Lezioni sull'Inferno dantesco a confronto: Pirandello e Bacchelli
Lezioni sull'Inferno dantesco a confronto: Pirandello e Bacchelli
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Francesca Fagnani<br />
allora, perché avremo inteso che qui c’è un sarcasmo; il sarcasmo che non è mai commedia, ma<br />
è sempre un dramma che non può rappresentarsi tragicamente come dovrebbe, poiché troppo<br />
buffi, indegni e meritevoli di disprezzo sono gli elementi e le ragioni ond’è determinato.<br />
Il riflesso delle vicende personali del poeta è, quindi, secondo <strong>Pirandello</strong>, l’unica<br />
chiave di lettura che consente di decifrare la natura di quella particolare<br />
forma di comicità profusa nel canto, che egli chiama sarcasmo. In realtà la reticenza<br />
dell’autore in merito (nessun accenno alla sua incriminazione compare,<br />
infatti, nel testo) non offre alcuna garanzia circa la validità di una lettura totalmente<br />
autobiografica dell’episodio. Del resto l’accusa di lucra illicita era al<br />
tempo di Dante un espediente giuridico molto usato dalle fazioni vincitrici, formulato<br />
in modo talmente cavilloso da vanificare ogni tentativo di difesa. Dante,<br />
dunque, doveva essere consapevole di quanto fosse pretestuosa tale imputazione;<br />
dall’altra parte, tuttavia, è presumibile che egli si sentisse offeso per l’infamia<br />
subita. Tale risentimento, morale e civile, dovette riaffiorare durante la stesura<br />
della narrazione che si svolge nella quinta bolgia, che tuttavia non costituisce<br />
l’occasione, non gli fornisce il destro per enunciazioni polemiche o apologetiche<br />
da parte dello scrittore; questi piuttosto sceglie di manifestare tutta la sua<br />
esecrazione per un peccato rispetto al quale non potrebbe sentirsi più alieno,<br />
attraverso la creazione di un linguaggio decisamente sbilanciato in direzione<br />
comico realistica. L’interpretazione di <strong>Pirandello</strong>, in eccezionale anticipo rispetto<br />
ai dantisti a lui coevi, si muove proprio in questa direzione. Bisogna, infatti,<br />
riconoscergli il merito di aver intuito la profonda serietà e amarezza del riso <strong>dantesco</strong>,<br />
che trova la sua ragion d’essere nello stretto legame intercorrente tra forma<br />
e contenuto, tra «comicità» e repulsione morale.<br />
La storia esegetica del XXI canto dell’Inferno vanta un altro nome illustre<br />
della tradizione letteraria italiana: Riccardo <strong>Bacchelli</strong>. Lo scrittore dedicò all’argomento<br />
un articolo dal titolo Da Dite a Malebolge: la tragedia delle porte chiuse<br />
e la farsa dei ponti rotti, comparso nel 1954 sul «Giornale Storico della<br />
Letteratura italiana» e confluito poi nella raccolta dei suoi saggi critici. Lo scritto<br />
relativo all’episodio dei barattieri sembra rispondere alla tipologia delle letture<br />
dantesche, a cui, fra l’altro, <strong>Bacchelli</strong> non era nuovo: nello stesso anno compare<br />
su un’altra rivista, «Paragone», la lectura del canto XXXIII del Paradiso.<br />
Per ciò che concerne l’articolo sul XXI canto, tuttavia, non compare alcuna testimonianza<br />
circa la sua derivazione da una precedente lettura pubblica, sebbene<br />
per molti aspetti ne abbia assolutamente le caratteristiche. Tuttavia l’incertezza<br />
dell’origine e l’assenza di prove che ne dimostrino il carattere pubblico e orale<br />
fanno sì che questo breve saggio di <strong>Bacchelli</strong> venga escluso dal tipo di seminario<br />
che stiamo conducendo. Credo, tuttavia, che l’interessante lettura del canto<br />
data dallo scrittore meriti almeno un rapido accenno, soprattutto perché il suo<br />
approccio al testo risulta essere profondamente diverso da quello di <strong>Pirandello</strong>.<br />
A differenza di questi, egli infatti si mostrò decisamente disinteressato a coglie-<br />
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