Cronologia (pdf) - Sandro Visca
Cronologia (pdf) - Sandro Visca
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<strong>Cronologia</strong>
CRONOLOGIA<br />
La seguente cronologia propone<br />
una parziale ricostruzione delle<br />
opere esposte nelle mostre di <strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong>. Sono antologizzati i testi dei cataloghi<br />
relativi alle mostre personali e per<br />
meglio comprendere l’attività di <strong>Visca</strong><br />
sono riportate parti di recensioni apparse<br />
su quotidiani, riviste e periodici.<br />
1944<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nasce il 19 settembre a<br />
L’Aquila.<br />
1951<br />
<strong>Visca</strong> inizia da bambino a dimostrare<br />
uno spiccato interesse per il disegno e<br />
la pittura e già a cinque anni passa le<br />
giornate a copiare paesaggi e a disegnare<br />
personaggi immaginari. A sette<br />
anni con “L’usignolo” (pastello su cartoncino<br />
Fabriano) vince un concorso<br />
regionale di disegno a tema promosso<br />
dalla scuola E. De Amicis dell’Aquila.<br />
1958<br />
Dopo aver frequentato le scuole medie,<br />
per decisione della famiglia, anche<br />
se controvoglia, si iscrive all’Istituto Tecnico<br />
per Geometri, ma le sue attenzioni<br />
rimangono sempre vive per il mondo<br />
dell’arte e dedica quasi tutto il suo<br />
tempo alla pittura.<br />
1961<br />
Intraprendente e di forte personalità il<br />
giovane <strong>Visca</strong> a diciassette anni allestisce<br />
, dall’1 al 20 settembre, la sua prima<br />
mostra personale alla Sala Eden<br />
dell’Aquila, allora luogo di incontro e<br />
scambio intellettuale della città. Espone<br />
“Barattoli”, “Strumenti musicali”, “Paesaggio”,<br />
“Marina”, “Campagna romana”,<br />
“Paese”, “Pesca al trabocco”, “Fiori”, “Autunno”,<br />
“Chimica”, “Cantiere”. In questo<br />
periodo conosce Fulvio Muzi, il pittore<br />
più autorevole della città, e i fratelli Nicola<br />
e Fracescangelo Ciarletta con i<br />
quali, nonostante il divario di età, stringe<br />
una profonda amicizia. Dopo aver<br />
frequentato malvolentieri per due anni<br />
l’Istituto Tecnico per Geometri, malgrado<br />
il disappunto dei suoi genitori, decide<br />
di iscriversi alla Scuola d’Arte che in<br />
quell’anno è riconosciuta Statale. Durante<br />
gli studi si distingue per il vivace<br />
impegno profuso ad un rinnovamento<br />
tecnico artistico delle materie professionali,<br />
ma soprattutto si fa notare nel disegno<br />
e nel laboratorio metalli-oreficeria.<br />
In quegli anni il suo insegnante di<br />
figura disegnata, Giuseppe Desiato, diventato<br />
in seguito uno dei più autorevoli<br />
esponenti della body-art in Europa,<br />
lo sceglie insieme ad altri artisti aquilani<br />
per formare il “Gruppo 5”.<br />
Spinto dalla sua intensa attenzione per<br />
la pittura, si reca a Roma per visitare la<br />
prima mostra personale di Rothko allestita<br />
alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.<br />
In quell’occasione, per la prima<br />
volta, prende visione dei primi “sacchi”<br />
di Burri che, nonostante le forti polemiche<br />
in corso, lo lasciano profondamente<br />
emozionato.<br />
1962<br />
Dall’1 al 30 aprile <strong>Visca</strong> rappresenta la<br />
sua Scuola alla Terza mostra d’arte dello<br />
studente, sezione pittura, al Palazzo<br />
delle Esposizioni a Roma. Espone “Villaggio”<br />
(smalti sintetici su tavola). La<br />
mostra è a cura del «Giornale D’Italia».<br />
- Partecipa alla Prima mostra nazionale<br />
“Giuseppe Casciaro” al Circolo Artistico<br />
Politecnico di Napoli. Espone “Nudo”<br />
(vernici e smalti su carta). 18/24 aprile.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla “Mostra del disegno<br />
aquilano” alla Sala Eden dell’Aquila.<br />
Espone “Nudo n. 1” (inchiostro su<br />
carta), “Composizione di figure” (inchiostro<br />
su carta). La mostra è a cura<br />
della Società Universitaria di Cultura<br />
dell’Aquila. 27 maggio / 10 giugno.<br />
- Nel giugno del 1962 è selezionato<br />
per la Biennale nazionale del disegno<br />
“Premio Recoaro Terme” ed espone “Figure<br />
n. 1” (inchiostro e tecnica mista<br />
su cartoncino Fabriano, cm. 50x70),<br />
“Figura n. 2” (inchiostro e tecnica mista<br />
su cartoncino Fabriano, cm. 50x70),<br />
“Figura n. 3” (inchiostro e tecnica mista<br />
su cartoncino Fabriano, cm. 50x70) insieme<br />
agli artisti V. Adami, F. Casorati,<br />
G. Capogrossi, F. Gentilini, E.Greco, P.<br />
Guccione, R. Guttuso, G. Morandi, E.<br />
Morlotti, B. Saetti, T. Zancanaro, E. Scanavino<br />
ed altri.<br />
- È invitato alla mostra “Premio l’Unità”<br />
al Circolo della Stampa, Palazzo Pomponi<br />
di Pescara. Espone “Nudo” e gli<br />
viene conferito un premio. Nel catalogo<br />
della mostra il testo è di Nerio Rosa.<br />
- Partecipa alla Prima Mostra Regionale<br />
di Arti Figurative al Centro Sociale Giovanile<br />
di Avezzano. Espone “Nudo di<br />
26 27 28 29<br />
ragazza” (tecnica mista su tavola),<br />
“Torso maschile” (tecnica mista su tavola)<br />
e gli viene conferito un premio.<br />
In questo anno per <strong>Visca</strong> è sicuramente<br />
di notevole spessore formativo la Prima<br />
Rassegna Internazionale “Alternative<br />
attuali” Omaggio a Burri, allestita al<br />
Forte Spagnolo dell’Aquila da Antonio<br />
Bandera ed Enrico Crispolti che in seguito<br />
diventeranno suoi estimatori.<br />
Questa importante Rassegna insieme<br />
alle altre che seguiranno, forti delle<br />
presenze degli artisti nazionali e internazionali<br />
più importanti del momento,<br />
riescono ad aprire a <strong>Visca</strong> un orizzonte<br />
nuovo al di la dei confini di una città<br />
provinciale come L’Aquila e a dargli così<br />
la possibilità di capire con più lucidità<br />
e chiarezza la realtà artistica del momento.<br />
<strong>Visca</strong> nei primi anni sessanta è<br />
sostenuto con l’acquisto di opere da<br />
suo zio Niclo Allegri, di Torino, che in<br />
quegli anni era uno dei più importanti<br />
e conosciuti collezionisti italiani del secondo<br />
periodo futurista. Con lui, in occasione<br />
di alcuni viaggi a Roma, conosce<br />
Laura ed Enrico Crispolti, Filiberto<br />
Menna e Ferdinando Bologna che nella<br />
valutazione critica delle sue opere manifestano<br />
lusinghieri apprezzamenti e<br />
valide considerazioni per il suo futuro.<br />
1963<br />
- <strong>Visca</strong> partecipa alla Quarta mostra<br />
d’arte dello studente, sezione pittura, al<br />
Palazzo delle Esposizioni a Roma.<br />
Espone “La fine dopo la morte” (tecnica<br />
mista su carta, cm. 100x136). La<br />
mostra è a cura del «Giornale D’Italia»<br />
in collaborazione con il Centro Nazionale<br />
per le Mostre d’Arte in Italia e all’estero.<br />
16 febbraio / 15 marzo.<br />
- È presente alla Prima Mostra del Piccolo<br />
Formato a Sulmona.<br />
- Partecipa alla Quarta Mostra Regionale<br />
di Arti Figurative al Forte Spagnolo<br />
dell’Aquila. Espone “Nudo” e “Figura”.<br />
21 aprile / 23 maggio.<br />
- A settembre, alla galleria Verrocchio<br />
di Pescara, con l’opera “Disastro sangue”<br />
vince insieme a Gerardo Lizza il<br />
primo premio ex equo L’Unità “Omaggio<br />
a Toto”.
