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a cura di Erica Santi 5^A Liceo A. Righi Bologna - Matematicamente.it

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a <strong>cura</strong> <strong>di</strong> <strong>Erica</strong> <strong>Santi</strong> <strong>5^A</strong> <strong>Liceo</strong> A. <strong>Righi</strong> <strong>Bologna</strong>


nella letteratura e nell’arte<br />

come fenomeno sociale<br />

LA PASSIONE<br />

“Phaedra” <strong>di</strong> Seneca<br />

“Orlando Furioso” <strong>di</strong> Ariosto<br />

“Asylum” by McGrath<br />

IL GENIO<br />

Leopar<strong>di</strong>: genio e malattia<br />

IL PERTURBANTE<br />

“The fall of the house of<br />

Usher” by Edgar Allan Poe<br />

“L’incubo” e “La follia <strong>di</strong> Kate”<br />

<strong>di</strong> Füssli<br />

CRISI DELL’IO<br />

“Enrico IV” <strong>di</strong> Pirandello<br />

NASCITA MANICOMI<br />

Gli Alienati <strong>di</strong> Géricault<br />

Hegel: il corretto trattamento<br />

della pazzia<br />

Legge <strong>it</strong>aliana del 1904<br />

ANTIPSICHIATRIA<br />

“One flew over the cuckoo’s<br />

nest” by Ken Kesey<br />

La “Legge Basaglia”<br />

DUE CASI CLINICI<br />

Il caso Nietzsche<br />

Vincent Van Gogh<br />

<strong>Erica</strong> <strong>Santi</strong> <strong>5^A</strong>


Rappresentazioni della follia nella letteratura e nell'arte<br />

INTRODUZIONE<br />

Riflettere sulla follia vuol <strong>di</strong>re riflettere sulla nozione <strong>di</strong> ident<strong>it</strong>à, su come percepiamo le cose, su<br />

che cos'è la realtà. La follia non è solo <strong>di</strong>sagio o malattia: con le sue categorie, ci provoca e<br />

interroga la nostra visione del mondo.<br />

Negli ultimi due secoli la me<strong>di</strong>cina, le arti, le scienze umane, la giurisprudenza hanno riconosciuto<br />

alla follia un duplice valore: da una parte, essa è l'“altro”, cioè un mondo profondamente <strong>di</strong>verso da<br />

quello dei “sani”; dall'altra, essa rivela qualcosa che è in tutti gli uomini.<br />

Tra<strong>di</strong>zionalmente, folle è colui che, per comportamenti e opinioni, si <strong>di</strong>stacca da ciò che la norma<br />

definisce accettabile. Qui inizia il problema della definizione della pazzia: nei vari amb<strong>it</strong>i sociali e<br />

nei <strong>di</strong>fferenti contesti storici cambiano i parametri che <strong>di</strong>vidono ciò che è normale da quello che è<br />

deviante.<br />

In generale, fino all'Ottocento la letteratura e l'arte previlegiano la rappresentazione della follia<br />

associata a ciò che sfugge al controllo della ragione, soprattutto alla passione amorosa. Nel testo<br />

latino proposto, tratto da una trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Seneca, Phaedra, è proprio la passione <strong>di</strong> un amore, quello<br />

<strong>di</strong> una matrigna per il figliastro, che si scontra coi principi etici, a venir associato alla follia, con uno<br />

schema ricorrente nella letteratura sucessiva: l'amore impossibile che porta a uscir <strong>di</strong> senno <strong>di</strong>viene<br />

topos letterario tra i più utilizzati. Già dunque gli antichi in<strong>di</strong>viduarono nell'amore una delle cause<br />

della follia, ist<strong>it</strong>uendo un legame <strong>di</strong> lunga durata. La rappresentazione <strong>di</strong> pazzia amorosa r<strong>it</strong>orna con<br />

il «furioso» più noto della storia letteraria <strong>it</strong>aliana: l'Orlando <strong>di</strong> Ludovico Ariosto. Il tema viene<br />

ancora trattato al giorni nostri ed è centrale in uno dei libri più famosi dello scr<strong>it</strong>tore americano<br />

Patrick McGrath, Asylum, che narra <strong>di</strong> una passionale e folle avventura amorosa entro i confini <strong>di</strong><br />

un manicomio lon<strong>di</strong>nese.<br />

La follia assume un significato <strong>di</strong>verso durante la cultura romantica, che la rappresenta come un<br />

eccesso e un'esaltazione che rivela la natura più profonda dell'in<strong>di</strong>viduo. Nei romantici, lo spazio<br />

riservato alla pazzia amorosa è piuttosto lim<strong>it</strong>ato e vengono in<strong>di</strong>vuduati altri due campi in cui la<br />

follia trova sfogo: il genio, che permette all'in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> trascendersi e uscire <strong>di</strong> sé; le pulsioni<br />

profonde dell'anima, sepolte al <strong>di</strong> sotto della coscienza, in cui la natura umana rivela quanto ha <strong>di</strong><br />

perturbante.<br />

Una manifestazione del legame tra follia e eccesso romantico è dunque il genio, che vede al <strong>di</strong> là<br />

della ragione e della logica comune: si tratta, in qualche modo, <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong> misticismo. Nasce<br />

così il m<strong>it</strong>o dell'artista romantico folle, che si appoggia per <strong>di</strong> più a biografie reali. Questo m<strong>it</strong>o ha<br />

per protagonista Torquato Tasso, grande poeta <strong>it</strong>aliano v<strong>it</strong>tima <strong>di</strong> un delirio <strong>di</strong> persecuzione e <strong>di</strong><br />

crisi allucinatorie. La follia <strong>di</strong> Tasso è l'eccesso romantico che riconosce al genio poetico una<br />

superiore saggezza ma che vede la poesia come un ripiegamento totale su <strong>di</strong> sé e una per<strong>di</strong>ta del<br />

mondo reale per il mondo interiore delle fantasie e delle passioni. Questa è la posizione <strong>di</strong> Giacomo<br />

Leopar<strong>di</strong> che a Tasso de<strong>di</strong>ca una delle Operette morali, il Dialogo <strong>di</strong> Torquato Tasso con il suo<br />

genio e, per il tema che ci interessa, alcuni passi dello Zibaldone. Tasso è per Leopar<strong>di</strong> un uomo<br />

«vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato, che ha ceduto all'avvers<strong>it</strong>à, che soffre<br />

continuamente e patisce oltremodo» ( Zibaldone, 4255). Infelic<strong>it</strong>à e follia sono i lim<strong>it</strong>i della<br />

grandezza della sua opera: egli precip<strong>it</strong>ando nella follia ha sanc<strong>it</strong>o la sua inferior<strong>it</strong>à <strong>di</strong> uomo e<br />

artista. Lo stesso genio <strong>di</strong> Tasso, del resto, è un genio che si r<strong>it</strong>orce contro se stesso: è un eccesso <strong>di</strong><br />

conoscenza che finisce per sopraffare, un contatto con misteri così alti che finiscono per schiacciare.<br />

La follia è dunque il genio che non sa dominare se stesso e che, alla fine, si cancella. Per Leopar<strong>di</strong><br />

sembra esistere, tra genio e follia, un rapporto strettissimo: almeno il rapporto che c'è tra una cosa e<br />

il suo eccesso.


Il carattere d'eccesso che l'età romantica riconosce alla follia può essere tale da farne un fenomeno<br />

perturbante: un fenomeno, cioè, che sconvolge la nostra normale percezione della realtà,<br />

evocandoci insieme qualcosa <strong>di</strong> sinistro e <strong>di</strong> os<strong>cura</strong>mente famigliare. La follia rivela così il nostro<br />

aspetto oscuro; il fantastico e il soprannaturale <strong>di</strong>cono qual'è la nostra reale natura. Su questa strada<br />

si pone un grande maestro del genere, l'americano Edgar Allan Poe (1809-1849). Roderick, il<br />

protagonista <strong>di</strong> uno dei sui racconti più famosi, Il crollo della casa Usher, è affetto da “una strana<br />

forma <strong>di</strong> terrore”. Le origini <strong>di</strong> questo stato sono da una parte in una pre<strong>di</strong>sposizione ere<strong>di</strong>taria,<br />

dall'altra nell'attesa della morte della sorella Madeline, consumata da una malattia in<strong>cura</strong>bile. Ma in<br />

entrambi i casi, ciò che conta è lo sprofondare in una paura prim<strong>it</strong>iva, senza ragioni né confini: la<br />

follia rivela un'angoscia esistenziale che popola un mondo <strong>di</strong> fantasmi sinistramente famigliari. Il<br />

terrore <strong>di</strong> Roderick Usher si collega infatti alla morte della sorella, con cui egli sembra intrattenere<br />

un rapporto morboso, e all'estinzione della casata. Nel finale del racconto il terrore prende una<br />

forma concreta: lady Madeline, sepolta, riemerge dalla tomba, mentre la casa degli Usher crolla<br />

rovinosamente. La follia, insomma, svela un'inquietante compresenza <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a nella morte e morte<br />

nella v<strong>it</strong>a. Il legame tra fantastico e follia emerge con chiarezza anche nelle opere <strong>di</strong> un p<strong>it</strong>tore che è<br />

Poe stesso a c<strong>it</strong>are nel Crollo della casa Usher: lo svizzero Füssli. Richiamata <strong>di</strong>rettamente o<br />

in<strong>di</strong>rettamente, la follia porta alla luce le forze oscure dell'inconscio. Anche qui il fantastico è la<br />

traduzione <strong>di</strong> angoscie profonde, legate a pulsioni <strong>di</strong>struttive o alla sessual<strong>it</strong>à, come nella Follia <strong>di</strong><br />

Kate e soprattutto nell' Incubo. Perciò la pazzia si lega a figure femminili: la donna non è solo la<br />

creatura più fragile <strong>di</strong> fronte alle passioni, ma anche l'oggetto del desiderio sensuale che si nasconde<br />

<strong>di</strong>etro all'att<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne sentimentale.<br />

Il pos<strong>it</strong>ivismo muta profondamente l'immagine della follia. Se, nella cultura romantica e in quella<br />

che da essa deriva, conteneva sempre un elemento <strong>di</strong> umana ver<strong>it</strong>à, ora <strong>di</strong>venta anz<strong>it</strong>utto malattia; e<br />

per <strong>di</strong> più malattia <strong>di</strong>fficilmente <strong>cura</strong>bile. Il pazzo va dunque isolato dalla società, che se ne deve<br />

<strong>di</strong>fendere. La letteratura, però, non si allinea: pur riconoscendo che la follia è un fenomeno<br />

patologico, ne <strong>di</strong>fende i <strong>di</strong>r<strong>it</strong>ti. Oppure, in clima decadentista, rovesci i termini: essa è seducente<br />

proprio perchè è malattia.<br />

Una svolta decisiva nella storia della follia è segnata dalla nasc<strong>it</strong>a della psicoanalisi. I meccanismi<br />

del <strong>di</strong>sturbo psichico sono ricondotti a quelli che regolano l'inconscio <strong>di</strong> ogni uomo. La follia non è<br />

più un mondo estraneo, da allontanare: in questo modo si può riven<strong>di</strong>care il potere <strong>di</strong> conoscenza,<br />

mettendo in crisi le categorie tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> io e <strong>di</strong> realtà. Appare dunque un'altra prospettiva: la<br />

pazzia è <strong>di</strong>mensione alternativa a quella della v<strong>it</strong>a «normale», giu<strong>di</strong>cata come impraticabile da molti<br />

scr<strong>it</strong>tori del XX secolo. La follia è rifugio rispetto alla sofferenza dell'esistere. Il più noto e<br />

significativo esempio è probabilmente quello dell'Enrico IV <strong>di</strong> Pirandello che, come altri personaggi<br />

pirandelliani, sceglie la pazzia per non contaminarsi con la «v<strong>it</strong>a impura». La follia <strong>di</strong> Enrico IV è<br />

dunque legata alla volontà <strong>di</strong> sfuggire alla v<strong>it</strong>a, e in questo senso la follia svolge un ruolo analogo a<br />

quello che la morte svolge in altri autori, richiudendo l'in<strong>di</strong>viduo in una forma storica già defin<strong>it</strong>a e<br />

vissuta. L'alienazione mentale dà quin<strong>di</strong> tranquill<strong>it</strong>à e fiss<strong>it</strong>à che si oppone alla lacerante<br />

molteplic<strong>it</strong>à della realtà.


Il furor in Seneca<br />

Al centro dì tutte le trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Seneca troviamo la rappresentazione dello scatenarsi rovinoso <strong>di</strong> sfrenate passioni, non<br />

dominate dalla ragione, e delle conseguenze catastrofiche che ne derivano. Il significato pedagogico e morale<br />

s'in<strong>di</strong>vidua dunque nell'intenzione <strong>di</strong> proporre esempi dello scontro nell'animo umano <strong>di</strong> impulsi contrastanti, pos<strong>it</strong>ivi e<br />

negativi. Da un lato vi è la ragione, <strong>di</strong> cui si fanno spesso portavoce personaggi secondari che cercano <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssuadere i<br />

protagonisti dai loro insani propos<strong>it</strong>i; dall’altra vi è il furor, cioè l'impulso irrazionale, la passione (amore, o<strong>di</strong>o, gelosia,<br />

ambizione e sete <strong>di</strong> potere, ira, rancore), presentata, in accordo con la dottrina morale stoica, come manifestazione <strong>di</strong><br />

pazzia in quanto sconvolge l'animo umano e lo travolge irrime<strong>di</strong>abilmente. In questa lotta tra furor e razional<strong>it</strong>à, lo<br />

spazio dato al furor, al versante oscuro, alla malvag<strong>it</strong>à e alla colpa, è senza dubbio prevalente e va ben oltre i<br />

con<strong>di</strong>zionamenti e le esigenze imposti dal genere tragico. L'interesse per la psicologia delle passioni, che può apparire<br />

quasi morboso, sembra talora far <strong>di</strong>menticare al poeta le esigenze filosofico-morali. Inoltre è caratteristica delle trage<strong>di</strong>e<br />

senecane l'accentuazione delle tinte più fosche e cupe, degli aspetti più sinistri, dei particolari più atroci, macabri,<br />

raccapriccianti. In poche parole Seneca enfatizza il pathos e <strong>di</strong>mostra la forza devastante della passione, in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sintegrazione della personal<strong>it</strong>à interiore. I personaggi vengono analizzati in profon<strong>di</strong>tà: <strong>di</strong> essi vengono messi in<br />

risalto i contrasti interiori, le esasperazioni, il furor regni, la morte della ragione, la bestial<strong>it</strong>à umana.<br />

In realtà la visione pessimistica, l'accentuazione degli elementi cupi e la forte intensificazione patetica, appaiono<br />

funzionali a quel valore <strong>di</strong> esemplar<strong>it</strong>à negativa che i personaggi tragici rivestono agli occhi dei filosofo; sono mezzi <strong>di</strong><br />

cui l'autore si serve per raggiungere più efficacemente il suo principale obiettivo, consistente nell'ammaestramento<br />

morale. Del resto il pathos caricato, l'enfasi e il gusto per i particolari orri<strong>di</strong> e raccapriccianti erano già presentì nel<br />

tragici latini arcaici, e trovavano piena corrispondenza nel gusto dei tempi <strong>di</strong> Seneca.<br />

Particolarmente esemplari, nel gusto tragico e macabro che meglio esprime la follia senecana sono Phaedra («Fedra»),<br />

Medea, Thyestes («Tieste»), Troades («Le Troiane»).


Lucio Anneo Seneca<br />

La Passione <strong>di</strong> Fedra<br />

Phaedra, scr<strong>it</strong>ta tra il 50 d.C. e il 62 d.C., <strong>di</strong> Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) riprende la trama dell'Ippol<strong>it</strong>o<br />

euripideo. Fedra, moglie del re d'Atene Teseo, che è momentaneamente lontano dalla propria casa, si innamora<br />

perdutamente del figliastro Ippol<strong>it</strong>o, che però sdegna ogni compagnia femminile ed è de<strong>di</strong>to esclusivamente alla caccia.<br />

Particolarmente importante è sottolineare il momento della "<strong>di</strong>chiarazione" <strong>di</strong> Fedra a Ippol<strong>it</strong>o. Si tratta si<strong>cura</strong>mente <strong>di</strong><br />

una scena culminante, dove la regina, <strong>di</strong>speratamente e colpevolmente innamorata del figliastro, si decide a rivelargli la<br />

sua passione. L'amore incestuoso ha travolto ogni lim<strong>it</strong>e: è il confl<strong>it</strong>to inconciliabile tra ragione e passione, l'insanabile<br />

lacerazione interiore <strong>di</strong> chi è preda del furor e ha perso il controllo <strong>di</strong> sé e delle proprie azioni. Il progressivo<br />

avvicinamento alla "<strong>di</strong>chiarazione" vera e propria è sapientemente preparato attraverso una serie dì passaggi interme<strong>di</strong>:<br />

l) Fedra respinge l'appellativo <strong>di</strong> madre che Ippol<strong>it</strong>o le rivolge;<br />

2) Fedra gli si offre come schiava evocando implic<strong>it</strong>amente il tema del serv<strong>it</strong>ium<br />

amoris;<br />

3) Fedra accenna alla probabile morte <strong>di</strong> Teséo, suo mar<strong>it</strong>o (morte che le permetterebbe<br />

<strong>di</strong> aspirare leg<strong>it</strong>timamente ad un nuovo amore).<br />

Quando il giovane afferma <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>sposto a prendere il posto dei padre, questa<br />

affermazione (dettata dalla pìetas) suona ambigua alle orecchie <strong>di</strong> Fedra e induce<br />

finalmente la regina a rivelare che la sua sofferenza è causata dall'amore. La<br />

confessione è poi ancora r<strong>it</strong>ardata dalla rievocazione della bellezza dì Teseo giovane,<br />

nella cui immagine Fedra proietta e contempla quella del figlio. Una volta comprese le<br />

intenzioni <strong>di</strong> Fedra, Ippol<strong>it</strong>o esprime il suo orrore e la sua violenta in<strong>di</strong>gnazione.<br />

Respinta, Fedra si ven<strong>di</strong>ca accusando ìl giovane <strong>di</strong> aver cercato dì usarle violenza; ma<br />

quando, in segu<strong>it</strong>o alla male<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Teseo che ha creduto alla clunnia, un mostro<br />

marino susc<strong>it</strong>ato dal <strong>di</strong>o del mare causa ad Ippol<strong>it</strong>o un'orribile morte, Fedra, <strong>di</strong>sperata,<br />

confessa la sua colpa e si uccide. Il suici<strong>di</strong>o si presenta come giusta punizione della sua<br />

colpa e offerta sacrificale al morto lppol<strong>it</strong>o, ma anche come unico sollievo<br />

all'invincibile malattia d'amore ed estrema occasione per recuperare l'onore perduto.<br />

Fedra è un'eroina consapevole, che si consegna ad una nobile fine, accettando la<br />

responsabil<strong>it</strong>à dell'adulterio e la propria folle passione.


