<br />

cartina n.1), non sono nient’altro che una somma di<br />

progetti infrastrutturali, ferroviari ed autostradali, dei<br />

singoli Stati del vecchio nocciolo della Comunità Economica<br />

Europea, assemblati alla meglio ed ampliati<br />

verso l’Est-europeo ed i balcani in previsione del nuovo<br />

corso storico/politico post “Guerra Fredda”; e che sicuramente<br />

già fin dal 1993 doveva esser ben chiaro alle<br />

cancellerie dell’Europa Occidentale, dato il precipitare<br />

degli eventi tanto nell’U.R.S.S., quanto nel restante ex<br />

blocco comunista.<br />

cartina nr.1<br />

Gruppo Gabriele<br />

Numerose però sono le voci che a tutt’oggi criticano<br />

queste nuove vie di comunicazione a “corridoi”; e con<br />

le più solide motivazioni scientifiche ed economiche<br />

possibili.<br />

Innanzi tutto l’antistoricità del piano che si vuol realizzare.<br />

Frutto di una mentalità ereditata più dall’epoca<br />

degli Zar di Russia, bisognosi di unire tramite la ferrovia<br />

il loro grande Impero con i territori siberiani, che del-


attualita’<br />

l’evo moderno dove, a conti fatti, il mondo appare molto<br />

più a “portata di mano”, in ragione di tutta una serie<br />

di tecnologie di trasporto che sicuramente detengono<br />

una loro importanza ed un’intrinseca utilità; nonché di<br />

un notevole risparmio di risorse economiche e di velocità<br />

nella realizzazione, rispetto ai colossali progetti del<br />

TEN, costosi e dalla tempistica lunga.<br />

Vi è poi un grossolano errore di valutazione nella crescita<br />

prevista dei volumi di merci trasportate in Europa<br />

e dall’Europa. Infatti a realizzazione conclusa, cioè<br />

tra vent’anni, i “corridoi” intermodali si troveranno un<br />

panorama economico continentale del tutto mutato.<br />

Ammesso che il sistema produttivo europeo regga nel<br />

prossimo quinquennio l’urto della competitività asiatica<br />

(variabile storica non trascurabile), con l’andar del<br />

tempo, e con lo sviluppo dell’economia globale, le merci<br />

trasportate su lunghe distanze peseranno sempre di<br />

meno (de materializzazione) e potranno esser poste<br />

su navi o su aerei cargo, sicuramente molto più adatti<br />

ed economici di un trasporto su gomma o su rotaia a<br />

lunga gittata. Mentre poi il trasporto su gomma si riqualificherà<br />

nei percorsi “regionali”, cioè in un raggio di<br />

150/200 km, sia per i manufatti ingombranti o le merci<br />

normali (che già oggi in Italia ad esempio appaiono<br />

“regionalizzati” al 70%), sia per quelli a più alto valore<br />

aggiunto (componenti elettronici, biotecnologie ecc.),<br />

ciò non avverrà per il sistema ferroviario di tipo TAV<br />

(Treno ad Alta Velocità) che si vuol realizzare, incapace<br />

d’adattarsi ad un contesto di così stringente competitività<br />

e decisamente differenziato. Perché si troverà ad<br />

esser essenzialmente più costoso di un trasporto aereo<br />

o marittimo, per ammortizzare le spese d’opera (enormi!),<br />

e perché non potrà regionalizzarsi così come sta<br />

avvenendo per gli automezzi.<br />

Se poi abbandoniamo gli scenari “futuribili” e ci accostiamo<br />

al presente notiamo che forse quasi nessuno<br />

in Europa intende metter mano al proprio salvadanaio<br />

nazionale per buttarsi anima e debiti in un impresa a<br />

così alti rischi e con prospettive quanto meno incerte.<br />

Dopo più di dieci anni dal primo vagito ad Essen,<br />

il nostro “caro” progetto TEN appare un bambino che<br />

testo della tradizione<br />

stenta a crescere nella realtà. Scartoffie a parte gli unici<br />

tratti cantierati di rilievo sono presenti tra Parigi e Berlino<br />

(“corridoio del Nord”); nella zona da Lione al confine<br />

<strong>italia</strong>no, tra Torino e Milano e tra Padova e Venezia<br />

(“corridoio 5”). Per il resto è tutto un susseguirsi di “NO!”<br />

detti in varie lingue. La Spagna non intende né distrarre<br />

dal suo bilancio un solo euro, per un sogno in cui non<br />

crede a quanto pare, né traforare i Pirenei senza un motivo<br />

reale, visto che il suo volume di scambi marittimi<br />

sia mediterranei che atlantici gode di ottima salute e<br />

di ulteriori collegamenti terrestri non ne ha bisogno.<br />

Francia e Germania nicchiano per un simbolico asse tra<br />

le rispettive capitali, più che per qualche cosa che neppure<br />

loro si possono permettere, visti i tempi che corrono.<br />

L’Inghilterra è impegnata nell’archeofuturistico<br />

progetto di una linea a levitazione mag<strong>net</strong>ica, che collegherà<br />

la Scozia con Londra, tramite vettori che viaggeranno<br />

a 500 km/ora; unico modello di treno in grado<br />

di competere con l’aereo regionalizzandosi. Gli Stati<br />

slavi e balcanici invece hanno respinto un’eventuale<br />

indebitamento con qualche strozzino atlantico (leggi<br />

FMI /Banca Mondiale) forse perché hanno astutamente<br />

intuito il bidone che gli si prospettava dinnanzi.<br />

L’unico Stato europeo che appare entusiasta e scalpitante<br />

per i progetti “TEN” risulta, a conti fatti e per esclusione,<br />

l’Italia. Da Essen in poi ogni nostro governo, di<br />

qualsiasi orientamento politico, ha premuto con esponenziale<br />

insistenza affinché si aggiungessero quanti<br />

più tronconi di corridoio solcanti le nostre terre. Ciampi,<br />

nelle sue innumerevoli vesti istituzionali (Governatore<br />

di Banca d’Italia, Ministro dell’Economia, Presidente del<br />

Consiglio nonché quale Presidente della Repubblica) si<br />

è sempre prodigato nel far “beneficiare” allo stivale le<br />

gioie del passaggio di ben due tronconi “TEN” (vedere<br />

cartine n.2 e n.3); trovando negli ultimi anni un illustre<br />

discepolo in Silvio Berlusconi. Distintosi per aver mobilitato<br />

tutto il peso diplomatico dell’Italia in seno all’U.<br />

E., pur di ottenere il “via libera” alla progettazione, ed<br />

alla realizzazione futura, sia dell’asse che va dal Frejus a<br />

Trieste, sia di quello che va dal Brennero a Palermo, con<br />

tanto di titanico ponte sullo Stretto di Messina. Che for-


Trasporti<br />

Europei<br />

Il Quaderno dei Sogni<br />

se sarà intitolato o al nostro santo di Arcore o a qualche<br />

inesistente partigiano calabrese. Scherzi a parte, i dati<br />

appaiono subito inquietanti; il costo previsto per il solo<br />

cartina nr.2<br />

prolungamento Napoli/Palermo gravita intorno ai 100<br />

miliardi di Euro!<br />

Il timore di alcuni esperti indipendenti però è che tali<br />

previsioni si rivelino quanto meno semplicistiche. Basti<br />

pensare che sarà necessario un invasivo traforo della<br />

Sila, che potrebbe riservare delle “sorprese” nelle sue<br />

viscere di non poco aggravio sulle già poderose spese<br />

messe in conto.<br />

L’Unione elargirà scarse risorse finanziarie, forse neanche<br />

il 10% del necessario, anche se nei documenti ufficiali<br />

si è stabilito fino al 20%. Vista poi l’aria da “smobilitazione<br />

generale” che si respira ad ogni vertice ufficiale<br />

dei partner europei c’è anche il rischio che il rubi<strong>net</strong>to<br />

smetta d’improvviso di inviare a Roma quei pochi soldi<br />

concessi dal documento programmatico dell’anno<br />

scorso; e che dovranno essere comunque spalmati nell’arco<br />

di vent’anni.<br />

cartina nr.3<br />

Gruppo Gabriele<br />

Purtroppo anche questa ennesima “vaccata” italica<br />

vede le figure di tutti gli attori della politica e dell’economia<br />

nostrane poste interessatamente in prima fila ad<br />

applaudire la salma presidenziale quando ammonisce<br />

che “…non possiamo isolarci!”; e quindi “Avanti Tutta!”<br />

con prospezioni e colate di cemento dalla pianura padana<br />

alle falde dell’Etna. Tanto sarà lo Stato (cioè NOI!)<br />

che dovrà stornare dal bilancio miliardi e miliardi di<br />

Euro da qui ai prossimi decenni, pur di far fronte ai lavori<br />

di realizzazione dei tronconi “TEN”. Appalti aggiudicati<br />

a tutta quella nuova razza di non-imprenditori<br />

chiamata “general contractor”, che altri non sono se non<br />

i presta nome di chi dal pulpito dei mezzi di comunicazione<br />

continua a blandire i benefici di progresso insiti<br />

nello sventrare il nostro piccolo stivale in modo indiscriminato.<br />

Questi “soloni” mancati sono facilmente identificabili,<br />

basta aprire gli occhi sulla loro retorica positivista;<br />

comprenderete cosa vogliono e che “…tutto ciò che vi<br />

dicono è falso”.


attualita’<br />

testo della tradizione


DS<br />

come DiSsoluzione<br />

Mi sento veramente indignato quando vedo un partito<br />

dal forte consenso in Italia attuare una campagna di<br />

comunicazione come quella dei Democratici di Sinistra<br />

degli ultimi anni. E’ sufficiente dare uno sguardo al sito<br />

web relativo al partito in questione per comprendere<br />

a cosa mi riferisca. La sezione<br />

comunicazione offre<br />

una panoramica dei<br />

manifesti e dei messaggi<br />

da essi propagandati. Ritengo<br />

ci sia da offendersi<br />

come cittadini <strong>italia</strong>ni<br />

prima ancora che come<br />

uomini dalle consolidate<br />

idee politiche.<br />

Se da un lato si possono<br />

leggere tutti gli slogan<br />

e tutte le battaglie condotte<br />

(a torto o a ragione) degli ultimi anni si può notare<br />

una relativa attenzione al sociale ed alle fasce deboli<br />

della popolazione, se per fasce deboli intendiamo quegli<br />

“emarginati” moderni come gli omosessuali o le coppie<br />

di fatto ma non riconosciute dalla legge e come gli<br />

extracomunitari. Sembra proprio che da diverso tempo<br />

l’attenzione dei DS si sia rivolta più a queste categorie<br />

che ad altre. Cercando di propugnare in ogni modo un<br />

certo tipo di integrazione. Legittimo tutto ciò, lungi da<br />

me il metterlo in dubbio, ma i più attenti faranno certamente<br />

delle considerazioni.<br />

Non parlo tanto delle campagne per il voto agli immigrati<br />

apparse nel 2003, condivisibili o meno, in quel<br />

caso il messaggio è palese anche se ad un certo punto,<br />

tra i soggetti dalle diverse etnie, in fotografia, appare un<br />

simpatico e dolcissimo bimbo dagli occhi a mandorla.<br />

Questo fa riflettere solo con il senno del poi. Non mi riferisco<br />

nemmeno alle campagne per il riconoscimento<br />

o l’istituzione dei PACS ove le coppie che potrebbero<br />

essere interessate sono quelle omosessuali, miste (dal<br />

punto di vista dell’etnia) e – unico caso normale – una<br />

coppia di signori almeno sulla 50ina.<br />

La cosa molto singolare, che mi ha fatto aguzzare la vi-<br />

Ilio<br />

sta e che ancora non è apparsa sulla sezione comunicazione<br />

del sito , è la battaglia dove il messaggio punta<br />

l’attenzione sull’amore per la patria (dai sinistri?) della<br />

sinistra <strong>italia</strong>na. “Amare l’Italia” lo slogan. Ed in bella mostra<br />

una famiglia normale…beh, tanto normale non direi<br />

se si guardasse con attenzione il pargoletto tenuto<br />

in braccio con noncurante ostentazione.<br />

Cerchiamo di ricavare il filo conduttore da tutto ciò.<br />

Nel 2003 propongono il voto agli immigrati (del resto<br />

come farà il vice presidente del consiglio ex-post-fascista<br />

Gianfranco Fini) e tra le tante belle foto campeggia<br />

quella di un bimbo orientale. Poco tempo dopo nasce la<br />

battaglia per i PACS e le coppie pubblicizzate sono due<br />

omosessuali (par condicio ai sessi), una mista in quanto<br />

ad etnia ed una, poveretta e sola, normalissima coppia<br />

di anziani che a 50 anni suonati non riterranno certo<br />

opportuno convolare a nozze ma stipulare un patto civile<br />

(?!). Per ultima, in ordine di tempo, appare l’accorato<br />

grido rivolto all’amore verso la patria, l’Italia, dove, però,<br />

la coppia (veramente <strong>italia</strong>na?) tiene in braccio un bimbo<br />

ancora una volta dagli occhi a mandorla.<br />

Io, cittadino comune, se non mi si riempie il cuore di<br />

tenerezza e benevolenza<br />

verso queste<br />

categorie tanto<br />

“maltrattate” o “dimenticate<br />

dalla società”,<br />

potrei avere<br />

una diversa reazione.<br />

Un diverso pensiero<br />

e cogliere un<br />

diverso messaggio,<br />

forse subdolo, forse<br />

subliminale.<br />

Attualmente il pericolo<br />

sociale, in gran<br />

parte avvertito nell’Italia centro-settentrionale è quello<br />

dell’immigrazione nord-africana e della colonizzazione<br />

economica imminente da parte del pericolo cinese, il<br />

pericolo con “gli occhi a mandorla”. I bimbi rappresentano<br />

il futuro e la cattolica Italia ancora si sposa in chiesa.