- Partecipa alla mostra “Sette pittori<br />
aquilani” alla Sala Eden dell’Aquila.<br />
Espone “Da un brivido di luce”, “Disastro<br />
sangue”. Settembre.<br />
- È invitato alla Mostra Nazionale del<br />
Piccolo Formato a Campo di Giove.<br />
Espone “Momento in corsa”, “Momento<br />
automobilistico”. 3 novembre 1963 / 8<br />
gennaio 1964.<br />
1964<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, alacremente impegnato<br />
nella ricerca pittorica, nel 1964 inizia a<br />
realizzare una serie di opere con materiali<br />
cartacei di recupero, stoffe, stracci, vinavil,<br />
smalti, ferri saldati ed altri elementi.<br />
- Partecipa alla mostra “10 Pittori d’Abruzzo”<br />
al Centro Artistico della Gioventù<br />
Italiana a Genova. Espone “Disastro<br />
sangue - Attraversando una strada<br />
bianca” (tecnica mista su tavola, cm.<br />
97x127) “Oltraggio”, “Momento N. 1”,<br />
“Momento N. 2”, “Momento N. 3”.<br />
14/25 marzo.<br />
- <strong>Visca</strong> insieme a Giuseppe Desiato,<br />
Ennio Di Vincenzo, Marcello Mariani e<br />
Giuseppe Pappa partecipa alla mostra<br />
“Gruppo 5” allo spazio espositivo Gran<br />
Derby di San Benedetto del Tronto.<br />
Espone “Pensando”, “Momento 1964”<br />
(tecnica mista su carta, cm. 50x70),<br />
“Disastro C-45” (acrilici e smalti su carta,<br />
cm. 139x88), “Attraversando una<br />
strada” (tecnica mista su carta, cm.<br />
50x70) “Momento-paura” (tecnica mista<br />
su carta, cm. 50x70). 20 maggio /<br />
5 giugno.<br />
- È invitato alla mostra “Abruzzo in<br />
cammino” a Pescara. Espone “Tutto il<br />
mondo”, “Da una finestra”. Nel catalogo<br />
i testi sono di Maurizio Calvesi e<br />
Nello Ponente. 3/14 giugno.<br />
- È invitato al Premio Sulmona delle Arti<br />
al Palazzo dell’Annunziata di Sulmona.<br />
Espone “Colpe di desideri” (tecnica<br />
mista, cm.100x90). Settembre.<br />
- Il primo novembre apre con oltre<br />
quaranta opere la mostra personale<br />
“<strong>Visca</strong>” al Salone del Grand Hotel et du<br />
Parc dell’Aquila suscitando una forte disapprovazione<br />
da parte del pubblico<br />
locale.<br />
«<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è il giovane<br />
che accetta la scelta; quest’ultima tessuta<br />
sul filo di una ricerca di valori umani.<br />
Il suo modulo pittorico si delinea, inconfondibilmente,<br />
dal ‘61: la visione è<br />
espressionistica. La figura umana è volutamente<br />
disgregata, decomposta nei<br />
suoi elementi; da vaste chiazze cromatiche<br />
zampillano sensazioni crude. Sono<br />
per lo più reazioni impresse gestualmente,<br />
senza tregua, ma sempre ricondotte<br />
ad una problematica di racconto,<br />
di situazione, di momento umano, di<br />
tragico evento. Il materiale giunge dagli<br />
organi di informazione — specie dalla<br />
stampa — e <strong>Visca</strong> non toglie nulla della<br />
comunicativa iniziale; semmai rielabora<br />
l’interrogativo che ha motivato — ma<br />
non spiegato — il disastro o la tragedia.<br />
Se la realtà si è manifestata mediante<br />
l’inchiostro nero di una fotografia stampata<br />
sul lucido di una carta patinata di<br />
settimanale a grande tiratura, sarà il ritaglio<br />
della foto a giostrare nel quadro.<br />
Nulla varrà a rendere più vibrante, scottante<br />
— e perciò meglio accessibile — il<br />
problema.<br />
Una foto come scelta quindi e il riproponimento<br />
soggettivo dell’accaduto nell’opera<br />
compiuta. In un certo senso,<br />
l’artista funge da trait d’union tra fatto<br />
originario e reazioni che lo stesso suscita<br />
nell’uomo. Tom Wesselmann, stralciando<br />
elementi di insegne pubblicitarie<br />
e riproponendoli, non si comporta diversamente.<br />
L’esperienza del collage, nata da una<br />
necessità di racconto il più ancorato<br />
possibile alla realtà, acquista, nei primi<br />
mesi del ’63, una consistenza più spiccatamente<br />
materica che delinea all’orizzonte<br />
possibilità di ricerca in direzione<br />
Neo-Dada. È un lavoro che ricorda<br />
Schwitters, i grandi collage Merz. Ma qui<br />
la materia non ha valore di rifiuto come<br />
nei Merz e denota piuttosto una impossibilità<br />
ad agire di fronte all’evidenza.<br />
Nei cicli — il lavoro si inquadra su un<br />
unico problema che interessa di volta in<br />
volta un incidente stradale, un disastro<br />
aereo, una tragedia in miniera ecc. —<br />
compaiono gli stracci, il nailon, i legni.<br />
Nel gruppo dedicato a tragedia in miniera<br />
— sei enormi cartoni sui quali so-<br />
no state scavate delle finestre — il collage<br />
racconta, strozzato, attimo per attimo,<br />
la tragedia umana. È il frutto della<br />
cronaca che giunge rapida da ogni angolo<br />
della terra, è l’onda del respiro<br />
umano che impregna l’aria e la rende<br />
respirabile solo in funzione del grido disperato<br />
degli uomini vittime della loro<br />
stessa società.<br />
L’atto di sfiducia è manifesto. La crisi interessa<br />
la società, l’uomo contemporaneo.<br />
<strong>Visca</strong> si rende conto che la battaglia deve<br />
essere condotta con l’uomo. È il ciclo<br />
delle crocifissioni. Ogni opera diviene<br />
la sintesi di uno dei cicli precedenti:<br />
un momento si tradurrà nella frantumazione<br />
interiore e nella ricostruzione<br />
esteriore dell’uomo colpevole. Ne scaturisce<br />
un nuovo racconto, una nuova<br />
realtà figurativa; il tema religioso è in<br />
secondo ordine: le 14 stazioni del Calvario<br />
di Cristo sono 14 momenti umani<br />
carichi di dolore, di sensazioni, di reazioni<br />
a catena; una nuova presenza dell’uomo.<br />
È ancora una ricerca condotta con il collage,<br />
il colore è vivo — quanto i problemi<br />
—, scola e si allarga in macchie; il<br />
segno è pulito e brillante e incide tangibilmente<br />
una storia umana rivissuta fino<br />
allo spasimo.<br />
La figura però (bruciata, dilaniata, cristallizzata)<br />
accenna a dissolversi: è il gusto<br />
per la materia, la contemplazione della<br />
plasticità della stessa (un nuovo interrogativo<br />
di fronte alla realtà?), della necessità<br />
di una nuova componente spaziale,<br />
della composizione.<br />
<strong>Visca</strong> ascolta in silenzio, avverte una<br />
pulsazione umana: è la sua stessa presenza<br />
che comunica e che scaturisce<br />
dall’opera che egli stesso ha forgiato,<br />
con i materiali che ha scelto».<br />
(Emidio Di Carlo, “Incontri Presenze” 30<br />
Anni di pittura e scultura a L’Aquila, Edizioni<br />
c.c.3 m. Testo tratto dalla presentazione<br />
al catalogo della mostra personale<br />
“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” al Grand Hotel et<br />
du Parc, L’Aquila, 1/15 novembre<br />
1964).<br />
Terminati gli studi, anche per una crescente<br />
incompatibilità con l’ambiente<br />
30 31 32<br />
aquilano, <strong>Visca</strong> decide di lasciare la<br />
sua città e si trasferisce a Roma dove<br />
lavora anche come grafico per una società<br />
americana, fino alla fine del<br />
1967.<br />
1965<br />
- <strong>Visca</strong> partecipa alla Mostra Collettiva<br />
sulla Resistenza al Circolo Culturale<br />
Aquilano dell’Aquila. Espone “Momento”<br />
(tecnica mista). I testi nel catalogo<br />
della mostra sono di Ferdinando Bologna,<br />
Nicola Ciarletta, Enrico Crispolti e<br />
Giorgio Di Genova. 23 aprile / 10<br />
maggio.<br />
- Partecipa alla mostra “Omaggio a Pirandello”<br />
al Centro Culturale Tre Marie<br />
dell’Aquila. Espone “Di momento in<br />
momento mutano le illusioni” (tecnica<br />
mista su tela, cm. 80x60). La mostra è<br />
patrocinata dal Teatro Stabile dell’Aquila.<br />
3 maggio / 6 giugno.<br />
- È invitato alla Mostra Nazionale D’Arte<br />
Contemporanea di San Benedetto<br />
del Tronto. Espone “Momento” (tecnica<br />
mista su tavola, cm. 108x141). 25<br />
aprile / 15 giugno.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato al Secondo Premio<br />
Sulmona delle Arti al Palazzo dell’Annunziata<br />
di Sulmona. Espone “Momento<br />
X-65”.<br />
1966<br />
In questi ultimi anni la situazione artistica<br />
abruzzese è andata sempre più<br />
peggiorando e nella regione gli artisti<br />
sono divisi in due schieramenti.<br />
Ciò a causa del controllo che alcuni<br />
gruppi più influenti riescono ad esercitare<br />
sugli enti delle singole città. Tale<br />
stato di cose ha fatto sì che non potesse<br />
avere luogo quel ricambio di forze<br />
che ci si era auspicati ai fini di uno sviluppo<br />
culturale più democratico della<br />
Regione Abruzzo. Per questi motivi in<br />
contrapposizione alla Biennale Aquilana,<br />
nasce la Rassegna “Realtà figurativa<br />
d’Abruzzo” e <strong>Visca</strong> insieme ad un<br />
gruppo di artisti ne diventa uno dei<br />
promotori più vivaci.<br />
- Partecipa alla mostra “Realtà figurativa<br />
d’Abruzzo” al Palazzo Bonanni dell’Aquila.<br />
Espone “La sposa” (tecnica mista
su tela, cm. 110x130), “Pensiero di un<br />
personaggio innamorato” (vernici acriliche<br />
e sintetiche su tela, cm. 70x100),<br />
“Norma” (tecnica mista su tavola, cm.<br />
50x70), “Crocifissione” (vernici acriliche<br />
e sintetiche su tela, cm. 70x100). 17<br />
settembre / 18 ottobre.<br />
In occasione della mostra “Realtà figurativa<br />
d’Abruzzo” Remo Brindisi acquista<br />
le opere di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>: “La sposa”<br />
(tecnica mista su tavola, cm.<br />
110x130) e “Crocifissione” (vernici acriliche<br />
e sintetiche su tela, cm. 50x70)<br />
per destinarle al Museo Alternativo “R.<br />
Brindisi” di Lido di Spina, Ferrara. In seguito<br />
farà parte della collezione del<br />
Museo anche l’edizione di grafica “Per<br />
un ligamento d’amore” (contenitore in<br />
legno, con inserto originale cucito sul<br />
coperchio, contenente tre serigrafie su<br />
alluminio satinato stampate in tiratura<br />
limitata da 1 a 50 (formato cm.<br />
60x60x6,5).<br />
- A ottobre è invitato al Terzo Premio<br />
Sulmona delle Arti al Palazzo dell’Annunziata<br />
di Sulmona. Espone “Momento”.<br />
1967<br />
- Il primo gennaio <strong>Visca</strong> apre la mostra<br />
personale al Palazzo Cappelli dell’Aquila.<br />
Espone quasi cento opere di piccolo<br />
formato, tra disegni e cartoni dipinti a<br />
tecnica mista.<br />
Nel catalogo il testo è di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
e Emidio Di Carlo.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “La nuova<br />
situazione dell’arte in Abruzzo”, Luco<br />
Dei Marsi - Pescara. Espone “Pensiero<br />
di un personaggio innamorato” (vernici<br />
acriliche e sintetiche su tela, cm.<br />
70x100), “Personaggio che pensa”<br />