LA FOLLIA DI FEDRA<br />

É il contrasto tra fedeltà ai principi etici e la forza della passione a consumare Fedra e portarla al delirio. A questo punto<br />

della trage<strong>di</strong>a si trovano i versi riportati.<br />

da Phaedra, Seneca, (50-62 d.C.) vv. 360-386<br />

NUTRIX<br />

[360] Spes nulla tantum posse leniri malum,<br />

finisque flammis nullus insanis er<strong>it</strong>.<br />

Torretur aestu tac<strong>it</strong>o et inclusus quoque,<br />

quamvis tegatur, pro<strong>di</strong>tur vultu furor;<br />

erump<strong>it</strong> oculis ignis et lassae genae<br />

[365] lucem recusant; nil idem dubiae placet,<br />

artusque varie iactat incertus dolor.<br />

Nunc ut soluto lab<strong>it</strong>ur marcens gradu<br />

et vix labante sustinet collo caput,<br />

nunc se quieti red<strong>di</strong>t et, somni immemor,<br />

[370] noctem querelis duc<strong>it</strong>; attolli iubet<br />

<strong>it</strong>erumque poni corpus et solvi comas<br />

rursusque fingi: semper impatiens sui<br />

mutatur hab<strong>it</strong>us. Nulla iam Cereris sub<strong>it</strong><br />

<strong>cura</strong> aut salutis; va<strong>di</strong>t incerto pede,<br />

[375] iam viribus defecta: non idem vigor,<br />

non ora tinguens n<strong>it</strong>ida purpureus rubor;<br />

populatur artus <strong>cura</strong>, iam gressus tremunt,<br />

tenerque n<strong>it</strong>i<strong>di</strong> corporis ceci<strong>di</strong>t decor.<br />

Et qui ferebant signa Phoebeae facis<br />

[380] oculi nihil gentile nec patrium micant.<br />

Lacrimae cadunt per ora et assiduo genae<br />

rore irrigantur, qual<strong>it</strong>er Tauri iugis<br />

tepido madescunt imbre percussae nives.<br />

Sed en, patescunt regiae fastigia:<br />

[385] reclinis ipsa se<strong>di</strong>s auratae toro<br />

sol<strong>it</strong>os amictus mente non sana abnu<strong>it</strong>.<br />

NUTRICE<br />

Non c'è nessuna speranza <strong>di</strong> alleviare un male così e non ci<br />

sarà mai fine per questa follia.<br />

La consuma una fiamma silenziosa, ma, per quanto nascosto,<br />

il suo ardore si tra<strong>di</strong>sce nel volto;<br />

sprizzano scintille dagli occhi, le palpebre rifiutano<br />

la luce; non sa quello che vuole, le sue membra, in preda a un<br />

dolore smanioso, si ag<strong>it</strong>ano in moti incoerenti. Ora si piega<br />

sulle gambe, come in un collasso mortale, e abbandona il capo<br />

ciondolante sul collo; ora torna a riposare, ma ha <strong>di</strong>menticato<br />

il<br />

sonno e trascorre la notte in lamenti: si fa sollevare e poi <strong>di</strong><br />

nuovo coricare, sciogliere i capelli e poi <strong>di</strong> nuovo pettinarli:<br />

insofferente <strong>di</strong> se stessa passa da uno stato d'animo all'altro.<br />

Non le importa più <strong>di</strong> nutrirsi, <strong>di</strong> vivere; cammina con passo<br />

vacillante,<br />

senza più forze; ha perduto il vigore <strong>di</strong> prima e il color<strong>it</strong>o che<br />

le imporporate le guance; la passione devasta le sue membra,<br />

le gambe le tremolano, se n'è andata la tenera bellezza <strong>di</strong><br />

quello splen<strong>di</strong>do corpo. E gli occhi, che avevano il riflesso del<br />

sole,<br />

non hanno più una scintilla <strong>di</strong> quel fuoco ancestrale. Le<br />

lacrime rigano il volto e un pianto continuo irrora le guance,<br />

come le nevi perenni del Tauro si fondono sotto una tiepida<br />

pioggia.<br />

Ma ecco, si spalancano le porte della reggia, è lei:<br />

reclinata sul letto della camera dorata, allontana, in<br />

delirio, le vesti usuali¹.<br />

1. Nei versi successivi Fedra giustifica il proprio desiderio <strong>di</strong> liberarsi geli<br />

ab<strong>it</strong>i con l'intenzione <strong>di</strong> fuggire con la sola tunica a caccia nei boschi, come<br />

Antiope, l'amazzone madre <strong>di</strong> Ippol<strong>it</strong>o.<br />

(trad. A. Traiana, Rizzoli, Milano 1989)


COMMENTO<br />

La descrizione della follia in cui cade Fedra è affidata alla nutrice, che sulla scena narra il delirio della padrona. Le<br />

caratteristiche del furor <strong>di</strong> Fedra sono riconoscibili quasi in ogni verso del testo riportato: il trasparire dell'ag<strong>it</strong>azione<br />

dagli occhi (v.364), la gestual<strong>it</strong>à scomposta (v.366), gli improvvisi mancamenti (v.367), il passo malfermo (v.375), il<br />

color<strong>it</strong>o terreo (vv.376-77), lo sfiorire della bellezza (v.379), lo sguardo spento (v.380-81), sono tipici segnali esteriori<br />

della pazzia, che Seneca riprende dalla tra<strong>di</strong>zione stoica. Insieme a questi, che sono i<br />

sintomi fisici del furor, il testo presenta con precisione anche gli stati d'animo che li<br />

accompagnano: la metafora della fiamma segreta e silenziosa che <strong>di</strong>vora l'animo<br />

(v.362-63), la volontà <strong>di</strong>visa tra desideri opposti e contrad<strong>di</strong>ttori (v.365, 370-72),<br />

l'insofferenza smaniosa (v.372), l'ine<strong>di</strong>a (374), il pianto ininterrotto (v.382)<br />

configurano la tipica descrizione della follia, che si articola attorno all'alternarsi <strong>di</strong><br />

uno stato febbrile, sovrecc<strong>it</strong>ato, smanioso, con un secondo stato catatonico, spento,<br />

inerte. Con questa reazione estrema e auto<strong>di</strong>struttiva, Fedra sfugge da una realtà che<br />

non le dà pace: da un lato la passione d'amore proib<strong>it</strong>a, dall'altro il tentativo <strong>di</strong> tenere<br />

fede ai principi della morale configurano una confl<strong>it</strong>tual<strong>it</strong>à che anticipa quella<br />

freu<strong>di</strong>ana tra Es e Super-Io: la follia che ne consegue è il tentativo impossibile <strong>di</strong><br />

sottrarsi agli imperativi contrad<strong>di</strong>ttori che le due opposte istanze impongono<br />

all'animo.<br />

LA FOLLIA DALLA TRADIZIONE GRECA ALL'OPERA DI SENECA<br />

A <strong>di</strong>fferenza dell'originale greco, la versione <strong>di</strong> Seneca, come già evidenzia il t<strong>it</strong>olo, è incentrata sulla protagonista<br />

femminile che da sub<strong>it</strong>o rivela la propria passione, pronta a morire piuttosto <strong>di</strong> rinunciare al giovane. É una donna<br />

tragicamente umana che segue un proprio istinto naturale, non più un essere determinato dalla volontà degli dei, che,<br />

nella versione <strong>di</strong> Seneca, scompaiono.<br />

La contrapposizione tra umano e <strong>di</strong>vino, che era centrale nel pensiero euripideo, si trasforma, nella poesia del filosofo<br />

latino, in una profonda riflessione sulla lotta tra passione e ragione, fragil<strong>it</strong>à e fierezza, che porta ad una estrema<br />

lacerazione della volontà.<br />

Seneca opera dunque un significativo cambiamento rispetto ai tragici greci: il contrasto non è più esterno al personaggio<br />

(l'uomo contro il fato) ma interno (è il furor contro la mens sana). Il furor viene umanizzato e sconsacrato: è nefas,<br />

dolor, non più ybris.<br />

La trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Seneca esamina a fondo i lati oscuri dell'anima con una profon<strong>di</strong>tà psicologica nuova per il mondo antico.


Ludovico Ariosto<br />

L'Orlando Furioso<br />

Già gli antichi in<strong>di</strong>viduarono nell'amore una delle cause della follia, ist<strong>it</strong>uendo un legame <strong>di</strong> lunga durata, ma per<br />

incontrare una rappresentazione <strong>di</strong> pazzia amorosa bisogna aspettare il Rinascimento. Il tema è centrale nell'Orlando<br />

Furioso (1516, 1521 e 1532), il grande poema cavalleresco <strong>di</strong> Ludovico Ariosto. Il protagonista insegue inutilmente la<br />

bella Angelica e quando scopre che ella ha sposato Medoro, un umile soldato saraceno, perde il senno.<br />

Orlando, scoperta la verItà per lui terribile dell'amore tra Angelica e Medoro, a lungo nega l'evidenza stessa delle cose.<br />

Sono i primi avvertimenti <strong>di</strong> una follia (per il momento ancora lucida) che lo porta a costruire ipotesi fantasiose e<br />

impossibili: Medoro potrebbe essere un soprannome che la ragazza ha dato allo stesso Orlando (ott.104); l'amore tra<br />

Angelica e Medoro potrebbe essere un incantesimo <strong>di</strong> qualche mago che vuole condurre il pala<strong>di</strong>no alla pazzia<br />

(ott.114). Attraverso un patetico autoinganno, viene così rimandata l'esplosione della follia, che porterà il saggio e<br />

nobile pala<strong>di</strong>no a spogliarsi <strong>di</strong> ogni comportamento umano e civile, a perdersi in un abbruttimento animalesco e<br />

selvaggio.<br />

L'amore è dunque, per Ariosto e “a giu<strong>di</strong>zio dei savi universali”, un'“insania”. Le teorie platonizzanti, che vedono<br />

nell'amore un accesso all'armonia del cosmo e al <strong>di</strong>vino, <strong>di</strong>ventano così oggetto <strong>di</strong> estremizzazione e <strong>di</strong> polemica. È<br />

vero che l'amore porta l'uomo fuori <strong>di</strong> sé: ma per ridurlo a una belva furibonda. La follia è, come spesso l'amore, pura<br />

irrazional<strong>it</strong>à; e, ancor più, cancellazione dei tratti umani: Orlando non perde solo il<br />

senno, ma tutto se stesso. Perciò getta via la corazza (cioè la sua ident<strong>it</strong>à sociale),<br />

compie azioni assurde (nel canto XXX lo ve<strong>di</strong>amo ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura attraversare il mare a<br />

nuoto per arrivare in Africa), <strong>di</strong>mentica l'uso della parola, non riconosce più<br />

nessuno, <strong>di</strong>strugge tutto quanto gli cap<strong>it</strong>i a tiro (foreste, case e armamenti).<br />

Spetterà al cavaliere cristiano Astolfo il comp<strong>it</strong>o <strong>di</strong> risolvere il problema della follia<br />

<strong>di</strong> Orlando. Astolfo <strong>di</strong>viene protagonista <strong>di</strong> alcune fantastiche avventure per poi<br />

raggiungere la Luna. Qui trova, tra tante cose perdute sulla Terra, il senno perduto <strong>di</strong><br />

Orlando. Tutto ciò che Astolfo incontrerà sulla Luna serve al poeta per parlare della<br />

con<strong>di</strong>zione degli uomini, dei loro valori, delle loro insopprimibili pazzie. Il viaggio<br />

sulla Luna fa capire quanta follia ci sia nelle vane occupazioni <strong>di</strong> tutti gli uomini e<br />

<strong>di</strong>venta occasione per ironizzare sui vizi, sulle mille manie e stoltezze <strong>di</strong>etro cui<br />

sempre ci affanniamo. Eppure, la follia non ha per Ariosto natura tragica: è oggetto<br />

<strong>di</strong> ironia (e <strong>di</strong> autoironia, giacché il poeta stesso confessa che il suo ingegno è roso<br />

dall'amore). La ragione, in realtà, ne trionfa dominandola, esorcizzandola e<br />

mostrando il suo superiore <strong>di</strong>stacco da essa. Scherzare sulla follia e riconoscerla<br />

ovunque vuol <strong>di</strong>re smorzarla, accettarla, considerarla una parte ineliminabile della<br />

v<strong>it</strong>a e, dunque, della ragione stessa.


Patrick McGrath<br />

Asylum<br />

Asylum by Patrick McGrath, which is considered to be a 1998 bestseller, is a very<br />

intriguing book. The novel is set in and around the confines of a mental asylum,<br />

w<strong>it</strong>h a Gothic sense which permeates throughout the book. The story takes place<br />

in 1959, when the world of mental asylums was one dark uncomfortable secret in<br />

England. In an obscure atmosphere, passionate Stella is the protagonist of a<br />

dramatic plot. The narrator is Peter Cleave, psychiatrist in a criminal clinic nearby<br />

London, who tells the tormented course of events of Stella, wife of the vice<strong>di</strong>rector<br />

of the clinic, and his patient Edgar Stark. Edgar is muscular, sensual and<br />

shameless; Stella is extremely beautiful, anxious, proud, and victim of a wrong<br />

marriage: attraction is inev<strong>it</strong>able. In Stella's garden begins a love story, that has<br />

no fear to challenge the world. But when Edgar escapes the criminal clinic, Stella<br />

starts forgetting about her maternal duties, the strict social conventions, the<br />

prestigious pos<strong>it</strong>ion of her husband, the cr<strong>it</strong>ics of her mother-in-law, and she<br />

follows her beloved in his insane adventure. The love story between Stella and<br />

Edgar is crazy, not only because he's a psychopathic, but because crazy is their<br />

uncontrolled passion, their need to feel alive, their anxious search for a <strong>di</strong>mension<br />

out of their everyday life where they can “find freedom. Freedom!”.<br />

The reader slowly comes to be attracted by Stella, whose personal<strong>it</strong>y has many<br />

<strong>di</strong>fferent and hidden sides, and to her boundless passion that dominates all other needs of her life. This is a character<br />

who can e<strong>it</strong>her be loved or hated, e<strong>it</strong>her be understood and justified or judged and condemned.<br />

“Stella is pale and passionate...a sad and astonished woman, w<strong>it</strong>h her raincoat<br />

half-open and a cigarette in her fingers...she lives in a sort of fog, and people<br />

around her are only dark spectral figures, ghosts lacking real<br />

substance...dressed in black, w<strong>it</strong>h that look of gloomy resignation, lost in the<br />

calculations of her heart...beautiful: thin, letter, anguished.”<br />

Through this complicate character the author seems to point out that <strong>it</strong> is not<br />

possible to make a clear <strong>di</strong>stinction between the “healthy” and the “insane”. He<br />

seems to show that there is a line linking this two con<strong>di</strong>tions, instead of a<br />

contrapos<strong>it</strong>ion: at the beginning Stella is a healthy, normal person and a good<br />

c<strong>it</strong>izen. Events take her to the oppos<strong>it</strong>e side of the line: she ends up being<br />

insane.<br />

In Asylum, passion and madness are strictly connected to art, that plays a role<br />

more and more relevant as the story goes on. Art and madness go together and<br />

they are personified in the character of Edgar Stark, who is both a psychopathic<br />

as well as a sculptor.<br />

“After murdering his wife, Edgar <strong>di</strong>d horrible things w<strong>it</strong>h her head”- McGrath<br />

says - “Here I see a sort of symbiosis between sculptors and psychiatrists: they<br />

both deal w<strong>it</strong>h people's heads. I see art very close to madness.”


Giacomo Leopar<strong>di</strong><br />

Genio e malattia<br />

In queste pagine dello Zibaldone, scr<strong>it</strong>te nel giugno 1821, Leopar<strong>di</strong> riflette sul genio.<br />

L’argomentazione si svolge in due tempi. Prima si spiega come l’eccesso <strong>di</strong> sensibil<strong>it</strong>à intellettuale<br />

possa consumare le forze fisiche e, talora, degenerare nella follia. Poi si esamina il caso in cui il<br />

genio sia conoscenza <strong>di</strong> misteri così profon<strong>di</strong> da schiacciare le facoltà intellettuali.<br />

Tasso è c<strong>it</strong>ato a questo propos<strong>it</strong>o: la sua follia è stata il lim<strong>it</strong>e della sua opera che, se non vi fosse<br />

stata la malattia, avrebbe potuto essere ancora più grande.<br />

Da G. Leopar<strong>di</strong>, Tutte le opere, a <strong>cura</strong> <strong>di</strong> W. Binni ed E. Ghidetti, Sansoni, Firenze 1969<br />

Ho detto altrove che il troppo, spesse volte è padre del nulla. Osserviamolo ora nel genio e nelle facoltà della mente.<br />

Certi ingegni straor<strong>di</strong>narissimi che la natura alcune volte ha prodotti quasi per miracolo, sono stati o del tutto o quasi<br />

inutili, appunto a cagione della soverchia forza o del loro intelletto o della loro immaginazione, che finiva nel non<br />

potersi risolvere in nulla, né dare alcun frutto determinato.<br />

1. Questi tali geni sommi hanno consumato rapidamente il loro corpo e le stesse loro facoltà mentali, lo stesso genio.<br />

La soverchia delicatezza de’ loro organi li rende e più facili a consumarsi, e più facili a guastarsi, rimanendo inferiori<br />

<strong>di</strong> facoltà agli organi i meno delicati, e i più imperfetti. Testimonio Pascal, morto <strong>di</strong> 39 [1177] anni, ed era già soggetto<br />

a una specie <strong>di</strong> pazzia. Testimonio Ermogene che forse fu uomo insigne e straor<strong>di</strong>nario, sebbene il suo secolo non gli<br />

permettesse <strong>di</strong> parer tale anche a noi, durante quel poco <strong>di</strong> tempo che gli durò l’uso delle sue facoltà mentali.<br />

Testimonio quel Genetlio <strong>di</strong> cui parla Esichio Milesio e Suida, il quale non era che un portento <strong>di</strong> memoria; ma quello<br />

ch’io <strong>di</strong>co dell’intelletto o della fantasia, <strong>di</strong>co pure della memoria, e si sono spesso veduti uomini che erano portenti <strong>di</strong><br />

memoria da giovani, <strong>di</strong>venir maraviglie <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticanza da vecchi, o ancor prima. V. il Cancellieri, Degli uomini <strong>di</strong><br />

gran memoria ecc. S’io volessi qui noverare gli uomini insigni che hanno sofferto dal lato del loro fisico, non per altro<br />

che a cagione del loro troppo ingegno; e le morti immature che paiono essere inev<strong>it</strong>abili agli uomini <strong>di</strong> genio<br />

straor<strong>di</strong>nariamente prematuro, e prematuramente sviluppato e coltivato, non finirei mai. V. in propos<strong>it</strong>o del Chatterton<br />

famoso poeta morto <strong>di</strong> 19 anni, lo Spettatore <strong>di</strong> Milano, Quaderno 68. p.276. Parte straniera.<br />