attualita’<br />

testo della tradizione<br />

Secondo i DS, il futuro di questa nostra Italia è negli<br />

occhi a mandorla, le coppie del futuro saranno per lo<br />

più sterili. Due gay o due lesbiche non riusciranno mai a<br />

procreare, due 50enni se non ricorrono alla “scienza” difficilmente<br />

proveranno l’emozione di un concepimento<br />

e cosa rimane? La coppia mista o quella che adotta<br />

bimbi con gli occhi a mandorla. Quindi non preoccu-<br />

piamoci del pericolo economico, tanto tra poco i nostri<br />

stessi figli saranno gialli o di altro colore diverso dal<br />

bianco. Il nostro futuro avrà gli occhi a mandorla. Con<br />

tanta tranquillità la sinistra <strong>italia</strong>na ci avverte dell’imminente,<br />

come qualcosa di ineluttabile e accettabile. Una<br />

società di meticci culturali, sociali e razziali.<br />

Io mi chiedo cosa ci sia di male nel non volerlo. Cosa c’è<br />

di male a desiderare ancora il bene prima per gli <strong>italia</strong>ni<br />

o per gli europei? Cosa c’è di male a credere in una comunità<br />

di popoli uniti da una medesima etnia? Cosa c’è<br />

di male a credere ancora che le famiglie siano portatrici<br />

di una continuità spirituale e tradizionale e che nella<br />

spiritualità e tradizione ci debba essere la diversità tra<br />

i sessi?<br />

Davanti a simili messaggi, più o meno chiari, io non ci<br />

sto, non mi faccio insultare così dai geni della comunicazione<br />

e dai fautori del progresso. Credo ancora in<br />

valori diversi e sarò pure anacronista, ma ho una testa<br />

che funziona. Non accetto gli insulti per me e per la mia<br />

gente.


storia e controstoria<br />

storia e controstoria storia e controstoria


Apologia di un<br />

Imperatore<br />

Non è difficile insozzare l’immagine di un personaggio davanti<br />

alle masse, non lo è oggi come non lo è mai stato in passato.<br />

Hitler è stato definito l’Anticristo ma prima di lui, quasi<br />

duemila anni fa, un altro uomo si meritò lo stesso appellativo,<br />

e gli storici del periodo si impegnarono tanto (e come loro<br />

gli studiosi moderni e non ultimi i cristiani), che l’epiteto è<br />

rimasto legato al suo nome fino ai giorni nostri, in saecula<br />

saeculorum.<br />

Naturalmente sto parlando di Lucio Domizio Enobarbo, detto<br />

Nerone. All’ingresso della Domus Aurea, la meraviglia urbana<br />

che egli volle fosse realizzata, un Museo (nell’accezione più<br />

antica del termine) di ottanta ettari dove arte, luce, bellezza e<br />

perfezione architettonica si fondevano in completa armonia,<br />

ho chiesto a decine di turisti <strong>italia</strong>ni se sapessero chi fosse Nerone<br />

e cosa fece nei suoi quattordici anni di Impero.<br />

E dalle risposte è emerso il ritratto, non troppo particolareggiato,<br />

di un uomo dedito alle più sfrenate orge e a piaceri di<br />

ogni tipo, di un folle che incendiò Roma per “fare spazio” all’impresa<br />

architettonica che aveva in mente e, non dimentichiamolo<br />

mai, il primo e più acerrimo nemico e persecutore<br />

dei cristiani.<br />

Tirando le somme si può facilmente concludere che, nei quattordici<br />

anni in cui è durato il regno di Nerone, se gli orizzonti<br />

culturali ed economici dell’Impero si allargarono e vi fu pace<br />

e prosperità mentre egli era impegnato a ubriacarsi e sodomizzare<br />

bambini nella Sala Ottagonale, lo dobbiamo al caso o<br />

al favore divino, non certo al fatto che fu un grande statista a<br />

dispetto della sua personalità senza dubbio bizzarra.<br />

Le fonti storiche non possono essere cambiate, sono le stesse<br />

da secoli, “revisionismo” non significa modificarle ma verificarle,<br />

effettuare controlli incrociati, riscontrare eventuali anomalie<br />

e contraddizioni che potrebbero essere dovute a una<br />

interpretazione soggettiva degli eventi. Questa dovrebbe<br />

essere la norma, l’unico modo oggettivo di riportare la storia<br />

servendosi degli scritti dell’epoca, eppure solo di recente si è<br />

tenuto conto dell’ideologia, della personalità e della posizione<br />

sociale di Svetonio e Tacito, ai quali dobbiamo la maggior<br />

parte delle informazioni che ci sono giunte su Nerone.<br />

Guarda caso entrambi appartenevano alla classe sociale che<br />

l’Imperatore disdegnava e contro la quale combatté a lungo<br />

per ridurne il potere in favore di una plebe che lo ha adorato<br />

e ha mantenuto viva la leggenda che egli non fosse morto, e<br />

che sarebbe tornato un giorno, per riscattarla dalle ingiustizie<br />

subite. A ragion del vero bisogna dire che in questi ultimi<br />

anni sono stati fatti degli sforzi per rendere giustizia alla figura<br />

dell’Imperatore, si sono occupati della faccenda storici<br />

e studiosi di ogni parte d’Europa, dalla Francia alla Romania<br />

mentre l’Italia annega ancora nell’ignoranza, una damnatio<br />

memoriae eterna e non solo nei confronti del pazzo, fratricida,<br />

uxoricida, incendiario, vizioso Nerone.<br />

Questa è la storia che ci insegnano nelle scuole, che ci insegnano<br />

i libri e che ci insegna la televisione, grande maestra di<br />

Argentea<br />

vita dell’era moderna; una storia filtrata, modificata e inventata,<br />

scritta dai vincitori per le masse, studiata a tavolino come<br />

un romanzo Harmony in modo da provocare le reazioni desiderate,<br />

i giusti sentimenti d’orrore e repulsione nei confronti<br />

di grandi personaggi il cui carisma e la cui personalità avrebbero<br />

potuto cambiare il corso degli eventi dando origine a<br />

una nuova Età dell’Oro. Concludo questa breve introduzione<br />

con le parole di Massimo Fini nel suo “NERONE, duemila anni<br />

di calunnie” di cui consiglio vivamente la lettura:<br />

Questo libro è dedicato soprattutto ai giovani perché,<br />

attraverso le menzogne sulla storia di ieri, sappiano riconoscere<br />

quelle,<br />

per loro certo più importanti, sulla storia di oggi.<br />

Lucio Domizio Enobarbo nasce ad Anzio il 15 dicembre del<br />

37 d.C. da Agrippina Maggiore, di Augustea discendenza, bella,<br />

fiera e coraggiosa ma anche fredda e calcolatrice, e Gneo<br />

Domizio della stirpe degli Enobarbi, di ben più umili benché<br />

nobili origini.<br />

I primi anni di vita del piccolo Lucio non sono dei più felici: la<br />

madre viene accusata di complotto ai danni dell’Imperatore<br />

Caligola e esiliata mentre il padre muore, così il bambino viene<br />

affidato alla zia Domizia Lepida.<br />

E’ in questo periodo che comincia la sua istruzione della quale<br />

si occupano inizialmente un barbiere e un ballerino e sarà<br />

forse quest’ultimo a trasmettere a Nerone l’amore per il Circo,<br />

i giochi e le attività ginniche in generale, una passione che<br />

mai lo abbandonerà anche in età adulta. Due anni dopo, alla<br />

morte di Caligola, Agrippina viene richiamata dall’esilio e, decisa<br />

più che mai a realizzare i suoi sogni di potere, comincia<br />

col prendere nuovamente il figlio con sé; la donna ha progetti<br />

ambiziosi da realizzare e ogni singolo ingranaggio dell’enorme<br />

meccanismo che si appresta a mettere in moto, ruota intorno<br />

alla figura del piccolo Lucio.<br />

Comincia col liberarsi dell’unica persona che ha un minimo<br />

di influenza sul figlio e le cui interferenze potrebbero rivelarsi<br />

dannose per i suoi intenti: Domizia Lepida. La donna viene<br />

così accusata di complotto ai danni dell’Imperatore Claudio<br />

e condannata a morte.<br />

Eliminato ogni ostacolo Agrippina può finalmente dedicarsi<br />

innanzi tutto all’istruzione del figlio che affida a illustri personaggi<br />

del mondo greco - orientale e, soprattutto, a Lucio<br />

Anneo Seneca a cui dà il compito di sovrintendere al lavoro<br />

degli altri istruttori e di insegnare a Nerone la retorica e la filosofia.<br />

Seneca non è sicuramente un esempio d’uomo, predica bene<br />

ma non vive secondo i precetti che insegna ed è fin troppo<br />

impegnato ad accumulare denaro; anche in futuro, più simile<br />

a un serpente cresciuto in seno a Nerone che a un mentore,<br />

le sue lodi all’Imperatore non saranno mai sincere eppure<br />

contribuirà a infondere definitivamente nel futuro Imperato-


e la passione per una cultura che egli imparò ad amare fin<br />

dall’infanzia e in nome della quale, una volta salito al trono,<br />

cercò di dare al proprio Impero l’impronta civile e raffinata<br />

tipica dei costumi ellenistici. Una volta risolto il problema dell’istruzione<br />

