Unità - Loescher
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<strong>Unità</strong><br />
Reale,<br />
troppo reale<br />
Walter Siti<br />
La casa di via Vermeer<br />
Saper fare<br />
Questa pagina può essere stampata esclusivamente per uso didattico © <strong>Loescher</strong> Editore 2012<br />
W1<br />
W2<br />
W3<br />
W3<br />
W4<br />
Truman Capote<br />
Gli occhi degli assassini<br />
Goffredo Parise<br />
I profughi, la fame, i morti<br />
Roberto Saviano<br />
Io so e ho le prove<br />
Wu Ming<br />
Gap99
p a r t E 3 Reale, troppo reale • u n I t à<br />
I contesti<br />
1 Gli scenari dell’epoca<br />
Grandi trasformazioni Gli ultimi decenni<br />
hanno visto la vita degli individui e delle società<br />
trasformarsi molto rapidamente. Essi sono stati<br />
caratterizzati da avvenimenti storici molto significativi<br />
a livello globale: la caduta del muro<br />
di Berlino nel 1989, l’attentato terroristico<br />
dell’11 settembre 2001, la crisi economica<br />
scoppiata nel 2008 e, infine, la cosiddetta “primavera<br />
araba” iniziata alla fine del 2010, ovvero<br />
la serie di proteste e movimenti d’insurrezione<br />
popolare per l’inizio di un processo di democratizzazione<br />
che ha coinvolto in breve tempo molti<br />
Paesi nordafricani e del Vicino Oriente.<br />
Tuttavia, i mutamenti più profondi avvenuti in<br />
questi anni sono stati il frutto di una “rivoluzione<br />
invisibile”; essi cioè sono dipesi non da<br />
grandi eventi che hanno sconvolto la Storia quanto<br />
dall’affermarsi silenzioso ma inesorabile di una<br />
«società liquida» (espressione coniata dal sociologo<br />
polacco Zygmunt Bauman), ovvero di<br />
un mondo in cui non ci sono punti fermi, in cui<br />
tutto cambia in maniera estremamente veloce.<br />
Tutto si mescola: razze, saperi, tradizioni e stili<br />
si compongono in un melting pot, ovvero in<br />
una società multietnica e multiculturale in<br />
cui l’uomo contemporaneo si è ritrovato a vivere<br />
quasi suo malgrado. La velocità è il segno distintivo<br />
di tale nuovo mondo: non si fa in tempo ad<br />
adeguarsi a esso, a comprenderne e a comporne<br />
le contraddizioni, che già un altro cambiamento è<br />
subentrato e le mappe mentali per interpretarlo<br />
sono diventate obsolete. Questo nuovo modello<br />
di società si è imposto a livello mondiale con il<br />
progressivo affermarsi di una globalizzazione<br />
che ha coinvolto ogni ambito della vita sociale. Se<br />
ciò ha permesso a culture lontane di conoscersi<br />
e di entrare in comunicazione tra loro, gli effetti<br />
negativi non sono mancati: come, per esempio,<br />
l’omologazione delle abitudini dei singoli individui<br />
ai modelli economico-culturali dominanti,<br />
a scapito di quelli minoritari, che hanno perso la<br />
loro identità o sono del tutto scomparsi.<br />
Tecnologia e mass-media Uno dei principali responsabili<br />
dei cambiamenti in essere in questi anni<br />
è stato il massiccio progresso della nuova tecnologia,<br />
che ha generato un enorme sviluppo dei<br />
mezzi di comunicazione di massa. Con la loro<br />
capacità di pervadere la nostra società – come un<br />
liquido, per l’appunto – e diffondersi sull’intera<br />
superficie mondiale, essi hanno creato una fitta<br />
trama di relazioni che ha reso l’intero pianeta un<br />
gigantesco «villaggio globale», secondo l’immagine<br />
proposta già negli anni Sessanta dal sociologo<br />
canadese Marshall McLuhan. Il grande<br />
progresso tecnologico di questi anni ha permesso<br />
di sviluppare realtà fino a pochi anni fa del tutto<br />
impensabili.<br />
Tuttavia, le enormi potenzialità dei mezzi di comunicazione<br />
di massa si sono talvolta rivelate<br />
causa di effetti negativi; per esempio, una progressiva<br />
perdita di contatto con la vita reale:<br />
la possibilità di vivere infinite realtà parallele<br />
e virtuali si è inserita nell’esistenza quotidiana<br />
individuale in maniera ambigua e subdola, arrivando<br />
talvolta a sostituirsi completamente a essa.<br />
L’incontrollabile tendenza a plasmare inconsciamente<br />
le proprie vite secondo i modelli che sono<br />
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p a r t E 3 Reale, troppo reale • u n I t à<br />
offerti, per esempio, dalla televisione o dalla pubblicità<br />
(e il conseguente affermarsi di un sistema<br />
di valori basato su uno sfrenato consumismo)<br />
o a trascurare i rapporti umani diretti per dedicarsi<br />
esclusivamente a quelli mediati dalla rete<br />
(l’abuso dei social network) sono chiari esempi<br />
di un esito degenerato e controproducente<br />
del progresso tecnologico. Il segno che l’uomo,<br />
come spesso è accaduto, si è lasciato sfuggire<br />
di mano e ha reso incontrollabili i frutti del suo<br />
stesso sapere e della sua intelligenza.<br />
2 Il contesto culturale<br />
Caratteri dell’arte contemporanea Tali radicali<br />
cambiamenti hanno investito, con conseguenze<br />
ben visibili, anche il mondo artistico<br />
in tutte le sue forme. Il progressivo affermarsi<br />
dell’industria culturale, ovvero di una concezione<br />
dell’opera come “merce”, ha generato un<br />
ripensamento globale dell’arte stessa: essa si è<br />
avvicinata al mondo del mercato, trasformandosi<br />
in una forma particolare di prodotto commerciale<br />
e perdendo la sua “aura” di oggetto frutto di pura<br />
spiritualità. Tale nuova concezione ribalta del<br />
tutto l’idea tradizionale, esemplarmente espressa<br />
dalla filosofa tedesca Hannah Arendt, per cui<br />
«un oggetto può dirsi culturale nella misura in<br />
cui resiste al tempo». Nella realizzazione di opere<br />
d’arte contemporanee si privilegia invece il loro<br />
aspetto istantaneo e temporaneo: si utilizzano<br />
spesso materiali “poveri” e degradabili, destinati<br />
a dissolversi nel tempo; i luoghi stessi in cui esse<br />
vengono esposte sono prevalentemente mostre<br />
temporanee. Molto spesso, la vera opera consiste<br />
non nell’oggetto creato quanto nella performance<br />
stessa dell’artista, ovvero nel momento<br />
fugace, unico e irripetibile della creazione.<br />
In altri casi, si eseguono interventi momentanei<br />
sull’ambiente, magari solo per scattarne delle foto<br />
o farne dei video, che resteranno l’unica “prova”<br />
dell’esistenza dell’opera.<br />
Una letteratura varia e popolare Passando<br />
adesso a un’analisi del ricco e frastagliato panorama<br />
della narrativa dei nostri giorni, bisogna constatare<br />
la difficoltà di individuare un fenomeno<br />
letterario dominante, anche in conside-<br />
Mario Schifano,<br />
Coca Cola, 1972,<br />
rovereto, Mart.<br />
razione della complessità e della mobilità che caratterizza<br />
il mondo contemporaneo. L’affermarsi<br />
dell’industria culturale ha investito anche questo<br />
ambito specifico, causando l’affermazione di una<br />
letteratura di consumo, popolare e di genere<br />
(giallo, noir, thriller, horror, fantasy ecc.) o,<br />
molto spesso, di vari generi contaminati fra loro.<br />
Un (nuovo) ritorno alla realtà Al fianco dello<br />
sviluppo di questa narrativa popolare e di genere<br />
(che non bisogna però considerare, a priori, come<br />
“inferiore” rispetto agli esiti artistici di altre<br />
epoche letterarie) si registra in questi ultimi decenni<br />
l’urgenza di un nuovo ritorno alla realtà.<br />
Questa tendenza contemporanea rappresenta un<br />
tentativo di superamento del postmoderno,<br />
che aveva spinto il lettore a privilegiare le atmosfere<br />
del fantastico e del meraviglioso, a sospendere<br />
le leggi della logica, a introdurre nel mondo<br />
letterario elementi assurdi o stranianti. In tal modo,<br />
rappresentando la realtà nei suoi aspetti molteplici<br />
e frammentari, la letteratura postmoderna<br />
intendeva significare l’impossibilità di pervenire a<br />
una conoscenza certa e univoca di essa.<br />
Negli ultimi anni, però, si avverte di nuovo il bisogno<br />
di una letteratura in diretto e stretto contatto<br />
con il mondo. Rispetto alle esperienze letterarie<br />
che in passato hanno posta la realtà al centro<br />
della loro poetica, come il Naturalismo francese<br />
e il Verismo italiano nell’Ottocento oppure,<br />
verso la metà del Novecento, il Neorealismo<br />
italiano, nel ritorno alla realtà in letteratura dei<br />
nostri giorni vi sono elementi di grande novità.<br />
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p a r t E 3 Reale, troppo reale • u n I t à<br />
3 Gli autori e le opere<br />
A ben vedere, già negli anni Sessanta del<br />
Novecento si collocano le radici di questo fenomeno<br />
contemporaneo, ben visibile nelle opere<br />
di autori “irregolari”, che hanno cioè maturato<br />
una visione del mondo originale e – con il senno<br />
di poi – profetica. Essi hanno rappresentato un<br />
momento di rottura rispetto alla tradizione letteraria,<br />
rifiutando di partecipare ai movimenti cui<br />
facevano riferimento gli autori del loro tempo,<br />
assumendo una posizione talvolta defilata (Goffredo<br />
Parise), o talvolta di palese contestazione<br />
(Pier Paolo Pasolini e Truman Capote).<br />
Proprio Capote, scrittore statunitense, è l’“inventore”<br />
del genere del romanzo-verità: A sangue<br />
freddo (1966), costruito su avvenimenti di cronaca<br />
realmente accaduti, racconta la vicenda della<br />
strage della famiglia Clutter, un omicidio dalle<br />
modalità efferate e dal futile movente, attraverso<br />
le testimonianze che l’autore stesso ha raccolto<br />
nella sua inchiesta giornalistica, mettendo in luce<br />
i molteplici punti di vista che, come tessere,<br />
compongono il mosaico della realtà ({ Gli occhi<br />
degli assassini, p. 6).<br />
Il mestiere di giornalista è determinante anche<br />
per la produzione letteraria di Goffredo Parise:<br />
nel suo reportage sul conflitto del Biafra ({ I<br />
profughi, la fame, i morti, p. 13), pubblicato sui<br />
quotidiani nazionali alla fine degli anni Sessanta,<br />
contemporaneamente ai fatti, l’autore non esita<br />
a proporre ai suoi lettori un quadro durissimo<br />
delle sofferenze terribili quanto inutili del popolo<br />
africano. Parise si reca dove il lettore non ha<br />
il coraggio di andare nemmeno con la mente, registra<br />
tutto quello che vede, i disagi e le tragedie<br />
di quel mondo; egli non ha timore di testimoniarli<br />
e di combattere così la finta ignoranza di una<br />
certa società italiana: manifestazione di spirito di<br />
conservazione, nella migliore delle ipotesi, e nella<br />
peggiore di indifferenza, ipocrisia, qualunquismo.<br />
I primi anni del terzo millennio hanno visto un’intera<br />
generazione di scrittori raccogliere l’eredità<br />
di questi “profeti” di un nuovo realismo: si tratta<br />
di autori innovativi, figli della “società liquida”,<br />
desiderosi d’indagare il fenomeno in cui sono immersi<br />
e di riprendere contatto con la realtà, anche<br />
nei suoi aspetti più spiacevoli e inquietanti,<br />
comunque preferibili alla fluttuazione in un mondo<br />
finto, plastificato. Tra costoro, segnaliamo il<br />
collettivo bolognese Wu Ming – termine cinese<br />
mandarino che significa “senza nome” – che raccoglie<br />
diversi scrittori le cui opere sperimentano<br />
diverse nuove tendenze della narrativa contemporanea.<br />
Nell’ambito della loro produzione la<br />
raccolta Anatra all’arancia meccanica, uscita<br />
in volume nel 2011, contiene racconti di stampo<br />
iperrealista, ovvero caratterizzati da un realismo<br />
talmente estremo da diventare surreale,<br />
molti dei quali erano già stati diffusi nella rete o<br />
pubblicati su rivista ({ Gap99, p. 36).<br />
Si spiega in tal modo il “realismo d’emergenza”<br />
di Walter Siti: il suo romanzo Il contagio (2008)<br />
è un’opera priva di un intreccio, in cui personaggi<br />
e storie si affollano davanti agli occhi del narratore<br />
e del lettore, che osservano il grande inganno<br />
della vita di una borgata in cui tutto viene plasmato<br />
a immagine e somiglianza della “dittatura”<br />
mediatica ({ La casa di via Vermeer, p. 21). Siti<br />
conduce uno “spietato” esperimento letterario; il<br />
suo romanzo è un laboratorio in cui, con strumenti<br />
linguistici raffinatissimi, è riprodotta una realtà<br />
tragicamente universale: quella dell’individuo non<br />
più padrone della sua vita.<br />
Roberto Saviano è l’autore di Gomorra<br />
(2008), sorprendente caso letterario che si colloca<br />
all’incrocio di più generi: romanzo, saggio,<br />
reportage giornalistico, memoria personale. In<br />
esso l’autore ricostruisce e descrive con straordinaria<br />
precisione “il regno del male” rappresentato<br />
dalla camorra napoletana, che ha costruito<br />
un sistema criminale non circoscritto a una dimensione<br />
locale, bensì radicato su tutto il territorio<br />
nazionale e con interessi economici rilevantissimi<br />
su scala internazionale. Rompendo il<br />
muro di omertà e denunciando il potere onnipervasivo<br />
della camorra, Saviano ha restituito alla<br />
letteratura un’alta funzione morale e civile ({ Io<br />
so e ho le prove, p. 28); egli ha dimostrato che<br />
la letteratura può agire sulla realtà, che la forza<br />
della parola può contrastare la violenza e il crimine.<br />
È un dato di fatto, riconosciuto dalle stesse<br />
autorità preposte alla tutela della legalità, che<br />
la lotta alla criminalità organizzata ha registrato<br />
una forte accelerazione grazie al successo del<br />
libro di Saviano.<br />
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p a r t E 3<br />
Truman Capote<br />
La vita e le opere<br />
La vita L’esistenza di Truman Streckfus<br />
Persons, nato a New Orleans (Louisiana) nel<br />
1924, è stata segnata da un’infanzia e un’adolescenza<br />
difficili. All’età di soli sei anni viene abbandonato<br />
dai genitori separati e accudito da parenti<br />
in Alabama; la sua infanzia solitaria trova il<br />
suo solo conforto nell’amicizia con alcune ragazze<br />
della sua età, fra cui la scrittrice Harper Lee (l’autrice<br />
del celebre romanzo Il buio oltre la siepe, il<br />
cui personaggio di Dill è costruito a immagine di<br />
Truman).<br />
Lettore onnivoro, dotato di prodigiose e precoci<br />
abilità nella scrittura, Truman cerca la via del<br />
riscatto personale nella letteratura: trasferitosi a<br />
New York nel 1933 a casa della madre (risposatasi<br />
con Joseph Capote, di cui assumerà il cognome),<br />
comincia a collaborare con alcune riviste – tra cui<br />
il prestigioso «New Yorker» – dapprima come fattorino,<br />
quindi come autore di racconti. L’apprezzamento<br />
dei lettori lo rende ben presto un autore<br />
di successo e lo introduce nei salotti della Grande<br />
Mela: diventa così amico di grandi personalità<br />
dello spettacolo (l’attore Humphrey Bogart),<br />
dell’arte (il celebre Andy Warhol) e della letteratura<br />
(il drammaturgo Tennessee Williams).<br />
Oltre che il successo delle sue opere e la frequentazione<br />
dei divi e dell’alta società, a farne un personaggio<br />
al centro delle cronache saranno anche<br />
il suo temperamento complesso e sfrontato,<br />
lo scandalo – nella società dell’epoca – della sua<br />
omosessualità mai nascosta, gli eccessi nell’uso<br />
di alcool e droghe e, in generale, uno stile di<br />
vita disordinato ed esagerato. Tale tendenza si<br />
aggraverà nell’ultimo periodo della sua vita: abbandonato<br />
dal compagno abituale e sfruttato da<br />
amanti occasionali, Truman Capote morirà di cirrosi<br />
epatica (conseguenza della sua sregolata esistenza)<br />
a Bel Air, nei pressi di Los Angeles, nel<br />
1984.<br />
Le opere Capote esordisce nella letteratura con<br />
una serie di racconti – tra cui il suo primo successo,<br />
Miriam (1945) – risalenti agli inizi degli anni<br />
Quaranta. Il suo primo romanzo è Altre voci, altre<br />
storie (1948), storia (ispirata in parte alla sua<br />
biografia) dell’adolescenza inquieta di un tredicenne.<br />
A questo romanzo seguiranno la pubblicazione<br />
Reale, troppo reale • u n I t à<br />
di altre opere – Un albero di notte (1949), L’arpa<br />
d’erba (1951) – che lo affermeranno tra i più interessanti<br />
autori della nuova generazione. Uno dei<br />
suoi scritti di maggior successo è il romanzo Colazione<br />
da Tiffany (1958), da cui tre anni più tardi<br />
sarà tratto il celebre film di Blake Edwards, con<br />
protagonista Audrey Hepburn. Il suo romanzo più<br />
noto è A sangue freddo (1966), opera che inaugura<br />
una nuova forma di narrazione, vicina nei<br />
metodi e nella forma all’indagine giornalistica. Il<br />
suo ultimo lavoro, rimasto incompiuto e pubblicato<br />
postumo, è il romanzo Preghiere esaudite.<br />
A sangue freddo<br />
La trama A sangue freddo ricostruisce un<br />
fatto di cronaca realmente accaduto: il 16 novembre<br />
1959, a Holcomb, un tranquillo villaggio agricolo<br />
del Kansas, quattro membri della rispettabile famiglia<br />
Clutter vengono brutalmente assassinati<br />
da due balordi, Perry Edward Smith e Richard<br />
Eugene Hicock, introdottisi in casa in cerca di<br />
denaro. La loro rapida scomparsa lascia però la polizia<br />
senza indizi né piste da seguire. Soltanto dopo<br />
anni di ricerche si arriverà a catturare i due, a processarli<br />
e, infine, a condannarli a morte.<br />
Un romanzo in tempo reale Tale episodio di cronaca<br />
colpisce nel vivo l’opinione pubblica americana,<br />
che s’interesserà al caso seguendo con attenzione<br />
gli sviluppi sui mezzi di informazione, che<br />
gli dedicheranno ampio spazio. Anche Capote si farà<br />
coinvolgere totalmente dalla vicenda: non solo<br />
seguirà le indagini, in qualità di corrispondente<br />
del «New Yorker», ma assisterà al processo, durato<br />
cinque anni, e vorrà conoscere personalmente<br />
e frequentare con assiduità i due assassini, Perry e<br />
Richard, di cui diventerà amico e confidente e che<br />
accompagnerà fino al patibolo.<br />
La stesura del romanzo è contemporanea allo svolgersi<br />
della vicenda giudiziaria; la sua pubblicazione<br />
a puntate sul «New Yorker» riscuote un enorme<br />