2. Questi geni straor<strong>di</strong>nari, penetrano in certi [1178] misteri, in certe parti della natura così riposte; scuoprono e<br />

vedono tante cose, che la stessa copia e profon<strong>di</strong>tà delle loro concezioni, ne impe<strong>di</strong>sce la chiarezza tanto riguardo a<br />

essi stessi, quanto al comunicarle altrui; ne impe<strong>di</strong>sce l’or<strong>di</strong>ne, insomma vince le loro stesse facoltà, e non è capace, a<br />

cagione dell’eccesso, <strong>di</strong> essere determinata, circoscr<strong>it</strong>ta, e ridotta a frutto. La forza della loro mente soverchia la<br />

capac<strong>it</strong>à della stessa mente, perchè insomma la natura, e la copia delle ver<strong>it</strong>à esistenti è molto maggiore della capac<strong>it</strong>à<br />

e delle facoltà dell’uomo. E il troppo vedere, il troppo concepire, rende questi tali ingegni, sterili e infruttuosi; e se<br />

scrivono, i loro scr<strong>it</strong>ti o sono <strong>di</strong> poco conto, ed anche ari<strong>di</strong> espressamente e poveri (come quelli <strong>di</strong> Ermogene); o certo<br />

minori assai del loro ingegno. Come quegli animali inetti alla generazione per l’eccesso della forza generativa (i muli).<br />

E la stupi<strong>di</strong>tà della v<strong>it</strong>a è or<strong>di</strong>nariamente il carattere <strong>di</strong> tali persone, o mentre ancora son giovani, o da vecchi, come<br />

narrano che fosse detto a Pico Mirandolano. Quello che <strong>di</strong>co dell’intelletto e della filosofia, <strong>di</strong>co pure della<br />

immaginazione e delle arti che ne derivano. Esempio del Tasso, della sua pazzia, dell’essere i suoi [1179]<br />

componimenti, quantunque bellissimi, certo inferiori alla sua facoltà, ed a quegli stessi degli altri tre sommi <strong>it</strong>aliani, a<br />

niuno de’ quali egli fu realmente minore. E lo stesso <strong>di</strong>co ezian<strong>di</strong>o <strong>di</strong> qualunque altra facoltà e <strong>di</strong>sciplina particolare.<br />

(17 Giugno 1821)


INTERPRETAZIONE<br />

Leopar<strong>di</strong> unisce categorie <strong>di</strong> origine <strong>di</strong>versa. Il nesso fra potenza intellettuale e malattia<br />

fisica testimonia del suo materialismo, derivato dalla cultura illuministica. Egli infatti cerca<br />

una traduzione organica dei fatti spir<strong>it</strong>uali: tuttavia, riconosce il primato proprio a questi<br />

ultimi (mentre il pos<strong>it</strong>ivismo farà il contrario). Il collegamento fra genio, follia ed eccesso è<br />

invece romantico (come può testimoniare anche il ricordo della morte del giovanissimo<br />

poeta inglese Chatterton). La pazzia è qui considerata la forma estrema e al tempo stesso il<br />

lim<strong>it</strong>e della grandezza d’animo. Tuttavia la degenerazione nella pazzia non può essere<br />

giu<strong>di</strong>cata in termini morali: Tasso non è un uomo incapace <strong>di</strong> dominarsi, ma uno che<br />

soccombe alla sua stessa natura e alla percezione <strong>di</strong> una ver<strong>it</strong>à troppo profonda per essere<br />

sostenuta. Non per questo Leopar<strong>di</strong> accetta l’idea del genio e della follia come illuminazione<br />

religiosa: al contrario, egli riporta tutto alla realtà della natura (nel doppio senso <strong>di</strong> total<strong>it</strong>à<br />

delle cose e <strong>di</strong> indole personale).<br />

La pazzia resta così una malattia.


THE TALE AND THE TEXT:<br />

Edgar Allan Poe<br />

La follia come terrore<br />

The narrator of “The fall of the house of Usher”, by Edgar Allan Poe, pays a vis<strong>it</strong> to his<br />

friend Roderick Usher. He finds him pale, upset, worn out by a form of madness<br />

expressed as in<strong>cura</strong>ble terror. He lives w<strong>it</strong>h his sister Madeline in the old and sinister<br />

family house. The lady, who suffers from a mysterious illness, is doomed to a premature<br />

death.<br />

from Edgar Allan Poe, "The Fall of the House of Usher", The Works of the Late Edgar Allan Poe, 1850<br />

In the manner of my friend I was at once struck w<strong>it</strong>h an incoherence — an inconsistency; and I soon found this to arise<br />

from a series of feeble and futile struggles to overcome an hab<strong>it</strong>ual trepidancy — an excessive nervous ag<strong>it</strong>ation. For<br />

something of this nature I had indeed been prepared, no less by his letter, than by reminiscences of certain boyish<br />

tra<strong>it</strong>s, and by conclusions deduced from his peculiar physical conformation and temperament. His action was<br />

alternately vivacious and sullen. His voice varied rapidly from a tremulous indecision (when the animal spir<strong>it</strong>s seemed<br />

utterly in abeyance) to that species of energetic concision — that abrupt, weighty, unhurried, and hollow-soun<strong>di</strong>ng<br />

enunciation — that leaden, self-balanced and perfectly modulated guttural utterance, which may be observed in the<br />

lost drunkard, or the irreclaimable eater of opium, during the periods of his most intense exc<strong>it</strong>ement.<br />

It was thus that he spoke of the object of my vis<strong>it</strong>, of his earnest desire to see me, and of the solace he expected me<br />

to afford him. He entered, at some length, into what he conceived to be the nature of his malady. It was, he said, a<br />

const<strong>it</strong>utional and a family evil, and one for which he despaired to find a remedy — a mere nervous affection, he<br />

imme<strong>di</strong>ately added, which would undoubtedly soon pass off. It <strong>di</strong>splayed <strong>it</strong>self in a host of unnatural sensations. Some<br />

of these, as he detailed them, interested and bewildered me; although, perhaps, the terms, and the general manner of<br />

the narration had their weight. He suffered much from a morbid acuteness of the senses; the most insipid food was<br />

alone endurable; he could wear only garments of certain texture; the odors of all flowers were oppressive; his eyes<br />

were tortured by even a faint light; and there were but peculiar sounds, and these from stringed instruments, which<br />

<strong>di</strong>d not inspire him w<strong>it</strong>h horror.<br />

To an anomalous species of terror I found him a bounden slave. "I shall perish," said he, "I must perish in this<br />

deplorable folly. Thus, thus, and not otherwise, shall I be lost. I dread the events of the future, not in themselves, but in<br />

their results. I shudder at the thought of any, even the most trivial, incident, which may operate upon this intolerable<br />

ag<strong>it</strong>ation of soul. I have, indeed, no abhorrence of danger, except in <strong>it</strong>s absolute effect — in terror. In this unnerved —<br />

in this p<strong>it</strong>iable con<strong>di</strong>tion — I feel that the period will sooner or later arrive when I must abandon life and reason<br />

together, in some struggle w<strong>it</strong>h the grim phantasm, FEAR."<br />

I learned, moreover, at intervals, and through broken and equivocal hints, another singular feature of his mental


con<strong>di</strong>tion. He was enchained by certain superst<strong>it</strong>ious impressions in regard to the dwelling which he tenanted, and<br />

whence, for many years, he had never ventured forth — in regard to an influence whose suppos<strong>it</strong><strong>it</strong>ious force was<br />

conveyed in terms too shadowy here to be re-stated — an influence which some peculiar<strong>it</strong>ies in the mere form and<br />

substance of his family mansion, had, by <strong>di</strong>nt of long sufferance, he said, obtained over his spir<strong>it</strong> — an effect which<br />

the physique of the gray walls and turrets, and of the <strong>di</strong>m tarn into which they all looked down, had, at length, brought<br />

about upon the morale of his existence.<br />

He adm<strong>it</strong>ted, however, although w<strong>it</strong>h hes<strong>it</strong>ation, that much of the peculiar gloom which thus afflicted him could be<br />

traced to a more natural and far more palpable origin — to the severe and long-continued illness — indeed to the<br />

evidently approaching <strong>di</strong>ssolution — of a tenderly beloved sister — his sole companion for long years — his last and<br />

only relative on earth. "Her decease," he said, w<strong>it</strong>h a b<strong>it</strong>terness which I can never forget, "would leave him (him the<br />

hopeless and the frail) the last of the ancient race of the Ushers." While he spoke, the lady Madeline (for so was she<br />

called) passed slowly through a remote portion of the apartment, and, w<strong>it</strong>hout having noticed my presence,<br />

<strong>di</strong>sappeared. I regarded her w<strong>it</strong>h an utter astonishment not unmingled w<strong>it</strong>h dread — and yet I found <strong>it</strong> impossible to<br />

account for such feelings. A sensation of stupor oppressed me, as my eyes followed her retreating steps. When a door,<br />

at length, closed upon her, my glance sought instinctively and eagerly the countenance of the brother — but he had<br />

buried his face in his hands, and I could only perceive that a far more than or<strong>di</strong>nary wanness had overspread the<br />

emaciated fingers through which trickled many passionate tears.<br />

The <strong>di</strong>sease of the lady Madeline had long baffled the skill of her<br />

physicians. A settled apathy, a gradual wasting away of the person, and<br />

frequent although transient affections of a partially cataleptical character,<br />

were the unusual <strong>di</strong>agnosis. H<strong>it</strong>herto she had stea<strong>di</strong>ly borne up against the<br />

pressure of her malady, and had not betaken herself finally to bed; but, on<br />

the closing in of the evening of my arrival at the house, she succumbed (as<br />

her brother told me at night w<strong>it</strong>h inexpressible ag<strong>it</strong>ation) to the prostrating<br />

power of the destroyer; and I learned that the glimpse I had obtained of her<br />

person would thus probably be the last I should obtain — that the lady, at<br />

least while living, would be seen by me no more.<br />

For several days ensuing, her name was unmentioned by e<strong>it</strong>her Usher or myself: and during this period I was<br />

busied in earnest endeavors to alleviate the melancholy of my friend. We painted and read together; or I listened, as if<br />

in a dream, to the wild improvisations of his speaking gu<strong>it</strong>ar. And thus, as a closer and still closer intimacy adm<strong>it</strong>ted<br />

me more unreservedly into the recesses of his spir<strong>it</strong>, the more b<strong>it</strong>terly <strong>di</strong>d I perceive the futil<strong>it</strong>y of all attempt at<br />

cheering a mind from which darkness, as if an inherent pos<strong>it</strong>ive qual<strong>it</strong>y, poured forth upon all objects of the moral and<br />

physical universe, in one unceasing ra<strong>di</strong>ation of gloom.<br />

I shall ever bear about me a memory of the many solemn hours I thus spent alone w<strong>it</strong>h the master of the House of<br />

Usher. Yet I should fail in any attempt to convey an idea of the exact character of the stu<strong>di</strong>es, or of the occupations, in<br />

which he involved me, or led me the way. An exc<strong>it</strong>ed and highly <strong>di</strong>stempered ideal<strong>it</strong>y threw a sulphureous lustre over<br />

all. His long improvised <strong>di</strong>rges will ring forever in my ears. Among other things, I hold painfully in mind a certain<br />

singular perversion and amplification of the wild air of the last waltz of Von Weber. From the paintings over which<br />

his elaborate fancy brooded, and which grew, touch by touch, into vaguenesses at which I shuddered the more<br />

thrillingly, because I shuddered knowing not why; — from these paintings (vivid as their images now are before me) I<br />

would in vain endeavor to educe more than a small portion which should lie w<strong>it</strong>hin the compass of merely wr<strong>it</strong>ten<br />

words. By the utter simplic<strong>it</strong>y, by the nakedness of his designs, he arrested and overawed attention. If ever mortal<br />

painted an idea, that mortal was Roderick Usher. For me at least — in the circumstances then surroun<strong>di</strong>ng me — there<br />

arose out of the pure abstractions which the hypochondriac contrived to throw upon his canvass, an intens<strong>it</strong>y of<br />

intolerable awe, no shadow of which felt I ever yet in the contemplation of the certainly glowing yet too concrete<br />

reveries of Fussli.<br />

One of the phantasmagoric conceptions of my friend, partaking not so rigidly of the spir<strong>it</strong> of abstraction, may be<br />

shadowed forth, although feebly, in words. A small picture presented the interior of an immensely long and<br />

rectangular vault or tunnel, w<strong>it</strong>h low walls, smooth, wh<strong>it</strong>e, and w<strong>it</strong>hout interruption or device. Certain accessory points<br />

of the design served well to convey the idea that this excavation lay at an excee<strong>di</strong>ng depth below the surface of the<br />

earth. No outlet was observed in any portion of <strong>it</strong>s vast extent, and no torch, or other artificial source of light was<br />

<strong>di</strong>scernible; yet a flood of intense rays rolled throughout, and bathed the whole in a ghastly and inappropriate<br />

splendor.


INTERPRETATION<br />

There are several elements that define Roderick and Madeline's madness.<br />

First of all, <strong>it</strong> is revealed by their physical look; then, their mental <strong>di</strong>sease is<br />

here<strong>di</strong>tary. However, Poe doesn't consider <strong>it</strong> as a simply physical fact: the<br />

body expresses a <strong>di</strong>sease that comes form the mind, and the tie of blood<br />

expresses a tragic family destiny. Madness can ne<strong>it</strong>her be extinguished nor<br />

be understood by me<strong>di</strong>cal science: on the contrary, <strong>it</strong> makes fun of <strong>it</strong>. It<br />

entirely belongs to the spir<strong>it</strong>ual field and <strong>it</strong> shows the supremacy of the spir<strong>it</strong><br />

on the body: so <strong>it</strong> is a sort of spell that mysteriously falls on things. Among<br />

<strong>it</strong>s manifestations, there is artistic creativ<strong>it</strong>y. In Roderick's paintings, poems<br />

and in the way he plays music, there is something wild and <strong>di</strong>sturbing, that is<br />

hard or even impossible to rationalize. This way, madness shows <strong>it</strong>s<br />

privileged connection w<strong>it</strong>h the fantastic world, together w<strong>it</strong>h the secret forces of psyche. W<strong>it</strong>h <strong>it</strong>s visionary power,<br />

inspired by a terror that lacks a specific object, <strong>it</strong> produces more terror: <strong>it</strong> becomes not only the oppos<strong>it</strong>e of rational<strong>it</strong>y,<br />

but also the revelation of what is behind <strong>it</strong>, that cannot be understood.


Johan Heinrich Füssli<br />

Follia, incubo e terrore nell'opera <strong>di</strong> Füssli<br />

Nato a Zurigo ma vissuto quasi sempre in Inghilterra a partire dal 1764, Johann Heinrich Füssli (1741-1825) è un<br />

p<strong>it</strong>tore stravagante: auto<strong>di</strong>datta vicino al classicismo nelle sue posizioni teoriche, egli sviluppa uno stile fortemente<br />

anticlassico e manierista. La maggior parte della sua attiv<strong>it</strong>à consiste nell'illustrazione <strong>di</strong> soggetti letterari, tratti sia dai<br />

classici greco-latini, sia dalle letterature me<strong>di</strong>oevali, sia da Shakespeare e da Milton. Una spiccata pre<strong>di</strong>lezione va a<br />

temi fantastici, grotteschi o sensuali, con una decisa insistenza sull'aspetto perturbante. Perciò follia, incubo e terrore<br />

hanno uno spazio decisivo nella sua opera.<br />

FÜSSLI, L'incubo<br />

Johan Heinrich Füssli, L'incubo, 1781. Detro<strong>it</strong>, Inst<strong>it</strong>ute of Arts.<br />

È una delle tele più famose del p<strong>it</strong>tore svizzero, compiuta nel 1781 e replicata in varie occasioni sino agli anni Venti<br />

dell'Ottocento. La giovane addormentata e riversa sul letto è in una posa non priva <strong>di</strong> sensual<strong>it</strong>à (in altre versioni del<br />

quadro, il seno è nudo e provocante): la contrad<strong>di</strong>stinguono insieme eleganza e scompostezza, abbandono e<br />

raffinatezza. Sul petto sta seduto un coboldo, cioè uno spir<strong>it</strong>o simile a un elfo che, secondo la m<strong>it</strong>ologia germanica,<br />

ab<strong>it</strong>a presso il focolare domestico: egli rappresenta, con le sue forme ripugnanti e oscene, l'incubo stesso. Dall'oscur<strong>it</strong>à<br />

emerge la testa <strong>di</strong> una grottesca cavalla: si tratta della “nightmare” su cui, nella tra<strong>di</strong>zione popolare inglese, viaggiano<br />

gli incubi <strong>di</strong> notte. Come in una crisi allucinatoria, l'incubo materializza in forme concrete e nemiche le ossessioni che<br />

la ragione <strong>di</strong>urna nasconde. Füssli connette qui quattro elementi: le forze profonde della natura umana, richiamate dal<br />

sogno e dalla sessual<strong>it</strong>à (cui alludono in mo<strong>di</strong> opposti sia il fascino femminile, sia l'oscen<strong>it</strong>à delle apparizioni); il<br />

perturbante, cioè la forma orribile che quelle forze assumono; il fantastico, con il richiamo alla m<strong>it</strong>ologia e alle<br />

leggende popolari; il sonno della ragione, che accomuna sogno e follia.


FÜSSLI, La follia <strong>di</strong> Kate<br />

Johan Heinrich Füssli, La follia <strong>di</strong> Kate, 1806-07, olio su tela; 92 x 72,3 Francoforte, Goethe-Museum<br />

Il quadro risale al 1806-1807 e fa parte <strong>di</strong> un ciclo de<strong>di</strong>cato ai Poems (1806) <strong>di</strong> William Cowper, un poeta inglese<br />

contemporaneo <strong>di</strong> Füssli soggetto a crisi depressive e ossessioni religiose.<br />

Kate è una fanciulla impazz<strong>it</strong>a per il mancato r<strong>it</strong>orno dell'amato da un viaggio in mare: lo sfondo, infatti, abbozza una<br />

livida scena <strong>di</strong> tempesta, in una piena consonanza fra stato d'animo e paesaggio. Singolari sono elementi come la<br />

rigi<strong>di</strong>tà atton<strong>it</strong>a della posa, in contrasto con i capelli scomposti e le vesti ag<strong>it</strong>ate dal vento, e lo sguardo fisso come<br />

centro espressivo della composizione. Gli occhi, più che spavento o stor<strong>di</strong>mento, sembrano trasmettere dolore. Anche il<br />

gesto, seppure quasi interrotto ed es<strong>it</strong>ante, allude al mare, cioè alla causa reale dell'impazzimento. Non c'è quin<strong>di</strong> solo il<br />

mondo interiore a spiegare la follia, ma anche quello esterno. Siamo, più che nell'amb<strong>it</strong>o della follia come fantastico o<br />

perturbante, in quello della follia come eccesso passionale. Non a caso la figura acquista una sua <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à. Il modello<br />

compos<strong>it</strong>ivo è infatti la Sibilla Delfica della Cappella Sistina <strong>di</strong> Michelangelo, che Füssli aveva potuto ammirare in un<br />

suo viaggio a Roma già nel 1770. La scelta <strong>di</strong> una Sibilla non è un fatto solo formale: si tratta, infatti, <strong>di</strong> una profetessa<br />

ispirata da Dio, dunque <strong>di</strong> una figura femminile in contatto con le più profonde ver<strong>it</strong>à dello spir<strong>it</strong>o. Ispirazione ed<br />

eccesso connotano la pazzia come esperienza straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> fronte alla realtà.