del piccolo Lucio, Agrippina, abile negli intrighi e<br />

di bellissimo aspetto, riesce a farsi prendere in moglie dallo<br />

zio, l’Imperatore Claudio, che ha già due figli: Britannico, di salute<br />

cagionevole (soffre di epilessia), e Ottavia. Da qui all’adozione<br />

di Nerone da parte dell’Imperatore passa poco tempo,<br />

del resto la successione è un problema da non trascurare e<br />

Claudio, pensando probabilmente ai problemi di salute di Britannico,<br />

decide di acconsentire alla richiesta della consorte<br />

non sapendo di aver firmato in questo modo la propria condanna<br />

a morte. Come se non bastasse Agrippina riesce a fargli<br />

promettere in sposa la sorellastra Ottavia, matrimonio che<br />

avviene nel 53 quando Lucio indossa già da tempo le vesti<br />

da adulto in pubblico, ricopre cariche importanti e pronuncia<br />

discorsi davanti alla folla.<br />

Oramai i tempi sono maturi e Agrippina pensa bene di dare<br />

testo della tradizione<br />

un mano al fato avvelenando, con la complicità di Seneca e<br />

dell’assaggiatore dell’Imperatore, il piatto del consorte. Il veleno<br />

fa effetto ma probabilmente la dose è troppo blanda:<br />

Claudio è in fin di vita ma ancora pericolosamente cosciente<br />

ed ella decide di dargli il colpo di grazia con l’aiuto del medico<br />

e di un pennino intinto nel veleno spinto a forza nella sua<br />

gola nell’apparente intento di voler provocare dei conati di<br />

vomito.<br />

E’ fatta, Claudio è morto e il giorno dopo Nerone sale al trono<br />

grazie a un delitto di cui non è responsabile e di cui, soprattutto,<br />

non sa niente. Ha così inizio il suo Impero che durerà<br />

ben quattordici anni, un tempo piuttosto lungo rispetto ai<br />

suoi predecessori e successori.<br />

Ora, lungi da me stilare una sterile biografia ricca di date ed<br />

eventi, reperibile tra l’altro in qualunque libro di storia romana,<br />

il mio intento è soffermarmi sulla figura dell’Imperatore e<br />

dell’Uomo, due personalità distinte e a volte in conflitto eppure<br />

degne di nota entrambe in quanto, seppure coltivò l’arte<br />

che amava, mai venne meno ai propri compiti di statista e<br />

in entrambe le attività spese tutte le energie che poteva. Salire<br />

al trono non fu mai la sua aspirazione, l’Arte lo era, questo<br />

senza dubbio alcuno, ma non il governo.<br />

Nerone preferì sempre la gente comune all’aristocrazia, nelle<br />

piccole cose lo si poteva facilmente capire dal taglio dei capelli<br />

(era solito portarli lunghi e sciolti come gli artisti e la gente<br />

comune), dal fatto che al Circo durante le corse tifasse i “verdi”<br />

(il colore preferito dal popolo) mentre gli aristocratici tifavano<br />

i “rossi”, e da come amasse confondersi con la plebe; spesso si<br />

mischiava a loro anonimamente anche solo per parlare. Era<br />

solito frequentare bettole e taverne vestito da schiavo e non<br />

aveva paura a provocar risse e scazzottate del resto non gli<br />

mancava il coraggio né tanto meno la preparazione atletica.<br />

Ma la prova più grande della sensibilità che ha sempre avuto<br />

nei confronti della plebe l’abbiamo dalle riforme che tentò<br />

di attuare (e se ci riuscì solo in parte lo dobbiamo al senato e<br />

dell’aristocrazia che gli si sono sempre opposti) a livello legislativo<br />

e fiscale, riforme mirate sempre a un rialzo dell’economia<br />

generale ma soprattutto al benessere del popolo. Erano<br />

frequenti le donazioni di grano alla plebe, durante una carestia<br />

che colpì duramente Roma nel 64 mise mano alle riserve<br />

accumulate nei magazzini dello Stato, cosa che aveva già<br />

fatto spesso, anche solo per abbassare i prezzi di mercato. Si<br />

pronunciò persino a favore degli schiavi ordinando ai prefetti<br />

cittadini di accettare le loro denunce di maltrattamenti subiti<br />

dai padroni. Così la plebe imparò presto ad amarlo mentre gli<br />

scontri con l’aristocrazia e il senato si fecero sentire fin dai primi<br />

anni di governo. Nerone non ci mise molto a capire che un<br />

Impero vasto come quello di Roma non avrebbe mai potuto<br />

reggersi sui fragili principi di una Repubblica che non esisteva<br />

più ma in nome della quale il senato si ostinava a parlare.<br />

Dopo un’attenta analisi giunse alla conclusione che avrebbe<br />

dovuto prendere le redini del comando in modo molto più<br />

deciso di quanto non avessero fatto i suoi predecessori. Come<br />

prima cosa si occupò della questione dei liberti, schiavi liberati<br />

(per la maggior parte uomini colti provenienti da oriente)<br />

ai quali erano state date cariche importanti e che, lentamente,<br />

si erano fatti prendere la mano impicciandosi di faccende<br />

che poco li riguardavano. Inizialmente Nerone si guadagnò<br />

l’appoggio del senato limitando il potere degli schiavi liberati<br />

ma quando cercò allo stesso tempo di affidare ai senatori le<br />

mansioni che un tempo erano dei liberti a loro non piacque,<br />

del resto preferivano di gran lunga la bella vita priva di responsabilità<br />

che avevano condotto fino a quel momento.<br />

L’Imperatore li accusò spesso di incompetenza e assenteismo<br />

fino a che non decise di tornare sui propri passi e rendere ai<br />

liberti le cariche che avevano ricoperto fino a quel momento.<br />

Ma i dissidi fra l’Imperatore e il senato erano solo agli inizi,<br />

molte delle sue proposte furono bocciate o accettate solo in<br />

parte. Provò ad eliminare le tasse indirette e precisamente i<br />

dazi doganali che colpivano duramente la plebe. Al “no”deciso<br />

del senato impose comunque che le norme d’esazione d’ogni<br />

singola tassa fossero rese note, tolse le soprattasse ed eliminò<br />

le imposte che gravavano sulle navi mercantili che trasportavano<br />

il grano d’oltremare. La svalutazione mo<strong>net</strong>aria fu un altro<br />

dei grandi cambiamenti introdotti da Nerone, egli ridusse<br />

infatti la percentuale d’oro e d’argento contenuta nell’aureus<br />

e nel denarius. A dirla tutta la quantità d’argento fu abbassata<br />

di molto rispetto a quella d’oro, sempre in favore del popolo<br />

che possedeva solo argento. Al contempo si occupò dello<br />

sviluppo edilizio di Roma e, “aiutato” dal famoso incendio<br />

(si ricorda che non esistono prove storiche che sia stato egli<br />

stesso a provocarlo, fu accusato Nerone come furono accusati<br />

i Cristiani, ma fu lui a passare alla storia come pazzo incendiario.)<br />

fece costruire il Circo Massimo, il Campo Neroniano, un<br />

nuovo ponte sul Tevere, il Tempio della Fortuna di Seiano e<br />

toria e controstoria


Apologia di un<br />

Imperatore<br />

l’Acquedotto Celimontano; inoltre fece ricostruire la Via Sacra<br />

e pavimentare il clivio Palatino. E ultima ma non certo per importanza<br />

diede inizio ai lavori per la costruzione della Domus<br />

Aurea, che mai vide compiuta se non nei suoi sogni.<br />

Da tutto ciò l’economia trasse un gran giovamento grazie anche<br />

allo sviluppo dell’industria dei laterizi, e il tasso di disoccupazione<br />

e l’inflazione si mantennero bassi. Nel frattempo<br />

tolse ai senatori quasi ogni potere decisionale, Nerone stava<br />

cercando di realizzare il suo progetto di una monarchia assoluta,<br />

l’unico modo a suo avviso (e non solo a suo avviso, aggiungerei)<br />

di tenere insieme un Impero così vasto e ricco di<br />

culture tanto diverse. Pur non dedicandosi direttamente alla<br />

guerra, preferendo la diplomazia alla conquista, seppe circondarsi<br />

di generali valorosi ai quali affidò la gestione dei tumulti<br />

in corso nell’Impero e qui vale la pena ricordare la regina Boudicca,<br />

un’avversaria degna di nota delle legioni romane che<br />

guidò i Britanni alla riconquista della propria terra.<br />

Sotto il suo comando gli insorti smembrarono la Nona Legione<br />

e solo a fatica i romani riuscirono a placare la rivolta.<br />

Incapace di accettare la sconfitta la fiera Boudicca si tolse la<br />

vita. Col passare degli anni l’influenza di Agrippina sul figlio<br />

andò affievolendosi, la sua idea di governo era ben diversa da<br />

quella dell’Imperatore, per lei gli intrighi e gli assassini erano<br />

all’ordine del giorno e la sua arroganza era pari solo alla sua<br />

ambizione tanto che Nerone decise di darle una nuova residenza,<br />

lussuosa ma lontana dal palazzo, sperando di tenerla<br />

così lontana dagli affari di stato ma non servì a molto.<br />

L’Imperatrice cominciò a complottare ai danni del figlio e<br />

se una prima volta se la cavò difendendosi magistralmente<br />

durante un processo, non riuscì però a venirne fuori una seconda<br />

volta quando lo stesso Seneca, che aveva ancora un<br />

minimo di influenza sull’Imperatore, lo convinse (non a torto<br />

in realtà) che la madre era una nemica e un pericolo. Fu così<br />

che Nerone decise di compiere forse il più famoso degli assassini<br />

per cui è passato alla storia volendo tralasciare i molti<br />

altri di cui è stato con buona probabilità ingiustamente accusato<br />

(l’omicidio di Britannico ad esempio, la cui morte, mirabilmente<br />

descritta da Tacito negli “Annali”, potrebbe essere<br />

stata causata dalla rottura di un aneurisma, caso frequente<br />

negli attacchi epilettici.) Eppure non c’è Imperatore Romano<br />

la cui coscienza non sia macchiata da qualche delitto, l’assassinio<br />

era l’unico modo per difendersi dai complotti e dai colpi<br />

di stato e, ricordiamolo sempre, Nerone non uccise una madre<br />

amorevole ma una donna che lo avrebbe assassinato a<br />

sua volta appena ne avesse avuta l’occasione, per governare<br />

secondo i suoi principi, distruggendo tutto ciò che il figlio era<br />

riuscito a costruire fino a quel momento. Questo non fa di lui<br />

un uomo buono ma non è sicuramente abbastanza per trasformarlo<br />

in un mostro. Erano le regole di quel periodo e in<br />

quel contesto e Nerone se ne servì e giocò la partita nel modo<br />

che ritenne migliore, il gesto fu meditato e sicuramente sofferto,<br />

altrimenti non avrebbe allontanato la madre cercando<br />

Argentea<br />

in tutti i modi una soluzione alternativa, se fosse stato il mostro<br />

descritto da Tacito l’avrebbe semplicemente fatta uccidere<br />

prima ancora della prima accusa di complotto. Solo per<br />

l’omicidio di Ottavia non ci sono giustificazioni di sorta, fu<br />

un atto terribile commesso per il più banale (e frequente nel<br />

passato come oggi) dei motivi: la passione per un’altra donna:<br />

Poppea. E fu uno dei rari casi in cui Nerone ebbe il popolo<br />

contro: tutti sostenevano Ottavia anche se questo non servì<br />

a salvarle la vita.<br />

L’Imperatore in un primo momento si limitò ad esiliarla poi le<br />

fece tagliare i polsi e la fece immergere in acqua molto calda.<br />

Ottavia morì dissanguata mentre Poppea saliva al trono, una<br />

ben triste fine senza dubbio.<br />

Delle accuse degli storici del periodo, la meno credibile è<br />

forse il presunto calcio col quale avrebbe ucciso una Poppea<br />

malata e incinta. Amava la donna e desiderava ardentemente<br />

un figlio e alla sua morte non la dimenticò mai anche se conobbe<br />

l’amore di altre donne. Inoltre il fatto che, per stessa<br />

ammissione di Svetonio Poppea fosse malata al momento del<br />

presunto calcio fa per lo meno ipotizzare una diversa versione<br />

dei fatti. Ad ogni modo, non furono certo gli assassini reali<br />

o presunti, a portare l’aristocrazia e i suoi più stretti amici a<br />

congiurare contro di lui. Nerone oramai si esibiva frequentemente<br />

sulla scena come attore, poeta e cantore, e la cosa era<br />

giudicata oltremodo scandalosa per un Imperatore. Dei poteri<br />

che aveva lasciato al senato abbiamo la prova nella scritta<br />

EX S.C. (Ex Senatus Consultu), scomparsa dalle mo<strong>net</strong>e nel 60;<br />