successo ma provoca anche grandi polemiche,<br />
dovute al contrasto tra il rapporto intimo che Capote<br />
instaura con i due omicidi e lo stile freddo e<br />
distaccato con cui racconta la loro storia.<br />
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Gli occhi degli assassini<br />
Il brano riporta il momento culminante dell’inchiesta. Dopo anni<br />
di ricerche infruttuose, all’improvviso avviene una svolta. Non sarà<br />
però merito degli investigatori se le indagini s’indirizzeranno nella<br />
giusta direzione: è grazie a un detenuto del Penitenziario di Stato del<br />
Kansas, Floyd Wells, che i due assassini saranno infine identificati.<br />
Il giovane si chiamava Floyd Wells, era basso e quasi privo di mento. Aveva<br />
tentato diverse carriere: militare, bracciante, meccanico, ladro; l’ultima gli<br />
aveva fruttato una condanna da tre a cinque anni nel Penitenziario di Stato del<br />
Kansas1 . La sera del martedì 17 novembre 1959 era sdraiato nella sua cella con la<br />
cuffia di una radio premuta contro le orecchie. Stava ascoltando un notiziario, ma<br />
la voce dell’annunciatore e il grigiore degli avvenimenti di quel giorno («II Cancelliere<br />
Konrad Adenauer2 è giunto oggi a Londra per una serie di conversazioni<br />
con il Primo Ministro Harold Macmillan3 ... Il Presidente Eisenhower4 ha avuto un<br />
colloquio di settanta minuti col dottor T. Keith Glennan5 , sui problemi spaziali e<br />
lo stanziamento finanziario per l’esplorazione dello spazio») lo facevano scivolare<br />
nel dormiveglia. La sonnolenza scomparve immediatamente quando sentì: «I<br />
funzionari che indagano sul tragico massacro dei quattro componenti la famiglia<br />
di Herbert W. Clutter si sono appellati al pubblico per qualsiasi informazione che<br />
possa contribuire alla soluzione di questo sconcertante caso. Clutter, sua moglie<br />
e i due figli adolescenti sono stati rinvenuti assassinati nella loro fattoria vicino a<br />
Garden City nelle prime ore di domenica. Ciascuno era stato legato, imbavagliato<br />
e colpito alla testa con una carabina calibro 12. Gli investigatori ammettono di<br />
non riuscire a trovare un movente per questo delitto, definito da Logan Sanford,<br />
Direttore dell’Ufficio Investigativo del Kansas, il più atroce nella storia del Kansas.<br />
Clutter, importante coltivatore di grano, ex incaricato di Eisenhower presso<br />
la Commissione federale di credito agricolo6 ...»<br />
Wells era sbalordito. Come in seguito avrebbe dichiarato, «non riusciva a crederci».<br />
Pure aveva buone ragioni per farlo, dato che non solo aveva conosciuto la<br />
famiglia trucidata, ma conosceva benissimo chi l’aveva massacrata.<br />
La cosa era iniziata molto tempo prima, undici anni addietro, nell’autunno del<br />
1948, quando Wells aveva diciannove anni. Stava «girando il paese, facendo i me-<br />
1. Kansas: stato del Midwest<br />
degli Stati Uniti: si tratta di uno<br />
degli stati agricoli più produttivi<br />
del Paese.<br />
2. Konrad Adenauer: politico<br />
e statista tedesco, cancelliere<br />
della Germania Occidentale dal<br />
1949 al 1963. È uno dei padri<br />
dell’Unione Europea.<br />
3. Harold Macmillan: primo<br />
ministro del Regno Unito dal<br />
1957 al 1963.<br />
4. Eisenhower: Dwight David<br />
Eisenhower è stato il trentaquattresimo<br />
presidente degli<br />
Stati Uniti d’America, dal 1953<br />
al 1961.<br />
5. T. Keith Glennan: è stato,<br />
tra l’agosto 1958 e il gennaio<br />
1961, il primo capo della agenzia<br />
spaziale statunitense NASA.<br />
6. Commissione federale di<br />
credito agricolo: organismo<br />
governativo incaricato di valutare<br />
le richieste di finanziamento<br />
pubblico da parte degli imprenditori<br />
agricoli.<br />
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• GENERE<br />
romanzo-verità<br />
• LUOGO E tEmpO<br />
Stati uniti; anni<br />
Cinquanta-Sessanta<br />
• pERsONaGGi<br />
Floyd Wells; la<br />
famiglia Clutter;<br />
Dick (richard<br />
Eugene Hicock);<br />
l’investigatore alvin<br />
Dewey e sua moglie<br />
Marie<br />
6
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stieri che capitavano», come raccontò. «In un modo o nell’altro capitai laggiù nel<br />
Kansas occidentale. Vicino al confine col Colorado. Cercavo lavoro e, chiedendo<br />
in giro venni a sapere che forse avrebbe fatto comodo un bracciante alla Fattoria<br />
River Valley, era così che l’aveva chiamata il signor Clutter. E infatti lui mi assunse.<br />
Rimasi là un anno, credo, tutto l’inverno ad ogni modo, e quando me ne andai era<br />
solo perché mi sentivo i piedi che mi prudevano. Avevo voglia di muovermi. Non<br />
che avessi avuto da dire con il signor Clutter. Mi trattava benissimo. Come trattava<br />
tutti quelli che lavoravano per lui; per esempio se si era un po’ a corto prima del<br />
giorno di paga, ti dava sempre un cinque o dieci dollari. Pagava dei buoni salari e<br />
se te lo meritavi era pronto a darti una gratifica. Sul serio, di tutte le persone che<br />
ho conosciuto, il signor Clutter era quella che mi piaceva di più. Tutta la famiglia.<br />
La signora Clutter e i quattro figli. Quando li ho conosciuti, i due più piccini,<br />
quelli che sono stati uccisi, Nancy e il piccolo con gli occhiali, erano ancora dei<br />
bambinetti, sui cinque, sei anni. Le altre due, Beverly e l’altra che non ricordo<br />
come si chiamava, erano già alle superiori. Una bella famiglia, proprio bella. Non<br />
li ho mai dimenticati. Quando me ne sono andato era nel 1949. Mi sono sposato,<br />
ho divorziato, poi mi hanno sbattuto sotto le armi, sono successe altre cose, è<br />
passato del tempo si può dire, e nel 1959, nel giugno 1959, dieci anni dopo che<br />
me n’ero andato dal signor Clutter, mi hanno spedito a Lansing. Perché mi sono<br />
introdotto in quel negozio di apparecchi. Apparecchi elettrici. La mia intenzione<br />
era prendere una falciatrice elettrica. Non da vendere. Volevo cominciare ad affittare<br />
falciatrici. In modo da avere una piccola azienda stabile mia. Naturalmente<br />
non ci ho cavato nulla se non una condanna da tre a cinque anni. Se le cose non<br />
fossero andate cosi non avrei mai conosciuto Dick, e magari il signor Clutter ora<br />
non sarebbe sottoterra. Ma è andata così. Ecco qui. Ho incontrato Dick.<br />
«È stato il primo con cui ho diviso la cella. Siamo rimasti insieme un mese, mi<br />
pare: giugno e parte di luglio. Stava terminando una condanna da tre a cinque,<br />
sarebbe stato rilasciato sulla parola in agosto. Chiacchierava parecchio di quello<br />
che intendeva fare quando fosse stato fuori. Diceva che forse sarebbe andato<br />
nel Nevada, in una di quelle cittadine di basi missilistiche, si sarebbe comperato<br />
un’uniforme e si sarebbe fatto passare per ufficiale dell’Aviazione. Così avrebbe<br />
potuto smerciare una bella sfilza di assegni fasulli. Questo era uno dei progetti<br />
che mi raccontò. (A me personalmente non era mai parso gran che. In gamba,<br />
non lo nego, ma non aveva l’aspetto adatto a quella parte. Non aveva l’aria di un<br />
ufficiale dell’Aviazione.) Altre volte mi ha accennato a quel suo amico, Perry. Un<br />
tipo mezzo indiano con cui era stato in cella. E parlava dei bei colpi che lui e Perry<br />
avrebbero potuto combinare quando si fossero messi di nuovo insieme. Non l’ho<br />
mai conosciuto, quel Perry. Non l’ho mai visto. Era già uscito da Lansing, rilasciato<br />
sulla parola. Ma Dick continuava a dire che se si fosse presentata la possibilità di<br />
un colpo grosso sul serio, poteva sempre contare su Perry Smith come compare.<br />
«Non ricordo esattamente come venne fuori il signor Clutter, la prima volta.<br />
Deve essere stato quando discutevamo di lavoro, dei diversi mestieri che avevamo<br />
fatto. Dick era meccanico d’auto, specializzato, e aveva quasi sempre fatto quel<br />
lavoro. Solo una volta aveva lavorato come autista per l’ambulanza di un ospedale.<br />
Pieno di sbruffonate a quel proposito. Sulle infermiere e tutto quel che aveva<br />
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combinato con loro nel retro dell’ambulanza. Comunque io gli raccontai che per<br />
un anno avevo lavorato in una tenuta piuttosto grande nel Kansas occidentale.<br />
Per il signor Clutter. Lui voleva sapere se il signor Clutter era ricco. Sì, risposi. Sì,<br />
lo era. Anzi, dissi, una volta il signor Clutter mi aveva raccontato di avere speso<br />
diecimila dollari in una settimana. Cioè disse che certe volte gli costava diecimila<br />
dollari alla settimana far funzionare quell’azienda. Dopo d’allora Dick non la smise<br />
più di farmi domande su quella famiglia. In quanti erano? Quanti anni avrebbero<br />
avuto ora i figli? Come si arriva alla casa, esattamente? Com’era disposta? Il<br />
signor Clutter aveva una cassaforte? Non lo nego, gli dissi che l’aveva. Perché mi<br />
pareva di ricordare una specie di armadio o una cassaforte, o qualcosa, proprio<br />
dietro la scrivania nella stanza che il signor Clutter usava come ufficio. E da allora<br />
Dick si mise a parlare di far fuori il signor Clutter. Disse che lui e Perry sarebbero<br />
andati laggiù a rubare, e avrebbero ucciso tutti i testimoni, Clutter e chiunque<br />
altro si fosse trovato là. Mi descrisse una dozzina di volte come l’avrebbero fatto,<br />
in che modo lui è Perry li avrebbero legati e poi gli avrebbero sparato. Gli dissi:<br />
“Dick, non potrai mai farcela.” Ma onestamente non posso dire di avere cercato<br />
di dissuaderlo. Perché mai neanche un minuto ho pensato che lui intendesse andarci<br />
sul serio. Credevo che fossero solo chiacchiere, come se ne sentono tante a<br />
Lansing. Praticamente non si sente altro: quello che uno farà quando sarà fuori,<br />
le aggressioni, le rapine e via dicendo. Per lo più sono solo spacconate. Nessuno<br />
le prende sul serio. Ecco perché, quando ho sentito quel che ho sentito alla radio,<br />
be’, non riuscivo a crederci. Eppure era successo. Così come aveva detto Dick.»<br />
Questa era la storia di Floyd Wells, sebbene per il momento non si sognasse<br />
neppure di raccontarla. […] Non aprì bocca e trascorsero altri dieci giorni. […]<br />
Poco dopo, torturato dalla necessità di «dirlo a qualcuno», si confidò con un altro<br />
prigioniero. […] «Disse che avrebbe sistemato lui la cosa. Così il giorno dopo si<br />
mise in contatto con il vicedirettore e gli disse che io volevo essere “convocato”.<br />
Raccontò al vice che se mi faceva chiamare nel suo ufficio con un pretesto qualsiasi,<br />
magari avrei potuto dirgli chi aveva ucciso i Clutter. Naturalmente il vicedirettore<br />
mi mandò a chiamare. Io avevo paura ma ripensai al signor Clutter, che non mi<br />
aveva mai fatto alcun male e che a Natale mi aveva regalato un portamonete nero<br />
con dentro cinquanta dollari. Parlai al vice. Poi raccontai tutto al direttore in<br />
persona. E mentre me ne stavo ancora là, proprio nell’ufficio del direttore Hand,<br />
quello ha preso il telefono...»<br />
La persona a cui il direttore Hand telefonò era Logan Sanford. Sanford ascoltò,<br />
riappese, diede parecchi ordini, quindi fece una telefonata personale ad Alvin Dewey.<br />
Quella sera, quando uscì dal suo ufficio nel tribunale di Garden City, Dewey<br />
portò con sé una grossa busta. Quando giunse a casa, Marie era in cucina a preparare<br />
la cena. Nell’attimo in cui Dewey apparve, lei si lanciò nel resoconto delle<br />
tragedie familiari. Il gatto aveva aggredito il cocker spaniel 7 della casa di fronte e<br />
ora pareva che il cagnolino avesse un occhio gravemente ferito. E Paul, il figlio di<br />
nove anni, era caduto da un albero. […]<br />
7. cocker spaniel: razza canina di taglia medio-piccola e dal pelo lungo.<br />
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Mentre sua moglie descriveva questi infausti eventi, Dewey si versò due tazze<br />
di caffè. Improvvisamente Marie si interruppe nel bel mezzo di una frase e lo fissò.<br />
Dewey aveva il volto arrossato e lei capì che era esultante. Disse: «Alvin. Oh, tesoro.<br />
Ci sono buone notizie?» Senza fare commenti Dewey le porse la busta. Marie<br />
aveva le mani umide, se le asciugò, sedette al tavolo di cucina, prese un sorso di<br />
caffè, aprì la busta e ne trasse le fotografie di un giovane biondo e di un giovane<br />
bruno dalla pelle olivastra: foto d’archivio di polizia. Due schedine parzialmente<br />
in codice accompagnavano le fotografie. Quella del biondo diceva:<br />
Hickock, Richard Eugene (WM) 28. KBI 97093; FBI 859273 A. Indirizzo: Edgerton,<br />
Kansas. Data di nascita 6-6-31. Luogo di nascita: KC., Kans. Altezza: 175.<br />
Peso: 87. Capelli: biondi. Occhi: azzurri. Corporatura: robusta. Colorito: roseo.<br />
Professione: verniciatore d’auto. Reato: Truffa e assegni falsi. Rilasc. Par.: 13-8-<br />
59. Da: So. K.C.K.<br />
La seconda descrizione diceva:<br />
Smith, Perry Edward (WM) 27-59. Luogo di nascita: Nevada. Altezza: 160.<br />
Peso: 77. Capelli: neri. Reato: F e E. Arrestato: (in bianco). Da: (in bianco). Disposizioni:<br />
Mandato KSP 13-3-56 da Phillips Co. 5-10 anni. Entr. 14-3-56. Rilasc.<br />
Par. 6-7-59.<br />
Marie esaminò le foto di fronte e di profilo di Smith: un volto arrogante, duro,<br />
eppure non del tutto perché vi si scorgeva una strana delicatezza; le labbra e<br />
il naso apparivano ben modellati, e gli occhi, umidi, dall’espressione sognante, le<br />
parvero piuttosto belli, con una certa sensibilità, un po’ da attore. Sensibilità e<br />
qualcos’altro: «cattiveria». Per quanto non cattivi, non repulsivamente «criminali»<br />
come gli occhi di Hickock, Richard Eugene. […] «Chi sono?» chiese Marie.<br />
Dewey le raccontò la storia di Floyd Wells, e concluse : «Buffo. Nelle ultime tre<br />
settimane ci siamo concentrati proprio su questa possibilità. Abbiamo rintracciato<br />
tutti quelli che hanno lavorato alla fattoria dei Clutter, Ora, così com’è venuto<br />
fuori, sembra solo un colpo di fortuna. Ma tra qualche giorno saremmo arrivati<br />
a questo Wells. Avremmo scoperto che è in carcere. Allora saremmo giunti alla<br />
verità. Sì, maledizione.» […]<br />
II tono di lui la colpì; osservò di nuovo quei volti sul tavolo di cucina. «Pensa<br />
a questo» disse posando un dito sul ritratto del giovane biondo. «Pensa a questi<br />
occhi. Che ti si avvicinano.» Poi rimise le foto nella busta. «Preferirei non averle<br />
viste.»<br />
Truman Capote, A sangue freddo, Milano, Garzanti, 2005<br />
scheda di analisi<br />
Il tema e il messaggio<br />
Leggendo il romanzo, il lettore ha modo di conoscere<br />
a fondo la vita di vittime e carnefici, che alla<br />
fine sembrano quasi scambiarsi le parti: i giovani<br />
assassini hanno compiuto un gesto di violenza inaudita,<br />
ma l’indagine puntuale sulle loro vite svolta da<br />
Capote svela un passato terribile, che fa di loro degli<br />
oppressi, dei martiri della società. Capote riconosce<br />
nella giovinezza di Perry, l’autore materiale dei delitti,<br />
tratti comuni con la propria (l’abbandono, la madre<br />
alcolizzata, il padre assente, l’omosessualità, la violenza<br />
e il disprezzo della gente), comprendendo così che<br />
solo il caso e il talento avevano potuto risparmiare a<br />
lui una sorte analoga. L’autore ci dice, così, che sono il<br />
deserto degli affetti e le drammatiche situazioni di<br />
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cui la società non sa farsi carico, preferendo l’emarginazione<br />
alla solidarietà, a generare dei mostri. Nemmeno<br />
il detective Dewey, particolarmente coinvolto<br />
nelle indagini, riuscirà a trovare pace dopo la sentenza<br />
di condanna a morte dei responsabili. Già alla fine<br />
del brano, una volta riuscito a dare un volto e un nome<br />
agli assassini, i sentimenti che l’investigatore prova e<br />
partecipa alla moglie sono intrisi di inquietudine.<br />
I sentimenti dei personaggi<br />
Nella prima sequenza, l’autore introduce il personaggio<br />
di Floyd, cogliendolo nel momento in cui diviene<br />
consapevole della verità sulla strage dei Clutter.<br />
Pur considerando la possibilità di incassare un premio<br />
per rivelare i nomi degli assassini, in un primo tempo<br />
non vuole rivolgersi all’autorità per non contravvenire<br />
al codice d’onore vigente tra i carcerati. In seguito,<br />
di fronte alla gravità del fatto e al peso della coscienza,<br />
si confida con un amico e infine, grazie alla<br />
mediazione di quest’ultimo, si risolve a rendere testimonianza<br />
di fronte al vicedirettore del penitenziario e<br />
poi al cospetto del direttore Hand.<br />
Il protagonista della seconda sequenza del brano<br />
è Alvin Dewey, titolare dell’inchiesta sulla strage<br />
di Holcomb. Tutti i suoi sforzi investigativi sono stati<br />
sinora infruttuosi (non si sarebbe certamente arrivati<br />
all’identificazione dei responsabili del gesto efferato<br />
se non ci fosse stata la provvidenziale “soffiata”<br />
di Floyd); ma non è questa delusione a turbarlo: un<br />
oscuro presentimento e i primi accenni di una profonda<br />
inquietudine si materializzano già nel momento<br />
in cui osserva i volti sulle foto segnaletiche.<br />
Dewey confesserà, nella conclusione del romanzo,<br />
dopo aver assistito all’esecuzione dei colpevoli, che<br />
«si era immaginato che la morte di Smith e Hickock<br />
avrebbe prodotto una sensazione di completamento,<br />
di liberazione, un’opera compiuta secondo giustizia».<br />
Ma ciò non può essere: le questioni più importanti, riguardanti<br />
la natura dell’uomo e la sua capacità di compiere<br />
gesti terribili, continueranno a rimanere senza<br />
risposta.<br />
Laboratorio sul testo<br />
Comprendere<br />
La lingua e lo stile<br />
Scrive Truman Capote a proposito del suo romanzo:<br />
«Tutto il materiale di questo libro non derivato da mia<br />
osservazione diretta o è stato preso da registrazioni<br />
ufficiali o è il risultato di colloqui con le persone direttamente<br />
interessate, e molto spesso di tutta una serie<br />
di colloqui che si sono protratti per un tempo considerevole».<br />
L’opera inaugura così – per stessa ammissione<br />
del suo autore – il genere letterario del romanzoverità<br />
