Lezioni sull'Inferno dantesco a confronto: Pirandello e Bacchelli
Lezioni sull'Inferno dantesco a confronto: Pirandello e Bacchelli
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<strong>Lezioni</strong> sull’Inferno <strong>dantesco</strong> a <strong>confronto</strong>: <strong>Pirandello</strong> e <strong>Bacchelli</strong><br />
re nell’episodio eventuali riflessi delle vicende biografiche del poeta e si interrogò<br />
invece sul senso dell’episodio senza ricorrere a spiegazioni aprioristiche ed<br />
extra-diegetiche. Sin da ora si può dire che la sua proposta di lettura comportò,<br />
nella storia dell’esegesi del canto, una significativa variazione di prospettiva: egli<br />
infatti riuscì ad intuire la complessa tematica religiosa alla base dell’avventura<br />
che si svolge nella quinta bolgia, mettendola poi in relazione con un altro episodio<br />
dell’itinerario infernale per molti versi affine, verificatosi alle porte della<br />
città di Dite. Da ciò, quindi, giunse immediata la deduzione di <strong>Bacchelli</strong> che non<br />
ci si trovava, come ancora i più ritenevano, davanti ad un inserto faceto estrinseco<br />
all’architettura del poema; Dante, infatti, «non opera fuor dell’opera, non episodizza.<br />
E la beffa di Malacoda…non va spiegata neanch’essa come tanto o<br />
quanto non coerente episodio, ma come un momento particolare, e nella sua particolarità<br />
coerentissimo, della discesa all’inferno di Dante condotto da Virgilio» 7 .<br />
L’episodio costituisce, dunque, una tessera perfettamente inserita nel complesso<br />
mosaico dello schema itinerale, la sua singolarità trova la sua ragion d’essere<br />
nella grande libertà del poeta che «si esercita anche, e diciamo pure soprattutto,<br />
nei riguardi della e delle proprie invenzioni» e che si tratti di «libertà, non arbitrio,<br />
non incoerenza, anzi coerenza ed unità più profonde, intime e necessarie,<br />
non accade ripetere». <strong>Bacchelli</strong>, asserita la pertinenza dell’episodio al contesto<br />
del poema, torna a chideresi riguardo alla beffa dei Malebranche quale sia «il suo<br />
fine preciso e particolare rispetto al proseguimento del viaggio? Che sia predestinata<br />
e dannata a fallire, è detto, predetto, implicito, in tutti i modi; ma […] la<br />
sua teologica inutilità si tradurebbe in un’inutilità poetica, se, geniale e stupenda<br />
quanto si voglia nell’esecuzione, formalmente, fosse e rimanesse giuoco, divertimento,<br />
estro fantastico, fuor d’opera e del poeta e dei Malebranche». Allora<br />
«come mai Malacoda ordina una trama essenzialmente inutile?». La ragione c’è<br />
ed è strettamente legata al tessuto delle credenze cristiane: quella di Malacoda<br />
come quella di tutti i diavoli è una guerra perduta in eterno «ma irremissibile<br />
appunto per questo, e con una posta, con una vittoria, anche se questa non consegua<br />
altro che una sempre uguale e sempre maggior perdizione: il peccato, la<br />
possibile perdita dell’uomo, la tentazione, l’esercizio della tentazione perditrice»,<br />
che come afferma anche San Tommaso è la principale attività diabolica. Con<br />
incredibile acume critico, <strong>Bacchelli</strong> riesce, prima di tutti, ad intuire la complessità<br />
dei contenuti religiosi sottesi all’inganno ordito dal capo dei Malebranche.<br />
Dietro alla tentazione demoniaca ci sarebbe la volontà tramite «l’inganno e la<br />
tentazione, di indurre in errore la mente razionale, di traviare il libero arbitrio in<br />
peccato. Nel caso, distinguendo, l’inganno può esercitarsi anche verso Virgilio,<br />
la tentazione soltanto verso Dante. Virgilio, infatti, anima non può peccare: erra-<br />
7 R. BACCHELLI, Da Dite a Malebolge: la tragedia delle porte chiuse e la farsa dei ponti<br />
rotti, in «Giornale storico della letteratura italiana», CXXXI, 1954, pp. 1-32.<br />
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