oramai ai senatori, indolenti e parassiti, non affidava più alcuna<br />

carica preferendo uomini di sua fiducia, spesso liberti e<br />

militari di carriera. Per l’aristocrazia si trattò di un vero e proprio<br />

schiaffo in pieno volto, e ad approfittare della situazione<br />

fu un uomo che Nerone considerava persona di fiducia se<br />

non un vero e proprio amico: Gaio Calpurnio Pisone, amante<br />

della poesia e della recitazione, spesso spinto da Nerone<br />

aveva calcato come lui le scene e, in effetti, le somiglianze con<br />

l’Imperatore erano fin troppe e i suoi sostenitori (fra i quali<br />

c’era anche Seneca che da tempo Nerone aveva allontanato)<br />

non erano dei più scaltri. La congiura fu presto scoperta<br />

e i partecipanti diretti costretti al suicidio, molti altri furono<br />

semplicemente esiliati e una buona parte assolti anche solo<br />

per aver contribuito all’inchiesta con le loro testimonianze.<br />

La moglie di Seneca, che aveva deciso di morire col consorte<br />

tagliandosi le vene, fu salvata in quanto non colpevole e non<br />

meritevole di morire.<br />

Anche in questo caso l’Imperatore dimostrò una clemenza<br />

rara.<br />

A questa seguirono altre congiure che Nerone riuscì sempre a<br />

stroncare sul nascere e che contribuirono a congelare definitivamente<br />

i suoi rapporti con l’aristocrazia e il senato.<br />

Nel 66 Nerone realizzò un sogno che lo aveva accompagnato<br />

fin dall’infanzia: un viaggio di un anno in Grecia durante


ivoluzione e tradiz<br />

il quale partecipò ai giochi che per l’occasione erano stati<br />

accorpati uno di seguito all’altro.<br />

Accumulata una grande quantità di premi e medaglie (nonché<br />

di gloria) tornò a Corinto dove decise di dare vita a un<br />

progetto che già in precedenza avevano studiato Cesare e<br />

Caligola: l’eliminazione dell’istmo che avrebbe accorciato le<br />

distanze con l’Oriente e favorito i commerci marittimi.<br />

Prima del rientro a Roma dove uno scontento ancora più<br />

grande lo attendeva in quanto mai nessun Imperatore si era<br />

allontanato così a lungo dalla capitale e per così “futili” motivi,<br />

pronunciò un discorso davanti ai Greci proclamando la liberazione<br />

della provincia e guadagnandosi così la loro fedeltà<br />

incondizionata, un gesto politico che non gli costò molto ma<br />

che avrebbe dato molti vantaggi all’Impero.<br />

Una volta di più l’Imperatore aveva unito l’utile al dilettevole,<br />

assicurando un alleato fedele a Roma durante un viaggio che<br />

tutti avevano creduto unicamente di svago.<br />

Tornato a Roma non restò con le mani in mano e diede il via a<br />

un altro progetto al quale pensava da tempo. Cominciò a ra-<br />

testo della tradizione<br />

dunare le truppe per l’occupazione del Caucaso in quella che<br />

sarebbe stata la prima mossa di una spedizione sulle orme di<br />

Alessandro Magno ma i preparativi vennero bruscamente<br />

interrotti da un avvenimento che inizialmente Nerone prese<br />

alla leggera: la ribellione di Giulio Vindice, governatore della<br />

Gallia Lugdunense. Vindice chiese e ottenne l’appoggio di<br />

Servio Sulpicio Galba, governatore della Spagna e insieme a<br />

lui partì all’attacco. Inizialmente le truppe del Reno, fedeli a<br />

Nerone seppur con qualche incertezza riuscirono a placare i<br />

rivoltosi e il governatore della Gallia, sconfitto, si uccise.<br />

A questo punto sarebbe bastato poco, infondo Nerone aveva<br />

la fedeltà incondizionata delle province orientali e la neutralità<br />

dei restanti governatori incerti sul da farsi ma l’Imperatore<br />

sembrò aver perso del tutto la voglia di reagire.<br />

Cominciò a parlare di rifugiarsi in Egitto o di vivere della propria<br />

arte, e di certo non giocò a suo favore il fatto di non essersi<br />

mai interessato personalmente dell’esercito e non aver<br />

mai fatto visita alle proprie truppe.<br />

Non passò molto tempo che tutti i governatori gli furono<br />

contro e sui muri della città cominciarono ad apparire scritte<br />

canzonatorie. Anche le poche persone di cui ancora si fidava<br />

lo tradirono o lo lasciarono da solo, persino la sua nuova moglie,<br />

Statilia Messalina, non ci pensò due volte prima di scappare.<br />

Il ruolo più importante nella caduta dell’Imperatore lo<br />

ebbe Ninfidio Sabino, prefetto del pretorio, che lo convinse a<br />

lasciare la Domus Aurea per rifugiarsi in un altro palazzo agli<br />

Orti Servilliani e qui lo lasciò mentre in pubblico diffuse la notizia<br />

che Nerone era fuggito in Egitto. Sulle ultime ore di vita<br />

di Nerone sappiamo poco, le uniche notizie ci vengono da<br />

Svetonio e a queste dobbiamo attenerci sempre ricordando<br />

le premesse iniziali sullo storico che aveva sicuramente tutto<br />

l’interesse a ridicolizzare l’Imperatore.<br />

Secondo Svetonio la pisside piena di veleno gli venne tolta<br />

per cui, incapace inizialmente di farlo da solo, Nerone mandò<br />

a cercare qualcuno che si degnasse di ucciderlo.<br />

Non trovando nessuno pronunciò la frase: “ Dunque non ho<br />

più un amico e nemmeno un nemico!”<br />

Su consiglio di Faone, uno dei pochi liberti che gli erano rimasti<br />

vicini, decise allora di rifugiarsi in una vecchia casa di<br />

campagna a qualche chilometro da Roma.<br />

Qui, circondato dai liberti che lo esortavano a togliersi la vita<br />

prima dell’arrivo delle truppe di Galba, ordinò che venisse<br />

scavata una fossa della misura del suo corpo e fatti i preparativi<br />

per onorare il suo cadavere. Più volte tentò di uccidersi<br />

senza trovare il coraggio e infine, ritrovando la risolutezza che<br />

lo aveva sempre caratterizzato, pronunciò le parole:”Questo<br />

modo di fare è ignobile, turpe, è indegno di Nerone, proprio<br />

indegno! Ci vuole sangue freddo in questi momenti. Via, svegliati!”<br />

e si trafisse la gola con il pugnale.<br />

Era il 9 giugno del 68 d.C.<br />

Ora, non è facile stabilire con chiarezza quale fu la causa sca-<br />

tenante della fine di Nerone.<br />

Sappiamo che il suo governo filo popolare non sarebbe mai<br />

potuto piacere all’aristocrazia, che i conflitti col senato furono<br />

determinanti, e che il suo scarso interesse per la guerra preferendo<br />

di gran lunga la diplomazia all’azione non servì certo a<br />

garantirgli la fedeltà delle truppe.<br />

Può anche darsi che la colpa sia da attribuire a una rivoluzione<br />

culturale che era destinata a rimanere solo un sogno in<br />

quanto Roma non avrebbe mai accettato come sua la cultura<br />

ellenica.<br />

Ma a noi non devono interessare le fantasticherie e i “se” e le<br />

contorsioni mentali col senno di poi, quello che conta realmente<br />

è rendersi conto che gli storici hanno voluto far passare<br />

per mostro un grande uomo di stato le cui azioni e i cui<br />

vizi, (veri o presunti), non furono più crudeli di quelle di altri<br />

Imperatori (anzi, in molti casi dimostrò una clemenza insolita<br />

per quel periodo e quel contesto.).<br />

Il buon Costantino assassinò fra gli altri la moglie e il figlio,<br />

quanti di voi lo ricordano per questo e quanti perché fece del<br />

cristianesimo la religione di stato?<br />

Dobbiamo assolutamente renderci conto che quello che<br />

hanno fatto gli storici duemila anni fa è quello che hanno<br />

continuato a fare per duemila anni fino ai giorni nostri.<br />

E’ su questo che dovremmo riflettere portando la nostra attenzione<br />

alla storia contemporanea, in modo che gli avvenimenti<br />

del passato ci siano di insegnamento per il futuro,<br />

perché impariamo a pensare con la propria testa e a non<br />

smettere mai di chiederci perché.


The Nazi<br />

Connection<br />

Euge<strong>net</strong>ica, razzismo americano<br />

e nazionalsocialismo.<br />

Questo breve estratto a fini di recensione del libro di Stefan<br />

Kühl “The Nazi Connection. Eugenics, American Racism, and<br />

German National Socialism” permetterà di avere un assaggio<br />

- come era nelle intenzioni dell’autore – dei legami esistenti<br />

tra il movimento euge<strong>net</strong>ico ed il programma nazionalsocialista<br />

di igiene razziale, palesando come molti scienziati americani<br />

ebbero a sostenere attivamente la politica di Hitler e<br />

come l’idea di sterilizzazione quale controllo ge<strong>net</strong>ico fosse<br />

stata accettata a livello internazionale dai primi anni del ventesimo<br />

secolo.<br />

L’opera di sintesi e traduzione è stata curata da Marco Linguardo.<br />

1 – Il “Nuovo” Razzismo Scientifico<br />

Nel 1991, l’antropologo Roger Pearson salì alle cronache con<br />

ciò che fu con molta probabilità la più articolata difesa del<br />

razzismo scientifico negli Stati Uniti dal 1945. In Race, Intelligence<br />

and Bias in Acadame (Razza, Intelligenza e Pregiudizio<br />

nel Mondo Accademico), Pearson denunciò “la forte opposizione<br />

dei Marxisti ed altri esponenti della Sinista” verso la<br />

ricerca con implicazioni razziali. Attaccò sia l’accademia sia i<br />

media quali bastioni dell’opposizione politicamente motivata<br />

contro le ricerche della scienza “obiettiva”.<br />

L’euge<strong>net</strong>ica, che Pearson definì con termini moderni come<br />

“l’applicazione pratica della scienza ge<strong>net</strong>ica verso il miglioramento<br />

della salute ge<strong>net</strong>ica delle generazioni future” fu<br />

un movimento politicamente e scientificamente influente<br />

nella prima metà del ventesimo secolo, particolarmente in<br />

Gran Bretagna, Stati Uniti, e Germania. La parola euge<strong>net</strong>ica<br />

fu originariamente coniata da Francis Galton nel 1883. Dal<br />

suo punto di vista, il movimento euge<strong>net</strong>ico avrebbe dovuto<br />

aspirare a dare “alle razze più adatte una possibilità maggiore<br />

di prevalere con rapidità su quelle meno adatte.”<br />

In accordo con Pearson, gli euge<strong>net</strong>isti ritenevano che gli<br />

Europei così come altre razze dotate avevano già capacità<br />

ge<strong>net</strong>iche distinte e che “alcuni individui e popolazioni incrociate<br />

avevano qualità ge<strong>net</strong>icamente trasmissibili che erano<br />

intellettualmente, fisicamente e moralmente più desiderabili”.<br />

Gli euge<strong>net</strong>isti utilizzavano due differenti approcci per migliorare<br />

il “patrimonio ge<strong>net</strong>ico nazionale”. Gli “euge<strong>net</strong>isti negativi,”<br />

nelle parole di Pearson, tentavano “di liberare le future<br />

generazioni da evitabili handicap ge<strong>net</strong>icamente trasmissibili.”<br />

Gli “euge<strong>net</strong>isti positivi”,dall’altro lato, vedevano “la possibilità<br />

di aumentare la qualità ge<strong>net</strong>ica totale della nazione<br />

garantendo un tasso di nascita superiore tra i meglio dotati<br />

ge<strong>net</strong>icamente.”<br />

Bisogna ricordare che le pubblicazioni di Pearson furono supportate,<br />

in parte, dal Pioneer Fund, una fondazione la cui iniziale<br />

leadership elogiò gli aspetti della politica razziale della<br />

Germania Nazionalsocialista e che ha, negli anni più recenti,<br />

dato sostegno finanziario a controverse ricerche sulla razza e<br />

sull’intelligenza.<br />

Lo scopo dichiarato del Fund era di “aumentare le caratteristiche<br />

del popolo Americano” per mezzo dell’incoraggiamento<br />

alla procreazione dei discenti delle “genti bianche che si stabilirono<br />

nelle originali tredici colonie prima di adottare la Costituzione”<br />

e fornire aiuto alle ricerche condotte sul “miglioramento<br />

della razza con particolare interesse verso il popolo<br />

degli Stati Uniti.” Oggi, il Pioneer Fund è il più importante supporter<br />

finanziario alla ricerca concernente la connessione tra<br />

razza ed eredità negli Stati Uniti. Continua anche a finanziare<br />

studi nelle aree dell’euge<strong>net</strong>ica, ge<strong>net</strong>ica umana, ed immigrazione.<br />

Il Pioneer Fund fornì sostegno quindi a Pearson per la sua<br />

estesa attività letteraria ed aiutò a rendere possibile la ricerca<br />

di quasi tutti gli scienziati che Pearson difendeva dalle “tecniche<br />

Marxiste” che gridavano al “razzismo”, “nazismo,” e “fascismo.”<br />

Per fare qualche esempio, quando Arthur J. Jensen, che Pearson<br />

definì “il principale ricercatore responsabile della rinascita<br />

del pensiero di ‘ereditarietà’ nei recenti decenni,”divenne<br />

noto per le sue tesi dove si affermava che i neri fossero in maniera<br />

ereditaria meno intelligenti dei bianchi, il Pioneer Fund<br />

si mostrò impaziente di finanziare il lavoro.<br />

Jensen ricevette il supporto di un altro protetto del Pioneer<br />

Fund, William Shockley. Nel 1970, Shockley, premio Nobel per<br />

la fisica nel 1956, dichiarò che la qualità della razza umana<br />

stava diminuendo a causa del fatto che le ricerche ge<strong>net</strong>iche<br />

venivano sempre più trascurate.<br />

Il supporto del Pioneer Fund non fu limitato a Jensen, Shockley,<br />

Pearson, Rushton, Gordon e al Progetto Minnesota ma<br />

la lista di altri beneficiari di sussidi di questa Fondazione<br />

comprendeva l’American Immigration Control Federation<br />

(Federazione Americana per il Controllo dell’Immigrazione),<br />

la Foundation of Human Understanding (Fondazione sulla<br />

Conoscenza Umana), Richard Lynn, professore di psicologia<br />

dell’Università dell’Ulster, l’Istituto Eysenck di Psichiatria dell’Università<br />

di Londra, e Seymour Itzkoff dello Smith College.<br />

2 – Relazioni Tedesco-Americane entro il Movimento Internazionale<br />

di Euge<strong>net</strong>ica prima del 1933<br />

In un’intervista per il Berliner Tageblatt, Alfred Ploetz, il fondatore<br />

tedesco della scienza dell’igiene razziale, discusse la sua<br />

esperienza negli States al primo Congresso Internazionale<br />

per l’Euge<strong>net</strong>ica tenutosi a Londra nel 1912. Ploetz descrisse<br />

gli Stati Uniti come un chiaro leader nel regno dell’euge<strong>net</strong>i-


ca. Nel suo commento prefigurava lo sviluppo della relazione<br />

tra euge<strong>net</strong>isti tedeschi ed americani che si sarebbe basato<br />

su di una emergente comunità internazionale di scienziati<br />

dediti al miglioramento della razza.<br />

Gli euge<strong>net</strong>isti europei ammiravano il successo della loro<br />

controparte americana nell’influenzare la legislazione in materia<br />

di euge<strong>net</strong>ica ed ottenere estesi aiuti finanziari per il<br />

movimento euge<strong>net</strong>ico americano.<br />

Che poi i ge<strong>net</strong>isti razziali tedeschi in generale ed in particolare<br />

di Berlino fossero ben informati circa la situazione dell’euge<strong>net</strong>ica<br />

in Nord America si deve in parte ad uno dei più attivi<br />

membri della società di Berlino. Géza von Hoffmann, che passò<br />

molti anni in California come viceconsole austriaco, infatti<br />

informava regolarmente i suoi colleghi tedeschi e il pubblico<br />

sugli sviluppi dell’euge<strong>net</strong>ica negli Stati Uniti. Nel 1913, pubblicò<br />

un libro, Die Rassenhygiene in den Vereinigten Staaten<br />

von Nordamerika (Igiene Razziale negli Stati Uniti del Nord<br />

America), che più tardi sarebbe divenuto uno dei libri base<br />

del neonato movimento euge<strong>net</strong>ico. Dopo un’introduzione<br />

testo della tradizione<br />

che abbozzava le basi scientifiche dell’euge<strong>net</strong>ica il testo ri-<br />

feriva di un’ampia accettazione degli ideali euge<strong>net</strong>ici negli<br />

Stati Uniti sostenendo che la speranza di Galton che l’euge<strong>net</strong>ica<br />

sarebbe divenuta “la religione del futuro” si stava ivi<br />

realizzando.<br />

Le teorie sull’evoluzione e decadimento (Entartung), l’importanza<br />

dell’ereditarietà, e la possibilità del miglioramento razziale<br />

stavano pe<strong>net</strong>rando il pensiero scientifico americano e<br />

la vita sociale.<br />

Il capitolo finale di Hoffmann indicava l’orientamento euge<strong>net</strong>ico<br />

delle restrizioni americane sull’immigrazione. Spiegava<br />

che per gli euge<strong>net</strong>isti americani la selezione fosse basata<br />

sia sull’individuo che sulla razza. L’”Homo Europaeus, il tipo<br />

Germanico e Nordico” servivano quali modelli della superiorità<br />

razziale.<br />

La Prima Guerra Mondiale mise ovviamente a dura prova le<br />

relazioni internazionali tra euge<strong>net</strong>isti. Il Secondo Congresso<br />