(non-fiction novel), in cui resoconto giornalistico<br />
e racconto si fondono insieme.<br />
Il meccanismo narrativo scelto da Capote prevede<br />
l’adozione sistematica di una focalizzazione interna:<br />
sono i personaggi stessi a raccontare la storia,<br />
ognuno dal proprio punto di vista. Anche il brano<br />
proposto è esemplare di questa molteplicità dei<br />
punti di vista, per cui i vari personaggi si passano<br />
la parola l’un l’altro, a completare il mosaico della<br />
vicenda.<br />
La prosa di Capote è cruda e realistica, asciutta,<br />
molto ricca di riferimenti concreti e dettagli (si veda<br />
in apertura il passaggio in cui si riportano i testi<br />
del notiziario radiofonico, oppure la trascrizione integrale<br />
delle schede segnaletiche dei colpevoli pregiudicati),<br />
ma non rinuncia alla partecipazione emotiva:<br />
per esempio, nella descrizione dei turbamenti di<br />
Floyd, prima e durante la sua decisiva testimonianza;<br />
oppure nell’esame della foto di Perry Smith da parte<br />
di Marie, la moglie dell’investigatore Dewey (vi si<br />
scorgeva una strana delicatezza; gli occhi umidi,<br />
dall’espressione sognante... con una certa sensibilità,<br />
un po’ da attore).<br />
La sintassi è piana, con frasi molto brevi e un ritmo<br />
frammentario che emerge soprattutto nei lunghi<br />
discorsi diretti. Il lessico è medio e rifugge da termini<br />
gergali e volgari, pur in un contesto, come quello<br />
del carcere, che avrebbe potuto giustificarli. Tale circostanza<br />
è una prova evidente della meticolosa operazione<br />
di mediazione letteraria compiuta dall’autore,<br />
che ha reso la lingua dei personaggi omogenea sul<br />
piano lessicale.<br />
1. Descrivi l’atteggiamento in cui è colto il personaggio di Floyd in apertura del brano.<br />
2. Floyd è un delinquente abituale? Che tipi di reati ha commesso?<br />
3. Come è entrato in contatto con la famiglia Clutter?<br />
4. Da quale tipo di attività deriva il benessere economico dei Clutter? Essi ostentano la loro ricchezza?<br />
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5. Floyd ha conosciuto personalmente entrambi gli assassini? Motiva la tua risposta.<br />
6. Dick è un assiduo frequentatore del carcere? Ha mai commesso omicidi, prima del massacro dei Clutter?<br />
7. Chi è Logan Sanford? Quale ruolo ha nella vicenda? Motiva la tua risposta con riferimenti specifici al testo.<br />
8. Descrivi la situazione a casa Dewey quando alvin rientra con la busta che contiene le schede dei due assassini.<br />
interpretare<br />
9. Quando me ne andai era solo perché mi sentivo i piedi che mi prudevano (r. 31-32). Qual è il significato di questa<br />
frase?<br />
10. Credevo che fossero solo chiacchiere, come se ne sentono tante a Lansing. Praticamente non si sente altro:<br />
quello che uno farà quando sarà fuori, le aggressioni, le rapine e via dicendo. Per lo più sono solo spacconate.<br />
Nessuno le prende sul serio (rr. 89-92). Quale particolare state d’animo è testimoniato da questa parte del<br />
racconto di Floyd?<br />
11. Quale significato assume, anche alla luce del prosieguo della storia, la conclusione del brano?<br />
analizzare<br />
Narrazione e punto di vista<br />
12. La focalizzazione interna varia o rimane costante? Motiva la tua risposta con specifici riferimenti al testo.<br />
13. Individua la presenza di flashback all’interno del testo.<br />
stile<br />
14. Il testo reca evidenti tracce di uno stile giornalistico: evidenzia la presenza di indicazioni relative a luoghi,<br />
tempi, nomi di persone, informazioni fondamentali per il giornalismo di cronaca.<br />
15. Come spieghi, a livello stilistico, l’inserimento del testo della scheda segnaletica in codice, fitta di abbreviazioni<br />
e formule burocratiche, relativa ai due assassini?<br />
padroneggiare la lingua<br />
Lessico<br />
16. Concentrati sul lessico utilizzato nel brano, individuando i termini colloquiali e quelli di tono più informale.<br />
Grammatica<br />
17. Osserva la sintassi del lungo monologo di Floyd, a partire da In un modo o nell’altro… (rr. 27-93). Identifica<br />
e sottolinea gli elementi sintattici tipici del parlato, come la presenza di frasi nominali e di ripetizioni.<br />
18. In generale, nel testo prevale una costruzione paratattica o ipotattica? Motiva la tua risposta.<br />
produrre<br />
19. nella tua esperienza, sapresti indicare alcuni episodi di cronaca nera che hanno avuto un’eco paragonabile<br />
all’omicidio dei Clutter? Quale ruolo hanno avuto, in essi, i mezzi di comunicazione, in particolare la televisione?<br />
ti è parso che il dovere d’informare sia sconfinato nella volontà di “spettacolarizzare” la vicenda?<br />
Discutine con i tuoi compagni.<br />
20. In un testo di circa una pagina, racconta un episodio della tua vita scolastica (per esempio, l’interrogazione<br />
di un compagno) nella forma della testimonianza di almeno due personaggi che vi hanno assistito. Comincia<br />
con il presentare i “testimoni” che hai scelto (un compagno di classe e l’insegnante, per esempio);<br />
poi cura la focalizzazione del racconto in modo da lasciare libero campo alle due voci, così che abbiano la<br />
possibilità di svelare, dal loro punto di vista, gli eventuali retroscena del fatto.<br />
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Goffredo Parise<br />
La vita e le opere<br />
La vita Nasce a Vicenza nel 1929, figlio di Ida<br />
Wanda Bertoli, ragazza madre; la sua infanzia,<br />
priva di una figura paterna, si rivela un’età molto<br />
difficile per il ragazzo, che matura in questi anni<br />
un carattere problematico e introverso. Nel 1937,<br />
la madre sposa Osvaldo Parise, direttore del «Giornale<br />
di Vicenza», il cui affetto nei confronti del piccolo<br />
Goffredo restituisce in parte a quest’ultimo un<br />
po’ di serenità.<br />
Nel 1944, appena quindicenne, Goffredo partecipa<br />
alla Resistenza; finita la guerra, intraprende<br />
gli studi liceali e poi quelli universitari, iscrivendosi<br />
a diversi corsi di laurea ma non completandone<br />
nessuno. La sua carriera di scrittore inizia alla<br />
fine degli anni Quaranta, con alcuni racconti pubblicati<br />
per diversi quotidiani e riviste. Il suo primo<br />
romanzo, Il ragazzo morto e le comete (1948) è<br />
un’opera sperimentale che lascia perplessi la critica<br />
e il pubblico. Migliore fortuna avranno i romanzi<br />
successivi: La grande vacanza (1953) e soprattutto<br />
Il prete bello (1954), che lo rende un autore<br />
affermato anche all’estero. In questi anni conosce<br />
e inizia a frequentare i più importanti scrittori<br />
italiani dell’epoca: Eugenio Montale, Giovanni<br />
Comisso, Carlo Emilio Gadda, Guido Piovene,<br />
Alberto Moravia.<br />
La sua vita, d’ora in poi, sarà caratterizzata da continui<br />
viaggi in tutto il mondo, in cui mette in luce<br />
il suo talento di reporter. Le esperienze in essi<br />
maturate e la sapienza esistenziale derivata da tanti<br />
incontri confluiscono in una raccolta di brevi racconti<br />
in due volumi, Sillabari (1972, 1982). Muore<br />
nel 1986 a Treviso, a causa di una malattia cardiaca.<br />
Lo scrittore Narratore di talento e autore versatile,<br />
Parise è stato romanziere, giornalista e anche<br />
sceneggiatore cinematografico, collaborando con<br />
registi importanti, come Mauro Bolognini e Federico<br />
Fellini. Di particolare rilievo è la sua attività<br />
giornalistica: avviato al mestiere dal patrigno,<br />
Parise collabora alle maggiori testate italiane<br />
in qualità di reporter, effettuando frequenti viaggi<br />
di lavoro negli anni Sessanta e Settanta, soprattutto<br />
nelle zone calde del mondo. Sulle motivazioni di<br />
tale scelta esistenziale, prima ancora che professionale,<br />
dichiarerà: «Non si tratta di passione<br />
politica o militare, ma di una specie di fame fisica<br />
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e mentale che porta a confondere il proprio sangue<br />
con quello degli altri in luoghi o paesi che non<br />
siano soltanto quelli della propria origine». I suoi<br />
articoli testimoniano della capacità di cogliere l’essenza<br />
dei paesaggi umani su cui Parise ha posato<br />
il suo sguardo: il Vietnam, il Giappone, la Cina, il<br />
Laos, il Cile, il Biafra sono oggetto di intense e lucide<br />
testimonianze che superano l’istanza informativa,<br />
mirando a trasmettere il sentimento delle cose<br />
e a restituire al lettore emozioni potenti e genuine.<br />
Biafra<br />
La guerra del Biafra Quattro dei reportage di<br />
Parise sono raccolti nel volume Guerre politiche:<br />
Vietnam, Biafra, Laos, Cile, pubblicato nel 1976.<br />
Biafra è il titolo della sezione del volume che raccoglie<br />
gli articoli apparsi sul «Corriere della sera»<br />
nell’agosto del 1968, a documentare un terribile<br />
conflitto scatenatosi nell’ambito del tentativo<br />
d’instaurare uno Stato indipendente secessionista<br />
nel territorio della Nigeria. Protagonista di<br />
questa scriteriata avventura politica – istigata anche<br />
da ingenti interessi economici – è un ufficiale<br />
dell’esercito nigeriano, Chukwuemeka Odumegwu<br />
Ojukwu, «educato a Eton e a Cambridge», come<br />
scrive Parise, che non esiterà a sacrificare un numero<br />
altissimo di vite umane sull’altare della sua<br />
megalomania politica e militare.<br />
Ojukwu, governatore militare della regione est della<br />
Nigeria, abitata dall’etnia Ibo, ne autoproclamerà<br />
l’indipendenza nel 1967, dando origine alla Repubblica<br />
presidenziale del Biafra, di cui egli sarà il<br />
primo e l’unico presidente. Con una popolazione di<br />
circa tredici milioni di abitanti, essa resterà in vita<br />
dal 30 maggio 1967 al 15 gennaio 1970.<br />
La strumentalizzazione della tragedia Le atroci<br />
sofferenze della popolazione, soprattutto dei bambini,<br />
verranno esibite al mondo come strumento<br />
di pressione sulla comunità internazionale per ottenere<br />
il riconoscimento del neonato Stato indipendente<br />
del Biafra. Secondo l’interpretazione di<br />
Parise, una guerra fra tribù viene così trasformata<br />
in una tragedia di immani proporzioni: una raccapricciante<br />
macchina pubblicitaria esibisce<br />
cadaveri di bambini al solo scopo di costringere il<br />
mondo intero ad assecondare un piano di potere<br />
meschino e vergognoso.<br />
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I profughi, la fame, i morti<br />
Il reportage di Parise ci costringe alla visione di immagini dure e<br />
toccanti. La realtà dell’enorme miseria, della fame e degli effetti<br />
della guerra sono riportati dallo scrittore con crudo e intransigente<br />
realismo: è attraverso il suo stile preciso e oggettivo, ma non per<br />
questo distaccato o indifferente, che Parise mette in atto la sua ferma<br />
denuncia degli orrori e delle assurdità che caratterizzano la guerra<br />
civile nel Biafra.<br />
Sono in un campo di profughi nella foresta: è formato da cinque capannoni,<br />
un tempo scuole o magazzini, disposti intorno a un cortile ai limiti di<br />
un villaggio. I profughi sono seicento, forme imprecise di colore bruno, spesso<br />
avvinte una all’altra, in cui denti e cornee biancheggiano. Affollano l’interno dei<br />
capannoni o stanno accovacciati nel cortile, sotto minuscole tettoie di foglie di<br />
palma che non servono a ripararli dalla pioggia che scroscia: si stringono intorno<br />
a fuochi che si spengono, avvolti dalle spire di un fumo nauseabondo che vaga<br />
nell’aria, si perde nella foresta e rende imprecisa la vista.<br />
Solo un poco alla volta e aguzzando lo sguardo si riesce a distinguere in questa<br />
massa, che ha perduto le caratteristiche individuali dell’umanità e ha assunto quelle<br />
collettive e indecifrabili della morte, ciò che un tempo doveva essere un uomo,<br />
una donna, un bambino. Si è costretti a guardarli dall’alto perché quasi nessuno<br />
si regge in piedi. I bambini, che sono la maggioranza, scheletrici, rattrappiti, chi<br />
sdraiato e chi seduto contro un muro o un paletto piantato nel fango, poggiati sul<br />
bacino come su un piedestallo, le ossa inerti delle due gambe allineate davanti a<br />
sé, le mani congiunte nel grembo nudo. Stanno immobili, il grosso cranio sostenuto<br />
a fatica dalle visibili e fragili vertebre del collo si piega sugli omeri. Sul volto<br />
che non ha più carne ma solo pelle tesa sulla struttura ossea e sulle cartilagini, le<br />
vene gonfie delle tempie pulsano a intermittenze lentissime e irregolari; ai lati degli<br />
occhi la pelle forma una rete di rughe, i capelli schiariti dall’assenza di proteine,<br />
di un biondo rossiccio, fanno pensare alla canizie1 e, visti insieme, uno accanto<br />
all’altro, sono una folla di minuscoli vecchi in silenziosa, educata, composta attesa.<br />
Nessuno si muove verso di me, nessuno tende la mano, nessuno chiede nulla,<br />
spinto se non altro da un ultimo fremito di vitalità. Dalla loro povera, essenziale<br />
nudità, seduti su un terreno liso, consunto come una vecchia sedia dai loro corpicini,<br />
sollevano lo sguardo con fatica, per un istante, poi lo riabbassano verso un<br />
punto-nulla al loro fianco: uno sguardo non triste, non disperato, non affamato,<br />
non impaurito, bensì calmo e quasi sereno, distaccato, contemplativo: della totale<br />
e definitiva intelligenza delle cose di questo mondo, della perfetta coscienza<br />
della solitudine e del dolore dell’uomo. A due, tre, cinque anni, perché questa,<br />
1. canizie: condizione di chi ha i capelli bianchi.<br />
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• GENERE<br />
reportage<br />
• LUOGO E tEmpO<br />
Biafra; fine anni<br />
Sessanta<br />
• pERsONaGGi<br />
Il narratorereporter;<br />
il suo<br />
accompagnatore;<br />
gli ospiti del campo<br />
profughi; il direttore<br />
del campo<br />
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nella maggioranza, è la loro età, essi possiedono la grandezza di chi ha conosciuto<br />
e sperimentato l’intero arco di una lunga vita che si preparano ad abbandonare.<br />
Eccone uno, accanto alla madre, avrà forse tre anni: piccolissimo tutto testa,<br />
ossicini, unghie e membrane come un pipistrello: attizza un piccolo fuoco davanti<br />
a sé e sul fuoco arrostisce una lucertola che poi gratta con la lama arrugginita<br />
di un coltello. Al seno della madre, due stracci lunghi, spiegazzati, sta appeso un<br />
altro bambino, quasi un neonato, ma ossuto e rugoso come un centenario, i denti<br />
sporgenti da una bocca ormai senza più labbra. Si accanisce a poppare e ingoia<br />
quel misero seno fin quasi a ingozzarsi, poi si stacca con brevi singhiozzi e conati<br />
di vomito, piange grosse lacrime che lo inondano tutto e si sforza di strillare: ma<br />
non è uno strillo, un vagito, il suo, bensì una sorta di strido rauco e debole che<br />
perde suono via via e si spegne in un rantolo asmatico. Allora la madre non sapendo<br />
che fare gli porge lei stessa il seno a cui il bambino si attacca con voracità<br />
ancora maggiore.<br />
Nello spazio di venti minuti, il tempo della mia visita, ne muoiono due, un<br />
bambino di cinque anni e una bambina di nove. Il primo sta disteso bocconi accanto<br />
alla madre, gli occhi ancora aperti e afflosciati, i denti già lievemente grigi,<br />
le palme ancora rosee, rovesciate. La madre gli carezza il capo piangendo in silenzio,<br />
senza guardarlo. L’altra madre, in fondo al capannone, si lamenta accanto al<br />
cadavere della figlia. Più che un lamento è un canto funebre, un urlo ritmico che<br />
lei accompagna battendo le mani e piegandosi fino a terra e che finisce in un lungo<br />
gemito. Poi ricomincia. Gli altri, a centinaia, non guardano, muovono appena gli<br />
occhi nel niente che si avvicina, stretti ai figli, in attesa del loro turno.<br />
Il mio accompagnatore insieme al direttore del campo mi porta a vedere il magazzino<br />
viveri. È una baracca, chiusa con due lucchetti. Ho contato undici sacchi<br />
di farina di manioca 2 , tre sacchi di fagioli, mezzo sacco di latte in polvere, due scatolini<br />
di medicinali, soprattutto vitamine. Sono le riserve per tre giorni, poi non ci<br />
sarà più nulla. La razione è di un pugno di manioca e uno di fagioli per persona,<br />
al giorno. Chiedo chi potrà sopravvivere.<br />
«Per il novanta per cento e forse più dei bambini che sono qui la sorte è segnata.<br />
Vivranno ancora qualche giorno, forse una settimana, forse dieci giorni. Ma<br />
è certo che moriranno tutti. Per gli adulti la mortalità è inferiore. Le cause della<br />
morte sono la totale mancanza di nutrimento proteinico. Questi sono qui da maggio,<br />
dalla caduta di Port Harcourt 3 . Non hanno mangiato nulla, nulla di nulla per<br />
circa un mese, il tempo di camminare fino a qui. Sono circa centoquaranta chilometri,<br />
sempre nella foresta. Sono arrivati, anzi sono stati trovati press’a poco nelle<br />
condizioni in cui lei li vede ora. Appartengono alla razza Efik, una minoranza della<br />
costa abituata a nutrirsi di pesce e quindi a un tasso proteinico relativamente alto.<br />
La vitamina non serve, soltanto il pesce e la carne avrebbero potuto salvarli, ma<br />
ormai è troppo tardi e in ogni caso non avverrà».<br />
«Come sono arrivati fin qui?».<br />
2. manioca: arbusto tipico delle zone tropicali, dalle<br />
cui radici si estrae una nutriente farina (detta<br />
tapioca).<br />
3. Port Harcourt: città situata nella parte orientale<br />
del delta del Niger.<br />
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profughi del Biafra,<br />
nigeria 1968.<br />
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«A piedi, errando nella foresta verso nord. Hanno terrore della guerra, la vedono<br />
per la prima volta, e temono di essere tutti massacrati dai nigeriani. Alle<br />
prime sparatorie fuggono senza sapere dove. Alcuni trovano asilo nei villaggi, già<br />
sovrappopolati e in preda alla carestia. Moltissimi, terrorizzati, rimangono nella<br />
foresta e muoiono di fame senza che nessuno lo sappia».<br />
Esco dalla baracca viveri. Alcuni uomini stanno scuoiando un corpo bianchiccio,<br />