Pirandello e la follia<br />

In Italia, è con Luigi Pirandello che ci avviciniamo al clima della avanguar<strong>di</strong>e e, in particolare, all'espressionismo. Nella<br />

sua opera la follia acquista un ruolo preminente, ancor più <strong>di</strong> quanto accada con altri gran<strong>di</strong> artisti sperimentali suoi<br />

contemporanei. La riflessione dello scr<strong>it</strong>tore su questo tema è sollec<strong>it</strong>ata anche da dall'esperienza biografica: a partire<br />

dal 1903, infatti, la moglie Antonietta ha i primi sintomi <strong>di</strong> squilibrio che la faranno internare, nel 1919, in una casa <strong>di</strong><br />

<strong>cura</strong>. Tuttavia, l'interesse <strong>di</strong> Pirandello per la follia trascende ampiamente questa occasione: si lega infatti ai suoi temi<br />

centrali (la ver<strong>it</strong>à, il relativismo, l'ident<strong>it</strong>à) e al genere in cui il suo sperimentalismo dà i risultati più intensi: il teatro.<br />

Per Pirandello la follia non ha un solo significato. In primo luogo, ricollegandosi al romanticismo, essa può apparire<br />

come <strong>di</strong>mensione autentica <strong>di</strong> fronte all'inautentic<strong>it</strong>à delle convenzioni. Il folle capovolge i valori consueti: egli fa<br />

apparire malato ciò che viene <strong>di</strong>chiarato sano, e viceversa. Accade così nella novella Il treno ha fischiato (1914):<br />

l'impiegato Belluca, sottoposto alle angherie dei compagni d'ufficio, considerato da tutti un “vecchio somaro” e poco<br />

più che un “casellario ambulante”, cerca nella pazzia un'evasione e un rifugio, smascherando la meschin<strong>it</strong>à e grettezza<br />

<strong>di</strong> coloro che lo circondano. La follia <strong>di</strong>venta così una contestazione contro la società e il mondo dei normali. A<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto accadeva nell'età romantica, essa non si accontenta <strong>di</strong> affermare i suoi valori, ma si oppone<br />

polemicamente ai falsi valori, anche se no può vincerli e rinuncia, chiudendosi in se stessa, a cambiare il mondo.<br />

Già in questa prima accezione, la follia rivela <strong>di</strong> avere, in Pirandello, un significato anz<strong>it</strong>utto metaforico. Questo aspetto<br />

è rifer<strong>it</strong>o al secondo significato che essa acquista: quello <strong>di</strong> mettere in dubbio, sino a <strong>di</strong>ssolvere, la nozione <strong>di</strong> ver<strong>it</strong>à. È<br />

questo il tema <strong>di</strong> Così è (se vi pare), parabola in tre atti del 1919. In una piccola c<strong>it</strong>tà, giungono il signor Ponza, sua<br />

moglie e sua suocera, la signora Frola. Ma perché le due donne non possono avere rapporti <strong>di</strong>retti? Perché, sostiene il<br />

signor Ponza, la signora Frola è pazza, non ha accettato la morte della figlia, prima moglie <strong>di</strong> Ponza, e ora si ostina a<br />

credere che la sua seconda moglie sia appunto la figlia. Oppure perché, sostiene la signora Frola, il signor Ponza, in<br />

segu<strong>it</strong>o a una crisi <strong>di</strong> follia, non ha più riconosciuto la moglie, figlia <strong>di</strong> lei, e per riprenderla con sé l'ha sposata una<br />

seconda volta, credendo che si trattasse <strong>di</strong> un'altra donna. Qual'è la ver<strong>it</strong>à? La giovane donna, chiamata a chiarire la<br />

s<strong>it</strong>uazione, <strong>di</strong>chiara: “io sono, sì, la figlia della signora Frola e la seconda moglie del signor Ponza... e per me nessuna!<br />

nessuna! Per me, io sono colei che mi si crede”. Alla fine del dramma riesce del tutto impossibile stabilire chi sia folle,<br />

se la signora Frola o il signor Ponza: ma quel che è certo è che la follia ha sconvolto la percezione della realtà dei<br />

curiosi e degli spettatori. Alla fine è la ver<strong>it</strong>à stessa, <strong>di</strong> cui la signora Ponza è un “simbolo” (Pirandello), a essere<br />

inconoscibile. La follia rivela così un terribile potere <strong>di</strong>struttivo. In Il treno ha fischiato c'era comunque una<br />

consolazione, anche se del tutto privata; ora, invece, non c'è più spazio <strong>di</strong> fuga. La follia <strong>di</strong>venta l'unica ver<strong>it</strong>à: cioè, che<br />

non esiste alcuna ver<strong>it</strong>à.<br />

Questo paradosso ha in sé un grande potenziale tragico: lo sviluppa l'Enrico IV, il dramma del 1922. Caduto da cavallo<br />

durante una festa in maschera in cui vestiva i panni <strong>di</strong> Enrico IV <strong>di</strong> Germania, il protagonista è impazz<strong>it</strong>o credendosi<br />

davvero l'imperatore. R<strong>it</strong>ornato in sé, mantiene la finzione. Ora, dopo anni, giungono a trovarlo nel suo castello<br />

Matilde, che egli aveva amato senza essere corrisposto; T<strong>it</strong>o Belcre<strong>di</strong>, suo rivale e attuale amante <strong>di</strong> Matilde; Frida, che<br />

assomiglia straor<strong>di</strong>nariamente a sua madre Matilde da giovane. Enrico non sopporta <strong>di</strong> essere stato escluso dalla v<strong>it</strong>a<br />

reale, rimpiange la giovinezza perduta e sa che la sua caduta da cavallo fu causata da Belcre<strong>di</strong>. È ancora innamorato:<br />

non della Matilde attuale, ormai invecchiata, bensì <strong>di</strong> Frida, che per lui è come la Matilde <strong>di</strong> un tempo. Si avventa sulla<br />

giovane, rivelando <strong>di</strong> aver simulato; Belcre<strong>di</strong> tenta <strong>di</strong> fermarlo, ed egli lo ferisce a morte. D'ora in poi non gli resterà<br />

che r<strong>it</strong>ornare a essere per sempre l'imperatore Enrico IV.<br />

La follia <strong>di</strong> Enrico IV è anche una follia rec<strong>it</strong>ata. Essa pone perciò un problema: esiste un legame fra teatro e pazzia? A


teatro la pazzia acquista un significato particolare? Perché? Anz<strong>it</strong>utto, nelle opere drammaturgiche non esiste un autore<br />

che, come in narrativa, coor<strong>di</strong>ni e commenti dall'alto stabilendo una ver<strong>it</strong>à univoca. Gli atti e <strong>di</strong>scorsi del folle sono<br />

dunque oggetto <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio al pari <strong>di</strong> tutti gli altri. Perciò in Così è (se vi pare) non si può stabilire chi sia pazzo, se la<br />

signora Frola o il signor Ponza; e nell'Enrico IV sino a che punto il protagonista si malato o guar<strong>it</strong>o. In questo modo, la<br />

nozione <strong>di</strong> ver<strong>it</strong>à viene decostru<strong>it</strong>a; e in secondo luogo la follia non viene neutralizzata da sub<strong>it</strong>o come un <strong>di</strong>scorso che,<br />

in quanto pronunciato da un folle, non val la pena <strong>di</strong> prendere in considerazione.<br />

In secondo luogo, pazzo e attore possono essere accostati. Il pazzo è, in un certo senso, uno che rec<strong>it</strong>a, poiché si<br />

rappresenta si rappresenta come qualcuno che non è. Chi si crede Napoleone, o il papa, o qualsiasi altro personaggio<br />

illustre ne assume gli atteggiamenti, trasformando la propria v<strong>it</strong>a in una rec<strong>it</strong>a e rinunciando alla propria ident<strong>it</strong>à per<br />

assumerne un'altra.<br />

È appunto quanto accade nell'Enrico IV. In questo dramma la follia non mette più solo in questione la ver<strong>it</strong>à, come<br />

accadeva nel Cosi è (se vi pare), ma l'ident<strong>it</strong>à personale. Questa si <strong>di</strong>sgrega e viene sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a da una maschera: l'uomo<br />

reale scompare (nell'elenco dei personaggi, al posto del suo nome compaiono dei puntini <strong>di</strong> sospensione) e resta solo il<br />

travestimento assunto nella festa <strong>di</strong> carnevale. Il folle è dunque uno che, per esistere, ha preso un'ident<strong>it</strong>à <strong>di</strong>versa dalla<br />

propria, ma non meno convenzionale <strong>di</strong> tutte le altre. A <strong>di</strong>fferenza del Così è (se vi pare), dove la pazzia è parte <strong>di</strong> un<br />

meccanismo filosofico astratto, nell'Enrico IV essa si riempe però <strong>di</strong> contenuti emotivi e psicologici. La follia è una<br />

fuga dallo scorrere del tempo e, dunque, dalla v<strong>it</strong>a: una forma <strong>di</strong>sperata <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa contro il flusso dell'esistenza e della<br />

morte. Dapprima è l'impazzimento che allontana Enrico dagli altri; poi è Enrico stesso a scegliere <strong>di</strong> fissarsi nella<br />

maschera dell'imperatore eternamente ventiseienne, imbellettandosi e nascondendo maldestramente i capelli ormai<br />

grigi:<br />

“Me n'accorsi in un giorno solo, tutt'a un tratto; riaprendo gli occhi, e fu uno spavento, perché capii sub<strong>it</strong>o che non<br />

solo i capelli, ma che doveva esser <strong>di</strong>ventato grigio tutto così, e tutto crollato, tutto fin<strong>it</strong>o: e che sarei arrivato con una<br />

fame da lupo a un banchetto già bell'e sparecchiato”.<br />

La fuga è dunque inutile, ma senza vie d'usc<strong>it</strong>a. Grazie a questa consapevolezza, il personaggio pirandelliano acquista<br />

una nuova pienezza umana e una statura tragica più piena; mentre la follia <strong>di</strong>venta un'esperienza ra<strong>di</strong>cale della v<strong>it</strong>a,<br />

giacché ne scuote i fondamenti: il senso dell'ident<strong>it</strong>à e del tempo.


L'OPERA E IL TESTO<br />

Luigi Pirandello<br />

Conviene a tutti tener rinchiusi i pazzi<br />

Siamo nel secondo atto dell' Enrico IV <strong>di</strong> Pirandello. Congedati donna Matilde e il me<strong>di</strong>co,<br />

travest<strong>it</strong>o da Pier Damiani, che vorrebbero farlo rinsavire, il protagonista esplode nella sua<br />

rabbia. Rivela così <strong>di</strong> aver simulato per anni la sua follia. Assistono con lui alla scena i quattro<br />

giovani incaricati <strong>di</strong> fingersi con lui i consiglieri segreti dell'imperatore: Landolfo, Arialdo,<br />

Ordulfo e l'ultimo arrivato, Bertoldo (i cui nomi reali sono Lolo, Franco, Momo, Fino). La loro<br />

reazione oscilla tra stupore e spavento: Enrico aggre<strong>di</strong>sce infatti le loro facili certezze sul senso<br />

della realtà. I pazzi, egli argomenta, <strong>di</strong>cono cose tanto scomode e in modo tanto inquietante, che<br />

è meglio tenerli rinchiusi. Ma a far davvero impazzire è la consapevolezza che non esiste<br />

nessuna ver<strong>it</strong>à e che non è mai possibile conoscere gli altri.<br />

da L.Pirandello, Enrico IV, E<strong>di</strong>zioni Il Cap<strong>it</strong>ello, Torino, 2000<br />

Enrico IV Buffoni! Buffoni! Buffoni! - Un pianoforte <strong>di</strong> colori! Appena la toccavo: bianca, rossa, gialla, verde...E<br />

quell'altro là: Pietro Damiani. - Ah! Ah! Perfetto! Azzeccato! - S'è spaventato <strong>di</strong> ricomparirmi davanti!<br />

Dirà questo con gaja prorompente frenesia, movendo <strong>di</strong> qua, <strong>di</strong> là i passi, gli occhi, finché all'improvviso non vede<br />

Bertoldo, più che sbalor<strong>di</strong>to, impaur<strong>it</strong>o del repentino cambiamento. Gli si arresta davanti e ad<strong>di</strong>tandolo ai tre<br />

compagni anch'essi come smarr<strong>it</strong>i nello sbalor<strong>di</strong>mento: Ma guardatemi quest'imbecille qua, ora, che sta a mirarmi a<br />

bocca aperta...<br />

Lo scrolla per le spalle. Non capisci? Non ve<strong>di</strong> come li paro, come li concio, come me li faccio comparire davanti,<br />

buffoni spaventati! E si spaventano solo <strong>di</strong> questo, oh: che stracci loro addosso la maschera buffa e li scopra travest<strong>it</strong>i;<br />

come se non li avessi costretti io stesso a mascherarsi, per questo mio gusto qua, <strong>di</strong> fare il pazzo!<br />

Landolfo Arialdo Ordulfo (sconvolti, trasecolati, guardandosi tra loro). Come! Che <strong>di</strong>ce? Ma dunque?<br />

Enrico IV (si volta sub<strong>it</strong>o alle loro esclamazioni e grida, imperioso): Basta! Finiamola! Mi sono seccato!<br />

Poi sub<strong>it</strong>o, come se, a ripensarci, non se ne possa dar pace, e non sappia crederci: Per<strong>di</strong>o, l'impudenza <strong>di</strong><br />

presentarsi qua, a me, ora col suo ganzo accanto... - E avevano l'aria <strong>di</strong> prestarsi per compassione, per non fare<br />

infuriare un poverino già fuori del mondo, fuori del tempo, fuori della v<strong>it</strong>a! - Eh, altrimenti quello là, ma figuratevi se<br />

l'avrebbe sub<strong>it</strong>a una simile sopraffazione! - Loro sì, tutti i giorni, ogni momento, pretendono che gli altri siano come li<br />

vogliono loro; ma non è mica una sopraffazione, questa! - Che! Che! - È il loro modo <strong>di</strong> pensare, il loro modo <strong>di</strong><br />

vedere, <strong>di</strong> sentire: ciascuno ha il suo! Avete anche voi il vostro, eh? Certo! Ma che può essere il vostro? Quello della<br />

mandra! Misero, labile, incerto...E quelli ne approf<strong>it</strong>tano, vi fanno subire e accettare il loro, per modo che voi sentiate<br />

e ve<strong>di</strong>ate come loro! O almeno, si illudono! Perché poi, che riescono a imporre? Parole! parole che ciascuno intende e<br />

ripete a suo modo. Eh, ma si formano pure così le così dette opinioni correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi<br />

bollato da una <strong>di</strong> queste parole che tutti ripetono! Per esempio: «pazzo!» - Per esempio, che so? - «imbecille» - Ma<br />

<strong>di</strong>te un po', si può star quieti a pensare che c'è uno che si affanna a persuadere agli altri che voi siete come vi vede lui,<br />

a fissarvi nella stima degli altri secondo il giu<strong>di</strong>zio che ha fatto <strong>di</strong> voi? - «Pazzo» «pazzo»! - Non <strong>di</strong>co ora che lo<br />

faccio per ischerzo! Prima, prima che battessi la testa cadendo da cavallo...<br />

S'arresta d'un tratto, notando i quattro che si ag<strong>it</strong>ano, più che mai sgomenti e sbalor<strong>di</strong>ti. Vi guardate negli occhi?<br />

Rifà smorfiosamente i segni del loro stupore. Ah! Eh! Che rivelazione? - Sono o non sono? - Eh, via, sì, sono pazzo!<br />

Si fa terribile Ma allora, per<strong>di</strong>o, inginocchiatevi! inginocchiatevi!<br />

Li forza a inginocchiarsi tutti a uno a uno: Vi or<strong>di</strong>no <strong>di</strong> inginocchiarvi tutti davanti a me - così! E toccate tre volte la<br />

terra con la fronte! Giù! Tutti, davanti ai pazzi, si deve stare così!<br />

Alla vista dei quattro inginocchiati si sente sub<strong>it</strong>o svaporare la feroce gajezza, e se ne sdegna. Su, via, pecore,<br />

alzatevi! - M'avete obbe<strong>di</strong>to? Potevate mettermi la camicia <strong>di</strong> forza... - Schiacciare uno col peso d'una parola? Ma è<br />

niente! Che è? Una mosca! - Tutta la v<strong>it</strong>a è schiacciata così dal peso delle parole! Il peso dei morti - Eccomi qua:<br />

potete credere sul serio che Enrico IV sia ancora vivo? Eppure, ecco, parlo e comando a voi vivi. Vi voglio così! - Vi<br />

sembra una burla anche questa, che segu<strong>it</strong>ano a farla i morti la v<strong>it</strong>a? - Sì, qua è una burla: ma usc<strong>it</strong>e <strong>di</strong> qua, nel mondo<br />

vivo. Spunta il giorno. Il tempo è davanti a voi. Un'alba. Questo giorno che ci sta davanti - voi <strong>di</strong>te - lo faremo noi! -<br />

Sì? Voi? E salutatemi tutte le tra<strong>di</strong>zioni! Salutatemi tutti i costumi! Mettetevi a parlare! Ripetete tutte le parole che si<br />

sono sempre dette! Credete <strong>di</strong> vivere? Rimasticate la v<strong>it</strong>a dei morti!<br />

Si para davanti a Bertoldo, ormai istupi<strong>di</strong>to. Non capisci proprio nulla, tu, eh? - Come ti chiami?<br />

Bertoldo Io?...Eh...Bertoldo...<br />

Enrico IV Ma che Bertoldo, sciocco! Qua a quattr'occhi: come ti chiami?<br />

Bertoldo Ve... veramente mi... mi chiamo Fino...


