Lezioni sull'Inferno dantesco a confronto: Pirandello e Bacchelli
Lezioni sull'Inferno dantesco a confronto: Pirandello e Bacchelli
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<strong>Lezioni</strong> sull’Inferno <strong>dantesco</strong> a <strong>confronto</strong>: <strong>Pirandello</strong> e <strong>Bacchelli</strong><br />
c’è lo strazio, il raccapriccio, l’orrore la nausea, la paura, ci sarà lo scherno, il<br />
disprezzo, il sarcasmo, non il riso che castiga della commedia. Dante non può far<br />
che Dio scherzi punendo, né egli s’attenterebbe di scherzar comicamente dove<br />
Dio ha punito».<br />
Se quanto affermato da <strong>Pirandello</strong> può sembrare oggi pacifico, ben diversa<br />
era la prospettiva esegetica a lui contemporanea, che si protrasse per molti decenni<br />
ancora. Fino agli anni Settanta inoltrati, infatti, l’episodio dei barattieri continuò<br />
ad essere ritenuto da alcuni un momento di puro svago del poeta estrinseco<br />
all’architettura del poema, «un giorno di allegra noncuranza» come arrivò a definire<br />
un illustre dantista 4 .<br />
L’intuizione pirandelliana, sia pure rimasta allo stato germinale, della profonda<br />
«serietà del comico» <strong>dantesco</strong> costituì senza dubbio un primo passo nel<br />
superamento dell’impasse interpretativa, che impediva una reale comprensione<br />
del XXI canto. Egli, inoltre, specifica che non di comico si deve parlare per l’episodio<br />
in questione, ma di sarcasmo: «Non bisogna confondere il sarcasmo, l’ironia,<br />
lo scherno con il comico. Che se talvolta comica appare esteriormente la<br />
frase, non ne è mai comico il sapore, perché non è mai comica l’intenzione del<br />
poeta; e perciò non fa ridere. La frase comica sarà messa lì per ottenere un effetto<br />
di più cruda ripugnanza». Attraverso queste valutazioni, nulla affatto scontate,<br />
lo scrittore riesce a cogliere, direi per primo, il fulcro della questione: Dante nel<br />
XXI canto dell’Inferno dà fondo a tutte le risorse espressive messe a disposizione<br />
dalla tradizione retorica del comico non certo per creare momenti di spensierata<br />
ilarità, ma per dar voce alla «cruda ripugnanza» appunto, all’abiezione<br />
morale, alla degradazione della triste realtà di Malebolge e dei loro ospiti, dannati<br />
e diavoli, anch’essi come i primi eternamente sconfitti davanti a Dio.<br />
<strong>Pirandello</strong>, dunque, con eccezionale perspicacia riuscì ad capire, a differenza di<br />
molti illustri dantisti, che, attraverso la costruzione di un episodio fortemente<br />
proiettato in direzione comico-realistica, Dante stava esprimendo il proprio sentimento<br />
di disgusto e di riprovazione etica, che nulla ha a che fare con il riso<br />
gioioso attribuitogli dai più.<br />
Lo scrittore siciliano, tuttavia, non si fermò a queste riflessioni, ma approfondì<br />
ulteriormente la questione, interrogandosi sul motivo per cui qui più che<br />
altrove il poeta fa sentire, attraverso lo scherno e l’ironia, la sua forte ripugnanza<br />
verso colpa, colpevoli e torturatori. Qual è, dunque, la ragione di tanto sarcasmo?<br />
A questa domanda <strong>Pirandello</strong> rispose avanzando un’interessante ipotesi:<br />
«[...] è possibile che a Dante, fin da principio, nel predisporre la materia di questo<br />
canto dei barattieri, non si sia affacciata la sua condanna, il ricordo dell’indegna<br />
accusa? E che sentimento poteva destarsi in lui se non disprezzo per essa;<br />
4 A. MOMIGLIANO, Commento alla Divina Commedia, Inferno, Firenze, Le Monnier, 1947,<br />
p. 149.<br />
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