gonfio e semicarbonizzato. Per un istante ho un sospetto terribile, ma mi<br />
accorgo subito che è il corpo di un agnello. Quel corpo puzzolente e gonfio, da<br />
cui non sono state tolte le interiora, non appare tanto diverso da quello dei due<br />
bambini morti; così promiscuo, totale e totalitario è l’orrore da rendere non solo<br />
possibile ma perfino lecita la confusione tra esseri umani e animali. La mente è<br />
come dissolta, la ragione perde di colpo la sua funzione di strumento conoscitivo<br />
e associativo, soli strumenti di conoscenza rimangono i sensi che registrano indifferentemente<br />
i fenomeni.<br />
Lasciamo il campo. Una donna segue la nostra automobile sotto la pioggia torrenziale.<br />
Dapprima sorride, forse per ingraziarsi qualcuno di noi, si batte il ventre<br />
con una mano, fa il gesto di mangiare e parla, parla incessantemente. Poiché si<br />
accorge che l’auto si allontana ci segue spalancando le braccia, cade nell’acqua, si<br />
risolleva, cade ancora e urla, con urla rauche da bestia.<br />
A poche centinaia di metri dal campo, lungo la pista dove navighiamo come<br />
in un fiume, incontriamo abitanti dei villaggi vicini, alcuni coperti da impermeabili<br />
di plastica, gialli, verdi, azzurri. Chi a piedi, chi in bicicletta, ridono, saltano,<br />
con la vitalità allegra e un po’ pazza degli africani. In una capanna due bambini<br />
sani, grassocci, danzano al suono di un tamburo. Con l’incoscienza della natura<br />
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altrettanto allegra, altrettanto vitale. Percorriamo ampie vallate, felice foresta di un<br />
verde smeraldo intenso, irrorata dalla pioggia, solcata da balenanti spade di sole,<br />
palme, banani, liane, foglie, si gonfiano, si illuminano di colori, esplodono nello<br />
spettacolo insieme indifferente, crudele e misterioso della vita.<br />
Raggiungiamo un altro campo di profughi, a pochi chilometri di distanza. Stessa<br />
visione. Alcuni hanno tentato di organizzare un mercatino, una minuscola, atroce<br />
finzione di iniziativa privata. Nel cortile si allineano traballanti banchetti, fatti<br />
con stecchi piantati per terra e coperti di foglie di palma su cui è esposta la merce<br />
in vendita: cinque o sei fagioli allineati, un mucchietto di bacche, un microscopico<br />
mucchietto di sale, un topo. Fa pensare a un gioco atroce, insensato, se non fosse<br />
che offrono di vendere quella merce anche a me. Chiedo chi la compra.<br />
«Quelli che hanno ancora qualche soldo. In molti campi si è formato subito un<br />
piccolo commercio, gli africani non sanno rinunciare al commercio, forse quello<br />
era il loro mestiere, prima di arrivare qui. I più sani vanno di notte nella foresta,<br />
raccolgono lumache e banane, ammazzano topi e lucertole che mettono in vendita.<br />
Se riescono a racimolare qualche sterlina vanno in città, ad Aba 4 , a piedi,<br />
comprano un mucchietto di sale, che è la cosa più rara, e lo portano qui. Molto<br />
spesso sono loro a mangiare la merce che mettono in vendita perché quasi nessuno<br />
possiede denaro. È la forza dell’abitudine e l’attaccamento alla vita che li spinge<br />
a continuare nel loro mestiere. Guardi quello».<br />
Mi indica un uomo che sta intrecciando nasse 4 . Lavora lentamente, coscienziosamente,<br />
con precisione. Ne ha già intrecciate quattro, allineate accanto a sé. «È<br />
un pescatore. Lui sa che il Biafra non ha più alcuno sbocco sul mare, che quelle<br />
nasse non servono a nulla, che nessuno le comprerà. Eppure continua a fare il suo<br />
mestiere come se il mare ci fosse. È la speranza, signore».<br />
Visitiamo un ospedale col tetto coperto di corvi magrissimi, schifosi, arcigni,<br />
che si spennano. È pieno di soldati feriti, ammassati sui letti e sul pavimento sotto<br />
i letti. Sono tutti giovanissimi, chi senza un braccio, chi senza una gamba. Uno di<br />
questi mi chiama, indica il troncone della gamba fasciata poco più su del ginocchio<br />
con bende rigide di sangue rappreso. Solleva il troncone con uno sforzo e<br />
dice: «Gowon 5 , Gowon». Un altro è arrivato ora dal fronte sud. Gronda sangue<br />
e delira. Quando mi vede, con uno sforzo, piangendo e urlando, cerca di gettarsi<br />
su di me. Accorrono le infermiere che lo immobilizzano. Il medico mi prende per<br />
un braccio e mi porta via, dicendomi: «L’ha scambiata per un mercenario e chiama<br />
in aiuto il suo comandante per ucciderla».<br />
Passiamo nel reparto bambini. Anche qui le condizioni dei bambini sono disperate.<br />
Nella maggioranza sono piccoli scheletri come ho già visto nei campi, altri<br />
sono gonfi, tumefatti, la pelle scura si squama da tutto il corpo e lascia il posto a<br />
una nuova pelle biancorosea, all’apparenza sana e intatta come quella dei nostri<br />
4. nasse: trappole per pesci costituite<br />
da reti chiuse che vengono<br />
lasciate in acqua con un’esca<br />
per attirare le prede.<br />
5. Gowon: il tenente colonnello<br />
Yakubu Gowon fu l’artefice di<br />
una durissima repressione contro<br />
l’etnia Ibo del sud della Nigeria<br />
che, a seguito di un colpo<br />
di stato militare, nel 1966, aveva<br />
assunto il controllo del Paese<br />
imponendo come presidente<br />
il generale Ironsi. Quest’ultimo<br />
sarà rimosso dal contro-colpo di<br />
stato promosso dalle popolazioni<br />
del nord, guidate appunto da<br />
Gowon.<br />
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Bambini del Biafra,<br />
nigeria 1967.<br />
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bambini. È la pelle della morte. A questo punto non c’è più niente da fare, se non<br />
lenire le sofferenze con un liquido viola di cui sono tutti cosparsi. Uno di questi<br />
bambini viola, di due anni, sta mangiando. Lo osservo: ha accanto a sé un piatto<br />
con una salsa rossa molto pepata, qualche pezzetto di carne di montone nella salsa<br />
e in una scodella una specie di polenta, un impasto ricavato dalla farina di yam 6 ,<br />
grosso tubero che è il cibo nazionale. L’uso è quello di modellare palline di questa<br />
polenta tra le dita e di immergerle poi nel sugo. Il bambino fa tutto questo con<br />
estrema lentezza e vorrei dire perfino con distaccata eleganza. Modella a lungo la<br />
pallina senza fretta, come se non avesse fame, poi la intinge nel sugo, la lascia scolare<br />
per qualche istante, infine ingoia la pallina senza masticarla. Sta seduto eretto<br />
nella culla, come se fosse a tavola, come un adulto, educato, calmo e autoritario.<br />
La madre, una donna giovanissima, gli sta accanto. Osservo lo sguardo della madre.<br />
Non è rivolto al bambino, bensì al cibo. È uno sguardo vorace, bestiale. A<br />
un certo punto, coprendo il gesto col suo corpo per nascondersi, si getta sul cibo<br />
del bambino e comincia a mangiarlo in fretta. Il bambino lascia fare, smette di<br />
modellare le palline di yam e incrocia le mani sul grembo guardando altrove. In<br />
quell’istante entra un’infermiera, solleva la madre dal cibo e la schiaffeggia con<br />
violenza una, due, molte volte. La donna riceve gli schiaffi con la bocca piena,<br />
non fa nulla per difendersi, in piedi, rigida, fino a quando le lagrime cominciano<br />
a scorrerle sulle guance.<br />
Goffredo Parise, Guerre politiche: Vietnam, Biafra, Laos, Cile, Milano, Adelphi, 2007<br />
6. yam: tubero di dioscorea,<br />
pianta coltivata nelle regioni<br />
tropicali a scopo alimentare; si<br />
tratta di una patata dolce molto<br />
nutriente.<br />
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scheda di analisi<br />
Il tema e il messaggio<br />
Allo scopo di denunciare e smascherare l’atrocità<br />
di quanto sta accadendo in Biafra, nel suo reportage<br />
giornalistico Goffredo Parise racconta con dettagliato<br />
realismo le condizioni della popolazione locale.<br />
Il suo occhio si sofferma in particolare sull’infanzia<br />
dolente, sui bambini che, a causa degli stenti, hanno<br />
assunto l’aspetto di vecchi e anche la loro triste<br />
saggezza (a due, tre, cinque anni [...] possiedono<br />
la grandezza di chi ha conosciuto e sperimentato<br />
l’intero arco di una lunga vita che si preparano<br />
ad abbandonare). Lo stesso Parise, ricordando<br />
quest’esperienza, ne parlerà come di un «momento di<br />
pesante invecchiamento di tutta la mia persona». Lontano<br />
da un moralismo astratto e inutile, sono gli elementi<br />
descrittivi concreti e oggettivi a imporre<br />
con forza al lettore – che diviene per il tramite delle<br />
parole del giornalista a sua volta testimone – la constatazione<br />
dello scandalo assurdo di una guerra inaudita,<br />
inutile e cinica, elevato a dramma universale.<br />
I luoghi e i personaggi<br />
Il testo accosta una serie di inquadrature in cui vengono<br />
descritti paesaggi naturali e umani. I primi,<br />
seppur descritti con brevi tratti, restituiscono l’immagine<br />
di una natura rigogliosa e lussureggiante,<br />
che contrasta volutamente con gli elementi legati alla<br />
dimensione umana: la foresta produce infatti lo spettacolo<br />
insieme indifferente, crudele e misterioso<br />
della vita, come afferma lo stesso autore, in antitesi<br />
con l’immagine della morte e della desolazione<br />
che caratterizza i diversi luoghi abitati dall’uomo. A<br />
ciascuno di essi è dedicata una sequenza: fra capannoni,<br />
edifici fatiscenti e ripari precari vive, immobile<br />
nel suo dolore, la popolazione. Il reporter la descrive<br />
in termini generici, per poi focalizzarsi su singoli individui<br />
che incarnino il dolore di tutti: il bambino<br />
Laboratorio sul testo<br />
Comprendere<br />
che attizza il fuoco; il piccolo appeso al seno della madre;<br />
il cadavere della bimba di nove anni vegliata dalla<br />
madre che le intona uno straziante canto funebre; il<br />
pescatore che intreccia nasse; il giovane soldato ferito<br />
e allucinato; il bambino di due anni che nell’ultima sequenza<br />
modella con eleganza palline di yam.<br />
La lingua e lo stile<br />
Nel testo sono presenti, riportati nella forma del discorso<br />
diretto, alcuni inserti di intervista: le dichiarazioni<br />
rese al giornalista Parise, tipiche del genere reportage,<br />
non hanno solo la funzione di rendere meno<br />
monotona la lettura, spezzandone il ritmo, ma servono<br />
a introdurre un punto di vista diverso rispetto a quello<br />
di chi scrive, certificando la pluralità delle fonti a cui<br />
ha attinto l’autore e dunque la scrupolosità del suo lavoro.<br />
Goffredo Parise è uno scrittore “nomade”, non<br />
appartenente a una specifica scuola letteraria, ma possiede<br />
una poeticità innata e istintiva affinatasi nel corso<br />
del suo percorso artistico. «Poeta senza versi»,<br />
com’è stato definito, partecipa del sentimento delle<br />
cose mentre le racconta: si veda, a titolo esemplificativo,<br />
la descrizione dell’atteggiamento dei bambini del<br />
primo campo o le immagini suggestive della foresta.<br />
La sua scrittura, tuttavia, non rinuncia alla sua essenza<br />
chiarissima, lapidaria, incisiva. L’accumulazione<br />
dei particolari anatomici delle vittime della<br />
guerra (si veda, per esempio la descrizione iniziale dei<br />
bambini), con l’impiego insistente di un lessico specifico,<br />
vuole rappresentare con efficacia la deformazione<br />
fisica prodotta dalle sofferenze e dalla fame negli individui.<br />
Esattezza, precisione, cura del dettaglio<br />
emergono anche in altri passaggi: nell’inventario dei viveri<br />
rimasti nel magazzino, nel racconto, da parte del<br />
testimone, dell’odissea dei profughi Efik e dei problemi<br />
legati al loro regime alimentare, nella descrizione delle<br />
abitudini alimentari legate al consumo di yam ecc.<br />
1. Cerca nel testo le informazioni riguardanti il primo campo profughi: l’ubicazione dell’insediamento, la<br />
quantità e la tipologia di edifici, il numero di profughi e la loro età.<br />
2. L’autore si sofferma sulla descrizione dei bambini: che cosa fanno? Quali sono le loro caratteristiche fisiche?<br />
Come si comportano nei confronti del giornalista che li osserva?<br />
3. Dove sono conservati i viveri? Qual è la consistenza delle scorte?<br />
4. nel secondo campo di profughi c’è un mercatino: quali merci vi si vendono? Come mai è sopravvissuto tale<br />
piccolo commercio?<br />
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5. Quali sono gli atteggiamenti delle diverse madri descritte da parise?<br />
6. perché gli Efik temono di essere massacrati dai nigeriani?<br />
interpretare<br />
7. perché i bambini sofferenti hanno un atteggiamento distaccato e composto? tale comportamento quali<br />
sentimenti ed emozioni suscita nel giornalista e nel lettore?<br />
8. non tutta l’umanità descritta è dolente. Il giornalista registra la presenza di un gruppo di persone allegre,<br />
sane e ben nutrite. Che cosa possiamo dedurre e intuire da quest’apertura dello sguardo – certo non casuale<br />
– su un quadro in cui la nota dominante non è il dolore e la tragedia?<br />
9. non mancano nel testo squarci descrittivi, in cui la natura è rigogliosa, quasi esuberante nella sua bellezza<br />
e vitalità: quale funzione attribuisci a queste note paesaggistiche?<br />
analizzare<br />
Luoghi e personaggi<br />
10. Individua nel testo quali sono i diversi luoghi in cui si svolge l’azione e spiega in che modo essi sono caratterizzati.<br />
11. perché il giornalista sceglie di focalizzare la sua attenzione sulla rappresentazione di singoli individui?<br />
tecniche narrative<br />
12. nel brano sono presenti porzioni di testo fra virgolette. Che cosa rappresentano? Come ne spieghi la presenza?<br />
13. Cerca nel testo degli esempi dello stile estremamente realistico e dettagliato di parise.<br />
padroneggiare la lingua<br />
Lessico<br />
14. L’accumulazione è uno degli artifici retorici più efficaci usati da parise. rilevane la presenza nel brano, spiegando<br />
lo scopo per cui l’autore vi ricorre.<br />
15. Così promiscuo, totale e totalitario è l’orrore da rendere non solo possibile ma perfino lecita la confusione tra<br />
esseri umani e animali. Qual è il significato abituale del termine promiscuo? Quale senso assume, in questa<br />
frase?<br />
16. Visitiamo un ospedale col tetto coperto di corvi magrissimi, schifosi, arcigni, che si spennano. Che cosa significa<br />
l’aggettivo arcigno?<br />
a) puzzolente, putrido. c) Severo, duro.<br />
b) Chiassoso, rumoroso. d) rissoso e violento.<br />
Grammatica<br />
17. rintraccia i numerali presenti nel testo. Sai spiegare il motivo di una presenza così significativa?<br />
18. I bambini, che sono la maggioranza, scheletrici, rattrappiti, chi sdraiato e chi seduto contro un muro... Chi ha<br />
funzione di aggettivo o pronome? Di quale tipo?<br />
produrre<br />
19. Quali reazioni ha prodotto in te la lettura di un testo così duro? In particolare, credi che la parola scritta sia<br />
stata capace di esprimere e rappresentare efficacemente tale realtà? Oppure pensi che le immagini sarebbero<br />
riuscite a ottenere un impatto maggiore, a suscitare emozioni più forti? Discutine con i tuoi compagni.<br />
20. Il problema della fame nel mondo e l’emergenza umanitaria diffusa nel sud del mondo continuano a essere<br />
una tragica realtà. ne hai mai indagato le dimensioni e le ragioni? Scrivi un testo espositivo-argomentativo<br />
di circa una pagina in cui presenti le tue conoscenze e le tue opinioni su tale argomento.<br />
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Walter Siti<br />
La vita e le opere<br />
La vita Nato a Modena nel 1947, Walter Siti è<br />
critico letterario e narratore. Dopo aver concluso<br />
la sua formazione alla Scuola Normale Superiore<br />
di Pisa, Siti ha insegnato letteratura italiana<br />
negli atenei di Pisa, Cosenza e L’Aquila. Dalla metà<br />
degli anni Novanta ha accostato ai suoi scritti di<br />
critica letteraria una produzione narrativa di rilievo.<br />
Le opere La propensione di Siti per una letteratura<br />
di carattere realistico si manifesta già nei<br />
suoi primi scritti di critica letteraria: Il realismo<br />
dell’avanguardia (1973) e Il neorealismo nella<br />
poesia italiana (1980). Questo suo orientamento<br />
poetico emerge anche nell’interesse per la figura<br />
letteraria di Pier Paolo Pasolini, di cui Siti ha<br />
curato l’edizione critica delle opere complete per i<br />
Meridiani Mondadori (1998-2001).<br />
La sua attività di romanziere inizia nel 1994, con la<br />
pubblicazione di Scuola di nudo, a cui seguiranno<br />
Un dolore normale (1999), La magnifica merce<br />
(2004) e Troppi paradisi (2006): in particolare in<br />
quest’ultimo romanzo l’autore presenta gli effetti<br />
devastanti, quasi apocalittici, prodotti dal tentativo<br />
di riprodurre nella realtà il mondo fittizio dei<br />
reality-show televisivi. Dopo Il contagio (2008)<br />
e una serie di racconti, nel 2010 ha pubblicato il<br />
romanzo Autopsia dell’ossessione.<br />
Il contagio<br />
Il tema Questo romanzo del 2008 rappresenta<br />
una sorta di autobiografia fittizia dell’autore,<br />
che si cela dietro il personaggio del “professore”, il<br />
quale registra e racconta in presa diretta l’esistenza<br />
quotidiana della borgata romana in cui vive e il<br />
suo inarrestabile degrado umano e civile, che<br />
egli rende con la metafora del “contagio”, termine<br />
che allude al rischio di una diffusione pandemica<br />
di tale pericolosa infezione sociale.<br />
I personaggi L’opera non ha una trama vera e propria;<br />
la borgata è il teatro di una serie di avvenimenti<br />
che si susseguono caoticamente e che accoglie<br />
sulla scena attori tanto numerosi quanto<br />
“irregolari”: un culturista-gigolò, una prostituta,<br />
uno spacciatore, una paraplegica politicamente<br />
impegnata, un ultrà, una moglie maltrattata… Un<br />
palazzo, un condominio di tre piani della periferia<br />
romana è il microcosmo in cui ciascuno organizza<br />
la propria vita seguendo lo stesso codice non<br />
scritto: «godere tutto e subito, non conservarsi<br />
rimpianti per l’età matura, non negarsi nessuna<br />
esperienza».<br />