(vernici sintetiche su tela, cm. 70x100).<br />
Nel catalogo i testi sono di Giorgio<br />
Tempesti e Margherita Abruzzese. Aprile/maggio.<br />
- In agosto è invitato alla mostra “Proposte<br />
uno” al Palazzo del Liceo di Avezzano.<br />
Espone “Donna in scatola” (struttura<br />
in legno dipinto, tecnica mista e<br />
luce, cm. 50x7x80), “Regina in scatola”<br />
(struttura in legno dipinto, tecnica mista<br />
e luce, cm. 50x7x80). Nel catalogo<br />
i testi sono di Maurizio Calvesi, Giuseppe<br />
Gatt, Filiberto Menna, Achille Bonito<br />
Oliva, Margherita Abruzzese, Giorgio<br />
Tempesti, Cesare Vivaldi, Alberto Boatto,<br />
Marisa Volpi Orlandini, Nicola Pagliaro.<br />
- È invitato al Primo Premio Città di<br />
Penne. Espone “Regina con fiori” e gli<br />
viene assegnato il premio acquisto dell’E.P.T.<br />
di Pescara. 21/27 agosto.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla Rassegna della<br />
Pittura Italiana Contemporanea –<br />
Omaggio a Spazapan – Aspetti della<br />
Pittura in Abruzzo alla galleria Arte<br />
d’Oggi di Pescara. Espone “Donna in<br />
scatola” (struttura in legno dipinto, tecnica<br />
mista e luce cm. 50x7x80). 7/27<br />
ottobre.<br />
1968<br />
Nel 1968, sollecitato dalle insistenti<br />
pressioni di Giuseppe Misticoni che lo<br />
vuole come docente nel suo Liceo Artistico<br />
<strong>Visca</strong>, anche se con molti dubbi,<br />
decide di lasciare Roma e si trasferisce<br />
a Pescara dove nella Sezione Accademia<br />
del Liceo Artistico gli viene assegnata<br />
la cattedra di Discipline pittoriche.<br />
A Pescara, lontano dai meccanismi del<br />
potere della critica e del mercato dell’arte,<br />
trova la misura operativa consona<br />
alla sua esigenza di essere e di esistere<br />
fuori da tutti gli schemi condizionanti<br />
del sistema e con forte determinazione<br />
elegge la città rivierasca a sua<br />
dimora.<br />
In questo periodo conosce Antonio<br />
Bandera che si interessa al suo lavoro<br />
con molta attenzione. L’assidua frequentazione<br />
del critico giornalista del<br />
terzo programma culturale della Rai<br />
porterà <strong>Visca</strong> a consolidare le sue posizioni<br />
politiche in rapporto al suo lavoro<br />
e soprattutto a individuare con più attenzione<br />
le scelte operative per i progetti<br />
futuri. La loro amicizia rimarrà solida<br />
e duratura fino alla scomparsa di<br />
Antonio Bandera che avviene nel 1975.<br />
- Dal 7 all’11 aprile partecipa alla mostra<br />
“Variazioni pittoriche su un tema<br />
xerografico” al Salone del Grand Hotel<br />
e del Parco a L’Aquila. Il curatore della<br />
mostra è Mario Falli.<br />
- È invitato al 2° Premio Città di Penne.<br />
Espone “Ragazza con fiori” e gli viene<br />
assegnato il secondo premio assoluto.<br />
La mostra è a cura di Remo Brindisi e<br />
Aleardo Rubini. 19 agosto / 8 settembre.<br />
- Lo stesso anno partecipa alla mostra<br />
“Premio Europa 68” a Milano.<br />
- In dicembre è invitato al “Premio San<br />
Fedele”, per giovani artisti italiani, presso<br />
la galleria San Fedele di Milano.<br />
Espone “Personaggio” (vernici sintetiche<br />
e acriliche su tela, cm. 70x100)<br />
1969<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, artista versatile in campi<br />
diversi di attività e di ricerca, come collaboratore<br />
artistico del Teatro Stabile<br />
dell’Aquila, in occasione della XXIV Festa<br />
del Teatro a San Miniato, realizza le<br />
scene di Alberto Burri per lo spettacolo<br />
“L’avventura di un povero cristiano” di<br />
Ignazio Silone. Regia di Valerio Zurlini,<br />
musiche di Mario Zafred direttore dell’Opera<br />
di Roma.<br />
In questa circostanza l’incontro con<br />
Burri si tramuta in una vera amicizia<br />
tanto che, anche per la passione che li<br />
accomuna per la caccia, si frequentano<br />
in lunghe settimane venatorie sia in<br />
Umbria che sulle montagne d’Abruzzo.<br />
Nonostante Burri sia un uomo schivo e<br />
pieno di quel riserbo tipico degli umbri,<br />
spesso invita <strong>Visca</strong> nella sua casa studio<br />
di montagna immersa tra secolari<br />
boschi di castagni. In questa grande<br />
casa dall’arredamento rastremato e<br />
quasi francescano, <strong>Visca</strong> trascorre con<br />
Burri molti pomeriggi a parlare di pittura<br />
e di tecniche di caccia. Qualche volta<br />
Burri si fa aiutare da <strong>Visca</strong> a stendere<br />
dei fondi di vernice su alcune sue<br />
opere in corso di esecuzione. Nel 1978<br />
<strong>Visca</strong> realizza un interessante servizio<br />
fotografico su Burri.<br />
- <strong>Visca</strong> partecipa alla Prima Mostra Nazionale<br />
di Pittura e Grafica “Città di<br />
Lanciano” e gli viene conferita la coppa<br />
del sottosegretario alla P.I. Sen. V. Bellisario.<br />
33 34 35<br />
- È invitato al 3° Premio Città di Penne<br />
al Chiostro di San Domenico. Espone<br />
“La sposa” (tecnica mista su tela, cm.<br />
80x100). 21 settembre / 15 ottobre.<br />
- È invitato al 6° Premio Sulmona delle<br />
Arti al Palazzo dell’Annunziata di Sulmona.<br />
Espone “Personaggio”. 14 dicembre<br />
/ 6 gennaio 1970.<br />
- È presente alla mostra “Colore d’Abruzzo”<br />
al Palazzo del Comune di Calascio.<br />
1970<br />
Sono di quest’anno le prime sculture di<br />
pezza cucite con materiali tessili e polivalenti<br />
che espone per la prima volta,<br />
dal 10 al 21 marzo, nella mostra personale<br />
alla galleria Arte d’Oggi di Pescara.<br />
Nel catalogo il testo è di Nicola<br />
Ciarletta.<br />
«Intanto, mi piace per l’invenzione<br />
figurale e per quel nitore estremo<br />
dell’esecuzione: qualità, quest’ultima,<br />
che ravviva l’invenzione quanto più la<br />
cela, facendola apparire a poco a poco<br />
all’occhio indugiante.<br />
Si tratta, infatti, di variazioni su un tema<br />
dato – ho qui, sul tavolo, le fotografie di<br />
alcune variazioni sul tema della dama di<br />
cuori –: l’invenzione, quindi, consiste<br />
nel dettaglio (una pupilla prende la forma<br />
del cuore; il colore del cuore cambia<br />
dal rosso al verde, come un semaforo<br />
stradale; i ricami d’un corsetto<br />
trovano un assetto tale, che il corsetto<br />
finisce per rassomigliare al volto della<br />
persona che l’indossa), e il dettaglio, di<br />
necessità, ambisce a farsi scoprire. Dunque,<br />
il nitore dell’esecuzione è qui la via<br />
obbligata per una scoperta lenta e furtiva.<br />
Ma, ecco, già vado dicendo ciò che<br />
m’interessa. La scoperta lenta e furtiva<br />
non è altro che il focalizzarsi dell’attenzione,<br />
la quale, come si focalizza, fa diventare<br />
il dettaglio più importante dell’intero.<br />
È proprio quello che si cerca in una variazione<br />
su tema. Vorrei dire, valendomi<br />
di una frase famosa di Picasso, che qui<br />
si fa in modo che si trovi prima ancora<br />
di cercare. Trovare, ora questo ora quel<br />
particolare, che forma il tessuto can-
giante della metamorfosi: trovarlo senza<br />
cercarlo, in virtù d’una semplice ostinazione<br />
degli occhi.<br />
Intanto, questa matissiana dama di cuori,<br />
che a volte appare tra le lame ingigantite<br />
di un tagliasigari – sorta di ghigliottina<br />
che sta per tagliarle il collo a<br />
rocchetto – è un oggetto: è una pupazza.<br />
(Non più pupazza, del resto, di certe<br />
donne di Picasso: ricordate quella che<br />
ha per cappellino un piatto con le stoviglie<br />
sopra?).<br />
<strong>Visca</strong> sa, da moderno, che l’uomo oggi<br />
(e per uomo – non serve dirlo – s’intende<br />
anche la donna) è «reificáto», è<br />
diventato cioè mutuabile con gli oggetti<br />
che adopera. (Questa mutuabilità dell’uomo<br />
con l’oggetto ha avuto il suo primo<br />
raffiguratore – mi si perdoni l’insistenza<br />
– in Picasso). Ma <strong>Visca</strong> sa pure<br />
che in antico un artista figurativo era<br />
considerato un fabbricante di oggetti, e<br />
che assai lunga è stata la sua strada per<br />
arrivare ad essere considerato – alla pari<br />
con i poeti – un imitatore (e cioè, se<br />
si rifletta, un interprete) dell’azione<br />
umana (la quale richiede sviluppo e<br />
movimento). È, dunque, sulla base di<br />
questo doppio ordine di consapevolezze,<br />
che <strong>Visca</strong> giunge a concepire (ed è<br />
chiaro che in lui confluiscono le istanze<br />
delle varie tendenze che sono in giro:<br />
pop, op e via dicendo) la pittura, che è<br />
visione (e vorrebbe esserlo di azioni<br />
umane), come teatro, che è ed è sempre<br />
stata visione (lo denuncia la parola<br />
stessa), proponendosi fin dalla sua origine<br />
di rendere presenti e visibili delle<br />
azioni umane già compiute. Talché, a<br />
un certo punto, le variazioni della pupazza<br />
di cuori diventano vere pupazze<br />
di stoffa, e, «montate» in posizioni varie<br />
e tra oggetti vari (fotoréclames, mobili e<br />
stesse loro immagini originarie), vengono<br />
fotografate ed esibite di seguito, l’una<br />
dopo l’altra. Ne può risultare un effetto<br />
caricaturale e allucinatorio, alla Godard<br />
(il regista cinematografico più vicino<br />
alle origini del teatro).<br />
No, non chiamerei Bay a modello: Bay<br />
è malizioso, non teatrale. Però consiglierei<br />
a <strong>Visca</strong> di dedicare maggior cura alla<br />
scelta dei mobili (specie le sedie), che<br />
– a parer mio – devono essere verissi-<br />
mi quanto più veri possibile e offerti all’uso<br />
consueto, ma tanto veri appunto,<br />
da sembrare delle misteriose finzioni,<br />
mentre le pupazze – afflitte come dei<br />
saltimbanchi in riposo – crescono nel<br />
caricamento iperbolico della loro realtà».<br />
(Nicola Ciarletta, Quello che m’interessa<br />
nella produzione di <strong>Visca</strong>..., presentazione<br />
nel catalogo della mostra personale<br />
“<strong>Visca</strong>” alla galleria Arte D’Oggi di<br />
Pescara, 10/21 marzo 1970).<br />
«Non si può parlare più di pittura senza<br />
che il termine investa i valori più disparati,<br />
da quelli sociali ed estetici, a quelli<br />
più propriamente compositivi, armonici<br />
quindi e soggetti a modificarsi per meglio<br />
centrare il punto emozionale legato<br />
molto spesso alla casualità. Di fronte alla<br />
pittura di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> si affollano<br />
nella mente nomi e situazioni che non<br />
possono, tuttavia, costituire un confronto<br />
ma appena una analogia. Un segno<br />
così elementare, come risulta dagli<br />
schizzi e dai quadri, non può che essere<br />
carico di esperienze rivissute al limite<br />
delle problematiche più ardue. Nicola<br />