Internazionale di Euge<strong>net</strong>ica fu posticipato, e il Comitato Permanente<br />

cessò di incontrarsi sino all’Ottobre del 1919. Il Congresso<br />

ebbe luogo a New York City nel Settembre 1921 senza<br />

la partecipazione tedesca che dal 1925 tornò comunque a<br />

riunirsi al movimento internazionale allorquando le relazioni<br />

tra ge<strong>net</strong>isti tedeschi ed americani si ebbero già ricucite.<br />

A sottolineare lo stretto lavoro di inter-relazione tra America<br />

e Germania ci fu il sostanzioso supporto finanziario delle<br />

fondazioni americane per il sostegno della ricerca euge<strong>net</strong>ica<br />

in Germania. Il principale sostenitore fu la Fondazione Rockefeller<br />

di New York. Questa finanziò la ricerca dell’igienista razziale<br />

Agnes Bluhm oltre ad altri studiosi quali Herrmann Poll,<br />

Alfred Grotjahn, e Hans Nachtsheim. La fondazione Rockefeller<br />

giocò inoltre un ruolo centrale nello sponsorizzare i principali<br />

istituti di euge<strong>net</strong>ica in Germania, inclusi l’Istituto Kaiser<br />

Wilhelm per la Psichiatria e per l’Antropologia, l’Euge<strong>net</strong>ica e<br />

l’Ereditarietà Umana. E continuò a sostenere gli euge<strong>net</strong>isti<br />

tedeschi anche dopo che il Nazionalsocialismo ebbe ad assumere<br />

il controllo della scienza tedesca.<br />

Il Terzo Congresso di Euge<strong>net</strong>ica, tenutosi nel 1932 a New<br />

York, fu un contrattempo per la Germania in termini di estensione<br />

dell’influenza tedesca entro il movimento internazionale<br />

di euge<strong>net</strong>ica. Di fatti la Depressione e le relative difficoltà<br />

economiche furono di impedimento affinché importanti igienisti<br />

razziali potessero parteciparvi. Il tema del Congresso era<br />

“Un Decennio di Progresso nell’Euge<strong>net</strong>ica”.<br />

Il “decennio di progresso” si riferiva sia ai passi avanti nella<br />

cosiddetta euge<strong>net</strong>ica pura sia in quella “applicata”. Il movimento<br />

di sterilizzazione nelle varie nazioni del mondo era<br />

avanzato. Nel 1928, il Cantone Vaud Svizzero aveva promosso<br />

una legge che permetteva la sterilizzazione di persone<br />

mentalmente handicappate se gli amministratori della salute<br />

avessero ravveduto il pericolo che l’individuo in questione<br />

avrebbe potuto produrre una prole degenerata. La Danimar-<br />

ca applicò un anno più tardi una legge simile. Dal 1928, la<br />

Società Euge<strong>net</strong>ica in Gran Bretagna aveva iniziato una campagna<br />

per la sterilizzazione volontaria.<br />

La discussione in Germania sulla sterilizzazione, prima dell’applicazione<br />

della legge sulla Prevenzione delle Malattie<br />

Ereditarie nella Progenie passata il 14 Giugno del 1933, fu fortemente<br />

influenzata dai modelli americani. Nel Maggio 1923,<br />

Boeters mandò un rapporto al governatore della Sassonia nel<br />

quale chiedeva una sterilizzazione obbligatoria per ciechi e<br />

sordi ereditari, per gli handicappati mentali, i malati mentali,<br />

i “pervertiti” sessuali, ed i padri con due o più figli illegittimi.<br />

Egli pubblicò un modello di legge, la cosiddetta Lex Zwickau<br />

in cui Boeters si riferì direttamente all’esperienza negli Stati<br />

Uniti, affermando, “In una nazione avanzata di primo ordine<br />

che ci sforziamo di seguire – ovvero gli Stati Uniti d’America<br />

- la legge sulla sterilizzazione è stata introdotta e testata<br />

tempo fa”<br />

Due libri del 1929 fornirono agli igienisti razziali tedeschi del<br />

vasto materiale circa la situazione negli Stati Uniti d’America.<br />

Uno studio sulla sterilizzazione in California degli eugenisti<br />

Eugene S. Gosney e Paul Popenoe fu tradotto in tedesco soltanto<br />

un anno dopo la sua comparsa negli Stati Uniti.<br />

3 – Il Contesto Internazionale<br />

Nell’estate del 1934, un anno e mezzo dopo che i Nazisti salirono<br />

al potere in Germania, la Federazione Internazionale<br />

delle Organizzazioni d’Euge<strong>net</strong>ica (IFEO), nell’incontro di<br />

Zurigo, passò una risoluzione a cui la propaganda Nazista<br />

farà frequentemente riferimento per illustrare l’accettazione<br />

internazionale alla loro politica razziale. In questa risoluzione<br />

inviata ai primi ministri di tutte le principali potenze occidentali,<br />

l’IFEO affermava che, malgrado tutte le differenze<br />

di prospettive politiche e sociali, l’organizzazione era “unita<br />

toria e controstoria


The Nazi<br />

Connection<br />

da un profondo convincimento che la ricerca euge<strong>net</strong>ica e<br />

la pratica fossero della più alta urgenza ed importanza per<br />

l’esistenza di tutti i paesi civili.”<br />

Gli igienisti razziali tedeschi e i politici della razza nazionalsocialisti<br />

videro la risoluzione come una conferma della preponderanza<br />

tedesca ed americana nel movimento euge<strong>net</strong>ico e<br />

come un’approvazione internazionale della legge sulla sterilizzazione<br />

del 1933.<br />

Alla conferenza IFEO del 1936 a Scheveningen, nei Paesi Bassi,<br />

Charles M. Goethe presidente dell’Associazione della Ricerca<br />

Euge<strong>net</strong>ica, spiegò agli euge<strong>net</strong>isti europei che a causa della<br />

“bassa qualità nella composizione” di certi strati della popolazione<br />

americana, gli Stati Uniti avevano adottato forti misure<br />

per prevenire un’ulteriore ingresso di immigrati indesiderati<br />

e per purificare la popolazione esistente.<br />

La stampa scientifica tedesca e i media nazisti riportarono<br />

estesamente i risultati della Conferenza. Il Völkischer Beobachter,<br />

voce ufficiale del governo nazista, affermava che nonostante<br />

le differenti visioni del mondo, la conferenza accettò<br />

l’ “assoluta posizione di leader della Germania nella ricerca<br />

ge<strong>net</strong>ica e le misure pratiche nell’area della salute razziale”.<br />

Il Völkischer Beobachter concludeva che “i principali igienisti<br />

razziali di quasi tutte le nazioni civilizzate avevano concordato<br />

con la posizione tedesca e accettato la correttezza delle<br />

misure adottate in Germania.”<br />

Il Congresso Internazionale di Scienza di Popolazione del<br />

1935 a Berlino segnò l’apice del sostegno internazionale alla<br />

politica razziale nazista e rappresentò un grande successo per<br />

la macchina di propaganda razziale del nazionalsocialismo. Il<br />

congresso riunì importanti euge<strong>net</strong>isti, antropologi, scienziati<br />

di popolazione, e ge<strong>net</strong>isti da tutto il mondo.<br />

Clarence G. Campbell, che era il rappresentante più anziano<br />

del movimento euge<strong>net</strong>ico americano a Berlino distribuì una<br />

lettura de “Postulati Biologici dello Studio della Popolazione”.<br />

Dopo aver elogiato un vasto numero di euge<strong>net</strong>isti non tedeschi,<br />

così procedette:<br />

“E’da una sintesi del lavoro di tutti questi uomini che il leader<br />

della Nazione Tedesca, Adolf Hitler, abilmente sostenuto dal<br />

Ministro degli Interni, Dr. Frick, e guidato da antropologi,da<br />

euge<strong>net</strong>isti e filosofi sociali della nazione, è stato capace di<br />

costruire una completa politica razziale sullo sviluppo e miglioramento<br />

della popolazione che promette di essere epocale<br />

nella storia della razza. Egli ha posto un modello che altre<br />

nazioni e altri gruppi razziali debbono seguire, se non desiderano<br />

abbassare la loro qualità razziale, la loro realizzazione<br />

razziale, e le loro prospettive di sopravvivenza.”<br />

Gli igienisti razziali tedeschi erano consci dell’importante ruolo<br />

giocato da Campbell nel guidare il sostegno alla politica<br />

razziale nazista. Nel suo discorso finale circa “razza e successi<br />

(Rasse und Leistung),” il motivo conduttore della conferenza,<br />

Fischer fece infatti un particolare riferimento alle “eccellenti<br />

osservazioni di Mr. Campbell.”<br />

4 – Sterilizzazione in Germania e negli Stati Uniti<br />

L’amministrazione nazista si riferì al “modello U.S.” come<br />

avente un ruolo importante nella formulazione della propria<br />

politica razziale. Otto Wagener, capo dell’Ufficio Politico-Economico<br />

del Partito Nazista dal 1931 al 1933, scrisse a riguardo<br />

del particolare interesse di Hitler nei confronti degli sviluppi<br />

dell’euge<strong>net</strong>ica negli Stati Uniti affermando che lo stesso<br />

Führer avrebbe detto:<br />

“Ora che conosciamo le leggi sull’ereditarietà, è possibile<br />

un’azione estesa per prevenire che esseri malati e severamente<br />

handicappati possano venire alla luce. Ho studiato con<br />

grande interesse le leggi di molti stati americani concernenti<br />

la prevenzione e la riproduzione di persone la cui progenie<br />

sarebbe, con tutta probabilità, di nessun valore o pericolosa<br />

per il complesso razziale. Sono sicuro che occasionalmente<br />

degli errori possano avvenire. Ma la possibilità di eccessi ed<br />

errori non è tuttavia prova della non correttezza di tali leggi.”<br />

Nel 1935, la Rassenpolititische Auslandskorrespondentz<br />

affermò che, in termini di euge<strong>net</strong>ica, la Germania era una<br />

“buona discepola di altre società civilizzate”. Nel 1939, l’Archive<br />

für Rassen- und Gesellschaftsbiologie affermò che gli Stati<br />

Uniti avevano “raggiunto qualcosa di grande” col passaggio<br />

alle loro prime misure di sterilizzazione. Egualmente, Volk un<br />

Rasse riferì con favore le decisioni della Suprema Corte degli<br />

Stati Uniti che legittimava la sterilizzazione obbligatoria nel<br />

1916 e ancora nel 1927.<br />

Nel Febbraio del 1934, Hans F.K. Günther, antropologo razziale,<br />

spiegò al suo uditorio in una sala stracolma dell’Università<br />

di Monaco che fosse ragguardevole il fatto che “ le leggi<br />

sull’immigrazione americane fossero state accettate da una<br />

schiacciante maggioranza, sebbene gli Stati Uniti apparissero<br />

come il più liberale paese del mondo”. Fece riferimento a<br />

Grand e Stoddard quali “padri spirituali” della legislazione sull’immigrazione<br />

e propose che tali leggi servissero da modello<br />

per la Germania. Gli igienisti razziali nazionalsocialisti furono<br />

particolarmente impressionati dal modo in cui la politica<br />

americana sull’immigrazione combinasse la selezione euge<strong>net</strong>ica<br />

con quella etnica.<br />

Gli euge<strong>net</strong>isti americani divennero dunque consapevoli ed<br />

orgogliosi del loro impatto sulla legislazione nella Germania<br />

nazista. Riconoscevano che la Legge Tedesca sulla Prevenzione<br />

delle Malattie Ereditarie sulla Progenie fu fortemente influenzata<br />

dalla legge californiana sulla sterilizzazione.<br />

Di conseguenza a tali mutui riconoscimenti, non è sorprendente<br />

che Popenoe, Gosney, ed il movimento euge<strong>net</strong>ico<br />

californiano nel complesso sostenessero con forza la legge<br />

nazista sulla sterilizzazione. A tal fine tra le varie attività,<br />

nel 1934 il movimento euge<strong>net</strong>ico californiano organizzò la<br />

presentazione di una mostra sul programma euge<strong>net</strong>ico del<br />

Reich. Sostegno che si può facilmente evincere anche attra-


verso la lettura di numerosi articoli apparsi in quel periodo<br />

sul Eugenic Nerws.<br />

5 – Euge<strong>net</strong>isti Americani nella Germania Nazista<br />

Come avvenne anni addietro per il movimento euge<strong>net</strong>ico<br />

tedesco nei confronti degli Stati Uniti, divenne importante<br />

per gli euge<strong>net</strong>isti americani acquisire fonti di prima mano<br />

riguardanti l’applicazione delle misure in Germania. Dal loro<br />

punto di vista, il successo delle leggi euge<strong>net</strong>iche tedesche<br />

risultava dalla consistente applicazione di un esemplare disegno<br />

legislativo. Allo scopo di promuovere la politica razziale<br />

tedesca, gli euge<strong>net</strong>isti americani tentarono di raccogliere<br />

informazioni e prove con cui essi potessero contrastare le<br />

critiche, come anche le voci circa lo scopo della legge sulla<br />

sterilizzazione tedesca quale metodo per eliminare la popolazione<br />

ebraica. Così anche dopo che i Nazionalsocialisti salirono<br />

al potere nel 1933 gli euge<strong>net</strong>isti americani viaggiarono<br />

frequentemente nella Germania rossobruna.<br />

testo della tradizione<br />

Il primo euge<strong>net</strong>ista Americano che venne nel Reich per testi-<br />

moniare l’applicazione delle misure euge<strong>net</strong>iche fu William<br />