Enrico IV (a un atto <strong>di</strong> richiamo e <strong>di</strong> ammonimento degli altri tre, appena accennato, voltandosi sub<strong>it</strong>o per farli<br />

tacere). Fino?<br />

Bertoldo Fino Pagliuca, sissignore.<br />

Enrico IV (volgendosi <strong>di</strong> nuovo agli altri). Ma se vi ho sent<strong>it</strong>o chiamare tra voi, tante volte!<br />

A Landolfo<br />

Tu ti chiami Lolo?<br />

Landolfo Sissignore...<br />

Poi con uno scatto <strong>di</strong> gioja: Oh Dio...Ma allora?<br />

Enrico IV (sub<strong>it</strong>o, brusco). Che cosa?<br />

Landolfo (d'un tratto smorendo). No... <strong>di</strong>co...<br />

Enrico IV Non sono più pazzo? Ma no. Non mi vedete? - Scherziamo alle spalle <strong>di</strong> chi ci crede.<br />

Ad Arialdo So che tu ti chiami Franco...<br />

A Ordulfo E tu, aspetta...<br />

Ordulfo Momo!<br />

Enrico IV Ecco, Momo! Che bella cosa, eh?<br />

Landolfo (c.s.). Ma dunque... oh Dio...<br />

Enrico IV (c.s.). Che? Niente! Facciamoci tra noi una bella, lunga, grande risata...<br />

E ride. Ah, ah, ah, ah, ah, ah!<br />

Landolfo Arialdo Ordulfo (guardandosi tra loro, incerti, smarr<strong>it</strong>i, tra la gioja e lo sgomento). È guar<strong>it</strong>o? Ma sarà<br />

vero? Com'è?<br />

Enrico IV Z<strong>it</strong>ti! Z<strong>it</strong>ti!<br />

A Bertoldo: Tu non ri<strong>di</strong>? Sei ancora offeso? Ma no! Non <strong>di</strong>cevo mica a te, sai? - Conviene a tutti, capisci? conviene<br />

a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa <strong>di</strong> tenerli chiusi. Sai perché? Perché non si resiste a sentirli parlare.<br />

Che <strong>di</strong>co io <strong>di</strong> quelli là che se ne sono andati? Che una è una baldracca, l'altro un su<strong>di</strong>cio libertino, l'altro un<br />

impostore...Non è vero! Nessuno può crederlo! - Ma tutti stanno ad ascoltarmi, spaventati. Ecco, vorrei sapere perché,<br />

se non è vero. - Non si può mica credere a quel che <strong>di</strong>cono i pazzi! - Eppure, si stanno ad ascoltare così, con gli occhi<br />

sbarrati dallo spavento. - Perché? - Dimmi, <strong>di</strong>mmi tu, perché? Sono calmo, ve<strong>di</strong>?<br />

Bertoldo Ma perché... forse, credono che...<br />

Enrico IV No, caro... no, caro...Guardami bene negli occhi...- Non <strong>di</strong>co che sia vero, stai tranquillo! - Niente è vero! -<br />

Ma guardami negli occhi!<br />

Bertoldo Sì, ecco, ebbene?<br />

Enrico IV Ma lo ve<strong>di</strong>? lo ve<strong>di</strong>? Tu stesso! Lo hai anche tu, ora, lo spavento negli occhi! - Perché ti sto sembrando<br />

pazzo! - Ecco la prova! Ecco la prova! E ride.<br />

Landolfo (a nome degli altri, facendosi coraggio, esasperato). Ma che prova?<br />

Enrico IV Codesto vostro sgomento, perché ora, <strong>di</strong> nuovo, vi sto sembrando pazzo! - Eppure, per<strong>di</strong>o, lo sapete! Mi<br />

credete; lo avete creduto fino ad ora che sono pazzo! - È vero o no? Li guarda un po', li vede atterr<strong>it</strong>i. Ma lo vedete?<br />

Lo sent<strong>it</strong>e che può <strong>di</strong>ventare anche terrore, codesto sgomento, come per qualche cosa che vi faccia mancare il terreno<br />

sotto i pie<strong>di</strong> e vi tolga l'aria da respirare? Per forza, signori miei! Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che<br />

significa? trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costru<strong>it</strong>o in voi, attorno a voi, la<br />

logica, la logica <strong>di</strong> tutte le vostre costruzioni! - Eh! che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con<br />

una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa<br />

come! - Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più. Volubili! Volubili! - Voi <strong>di</strong>te:<br />

«questo non può essere!» - e per loro può essere tutto. - Ma voi <strong>di</strong>te che non è vero. E<br />

perché? - Perché non par vero a te, a te, a te, in<strong>di</strong>ca tre <strong>di</strong> loro, e centomila altri. Eh, cari<br />

miei! Bisognerebbe vedere poi che cosa invece par vero a questi centomila altri che non<br />

sono detti pazzi, e che spettacolo danno dei loro accor<strong>di</strong>, fiori <strong>di</strong> logica! Io so che a me,<br />

bambino, appariva vera la luna nel pozzo. E quante cose mi parevano vere! E credevo a<br />

tutte quelle che mi <strong>di</strong>cevano gli altri, ed ero beato! Perché guai, guai se non vi tenete più<br />

forte a ciò che vi par vero oggi, a ciò che vi parrà vero domani, anche se sia l'opposto <strong>di</strong><br />

ciò che vi pareva vero jeri! Guai se vi affondaste come me a considerare questa cosa<br />

orribile, che fa veramente impazzire: che se siete accanto a un altro, e gli guardate gli<br />

occhi - come io guardavo un giorno certi occhi - potete figurarvi come un men<strong>di</strong>co<br />

davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col<br />

vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell'altro<br />

nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca...<br />

Pausa lungamente tenuta. L'ombra, nella sala, comincia ad addensarsi, accrescendo quel senso <strong>di</strong> smarrimento e <strong>di</strong><br />

più profonda costernazione da cui quei quattro mascherati sono compresi e sempre più allontanati dal grande<br />

Mascherato, rimasto assorto a contemplare una spaventosa miseria che non è <strong>di</strong> lui solo, ma <strong>di</strong> tutti.


INTERPRETAZIONE<br />

Nella prima parte del brano, Enrico ha un atteggiamento ambiguo e terribile: prima si<br />

<strong>di</strong>chiara sano <strong>di</strong> mente, poi <strong>di</strong> nuovo folle, costringendo con furia i suoi consiglieri a<br />

inginocchiarsi <strong>di</strong> fronte a lui. Il suo atteggiamento è <strong>di</strong> assoluta superior<strong>it</strong>à, giacché ha<br />

saputo ingannare e manovrare gli altri. Coloro che hanno creduto alla sua pazzia sono dei<br />

“buffoni” e, forse, i veri pazzi. La follia compare qui come un privilegio: davanti ai pazzi<br />

bisogna chinare il capo, perché essi hanno compreso la realtà ben più dei cosiddetti sani.<br />

La seconda parte del brano si sofferma appunto sulla natura <strong>di</strong> questo privilegio. Il folle<br />

demolisce le credenze dei sani, facendosi beffe della logica. In realtà, fra le certezze<br />

comuni e quelle dei matti non c'è una <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> sostanza: il relativismo <strong>di</strong> Pirandello è<br />

qui ra<strong>di</strong>cale, e trasforma la pazzia in una forma <strong>di</strong> conoscenza e <strong>di</strong> esperienza superiore.<br />

Per la sua in<strong>di</strong>fferenza alla logica e la sua volubil<strong>it</strong>à, essa sembra <strong>di</strong>ventare la libertà più<br />

grande e più vicina alla v<strong>it</strong>a intesa come un flusso che non può essere ingabbiato per<br />

nessuna convenzione. La reclusione dei folli è solo un mezzo elaborato dalla società per<br />

<strong>di</strong>fendersi dalla destabilizzazione. L'unica ver<strong>it</strong>à è che non esiste ver<strong>it</strong>à e che nulla è<br />

conoscibile: e questa ver<strong>it</strong>à, che non può essere sopportata da nessuno, “fa veramente<br />

impazzire”.<br />

Al tema della follia come ver<strong>it</strong>à pericolosa e rifiutata si affianca il tema della follia come<br />

rec<strong>it</strong>azione. A rec<strong>it</strong>are non è solo Enrico IV, ma tutti: donna Matilde che si finge Matilde<br />

<strong>di</strong> Canossa, il me<strong>di</strong>co che si finge Pier Damiani, i quattro giovani che si fingono<br />

consiglieri imperiali. Ma paradossalmente, il presunto folle è anche il regista della<br />

messinscena: colui che dall'alto, per suo gusto e con piena consapevolezza, induce gli altri<br />

a una buffonata. I sani sono v<strong>it</strong>time del presunto malato: e per <strong>di</strong> più, mentre si credono<br />

scaltri e coscienti, si rivelano beffati e ignari. La follia come rec<strong>it</strong>azione e comme<strong>di</strong>a degli<br />

inganni <strong>di</strong>venta un'allegoria della v<strong>it</strong>a sociale. Il suo potere <strong>di</strong> smascherare e <strong>di</strong>struggere<br />

appare dunque terribile, sia nella filosofia della conoscenza, sia nella cr<strong>it</strong>ica della nostra<br />

con<strong>di</strong>zione storica ed esistenziale.


La follia come fenomeno sociale<br />

INTRODUZIONE<br />

La follia ha una sua storia anche in amb<strong>it</strong>o sociale, oltre che artistico-letterario, che tuttavia non è<br />

lineare né univoca. È alle soglie dell'età contemporanea, dopo la Rivoluzione francese, che essa<br />

inizia ad acquistare i tratti che ancora oggi le riconosciamo.<br />

L' idea che la follia sia un male con caratteristiche precise e per il quale sono necessarie delle cure<br />

specifiche è meno antica <strong>di</strong> quanto si possa credere. Nella tra<strong>di</strong>zione greca, cosi come nel<br />

Me<strong>di</strong>oevo, il folle è segnato dalla condanna <strong>di</strong>vina; con il passare degli anni tende a <strong>di</strong>ventare un<br />

uomo moralmente consapevole, da punire e reprimere; con il Seicento, ve internato insieme ad altri<br />

in<strong>di</strong>vidui socialmente pericolosi o inutili: miserabili, sifil<strong>it</strong>ici, deformi, libertini. Ma alle soglie<br />

dell'età moderna le cose cambiano. Nel Settecento si affermano in Europa le prime figure <strong>di</strong><br />

psichiatri. I folli non vanno più incarcerati e torturati: prima ancora che <strong>di</strong> cure, hanno bisogno <strong>di</strong><br />

rispetto. Non possono più essere confusi con altri: nascono per loro una <strong>di</strong>sciplina autonoma, la<br />

psichiatria, e un luogo <strong>di</strong> <strong>cura</strong> specifico, il manicomio.<br />

Nel corso dell'Ottocento e del Novecento il destino e le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a dei folli saranno tuttavia<br />

mutevoli. I manicomi <strong>di</strong>ventano spesso luoghi <strong>di</strong> pena. L'idea che il folle sia un malato può avere<br />

una conseguenza <strong>di</strong>sumanizzante: egli non è come i sani e perciò non ha <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to a quello che spetta a<br />

qualunque uomo. Ingabbiato, torturato, abbandonato a sé, egli è tenuto in uno stato bestiale. La<br />

nasc<strong>it</strong>a dei manicomi nell'Ottocento ha un significato preciso: la follia <strong>di</strong>viene un fatto che riguarda<br />

sia la scienza, sia la collettiv<strong>it</strong>à, che decide <strong>di</strong> allontanare da se stessa alcuni in<strong>di</strong>vidui, giu<strong>di</strong>candoli<br />

inetti alla v<strong>it</strong>a aggregata. Ma la rappresentazione romantica del folle non tiene conto <strong>di</strong> questi<br />

aspetti: la follia è sempre eccesso dell'in<strong>di</strong>vidual<strong>it</strong>à che, portando all'estremo alcune caratteristiche<br />

del singolo, lo conduce a una chiusura completa su <strong>di</strong> sé.<br />

Persino la rappresentazione p<strong>it</strong>torica del manicomio e degli psicopatici può lasciare da parte intenti<br />

realistici e polemiche sociali: spesso ciò che conta è la bizzarria che caratterizza i manicomi ed i<br />

suoi internati. Accade così nei r<strong>it</strong>ratti dei monomani del francese Géricault. La sensibil<strong>it</strong>à<br />

romantica, insomma, sa avere pietà del folle solo se questo è solo; se lo vede rinchiuso in<br />

un'ist<strong>it</strong>uzione, confuso tra altri, non sa più riconoscerlo come uomo<br />

Accade del resto molto <strong>di</strong> raro che la malattia <strong>di</strong> mente sia considerata da un punto <strong>di</strong> vista non<br />

strettamente in<strong>di</strong>viduale. Rappresenta dunque un'eccezione l'Enciclope<strong>di</strong>a delle scienze filosofiche<br />

in compen<strong>di</strong>o (1830) del massimo filosofo idealista, G. W. F. Hegel (1770-1831). Per lui la follia si<br />

comprende solo in un <strong>di</strong>scorso generale sulle facoltà spir<strong>it</strong>uali dell'uomo e solo ricordando le<br />

scoperte me<strong>di</strong>che e, in particolare, la terapia <strong>di</strong> Pinel, noto psichiatra francese. La pazzia <strong>di</strong>venta<br />

una contrad<strong>di</strong>zione tra un «sentimento corporale» particolare, su cui si fissa la mente del malato, e<br />

la total<strong>it</strong>à della sua coscienza: in altre parole, essa è l'incapac<strong>it</strong>à dell'uomo <strong>di</strong> concepirsi come<br />

total<strong>it</strong>à <strong>di</strong> anima e corpo, come un essere complesso in cui ogni cosa sta in relazione con le altre ed<br />

è tenuta insieme dalla consapevolezza <strong>di</strong> sé. L'efficacia della <strong>cura</strong> <strong>di</strong> Pinel sta nel fatto che lui<br />

considera il folle non come uno che abbia perso del tutto la ragione, ma come qualcuno che può<br />

esser guar<strong>it</strong>o proprio facendo leva sulla ragione sana che è ancora in lui. Il manicomio <strong>di</strong>venta<br />

dunque un efficace metodo <strong>di</strong> <strong>cura</strong>.<br />

In Italia, è con uno dei maggiori esponenti del pos<strong>it</strong>ivismo, lo psichiatra e antropologo criminale<br />

Cesare Lombroso (1835-1909), che viene a fissarsi quel legame tra follia e malattia che porterà<br />

all'elaborazione della prima legge <strong>it</strong>aliana sui manicomi, nel 1904. Per Lombroso, a definire la<br />

pazzia concorrono molti elementi, dalla razza all'ere<strong>di</strong>tarietà, dalla conformazione del cranio al<br />

clima, dall'alimentazione all'alcolismo: in ogni caso, fattori fisici e materiali, da stu<strong>di</strong>are e<br />

analizzare grazie alla statistica e ai modelli matematici. C'è, nelle sistemazioni <strong>di</strong> Lombroso, un<br />

grado altissimo <strong>di</strong> approssimazione e ingenu<strong>it</strong>à, proprio per la pretesa <strong>di</strong> ridurre tutto a dato


quantificabile. Soprattutto, gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Lombroso sono chiaramente orientati de una tesi: è pazzia<br />

qualunque comportamento esuli dalla norma sociale e dai valori dominanti nel perbenismo della<br />

società <strong>it</strong>aliana postun<strong>it</strong>aria. Anche il genio è spesso ricondotto a follia; e non più in senso<br />

romantico. Sono giu<strong>di</strong>cati pazzi in<strong>di</strong>fferentemente Socrate con il suo daimon e Maometto perché si<br />

<strong>di</strong>ce ispirato da Dio; Lutero che crede nella presenza del <strong>di</strong>avolo e Ignazio <strong>di</strong> Loyola che ha delle<br />

visioni; Newton che non tollera gli oppos<strong>it</strong>ori e Schopenhauer con la sua misantropia; Hoffman che<br />

scrive in modo stravagante e Baudelaire che rinnova la poesia e esalta l'artificio posto alla natura. È<br />

pazzia, insomma, qualunque tentativo <strong>di</strong> cambiare la pol<strong>it</strong>ica, la religione, la società, la morale,<br />

l'arte. Ed è almeno sospetto <strong>di</strong> pazzia chiunque non sia un buon padre <strong>di</strong> famiglia, un mar<strong>it</strong>o<br />

esemplare, un onesto lavoratore, un patriota. Non a caso i pazzi sono «molti più che non si creda», e<br />

soprattutto tra i letterati.<br />

L'atteggiamento <strong>di</strong> Lombroso, mentre si presenta come impassibilmente scientifico, si rivela<br />

strettamente ideologico: è una <strong>di</strong>fesa così spietata dei valori borghesi, da accusare <strong>di</strong> malattia<br />

qualunque atto o pensiero se ne <strong>di</strong>scosti. Per <strong>di</strong> più, esso rivela una profonda incomprensione<br />

culturale per tutto quanto sia lontano dai canoni della scienza pos<strong>it</strong>ivista: non solo la magia, la<br />

stregoneria e le credenze “prim<strong>it</strong>ive”, ma le religioni in genere sono sempre state macchiate <strong>di</strong><br />

delirio. Il folle, <strong>di</strong> conseguenza, è il <strong>di</strong>verso e l'emarginato per eccellenza. I suoi <strong>di</strong>scorsi e i suoi<br />

comportamenti vengono analizzati con minuzia a un solo scopo: mostrare quanto siano folli. Il<br />

pazzo è qualcuno da cui tutti si devono guardare, e anz<strong>it</strong>utto le due gran<strong>di</strong> autor<strong>it</strong>à: quella scientifica<br />

e quella pol<strong>it</strong>ica. Non a caso è accostato a un criminale e comunque è un in<strong>di</strong>viduo pericoloso.<br />

Allora sarà giusto isolarlo e rinchiuderlo come si fa con i criminali veri e propri, loro stessi<br />

considerati malati da Lombroso.<br />

La legislazione <strong>it</strong>aliana sui manicomi del 1904 si ispira appunto a questi principi. Il folle è anz<strong>it</strong>utto<br />

un in<strong>di</strong>viduo socialmente pericoloso e il manicomio un luogo <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a. In esso, il malato <strong>di</strong><br />

mente viene sottoposto a misure che, più che a <strong>cura</strong>rlo, servono a sedarlo. Ne risulta un vero e<br />

proprio regime carcerario, talvolta prossimo alla tortura.<br />

Nella prima metà del Novecento dunque, il manicomio consolida e raffina i sistemi <strong>di</strong> repressione e<br />