Ciarletta esclude il nome di Baj, parla di<br />
Picasso – ma per inciso –, poi ci torna<br />
su. Gli è sfuggito Klee, probabilmente,<br />
ma ha capito <strong>Visca</strong> e ciò che egli intende<br />
dire con le sue “pupazze” proposte<br />
prima su tela, poi costruite e collocate<br />
in uno spazio dove, strano a dirsi, sembrano<br />
sopraffatte dalle loro matrici incorniciate<br />
e tendono a rientrarvi, quasi<br />
le sedie, il tavolo, il leggio, tutto quanto<br />
è stato predisposto per loro, fosse inutile<br />
e superfluo, eliminato dal contesto<br />
del discorso volenterosamente avviato<br />
su due piani e poi tornato ad essere<br />
unidimensionale. Si tratta, in definitiva,<br />
di un tema variato e vario, non monotono,<br />
estremamente elegante, a volte bizantino.<br />
Vi è, nel fondo, una certa irrisione<br />
della realtà, smorzata dalla tristezza<br />
dei pupazzi veri, autentici Golem svitalizzati<br />
o sagome afflosciate in un museo<br />
delle cere non refrigerato a sufficienza.<br />
I merletti, i bottoni, le dorature e<br />
le argentature, insieme al simbolo del<br />
cuore posto negli occhi, nella bocca,<br />
sulle gote, ai piedi: tutto un materiale<br />
che fa pensare a un Matthew-Gregory<br />
Lewis divenuto pittore con qualche secolo<br />
di ritardo e passato attraverso il<br />
vento di certa spensierata liricità dei<br />
tempi tranquilli. La trovata, poi, di far<br />
entrare in scena – e diciamo scena in<br />
senso teatrale, perché (e concordiamo<br />
con Ciarletta) la mostra si predispone e<br />
qualifica in forma “recitativa” – due giovani<br />
donne col volto dipinto come le<br />
“pupazze” che nell’angolo della Galleria<br />
“fanno salotto”, e averle vestite, magari<br />
più sobriamente, dei loro doppi, è una<br />
forma di rivincita sulla unidimensionalità.<br />
Lo spazio, in tal modo, è risultato<br />
occupato, qualcosa si è mosso, è scattata<br />
la molla dell’happening contenuto<br />
nel limite consentito dall’ambiente. Anche<br />
<strong>Visca</strong> gioca la sua parte tra le sue<br />
opere. A suo agio nel mondo che ha<br />
creato, gioca sul tema scoperto con<br />
stoffe e colori in attesa di passare dalla<br />
stanza che si trova nello specchio in<br />
quella dimensionale della realtà, magari<br />
inventata».<br />
(Benito Sablone, Galleria d’Oggi: <strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong>, «NAC», Milano, 1 aprile).<br />
- Il 3 ottobre apre la mostra “<strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong>” alla galleria Il pozzo di Città di<br />
Castello dove espone sculture di pezza,<br />
tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti.<br />
Nel catalogo della mostra il testo<br />
è di Lamberto Giancarli.<br />
- Dal 24 al 31 ottobre apre la mostra<br />
“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” alla galleria Zodiaco di<br />
Assisi. Espone sculture di pezza, tele dipinte<br />
a tecnica mista e cartoni dipinti.<br />
Nel pieghevole della mostra il testo è<br />
di Lamberto Giancarli.<br />
- In gennaio partecipa al “Premio Torino”<br />
a Torino.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Immagini<br />
del nostro tempo” al Museo della<br />
scienza e della tecnica di Milano. Espone<br />
“Personaggio”. 22/31 maggio.<br />
- È presente alla mostra “Artisti contemporanei”,<br />
Presenze abruzzesi 1970, a<br />
Ortona dei Marsi. Espone “Personaggi”<br />
(tecnica mista su tela, cm. 120x100).<br />
13/23 agosto.<br />
- Partecipa alla mostra “Arte 70 a Calascio”<br />
al Palazzo del Comune di Calascio,<br />
14 agosto / 5 settembre.<br />
36 37<br />
38 39<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla 24 a Mostra Nazionale<br />
F.P. Michetti a Francavilla al mare.<br />
Espone “La sposa” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 120x100), “Ritratto di un personaggio<br />
che pensa” (tecnica mista su<br />
tela, cm. 100x120), “Personaggi 70”<br />
(tecnica mista su tela, cm. 120x100),<br />
“Personaggio” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 100x120). La mostra è a cura di<br />
Marcello Venturoli. 1 agosto / 1 settembre.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato al 4° Premio Città di<br />
Penne al Chiostro di San Domenico di<br />
Penne. Espone “Personaggio”. Il testo in<br />
catalogo è di Giammario Sgattoni. 30<br />
agosto / 27 settembre.<br />
- Partecipa alla mostra “Bazar” alla galleria<br />
Poliantea di Terni. 12 dicembre<br />
1970 / 3 gennaio 1971.<br />
- In dicembre è presente alla Mostra<br />
Nazionale di Pittura e Grafica al Palazzo<br />
Suffoletta di Roccaraso.<br />
1971<br />
- Il 18 maggio si inaugura alla Saletta<br />
Filippo Palizzi di Vasto la mostra personale<br />
“<strong>Visca</strong>”. Espone tele dipinte a tecnica<br />
mista e disegni.<br />
«Un personaggio, un personaggio-uomo<br />
o un personaggio-donna<br />
che siano e rimangano tali, non l’astratta<br />
idealità che rincorra magari un passato<br />
evanescente, ma s’appunti piuttosto<br />
sull’incombenza del presente, il suo urgere<br />
come attitudine emozionale: ecco<br />
il tema delle opere di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, via<br />
via attuate all’interno di quel processo<br />
di assestamento visivo dove i dipinti attuali<br />
restano immagine ed emblema<br />
dell’arabesco della vita: le figure che si<br />
stagliano sui fondi opachi e s’intrecciano<br />
come parole nella traccia illusoria<br />
dello spazio sembrano risalire le maree<br />
del tempo fino ad assumere le cadenze<br />
di un’inquieta esperienza esistenziale.<br />
Non è, questo, il vorticoso grafismo che<br />
avvolge e svolge il personaggio svagato<br />
sulla tela come l’ombra di un silenzio?<br />
Non sono le foglie che si fanno cuori<br />
disegnati su tronchi immaginari? Il cuore;<br />
un sogno strano di sudore e di salmastro,<br />
forse emaciato come uno sfatto<br />
acquarello. Nel colore che varia si sente
il recupero alla sua parvenza meno labile.<br />
Lo spazio viene ridotto a filigrana, il<br />
tessuto materico ondeggia la sua mimica<br />
di ritmo fra la splendente vivacità tonale.<br />
La mostra punta dunque sul personaggio,<br />
e quale che sia: anche una<br />
sposa dal pensiero lontano (“una sposa<br />
orientalizzante impettita di fiori d’argento”,<br />
annotava Giammario Sgattoni). Anche<br />
una figura femminile può mantenere<br />
una sua icasticità, magari calata fra i<br />
simboli del moderno meccanismo tecnologico,<br />
in un’accostamento ironico,<br />
semmai, ma riscattato dai misteri caotici<br />
di quella perfezione di vita, e verso una<br />
bellezza fredda e poetica».<br />
(Aleardo Rubini, testo nel pieghevole<br />
della mostra personale “<strong>Visca</strong>” alla Saletta<br />
Filippo Palizzi di Vasto, 18/30 maggio<br />
1971).<br />
- L’1 giugno apre la mostra personale<br />
“<strong>Visca</strong>” al Centro Santelmo di Salò.<br />
Espone una serie di sculture di pezza<br />
insieme a tele dipinte a tecnica mista e<br />
cartoni dipinti. Nel catalogo il testo è di<br />
Benito Sablone.<br />
- Il 10 luglio apre la mostra personale<br />
“<strong>Visca</strong>” al Museo Civico di Penne. Espone<br />
tele dipinte a tecnica mista, cartoni<br />
dipinti e strutture polimateriche. Nel<br />
pieghevole della mostra il testo è di<br />
Aleardo Rubini.<br />
- In aprile partecipa alla mostra<br />
“Omaggio alla resistenza” al Palazzo<br />
del Liceo di Avezzano.<br />
- È presente al Premio Nazionale “Bice<br />
Bugatti” a Nova Milanese, Milano.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato al 13° Premio Vasto a<br />
Vasto.<br />
- È invitato alla XXV Mostra Nazionale<br />
F.P. Michetti a Francavilla al mare.<br />
Espone “Trittico con nuvoletta d’oro”<br />
(tecnica mista su tela cm. 170x132),<br />
“Personaggio compresso” (tecnica mista<br />
su tela, cm. 70x150) e due sculture:<br />
“Personaggio con appendice nera”<br />
(stoffe cucite e imbottite in poliuretano,<br />
cm. 85x230), “Personaggio” (stoffe cucite<br />
e imbottite in poliuretano, cm.<br />
50x245). Nel catalogo della mostra i<br />
testi sono di Umberto Russo, Luigi Marcucci,<br />
Carlo Barbieri, Luigi Lambertini.<br />
31 luglio / 1 settembre.<br />
«Dal gusto delle rappresentazioni<br />
lineari e sintetiche, <strong>Visca</strong> è giunto<br />
a dare un contenuto non più estetizzante<br />
alle sue «figure» che parlano, ormai,<br />
un linguaggio maturo, ironico e complesso<br />
di cui il colore e il segno, il decorativo<br />
e il floreale (non ci si spaventi<br />
dei due termini) altro non sono che<br />
l’eccentrico alfabeto. L’evidenza della<br />
maturità dell’artista sta nel fatto che egli<br />
è riuscito a svincolarsi dalle «invenzioni»,<br />
da quelle continue «trasformazioni»,<br />
cioè che sono il limite di coloro (e sono<br />
tanti) che non riescono a parlare senza<br />
aver prima ascoltato altre voci, a scrivere<br />
senza aver letto una pagina d’altri, a<br />
dipingere senza aver «assorbito» — quasi<br />
sempre mentalmente — le soluzioni<br />
di chi veramente opera nell’arte e ne<br />
intende senza equivoci la funzione dinamica<br />
nella civiltà. A me pare che gli<br />
emblemi di <strong>Visca</strong>, nel loro ripetersi e<br />
nel loro variare (ma nel variare non fanno<br />
che arricchirsi, diventano sempre più<br />
se stessi) siano veramente esemplari<br />
perché irridono il mondo, mettono in<br />
imbarazzo lo spettatore — altri direbbe il<br />
fruitore, ma per dei «personaggi» il termine<br />
spettatore si addice meglio —,<br />
funzionano da revulsivo nei confronti<br />
del conformismo — e del conformista —<br />
che talvolta ostenta perfino la logora etichetta<br />
dell’avanguardia borghese.<br />
La verità è che queste pupazze non vogliono<br />
essere prese sul serio e minacciano<br />
continuamente di ribellarsi al suo<br />
stesso creatore per la forte carica ironica<br />
che posseggono: diventano, così, anche<br />
estremamente serie e drammatiche:<br />
ma di rimbalzo, in un secondo<br />
tempo, dopo che hanno fatto tabula rasa<br />
d’ogni residuo mito estetico. Perché,<br />
in definitiva, la «pupazza» è l’anti mito<br />
che si colloca nella nicchia vuota per<br />
mostrarci che la divinità non c’è mai<br />
stata o è sostituibile, oppure è da cercare<br />
altrove, magari dietro la candida e divertita<br />
ostentazione sessuale o il freddo<br />
cuore di stagnola dorata.»<br />
(Benito Sablone, testo nel pieghevole<br />
della mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”<br />
al Centro D’Arte Santelmo di Salò, 1 /<br />
18 giugno 1971).<br />
- Partecipa alla mostra “Il giornale nell’arte”<br />