W. Petee, segretario dell’Associazione Americana di Salute<br />

Pubblica. Nel 1933 e 1934, questi viaggiò attraverso la Germania<br />

per sei mesi stipendiato dalla Karl Schurz Foundation.<br />

La persona che studiò la politica razziale tedesca in gran dettaglio<br />

e che contribuì a diffondere i vantaggi della politica<br />

razziale nazista all’interno del movimento euge<strong>net</strong>ico americano<br />

fu comunque Marie E. Kopp. Questa – tra le sue innumerevoli<br />

affermazioni - sottolineò l’importanza delle Germania<br />

come “prima nazione nel mondo a porre in essere un esteso<br />

programma euge<strong>net</strong>ico tra i suoi 65 milioni di abitanti.” Tali<br />

misure razziali “erano imperative per correggere condizioni<br />

che stavano minando la salute della nazione”.<br />

Anche dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, euge<strong>net</strong>isti<br />

americani continuarono a far visita alla nazione tedesca.<br />

Lothrop Stoddard trascorse quattro mesi in Germania e la<br />

propaganda nazista orgogliosamente sottolineò il fatto che<br />

un così famoso euge<strong>net</strong>ista americano stesse visitando la<br />

Germania anche dopo lo scoppio della guerra. A Stoddard<br />

fu permesso di colloquiare con le più alte cariche tedesche,<br />

come Heinrich Himmler, Joachim von Ribbentrop e Richard<br />

Walter Darré. William L. Shirer, un collega americano che era<br />

stato in Germania dal 1934, si lagnò del fatto che il Ministro<br />

della Propaganda del Reich diede una preferenza particolare<br />

a Stoddard a ragione dei suoi scritti sull’argomento razziale<br />

che “figuravano nei libri di testo scolastici nazisti”. Stoddard<br />

incontrò altresì i massimi igienisti razziali del Reich, quali<br />

Hans F.K. Günther, Eugen Fischer e Fritz Lenz.<br />

6 - Conclusione<br />

Ovviamente malgrado l’ampio supporto alla politica razzista<br />

nazionalsocialista entro il movimento euge<strong>net</strong>ico americano,<br />

gli studi storici americani hanno tradizionalmente affermato<br />

che soltanto un piccolo gruppo di euge<strong>net</strong>isti sostenevano la<br />

politica razziale del nazismo, e che questi gruppi furono progressivamente<br />

emarginati e discreditati all’interno della comunità<br />

scientifica. Questo egregio lavoro di Kühl dedicherà<br />

l’ultima parte dell’opera ricca di citazioni e note a dimostrare<br />

come la sopra citata affermazione non sia corrispondente<br />

all’effettivo atteggiamento tenuto da quegli euge<strong>net</strong>isti che<br />

dopo la guerra si affrettarono ad autoproclamarsi “scienziati”<br />

in contrapposizione ai “pseudoscienziati” che si occuparono a<br />

loro dire dell’aspetto politico dell’euge<strong>net</strong>ica.<br />

Fonte: The Nazi Connection – Eugenics, American Racism and<br />

German National Socialism - Stefan Kühl – Oxford University<br />

Press<br />

Traduzione e Sintesi ad opera di. Marco Linguardo<br />

Associazione Culturale <strong>Thule</strong> Italia<br />

toria e controstoria


Il Primo Caduto<br />

della<br />

Guerra Civile<br />

«Voi siete l’espressione del valore sovrumano, un impeto senza peso, un’offerta senza<br />

misura, un pugno d’incenso sulla brace, l’aroma di un’anima pura».<br />

D’Annunzio parlando di Ettore Muti<br />

Poco prima della mezzanotte del 23 agosto 1943 una piccola<br />

colonna di automezzi dei Reali Carabinieri parte dall’autocentro<br />

del Ministero dell’Interno: un’autovettura, un autocarro,<br />

un’ambulanza. A bordo un tenente dell’Arma (Taddei), un<br />

maresciallo in borghese (Ricci), un uomo in tuta kaki di cui<br />

nessuno saprà mai il nome - basso, stempiato, sulla quarantina,<br />

con accento napoletano - e una dozzina di carabinieri<br />

armati di moschetto.<br />

Escono da Roma deserta nella notte (vige il coprifuoco), percorrono<br />

la via Aurelia, raggiungono Maccarese. Nella periferia<br />

della cittadina lasciano l’ambulanza, che attenda il loro ritorno,<br />

e sostano alla locale stazione dei carabinieri. Viene svegliato<br />

il maresciallo che la comanda, al quale il tenente chiede<br />

due militi perché facciano da guida alla comitiva fino a Fregene.<br />

Salgono sull’auto i carabinieri Contiero e Frau; la colonna<br />

riparte silenziosa nel buio, sguscia per la campagna e si ferma<br />

davanti alla piccola caserma dei carabinieri di Fregene.<br />

La comanda il brigadiere Barolat, che viene tirato giù dal letto<br />

e invitato ad unirsi alla comitiva. Perché? Risponde brusco il<br />

tenente: “Abbiamo l’ordine di arrestare Ettore Muti e lei deve<br />

condurci alla sua abitazione”. Meraviglia dell’assonnato brigadiere.<br />

Con tutto quello schieramento di forze ? Non era più<br />

semplice mandare un piantone a chiamarlo, come era stato<br />

fatto altre volte? «No», è la risposta. «Questa volta la cosa è<br />

diversa».<br />

E in effetti fu una «cosa diversa».<br />

Dopo aver imbarcato il brigadiere, autovettura ed autocarro<br />

proseguono per la strada sterrata che conduce alla pi<strong>net</strong>a di<br />

Fregene, ai cui margini sorge, piuttosto isolata, la bassa villetta<br />

ad un piano che è la residenza di Muti.<br />

Fermate le macchine ad una certa distanza e spenti i motori,<br />

gli uomini vengono fatti proseguire a piedi, in colonna e in<br />

silenzio, fino alla costruzione. «Abita qui» dice il brigadiere.<br />

Bene, risponde l’ufficiale, e ordina di circondare la casa imbracciando<br />

i moschetti e di bussare alla porta. L’ordine viene<br />

eseguito, ma nella villa tutti dormono e ci vorrà qualche minuto<br />

perché la porta venga aperta.<br />

Assonnato compare sull’uscio l’attendente di Muti, che stupefatto<br />

chiede al brigadiere Barolat, da lui ben conosciuto, il<br />

perché di quell’insolita visita alle due di notte. Ma la meraviglia<br />

gli passa di colpo quando un gruppetto di armati, tenente<br />

in testa, fa irruzione nell’interno. «Ho un mandato di cattura<br />

per Ettore Muti. Svegliatelo e fate presto!» spiega secco il<br />

tenente.<br />

Muti era in camera da letto, e non era solo. Da tempo conviveva<br />

con lui una ballerina polacca di una compagnia di riviste,<br />

Edith Fucherova. Svegliato forse dal trambusto, compare<br />

sulla porta dell’ingresso a torso nudo, con i soli pantaloni<br />

del pigiama. Compaiono anche gli altri pochi abitanti della<br />

villetta: Concetta Verità, la cameriera, e Roberto Rivalta, un<br />

vecchio amico di famiglia di Muti. Questi si guarda intorno,<br />

apparentemente tranquillo, accenna un sorriso al brigadiere<br />

che conosce, chiede che cosa si voglia da lui. Risponde senza<br />

complimenti il tenente Taddei: «Ho l’ordine di arrestarla. Si<br />

vesta e venga con noi». Sguardo sbalordito di Muti, poi una<br />

scrollata di spalle:«Va bene, mi vesto e vengo subito». Il tenente<br />

lo rincorre mentre si dirige verso la camera da letto. Muti<br />

incomincia a seccarsi: «Tenente, so vestirmi anche da solo». E<br />

poi, spiega, nella camera c’è un’altra persona. Ma l’altro insiste<br />

e si giustifica: «Ho l’ordine di non perderla di vista neppure<br />

un minuto».<br />

Eseguita rapidamente la vestizione, Muti allunga il braccio<br />

nell’interno dell’armadio in cui pende la sua giacca di tenente<br />

colonnello pilota dell’Aeronautica, con quattro file di decorazioni<br />

sul petto. Il solerte carabiniere non gradisce, osserva che<br />

farebbe meglio a vestirsi in borghese, tanto (ma su questo<br />

particolare le versioni non concordano) «le sue medaglie ora<br />

non servono».<br />

Muti indossa ugualmente la sua giubba gloriosa, si fa preparare<br />

un borsa con un po’ di biancheria e parte con l’ufficiale e<br />

con gli altri, verso la notte esterna.<br />

Parte anche verso la morte. Invece di prendere la strada che<br />

conduce a Fregene, sulla quale erano rimasti gli automezzi,<br />

la comitiva si dirige a piedi, in colonna, nella direzione opposta:<br />

quella che porta alla pi<strong>net</strong>a. In testa alcuni carabinieri, nel<br />

mezzo Muti affiancato dal Maresciallo Ricci e dal carabiniere<br />

Frau immediatamente alle sue spalle, a due passi di distanza,<br />

il misterioso uomo in tuta kaki; e in coda, un po’ distanziato, il<br />

tenente con gli altri carabinieri.<br />

Alcuni minuti di marcia silenziosa nei viottoli della pi<strong>net</strong>a; poi<br />

Muti si ferma. Evidentemente l’illogica direzione verso cui lo<br />

stanno portando fa nascere in lui qualche sospetto. Ma non<br />

ha tempo per approfondirlo.<br />

Nella notte fonda dei bosco si ode un fischio, poi un altro, poi<br />

la sua voce che grida: «Ma insomma, che fate? Sono un <strong>italia</strong>no!»<br />

Il tutto viene sommerso da alcuni scoppi di bombe a mano,<br />

raffiche di mitra, confuso fuoco di fucileria. Due, tre minuti di<br />

bolgia infernale, al termine della quale Ettore Muti giace al<br />

suolo, nell’immobilità della morte.<br />

Erano circa le tre di notte del 24 agosto 1943. In quella notte,<br />

nella pi<strong>net</strong>a di Fregene, ha inizio la guerra civile che strazierà<br />

l’Italia, di lì a poco, per due anni. E il fascista Muti, assassinato<br />

da altri <strong>italia</strong>ni, ne è la prima vittima.<br />

Si è molto strologato, da una parte sulla «casualità» dell’accaduto,<br />

addotta dalle autorità del tempo e subito recepita dalla<br />

storiografia dei mezzi d’informazione, nonché sulla presenza,<br />

nelle vicinanze, di un campo di paracadutisti germanici verso<br />

il quale Muti avrebbe tentato di fuggire, dando così motivo<br />

alla sparatoria che l’ha ucciso.<br />

E dall’altra parte, su un messaggio scritto da Badoglio al capo<br />

della polizia Senise, che Senise nega di aver ricevuto e che<br />

non è stato trovato (ma c’era bisogno di scriverlo?): «Muti è<br />

sempre una minaccia. il successo è possibile solo con un me-


ticoloso lavoro di preparazione. Vostra eccellenza mi ha perfettamente<br />

compreso».<br />

Lo stile di Badoglio, (ha lasciato scritto di essere, come generale<br />

in guerra, «meticoloso nella preparazione e irruento nell’azione»),<br />

ma sono tutte discussioni di lana caprina. L’intento<br />

omicida della spedizione Taddei emerge indubitabile da due<br />

dati di fatto su cui concordano tutte le testimonianze.<br />

Primo, e minore, i due fischi. Non si fischia, in quelle specifiche<br />

circostanze, per divertimento. Un fischio significa un ordine,<br />

un avvertimento, non può essere altro. E l’altro fischio probabilmente<br />

risponde: «ricevuto».<br />

Secondo dato, determinante in assoluto, è il percorso su cui<br />

Taddei e i suoi uomini hanno condotto Muti dopo l’arresto.<br />

Il mandato di cattura comportava obbligatoriamente la traduzione<br />

in un carcere, che avrebbe dovuto essere la caserma<br />

dei carabinieri di Fregene o più verosimilmente un carcere di<br />

Roma, raggiungibile percorrendo la via Aurelia dopo avere<br />

sorpassato Fregene. Invece il drappello armato che ha seguito<br />

l’arresto lascia sul posto i propri automezzi, conduce l’arre-<br />

testo della tradizione<br />

stato nella direzione opposta e si inoltra a piedi nella pi<strong>net</strong>a.<br />