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La casa di via Vermeer<br />
L’occhio del narratore inquadra il mondo della borgata romana a<br />
diversi livelli, alternando i dettagli di uno sguardo analitico a più<br />
vaste vedute d’insieme. Via Vermeer è, nella finzione del romanzo,<br />
il nome di una via del quartiere di Tor Bella Monaca; in realtà,<br />
una strada con questo nome a Roma non esiste: ma è proprio tale<br />
circostanza a trasformare questo mondo e i suoi personaggi in una<br />
realtà universale e allegorica, simbolo del degrado umano e della crisi<br />
di valori tipici non solo della borgata romana, ma di gran parte<br />
della società contemporanea.<br />
La casa esiste, in un angolo di borgata che potrebbe essere tutte le borgate;<br />
oltre il raccordo1 , così lontano dal Centro che i taxi per venirvi a prendere<br />
vi sottopongono a un terzo grado, pretendono un telefono fisso, e il cognome,<br />
e l’assicurazione formale che non faranno il viaggio a vuoto. Una casa popolare<br />
degli anni Ottanta, col cemento a vista (scritto in rosso all’imbocco della scala A:<br />
“l’invidia è la forza dei cornuti”), in una strada senza uscita ma con un buco nella<br />
rete per risparmiarsi il giro lungo quando si torna a piedi dal supermercato. […]<br />
La casa è illuminata dal sole al tramonto e componendosi con gli altri parallelepipedi<br />
sfalsati, nello smeraldo dei campi, smentisce il luogo comune che le borgate<br />
siano sempre brutte.<br />
Nella scala A ci sono nove appartamenti ma ci abitano solo sette famiglie, dato<br />
che il secondo piano è occupato per intero da Fiorella col bambino, e ogni tanto si<br />
sente persa in quell’appartamento enorme sicché si piazza al balcone a telefonare<br />
per ore; più che altro alle amiche, ma c’è chi testimonia di averla sentita ansimare<br />
porcherie a un ex, vedi che Gianfranco non ha poi avuto tutti i torti2 . Il bambino<br />
è buonissimo, porello3 , di giorno dondola la testa e di notte non piange quasi mai.<br />
Marcello, il culturista del primo piano che con quello che si inietta è sensibilissimo<br />
ai rumori, non si è mai lamentato per il piccolo; si lamenta quando l’inquilina del<br />
terzo va a fare le pulizie da Fiorella e attacca la lucidatrice alle nove del mattino,<br />
che è un’ora più che civile ma per lui è il primo sonno: «a Vale, l’hai consumato ’sto<br />
pavimento». Poi però, quando la vecchia signora scende col bambino in braccio,<br />
e lui è a spasso col cane, è gentilissimo sia con lei che col pupo, fa mille clownerie<br />
– si lega un fazzoletto sulla bocca per farlo ridere, entra nel negozio di articoli<br />
sportivi, «questa è una rapina, consegnatemi tutti i vostri buffi4 ! ». Forse perché<br />
lui di figli non ne può avere. La scala A è una scala disgraziata quanto a bambini:<br />
Marcello è sterile; Flaminia, la moglie del romanista in affidamento diurno, è lei<br />
ad avere un’occlusione delle tube5 ; Francesca, la paraplegica che occupa l’altro<br />
1. raccordo: il Grande Raccordo<br />
Anulare, l’arteria stradale che<br />
circonda la città di Roma.<br />
2. Gianfranco… torti: il riferimento<br />
è alle tormentate vicende<br />
matrimoniali di Fiorella, che tutti<br />
chiamano Sabrina, e Gianfranco,<br />
spacciatore che ambisce ad allargare<br />
il suo giro d’affari, in parte<br />
narrate nel capitolo precedente.<br />
3. porello: poveretto (dialetto<br />
romano).<br />
4. buffi: i soldi (in dialetto romano,<br />
“buffi” è sinonimo di debiti).<br />
5. occlusione alle tube: patologia<br />
dell’apparato genitale femminile<br />
che rende impossibile il<br />
concepimento.<br />
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• GENERE<br />
romanzo<br />
• LUOGO E tEmpO<br />
roma; epoca<br />
recente<br />
• pERsONaGGi<br />
Gli abitanti del<br />
palazzo di via<br />
Vermeer<br />
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appartamento del primo piano, potrebbe tecnicamente diventare madre ma il destino<br />
ha soffocato l’ipotesi. Al terzo piano c’è una coppia di semianziani con una<br />
figlia sposata a Lavinio, in rotta coi genitori, poi un separato che vive con la madre<br />
settantenne (la signora Valeria, appunto), infine una ragazza brasiliana che fa<br />
la vita 6 e quindi non è il caso. Se Fiorella, com’è probabile, tornerà dai suoi, non<br />
ci saranno germogli freschi nel palazzo. Che è arido anche visto da fuori: non un<br />
fiore, non una pianta ai balconi – solo bacinelle, e sedie di plastica, e fustini di detersivo.<br />
Qui sono gli uomini che restano a casa e loro non hanno il pollice verde;<br />
e comunque considererebbero poco virile curare le piante. Se ne fottono, stanno<br />
a giocare a carte o a pippare 7 , e quando le donne rientrano strillano perché i mariti<br />
o i figli non hanno messo fuori manco la monnezza, figuriamoci ricordarsi di<br />
innaffiare le rose. […]<br />
Si strilla molto in borgata, ma le incazzature sono considerate fenomeni naturali,<br />
scivolano come acqua sul vetro. L’abitudine alle urla ne fa emergere il lato<br />
comico. I due fratelli che litigavano per una cattiva spartizione della roba 8 , e uno<br />
gridava all’altro da ormai cinque minuti «t’ammazzo, t’ammazzo, t’ammazzo », fin<br />
che una voce esasperata interruppe «oh, si vói te l’ammazzo io, basta che la famo<br />
finita». O quello che chiamava «Pippoo, Pippoooo» alle tre di notte per svegliare<br />
Filippo il verduraio, e si sentì rispondere flemmatico da un cocainomane «pur’io<br />
pippo, ma mica faccio tutto ’sto casino». […]<br />
Francesca, detta la Cicci, ha una resistenza terribile e una risata contagiosa;<br />
all’inizio degli anni Cinquanta, quando è nata, c’era il boom della poliomielite 9<br />
in Italia e lei c’è cascata dentro. Non ha mai camminato in vita sua, se non per<br />
brevissimi e faticosissimi momenti, con tutori 10 più ingombranti e invalidanti ancora<br />
della carrozzina. Da piccolissima non si rendeva conto, lo shock è stato alle<br />
elementari: un giorno è tornata da scuola sostenendo che voleva morire presto,<br />
che non vedeva l’ora, perché la suora le aveva promesso che dopo morta, in paradiso<br />
avrebbe camminato. Giocava al parco coi coetanei e si divertiva, finché non<br />
arrivavano le madri e li strappavano, «vieni via che la bambina è malata». Così la<br />
madre, donna energica precocemente vedova, l’ha portata dal paesello a Roma,<br />
sperando che nella grande città si notasse meno, e poi era più comodo per gli<br />
ospedali e le cure. […]<br />
Nella casa, la Cicci la chiamano “il grillo parlante” perché è l’addetta ufficiale<br />
alle prediche, unica voce di sinistra in un ambiente compattamente di estrema destra.<br />
La invidiano per motivi sordidi, per esempio perché è riuscita con aderenze<br />
a ottenere di autogestirsi i soldi che lo Stato le garantisce per l’accompagno 11 , sicché<br />
può permettersi belle e lunghe vacanze; si è comprata un pulmino di seconda<br />
mano e glielo ha minacciato a tutti, «occhio al pulmino che ve spezzo le gambe».<br />
Azzardavano spiritosaggini anche sul segmento più tragico della sua vita, quando<br />
stava con Salvatore che loro avevano soprannominato Boccadoro dato quello<br />
6. fa la vita: si prostituisce.<br />
7. pippare: sniffare cocaina.<br />
8. roba: si intende la droga.<br />
9. poliomelite: malattia virale<br />
altamente contagiosa, che in<br />
alcuni casi può provocare la pa-<br />
ralisi.<br />
10. tutori: apparecchi ortopedici<br />
che hanno lo scopo di sostenere<br />
parti del corpo lese o sottoposte<br />
a traumi.<br />
11. accompagno: sostegno eco-<br />
nomico fornito dalle istituzioni<br />
previdenziali a persone con invalidità<br />
(anche detto “accompagnamento”).<br />
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Graffiti urbani<br />
nella borgata<br />
romana di tor<br />
Bella Monaca.<br />
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che riusciva a fare col pennello tra i denti. Ma Francesca non riesce a disprezzarli<br />
davvero i suoi vicini: «io li vedo, loro lo sanno, rispondono stai tranquilla; a me<br />
non mi torcerebbero un capello, anzi devo ammettere che se ho un’emergenza<br />
sono protettivi e generosi».<br />
Gli inizi non sono stati facili. Lei è una delle prime regolari, grazie all’invalidità:<br />
i bandi erano per gli anziani, per i disabili, per gli sfrattati – ma purtroppo pure per<br />
chi stava ai domiciliari e quelli, non potendo muoversi, convocavano i delinquenti<br />
a casa loro. Francesca era sola, sua madre era scomparsa da poco e quel quartiere<br />
le faceva un brutto effetto («come quando vai al cimitero e vedi da lontano i<br />
lumicini... be’ qui per me era lo stesso, quando tornavo la sera e vedevo le lucine<br />
di tutte quelle finestre»); lo usava come dormitorio, lavorava alla Esselunga e tornava<br />
tardi. Pian piano si è resa conto dei giri mafiosi che c’erano, il business della<br />
vendita degli alloggi popolari, anche a trenta-quaranta milioni l’uno, roba che se<br />
lo racconti all’estero ti ridono in faccia; lei si è scontrata col capo della cosca perché<br />
avevano venduto l’alloggio che invece era già stato assegnato a una sua amica<br />
cieca, ma ha capito che non poteva opporsi frontalmente con una denuncia; si è<br />
inventata una tecnica d’aggiramento e l’ha avuta vinta. Le sue ossa politiche se le<br />
è fatte così: «siamo noi a creare il quartiere in cui viviamo».<br />
Da allora Francesca non è più stata sola; all’accompagnatrice amorfa e neutra<br />
(anche se piena di buona volontà) del Comune si è sostituito un gruppo di compagni<br />
e compagne, che l’aiutavano volentieri e in cambio si beccavano qualche<br />
soldino. Una corte colorata, allegra, che ha finito per essere accettata pure dai fascisti<br />
del palazzo, tante partitelle a calcio e tanta musica scaricata sull’iPod. Una<br />
signora le ha fatto da mamma per quel che riguarda la cucina, le ha insegnato i<br />
piatti romani e spesso glieli portava già pronti da casa sua. Che importanza ha se<br />
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la stessa signora, di sera, si metteva al davanzale perché abitava al piano terra, e<br />
dalla finestra passava le bustine ai tossici? Il marito e un figlio in galera, l’altro in<br />
comunità, che doveva fare per vivere?<br />
C’è un’offesa, però, che Francesca non perdona al destino, un rancore da cui<br />
non esce. Ha avuto una storia con un ragazzo che è durata otto anni, quando lei ne<br />
aveva venticinque e il ragazzo ventuno; ha perso la battaglia contro i genitori, lui<br />
era normale e i suoi erano terrorizzati. Lui ora è sposato, ha una figlia adolescente<br />
e si incontrano qualche volta in sezione 12 , è sempre rimasto un uomo debole. Ma<br />
non è questa l’offesa del destino, il destino si è scatenato con lei facendole incontrare<br />
Salvatore. La casa è ancora piena delle sue foto: siciliano per parte di padre,<br />
baffi folti, volto scavato, occhi neri. Tetraplegico 13 per un incidente di tuffo, incazzato<br />
col mondo. Hanno deciso di convivere, compatibilmente coi turni balordi di<br />
lei; lui all’inizio solo i fine settimana, per il resto a casa della madre. «Perché non<br />
ti pigli una carrozzina a motore? recuperi il settanta per cento di autonomia...» –<br />
non voleva saperne, non voleva uscire di casa, dall’incidente non era più stato al<br />
mare, si vergognava del proprio corpo. «Io mi sono vista così fin da piccola, lui si<br />
ricordava di quando era bello.»<br />
Francesca ha tigna 14 , non molla; hanno azzeccato un tredici al totocalcio e con<br />
la vincita si sono comprati un Mercedes («seh, tredicimila impicci» protestano<br />
Bruno e Marcello, «che, nun se sa che la madre de Boccadoro era ’a strozzina più<br />
famosa de Pietralata 15 ? se metteva in mezzo pure nei fallimenti, comprava i debiti<br />
e mandava a riscòte... mica ce crederai davero che er fijo s’è paralizzato co’ un tuffo?<br />
j’hanno sparato, j’hanno»); si spostavano con gli amici, Salvatore aveva diritto<br />
a due accompagnatori perché era grave, s’era formata una brigata di cinque o sei<br />
– Sicilia, Sardegna, Costa Azzurra; a Taormina lui le offrì una suite coi finestroni<br />
troppo alti, e per mostrarle la spiaggia dovette farla sollevare da un amico. Salvatore<br />
diceva che metà del suo cervello era rimasta incazzata, ma gli piaceva di più<br />
l’altra metà: «amore guarda dove t’ho portato»; «che guardo, se non ci arrivo?».<br />
Lui sulla spiaggia dipingeva, con la bocca e dei pennelli speciali; quadri precisissimi,<br />
quasi geometrici, maniacali; quando dipingeva si astraeva dalla realtà. Ha<br />
tracciato a matita un ritratto di lei; la sua ultima opera, perché un tumore al pancreas<br />
se l’è portato via in tre mesi.<br />
Questo è il colpo da cui Francesca non s’è più ripresa. «Salvo non se lo meritava...<br />
la sua sofferenza naturale, quella che aveva già, hanno voluto che non bastasse,<br />
gli dèi schifosi, che ne occorreva un’altra, supplementare... la nostra vita<br />
ce l’eravamo modellata, dolorosa, perché lui aveva le piaghe da decubito 16 , dei<br />
problemi a urinare, delle infezioni continue... dolorosa, okèy, ma grande, io mettevo<br />
il mio coraggio e lui l’istruzione... vicino a lui mi sentivo una nullità, intellettualmente...<br />
non accetto che tutto questo sia stato ripagato con altro dolore, non<br />
12. sezione: la sezione del partito,<br />
ovvero la sua sede locale.<br />
13. Tetraplegico: afflitto da tetraplegia,<br />
paralisi di tutti e quat-<br />
tro gli arti.<br />
14. ha tigna: è cocciuta, determinata.<br />
15. Pietralata: borgata romana.<br />
16. piaghe da decubito: lesioni<br />
della pelle dovute all’eccessiva<br />
permanenza a letto nella medesima<br />
posizione.<br />
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l’accetterò mai... al lavoro mi sono messa in aspettativa 17 , giorno e notte in ospedale<br />
con Salvo, ci siamo svenati per la stanza singola perché uno così mica lo puoi<br />
abbandonare in corsia... giorno e notte, giorno e notte... non mangiava, vomitava,<br />
era diventato giallo... e se n’è andato... il momento più bello era il momento di<br />
andare a letto, che riuscivamo a dormire abbracciati... perché di giorno c’erano<br />
sempre le carrozzine di mezzo... invece di notte, al di là di tutto quello che può<br />
accadere tra un uomo e una donna, era proprio il contatto, come quando incontri<br />
l’ombra tua e l’abbracci...»<br />
Walter Siti, Il contagio, Milano, Mondadori, 2008<br />
17. aspettativa: sospensione temporanea dal lavoro, che il lavoratore stesso ha il diritto di richiedere.<br />
scheda di analisi<br />
Il tema e il messaggio<br />
Il brano è un esempio di quel “realismo d’emergenza”<br />
con il quale l’autore restituisce un’immagine<br />
fedele delle nuove borgate, frammenti rappresentativi<br />
dell’intera società, ampiamente condizionata, nello<br />
stile di vita e nei sistemi valoriali, dai modelli imposti<br />
dai media.<br />
Se Pasolini, autore caro all’autore di Il contagio,<br />
aveva lamentato che le borgate negli anni del boom<br />
economico si stavano “imborghesendo”, stavano cioè<br />
perdendo la loro spontaneità e la loro genuinità popolari,<br />
il romanzo di Siti fa emergere una realtà opposta:<br />
ora è la classe media borghese delle periferie romane<br />
che si sta “imborgatando”, ovvero sta adeguando i<br />
suoi sistema di valori a una realtà degradata, sta<br />
abbassando i suoi standard umani e morali. I personaggi<br />
del romanzo coltivano sogni di lusso impossibili<br />
quanto insensati, fanno dell’indifferenza morale la loro<br />
divisa quotidiana, fanno abuso di droga, improvvisano<br />
giorno per giorno un’esistenza priva di prospettive<br />
future. Simbolo sintomatico di quest’assenza patologica<br />
di futuro, per un’umanità ormai alla deriva,<br />
è la sterilità che caratterizza, per motivi diversi, gli<br />
abitanti della casa.<br />
I personaggi<br />
I personaggi maschili presentano tutti delle caratteristiche<br />
comuni e stereotipate; si tratta però<br />
del capovolgimento del luogo comune del maschio virile,<br />
sicuro di sé, autorevole: gli uomini qui sono deboli<br />
e sperduti, spesso caratterizzati da una sessualità<br />
ambigua, dall’esercizio di un individualismo feroce, di<br />
una chiusura totale nei confronti del prossimo, dall’illusione<br />
di poter dimostrare la forza e il coraggio che<br />
non hanno picchiando le loro donne o sfruttando gli<br />
altri.<br />
In questa folla anonima di meschini personaggi è invece<br />
una donna, Francesca, detta Cicci, provata nel<br />
fisico da una grave disabilità e nello spirito da dolori<br />
e delusioni terribili, l’unico personaggio sano. Evidente<br />
è il rapporto inversamente proporzionale che lega,<br />
nella costruzione del personaggio, la salute del corpo<br />
e quella dell’anima. Francesca combatte per degli<br />
ideali politici e sociali, persegue obiettivi che superano<br />
l’egoismo e l’individualismo imperanti, demolisce il<br />
muro dell’indifferenza generale tessendo attorno a sé<br />
una sottile rete di solidarietà sociale, afferma con forza<br />
i suoi sentimenti, rifugge falsità e ipocrisia, guarda<br />
il mondo con disincanto e consapevolezza critica. La<br />
determinazione irremovibile del personaggio (Francesca<br />
ha tigna) apre uno spiraglio di umanità in<br />
questo panorama cupo e desolato.<br />
La lingua e lo stile<br />
Le modalità espressive dello stile di Walter Siti sono<br />
molto particolari: nella caratterizzazione degli individui<br />
e degli ambienti la scrittura tende ad assumere<br />
la forma stessa delle cose, a mimetizzarsi con<br />
esse. La scelta stessa della lingua utilizzata, un impasto<br />
originalissimo di italiano e romanesco (in cui<br />
alcuni critici riconoscono l’influenza di Carlo Emilio<br />
Gadda), è funzionale a tale senso di vicinanza immediata<br />
alla realtà da raccontare.<br />
Anche il brano proposto è caratterizzato da un’evidente<br />
sperimentalismo linguistico, realizzando<br />
un’operazione d’imitazione del parlato: in verità,<br />