alla libreria Niccoli di Pescara<br />
promossa dall’Associazione della Stampa<br />
Pescarese e gli viene conferito il riconoscimento<br />
della Gazzetta del Popolo<br />
di Torino. 4/12 settembre.<br />
- Partecipa alla mostra “Carnemolla –<br />
Marletta – Paolinelli – <strong>Visca</strong>“ alla galleria<br />
Nuova dimensione di Pescara.<br />
- In agosto è presente alla Prima Rassegna<br />
di pittura e Grafica a Santo Stefano<br />
di Sessanio. Espone “Personaggio<br />
compresso” (tecnica mista su tela, cm.<br />
70x150).<br />
- Partecipa alla mostra “Calascio 71” al<br />
Palazzo Civico di Calascio. 1/22 agosto.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla V Mostra d’Arte<br />
“Città di Penne” al Chiostro San Domenico<br />
di Penne. Espone “Personaggio<br />
con cuore d’oro” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 70x100) e una scultura polimaterica.<br />
5/30 settembre.<br />
1972<br />
In questo periodo, sempre collaboratore<br />
artistico del Teatro Stabile dell’Aquila,<br />
entra in contatto con Carmelo Bene che<br />
produce alcuni suoi spettacoli con il<br />
T.S.A. e inizia tra loro una frequentazione<br />
di profonda familiarità insieme a Gino<br />
Marotta, Luciano Fabiani, Federico<br />
Fiorenza, Paolo Scipioni e altri cultori<br />
del Teatro.<br />
Nel 1971/1972 il giovane Andrea Pazienza<br />
si iscrive alla Sezione Accademia<br />
del Liceo Artistico Statale di Pescara dove<br />
incontra <strong>Visca</strong> che è titolare della<br />
cattedra di Figura Disegnata. L’atteggiamento<br />
provocatorio del giovanissimo<br />
Pazienza nei confronti di <strong>Visca</strong> è subito<br />
così pungente che, anche per l’affetto e<br />
la stima che gli porta, diventerà la motivazione<br />
forte per la realizzazione di centinaia<br />
di caricature e storie esilaranti. Il<br />
protagonista dei disegni realizzati da Pazienza<br />
tra il 1971 ed il 1973 diventa il<br />
suo insegnante ed è proprio a questo<br />
biennio che risalgono le prime storie disegnate<br />
da Pazienza su <strong>Visca</strong>, con alcune<br />
eccezioni risalenti agli anni successivi<br />
che testimoniano un rapporto tra i due<br />
che non si è mai interrotto nel tempo,<br />
come dimostrano le brevi apparizioni su<br />
40 41 42 43<br />
Pentothal e Zanardi. Infatti sono di questi<br />
anni le prime storie sceneggiate<br />
“Don Viscotte della Mancia”, “Visco Little”,<br />
“Visk8 il polizziotto” e tante altre.<br />
Dall’archivio Pazienza risulta che <strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong> è stato il personaggio reale più disegnato<br />
da Andrea Pazienza.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla 1 a Mostra Nazionale<br />
“Arte d’Oggi” alla galleria Arte<br />
d’Oggi di Pescara e gli viene conferito<br />
un premio acquisto per l’opera “Personaggio<br />
all’italiana”. 30 gennaio / 20<br />
febbraio.<br />
- È presente alla Mostra del Centro G4<br />
di Teramo. Espone “Esorcismo per una<br />
pioggia nera” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 100x120).<br />
- Partecipa al “Premio Borgosesia” a<br />
Vercelli.<br />
- È presente ad una mostra di autori<br />
contemporanei alla galleria “Diomedea”<br />
a Termoli. 24 giugno / 20 luglio.<br />
- È invitato alla 1 a Rassegna Internazionale<br />
“Aspetti dell’Arte Contemporanea”<br />
a Montesilvano. Espone “Esorcismo per<br />
un malefizio d’amore” (cartone dipinto,<br />
cm. 70x100). 22 agosto / 5 settembre.<br />
- Partecipa alla Collettiva di pittura al<br />
Centro d’Arte “Il Cubo” di Lanciano. 26<br />
novembre / 10 dicembre.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato da Lorenza Trucchi alla<br />
mostra “Estensione 72” alla Casa del<br />
Mantegna di Mantova. Espone “Nascita<br />
di un personaggio” (tecnica mista su<br />
tela, cm. 100x120), “Malefizio per una<br />
pioggia nera” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 100x120). 20 novembre / 5 dicembre.<br />
- Il 24 luglio apre la mostra personale<br />
“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” al Centro Culturale Nuova<br />
Dimensione di Pescara. Espone<br />
strutture polimateriche, tele dipinte a<br />
tecnica mista e cartoni dipinti.<br />
«Dal 24 giugno tiene cartello<br />
presso gli eleganti locali del Centro Culturale<br />
“Nuova Dimensione” di Pescara<br />
la personale di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>.<br />
Vernice affollatissima la sera del 24 giugno.<br />
Presenti tutti i pittori pescaresi e<br />
molti colleghi convenuti dalle altre città<br />
abruzzesi. Tra la nutrita schiera di aquilani,<br />
Luciano Fabiani, Commissario Gover-
nativo dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.<br />
Personale impegnatissima quella attuale<br />
di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, con opere che erano<br />
destinate a gallerie piemontesi e lombarde<br />
e che fortunate coincidenze di lavoro<br />
dell’artista hanno permesso agli<br />
abruzzesi di veder riunite tutte insieme<br />
in una personale destinata a segnare,<br />
non solo per <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, un momento<br />
magico per l’arte figurativa in Abruzzo.<br />
E moduli simbolici e magici pervadono<br />
tutta la rassegna.<br />
A ventotto anni <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> rompe di<br />
nuovo il ritmo di una produzione già felicemente<br />
affermata e, evidenziando<br />
profonde e sofferte ricerche, oggettivizza<br />
e anticipa alcuni motivi-base, certamente<br />
destinati a generalizzarsi nell’uso<br />
e nel costume.<br />
Alla base, quindi, anche di questa stagione<br />
artistica del giovante artista aquilano,<br />
il tentativo di imbrigliare la crisi<br />
dell’uomo contemporaneo e di offrirgli<br />
un’ancora, un motivo, una giustificazione.<br />
Certo nell’attuale stadio della produzione<br />
di <strong>Visca</strong> sia i tempi della crisi, sia la<br />
soluzione prospettata, diventano chiari<br />
per pochi nonostante l’uso di accorgimenti,<br />
come l’incorniciatura grezza dei<br />
pezzi e la riproposizione dei moduli<br />
simbolici in elegantissime teche. Su tutta<br />
la produzione è evidente la tensione<br />
dell’artista a rendere il monologo chiaro<br />
sia per i critici sia per la massa. Ma al<br />
primo impatto con le opere esposte appare<br />
chiaro che, per ora, solo il primo<br />
obiettivo è stato felicemente raggiunto.<br />
Risultato, comunque, da non sottovalutare,<br />
anzi.<br />
A ventotto anni, quindi, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> ha<br />
ulteriormente verticalizzato e culturalizzato<br />
il suo messaggio artistico, cogliendo<br />
immediati consensi. Del resto, nonostante<br />
la giovane età, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> ha<br />
alle spalle un lungo cammino artistico e<br />
quello attuale è solo un “momento” di<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> pittore.<br />
[...]<br />
Sono quindi oramai lontani i tempi in<br />
cui <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, giovanissimo, affidava<br />
ad un messaggio personale il compito<br />
di illustrare la sua visione del mondo.<br />
Nell’attuale elegantissimo catalogo l’illustrazione<br />
della produzione è affidata a<br />
pezzi tratti da vari singolarissimi testi:<br />
“Dalla Magia naturalis di Giambattista<br />
Della Porta”, da “Jeannot, Livre de colportage”,<br />
dai “Segreti magici raccolti dal<br />
Cousin”, da “Etteila, citato da René<br />
Schwaebré”, da “M. Tiers, 172”, da “Le<br />
Loyer, 830”, da “Tract des superst. M.<br />
Thiers, t. I, 366, 367”, ecc.<br />
L’elencazione non spaventi, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>,<br />
come sempre, ama l’umanità, cerca<br />
di capirla, cerca di renderla con l’eleganza<br />
e la perizia consueta; come un tempo<br />
non lontano amò disgregarla per ricomporla;<br />
come un tempo non lontano<br />
amò sondarla per capirla.<br />
Quindi anche l’attuale ricerca non è fine<br />
a se stessa, come un tempo non era fine<br />
a se stessa la ricerca che lo portò al<br />
ciclo delle “crocifissioni”, come successivamente<br />
la ricerca lo portò al modulo<br />
ricorrente della donna stilizzata — la<br />
donna <strong>Visca</strong> – come primavera, del segno<br />
e del colore, come fonte prima, ultima,<br />
perenne dell’esistenza».<br />
(Fausto Ianni, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> a Pescara, «L’Aquilasette»,<br />
L’Aquila, 6 luglio 1972, p. 2).<br />
«Se <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> potesse, sono<br />
certo che sarebbe felice di portarsi a<br />
spasso, di animare, in una teoria caricaturale<br />
e allucinatoria della nostra umanità,<br />
quelle sue pupazze di stoffa con i<br />
corsetti e le pupille piene di cuori merletti<br />
e bottoni, con stampata sul volto la<br />
fissità crudele dei fantocci-dei (divinitàfantoccio)<br />
della nostra società tecnologica,<br />
con la sfinita tristezza di esseri sbigottiti<br />
di esistere, con la tragicità ridicola<br />
e ironica dell’uomo d’oggi che, condizionato<br />
dalla società dei consumi, si riveste<br />
solo dei segni dell’esteriorità e<br />
perciò si ripropone ogni volta drammaticamente<br />
simile a se stesso e agli altri,<br />
spersonalizzato, ridotto al ruolo di manichino.<br />
Farli muovere, con al guinzaglio i neri<br />
cuori di pezza in libertà condizionata;<br />
toglierli dalla loro statica fissità per avere<br />
il disegno preciso, la rappresentazione<br />
della nostra umanità, come <strong>Visca</strong> chiaramente<br />
la intende. Ecco, so che il pittore<br />
aquilano — da 4 anni operante a Pesca-<br />
ra — aspirerebbe a questo magico sbocco<br />
della sua fatica come a culmine artistico<br />
e umano. Lo so perché ho colto<br />
questa sua aspirazione liberatoria e inconscia<br />
in un album di fotografie, nel<br />
suo studio-deposito, dietro il mercato<br />
coperto, a due passi da casa mia, a poche<br />
decine di metri dalla Galleria Nuova<br />
Dimensione, dove ora espone la sua<br />
più recente produzione.<br />
Entrare nello studio di <strong>Visca</strong> è come<br />
mettere piede in un luogo sacro dissacrato.<br />
Le finestre sono tutte sbarrate e<br />
c’è, nelle stanze, umore fresco, silenzio<br />
ombroso illuminato dal lampeggiare dei<br />
colori vividi dei quadri, dallo sciabolare<br />
freddo e crudele degli occhi delle pupazze<br />
che ti guardano da ogni dove, appoggiate<br />
alle pareti come statue demistificate<br />
di santi nelle sacrestie. L’atmosfera<br />
è possessiva; è interiore e allucinatrice<br />
