Lezioni sull'Inferno dantesco a confronto: Pirandello e Bacchelli
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Francesca Fagnani<br />
quale a Dante mancherebbe l’effettiva capacità di obbliarsi nell’oggetto comico.<br />
La schiera dei sostenitori dell’inattitudine dantesca alla comicità andò, dopo l’intervento<br />
dell’illustre critico, progressivamente ampliandosi, raccogliendo fra le<br />
sue fila illustri studiosi.<br />
La singolarità dell’episodio e la complessità della questione del comico ad<br />
esso legata, destò l’interesse e il coinvolgimento di un lettore veramente d’eccezione:<br />
Luigi <strong>Pirandello</strong>, il quale, infatti, proprio su questo argomento, il 3 febbraio<br />
1916 in Orsanmichele a Firenze, tenne una “lezione”. Non meraviglia affatto<br />
che l’interpretazione del canto data dal grande scrittore si distacchi per originalità<br />
e profondità dal panorama esegetico a lui coevo e generalmente dominato<br />
dall’assunzione pedestre e impersonale della linea desanctisiana.<br />
<strong>Pirandello</strong>, infatti, a differenza di moltri altri commentatori danteschi, non<br />
appiattì l’intera questione negli angusti termini di una domanda semplicisticamente<br />
posta (Dante ride o no nell’episodio dei barattieri?), ma spinse oltre il suo<br />
interesse critico: egli, infatti, trovandosi dinanzi un canto decisamente sbilanciato<br />
in direzione comico-realistica, si chiese quali fossero le intenzioni del poeta<br />
sottese al testo e di che natura fosse, dunque, la sua comicità, che sembrerebbe<br />
trovare in queste pagine ampio sfogo. Nell’analisi del canto XXI, lo scrittore<br />
prende le mosse proprio da alcune affermazioni di De Sanctis, con il quale si<br />
dichiara immediatamente in disaccordo, lì dove questi afferma che in Malebolge,<br />
considerato il regno del «comico», il poeta sembra caduto in un mondo non suo,<br />
in quanto «le situazioni sono comiche, ma il comico è rozzamente formato, e non<br />
è artistico; non ha la sua immagine che è la caricatura, né la sua espressione che<br />
è il riso» 2 . A queste affermazioni <strong>Pirandello</strong> replica: «a me sembra, e non a me<br />
soltanto, un teorizzare a vuoto, senza voler qui vedere l’animo del poeta e il suo<br />
mondo qual egli l’ha voluto e rappresentato», aggiungendo poco più avanti «ma<br />
vogliono proprio far ridere quei versi? […] ma vuole Dante spassarsi con l’oggetto<br />
comico? Ed è propriamente comico l’oggetto per Dante? Ci si vuole Dante<br />
obliare? Io confesso che non so vedere tutto questo comico che altri vede in<br />
Malebolge» 3 . In tal modo, lo scrittore prendeva le distanze tanto da chi sosteneva<br />
l’inattitudine dantesca alla comicità, tanto da chi, viceversa, leggeva nell’episodio<br />
un’esplosione di riso, quasi che l’autore si fosse preso una faceta vacanza<br />
morale, una pausa distensiva e diversiva rispetto al serissimo contesto itinerale.<br />
Egli rifiuta quello che definisce il mero «spasso d’artista»: non è possibile, infatti,<br />
che ci sia «castigo di riso dove son pene atroci per laidissime colpe. Dove non<br />
2 F. DE SANCTIS, La Commedia, in ID., Storia della Letteratura italiana, Milano, Feltrinelli,<br />
1964.<br />
3 L. PIRANDELLO, La commedia dei diavoli e la tragedia di Dante, in ID., Saggi poesie e<br />
scritti vari, Milano, Mondadori, 1973, pp. 343-61. Data la brevità del testo pirandelliano, non<br />
si farà ulteriore riferimento alle singole pagine nelle note successive.<br />
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