essa è il risultato di un approccio letterario ben pensato,<br />
frutto della sensibilità stilistica e del “mestiere”<br />
dello scrittore. Solo apparentemente tale lingua è ripresa<br />
in maniera pedissequa dal vero: essa contamina<br />
il romanesco dei personaggi con l’italiano (a volte di<br />
registro elevato) e, simmetricamente, piega la lingua<br />
italiana verso il dialetto, per darle maggiore espressività.<br />
Anche sul piano delle scelte linguistiche e formali,<br />
dunque, Siti vuole sottolineare la realtà confusa, ambigua,<br />
illusa e illusoria delle borgate.<br />
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p a r t E 3 Reale, troppo reale • u n I t à<br />
Laboratorio sul testo<br />
Comprendere<br />
1. Descrivi la casa di via Vermeer e l’ambiente circostante.<br />
2. Elenca i personaggi che abitano nel palazzo, con indicazioni esplicite riguardanti la loro vita (professione,<br />
stato civile, passatempi e abitudini).<br />
3. Qual è il tono di voce abituale degli abitanti del quartiere? Quali ne sono le comiche conseguenze?<br />
4. Descrivi l’infanzia di Francesca.<br />
5. racconta la storia d’amore tra Francesca e Salvatore.<br />
interpretare<br />
6. Una casa popolare degli anni Ottanta […] in una strada senza uscita ma con un buco nella rete per risparmiarsi<br />
il giro lungo quando si torna a piedi dal supermercato (r. 4-7). tale descrizione della casa di via Vermeer ti<br />
sembra presenti degli aspetti allegorici?<br />
7. Non ci saranno germogli freschi nel palazzo (r. 33). L’autore si riferisce al fatto che i condomini non hanno il<br />
pollice verde o anche ad altro?<br />
8. «Siamo noi a creare il quartiere in cui viviamo» (r. 85). Qual è il significato di questa frase e che cosa mostra<br />
del carattere di Francesca?<br />
analizzare<br />
Lingua e stile<br />
9. rintraccia nel testo alcuni esempi di discorso indiretto libero, espediente tipico di una narrazione realistica.<br />
10. Evidenzia tutte le espressioni dialettali romanesche. Sono utilizzate in modo sporadico o frequente? Si trovano<br />
prevalentemente in discorsi diretti o indiretti?<br />
11. È frequente la presenza di espressioni scurrili, volgari: sottolineale e rifletti sull’effetto che produce sul lettore<br />
questa scelta stilistica.<br />
padroneggiare la lingua<br />
Lessico<br />
12. La casa è illuminata dal sole al tramonto, componendosi con gli altri parallelepipedi sfalsati, nello smeraldo dei<br />
campi. Quale figura retorica è presente in questa frase?<br />
13. La invidiano per motivi sordidi. Che cosa significa l’aggettivo sottolineato?<br />
a) Segreti. b) Ignobili. c) personali. d) Sporchi.<br />
14. nel testo sono molti i termini o le espressioni che appartengono al campo semantico del degrado sociale<br />
e morale. ricercane alcuni e trascrivili.<br />
Grammatica<br />
15. Si è comprata un pulmino di seconda mano e glielo ha minacciato a tutti, «occhio al pulmino che ve spezzo le<br />
gambe». riscrivi la seguente espressione utilizzando un registro formale.<br />
produrre<br />
16. In un testo di circa una pagina descrivi la tua casa oppure la tua scuola utilizzando lo stesso procedimento<br />
utilizzato da Walter Siti per la casa di via Vermeer: parti dall’esterno, caratterizzando prima il paesaggio e<br />
il contesto, poi l’aspetto della costruzione; entra quindi nell’edificio, soffermandoti a descriverne la popolazione;<br />
infine, concentrati su un singolo personaggio, raccontandone brevemente la sua esistenza quotidiana<br />
e le relazioni con le persone che hanno accompagnato i passaggi più significativi della sua vita.<br />
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Roberto Saviano<br />
La vita e le opere<br />
L’opera Roberto Saviano è nato a Napoli nel<br />
1979. Laureatosi in filosofia, inizia la sua attività di<br />
giornalista all’inizio del Duemila, scrivendo per<br />
numerose riviste e quotidiani. Sin dal suo debutto,<br />
focalizza la sua attenzione sulla realtà della criminalità<br />
organizzata. Nel 2006, a soli ventisette<br />
anni, pubblica la sua opera prima, il romanzo-reportage<br />
Gomorra; l’opera passa quasi inosservata,<br />
all’inizio, ma in poco tempo essa ottiene un riscontro<br />
di pubblico e di critica straordinario: il libro ha<br />
venduto solo in Italia oltre due milioni e mezzo di<br />
copie, a cui vanno aggiunte altre dieci milioni di<br />
copie vendute in tutto il mondo. A Gomorra<br />
sono ispirati anche un spettacolo teatrale e una<br />
pellicola cinematografica, diretta da Matteo Garrone,<br />
vincitrice del Gran Premio della Giuria al Festival<br />
di Cannes del 2008.<br />
Le conseguenze sulla vita dello scrittore L’enorme<br />
successo di Gomorra ha obbligato il suo autore<br />
a una difficilissima realtà quotidiana: a causa delle<br />
ripetute minacce di morte da parte dei clan camorristici,<br />
Saviano è costretto a vivere sotto la costante<br />
protezione di una scorta, senza la possibilità<br />
di spostarsi liberamente da un posto all’altro, di<br />
fare una passeggiata solitaria, d’incontrare i suoi<br />
amici o i suoi familiari quando più ne ha voglia. Ma<br />
tale drammatica perdita di libertà, il tributo che ha<br />
dovuto pagare per il coraggio del suo impegno<br />
civile, non ha per questo diminuito la sua determinazione<br />
nel denunciare i mali che affliggono la sua<br />
terra; tale sforzo è anzi addirittura aumentato, attraverso<br />
la scelta di usare i mezzi di comunicazione<br />
di massa (televisione e giornali nazionali e internazionali)<br />
per diffondere a più persone possibile la<br />
forza del messaggio di Gomorra.<br />
Saviano è così divenuto il simbolo della resistenza<br />
al crimine attraverso lo strumento pacifico<br />
della parola, tanto da essere invitato nel 2008 a<br />
tenere un discorso sul tema della libertà d’espressione<br />
all’Accademia di Stoccolma, l’organismo responsabile<br />
dell’assegnazione dei premi Nobel.<br />
Gomorra<br />
Reale, troppo reale • u n I t à<br />
I temi Le informazioni puntuali raccolte da<br />
Saviano nel suo pluriennale “tirocinio” di giornalista<br />
in terra di camorra si trasformano in una descrizione<br />
organica del sistema camorristico,<br />
con tutte le implicazioni sociali ed economiche del<br />
fenomeno malavitoso che ha il suo nucleo originario<br />
in Campania, ma che estende i suoi interessi<br />
e le sue attività in vaste zone d’Italia e ben oltre i<br />
confini nazionali. Il valore dell’opera di Saviano sta<br />
proprio nella sua capacità di mostrare, oltre la superficie<br />
di violenza e degrado che costituisce l’immagine<br />
“tradizionale” del mondo criminale, la realtà<br />
della sua struttura interna, le linee direttive<br />
che guidano la sua strategia, la sua volontà di infiltrarsi<br />
nel tessuto sociopolitico e nell’economia<br />
ufficiale. Tale capacità di penetrazione e<br />
di analisi ha reso Gomorra un libro fondamentale<br />
per la comprensione del mondo della criminalità<br />
organizzata.<br />
La forma Al di là dei contenuti di alto profilo civile,<br />
dal punto di vista squisitamente letterario Gomorra<br />
è un grande racconto visionario, potente e<br />
terribile, in cui la realtà indagata viene plasmata<br />
fino ad assumere i caratteri di una materia immaginaria,<br />
iperrealistica, grazie a strategie narrative<br />
e scelte stilistiche consapevoli e assai riuscite.<br />
Si tratta perciò di un romanzo-verità le cui due<br />
componenti – l’aspetto di costruzione letteraria e<br />
quello d’indagine giornalistica – sono ben amalgamate<br />
tra di loro e portate entrambe a livelli di qualità<br />
altissima.<br />
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Io so e ho le prove<br />
Il brano che segue, situato nell’ultima parte dell’opera, costituisce<br />
una pagina di prosa ispirata; la rabbia per gli abusi commessi<br />
dagli imprenditori del cemento è solo la scintilla che innesca una<br />
riflessione più ampia sulla necessità di un impegno civile, attraverso<br />
l’uso pacifico ma deflagrante della parola, la cui forza di rivelazione<br />
è capace di cambiare il mondo. Il richiamo alla figura di Pier Paolo<br />
Pasolini, scrittore, poeta, regista, personaggio politicamente e<br />
intellettualmente scomodo, morto assassinato nel 1975, non è<br />
casuale: egli è uno dei massimi rappresentanti di un modello di<br />
cultura che fa dell’impegno per una denuncia ferma e decisa dei mali<br />
della società la sua ragione d’esistenza.<br />
Il potere dei clan rimaneva il potere del cemento. Era sui cantieri che sentivo<br />
fisicamente, nelle budella, tutta la loro potenza. Per diverse estati ero<br />
andato a lavorare nei cantieri, per farmi impastare cemento non mi bastava altro<br />
che comunicare al capomastro la mia origine e nessuno mi rifiutava il lavoro. La<br />
Campania forniva i migliori edili1 d’Italia, i più bravi, i più veloci, i più economici,<br />
i meno rompicoglioni. Un lavoro bestiale che non sono mai riuscito a imparare<br />
particolarmente bene, un mestiere che ti può fruttare un gruzzolo cospicuo solo<br />
se sei disposto a giocarti ogni forza, ogni muscolo, ogni energia. Lavorare in ogni<br />
condizione climatica, con il passamontagna in viso così come in mutande. Avvicinarmi<br />
al cemento, con le mani e col naso, è stato l’unico modo per capire su cosa<br />
si fondava il potere, quello vero.<br />
Fu quando morì Francesco Iacomino però che compresi sino in fondo i meccanismi<br />
dell’edilizia. Aveva trentatré anni quando lo trovarono con la tuta da lavoro<br />
sul selciato, all’incrocio tra via Quattro Orologi e via Gabriele D’Annunzio<br />
a Ercolano. Era caduto da un’impalcatura. Dopo l’incidente erano scappati tutti,<br />
geometra compreso. Nessuno ha chiamato l’autoambulanza, temendo potesse arrivare<br />
prima della loro fuga. Allora, mentre scappavano, avevano lasciato il corpo<br />
a metà strada, ancora vivo, mentre sputava sangue dai polmoni. Quest’ennesima<br />
notizia di morte, uno dei trecento edili che crepavano ogni anno nei cantieri in<br />
Italia si era come ficcata in qualche parte del mio corpo. Con la morte di Iacomino<br />
mi si innescò una rabbia di quelle che somigliano più a un attacco d’asma<br />
piuttosto che a una smania nervosa. Avrei voluto fare come il protagonista de La<br />
vita agra di Luciano Bianciardi2 che arriva a Milano con la volontà di far saltare<br />
in aria il Pirellone3 per vendicare i quarantotto minatori di Ribolla4 , massacrati<br />
1. edili: l’aggettivo sostantivato<br />
indica i lavoratori dell’edilizia.<br />
2. Luciano Bianciardi: autore<br />
del romanzo La vita agra<br />
(1962), nel quale, con toni rabbiosi<br />
e una deformazione a tratti<br />
grottesca della realtà, si denuncia<br />
il passaggio brutale, nell’Italia<br />
del boom economico, dalla civiltà<br />
contadina a quella industriale.<br />
3. Pirellone: il grattacielo milanese<br />
storica sede amministrativa<br />
dell’industria Pirelli, oggi sede<br />
della Regione Lombardia.<br />
4. Ribolla: piccolo centro della<br />
provincia di Grosseto in cui sor-<br />
geva una miniera per l’estrazione<br />
della lignite; il 4 maggio 1954<br />
fu teatro della più grave tragedia<br />
mineraria italiana del secondo<br />
dopoguerra: quarantatré persone<br />
persero la vita nella sezione<br />
“Camorra sud” dell’impianto, a<br />
causa dell’esplosione di gas grisù.<br />
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• GENERE<br />
romanzo-verità<br />
• LUOGO E tEmpO<br />
napoli e Casarsa;<br />
primi anni Duemila<br />
• pERsONaGGi<br />
Il narratore-reporter<br />
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da un’esplosione in miniera, nel maggio 1954, nel pozzo Camorra. Chiamato così<br />
per le infami condizioni di lavoro. Dovevo forse anch’io scegliermi un palazzo,<br />
il Palazzo, da far saltare in aria, ma ancor prima di infilarmi nella schizofrenia<br />
dell’attentatore, appena entrai nella crisi asmatica di rabbia mi rimbombò nelle<br />
orecchie l’Io so 5 di Pasolini come un jingle 6 musicale che si ripeteva sino all’assillo.<br />
E così invece di setacciare palazzi da far saltare in aria, sono andato a Casarsa 7 ,<br />
sulla tomba di Pasolini. Ci sono andato da solo, anche se queste cose per renderle<br />
meno patetiche bisognerebbe farle in compagnia. In banda. Un gruppo di fedeli<br />
lettori, una fidanzata. Ma io ostinatamente sono andato da solo.<br />
Casarsa è un bel posto, uno di quei posti dove ti viene facile pensare a qualcuno<br />
che voglia campare di scrittura, e invece ti è difficile pensare a qualcuno che se<br />
ne va dal paese per scendere più giù, oltre la linea dell’inferno. Andai sulla tomba<br />
di Pasolini non per un omaggio, neanche per una celebrazione. Pier Paolo Pasolini.<br />
Il nome uno e trino 8 , come diceva Caproni 9 , non è il mio santino laico 10 , né<br />
un Cristo letterario 11 . Mi andava di trovare un posto. Un posto dove fosse ancora<br />
possibile riflettere senza vergogna sulla possibilità della parola. La possibilità di<br />
scrivere dei meccanismi del potere, al di là delle storie, oltre i dettagli. Riflettere<br />
se era ancora possibile fare i nomi, a uno a uno, indicare i visi, spogliare i corpi<br />
dei reati e renderli elementi dell’architettura dell’autorità. Se era ancora possibile<br />
inseguire come porci da tartufo le dinamiche del reale, l’affermazione dei poteri,<br />
senza metafore, senza mediazioni, con la sola lama della scrittura.<br />
Presi il treno da Napoli per Pordenone, un treno lentissimo dal nome assai eloquente<br />
sulla distanza che doveva percorrere: Marco Polo. Una distanza enorme<br />
sembra separare il Friuli dalla Campania. Partito alle otto meno dieci arrivai in<br />
Friuli alle sette e venti del giorno dopo, attraversando una notte freddissima che<br />
non mi diede tregua per dormire neanche un po’.<br />
Da Pordenone con un bus arrivai a Casarsa e scesi camminando a testa bassa<br />
come chi sa già dove andare e la strada può anche riconoscerla guardandosi la<br />
punta delle scarpe. Mi persi, ovviamente. Ma dopo aver vagato inutilmente riuscii<br />
a raggiungere via Valvasone, il cimitero dove è sepolto Pasolini e tutta la sua famiglia.<br />
Sulla sinistra, poco dopo l’ingresso, c’era un’aiuola di terra nuda. Mi avvicinai<br />
a questo quadrato con al centro due lastre di marmo bianco, piccole, e vidi la<br />
tomba. “Pier Paolo Pasolini (1922-1975).” Al fianco, poco più in là, quella della<br />
5. Io so: il riferimento è all’esordio<br />
di un celebre articolo di Pier<br />
Paolo Pasolini, intitolato Che<br />
cos’è questo golpe?, pubblicato<br />
sul «Corriere della sera» il 14 novembre<br />
1974 e confluito poi negli<br />
Scritti corsari.<br />
6. jingle: termine inglese (letteralmente<br />
“tintinnio”) che si riferisce<br />
a una breve frase musicale,<br />
un ritornello, un motivetto usato<br />
spesso in radio e in televisione<br />
come breve sigla per annunciare,<br />
per esempio, l’inizio di una pubblicità<br />
o il cambio di programma.<br />
7. Casarsa: paese friulano dove<br />
Pasolini nacque, nel 1922, e dove<br />
sarà sepolto.<br />
8. il nome uno e trino: il riferimento<br />
è ai tre elementi onomastici,<br />
tuti con la medesima iniziale,<br />
di Pasolini: la sigla PPP, del<br />
resto, è usata spesso in luogo del<br />
nome per esteso dello scrittore.<br />
9. Caproni: Giorgio Caproni<br />
(1912-1990) è stata una della voci<br />
poetiche più significative del<br />
secondo Novecento.<br />
10. santino laico: il santino è<br />
una piccola immagine sacra oggetto<br />
di devozione popolare,<br />
usata in questo caso come me-<br />
tafora di un culto e di una fede<br />
fatta di luoghi comuni e ritualità<br />
superficiale. Il termine è qui abbinato,<br />
con una sorta di ossimoro,<br />
all’aggettivo laico, a indicare<br />
che si tratta di un oggetto di fede<br />
non religiosa.<br />
11. Cristo letterario: l’espressione,<br />
fortemente pregnante,<br />
accosta l’immagine di Cristo alla<br />
personalità umana e letteraria di<br />
Pasolini: come sopra, ciò che si<br />
intende è che non si vuole trasformare<br />
lo scrittore in un’immagine<br />
di devozione, una figura da<br />
adorare.<br />
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madre. Mi sembrò d’essere meno solo, e lì iniziai a biascicare la mia rabbia, con i<br />
pugni stretti sino a far entrare le unghie nella carne del palmo. Iniziai a articolare<br />
il mio io so, l’io so del mio tempo.<br />
Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono<br />
l’odore. L’odore dell’affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io<br />
so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova.<br />
E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie 12 . Osserva, soppesa,<br />
guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio 13 e i testimoni non ritrattano.<br />
Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so dove le pagine dei manuali d’economia<br />
si dileguano mutando i loro frattali in materia 14 , cose, ferro, tempo e contratti. Io<br />
so. Le prove non sono nascoste in nessuna pen-drive 15 celata in buche sotto terra.<br />
Non ho video compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesi di montagna.<br />
Né possiedo documenti ciclostilati 16 dei servizi segreti. Le prove sono inconfutabili<br />
perché parziali, riprese con le iridi 17 , raccontate con le parole e temprate<br />
con le emozioni rimbalzate su ferri e legni 18 . Io vedo, trasento 19 , guardo, parlo, e<br />
così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando sussurra: «È falso»<br />
all’orecchio di chi ascolta le cantilene a rima baciata dei meccanismi di potere 20 .<br />
La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chimica.<br />
Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.<br />
Cerco sempre di calmare quest’ansia che mi prende ogni volta che cammino,<br />
ogni volta che salgo scale, prendo ascensori, quando struscio le suole su zerbini<br />
e supero soglie. Non posso fermare un rimuginio d’anima perenne su come sono<br />
stati costruiti palazzi e case. E se poi ho qualcuno a portata di parola riesco<br />
