“Le relazioni greco - albanesi durante la Seconda Guerra ... - Padis

proprietà di privati con documenti da parte dello Stato ottomano, saranno
riconosciuti dallo Stato greco. Chiunque può essere privato della sua
proprietà, in parte o del tutto, per motivi di sicurezza e di interesse
comune dopo un risarcimento.” Quattro anni dopo, nella stessa data, il 14
novembre 1917, venne approvata la legge n° 924, e con un decreto regale
nel marzo del 1918 si vietava severamente la vendita e il cambio di
destinazione dei beni immobili ubicati nei territori che ormai erano stati
assegnati alla Grecia dopo le guerre balcaniche. Questa misura era
sostanzialmente ingiusta e in violazione del’ʹarticolo 6 del trattato di pace e
ha costretto la popolazione albanese musulmana della provincia di
Ҫameria ad emigrare, lasciando il proprio patrimonio immobiliare lì, che
per la stragrande maggioranza era l’unica ricchezza. La scelta della Turchia
in quel momento di non intervenire nella questione era dovuta al fatto che
l’Albania, non era stato ancora riconosciuto ufficialmente come stato
indipendente. A quel tempo l’atteggiamento turco era l’unico mezzo per
conservare il diritto di vendicare più tardi la nazionalità albanese dei çami.
In queste condizioni, il capo della delegazione albanese alla Conferenza di
Pace di Parigi Luigj Bumçi (allora vescovo di Lezha) si rivolse al presidente
della conferenza Georges Klemanso, il 25 Luglio 1919, chiedendo di
intervenire nello stato greco per abrogare il regio decreto e, pertanto,
evitare l’espulsione degli albanesi musulmani. Bumçi mise in evidenza e
affermava che il Trattato turco – greco: “concilia con i principi più sacri
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