<strong>di</strong> tortura elaborati dalla psichiatria pos<strong>it</strong>ivista: l'uso <strong>di</strong> farmaci si fa più massiccio; si pratica la<br />

labotomizzazione (asportazione <strong>di</strong> una parte del cervello, che riduce il paziente in uno stato <strong>di</strong><br />

i<strong>di</strong>ozia); viene introdotto l'elettroshock (stimolazione elettrica dell'encefalo, talora per ridurre<br />

all'impotenza gli internati “furiosi”). Il malato non ha dr<strong>it</strong>ti: è ridotto a una cosa, e l'ospedale non fa<br />

che aggravare la sua con<strong>di</strong>zione.<br />

Contro questo stato <strong>di</strong> cose si afferma sempre <strong>di</strong> più la convinzione che la psichiatria e le ist<strong>it</strong>uzioni<br />

manicomiali siano incapaci <strong>di</strong> comprendere la sofferenza o anche solo il <strong>di</strong>scorso del folle. La<br />

nuova consapevolezza nasce dalla sensibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> scr<strong>it</strong>tori come Pirandello e Virginia Woolf che, non<br />

a caso, conobbero la realtà della malattia <strong>di</strong> mente (Pirandello perchè mar<strong>it</strong>o <strong>di</strong> una psicopatica, la<br />

Woolf perchè soggetta a gravi crisi depressive). Da qui l'insorgere dell'antipsichiatria, i cui primi<br />

esponenti sono me<strong>di</strong>ci americani che si formano il più delle volte sulla filosofia fenomenologica ed<br />

esistenzialista: la follia non può essere oggetto da stu<strong>di</strong>are, ma <strong>di</strong>venta una modal<strong>it</strong>à <strong>di</strong> esistenza. Il<br />

folle non è qualcuno da tener lontano e da <strong>cura</strong>re, ma qualcuno che si deve imparare ad ascoltare,<br />

sino quasi a fondersi con il suo mondo mentale. Ma se tra me<strong>di</strong>co e paziente non ci deve essere<br />

<strong>di</strong>stanza, le nozioni stesse <strong>di</strong> me<strong>di</strong>co e paziente vengono messe in crisi fino quasi a essere abol<strong>it</strong>e.<br />

Soprattutto, ciò che non è più possibile è il manicomio, visto come un carcere in cui la società<br />

interna in<strong>di</strong>vidui che non ne accetteno le regole. La follia è solo un m<strong>it</strong>o, un'invenzione per<br />

criminalizzare chi non sia gra<strong>di</strong>to al potere. Al posto del manicomio, nascono così le comun<strong>it</strong>à, in<br />

cui il folle è rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o alla sua libertà e può esprimersi in un nuovo mondo, alternativo rispetto a<br />

quello che si regge sulle gerarchie e sulla repressione del <strong>di</strong>verso. Prima <strong>di</strong> <strong>cura</strong>re il folle bisogna<br />

<strong>cura</strong>re la società e la sua prima cellula: la famiglia, causa <strong>di</strong>retta del <strong>di</strong>sagio. L'antipsichiatria susc<strong>it</strong>a<br />

molte polemiche. Il suo rischio è <strong>di</strong>menticare che la malattia <strong>di</strong> mente esiste e che il folle è una<br />

persona che soffre e mer<strong>it</strong>a aiuto. Tuttavia, il lavoro <strong>di</strong> cr<strong>it</strong>ica <strong>di</strong> questo movimento è spesso molto<br />

acuto. Ciò che l'antipsichiatria mette in luce è, prima ancora che il meccanismo con cui la società


isponde alla follia, i meccanismi <strong>di</strong> potere e <strong>di</strong> repressione che regolano la società stessa.<br />

L'antipsichiatria trova applicazione anche nel nostro paese, rifiutando però l'estremismo dei me<strong>di</strong>ci<br />

americani. Il suo centro è l'Ospedale Psichiatrico Provinciale <strong>di</strong> Gorizia e il suo promotore ne è il<br />

<strong>di</strong>rettore (a partire dal 1961): Franco Basaglia. In un progetto <strong>di</strong> stretta collaborazione tra me<strong>di</strong>ci e<br />

infermieri, Basaglia rifiuta le regole del manicomio, per trasformarlo in una comun<strong>it</strong>à terapeutica.<br />

Si aboliscono anz<strong>it</strong>utto le misure repressive: i muri <strong>di</strong>visori sono abbattuti, i cancelli aperti; i<br />

pazienti, prima costretti a indossare corpetti <strong>di</strong> forza e letteralmente ingabbiati, sono ora inv<strong>it</strong>ati a<br />

circolare liberamente, a conoscere i loro compagni e a comunicare con il personale ospedaliero. I<br />

reparti si trasformano in comun<strong>it</strong>à in cui tutti sono inv<strong>it</strong>ati a partecipare: sia i ricoverati, sia gli<br />

infermieri, sia i me<strong>di</strong>ci. Il malato, che sino ad allora era «c<strong>it</strong>ta<strong>di</strong>no senza <strong>di</strong>r<strong>it</strong>ti», viene rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o a se<br />

stesso. Il folle è colui che più <strong>di</strong> tutti porta su <strong>di</strong> sé i segni della violenza e dell'esclusione sociale: la<br />

sua malattia è una <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> fronte agli obblighi e alle repressioni che, a partire dalla famiglia, gli<br />

sono imposti; e le risposte della società alla malattia sono il rifiuto e l'internamento. Il <strong>di</strong>sagio del<br />

malato <strong>di</strong> mente è il <strong>di</strong>sagio che la società crea ma che non vuole riconoscere. Il manicomio è,<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente, il luogo in cui la violenza e l'esclusione sono perpetrate e in cui la malattia finisce<br />

inesorabilmente per aggravarsi, perchè <strong>di</strong>venta l'unica ident<strong>it</strong>à <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo ridotto a cosa. Solo<br />

se violenza ed esclusione vengono rifiutate, al malato <strong>di</strong> mente è data la possibil<strong>it</strong>à concreta <strong>di</strong><br />

migliorare le proprie con<strong>di</strong>zioni.<br />

Nel pensiero <strong>di</strong> Basaglia e dell'équipe me<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> Gorizia, ci sono una forte volontà <strong>di</strong> contestazione<br />

sociale e una forte carica utopica, in sintonia con il pensiero marxista. È chiaro che non basta <strong>cura</strong>re<br />

il malato all'interno <strong>di</strong> una comun<strong>it</strong>à terapeutica protetta se, tutto intorno, egli si trova in un mondo<br />

<strong>di</strong> pregi<strong>di</strong>zi e ostil<strong>it</strong>à. Non basta <strong>cura</strong>re il malato: bisogna cambiare la società e interrompere la<br />

catena <strong>di</strong> sopraffazione che genera il <strong>di</strong>sagio. Basaglia e i suoi collaboratori rifiutano lo specialismo<br />

me<strong>di</strong>co e riven<strong>di</strong>cano un <strong>di</strong>scorso rivolto a tutti, cioè pol<strong>it</strong>ico. Proprio per questo l'attiv<strong>it</strong>à <strong>di</strong><br />

Basaglia è <strong>di</strong>ventata una legge dello Stato (la Legge 180 del 1978). Mentre in paesi come il Canada,<br />

l'Inghilterra e gli Sati Un<strong>it</strong>i si è provveduto a ridurre il numero dei manicomi, in Italia si è<br />

pre<strong>di</strong>sposta la loro abolizione. La <strong>cura</strong> del malato <strong>di</strong> mente <strong>di</strong>venta così terr<strong>it</strong>oriale: egli resta nella<br />

sua famiglia o è inser<strong>it</strong>o in comun<strong>it</strong>à terapeutiche, cioè non viene allontanato dalla società. Il folle<br />

ha <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to alla sua casa e al suo lavoro: i reparti psichiatrici degli ospedali hanno il solo scopo <strong>di</strong><br />

pronunciare la <strong>di</strong>agnosi e possono trattenere il malato per più <strong>di</strong> sette giorni solo in casi eccezionali.<br />

L'applicazione della legge, dettata da principi alti, ha però incontrato <strong>di</strong>fficoltà. Per alcuni psichiatri<br />

essa resta un'utopia.<br />

L'opera che meglio esprime l'impostazione cr<strong>it</strong>ica dell'antipsichiatria è il romanzo One flew over the<br />

cuckoo's nest dell'americano Ken Kesey, pubblicato nel 1962, da cui è stato tratto il film Qualcuno<br />

volò sul nido del cuculo <strong>di</strong> Milos Forman, usc<strong>it</strong>o nel 1975. Un carcerato in<strong>di</strong>sciplinato, Randall<br />

Patrick Mac Murphy (interpretato nel film da Jack Nicholson), è inviato in un manicomio modello<br />

per accertare se sia malato <strong>di</strong> mente. Mac Murphy è un uomo irrequieto e v<strong>it</strong>ale, perfettamente sano:<br />

da sub<strong>it</strong>o, dunque, il sospetto <strong>di</strong> follia colpisce chi si rifiuti <strong>di</strong> rispettare la v<strong>it</strong>a comune o la legge.<br />

L'incontro con l'ist<strong>it</strong>uzione ospe<strong>di</strong>aliera è profondamente confl<strong>it</strong>tuale. Mac Murphy vuole instaurare<br />

un rapporto reale con gli altri ricoverati, contro il gelo impersonale e sottilmente sa<strong>di</strong>co <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci,<br />

infermieri e guar<strong>di</strong>ani. Le terapie più moderne mascherano la sopraffazione: i malati sono costretti a<br />

ingurg<strong>it</strong>are dei farmaci, devono rispettare regole e orari che li privano della loro libertà, partecipano<br />

a grupppi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione in cui, in realtà, sono pilotati dall'infessibile miss Ratchedt, un'infermiera<br />

tanto scrupolosa quanto priva <strong>di</strong> uman<strong>it</strong>à. Mac Murphy riesce ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura a organizzare una fuga<br />

dalla clinica con i suoi compagni <strong>di</strong> reparto; portati a pescare in alto mare, i folli riacquistano nella<br />

gioia, loro stessi. Ma, una volta tornato, al malato spetta la punizione <strong>di</strong> un prolungamento del<br />

soggiorno in manicomio: sebbene lo si riconosca sano <strong>di</strong> mente, egli è un in<strong>di</strong>viduo socialmente<br />

pericoloso. Il manicomio si rivela così un carcere. Mac Murphy causa inotlre un'altra sorta <strong>di</strong><br />

ribellione che viene repressa con sedativi e con l'elettroshock. Quin<strong>di</strong>, organizza una festa <strong>di</strong> Natale<br />

notturna. Al risveglio la repressione è durissima: miss Ratchedt, con la sua crudeltà, provoca il<br />

suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un giovano internato; Mac Murphy, che ha tentato <strong>di</strong> strangolarla per riven<strong>di</strong>care


l'amico, viene lobotomizzato. Il finale è amaro: sembra che trionfi l'or<strong>di</strong>ne iniziale, senza che nulla<br />

sia cambiato. C'è una sola speranza <strong>di</strong> utopia: la fuga <strong>di</strong> un internato pellerossa, che soffoca, come<br />

atto estremo <strong>di</strong> pietà, Mac Murphy ormai ridotto a una larva. Per questo libro la malattia mentale<br />

resta pur sempre una malattia, ma il <strong>di</strong>sagio è acu<strong>it</strong>o dalla clinica stessa: se, da un lato, essa tiene<br />

sotto controllo la malattia, dall'altro, impe<strong>di</strong>sce ai ricoverati <strong>di</strong> prendere consapevolezza <strong>di</strong> sé<br />

privandoli <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à. La legge del manicomio è, nonostante le sue apparenze linde e<br />

moderne, una sola: la violenza.<br />

Il t<strong>it</strong>olo rel romanzo è altamente simbolico, ma la traduzione <strong>it</strong>aliana lim<strong>it</strong>a la comprensione<br />

effettiva del significato che esso racchiude. Letteralmente riprende il verso <strong>di</strong> una filastrocca: "One<br />

flew east, one flew west, one flew over the cuckoo's nest". Il termine inglese "cuckoo" in<strong>di</strong>ca<br />

propriamente il cuculo, ma in senso traslato significa anche "pazzo". Il cuculo non ha un proprio<br />

nido ed è sol<strong>it</strong>o deporre le uova in ni<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi per far crescere i propri piccoli. Di conseguenza<br />

quest'ultimi sono osp<strong>it</strong>i che vengono nutr<strong>it</strong>i da uccelli che non sono i loro gen<strong>it</strong>ori. Il nido nel<br />

romanzo è rappresentato dal manicomio i cui osp<strong>it</strong>i sono degli esseri umani tenuti sotto una ferrea<br />

<strong>di</strong>sciplina in apparenza terapeutica ma che in realtà nasconde un profondo intento sa<strong>di</strong>co. La<br />

domanda <strong>di</strong> fondo <strong>di</strong> questo libro riguarda l'esistenza <strong>di</strong> una base certa che faccia da parametro<br />

nello stabilire la linea <strong>di</strong> demarcazione che separa il mondo della normal<strong>it</strong>à da quello della follia. La<br />

pazzia è vista come un "non luogo", come un qualcosa che il protagonista ha dentro <strong>di</strong> sé e vuole<br />

portar fuori, quasi un voler <strong>di</strong>re "in fondo siamo tutti un po' pazzi".


Gli Alienati <strong>di</strong> Géricault<br />

L’immaginario del francese Théodore Géricault (1791-1824) è aperto a <strong>di</strong>versi elementi: il p<strong>it</strong>toresco, l’eroico, l’esotico<br />

e il realistico, tutti segni <strong>di</strong> una sensibil<strong>it</strong>à romantica. Alla chiave realistica va appunto ricondotto il ciclo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci r<strong>it</strong>ratti<br />

<strong>di</strong> alienati (ma sono solo cinque i quadri rimasti) <strong>di</strong>pinti nel 1819 o 1822.<br />

Dopo le polemiche susc<strong>it</strong>ate dal suo capolavoro, La zattera <strong>di</strong> Medusa, Géricault cade in una crisi depressiva. Prende<br />

perciò contatto con psichiatri e nascono in questa occasione questi r<strong>it</strong>ratti.<br />

L’incontro <strong>di</strong> Géricault con la follia è dunque duplice: da una parte c’è il <strong>di</strong>sagio personale; dall’altro la malattia <strong>di</strong><br />

mente è vista con gli occhi della psichiatria contemporanea più avanzata e all’interno dell’ist<strong>it</strong>uzione del manicomio. In<br />

realtà, fra i due piani non c’è contatto: i folli non sono personaggi a cui il p<strong>it</strong>tore si sente vicino, ma malati esib<strong>it</strong>i nella<br />

loro lontananza da noi.<br />

Géricault r<strong>it</strong>rae al tempo stesso degli in<strong>di</strong>vidui particolari e dei tipi universali. Ognuno è colto nella peculiar<strong>it</strong>à del suo<br />

aspetto fisico e del suo atteggiamento, ma rappresenta anche una patologia e un vizio (se non un peccato): abbiamo così<br />

la Monomane dell’invi<strong>di</strong>a, il Monomane del comando mil<strong>it</strong>are, il Monomane del rapimento dei bambini, il Monomane<br />

del gioco, il Monomane del furto. In ogni caso Géricault nega pietà a questi malati, r<strong>it</strong>ratti con un realismo talvolta<br />

spietato. In loro, infatti, la pazzia non è frutto <strong>di</strong> un tormento romantico, ma malattia.<br />

T.GÉRICAULT, Monomane dell’invi<strong>di</strong>a<br />

Théodore Géricault, Monomane dell'invi<strong>di</strong>a (la Iena). Lione, Musée des Beaux-Arts.<br />

Il r<strong>it</strong>ratto esprime bene il doppio atteggiamento <strong>di</strong> Géricault <strong>di</strong> fronte alla follia.<br />

La vecchia è osservata con duro realismo, che ne mette in evidenza la decadenza fisica, la sgradevolezza (si osservi la<br />

bocca), il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne (i capelli scomposti e la cuffia slacciata). D’altra parte, però, è colta in un atteggiamento<br />

emblematico, poiché lo sguardo cattivo e sospettoso tra<strong>di</strong>sce la malattia. La categoria me<strong>di</strong>ca è del resto accostata ad<br />

una religiosa o morale: l’invi<strong>di</strong>a è un peccato cap<strong>it</strong>ale. La donna risulta insieme un in<strong>di</strong>viduo specifico e l’allegoria <strong>di</strong><br />

un vizio. In nessuno dei due casi può guadagnarsi la partecipazione emotiva del p<strong>it</strong>tore e dello spettatore.


T.GÉRICAULT, Monomane del comando mil<strong>it</strong>are<br />

Théodore Géricault, Monomane del comando mil<strong>it</strong>are, Collezione Oskar Reinhart.<br />

Qui il travestimento rivela il ruolo in cui il pazzo si cala e l’uomo r<strong>it</strong>ratto esibisce i suoi miseri segni <strong>di</strong> potere: il<br />

cappotto, <strong>di</strong>sposto come un manto da antico romano sul farsetto; la medaglia da procacciatore d’affari; il berretto da<br />

poliziotto; la nappa rossa cuc<strong>it</strong>a su <strong>di</strong> esso, ri<strong>di</strong>cola allusione alle decorazioni dei gran<strong>di</strong> ufficiali.<br />

L’impostazione del quadro ricorda quella dei r<strong>it</strong>ratti dei gran<strong>di</strong> maestri: ma il fatto che il soggetto non guar<strong>di</strong> lo<br />

spettatore, insieme alla piega ostinata delle labbra, tra<strong>di</strong>sce la follia come assenza <strong>di</strong> comunicazione. Il realismo assume<br />

qui una sfumatura grottesca.