Perché? Non si raggiunge nessun carcere da quella parte! Ovvio<br />

dedurne che un mandato di cattura fu solo un pretesto,<br />

l’intento reale essendo l’eliminazione dell’uomo.<br />

Due altri dati, solo apparentemente secondari, rafforzano la<br />

conclusione. Nei pochi minuti di furiosa sparatoria al buio tutti<br />

rimasero incolumi ed un solo fu colpito, e colpito a morte:<br />

Muti.<br />

Logico dedurne che anche la sparatoria fu un pretesto, per<br />

giustificare e coprire i soli colpi diretti contro un bersaglio:<br />

quelli che uccisero lui.<br />

E inevitabilmente si pensa al misterioso uomo in tuta così ben<br />

protetto da essere ignoto ancor oggi: il killer che stava alle sue<br />

spalle ed ha compiuto la parte del «lavoro» che non si addiceva<br />

alle divise degli altri. Infatti - secondo dato comprovante - il<br />

berretto che Muti portava, recuperato fortunosamente dalla<br />

famiglia e tuttora esistente, reca due fori di proiettile: uno sul<br />

dietro, in corrispondenza della nuca, l’altro davanti, che attraversa<br />

la visiera. Che cosa si vuole di più?<br />

Sul significato e la «morale» da trarre da questo omicidio che<br />

oggi i cronisti direbbero «eccellente», voluto ed eseguito da<br />

uomini che facevano riferimento ad un governo che si diceva<br />

costituzionale (ma non lo era), potrebbero e dovrebbero farsi<br />

diverse riflessioni, che finora non risulta siano state fatte.<br />

E’ sperabile che qualche onesto storico del futuro vi si accinga.<br />

Storicamente il fatto è rilevante, assai più di quanto sia<br />

stato finora considerato: richiama alla memoria l’assassinio<br />

di Calvo Sotelo, che precedette la guerra civile spagnola. Per<br />

cinquant’anni ed oltre gli avversari del fascismo hanno goduto<br />

di una buona «rendita» tenendo vivo il culto del delitto<br />

Matteotti, che fu indubbiamente un omicidio ma preterintenzionale,<br />

in quanto non programmato da mandanti ed esecutori<br />

che volevano soltanto «dare una lezione» all’esponente<br />

socialista. Il delitto Muti fu invece chiaramente deliberato e<br />

voluto, inaugurando il sistema della eliminazione fisica degli<br />

avversari politici che fu caratteristico della guerra civile e causò<br />

all’Italia dolori e danni che durano ancora.<br />

Di Enzo Capaldo<br />

Tratto dal sito: http://www.<strong>italia</strong>-rsi.org<br />

di Frostland - mark.dan@alice.it<br />

toria e controstoria


viaggi e resoconti<br />

viaggi e resoconti viaggi e resoconti


Viaggi e<br />

Resoconti<br />

diario di viaggio: Linz di frida<br />

25 Settembre. 1° giorno<br />

Bentornati!<br />

Ci siamo salutati nel numero di ottobre nella stazione di Vienna<br />

alle 15,30 ed ora, puntualissimi come è d’uopo in Austria,<br />

ecco giunti alle 17,10 alla stazione di Linz, modernissima, su<br />

due piani, assomigliante ad un grande centro commerciale<br />

pieno di ristoranti e negozi e con un’enorme libreria che<br />

adocchiamo subito e che sarà ripetutamente visitata tutte le<br />

volte che nei prossimi giorni passeremo da qui e vedrete che<br />

non saranno poche…!!<br />

Radunate le nostre valige prendiamo un taxi e andiamo l’indirizzo<br />

dell’Hotel DREI MOHREN (Promenade 17 Linz) (http://<br />

www.ab<strong>net</strong>.at/hotel/oo/ldreimohren/ ).<br />

Situato in centro davanti alla sede del Governo della provincia<br />

- il Landhaus - e’ stato da noi scelto per il suo significato<br />

storico. Esiste dal 1565, da generazioni gestito dalla stessa famiglia<br />

e mostrante sin da subito una calda accoglienza - tralasciando<br />

l’assenza dell’ascensore…<br />

La stanza è grande e tranquilla, con un terrazzino e una vista<br />

magnifica sui tetti (siamo al 5° piano) e sulla guglia del Neuer<br />

Dom .<br />

Questa cattedrale in stile neogotico ricorda da vicino lo Stephandom<br />

di Vienna costruita nel 1862 e con un campanile<br />

alto 134 metri (per non superare quello del suo modello da<br />

136 metri).<br />

Avendo preparato bene la documentazione storica a Roma<br />

prima del viaggio, siamo eccitati da quello che ci aspetta questa<br />

tappa .. un po’ come i bambini che vanno a Rovaniemi al<br />

villaggio di Babbo Natale….siamo nei luoghi dell’infanzia del<br />

Führer e della sua prima giovinezza. Qui e nei dintorni egli<br />

visse fino alla morte della madre Klara avvenuta a causa di un<br />

cancro il 21 dicembre 1907.<br />

Come si può vedere dalle rare foto d’epoca contenute nel magnifico<br />

libro “ Linz dal 1900 a oggi” dalla balconata del nostro<br />

hotel durante il Terzo Reich si tenevano fastosi comizi con la<br />

ringhiera ricoperta di stendardi!!!<br />

Si avvicina il tramonto, così si esce subito dall’hotel per incamminarci<br />

verso il Danubio.<br />

Come in tante antiche città austriache, anche a Linz c’è la<br />

piazza principale - la Hauptplatz - che circondata da splendidi<br />

palazzi barocchi dipinti con colori pastello l’uno diverso dall’altro<br />

che alla luce del tramonto si colorano delicatamente<br />

come in uno scenario da film in costume.<br />

Al centro una grande fontana e tutto attorno delle aiuole con<br />

un carnevale di fiori colorati che abbiamo usato da sfondo<br />

per scattare foto bellissime della colonna della SS Trinità (anche<br />

qui, come nel Graben di Vienna, la colonna e’ stata eretta<br />

in ringraziamento alla scampata peste del XVIII secolo ).<br />

Man mano che si animano i numerosi caffé all’aperto (dopo<br />

le 17 o nel migliore dei casi le 18, tutti i negozi e gli uffici sono<br />

chiusi) viene ad assomigliare ad una rumorosa località di villeggiatura.<br />

Questo luogo ampiamente ritratto nei libri di foto del Terzo<br />

Reich quando ancora si chiamava Adolf-Hitler-Platz - per le<br />

sue dimensioni era infatti un luogo ideale per oceaniche adunate<br />

- immette attraverso un largo portale direttamente sul<br />

Danubio<br />

…… Eccolo davanti a noi al tramonto: largo, placido,antico<br />

come in milioni di altri tramonti nella memoria di tutti noi.<br />

Quasi in soggezione ci incamminiamo sul ponte dei Nibelunghi<br />

per vedere Linz illuminata riflessa nella corrente…e “inciampiamo<br />

“ in una striscia dipinta sull’asfalto proprio all’in-<br />

gresso del ponte. Ricorda l’arrivo delle truppe di “liberazione”<br />

alleate ma non è ancora abbastanza. C’è anche un contatore<br />

montato su una casetta di legno gialla che calcola i minuti da<br />

quando Linz è stata liberata dal criminale potere Nazionalsocialista.<br />

Siamo arrivati vicino a 32 milioni di minuti e…basta<br />

così!<br />

Ce ne torniamo in città costeggiando la riva e prendiamo una<br />

piccola e tortuosa stradina tutta in salita. Linz è infatti tutta<br />

salite e discese (queste ultime sempre troppo poche…). Piccoli<br />

locali vicino a palazzi antichi decoratissimi pieni di stucchi<br />

barocchi, con lampioni che lasciano una luce soffusa sui palazzi<br />

colore verde acqua, rosa antico e azzurro.. che atmosfera!<br />

Saliamo una scalinata lunghissima ed ecco ergerci sopra la<br />

città: siamo nel cortile del castello di Linz .<br />

Questa antica fortezza del XV secolo oggi ospita un museo<br />

- lo Schlossmuseum - con reperti archeologici, oggetti d’arte<br />

greca e romana, una importante collezione di armi, dipinti di<br />

varie epoche e molto altro ancora. Il museo chiude alle 16:<br />

quindi impossibile da vedere oggi. Questo castello, anche se<br />

in nessuna guida turistica è menzionato, durante il Drittenreich<br />

era una caserma di soldati ed è stato duramente bombardato<br />

nel 1945. Girando per i giardini curatissimi arriviamo<br />

allo Schlosscafe con una grande terrazza con vista sul Danubio<br />

illuminata da piccole lanterne disseminate ovunque e tavolini<br />

in mezzo agli alberi. Da quassù la vista sulla città e sulle


vie di accesso è grandiosa…Dopo un bicchiere di prosecco<br />

ghiacciato e mille foto scattate da Marco sulle mura medioevali<br />

scendiamo in città ma da un altro lato e così ci troviamo a<br />

passare sotto un antico portone che chiudeva l’accesso al castello.<br />

E’ la porta di Federico del 1481 con ancora i grandi e intatti<br />

portoni di ferro dell’epoca. Cerchiamo, alla poca luce del<br />

giorno rimasta, tracce dell’aquila che abbiamo visto nella foto<br />

ma invano. L’opera di denazificazione è stata molto accurata a<br />

Linz, come poi in tutta l’Austria. Restano gli edifici, ma nessun<br />

segno del passaggio. Se non avessimo trovato quei libri non<br />

sarebbe stato possibile ricostruire nulla di quel tempo che fu.<br />

E’ sera. Torniamo in hotel e poi a cena. Di fronte al Dreimoren<br />

si trova un ristorante, il Wienerwald dove andremo anche le<br />

prossime sere. Il menu non è molto vario: c’è pollo in tutti i<br />

modi e maniere, sicché verrà da noi soprannominato “la casa<br />

del pollo“. Cotolette di pollo ottime, vino della casa non male<br />

e il tutto a prezzi molto ma molto contenuti. Quindi l’indirizzo<br />

perfetto ( Wienerwald Promenade 22- Linz). Dopo cena una<br />

breve passeggiata e quindi a nanna: domani ci attende un<br />

programma molto intenso.<br />

testo della tradizione<br />

26 Settembre lunedi 2° giorno<br />

Già prima di partire dall’Italia si era prenotata una vettura alla<br />

Europcar per la giornata odierna avendo in programma di andare<br />

a Braunau Am Inn.<br />

Alle 10 del mattino di questa meravigliosa giornata di sole<br />

arriviamo alla sede della Europcar di Linz dove abbiamo la<br />

fortuna incredibile di essere ricevuti da Fraulein Gruber in<br />

persona che, dopo aver visionato il nostro vaucher, chiede<br />

i documenti, la patente e la carta di credito per dar seguito<br />

alla prenotazione. Già a questo punto si vede che comincia<br />

ad avere dubbi su di noi e comincia a fare domande sul dove<br />

fossimo alloggiati, sul perché non volessimo guidare tutti e<br />

due e perché solo io e perché non solo Marco e così via… Si<br />

mette pertanto al telefono con qualcuno ed in perfetto (nonché<br />

a noi incomprensibile) tedesco sembra analizzare i miei<br />

documenti da ogni lato tutto ciò col condimento di qualche<br />

simpatica risatina. Chiusa la telefonata brandisce un paio di<br />

forbici dichiarando di aver ricevuto ordine di tagliare la carta<br />

di credito. Le piombiamo praticamente addosso e alla nostra<br />

richiesta di spiegazioni continua come un disco rotto a ripetere<br />

la stessa cosa. Chiediamo di chiamare la Polizia .<br />

Marco cerca di parlare con il console <strong>italia</strong>no a Linz che è fuori<br />

sede riuscendo comunque e non so come a chiamare il consolato<br />

di Vienna dove il gentilissimo Signor Roberto gli conferma<br />

come fosse assolutamente impossibile un atto del genere<br />

da parte della Gruber. Fatto sta che aspettiamo la Polizei<br />

che arrivata ci requisisce e perquisisce gli zaini - non capendo<br />

un’ostia di quello che si dicevano. Ma almeno insieme ai documenti<br />

viene consegnata loro dalla Gruber anche la carta di<br />

credito. Trattati freddamente e con sospetto andiamo con la<br />

loro auto alla centrale di Linz dove rimaniamo per le prossime<br />

tre ore schiena contro schiena senza poterci parlare mentre<br />

loro telefonano al mondo intero per verificare l’autenticità di<br />

a) le nostre carte di identità<br />

b) i nostri passaporti<br />

c) la patente<br />

d) la carta di credito.<br />

Infine, come era giusto che fosse, dopo questo stress ci riconsegnano<br />

tutto dicendo che è “ok”!!! Ci facciamo riaccompagnare<br />

in agenzia spiegando poi alla Gruber che era tutto a<br />

posto e che ci poteva noleggiare l’auto ma – credeteci - questa<br />

rifiuta di nuovo e definitivamente. Non si fida. Basta. Niente<br />

auto. Valutiamo tra noi l’opportunità di reagire come ci<br />

verrebbe così spontaneo e cioè prendendola per quei capelli,<br />

corti e radi che aveva in testa quella st….. austriaca e… ma<br />

pensiamo saggiamente di andarcene. Ci teniamo troppo a<br />

proseguire il nostro viaggio senza ulteriori visite alla centra-<br />

le.<br />

Ci rechiamo alla stazione di Linz dove Marco, che a differenza<br />

di me conosce bene l’inglese, riesce ad avere gli orari dei treni<br />

per Braunau am Inn. Sono ormai le 2 del pomeriggio e il treno<br />

sarebbe partito alle 15.17 quindi, comprati i biglietti, abbiamo<br />

il tempo di mangiare qualcosa al Cafe de Paris della stazione.<br />

Due birre giganti e due filetti di manzo con patate ci rimettono<br />

proprio in sesto. Il caffé invece era meglio lasciarlo li.<br />

Puntualissimo il treno parte e dovreste vedere che treno!!!<br />

Deve essere lo stesso che fa questa tratta da decenni …niente<br />

di meglio per questo viaggio nel passato che abbiamo<br />

aspettato con tanta ansia di fare. Finalmente siamo giunti a<br />

Braunau am Inn!<br />

In una sola guida turistica abbiamo trovato menzione di questa<br />

cittadina. La Giunti riporta testualmente:<br />

“Braunau am Inn rimasta celebre nella storia nera per aver<br />

dato i natali a Adolf Hitler. Nessun monumento o museo lo<br />

ricorda“. Le altre, fra cui la famosa guida Routard,la ignorano<br />

completamente.<br />

A piedi, fotografando tutto ciò che è chiaramente vecchio di<br />

oltre 60 anni, ci incamminiamo per il centro città. Dopo circa<br />

1 km arriviamo nella piazza del paese che un tempo portava<br />

il nome del Fuhrer, Adolf-Hitler-Platz che ora è - come sempre<br />

in ogni città - rinominata Hauptplatz. Chiediamo informazioni<br />

per la Salzburgerstrasse e arriviamo subito al numero 15. La<br />

viaggi e resoconti


diario di viaggio: Linz di frida<br />

casa ora appare ben tenuta ed è sede di una associazione. Sul<br />

fronte strada a destra appare un monumento in memoria degli<br />

ebrei dei campi di concentramento. Di fianco alla casa del<br />

Führer c’e un bar <strong>italia</strong>no, il caffè Baccili (http://www.baccili.<br />