con difficoltà a trattenermi dal raccontare come si tirano su piani e balconi sino<br />
al tetto. Non è un senso di colpa universale che mi pervade, né un riscatto morale<br />
verso chi è stato cassato 21 dalla memoria storica. Piuttosto cerco di dismettere<br />
quel meccanismo brechtiano 22 che invece ho connaturato, di pensare alle mani e<br />
ai piedi della storia 23 . Insomma più alle ciotole perennemente vuote che portarono<br />
alla presa della Bastiglia che ai proclami della Gironda e dei Giacobini 24 . Non<br />
riesco a non pensarci. Ho sempre questo vizio. Come qualcuno che guardando<br />
Vermeer 25 pensasse a chi ha mescolato i colori, tirato la tela coi legni, assemblato<br />
12. E non... istruttorie: l’autore<br />
utilizza un lessico specifico<br />
giudiziario per indicare che la<br />
verità della parola è immediata,<br />
non deve essere verificata come<br />
le prove all’interno del processo,<br />
e nemmeno emerge dal confronto<br />
di informazioni e testimonianze.<br />
13. gabbio: prigione.<br />
14. le pagine… materia: la teoria<br />
diviene pratica. L’espressione<br />
pagine dei manuali si riferisce<br />
per metonimia (il concreto per<br />
l’astratto) al contenuto delle pagine;<br />
i frattali sono frammenti di<br />
materia dotati di particolari caratteristiche<br />
geometriche.<br />
15. pen drive: dispositivo rimovibile<br />
di memorizzazione dati per<br />
computer.<br />
16. ciclostilati: stampati con<br />
una macchina tipografica detta<br />
ciclostile (oggi caduta in disuso).<br />
17. riprese… iridi: viste con i<br />
propri occhi.<br />
18. temprate… legni: irrobustite<br />
con le emozioni tanto da diventare<br />
resistenti come il ferro<br />
e il legno.<br />
19. trasento: intuisco.<br />
20. cantilene... potere: le frasi<br />
di circostanza, vuote e ripetitive<br />
di chi detiene il potere.<br />
21. cassato: eliminato.<br />
22. brechtiano: ispirato al pensiero<br />
del drammaturgo tedesco<br />
Bertolt Brecht (1898-1956).<br />
23. alle mani... delle storia:<br />
attraverso tale espressione figu-<br />
rata Saviano si riferisce all’azione<br />
concreta di chi fa muovere la<br />
Storia.<br />
24. ciotole… Giacobini: un’altra<br />
espressione figurata per affermare<br />
la maggiore importanza<br />
che rivestono agli occhi dell’autore<br />
le cause materiali (le ciotole<br />
perennemente vuote) degli avvenimenti<br />
storici (la presa della<br />
Bastiglia, evento scatenante<br />
la Rivoluzione francese) rispetto<br />
alle loro manifestazioni ideologiche<br />
(la Gironda e i Giacobini,<br />
ovvero l’ala moderata e quella radicale<br />
del governo rivoluzionario<br />
francese).<br />
25. un Veermer: un quadro del<br />
pittore olandese Jan Veermer<br />
(1632-1675).<br />
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gli orecchini di perle, piuttosto che contemplare il ritratto. Una vera perversione.<br />
Non riesco proprio a scordarmi come funziona il ciclo del cemento quando vedo<br />
una rampa di scale, e non mi distrae da come si mettono in torre le impalcature il<br />
vedere una verticale di finestre. Non riesco a far finta di nulla. Non riesco proprio<br />
a vedere solo il parato 26 e penso alla malta e alla cazzuola. Sarà forse che chi nasce<br />
in certi meridiani ha rapporto con alcune sostanze in modo singolare, unico. Non<br />
tutta la materia viene recepita allo stesso modo in ogni luogo. Credo che in Qatar 27<br />
l’odore di petrolio e benzina rimandi a sensazioni e sapori che sanno di residenze<br />
immense, occhiali da sole e limousine. Lo stesso odore acido del carbonfossile,<br />
a Minsk 28 , credo rimandi a facce scure, fughe di gas, e città affumicate mentre in<br />
Belgio rimanda all’odore d’aglio degli italiani e alla cipolla dei maghrebini 29 . Lo<br />
stesso accade col cemento per l’Italia, per il mezzogiorno. Il cemento. Petrolio del<br />
sud. Tutto nasce dal cemento. Non esiste impero economico nato nel mezzogiorno<br />
che non veda il passaggio nelle costruzioni: gare d’appalto, appalti, cave, cemento,<br />
inerti 30 , malta, mattoni, impalcature, operai. L’armamentario dell’imprenditore<br />
italiano è questo. L’imprenditore italiano che non ha i piedi del suo impero nel<br />
cemento non ha speranza alcuna. È il mestiere più semplice per far soldi nel più<br />
breve tempo possibile, conquistare fiducia, assumere persone nel tempo adatto di<br />
un’elezione, distribuire salari, accaparrarsi finanziamenti, moltiplicare il proprio<br />
volto sulle facciate dei palazzi che si edificano. Il talento del costruttore è quello<br />
del mediatore e del rapace. Possiede la pazienza del certosino compilatore di documentazioni<br />
burocratiche, di attese interminabili, di autorizzazioni sedimentate<br />
come lente gocce di stalattiti. E poi il talento di rapace, capace di planare su terreni<br />
insospettabili, sottrarli per pochi quattrini e poi serbarli sino a quando ogni loro<br />
centimetro e ogni buco divengono rivendibili a prezzi esponenziali.<br />
L’imprenditore rapace sa come usare becco e artigli. Le banche italiane sanno<br />
accordare ai costruttori il massimo credito, diciamo che le banche italiane sembrano<br />
edificate per i costruttori. E quando proprio non ha meriti e le case che<br />
costruirà non bastano come garanzie, ci sarà sempre qualche buon amico che<br />
garantirà per lui. La concretezza del cemento e dei mattoni è l’unica vera materialità<br />
che le banche italiane conoscono. Ricerca, laboratorio, agricoltura, artigianato,<br />
i direttori di banca li immaginano come territori vaporosi, iperurani 31 senza<br />
presenza di gravità. Stanze, piani, piastrelle, prese del telefono e della corrente,<br />
queste le uniche concretezze che riconoscono. Io so e ho le prove. So come è stata<br />
costruita mezz’Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la<br />
sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi, ville. A<br />
Castelvolturno 32 nessuno dimentica le file infinite dei camion che depredavano il<br />
Volturno della sua sabbia. Camion in fila, che attraversavano le terre costeggiate da<br />
26. parato: carta da parati, rivestimento.<br />
27. Qatar: Stato dell’Arabia<br />
orientale, affacciato sul Golfo<br />
Persico, con ricchi giacimenti<br />
petroliferi.<br />
28. Minsk: città della Bielorussia.<br />
29. maghrebini: immigrati originari<br />
dei paesi del Maghreb, regione<br />
dell’Africa settentrionale<br />
situata fra il Sahara e l’Atlantico.<br />
30. inerti: materiali usati in edilizia,<br />
come sabbia e pietrisco, che<br />
non subiscono trasformazioni<br />
chimiche durante la lavorazione.<br />
31. iperurani: luoghi letteralmente<br />
situati oltre i cieli; territori<br />
dell’immaginazione, della<br />
pura fantasia.<br />
32. Castelvolturno: località<br />
della costa campana a nord di<br />
Napoli, in provincia di Caserta.<br />
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contadini che mai avevano visto questi mammut di ferro e gomma. Erano riusciti<br />
a rimanere, a resistere senza emigrare e sotto i loro occhi gli portavano via tutto.<br />
Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese,<br />
Asiago 33 , Genova. Ora non è più il fiume che va al mare, ma il mare che entra nel<br />
fiume. Ora nel Volturno si pescano le spigole, e i contadini non ci sono più. Senza<br />
terra hanno iniziato ad allevare le bufale, dopo le bufale hanno messo su piccole<br />
imprese edili assumendo giovani nigeriani e sudafricani sottratti ai lavori stagionali,<br />
e quando non si sono consorziati con le imprese dei clan hanno incontrato<br />
la morte precoce. Io so e ho le prove. Le ditte d’estrazione vengono autorizzate a<br />
sottrarre quantità minime, e in realtà mordono e divorano intere montagne. Montagne<br />
e colline sbriciolate e impastate nel cemento finiscono ovunque. Da Tenerife<br />
34 a Sassuolo 35 . La deportazione delle cose ha seguito quella degli uomini. In una<br />
trattoria di San Felice a Cancello, ho incontrato don Salvatore, vecchio mastro 36 .<br />
Una specie di salma ambulante, non aveva più di cinquant’anni, ma ne dimostrava<br />
ottanta. Mi ha raccontato che per dieci anni ha avuto il compito di smistare nelle<br />
impastatrici le polveri di smaltimento fumi. Con la mediazione delle ditte dei<br />
clan lo smaltimento occultato nel cemento è divenuta la forza che permette alle<br />
imprese di presentarsi alle gare d’appalto con prezzi da manodopera cinese. Ora<br />
garage, pareti e pianerottoli hanno nel loro petto i veleni. Non accadrà nulla sin<br />
quando qualche operaio, magari maghrebino, inalerà le polveri crepando qualche<br />
anno dopo e incolperà la malasorte per il suo cancro.<br />
Io so e ho le prove. Gli imprenditori italiani vincenti provengono dal cemento.<br />
Loro stessi sono parte del ciclo del cemento. Io so che prima di trasformarsi in<br />
uomini di fotomodelle, in manager da barca, in assalitori di gruppi finanziari, in<br />
acquirenti di quotidiani, prima di tutto questo e dietro tutto questo c’è il cemento,<br />
le ditte in subappalto, la sabbia, il pietrisco, i camioncini zeppi di operai che<br />
lavorano di notte e scompaiono al mattino, le impalcature marce, le assicurazioni<br />
fasulle. Lo spessore delle pareti è ciò su cui poggiano i trascinatori dell’economia<br />
italiana. La costituzione dovrebbe mutare. Scrivere che si fonda sul cemento e sui<br />
costruttori. Sono loro i padri 37 . Non Ferruccio Parri 38 , non Luigi Einaudi 39 , non<br />
Pietro Nenni 40 , non il comandante Valerio 41 .<br />
Roberto Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2006<br />
33. Asiago: paese in provincia<br />
di Vicenza situato sull’omonimo<br />
altipiano.<br />
34. Tenerife: isola delle Canarie.<br />
35. Sassuolo: cittadina in provincia<br />
di Modena.<br />
36. mastro: termine dialettale<br />
per “maestro”, usato per indicare<br />
il muratore capocantiere.<br />
37. padri: si allude ai “padri del-<br />
la Repubblica italiana”, espressione<br />
ricorrente con cui vengono<br />
designati gli importanti uomini<br />
politici dell’Italia postfascista<br />
elencati di seguito.<br />
38. Ferruccio Parri: politico<br />
antifascista, tra i fondatori del<br />
Partito d’Azione, combattente<br />
nella Resistenza.<br />
39. Luigi Einaudi: presidente<br />
della Repubblica italiana dal<br />
1948 al 1955.<br />
40. Pietro Nenni: uomo politico<br />
socialista, direttore dell’«Avanti!»<br />
e più volte ministro della Repubblica.<br />
41. comandante Valerio: nome<br />
di battaglia di Walter Audisio, il<br />
partigiano che presumibilmente<br />
uccise Benito Mussolini.<br />
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scheda di analisi<br />
Il tema e il messaggio<br />
Roberto Saviano non racconta in Gomorra nulla<br />
che sia meno che documentato: con un ritmo teso<br />
e serrato ha indicato con estrema precisione nomi<br />
e cognomi di vittime e carnefici, ha descritto<br />
con dovizia di particolari le strutture camorristiche e<br />
le modalità del reclutamento della manodopera, ha distinto<br />
le diverse tipologie di affari loschi quanto remunerativi<br />
e le complicità politiche che li rendono possibili.<br />
Soprattutto le pagine iniziali di Gomorra sembrano<br />
elenchi in cui si affollano nomi, documenti e<br />
dati di varia natura, che rafforzano l’obiettività del<br />
racconto e lasciano il lettore esterrefatto per la drammaticità<br />
espressa dalle cifre. Procedendo nella lettura<br />
del romanzo, la componente riflessiva emerge<br />
con vigore sempre maggiore, fino a che, nella sezione<br />
conclusiva, s’incontra il brano qui proposto, denso di<br />
significati e implicazioni letterarie.<br />
Illustrando come dalla speculazione edilizia la malavita<br />
campana abbia tratto profitti enormi, estendendo<br />
capillarmente il proprio potere su tutta la penisola, il<br />
protagonista e voce narrante racconta le reazioni scatenate<br />
in lui da un episodio di cui è stato testimone:<br />
la morte di un giovane operaio edile, Francesco<br />
Iacomino. Rabbia e sdegno determinano sensazioni<br />
fisiche forti e sentimenti contrastanti, di smarrimento<br />
e di ribellione, che si trasformano però, nel suggestivo<br />
ricordo dell’Io so di Pasolini, in qualcosa di completamente<br />
diverso. Spinto da questa suggestione, Saviano<br />
racconta di essersi recato presso la tomba di Pasolini<br />
alla ricerca d’ispirazione, per ricevere una sorta di<br />
investitura e recitare una specie di preghiera laica,<br />
che egli stesso definisce l’io so del mio tempo. Attraverso<br />
di essa la lama della scrittura, l’energica fiducia<br />
nella forza della parola rivelatrice della verità,<br />
è utilizzata per lanciare una vibrante denuncia di<br />
ciò che si nasconde dietro il potere del cemento.<br />
Laboratorio sul testo<br />
Comprendere<br />
La struttura della narrazione<br />
Due episodi autobiografici posti nella prima parte<br />
del brano (l’esperienza di lavoro estivo nei cantieri che<br />
culmina con la morte dell’operaio Iacomino e il viaggio<br />
a Casarsa che ha per meta la tomba di Pasolini) sono<br />
preludio all’ampia sequenza riflessiva, volta a svelare<br />
i meccanismi del potere, al di là delle storie, oltre<br />
i dettagli. In essa, i singoli fatti e le circostanze particolari<br />
vengono inseriti in un quadro coerente e convincente<br />
di denuncia, diventando prove inconfutabili per<br />
ricostruire il sistema della criminalità organizzata e offrendo<br />
la dimostrazione della sua pervasività nell’economia<br />
e nella società. I passaggi del percorso argomentativo<br />
sono scanditi dalla ripetizione della formula io so<br />
e ho le prove, ricavata dall’articolo citato di Pasolini,<br />
che costituisce il punto di partenza per un crescendo<br />
che culmina, nella conclusione del passo, con l’attribuzione<br />
sdegnosa e sarcastica del titolo di padri della patria<br />
a imprenditori e costruttori senza scrupoli.<br />
La lingua e lo stile<br />
Il brano proposto è esemplificativo dello stile di Saviano.<br />
I periodi hanno un’architettura semplice, sono<br />
spesso molto brevi e con prevalenza di una struttura<br />
paratattica. Per quanto riguarda gli artifici retorici, è<br />
molto frequente l’uso dell’accumulazione e dell’anafora;<br />
l’abbondanza di metafore e metonimie dà ancora<br />
maggiore gravità e spessore ai concetti.<br />
Sul piano delle scelte lessicali, pensieri e sentimenti<br />
diventano “corporei”, sulla base di un procedimento<br />
sistematico che inizia già nell’esordio del brano<br />
proposto (Era sui cantieri che sentivo fisicamente,<br />
nelle budella, tutta la loro potenza), per poi proseguire<br />
nelle numerose occorrenze di termini appartenenti al<br />
campo semantico del corpo e della fisicità; riferimenti a<br />
una “materialità” che serve a dare concretezza a queste<br />
rivelazioni scomode e difficili da accettare.<br />
1. per quale motivo il personaggio-narratore sceglie di lavorare nei cantieri edili?<br />
2. Quali reazioni suscita la morte di Francesco Iacomino nel protagonista?<br />
3. Individua lo scopo dichiarato del pellegrinaggio sulla tomba di pasolini.<br />
4. In quali luoghi dominano rispettivamente l’odore del cemento e quello del petrolio? E quali immagini rispettivamente<br />
si associano all’uno e all’altro odore?<br />
5. Descrivi la figura dell’imprenditore italiano del cemento: quali attività svolge, che vita conduce? perché<br />
viene definito rapace?<br />
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6. Soffermati sulla descrizione di don Salvatore, il vecchio mastro (rr. 139-141): che cosa ha determinato il suo<br />
attuale aspetto fisico?<br />
7. Quale tipo di modifica al testo della Costituzione propone di introdurre l’autore in conclusione? perché?<br />
interpretare<br />
8. per quale motivo Marco polo, il nome del treno che porta l’autore dalla Campania al Friuli, è eloquente<br />
(r. 147), secondo il narratore?<br />
9. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova (r. 63-64). Quale convinzione<br />
dell’autore esprime, secondo te, questa frase?<br />
10. Ho sempre questo vizio. Come qualcuno che guardando Vermeer pensasse a chi ha mescolato i colori, tirato la<br />
tela coi legni, assemblato gli orecchini di perle, piuttosto che contemplare il ritratto (r. 87-89). Qual è il vizio che<br />
Saviano non riesce proprio a togliersi?<br />
11. Che cosa significa l’espressione inseguire come porci da tartufo le dinamiche del reale (r. 44)?<br />
analizzare<br />
struttura della narrazione<br />
12. Individua nel testo le sequenze narrative e quelle riflessive.<br />
13. nel racconto del viaggio verso Casarsa, dalla partenza sino alla visita alla tomba, fabula e intreccio corrispondono?<br />
stile<br />
14. Individua tutti i passaggi del testo in cui sono nominate parti del corpo umano o sensazioni fisiche. prova<br />
a spiegare quale effetto genera la scelta stilistica, da parte dell’autore, d’insistere su tali elementi.<br />
padroneggiare la lingua<br />
Lessico<br />
15. Cerca nel testo esempi di accumulazione e ripetizione.<br />
16. Quest’ennesima notizia di morte, uno dei trecento edili che crepavano ogni anno nei cantieri in Italia si era come<br />
ficcata in qualche parte del mio corpo. perché Saviano utilizza il verbo crepare?<br />
17. E se poi ho qualcuno a portata di parola riesco con difficoltà a trattenermi dal raccontare. Qual è il significato<br />
dell’espressione sottolineata? Come si potrebbe esprimere il medesimo concetto?<br />
18. riporta le espressioni che si riferiscono alla metafora continuata dell’imprenditore rapace.<br />
19. ricerca e trascrivi i vocaboli del lessico specifico dell’edilizia presenti nel brano.<br />
Grammatica<br />
20. Le banche italiane sanno accordare ai costruttori il massimo credito, diciamo che le banche italiane sembrano<br />
edificate per i costruttori. nel periodo compare due volte la parola costruttori, usata con due funzioni logiche<br />
diverse. Quali?<br />
a) Complemento di termine e di mezzo. c) Complemento di vantaggio e di termine.<br />
b) Complemento di termine e di vantaggio. d) Complemento di limitazione e di termine.<br />