L'OPERA, IL TESTO<br />

Georg Wilhelm Friedrich Hegel<br />

Il corretto trattamento della pazzia<br />

Nell' Enciclope<strong>di</strong>a delle scienza filosofiche in compen<strong>di</strong>o (1830), Hegel costruisce un sistema del sapere del suo tempo<br />

orientato secondo le necess<strong>it</strong>à dell'idealismo. Nella parte de<strong>di</strong>cata all'antropologia, egli affronta il problema<br />

dell'autosentimento (cioè della percezione che l'uomo ha <strong>di</strong> sé): la follia è appunto un <strong>di</strong>sturbo <strong>di</strong> questa facoltà. Essa<br />

non è una per<strong>di</strong>ta totale della ragione, ma l'incapac<strong>it</strong>à <strong>di</strong> collegare le percezioni fisiche particolari alla total<strong>it</strong>à della<br />

coscienza: l'impossibil<strong>it</strong>à, cioè, <strong>di</strong> considerarsi come una total<strong>it</strong>à. L'unica <strong>cura</strong> efficace è quella proposta da uno<br />

psichiatra francese, Philippe Pinel (1745-1826), secondo cui il malato va trattato con rispetto e aiutato a recuperare la<br />

ragione che ancora possiede.<br />

da G. W. F. Hegel, Enciclope<strong>di</strong>a delle scienza filosofiche in compen<strong>di</strong>o, E<strong>di</strong>tori Laterza, Bari, 1963<br />

Il vero trattamento psichico tiene fermo perciò anche il punto <strong>di</strong> vista secondo cui la pazzia non è per<strong>di</strong>ta astratta della<br />

ragione – né secondo il lato dell'intelligenza,¹ né secondo quello volontà e della sua imputabil<strong>it</strong>ಠ–, bensì è soltanto<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne interno, soltanto contrad<strong>di</strong>zione entro la ragione stessa, la quale è ancora data;³ analogamente, la malattia<br />

fisica non è per<strong>di</strong>ta astratta, cioè totale, della san<strong>it</strong>à (una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> questo tipo sarebbe la morte), bensì una<br />

contrad<strong>di</strong>zione entro la san<strong>it</strong>à stessa.<br />

Questo trattamento umano, cioè tanto benevolo quanto razionale – Pinel mer<strong>it</strong>a il supremo riconoscimento per le<br />

benemerenze acquistate in questo campo –, presuppone il malato come essere razionale, e in tal modo ha un solido<br />

puntello per poterlo comprendere sotto questo aspetto, così come avviene sotto l'aspetto della corporal<strong>it</strong>à, in cui si fa<br />

leva sulla v<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à che, in quanto tale, contiene ancora entro sé l'essere sano.<br />

1 secondo...intelligenza: per quanto riguarda l'intelligenza. L'intelligenza è un lato, cioè un aspetto, della ragione.<br />

2 imputabil<strong>it</strong>à: condannabil<strong>it</strong>à, responsabil<strong>it</strong>à. Hegel vuol <strong>di</strong>re che il folle non è responsabile <strong>di</strong> ciò che fa e, quin<strong>di</strong>,<br />

non deve essere trattato in modo pun<strong>it</strong>ivo.<br />

3 la quale è ancora data:<br />

che continua a essere presente.<br />

4 così come...essere sano: cioè come avviene nella me<strong>di</strong>cina del corpo, che presuppone sempre che, per quanto<br />

malato, l'in<strong>di</strong>viduo abbia comunque delle forze sane su cui far leva.<br />

INTERPRETAZIONE:<br />

Hegel considera la follia in relazione a vari aspetti. Anz<strong>it</strong>utto, ne dà sempre una definizione strettamente filosofica; poi,<br />

si riallaccia alle concezioni me<strong>di</strong>che più avanzate del tempo; quin<strong>di</strong> appoggia una <strong>cura</strong> che prevede un'ist<strong>it</strong>uzione<br />

pubblica: il moderno manicomio. Per lui, il folle resta sempre un uomo, giacché è pur sempre dotato <strong>di</strong> ciò che è<br />

essenzialmente umano: la ragione. Hegel libera dunque la follia dal carattere <strong>di</strong> eccesso e <strong>di</strong> eccezional<strong>it</strong>à con cui la<br />

vede la cultura romantica e, insieme, riconosce l'importanza del rispetto per il malato.


La legge <strong>it</strong>aliana del 1904 sui manicomi<br />

La prima legge <strong>it</strong>aliana sui manicomi fu elaborata sotto l'influsso della psichiatria pos<strong>it</strong>ivista <strong>di</strong> Lombroso. Ebbe un <strong>it</strong>er<br />

abbastanza lento (dal 1902 al 1904): fu Giol<strong>it</strong>ti, allora ministro degli Interni, a farla passare. Rimase in vigore fino al<br />

1978, quando fu sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dalla legge Basaglia.<br />

Nei primi quattro articoli, vengono trattati i seguenti argomenti:<br />

Il manicomio non è solo un luogo <strong>di</strong> <strong>cura</strong>, ma anche <strong>di</strong> segregazione. Il folle è un in<strong>di</strong>viduo pericoloso, o che dà<br />

scandalo: perciò la società deve allontanarlo. A chiedere l'internamento può essere chiunque: il me<strong>di</strong>co agisce in<br />

seconda istanza, mentre la decisione defin<strong>it</strong>iva spetta all'autor<strong>it</strong>à giu<strong>di</strong>ziaria. La malattia <strong>di</strong> mente è dunque una<br />

questione <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico. In manicomio, l'alienato è privato dei suoi <strong>di</strong>r<strong>it</strong>ti (non può amministrare i suoi beni). Qui,<br />

ogni potere san<strong>it</strong>ario, amministrativo, <strong>di</strong>sciplinare spetta al Direttore. Più che <strong>di</strong> fronte a un ospedale, siamo <strong>di</strong> fronte a<br />

un carcere.<br />

Legge N.36 del 14 Febbraio 1904. Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custo<strong>di</strong>a e <strong>cura</strong> degli alienati.<br />

Articolo 1.<br />

Debbono essere custo<strong>di</strong>te e <strong>cura</strong>te nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale,<br />

quando siano pericolose a sè o agli altri o riescano <strong>di</strong> pubblico scandalo e non siano e non possano essere<br />

convenientemente custo<strong>di</strong>te e <strong>cura</strong>te fuorché nei manicomi. Sono compresi sotto questa denominazione, agli effetti<br />

della presente legge, tutti quegli ist<strong>it</strong>uti, comunque denominati, nei quali vengono ricoverati alienati <strong>di</strong> qualunque<br />

genere. [...]<br />

Articolo 2.<br />

L'ammissione degli alienati nei manicomi deve essere chiesta dai parenti, tutori o protutori, e può esserlo da chiunque<br />

altro nell'interesse degli infermi e della società. Essa è autorizzata, in via provvisoria, dal pretore sulla presentazione <strong>di</strong><br />

un certificato me<strong>di</strong>co e <strong>di</strong> un atto <strong>di</strong> notorietà, redatti in conform<strong>it</strong>à delle norme stabil<strong>it</strong>e dal regolamento, ed in via<br />

defin<strong>it</strong>iva dal tribunale in camera <strong>di</strong> consiglio sull'istanza del pubblico ministero in base alla relazione del <strong>di</strong>rettore del<br />

manicomio e dopo un periodo <strong>di</strong> osservazione che non potrà eccedere in complesso un mese. Ogni manicomio dovrà<br />

avere un locale <strong>di</strong>stinto e separato per accogliere i ricoverati in via provvisoria. L'autor<strong>it</strong>à locale <strong>di</strong> pubblica sicurezza<br />

può, in caso <strong>di</strong> urgenza, or<strong>di</strong>nare il ricovero, in via provvisoria, in base a certificato me<strong>di</strong>co, ma è obbligata a riferirne<br />

entro tre giorni al pro<strong>cura</strong>tore del Re, trasmettendogli il cennato documento. [...]


Articolo 3.<br />

Il licenziamento dal manicomio degli alienati guar<strong>it</strong>i, è autorizzato con Decreto del<br />

presidente del tribunale sulla richiesta o del Direttore del manicomio, o delle persone<br />

menzionate nel primo comma dell'articolo precedente o della deputazione<br />

provinciale. Negli ultimi due casi dovrà essere sent<strong>it</strong>o il Direttore. Sul reclamo degli<br />

interessati il presidente potrà or<strong>di</strong>nare una perizia. In ogni caso contro il Decreto del<br />

presidente è ammesso il reclamo al tribunale. Il <strong>di</strong>rettore del manicomio può or<strong>di</strong>nare<br />

il licenziamento, in via <strong>di</strong> prova, dell'alienato che abbia raggiunto un notevole grado<br />

<strong>di</strong> miglioramento e ne darà imme<strong>di</strong>atamente comunicazione al pro<strong>cura</strong>tore del Re e<br />

all'autor<strong>it</strong>à <strong>di</strong> pubblica sicurezza.<br />

Articolo 4.<br />

Il <strong>di</strong>rettore ha piena autor<strong>it</strong>à sul servizio interno san<strong>it</strong>ario e l'alta sorveglianza su<br />

quello economico per tutto ciò che concerne il trattamento dei malati, ed è<br />

responsabile dell'andamento del manicomio e della esecuzione della presente legge<br />

nei lim<strong>it</strong>i delle sue attribuzioni. Eserc<strong>it</strong>a pure il potere <strong>di</strong>sciplinare nei lim<strong>it</strong>i del<br />

seguente articolo. [...]<br />

Il manicomio <strong>di</strong> San Bonifacio a Firenze è stato uno dei primi in Italia.<br />

Qui ne ve<strong>di</strong>amo La sala delle ag<strong>it</strong>ate, quadro del 1865 <strong>di</strong> Telemaco Signorini:


La “Legge Basaglia”<br />

È questa una parte della Legge 13 maggio 1978, n. 180, più nota come “legge Basaglia”, dal nome del suo ispiratore.<br />

Essa prevede l'abolizione dei manicomi: i reparti psichiatrici degli ospedali possono accogliere i malati <strong>di</strong> mente solo<br />

per brevi perio<strong>di</strong>, mentre le cure devono essere impart<strong>it</strong>e al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> essi.<br />

La legge è profondamente <strong>di</strong>versa da quella del 1904, che viene abrogata. Prima, il malato era qualcuno da cui la società<br />

doveva <strong>di</strong>fendersi; ora, è un c<strong>it</strong>ta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> cui vanno tutelati i <strong>di</strong>r<strong>it</strong>ti, affinchè tutto avvenga «nel rispetto della <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à della<br />

persona e dei <strong>di</strong>r<strong>it</strong>ti civili e pol<strong>it</strong>ici garant<strong>it</strong>i dalla Cost<strong>it</strong>uzione». Prima era l'autor<strong>it</strong>à civile a decidere, ora il me<strong>di</strong>co;<br />

prima, chiunque poteva proporre l'internamento, ora, chiunque può chiedere la revoca dei provve<strong>di</strong>menti san<strong>it</strong>ari. E<br />

mentre prima il malato era come incarcerato, ora è libero <strong>di</strong> avere rapporti con chi crede.<br />

da Co<strong>di</strong>ce della san<strong>it</strong>à, a <strong>cura</strong> <strong>di</strong> F. A. Roversi-Monaco e C. Bottari, Maggioli, Rimini 1985<br />

Art. 1 Accertamenti e trattamenti san<strong>it</strong>ari volontari e obbligatori.<br />

Gli accertamenti e i trattamenti san<strong>it</strong>ari sono volontari.<br />

Nei casi <strong>di</strong> cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere <strong>di</strong>sposti<br />

dall'autor<strong>it</strong>à san<strong>it</strong>aria accertamenti e trattamenti san<strong>it</strong>ari obbligatori nel rispetto della <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à della persona e dei <strong>di</strong>r<strong>it</strong>ti<br />

civili e pol<strong>it</strong>ici garant<strong>it</strong>i dalla Cost<strong>it</strong>uzione, compreso per quanto possibile il <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to alla libera scelta del me<strong>di</strong>co e del<br />

luogo <strong>di</strong> <strong>cura</strong>.<br />

Gli accertamenti e i trattamenti san<strong>it</strong>ari obbligatori a carico dello Stato e <strong>di</strong> enti o ist<strong>it</strong>uzioni pubbliche sono attuati dai<br />

presi<strong>di</strong> san<strong>it</strong>ari pubblici terr<strong>it</strong>oriali e, ove necess<strong>it</strong>i la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate.<br />

Nel corso del trattamento san<strong>it</strong>ario obbligatorio chi vi è sottoposto ha <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to <strong>di</strong> comunicare con chi r<strong>it</strong>enga opportuno.


Gli accertamenti e i trattamenti san<strong>it</strong>ari obbligatori <strong>di</strong> cui ai precedenti commi devono essere accompagnati da<br />

iniziative rivolte ad assi<strong>cura</strong>re il consenso e la partecipazione da parte <strong>di</strong> chi vi è obbligato.<br />

Gli accertamenti e i trattamenti san<strong>it</strong>ari obbligatori sono <strong>di</strong>sposti con provve<strong>di</strong>mento del sindaco, nella sua qual<strong>it</strong>à <strong>di</strong><br />

autor<strong>it</strong>à san<strong>it</strong>aria locale, su proposta motivata <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>co.<br />

Art. 2 Accertamenti e trattamenti san<strong>it</strong>ari obbligatori per malattia mentale.<br />

Le misure <strong>di</strong> cui al secondo comma del precedente articolo possono essere <strong>di</strong>sposte nei confronti delle persone affette<br />

da malattie mentali.<br />

Nei casi <strong>di</strong> cui al precedente comma la proposta <strong>di</strong> trattamento san<strong>it</strong>ario obbligatorio può prevedere che le cure<br />

vengano prestate in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti<br />

interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall'infermo e se non vi siano le con<strong>di</strong>zioni e le circostanze<br />

che consentano <strong>di</strong> adottare tempestive ed idonee misure san<strong>it</strong>arie extra ospedaliere.<br />

Il provve<strong>di</strong>mento che <strong>di</strong>spone il trattamento san<strong>it</strong>ario obbligatorio in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> degenza ospedaliera deve essere<br />

preceduto dalla convalida della proposta <strong>di</strong> cui all'ultimo comma dell'articolo 1 da parte <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>co della struttura<br />

san<strong>it</strong>aria pubblica e deve essere motivato in relazione a quanto previsto nel precedente comma.<br />

Art. 3 Proce<strong>di</strong>mento relativo agli accertamenti e trattamenti san<strong>it</strong>ari obbligatori in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> degenza<br />

ospedaliera per malattia mentale.<br />

Il provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> cui all'articolo 2 con il quale il sindaco <strong>di</strong>spone il trattamento san<strong>it</strong>ario obbligatorio in con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> degenza ospedaliera, corredato dalla proposta me<strong>di</strong>ca motivata <strong>di</strong> cui all'ultimo comma dell'articolo 1 e dalla<br />

convalida <strong>di</strong> cui all'ultimo comma dell'articolo 2, deve essere notificato, entro 48 ore dal ricovero, tram<strong>it</strong>e messo<br />

comunale, al giu<strong>di</strong>ce tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune.<br />

Il giu<strong>di</strong>ce tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni e <strong>di</strong>sposti gli eventuali accertamenti, provvede<br />

con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provve<strong>di</strong>mento e ne dà comunicazione al sindaco. In caso <strong>di</strong><br />

mancata convalida il sindaco <strong>di</strong>spone la cessazione del trattamento san<strong>it</strong>ario obbligatorio in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> degenza<br />

ospedaliera.<br />

Nei casi in cui il trattamento san<strong>it</strong>ario obbligatorio debba protrarsi oltre il settimo giorno, ed in quelli <strong>di</strong> ulteriore<br />

prolungamento, il san<strong>it</strong>ario responsabile del servizio psichiatrico <strong>di</strong> cui all'articolo 6 è tenuto a formulare, in tempo<br />

utile, una proposta motivata al sindaco che ha <strong>di</strong>sposto il ricovero, il quale ne dà comunicazione al giu<strong>di</strong>ce tutelare,<br />

con le modal<strong>it</strong>à e per gli adempimenti <strong>di</strong> cui al primo e secondo comma del presente articolo, in<strong>di</strong>cando la ulteriore<br />

durata presumibile del trattamento stesso.<br />

Il san<strong>it</strong>ario <strong>di</strong> cui al comma precedente è tenuto a comunicare al sindaco, sia<br />

in caso <strong>di</strong> <strong>di</strong>missione del ricoverato che in continu<strong>it</strong>à <strong>di</strong> degenza, la<br />

cessazione delle con<strong>di</strong>zioni che richiedono l'obbligo del trattamento<br />

san<strong>it</strong>ario; comunica altresì la eventuale sopravvenuta impossibil<strong>it</strong>à a<br />

proseguire il trattamento stesso. Il sindaco, entro 48 ore dal ricevimento<br />

della comunicazione del san<strong>it</strong>ario, ne dà notizia al giu<strong>di</strong>ce tutelare.<br />

Qualora ne sussista la necess<strong>it</strong>à il giu<strong>di</strong>ce tutelare adotta i provve<strong>di</strong>menti<br />

urgenti che possono occorrere per conservare e per amministrare il<br />

patrimonio dell'infermo.<br />

La omissione delle comunicazioni <strong>di</strong> cui al primo, quarto e quinto comma<br />

del presente articolo determina la cessazione <strong>di</strong> ogni effetto del<br />

provve<strong>di</strong>mento e configura, salvo che non sussistano gli estremi <strong>di</strong> un del<strong>it</strong>to<br />

più grave, il reato <strong>di</strong> omissione <strong>di</strong> atti <strong>di</strong> ufficio.


Art. 4 Revoca e mo<strong>di</strong>fica del provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> trattamento san<strong>it</strong>ario obbligatorio.<br />

Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta <strong>di</strong> revoca o <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fica del provve<strong>di</strong>mento con il quale è stato <strong>di</strong>sposto o<br />

prolungato il trattamento san<strong>it</strong>ario obbligatorio.<br />

Sulla richiesta <strong>di</strong> revoca o <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fica il sindaco decide entro <strong>di</strong>eci giorni. I provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> revoca o <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fica<br />

sono adottati con lo stesso proce<strong>di</strong>mento del provve<strong>di</strong>mento revocato o mo<strong>di</strong>ficato. [...]<br />

Art. 6 Modal<strong>it</strong>à relative agli accertamenti e trattamenti san<strong>it</strong>ari obbligatori in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> degenza<br />

ospedaliera per malattia mentale.<br />

Gli interventi <strong>di</strong> prevenzione, <strong>cura</strong> e riabil<strong>it</strong>azione relativi alle malattie mentali sono attuati <strong>di</strong> norma dai servizi e<br />

presì<strong>di</strong> psichiatrici extra ospedalieri. [...]<br />

Art. 7 Trasferimento alle regioni delle funzioni in materia <strong>di</strong> assistenza ospedaliera psichiatrica.<br />

A decorrere dall'entrata in vigore della presente legge le funzioni amministrative concernenti la assistenza psichiatrica<br />

in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> degenza ospedaliera, già eserc<strong>it</strong>ate dalle province, sono trasfer<strong>it</strong>e, per i terr<strong>it</strong>ori <strong>di</strong> loro competenza,<br />

alle regioni or<strong>di</strong>narie e a statuto speciale.<br />

A decorrere dall'entrata in vigore della presente legge le regioni eserc<strong>it</strong>ano anche nei confronti degli ospedali<br />

psichiatrici le funzioni che svolgono nei confronti degli altri ospedali.<br />

Le regioni e le province autonome <strong>di</strong> Trento e <strong>di</strong> Bolzano programmano e coor<strong>di</strong>nano l'organizzazione dei presì<strong>di</strong> e<br />

dei servizi psichiatrici e <strong>di</strong> igiene mentale con le altre strutture san<strong>it</strong>arie operanti nel terr<strong>it</strong>orio e attuano il graduale<br />

superamento degli ospedali psichiatrici e la <strong>di</strong>versa utilizzazione delle strutture esistenti e <strong>di</strong> quelle in via <strong>di</strong><br />

completamento. Tali iniziative non possono comportare maggiori oneri per i bilanci delle amministrazioni provinciali.<br />

E' in ogni caso vietato costruire nuovi ospedali psichiatrici, utilizzare quelli attualmente esistenti come <strong>di</strong>visioni<br />

specialistiche psichiatriche <strong>di</strong> ospedali generali, ist<strong>it</strong>uire negli ospedali generali <strong>di</strong>visioni o sezioni psichiatriche e<br />

utilizzare come tali <strong>di</strong>visioni o sezioni neurologiche o neuropsichiatriche.