at/).<br />

Ci sediamo all’aperto proprio vicinissimi alla porta di ingresso<br />

della casa e con due calici di prosecco facciamo un brindisi<br />

alla storia. Qui fanno un vero caffé <strong>italia</strong>no ed il cameriere calabrese<br />

molto gentile ci parla della casa che, ironia della sorte,<br />

per lunghi anni ha ospitato un ricovero per persone con handicap…<br />

Passeggiamo a lungo per la cittadina, su e giù per<br />

vicoli e scalinate, sotto archi antichi …bellissima è la porta<br />

della città verso Salisburgo, a poche decine di metri dalla casa.<br />

Seguendo il fiume troviamo anche gli antichi bagni pubblici<br />

ora ricostruiti e trasformati in un museo. Attraversata la piazza<br />

si sbuca di fronte al fiume Inn. Il fiume divide l’Austria dalla<br />

Germania e proprio a metà del ponte c’è il cartello che segnala<br />

il paese tedesco di Simbach.Ora purtroppo ad unire i due<br />

paesi non c’è più il monumentale ponte in ferro con l’enorme<br />

aquila in alto in ferro battuto visibile a chilometri di distanza<br />

ma un semplice ponte in muratura.<br />

Da Braunau si può prendere un treno diretto che arriva a Monaco<br />

di Baviera in poco più di 2 ore… saremmo tentati ma<br />

domani abbiamo in programma diverse visite nella zona di<br />

Linz e rimandiamo ad un’altra occasione. E’ ormai buio e così<br />

torniamo alla stazione prendendo il treno per Linz alle 19.55<br />

che arriva a Linz puntuale – nonostante il cambio a Wells - alle<br />

21.52. Sono quasi le 22.30 quando ci accasciamo per la cena<br />

nella Casa del pollo. Dopo aver consumato ci dirigiamo sulla<br />

Landstrasse, la via principale di Linz, piena di ristoranti, pub<br />

e pasticcerie, queste ultime però rigorosamente chiuse data<br />

l’ora tarda. Avremmo assaggiato volentieri la famosa Linzer<br />

Torte (specialità di Linz come la Sacher Torte lo è di Vienna )<br />

ma riusciremo a partire da questa città senza averlo fatto.<br />

Invece ci capita di vedere la polizia di Linz all’opera fuori da<br />

un bar: sta piovendo forte e il malcapitato viene fatto stendere<br />

amma<strong>net</strong>tato sull’asfalto a faccia in giù con i pantalo-<br />

ni abbassati alle ginocchia. Dopo l’esperienza della mattina<br />

alla centrale non ci avviciniamo nemmeno e ce ne andiamo<br />

a dormire…<br />

27 settembre martedi 3° giorno<br />

Alle 9 spaccate si è a far colazione nella saletta del Dreimoren.<br />

Trovando tipi diversi di pane fresco, cor<strong>net</strong>ti, marmellate,<br />

miele e caffé tedesco in quantità. Con i nostri zaini sulle spalle<br />

andiamo alla stazione dei treni e qui noleggiamo un’auto dalla<br />

Denzel Drive dove una gentilissima signorina non mostra<br />

alcun problema o dubbio amletico sui nostri documenti e ce<br />

la consegna per la giornata di oggi. Cartina alla mano, Marco<br />

mi conduce – ma guido io! - fuori da Linz prendendo la strada<br />

per KZ di Mauthausen. Troviamo pochissimi segnali indicanti<br />

la locazione del campo. E ciò abbastanza inaspettatamente.<br />

Arriviamo alle 11.51 e ci restiamo quasi 2 ore. Sotto la pioggia<br />

battente attraversiamo il piazzale antistante il portone di<br />

ingresso ed entriamo: tutto eguale ad allora tranne l’assenza<br />

dell’aquila che si ergeva sopra la porta. Il muro di cinta e le<br />

torri di guardia in granito, le scale e gli edifici sulla destra sono<br />

praticamente intatti. Proviamo ad entrare nel primo blocco in<br />

quelli che erano gli uffici, le stanze del personale addetto ai<br />

campi, le cucine, i bagni…tutto è occupato da bacheche che<br />

mostrano effetti personali dei detenuti e foto dell’epoca.<br />

Scendiamo nel seminterrato al seguito di un gruppo di studenti<br />

di lingua tedesca che non ci sembrano molto sconvolti<br />

dalla narrazione della guida dato che c’è chi mangia e chi<br />

allegramente conversa al cellulare. Dopo una lunga sosta<br />

raccolti in meditazione davanti ai due piccoli forni crematori<br />

situati in un angusto stanzino (come riuscivano poi a muoversi<br />

agilmente non siamo riusciti a immaginarlo!!!) ricoperti<br />

di fiori leggiamo le scritte di maledizione verso la Germania.<br />

In particolare ci colpisce una scritta in <strong>italia</strong>no “ Hitler , se non<br />

fossi morto, ti ucciderei con le mie mani!!” Dopo circa 1000<br />

foto a tutto, porte e finestre aperte e chiuse, impianti del gas,<br />

dell’acqua, delle macchine per la disinfestazione, usciamo finalmente<br />

nel grande piazzale delle adunate. Qui non si riesce<br />

a fotografare il portone senza che qualcuno stia nel mezzo e<br />

decidiamo di uscire per andare a cercare la libreria indicata<br />

lungo il percorso. Ma è stata chiusa così come le sale comuni<br />

di sosta per i visitatori. Ci sembra che tutto sia un pò in disarmo<br />

e i visitatori sono effettivamente molto pochi. Ce ne<br />

torniamo sulla strada principale e imbocchiamo la direzione<br />

est verso Vienna. Stiamo alla ricerca dello Schloss Werfenstein<br />

!!!!!!! Il mitico castello di proprietà di Adolf Lanz alias Lanz von<br />

Liebenfels il fondatore della <strong>rivista</strong> “OSTARA“ con le cui rivoluzionarie<br />

idee Adolf Hitler venne in contatto per la prima volta<br />

a Vienna attorno al 1909 e in cui si fondò negli anni successivi<br />

il magico ordine “DES NEUEN TEMPELS “.<br />

Se per il KZ c’erano indicazioni stradali scarse, per il Werfenstein<br />

sono completamente assenti. Come indicazione abbia


mo solo una nota sul libricino “Ciclovia del Danubio da Passau<br />

a Vienna“ ( A.Fiorin ) che a pag.91 recita: ”Al km 6.6 di Grein,<br />

di fronte, sulla riva opposta, si erge la massiccia mole di Burg<br />

Werfenstein, antica stazione di dazio”.<br />

Finalmente lo avvistiamo a picco sul fiume. Saliamo a piedi la<br />

testo della tradizione<br />

collina. E’ immerso nella vegetazione e accanto passa la ferro-<br />

via ancora in uso di un trenino a cremagliera che collega tutti<br />

questi piccoli paesini di montagna.<br />

Il castello è di proprietà privata e sebbene appaia abitato nessuno<br />

risponde quando ci attacchiamo alla campana (non un<br />

banale campanello) dell’ingresso. Guardando dalle fessure<br />

del portone in legno vediamo all’interno un cortile ampio e<br />

quadrato pieno di rampicanti con un pozzo al centro. Il tutto<br />

sembra in buone condizioni ma nessun recapito o targa ci indica<br />

a chi possiamo rivolgerci per una visita interna. Allora lo<br />

fotografiamo da tutte le parti e a malincuore ce ne andiamo<br />

via. Al paese di St Nikolas, alla base della collina, proviamo a<br />

chiedere informazioni sul Burg ma dalle risposte dateci sembra<br />

che non sappiano della sua esistenza!!!<br />

Riprendiamo l’auto dirigendoci dalla parte opposta, verso Salisburgo,<br />

in cerca dello Schloss Hartheim, visto in diverse foto<br />

nella precedente visita al Lager di Mauthausen. Qui sottoriporto<br />

la descrizione che ne da un sito inter<strong>net</strong>:<br />

Aperto a Pasqua del 1940<br />

Chiuso a metà gennaio del 1945<br />

Il Castello di Hartheim non fu, strettamente parlando, un<br />

campo satellite di Mauthausen. Qui trovò applicazione la famigerata<br />

operazione “Eutanasia”, che vide l’eliminazione di<br />

decine di migliaia di handicappati fisici e psichici, colpevoli<br />

di offuscare l’immagine del superuomo nazista. Ma è provato<br />

che ci furono strette relazioni tra Hartheim e Mauthausen. Al<br />

punto che almeno 4.841 prigionieri del Lager furono uccisi in<br />

questo tragico castello.<br />

Per essere quello che si è sopra letto rileviamo la mancanza<br />

assoluta di segnali lungo la strada…Questi Austriaci non ci<br />

sembrano essere poi molto attenti alla memoria dell’Olocausto!!!<br />

Si trova sulla strada statale che da Linz porta a Efferding in<br />

mezzo ad un moderno centro residenziale. I cartelli dell’ul-<br />

timo minuto che lo indicano parlano della Scuola di Musica<br />

Hartheim, infatti risuona di musica quando ci avviciniamo.<br />

Così come anche il Wewelsburg in Westphalia e come poi vedremo<br />

a Monaco sembra sia una prassi quella di convertire<br />

questi edifici storici in scuole di musica. Come a voler “santificare<br />

“ un luogo ritenuto maledetto. E’ a pianta quadrata con<br />

un gran cortile interno circondato da prati curatissimi. Troviamo<br />

una targa solo sul lato dell’ingresso dei prigionieri: una<br />

grande lastra di plexiglass con incisi sopra file di nomi.<br />

Non potendo entrare, ci limitiamo a foto dell’esterno e poiché<br />

siamo al tramonto, ce ne torniamo verso Linz .<br />

E’ ora di cena ormai e consegnata l’auto alla stazione,facciamo<br />

giusto in tempo prima che chiuda la libreria a comprare una<br />

decina di libri in tedesco su Linz e il DrittenReich .<br />

Torniamo in hotel a depositare tutto e via alla Wienerwald a<br />

cena: stasera però optiamo per pollo alla griglia (un mezzo a<br />

testa )con contorno di patate al forno e funghi. Vino rosso e<br />

dopo un assaggio di qualche (molti) snaps (bicchierini) consigliati<br />

dal cameriere sempre molto gentile.<br />

28 settembre mercoledi 4° giorno<br />

E’ l’ultimo giorno a Linz e il sole splende limpido.<br />

Dopo la colazione prendiamo un taxi e ci facciamo portare<br />

a Leonding il sobborgo di Linz dove Hitler andò a vivere da<br />

bambino nel 1895 dopo Braunau. A Linz il Fuhrer rimase per<br />

tutta la sua infanzia e abitò in Michaelsbergerstrasse 16, la via<br />

principale, e la sua casa e’ ora sede di uffici comunali. Questa<br />

sembra essere la prassi: ovunque le case in cui ha abitato il<br />

Führer, o in cui ha tenuto importanti uffici, sono di proprietà<br />

del Governo e mai di privati. Passeggiamo a lungo, Marco<br />

prende foto da ogni angolatura soprattutto con la chiesa<br />

di Leonding sullo sfondo come si vede sempre nelle foto di<br />

repertorio di Hitler. Attraversando la Michaelbergerstrasse<br />

arriviamo al cimitero della chiesa, curato perfettamente, con<br />

vialetti e fiori ovunque e molti persone che vi lavorano per<br />

tenere tutto in ordine. Guardiamo tutte le lapidi cercando<br />

lungo il muro di cinta quella dei genitori Alois e Klara, ai piedi<br />

di un gigantesco abete e tutta decorata, nonostante sia pas-<br />

viaggi e resoconti


diario di viaggio: Linz di frida<br />

sato tanto tempo, da una profusione di fiori allegri e colorati.<br />

Avremmo voluto portare dei fiori anche noi in mancanza rimaniamo<br />

in silenzio ascoltando le campane della chiesa in<br />

questa dolce mattina di settembre.<br />

Infine riprendiamo il taxi e torniamo in centro a Linz.<br />

Dedichiamo il resto della mattinata a fotografare luoghi importanti<br />

e caratteristici della città per realizzare un reportage<br />

di confronto tra il 1933-1945 / 2005 .Sarà questo un lavoro<br />

molto importante realizzato viaggiando per tutta l’Austria e<br />

la Germania che verrà pubblicato in futuro.<br />

Torniamo in hotel, checkout e con tutte le nostre valige andiamo<br />

alla stazione. C’è il tempo per un sostanzioso buon pasto<br />

al Cafè de Paris quindi Marco e Frida sono pronti al binario<br />

24 per andare a Salisburgo.<br />

Le foto presenti nell’articolo sono di M<strong>Thule</strong>.<br />

Un servizio dettagliato con immagini d’epoca<br />

sarà pubblicato sul sito<br />

www.thule-<strong>italia</strong>.org


Bellatrix<br />

bellatrix<br />

testo della tradizione


societa’ thule <strong>italia</strong><br />

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