produrre<br />
21. ti sembra che la rabbia e la tensione emotiva dell’autore influiscano in maniera positiva o negativa sull’efficacia<br />
della comunicazione? Discutine con i tuoi compagni.<br />
22. In un testo di circa una pagina prova a costruire il tuo io so e ho le prove per denunciare una situazione per<br />
te intollerabile, o anche solo fastidiosa o spiacevole, in modo che la sola forza della tua parola possa rendere<br />
del tutto evidente ai tuoi potenziali lettori la verità delle tue affermazioni.<br />
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vERifiCa UNità Reale, troppo reale<br />
Sapere<br />
e Saper fare<br />
1. Vero o falso?<br />
a) La «società liquida» è caratterizzata dalla stabilità e dall’affermazione di valori<br />
tradizionali e duraturi. V F<br />
b) nel «villaggio globale» le distanze geografiche si sono annullate: si condividono<br />
gli stessi valori e stili di vita anche a migliaia di chilometri di distanza. V F<br />
c) L’arte all’inizio del terzo millennio mira all’eternità, alla durata delle sue<br />
manifestazioni, alla trasmissione di valori universali. V F<br />
d) uno degli indirizzi dominanti la letteratura degli ultimi decenni è lo sviluppo di una<br />
narrativa popolare e di genere. V F<br />
e) Già negli anni Sessanta avvenimenti di cronaca e vicende politiche internazionali<br />
hanno ispirato autori “irregolari” che hanno gettato le basi per un nuovo realismo. V F<br />
f) Il recente ritorno al realismo rappresenta una tendenza esclusivamente italiana. V F<br />
g) nella storia della letteratura europea c’erano già stati movimenti volti alla<br />
rappresentazione realistica del mondo. V F<br />
h) La letteratura di questi ultimi anni ha riscoperto il valore della testimonianza<br />
e dell’impegno civile. V F<br />
i) Lo sviluppo dei mass-media e delle nuove tecnologie ha sortito soltanto effetti<br />
negativi. V F<br />
l) La letteratura postmoderna vuole rappresentare la realtà nei suoi aspetti molteplici<br />
e frammentari. V F<br />
m) «Società liquida» è un’espressione coniata dal sociologo canadese Marshall McLuhan. V F<br />
n) L’espressione “industria culturale” indica l’avvicinamento del mondo industriale<br />
alle opere d’arte e alla letteratura. V F<br />
2. Rispondi alle seguenti domande.<br />
a) In che cosa consiste il genere del romanzo-verità, inaugurato da truman Capote con A sangue freddo?<br />
b) a quali particolari comportamenti di truman Capote sono dovute le polemiche seguenti la pubblicazione<br />
di A sangue freddo?<br />
c) nel reportage di parise lo sguardo obiettivo del giornalista si mescola con la sensibilità dello scrittore.<br />
In che modo?<br />
d) Con quale formula è stata denominata la letteratura di Walter Siti? per quale motivo?<br />
e) Quale autore è un punto di riferimento fondamentale sia per roberto Saviano sia per Walter Siti?<br />
f) Quale conseguenza ha avuto il successo planetario di Gomorra sull’esistenza quotidiana del suo autore?<br />
g) In quali modi specifici i testi proposti in questa unità svolgono tutti una funzione civile?<br />
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Sapere e<br />
Saper fare<br />
Comprendere e interpretare un testo<br />
5<br />
10<br />
15<br />
20<br />
W5<br />
focus: la vita notturna<br />
Leggi il brano e poi rispondi ai quesiti.<br />
Wu Ming<br />
Gap99<br />
1. La chiamata<br />
[…] L’assemblea straordinaria dei soci, convocata<br />
d’urgenza, aveva deciso di dotare il locale di un<br />
servizio d’ordine.<br />
– Vedi, Franz, i soci mi hanno imposto un gonfio...<br />
Per «gonfio», Lando intendeva un culturista non<br />
acculturato e poco disposto alla dialettica.<br />
– È uno che passa la vita in palestra, tutto muscoli<br />
e niente cervello. Tu lo sai come vanno queste cose.<br />
Se quello si mette là davanti e li affronta a muso<br />
duro, finisce anche peggio di com’è cominciata.<br />
Lando era un localaro 1 sui generis, non apprezzava<br />
i buttafuori professionisti, convinto com’era<br />
che i muscoli in bella mostra non fossero la cura,<br />
ma parte del problema. Era comprensibile, voleva<br />
salvaguardare l’immagine «alternativa» del locale.<br />
Ne andava della sua street credibility 2 , disse. E poi,<br />
con i guai che avevano avuto la stagione precedente<br />
per via di chi si faceva le canne tra i tavolini, se<br />
questi si mettevano a spacciare, stavolta la pula gli<br />
avrebbe fatto chiudere baracca 3 .<br />
Morale della favola, mi chiedeva una mano. Si dà<br />
il caso che nel mezzo del cammin di nostra vita<br />
mi ritrovassi momentaneamente disoccupato<br />
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vERifiCa UNità<br />
Il brano che segue è ripreso da un racconto pubblicato dal collettivo di scrittori d’avanguardia Wu<br />
Ming. Gap99, il racconto di cui si propone la sequenza iniziale, è anche il soggetto di un fumetto in cui<br />
si trasferisce l’esperienza autobiografica di due membri del gruppo di scrittura, che avevano lavorato<br />
come addetti alla sicurezza in una discoteca – il Gap99, appunto – nei pressi di Bologna.<br />
1. localaro: gestore del locale.<br />
2. street credibility: letteralmente<br />
“credibilità da strada”. Lando è preoccupato<br />
di salvaguardare la propria immagine<br />
agli occhi dei frequentatori di<br />
locali “alternativi”.<br />
3. la pula… baracca: la polizia gli<br />
avrebbe fatto chiudere il locale.<br />
4. non lo schiodo: non riesco a mandarlo<br />
via.<br />
5. al secolo: espressione che precede<br />
l’indicazione del nome anagrafico.<br />
6. thai boxe: sport da combattimento<br />
di origine thailandese, anche noto co-<br />
25<br />
30<br />
35<br />
40<br />
45<br />
e dissi che per un equo compenso avrei potuto<br />
prendere in gestione la security del Gap99. Ma a<br />
una condizione.<br />
– Sarebbe?<br />
– Mi fai scegliere le persone giuste.<br />
– Guarda che col gonfio dovrai lavorarci. Quello<br />
non lo schiodo 4 , rischio che i soci anziani mi mettano<br />
in minoranza... e a dirtela tutta, quelli non<br />
vedono l’ora.<br />
– Mi servono altre due persone. Stesso compenso<br />
anche per loro.<br />
– Sei un amico, Franz.<br />
– Lo so.<br />
E così andò.<br />
2. La squadra.<br />
Il primo che contattai fu Ricky, al secolo 5 Riccardo<br />
Pelloni, maestro di thai boxe 6 e persona di assoluto<br />
sangue freddo. Sapevo che aveva bisogno di soldi<br />
e che aveva fatto lo stesso lavoro in uno dei centri<br />
sociali a più alto rischio ambientale della città.<br />
Oltre al sale in zucca, Ricky aveva altri pregi. Tre<br />
quarti del suo corpo erano ricoperti di tatuaggi;<br />
da buon redskin 7 portava i capelli rasati, con tan-<br />
me Muay Thai o “boxe thailandese”.<br />
7. redskin: gruppo giovanile di estrema<br />
sinistra formatosi negli anni Ottanta,<br />
caratterizzati da un atteggiamento<br />
sociale e politico ribelle e violento.<br />
36
50<br />
55<br />
60<br />
65<br />
70<br />
75<br />
80<br />
85<br />
to di cicatrice in cima al cranio; era alto quanto<br />
me e dieci volte più agile, senza essere pieno di<br />
steroidi. Il solo aspetto era un deterrente alla tracotanza<br />
degli ubriachi. L’avevo conosciuto alcuni<br />
anni prima nel mezzo di un movimentato scambio<br />
di opinioni con alcuni gentiluomini di vedute<br />
ristrette. Ricky mi aveva spontaneamente aiutato<br />
a ridurli a più miti consigli, controbilanciando la<br />
mia inferiorità numerica.<br />
Qualche anno dopo, proprio Ricky mi aveva<br />
presentato quello che sarebbe diventato il terzo<br />
membro della squadra. Ahmed, nato in Tunisia,<br />
residente in Italia da molti anni. A dispetto della<br />
bassa statura, Ahmed aveva un fisico e una stretta<br />
di mano che incutevano già un certo rispetto.<br />
Ma non fu questo il motivo per cui lo chiamai in<br />
causa. Serviva un mediatore culturale che potesse<br />
trattare con gli avventori maghrebini da pari a pari.<br />
Uno di loro, che ne conoscesse atteggiamenti e fisime<br />
8 , il gergo, le pose, e che li potesse inquadrare<br />
e dissuadere preventivamente. In questo Ahmed<br />
si rivelò una manna dal cielo.<br />
Il palestrato imposto dall’assemblea dei soci era tal<br />
Max Strazzari, una specie di cubo umano, come<br />
sono spesso i culturisti non più giovincelli. Non<br />
era una cattiva persona, ma non mi ci volle molto<br />
a capire qual era la sua ossessione. Il rispetto. Lo<br />
esigeva da chiunque, ne parlava sempre, usando<br />
sinonimi e giri di parole (non molto ampi, a dire<br />
il vero). La sua frase preferita era: «Io sono un<br />
professionista ». Il fatto stesso che avesse bisogno<br />
di ripeterlo in continuazione non deponeva a suo<br />
favore. Era come se dovesse convincersene. Pensai<br />
che avrei potuto irretirlo di parole, una buona<br />
arma contro gli inetti. Così gli raccontai che qualche<br />
anno prima avevo fatto da scorta alla Comandancia<br />
dell’Ezln 9 , in Messico, e avevo conosciuto<br />
il subcomandante Marcos 10 (evitando però di specificare<br />
che si era trattato di un servizio di scorta<br />
rigorosamente disarmato).<br />
– Io non ho fatto nemmeno la naja, – si autocommiserò<br />
Max.<br />
8. fisime: idee fisse, specifici modi di<br />
pensare.<br />
9. Comandancia dell’EZLN: è la<br />
struttura direttiva dell’Esercito Zapatista<br />
di Liberazione Nazionale, movimento<br />
armato clandestino nato nel<br />
1983 che prende il nome da Emiliano<br />
Zapata, celebre rivoluzionario messicano,<br />
composto per lo più da indios<br />
discendenti degli antichi Maya, il cui<br />
obiettivo è l’affermazione dei diritti<br />
delle popolazioni indigene.<br />
10. subcomandante Marcos: il capo<br />
e portavoce principale dell’EZLN.<br />
11. spazzapavimento: talmente lunghi<br />
da toccare terra.<br />
12. new deal: il New Deal (“nuovo<br />
corso”) è l’espressione con cui ci si ri-<br />
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90<br />
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125<br />
vERifiCa UNità<br />
Ritenni che tutto sommato potevo tenerlo sotto<br />
controllo. E anche se una vocina flebile in un angolo<br />
del cervello mi diceva che presumevo troppo,<br />
accettai il rischio e cominciai.<br />
A proposito, io mi chiamo Francesco Lupo. Franz,<br />
per gli amici. E sono quello che ha affrontato la<br />
situazione quando le cose si sono messe male. Certo,<br />
per chi se lo ricorda. Perché nessuno ci ha mai<br />
scritto sopra un poema, girato un film, o disegnato<br />
un fumetto.<br />
3. La prima notte.<br />
– Come c… ti sei vestito?<br />
Lando mi accolse con il bicchiere in mano. Aveva<br />
un’espressione perennemente ridente. Era già così<br />
alle scuole elementari, quando ci eravamo conosciuti,<br />
e il tempo non gliel’aveva tolta dalla faccia.<br />
Quella sera però era anche un po’ stupita, mentre<br />
rimirava il mio completo nero e la cravatta.<br />
Era un look insolito per quel tipo di ambiente,<br />
dove prevalevano piercing al naso, maglioni larghi<br />
e jeans spazzapavimento 11 .<br />
La scelta faceva parte della strategia che avevo deciso<br />
di adottare. Il mio personale new deal 12 . Nel<br />
corso della serata, Lando ebbe modo di constatare<br />
che avevo visto giusto.<br />
Quando gli ubriachi si trovavano di fronte uno<br />
in abito scuro, istintivamente si riprendevano e<br />
ricominciavano a connettere 13 (o almeno ci provavano).<br />
Di solito esordivo con un tono tranquillo,<br />
conciliante, ma fermo.<br />
– Puoi parlare con me e chiarire la cosa civilmente,<br />
oppure con lui, – indicavo Ricky, che, tatuaggi<br />
in vista sotto la canotta mimetica, torreggiava alle<br />
mie spalle.<br />
Quasi sempre i ragazzi si lasciavano accompagnare<br />
al guardaroba mansueti, per recuperare le giacche<br />
e togliere il disturbo.<br />
Ma quella era ordinaria amministrazione.<br />
Loro arrivarono verso mezzanotte.<br />
Wu Ming, Anatra all’arancia meccanica, Torino,<br />
Einaudi, 2011<br />
ferisce al piano di riforme attuato dal<br />
presidente statunitense Franklin Delano<br />
Roosevelt negli anni Trenta per<br />
uscire dalla gravissima crisi economica<br />
del 1929. In questo caso, l’uso<br />
dell’espressione – così sproporzionata<br />
rispetto alla situazione – è chiaramente<br />
ironico.<br />
13. connettere: ragionare.<br />
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Competenza testuale<br />
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vERifiCa UNità<br />
individuare e ricavare informazioni<br />
1. Chi si occupa dell’assunzione del capo della sicurezza della discoteca? Qual è il suo ruolo nella gestione del<br />
locale e per conto di chi agisce?<br />
2. Franz conosceva il suo datore di lavoro già prima del colloquio per l’assunzione?<br />
3. Quali sono le condizioni poste da Franz per accettare l’incarico?<br />
4. Quanti sono i membri della squadra? riporta i loro nomi e le motivazioni che hanno indotto Franz a sceglierli.<br />
5. Descrivi l’abbigliamento che Franz sceglie di indossare nella sua prima serata di servizio. La sua scelta è in<br />
linea con le abitudini degli avventori del locale?<br />
6. In quale modo, con quale strategia di comunicazione (verbale e non verbale) Franz riesce a imporre le sue<br />
regole sui frequentatori del locale?<br />
Comprendere i significati<br />
7. Qual è il significato dell’espressione li affronta a muso duro (rr. 9-10)?<br />
8. Quale dei personaggi ritiene che i muscoli in bella mostra non fossero la cura, ma parte del problema (rr. 14-15)?<br />
Sai spiegare il significato di quest’opinione?<br />
9. nel contesto in cui è proposta, quale tipologia di individuo è identificata dalla locuzione poco disposto alla<br />
dialettica (r. 7)?<br />
a) uno che preferisce risolvere le questioni con la violenza più che con le parole e il dialogo.<br />
b) uno che non ama esprimersi in dialetto.<br />
c) uno che usa molto la mimica facciale.<br />
d) una persona timida e dal carattere debole.<br />
10. Oltre al sale in zucca, Ricky aveva altri pregi (r. 45). Che cosa significa l’espressione sale in zucca?<br />
interpretare e valutare<br />
11. Chi è il gonfio (r. 5) di cui si parla all’inizio del racconto? per quale motivo, secondo te, il suo nome non viene<br />
rivelato all’inizio della storia?<br />
12. L’espressione non molto ampi, a dire il vero, riferita ai giri di parole (rr. 76-77) spesso usati da uno dei personaggi,<br />
quale sua caratteristica tende a sottolineare?<br />
13. Si da il caso che nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovassi momentaneamente disoccupato (rr. 22-24). In<br />
questa frase riecheggia un verso famosissimo della nostra tradizione letteraria, l’incipit della Divina Commedia<br />
di Dante alighieri. per quale motivo, secondo te, l’autore lo ha chiamato in causa?<br />
14. Nessuno ci ha mai scritto sopra un poema, girato un film, o disegnato un fumetto (rr. 97-99). Che cosa intende<br />
dire il personaggio con questa sua riflessione?<br />
Comprendere strutture e caratteristiche dei generi testuali<br />
15. Il narratore è interno o esterno? Che tipo di focalizzazione viene adottata?<br />
16. Dividi il brano in sequenze, specificandone la tipologia e indicando per ciascuna di esse un titolo sintesi.<br />
17. In che modo vengono caratterizzati i personaggi?<br />
18. Quali sono i luoghi del testo in cui emerge un realismo particolarmente marcato? Quali elementi stilistici<br />
producono tale effetto?<br />
Riconoscere il registro linguistico<br />
19. Indica quale registro linguistico è prevalente nel testo.<br />
a) Formale.<br />
b) Medio.<br />
c) Informale.<br />
d) Dialettale.<br />
20. nel testo prevale la paratassi o l’ipotassi?<br />
Competenza lessicale<br />
21. Che cosa significa, letteralmente, la locuzione sui generis? Da quale dei seguenti aggettivi potrebbe essere<br />
sostituita?<br />
a) testardo.<br />
b) Originale.<br />
c) Incosciente.<br />
d) Incapace.<br />
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vERifiCa UNità<br />
22. Quale espressione può sostituire il termine security?<br />
a) Sicurezza.<br />
b) Forza di polizia.<br />
c) personale di sorveglianza.<br />
d) anticrimine.<br />
23. Chi è il mediatore culturale?<br />
a) un uomo di media cultura.<br />
b) un esperto di linguaggi multimediali.<br />
c) Colui che gestisce le pubbliche relazioni in un locale notturno.<br />
d) una figura che favorisce la mediazione fra le diverse culture.<br />
24. Che cosa significa il termine naja? Conosci il motivo per cui questo vocabolo, oggi caduto in disuso, era popolarissimo<br />
fino a una decina di anni fa?<br />
Competenza grammaticale<br />
25. Che cos’è il vocabolo buttafuori?<br />
a) un verbo.<br />
b) un sostantivo composto.<br />
c) un nome alterato.<br />
d) un neologismo.<br />
26. È uno che passa la vita in palestra. Che cos’è uno?<br />
a) un numerale ordinale.<br />
b) un pronome dimostrativo.<br />
c) un pronome indefinito.<br />
d) un articolo indeterminato.<br />
27. Stesso compenso anche per loro. Che cos’è stesso?<br />
a) un aggettivo qualificativo.<br />
b) un aggettivo con funzione rafforzativa.<br />
c) un pronome indefinito.<br />
d) un aggettivo identificativo.<br />
28. Il palestrato imposto dall’assemblea dei soci era tal Max Strazzari, una specie di cubo umano, come sono spesso i<br />
culturisti non più giovincelli. Di che tipo è la proposizione sottolineata?<br />
a) Subordinata interrogativa indiretta.<br />
b) Subordinata comparativa.<br />
c) Subordinata modale.<br />
d) Coordinata alla principale.<br />
29. Quasi sempre i ragazzi si lasciavano accompagnare al guardaroba mansueti. Qual è la funzione logica del termine<br />
sottolineato?<br />
a) Complemento di modo.<br />
b) attributo.<br />
c) Complemento predicativo del soggetto.<br />
d) avverbio.<br />
30. Aveva un’espressione perennemente ridente. Quali elementi si susseguono nell’espressione sottolineata?<br />
a) articolo, sostantivo, aggettivo, aggettivo.<br />
b) articolo, sostantivo, avverbio, aggettivo.<br />
c) articolo, aggettivo, avverbio, sostantivo.<br />
d) articolo, sostantivo, aggettivo, verbo.<br />
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