quel tanto da indurti alla confidenza,<br />
cordiale, aperta, senza reticenze.<br />
Ed è proprio sfogliando un album di fotografie<br />
che scopro ciò che futile scherzo<br />
non è, ma l’inconscia segreta aspirazione<br />
di <strong>Visca</strong> ad animare i suoi personaggi:<br />
riprodurre, per una ironia disincantata<br />
e liberatrice, sui volti veri della<br />
moglie Vanna e dell’amica di lei Carla,<br />
la maschera delle sue pupazze. E scopro,<br />
prima ancora che, sul filo delle sue<br />
parole, possa io dipanare il senso e gli<br />
intenti della sua arte, come in questo<br />
sogno estremo <strong>Visca</strong> affidi il magico significato<br />
di un ritorno dell’uomo alla libertà<br />
di essere se stesso, di caratterizzarsi,<br />
di rifarsi individuo distinto.<br />
È questa una libertà cui <strong>Visca</strong> mira e si<br />
avvicina anche attraverso tutto il processo<br />
tecnico evolutivo della sua operazione<br />
artistica. Così, prima, l’immagine è<br />
soltanto dipinta sulla superficie della tela;<br />
poi, acquista dimensioni di scultura<br />
cui la sostanza che la compone — la<br />
stoffa — dona movenze, morbidezza e<br />
flessibilità umane. Il valore emblematico<br />
pupazzo-uomo è evidente, come chiara<br />
è la volontà, per liberare l’uomo, di<br />
enucleare il manichino dalla fissità statica<br />
delle due dimensioni facendolo vivere<br />
fuori della cornice immergendolo in<br />
una dimensione più umana, quella spaziale<br />
del movimento. Un movimento<br />
44 45 46<br />
che sia completo, autonomo, possibile<br />
solo per effetto di una magia che <strong>Visca</strong><br />
né altri potranno mai compiere, ma alla<br />
quale il pittore si potrà affidare con la<br />
speranza, la stessa che è riposta nella<br />
simbologia dei suoi cuori e che ora lo<br />
porta a indagare nel mondo oscuro e<br />
palpitante delle credenze magico animistiche<br />
della nostra società, in quel mondo<br />
irrazionale di presentimenti, dove<br />
l’uomo pare possa trovare un ultimo, sicuro<br />
rifugio e il cuore, solo questo, riprendere<br />
il sopravvento e rifarsi protagonista.<br />
Il cuore, i cuori di <strong>Visca</strong> tornano così,<br />
anche se prigionieri di una teca-reliquiario<br />
rappresentando ogni atto della magia<br />
solo una evasione religiosa dell’uomo<br />
moderno e non un riscatto e, nello<br />
stesso tempo, avendo valore di preziosi<br />
ex voto per quella sorta di grazia che il<br />
cuore ha ricevuto in questo suo nuovo<br />
recupero. E tornano, questi simboli, incombenti<br />
nell’attività artistica di <strong>Visca</strong>,<br />
con tutta la forza del loro valore emblematico,<br />
che è elemento esso stesso di<br />
magia. Dal ‘64 che li troviamo in ogni<br />
suo quadro: cuori soli, piccoli, smisurati,<br />
come foglie o pioggia in serie, moltiplicati,<br />
rossi, neri, verdi, nelle pupille dei<br />
personaggi a parlare un linguaggio crudele,<br />
o fissati sui corsetti per il recupero<br />
di un sentimento, o legati al pupazzo<br />
da un lungo cordone ombelicale a dirci<br />
che non ne possiamo fare a meno; e<br />
tutti, tutti questi cuori, ripetuti, spezzettati,<br />
dipinti o di pezza, altro non rappresentano<br />
che un pezzetto della dimensione<br />
umana, simboleggiano le nostre<br />
difficoltà a vivere senza sentimenti, sono<br />
la misura di una fiducia di <strong>Visca</strong> nella<br />
salvezza sua e dell’uomo. Sempre.<br />
Questo cuore, <strong>Visca</strong> se lo porta dall’infanzia.<br />
Il suo recupero attuale è recupero<br />
culturale della sua terra: di certi umori,<br />
di certa poesia popolare, della dimensione<br />
umana della sua gente. Ma è<br />
anche recupero della infanzia, in maniera<br />
direi totale, di leggende e sortilegi<br />
che riempiono oniricamente le lunghe<br />
serate d’inverno vissute da bambino a<br />
L’Aquila. Così come alla sua infanzia, alle<br />
bambole di pezza della sorella, deve<br />
la forma delle sue pupazze di stoffa; e
170<br />
1974<br />
“Ideazione per un personaggio enigmatico”<br />
(Azione e Fotografia)
171
alla inconscia presenza di un suo disegnare,<br />
nell’età infantile, si rifanno i loro<br />
colli a rocchetto, le facce gonfie di luna,<br />
gli occhi crudeli, i segni schematizzati e<br />
ingenui dei volti. Una semplicità, un<br />
candore, una schiettezza da inesperienza<br />
inconscia, non voluta. A 4, 5, 6 anni<br />
doveva essere più smaliziato; come sapiente,<br />
accorto e padrone dei suoi mezzi<br />
pittorici è stato prima del ‘64, nel periodo<br />
delle crocifissioni.<br />
È certo notevole la presenza attuale<br />
nell’arte di <strong>Visca</strong> di esperienze infantili,<br />
di elementi di un mondo che danno un<br />
candido vigore poetico alla sua produzione<br />
e la stemperano delle inevitabili<br />
durezze polemiche per la condizione<br />
dell’uomo nella società consumistica. La<br />
campana del gioco del “c’è” è lì, nella<br />
struttura compositiva di buona parte dei<br />
suoi quadri; i bottoni e le madreperle<br />
della madre, con i quali giocava da<br />
bambino, sono finiti sui corsetti delle<br />
pupazze, messi a cerchi concentrici come<br />
quelli graffiti con il gesso dei piccoli<br />
scolari sulla lamiera arrugginita di una<br />
vecchia via dell’Aquila e che tanto lo<br />
colpirono con gli altri segni misteriosi di<br />
una ancestrale manifestazione grafica. E<br />
ancora, la crudeltà tipica dell’infanzia<br />
trasferita negli occhi cattivi dei suoi personaggi;<br />
il cucire i vestiti alle bambole<br />
della sorella Mariacristina, che rivive nella<br />
realizzazione delle pupazze, nei suoi<br />
cuori trapunti a macchina, nei merletti e<br />
pizzi cuciti sui corpetti, o ai bordi dei zinali;<br />
come le perline e gli spilli e gli<br />
abatini contro il malocchio tornati sotto<br />
forma di simboli magici nelle teche in<br />
cui <strong>Visca</strong> ha rinchiuso quel suo cuore,<br />
che è cuore della sua infanzia ma anche<br />
della sua terra. Perché non si perda».<br />
(Pasquale Scarpitti, I cuorimagia di <strong>Visca</strong>,<br />
“Il mezzogiorno”, Pescara, 8 luglio<br />
1972, p. 20).<br />
- Partecipa alla Mostra d’Arte Moderna<br />
alla galleria “Il pozzo” di Città di Castello.<br />
16 dicembre 1972 / 8 gennaio<br />
1973.<br />
1973<br />
- La mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”<br />
apre il 18 gennaio alla galleria Pace di<br />
Milano.<br />
Espone quasi cento opere tra sculture<br />
di pezza, strutture polimateriche, tele<br />
dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti.<br />
L’8 febbraio la stessa mostra personale<br />
di Milano è replicata alla galleria Pacedue<br />
di Torino. Le due mostre sono presentate<br />
in catalogo con lo stesso testo<br />
di Lucio Fraccacreta, sociologo della<br />
Fondazione Agnelli.<br />
«1. Se è vero che alcune ultime<br />
esperienze interdisciplinari potrebbero<br />
costituire lezioni utili per l’interpretazione<br />
del significato contestuale di<br />
un’opera d’arte figurativa, è pure vero<br />
che mancano le occasioni nelle quali<br />
metterle a disposizione per il confronto<br />
reciproco con i sistemi di verifica correnti.<br />
Perché, allora, l’opera di <strong>Visca</strong> sembra<br />
poter anche rappresentare un’occasione<br />
di questo tipo? A quali condizioni prossime<br />
future, l’opera di <strong>Visca</strong> potrebbe<br />
polarizzare l’attenzione di esperti di settori<br />
diversi?<br />
Di fatto, questa elezione dell’artista pittore<br />
e delle opere figurative a luogo privilegiato<br />
di riscoperta e sperimentazione<br />
per nuove scienze, si è già verificata<br />
una volta. Alle origini della psicoanalisi,<br />
Freud ha scoperto il mondo interno dell’uomo<br />
proprio nell’artista: fino al punto<br />
di immaginare, a sua volta, ipotetici sogni<br />
di Leonardo da interpretare poi con<br />
la psicoanalisi.<br />
Da un altrettanto ipotetico parallelismo<br />
tra le ricerche sull’evoluzione prospettiva<br />
della situazione socioculturale contemporanea,<br />
da un lato, e le ricerche<br />
nell’arte figurativa, dall’altro, si ricava<br />
una discriminante comunque significativa.<br />
La discriminante tra pittori che, oggi,<br />
segnalano “solo” la fine di un’era socioculturale,<br />
e gli “altri”: quelli che perseguono<br />
una ricerca volta o a scoprire<br />
i modelli occulti, impliciti, del linguaggio<br />
e a tradurre in codici le esperienze<br />
da trasmettere sul futuro sistema umano;<br />
o a prevedere, per anticiparli ades-<br />
so, i sistemi di esperienza e conoscenza<br />
futuri.<br />
<strong>Visca</strong> sembra essere tra questi ultimi; o,<br />
meglio, tra i primi “altri”.<br />
2. Sarebbe fuori tema, in questa sede,<br />
costruire per l’opera di <strong>Visca</strong> un’interpretazione<br />
del suo significato contestuale<br />
(un’interpretazione ricavata dal<br />
riferimento all’evoluzione socioculturale<br />
contemporanea ed al ruolo dell’arte figurativa).<br />
In <strong>Visca</strong> autore c’è però probabilmente<br />
l’intenzione di presentare la propria<br />
opera nello “shopping center” di oggi;<br />
quasi come se questa sua opera provenisse<br />
dall’estrema periferia di un impero<br />
la cui tecno-logia verticale fosse tale da<br />
provocare ai suoi margini interni il distacco<br />
di isole neomedievali. Isole personali,<br />
cioè, nelle quali la concentrazione<br />
del semi-isolamento è in parte coatta<br />
ed in parte vocazionale. Semi-isolamento,<br />
infine, nel quale la condizione<br />
psico-culturale è in qualche senso quella<br />
di una specie particolare di parapsicologia<br />
e di magia: quelle ricavate dal<br />
ritorno autoimplosivo del più occulto<br />
subconscio “regionale” (originariamente<br />
non periferico), smosso in profondità<br />
dai sommovimenti che gli epicentri “civili”<br />
provocano nel sottosuolo collettivo.<br />
In questo senso, dunque, può essere<br />
estremamente significativo valutare anche<br />
l’opera di <strong>Visca</strong> in funzione del<br />
contesto socioculturale dell’arte figurativa.<br />
Proprio perché <strong>Visca</strong> appare quasi<br />
come un “barbaro” che conduce la sua<br />
conquista – la propria opera –, appunto<br />
nel centro del sisma nel quale l’opera<br />
dev’essere agita e proclamata come<br />
conquista.<br />
3. Nella pittura contemporanea la linea<br />
d’evoluzione lungo la quale passa il “ritorno<br />
alla magia”, è quella stessa che<br />
dovrebbe forse essere chiamata della<br />
scoperta del mondo interno-uomo. Al<br />