Il caso Nietzsche<br />

La malattia mentale ha trascinato uno dei massimi filosofi del secondo Ottocento, Friedrich Nietzsche (1844-1900), in<br />

una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> degrado psichico per molti anni della sua v<strong>it</strong>a. La follia si manifestò in lui nel 1889 per non<br />

abbandonarlo più e privarlo <strong>di</strong> luci<strong>di</strong>tà e forza sino alla morte.<br />

Sono stati posti una lunga serie <strong>di</strong> interrogativi sulle cause dell'insorgenza del male <strong>di</strong> Nietzsche. Tra le varie<br />

interpretazioni, è stata tenuta in forte considerazione l’ipotesi della sifilide come causa della sua malattia mentale. Non<br />

si hanno elementi certi, anche se lo stesso Nietzsche credeva <strong>di</strong> aver contratto una malattia venerea in una casa <strong>di</strong><br />

appuntamenti. È indubbio, comunque, che la con<strong>di</strong>zione fisica <strong>di</strong> Nietzsche, che è una costante <strong>di</strong> tutta la sua esistenza,<br />

abbia in qualche modo avuto influenza nel condurlo in uno stato <strong>di</strong> "crisi fisiologica". Se si aggiunge il fatto che nel<br />

1888, quand'era a Torino, egli si è sottoposto ad uno sforzo intellettuale enorme, si capisce anche come si sia verificata<br />

una decadenza fisica. Che sia, appunto, la "lue", la sifilide, l'origine <strong>di</strong> questa malattia, viene però messo in dubbio da<br />

stu<strong>di</strong>osi e da psichiatri. C'è chi sostiene la tesi che la malattia abbia influenzato il suo pensiero, e che il suo pensiero,<br />

cioè lo sforzo intellettuale, abbia avuto una forte importanza e un forte rilievo nel determinare una crisi fisica. Altri, tra<br />

cui specialisti in malattie nervose, affermano che Nietzsche è morto <strong>di</strong> paralisi progressiva del sistema nervoso a segu<strong>it</strong>o<br />

della contrazione della "lue". Un' ulteriore interpretazione ipotizza l'abuso <strong>di</strong> alcool e droghe leggere. Tutti questi<br />

elementi hanno si<strong>cura</strong>mente avuto un ruolo importante nel determinare la con<strong>di</strong>zione umana, fisica e mentale <strong>di</strong><br />

Nietzsche; risulta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile in<strong>di</strong>viduare in uno solo <strong>di</strong> essi la causa della sua malattia.<br />

A rigore, dunque, la follia segna la fine dell'attiv<strong>it</strong>à filosofica. Eppure, leggendo i biglietti che egli scrisse nei primi<br />

accessi del male, si ha l'impressione che la demenza fosse per lui la traduzione nella realtà della sua filosofia e, in<br />

qualche modo, il crollo del suo pensiero <strong>di</strong> fronte alla grandezza e all'ambizione della sua filosofia. Fatto sta che la<br />

follia non ha bloccato la filosofia <strong>di</strong> Nietzsche, ma, al contrario, essa ha contribu<strong>it</strong>o a determinare il suo pensiero, non<br />

conforme alla morale tra<strong>di</strong>zionale: Nietzsche parla <strong>di</strong> inversamento dei valori tra<strong>di</strong>zionali e propone la morale del più<br />

forte, del Superuomo. Impazzendo, Nietzsche, <strong>di</strong>venne il Superuomo: colui che poteva tollerare la catastrofe della morte<br />

<strong>di</strong> Dio e operare la trasvalutazione <strong>di</strong> tutti i valori, dando forma a una nuova uman<strong>it</strong>à, sciolta da tutte le antiche leggi<br />

morali e libera <strong>di</strong> danzare sul nulla.<br />

BIGLIETTI DI NIETZSCHE IMPAZZITO<br />

La follia si manifestò in Nietzsche fra gli ultimi giorni del 1888 e i primi del 1889, quando<br />

egli ab<strong>it</strong>ava a Torino. In una breve lettera del 31 Dicembre egli termina <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> non sapere<br />

più il suo in<strong>di</strong>rizzo e <strong>di</strong> fissare come prossima residenza il Quirinale (allora sede del re<br />

d'Italia): sembra una battuta scherzosa, ma è la prima manifestazione del delirio <strong>di</strong> grandezza.<br />

D'ora in poi il filosofo si firmerà Cesare, il Crocifisso, Dioniso: personal<strong>it</strong>à eroiche e<br />

gran<strong>di</strong>ose, com'è il Superuomo il cui avvento egli ha profetizzato. Nietzsche si è identificato<br />

ormai nel m<strong>it</strong>o che sorregge la sua opera.<br />

Secondo la <strong>di</strong>agnosi dello psichiatra, che lo vis<strong>it</strong>ò nell'Agosto 1900, Nietzsche avrebbe dato<br />

segni <strong>di</strong> «mania euforica, senza però <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> intelligenza», a partire dalla fine del settembre<br />

1888; mentre apparirebbero sospette «alcune parti del Crepuscolo degli Idoli, dell'Anticristo»<br />

e «ancor più l' Ecce homo». Al contrario, «tutti gli scr<strong>it</strong>ti e le manifestazioni <strong>di</strong> Nietzsche<br />

precedenti a questo periodo [settembre 1888] non hanno dato finora appiglio a <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong><br />

malattia mentale». Sembra che per Nietzsche <strong>di</strong>ventare folle abbia significato prendere alla<br />

lettera quello che prima era, nella sua opera, figura retorica. Ma questo non autorizza a<br />

sminuire la grandezza del suo pensiero: semmai, ne rivela il carattere tragico e il valore esistenziale profondo.<br />

da F.Nietzsche, Lettere, trad. Di A.Berti, Rizzoli, Milano-Roma, 1941


A Peter Gast.<br />

Torino, 31 Dicembre 1888<br />

Avete mille volte ragione! Mettete voi stesso in guar<strong>di</strong>a Fuchs... Del resto nell'Ecce homo troverete una pagina<br />

straor<strong>di</strong>naria in onore del Tristano e, in generale, dei miei rapporti con Wagner. Avendo avuto il coraggio <strong>di</strong> non<br />

lasciare alcun dubbio [circa il mio pensiero antiwagneriano] ho potuto avere anche quello <strong>di</strong> esaltare al massimo ciò<br />

che era buono.<br />

Ah, amico mio! Che momenti!... Quando mi arrivò la vostra cartolina, che stavo mai facendo?... Era il famoso<br />

Rubicone. Non so più il mio in<strong>di</strong>rizzo: poniamo che l'in<strong>di</strong>rizzo prossimo sia Palazzo Quirinale.<br />

N.<br />

Ad Augusto Strindberg.<br />

Tra poco tempo vi perverrà la mia risposta alla vostra novella: sarà come un colpo <strong>di</strong> fucile. Ho convocato a Roma una<br />

<strong>di</strong>eta <strong>di</strong> principi: voglio far fucilare il nostro giovano Kaiser.<br />

Arrivederci! Giacché ci rivedremo.<br />

Une seule con<strong>di</strong>tion: <strong>di</strong>vorçons.<br />

NIETZSCHE CAESAR.<br />

A Giorgio Brandes.<br />

Torino, 4-1-89<br />

All'amico Giorgio!<br />

Dopo che mi hai scoperto, trovarmi non era più gran che; ma ora viene il <strong>di</strong>fficile: tornarmi a smarrire...<br />

IL CROCIFISSO.<br />

A Peter Gast.<br />

Mio Maestro Pietro!<br />

Cantami una nuova canzone. Il mondo è trasfigurato e tutti i cieli gioiscono.<br />

A F.Burckhardt.<br />

Torino, ferrovia, 4-1-89<br />

IL CROCIFISSO.<br />

Torino, 4-1-89<br />

Ecco il piccolo scherzo per l'amor del quale <strong>di</strong>mentico la noia <strong>di</strong> aver creato il mondo. Ora voi siete – tu sei – il nostro<br />

grande maggiore Maestro: giacché io, con Arianna, non abbiamo che da essere l'aureo equilibrio delle cose: in ogni<br />

ramo vi è qualcuno al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> noi...<br />

DIONISO.<br />

A Franz Overbeck.<br />

7 Gennaio 1889<br />

All'amico Overbeck e consorte,<br />

Benché voi abbiate finora mostrato poca fiducia nella mia solvibil<strong>it</strong>à, spero <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>mostrare che io sono un tale che<br />

paga i suoi deb<strong>it</strong>i. P. es. Verrò da voi.<br />

Farò infatti fucilare tutti gli antisem<strong>it</strong>i...<br />

DIONISO.


Lo sguardo <strong>di</strong> Vincent Van Gogh<br />

Quando si parla <strong>di</strong> Van Gogh, ci si ricollega alla <strong>di</strong>cotomia genio-follia; in<strong>di</strong>cando in quest'ultima il motore della p<strong>it</strong>tura<br />

originale, unica dell'artista. Sono tante le ipotesi <strong>di</strong> malattia, tutte basate su ipotesi fatte a posteriori: chi prende spunto<br />

dalla biografia, parla <strong>di</strong> un incrudelirsi <strong>di</strong> una malattia venerea, la sifilide, o ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura <strong>di</strong> una possibile malattia<br />

ere<strong>di</strong>tata dal padre, oppure <strong>di</strong> schizofrenia, depressione, etc. Chi prende spunto dalla sua arte, vede nei suoi quadri<br />

spiraleggianti delle caratteristiche comuni a mille altri pazienti affetti da malattie degenerative del cervello. Con i mezzi<br />

attuali, ogni supposizione è possibile, perciò nessuna è unica e ver<strong>it</strong>iera. Ciò che è permesso <strong>di</strong>re, è che l'arte <strong>di</strong> Van<br />

Gogh è illuminante, e la sua figura, magra piccola e sol<strong>it</strong>aria nella carne, si staglia in realtà gigantesca e poderosa nella<br />

storia dell'arte e dei sentimenti umani.<br />

Nel 1889 Van Gogh, per sua scelta, viene ricoverato nell’asilo <strong>di</strong> Saint-Paul, una casa <strong>di</strong> <strong>cura</strong> presso Saint-Rémy, in<br />

Francia. In questo periodo cerca nel lavoro una via <strong>di</strong> guarigione, anche se gravi crisi interrompono la sua attiv<strong>it</strong>à. Egli<br />

<strong>di</strong>pinge dal vero l’ambiente circostante, r<strong>it</strong>rae se stesso, oppure copia alcune stampe <strong>di</strong> altri autori. Di questa<br />

produzione, si presentano tre tele in cui la follia è il soggetto esplic<strong>it</strong>o: un autor<strong>it</strong>ratto e due viste della casa <strong>di</strong> <strong>cura</strong>,<br />

dall’interno e dall’esterno.<br />

V.VAN GOGH, Autor<strong>it</strong>ratto<br />

Vincent Van Gogh, Autor<strong>it</strong>ratto. New York, Collezione J. A. Wh<strong>it</strong>ney.<br />

L’uomo che guarda da questo quadro è insieme un p<strong>it</strong>tore e un malato <strong>di</strong> mente ricoverato in una casa <strong>di</strong> <strong>cura</strong>. La prima<br />

ident<strong>it</strong>à è rivelata, come accade nelle tra<strong>di</strong>zione, dagli strumenti del mestiere: la tavolozza e i pennelli. La definizione<br />

della seconda ident<strong>it</strong>à è affidata invece ad elementi più complessi. Anz<strong>it</strong>utto l’aspetto fisico: il pallore, la magrezza, i<br />

capelli arruffati e la barba incolta; poi in modo più sottile, alcuni dati psicologici: lo sguardo, straor<strong>di</strong>nariamente fisso e<br />

intenso, e le scelte cromatiche, sia per il fondo cupo, reso più inquietante dalle stesse pennellate (tipiche <strong>di</strong> Van Gogh),<br />

sia per la luce verde ed acida che si riflette sul volto. Il <strong>di</strong>pinto sembra segnato anz<strong>it</strong>utto dalla violenza, sia nella scelta e<br />

nell’accostamento dei colori, sia nella linea del <strong>di</strong>segno, insieme vigorosa e tormentata.<br />

Il folle non ci si presenta qui solo come un uomo che visibilmente soffre, ma come qualcuno che ha in sé una forza<br />

<strong>di</strong>struttiva. In realtà questa <strong>di</strong>struzione non è scissa da un elemento costruttivo: Van Gogh, nonostante il male, <strong>di</strong>pinge e<br />

si r<strong>it</strong>rae come p<strong>it</strong>tore. L’io si nega e si afferma al tempo stesso: si nega perché la malattia mentale mina l’ident<strong>it</strong>à (come<br />

mostra anche il taglio dell’orecchio compiuto qualche mese prima), si afferma perché <strong>di</strong>venta l’artefice e il soggetto <strong>di</strong><br />

un’opera. Lo sfondo scuro, con il movimento circolare delle pennellate, sembra suggerire intorno al volto un’aureola <strong>di</strong><br />

sofferenza e <strong>di</strong> morte incombente, un segno <strong>di</strong> sant<strong>it</strong>à e <strong>di</strong> dannazione. Lo sguardo <strong>di</strong> Van Gogh, allucinato ed<br />

impenetrabile, sembra suggellare questa compresenza <strong>di</strong> opposti.<br />

La follia sembra provocarci e richiamarci al senso nascosto e terribile delle cose.


Vincent Van Gogh, Corridoio dell'asilo Saint-Paul. New York, Museum of Modern Art.<br />

V.VAN GOGH, Alberi davanti all’asilo Saint-Paul<br />

La facciata del manicomio Saint-Paul appare qui<br />

sopraffatta dagli alberi del giar<strong>di</strong>no che Van Gogh<br />

stesso definì, in una lettera al fratello, “desolato”. La<br />

vegetazione è una presenza minacciosa: le chiome<br />

sembrano richiudersi in una cupola che toglie luce e<br />

respiro. Il cielo vira ad un fosco cobalto o a un verde<br />

irreale. Anche la terra, con il suo marrone carico, in<br />

contrasto con i cespugli mutati in masse grevi <strong>di</strong> verde<br />

cupo, sembra accerchiarlo. Il manicomio è così<br />

completamente schiacciato. Le poche presenze umane<br />

(una donna con l’ombrello rosso, qualche uomo che<br />

passeggia) sono smarr<strong>it</strong>e e vinte dal gigantismo del<br />

paesaggio. La casa <strong>di</strong> <strong>cura</strong> non può <strong>di</strong>fendere i suoi<br />

osp<strong>it</strong>i dalla violenza della realtà circostante. Alla follia<br />

sembra alludere questo esplodere <strong>di</strong> forze naturali,<br />

inquietanti ed inarrestabili, alle quali l’uomo non può<br />

opporre nulla.<br />

V.VAN GOGH, Corridoio dell’asilo Saint-Paul<br />

E’questo l’interno del manicomio in cui Van Gogh era<br />

ricoverato.<br />

Due elementi lo caratterizzano: la profon<strong>di</strong>tà spaziale e il<br />

colore. La prospettiva è particolarmente spinta, tanto da<br />

trasformare il corridoio in un tunnel. La presenza umana,<br />

ridotta ad una piccola sagoma nera che si infila in una porta,<br />

acuisce il senso <strong>di</strong> smarrimento e sol<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne. Le aperture<br />

laterali, dopo l’arcone, suggeriscono un analogo<br />

prolungamento del corridoio lungo l’asse destra-sinistra. La<br />

casa <strong>di</strong> <strong>cura</strong> sembra così trasfigurarsi in un labirinto. La<br />

gamma dei colori è ristretta e vede un netto prevalere del<br />

giallo, forse il colore pre<strong>di</strong>letto dell’artista. Qui esso non ha<br />

tanto una sfumatura calda e solare, ma ossessiva ed acida<br />

(non a caso è accompagnato dal freddo del grigio-bianco e<br />

dell’azzurro e da un verde stridente). Da foto d’epoca,<br />

risulta che il luogo doveva essere piuttosto buio. La scelta<br />

<strong>di</strong> Van Gogh <strong>di</strong> immergerlo in una luce irreale ha dunque<br />

un valore espressivo: sottolinea una realtà insieme tangibile<br />

ed onirica dalla quale non si ha scampo.<br />

Il manicomio appare così come una prigione da incubo e<br />

come la traduzione fisica della malattia.<br />

Vincent Van Gogh, Alberi davanti all'asilo Saint-Paul. Los angeles, Armand Hammer Foundation.


Bibliografia<br />

Marchese/Grillini, Testi e percorsi della letteratura <strong>it</strong>aliana, vol.1: Dalle origini alla fine del Cinquecento, La<br />

Nuova Italia, Milano 2001<br />

Marchese/Grillini, Testi e percorsi della letteratura <strong>it</strong>aliana,<br />

vol.4: Il Novecento,<br />

La Nuova Italia, Milano 2001<br />

Luigi Pirandello, Enrico IV, E<strong>di</strong>zioni Il Cap<strong>it</strong>ello, Torino 1998<br />

M.C<strong>it</strong>roni, M.Labate, E.Narducci, Il libro <strong>di</strong> Letteratura latina, con antologia degli autori, E<strong>di</strong>tori Laterza,<br />

<strong>Bologna</strong> 1999<br />

John Rewald, Dopo l'impressionismo, Van Gogh, Gauguin e gli altri, Sansoni E<strong>di</strong>tore, Mlano 1995<br />

Giorgio Cricco/Francesco P.Di Teodoro, Itinerario dell'arte, Volume 3, Dall'età dei Lumi ai giorni nostri,<br />

Zanichelli, <strong>Bologna</strong> 1996<br />

G. W. F. Hegel, Enciclope<strong>di</strong>a delle scienze filosofiche in compen<strong>di</strong>o, Laterza, Bari 1963<br />

Giuseppe Cambiano/Massimo Mori, Le Stelle <strong>di</strong> Talete, Storia e testi della filosofia dell'età contemporanea,<br />

E<strong>di</strong>tori Laterza, Bari 2004<br />

Patrick McGrath, Asylum, Penguin Books, London, 1996<br />

Edgar Allan Poe, Racconti, Fratelli Fabbri E<strong>di</strong>tori, Milano 1969<br />

Ken Kesey, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Rizzoli, Milano 1976<br />

http://www.psicolinea.<strong>it</strong>/p_p/Franco_Basaglia.htm<br />

http://<strong>it</strong>.wikisource.org/wiki/Legge_180/1978

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