momento in cui Freud teorizzò il “disagio<br />
della civiltà”, corrispose nella pittura<br />
la fuga dalla realtà, che condusse alcuni<br />
pittori, attraverso l’astrazione progressiva,<br />
altrove.<br />
Con Mondrian scompaiono le figure<br />
che rappresentano gli oggetti e le situazioni<br />
del mondo reale.<br />
47 48 49<br />
Con De Chirico comincia l’apparizione,<br />
la scoperta delle figure del mondo interno.<br />
Da quel momento cresce l’acquisizione<br />
sul nuovo linguaggio con cui si<br />
viene rappresentando il mondo dell’inconscio<br />
individuale e delle masse: nel<br />
1943 ormai si parla di “visione magica<br />
della vita”, e pittori come Pollock,<br />
Rothko, Tobey e gli altri dell’espressionismo<br />
astratto USA, sono consapevoli<br />
perfettamente delle origini che precedono<br />
di venticinque anni i loro temi di<br />
lavoro.<br />
4. Il linguaggio magico di <strong>Visca</strong> tradisce<br />
origini meno databili e più remote:<br />
quindi più sotterranee e meno autoconsapevoli.<br />
Il medium culturale di <strong>Visca</strong> è<br />
però più diretto e coerente con le proprie<br />
origini, di quanto non lo fosse la filiazione<br />
dalla cultura europea per gli<br />
espressionisti astratti USA.<br />
D’altronde l’opera di <strong>Visca</strong> impone molti<br />
rinvii “colti” al sistema di conoscenza<br />
occidentale contemporaneo. Vi si può<br />
osservare, infatti, una complessa ricomposizione<br />
di elementi, per dir così, mituali<br />
(la femmina, il corpo biologico, il<br />
sottosuolo, ecc.) con elementi rituali (la<br />
scomposizione e la composizione, la<br />
miniaturizzazione di certi segni cifrati<br />
provocata da una sorta di horror vacui,<br />
un processo di astrazione progressiva<br />
cui vengono sottoposti i singoli oggetti<br />
sin quasi alla distillazione elementare,<br />
ecc.).<br />
Dall’opera di <strong>Visca</strong> appare alla fine un<br />
nuovo modello di culto: gli oggetti rappresentati<br />
sono contemporaneamente e<br />
reciprocamente “interni” ed “esterni”.<br />
Nel mondo esposto in queste opere, la<br />
testa, il cuore, il sistema neurovegetativo,<br />
l’utero, la nuvola, il sottosuolo, il<br />
fuoco, gli ori, gli argenti, i rossi, acquistano<br />
un valore sintattico complesso che<br />
deriva loro dal processo alchemico, cioè<br />
di trasformazione del Sé profondo del<br />
ricercatore-osservatore attraverso la ricerca<br />
stessa.<br />
Jung (psicologia e alchimia); Klee,<br />
Klimt, Hundertwasser ecc.; le tecniche<br />
dadaiste del collage e dell’“assemblage”,<br />
riprese nell’ultimo dopoguerra dagli<br />
informali “materici” (es. Burri) e del “ricalco”<br />
oggettuale, anch’esso d’origine
Dada, adottato sul finire degli anni cinquanta<br />
dai “popartisti” USA (Warhol):<br />
ecco gli autori e le esperienze che mi si<br />
propongono immediatamente per istituire<br />
possibili associazioni all’opera di<br />
<strong>Visca</strong>. Certo, sono citazioni superflue in<br />
una presentazione che non approfondisce<br />
la lettura dell’opera in chiave esegetica.<br />
Tuttavia, mi è sembrato lecito prospettarle<br />
come ipotesi da verificare in<br />
un’ulteriore (auspicabile) indagine conoscitiva<br />
sulla ricerca di <strong>Visca</strong> (comunque<br />
meritevole di essere seguita), che<br />
si prefigga un approfondimento adeguato<br />
dei suoi significati più complessi».<br />
(Lucio Fraccacreta, “Il metalinguaggio<br />
magico di <strong>Visca</strong>” – Il viaggio attraverso<br />
l’alchimia dell’uomo interno, testo nel<br />
catalogo della mostra personale alla galleria<br />
Pace di Milano, 18 gennaio / 4<br />
febbraio 1973).<br />
- È invitato al 5° Premio Biennale Silvio<br />
Dodaro, per giovani artisti del mezzogiorno,<br />
alla Pinacoteca Provinciale di<br />
Bari. Espone “Cuore nero sulla montagna<br />
magica” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 100x120), “Personaggio verde sotto<br />
la campana fatata” (tecnica mista<br />
su tela, cm. 100x150). 7 febbraio / 3<br />
marzo.<br />
- È invitato alla XV Triennale Internazionale<br />
di Milano, Sezione Italiana “Lo<br />
spazio vuoto dell’habitat”. Espone “Paesaggio”<br />
(struttura polimaterica con materiale<br />
volatile azionato da motore ad<br />
intermittenza, cm. 550x35x250). L’ordinamento<br />
e l’allestimento del padiglione<br />
italiano è a cura di Eduardo Vittoria. 20<br />
settembre / 20 novembre.<br />
- <strong>Visca</strong> insieme ad altri artisti quali Gabriele<br />
Amadori, Enrico Bay, Paolo Baratella,<br />
Fernando De Filippi, Lucio Del<br />
Pezzo, Bruno Donzelli, Ugo Nespolo,<br />
Albano Paolinelli, Andrea Pazienza,<br />
Sergio Sarri, Giangiacomo Spadari,<br />
partecipa alla mostra Dalla Pop(ular)<br />
Art all’Arte Popolare” al Laboratorio Comune<br />
d’Arte Convergenze di Pescara.<br />
Espone “Reliquiario per un sesso di<br />
vergine italiana” (legno e stoffe cucite,<br />
cm. 45x12x150), “Reliquiario per un<br />
sesso ciclopico” (legno e stoffe cucite,<br />
cm. 150x25x220), “Formula magica<br />
sotto l’arcobaleno” (tecnica mista su<br />
tela, cm. 100x150). 25 ottobre / 11<br />
novembre.<br />
1974<br />
- Dal 14 al 24 aprile apre a L’Aquila la<br />
mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” presso<br />
lo Scalco delle Tre Marie al Palazzo<br />
Iacopo Notar Nanni. Espone sculture di<br />
pezza, strutture polimateriche, tele dipinte<br />
a tecnica mista e cartoni dipinti.<br />
Nel foglio della mostra il testo è di Gino<br />
Marotta.<br />
«Arte come memoria, celebrazione<br />
e recupero della vita insidiando<br />
la memoria con espedienti e operazioni<br />
che appartengono ai silenziosi riti<br />
del fare, ripetendo, per tautologie antiche<br />
onoranze e riti che si modificano e<br />
si attestano come “primari” proprio nella<br />
variante assertiva della loro epifania.<br />
Queste le prime e più resistenti approssimazioni<br />
che vengono alla mente a<br />
proposito di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, profondamente<br />
abruzzese e certamente aquilano.<br />
E in Abruzzo sono più evidenti e reperibili<br />
le molte influenze islamiche che<br />
hanno dato all’arte romanica codici e<br />
sostanze traslate, motivi geometrici ed<br />
araldici, partiture, morfologie astratte,<br />
mostri e chimere a stuoli.<br />
I principi che regolano le superfici e gli<br />
spazi aquilani non possono non rimandare<br />
a moschee ed edifici arabi: lo spazio<br />
cresce sopra una struttura numerica,<br />
elaborazione del quadrato, che per associazione<br />
di porzioni (quadrati),<br />
morfologicamente diversi fra loro, realizzano<br />
la tensione significante dello spazio<br />
espressivo.<br />
Ed è proprio la contaminazione dei codici<br />
astratti e chimerici ad animare l’opera<br />
di <strong>Visca</strong>.<br />
Tracce ricomposte, secondo procedimenti<br />
definiti per associazione di frazioni,<br />
per gruppi che alludono a schemi di<br />
algebristi e poligonisti orientali.<br />
Dimensione composita, su strutture ancestrali,<br />
per addizioni di episodi guadagnati<br />
dalla memoria in un teatro tragicamente<br />
ingenuo per amarissime rappresentazioni.<br />
Elevazioni di riti mnemonici le cui origini<br />
indiziano il demoniaco-angelico che<br />
è nella sostanza stessa della vita.<br />
Affiorano e si manifestano feticci e tabù<br />
e ripristini candidi di coltissimi sortilegi,<br />
di ferocissime appassionate favole paradossali:<br />
propiziatorie ricognizioni dei territori<br />
passionali di un collettivo etnico<br />
che va oltre il Gran Sasso, verso il deserto.<br />
Ipotizziamo, proprio per il senso di ricercare<br />
significati e valori più profondi e<br />
del profondo, l’operatore plastico come<br />
è, forse, un ricercatore di ideologie, di<br />
ideografie. Ma l’incantamento che attiene<br />
a questi riti è poi la ragione e la regione<br />
più vera ed inviolabile di questo<br />
fare-essendo o essere-facendo che è il<br />
lavoro di un pittore.<br />
Così il saraceno, incantatore esorcista,<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, amaro privilegiato decifratore<br />
di arcani e lontani meccanismi del<br />
pensiero, conferisce splendore, da autentico<br />
poeta, al suo esistere».<br />
(Gino Marotta, testo nel pieghevole della<br />
mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” allo<br />
Scalco delle Tre Marie dell’Aquila, 4/24<br />
aprile 1974).<br />
- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> apre una mostra personale<br />
al Laboratorio Comune d’Arte<br />
Convergenze di Pescara. Insieme a una<br />
serie di tele dipinte a tecnica mista,<br />
sculture di pezza, e strutture polimateriche<br />
di grandi dimensioni. Espone il suo<br />
primo arazzo cucito “Sotto il gomitolo<br />
bianco” (cm. 168x255). Dicembre<br />
1974 / gennaio 1975.<br />
- Partecipa alla mostra “Incontri con<br />
l’arte contemporanea” a Pescara. Luglio/agosto.<br />
- È invitato alla Settima Mostra d’Arte<br />
“Città di Penne” al Chiostro di San Domenico.<br />
Espone “Personaggio sotterrato<br />
sotto il limone cucito” (tecnica mista<br />
su tela, cm. 60x80). 17 novembre / 1<br />
dicembre.<br />
1975<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, fin da giovane, appassionato<br />
frequentatore delle sue montagne,<br />
inizia a studiarne presto gli aspetti<br />
letterari e antropologici, tanto che nel<br />
1975 realizza il film “Un cuore rosso<br />
50 51 52<br />
sul Gran Sasso”. Film d’arte corredato<br />
da un volume serigrafico presentato da<br />
Diego Carpitella e un libro oggetto “Per<br />
un cuore rosso sul Gran Sasso”, eseguito<br />
a mano in tiratura limitata, editi dallo<br />
Studio l’Uovo dell’Aquila. In rapporto<br />
a questo film, nel 1986, invitato dall’Assessorato<br />
alla Cultura della Regione<br />
Abruzzo a San Paolo del Brasile, dà il<br />
titolo al Primo Expo Brasil-Italia, “Un coraçao<br />
vermelho no Gran Sasso”, dove<br />
espone una serie di opere sul tema.<br />
«Il cuore di <strong>Visca</strong> è certamente<br />
polisemico, perché rosso e viaggia<br />
sul Gran Sasso. Potrebbe anche essere<br />
un titolo famoso, Il futuro ha un cuore<br />
antico, di leviana memoria. Se così fosse<br />
le immagini oggettuali della sequenza<br />
sembrerebbero configurarsi in una<br />
post conflagrazione atomica. Il cupio<br />
dissolvi, la dissoluzione, la sparizione, il<br />
dolore. Una costellazione di categorie<br />
entro cui si muove, con cinesica malinconica<br />
e fatale una processione verso la<br />
montagna. Un corteo patologico perché<br />
senza mito. In questo panorama sembra<br />
sopravvivere solo la vitalità del corpo<br />
con la sua manualità ossessiva, metastorica,<br />
artigianale. Gli indici della sopravvivenza<br />
sono espliciti: l’uomo, il suo<br />
disegnarsi simbolico, il suo delimitare lo<br />
spazio protetto, i suoi conati di formalizzazione<br />
(il cuore, appunto), la sua costretta<br />
socialità (sia pure la piazzetta del<br />
borgo), il suo addobbarsi prima della<br />
partenza, il sistemarsi in processione, il<br />
salire «come prova», l’arrampicamento<br />
rituale, la risoluzione al vertice, con il<br />
terminale fissaggio cardiaco.<br />
Sembra il lessico strutturale di un qualsiasi<br />
pellegrinaggio della tradizione popolare<br />
che <strong>Visca</strong> conosce, in parte vissuto,<br />
in parte ri-vissuto criticamente en<br />
artiste. Il tutto accompagnato da una<br />
glossalia magica e rassicurante; inventata:<br />
Portarsi all’alba di un dì di festa ad una<br />
altezza di almeno mille metri dal livello<br />
del mare<br />
Al canto del gallo cucire un cuore di<br />
pezza rossa della lunghezza di circa<br />
due canne trapuntandolo con vero spago<br />
di ortica
1975 Gran Sasso d’Italia<br />
Foto di scena del film d’arte “Un cuore rosso sul Gran Sasso”<br />
(Film girato in pellicola a 16 mm)<br />
174
175
Ligare intorno alla fronte dei portatori<br />
una fascetta di seta rossa<br />
A notte adagiarlo con cura su di una<br />
lettiga di presso costruita con verghe di<br />
legno di ornello e spaghi di raffia<br />
Portare il cuore fino ad una altezza di<br />
circa tremila metri dal livello del mare<br />
e lasciarlo per tre giorni e tre notti alle<br />
intemperie<br />
Al terzo dì discenderlo lentamente a<br />
valle e abbandonarlo senza mai voltarsi<br />
indietro<br />
La comprensione di questa processione<br />
sarà più chiara a chi conosca le variazioni<br />
sul cuore di <strong>Visca</strong>: un polimaterico a<br />
sorpresa, naif, artigianale, sofisticato, patetico,<br />
serico, cartaceo, infantile, fantastico,<br />
iterativo, manuale, ecc. Con un cuore,<br />
così consumato nei laboratori di Barnard<br />
o di Houston, che vorrebbe apparire<br />
nella sua continuità simbolica persistente.<br />
Il viaggio delle immagini di <strong>Visca</strong> a me<br />
sembra proprio disperato, ancor più sospeso<br />
nella speranza che possiamo<br />
avere noi contemporanei. Ancor più livido<br />
nel bianco e nero di Iammarrone,<br />
un classico ormai della fotografia antropologica.<br />
Cioè dell’uomo, con i suoi vestitini ed i<br />
suoi scapolari di contadina memoria, attaccati<br />
al corpo automatico, vitale».<br />
(Diego Carpitella, testo nel libro d’arte<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Un cuore rosso sul Gran<br />
Sasso”, Edizioni Studio l’Uovo, L’Aquila<br />
1979).<br />
- Dal 15 al 27 febbraio <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
apre la mostra personale al Centro<br />
d’Arte “Il Cubo” di Lanciano. Espone tele<br />
dipinte a tecnica mista, cartoni dipinti<br />
e disegni.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla Ventinovesima<br />
Mostra Internazionale di Pittura F.P. Michetti<br />
a Francavilla al mare. Espone<br />
“Formula magica sotto l’arcobaleno”<br />
(tecnica mista su tela, cm. 100x150),<br />
“Per una richiesta di matrimonio” (tecnica<br />
mista su tela, cm. 120 x100), “Foglie<br />
d’oro sul gallo con lo sperone rosso”<br />
(tecnica mista su tela, cm.<br />
100x120). La mostra è a cura di Giuseppe<br />
Marchiori, Franco Solmi, Marcello<br />
Venturoli.<br />
- Partecipa al 11° Festival degli Artisti,<br />
Otto presenze significative nelle arti figurative<br />
e plastiche, al Chiostro di San<br />
Giovanni in Venere a Fossacesia. Espone<br />
“Personaggio sotto la nuvoletta d’argento”<br />
(tecnica mista su tela, cm.<br />
80x120) e una serie di cartoni dipinti.<br />
1976<br />
- Il 29 gennaio <strong>Visca</strong> apre la mostra<br />
personale “Giochi di fate” allo Studio<br />
l’Uovo dell’Aquila. Presenta una cartella<br />
di cinque incisioni più una serigrafia insieme<br />
ad una serie di tele dipinte a<br />
tecnica mista.<br />
Nel luglio 1976 Gino Marotta e <strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong> ricostruiscono l’opera “Ambiente<br />
spaziale a luce nera”(1949) di Lucio<br />
Fontana per la Biennale di Venezia. In<br />
questa occasione <strong>Visca</strong> conosce Teresita<br />
Rasini, moglie di Fontana, che proprio<br />
in quegli anni, nonostante la sua<br />
limitata esperienza e le oggettive difficoltà<br />
da lei esposte inizia, con l’amore<br />
che appartiene alle donne schiette, a<br />
interessarsi a dar vita alla Fondazione<br />
Lucio Fontana che a tutt’oggi costituisce<br />
una delle iniziative meglio gestite<br />
nella valorizzazione dell’operato di un<br />
artista.<br />
- <strong>Visca</strong> partecipa insieme agli artisti<br />
Alechinskij, Appel, Ceroli, Corpora, Dalì,<br />
Ernest, Fioroni, Lam, Marotta, Matta,<br />
Moor, Pavlos e Pozzati alla mostra organizzata<br />
dalla Galleria de Arte Arcobaleno<br />
a Caracas, Venezuela.<br />
Luglio/agosto.<br />
- È invitato alla XXI Mostra “Premio Villa<br />
San Giovanni” a Villa San Giovanni.<br />
Espone “Formuletta con capitello rosso”.<br />
Luglio/agosto.<br />
- In agosto partecipa alla mostra “Cavallo<br />
di Troia” a Pescara.<br />
- Il 23 novembre <strong>Visca</strong> apre la mostra<br />
personale “Ligamenti d’amore” alla<br />
galleria L’Oca di Roma. Espone alcuni<br />
arazzi cuciti, strutture polimateriche, tele<br />
dipinte a tecnica mista e disegni.<br />
- Partecipa alla mostra “Grafica e multipli<br />
dello Studio L’ Uovo” al Laboratorio<br />
Comune d’Arte Convergenze di Pescara.<br />
11 dicembre 1976 / 8 gennaio<br />
1977.<br />
1977<br />
- È invitato ad una collettiva di autori<br />
contemporanei alla Bottega d’Arte Magazzeni<br />
di Giulianova Alta. 12/28 giugno.<br />
- È presente alla mostra “Artisti aquilani”<br />
alla galleria Ferriarte dell’Aquila. 23<br />
dicembre.<br />
1978<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, interessato alla cultura<br />
latino-americana, nel 1978 organizza,<br />
insieme e Giancarlo Papini una spedizione<br />
in Sud America con particolare<br />
attenzione agli aspetti popolari del<br />
Perù.<br />
In questo impegnativo viaggio tra le<br />
Ande documenta i segni tipici dei villaggi<br />
della Sierra e dei centri storici più<br />
sperduti dei parchi archeologici di Cuzco<br />
e Puno trovando profonde analogie<br />
con la sua terra d’origine.<br />
Poi, risalendo da Iquitos un tratto del<br />
Rio delle Amazzoni, si addentra nella<br />
foresta amazzonica avvicinando indios<br />
Jaguas e Jvaros. Questa esperienza, sia<br />
da un punto di vista scientifico che<br />
umano, lo porterà a rafforzare ancora<br />
di più le sue posizioni politiche nei confronti<br />
del suo lavoro e della sua ricerca.<br />
- In settembre, con alcune strutture polimateriche<br />
e tele dipinte a tecnica mista,<br />
partecipa insieme a Elio Di Blasio<br />
alla manifestazione “Incontri 78” al<br />
Chiostro di San Francesco a Loreto<br />
Aprutino.<br />
1980<br />
- Dal 19 al 23 gennaio <strong>Visca</strong> apre la<br />
mostra personale “Un cuore rosso sul<br />
Gran Sasso” ai Centri di Servizi Culturali<br />
della Regione Abruzzo di Pescara con<br />
una video proiezione (foto di scena del<br />
film “Un cuore rosso sul Gran Sasso di<br />
Giuseppe Iammarrone - musiche scritte<br />
e arrangiate di Ugo Fusco) e alcune<br />
opere di riferimento al tema del film<br />
“Un cuore rosso sul Gran Sasso”.<br />
- È invitato alla mostra “Postal Medium”,<br />
(“Invii” Postali al Centro di Documentazione<br />
Arti Visive nel 1979) ai<br />
Centri di Servizi Culturali di Pescara. I<br />
testi nel catalogo sono di Enrico Cri-<br />
53 54 55<br />
spolti, Umberto Russo, Adina Riga e<br />
Franco Summa. 6/26 marzo.<br />
1982<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato alla Terza Rassegna<br />
Nazionale “Doppio versante” ad<br />
Acquaviva Picena. Espone “Legare una<br />
stella su un’onda del mare, attendere”<br />
(tecnica mista, cm. 70x85), “Attendere<br />
serenamente sotto le nuvole legate”<br />
(tecnica mista, cm. 70x67). Nel catalogo<br />
i testi sono di Carlo Melloni e Elverio<br />
Maurizi. 4 luglio / 1 agosto.<br />
«Nell’opera di <strong>Visca</strong>, al segno<br />
pulito, alla scelta delle tonalità più delicate<br />
corrisponde l’uso ripetuto del simbolo,<br />
della metafora, mediazioni linguistiche<br />
per la espressione di quanto è<br />
maggiormente privato e incomunicabile<br />
per via diretta. L’affetto trova così il suo<br />
naturale mezzo espressivo, il simbolo,<br />
che da sempre ne è il veicolo più immediato;<br />
esso viene usato istintivamente<br />
nelle produzioni migliori di <strong>Visca</strong> ed<br />
obbedisce, pertanto, ad una esigenza<br />
comunicativa profonda. Appunto in tali<br />
produzioni si assiste, non ad una scelta<br />
poetica dettata da esperienza e gusto<br />
culturali, ma proprio ad un lasciarsi andare<br />
a ciò che parla dove c’è chi parla.<br />
Così la simbolica di quanto è interno si<br />
oppone a quanto è esterno, il pieno e il<br />
vuoto, il maschile ed il femminile; il<br />
senso del congiungimento espresso attraverso<br />
le linee raccordanti il cielo alla<br />
terra, gli incastri stilizzati e mimati con<br />
l’uso di linee compenetrantisi. Un’arte,<br />
dunque, ispirata, ma che tradisce un<br />
gusto per l’ordine ed il pulito, quasi un<br />
processo riparativo a ciò che in qualche<br />
modo si è costretti a comunicare».<br />
(Giorgio Misticoni, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, presentazione<br />
nel catalogo della terza rassegna<br />
nazionale d’arte figurativa “Doppio<br />
versante”, Acquaviva Picena, 4 luglio<br />
/ 1 agosto 1982).<br />
- <strong>Visca</strong> partecipa con Alfredo Del Greco,<br />
Pasquale Liberatore e Albano Paolinelli<br />
alla mostra “Intimità dell’indagine”<br />
Psicanalisi ed arte – Psicanalisi ed estetica,<br />
ai Centri di Servizi Culturali della<br />
Regione Abruzzo di Pescara. Espone
“Attendere serenamente il passaggio<br />
del martin pescatore” (tecnica mista su<br />
tela, cm. 200x150), “Paesaggio interno”<br />
(tecnica mista su tela, cm.<br />
200x150), “La casa dei ricordi” (tecnica<br />
mista su tela, cm. 120x150), “Sotto<br />
il fulmine bianco” (tecnica mista, cm.<br />
75x75), “Paesaggio con nuvole” (tecnica<br />
mista, cm. 75x75), “Paesaggio fatato”<br />
(tecnica mista, cm. 75x75), “Bolla<br />
con arcobaleno” (Legno dipinto e metacrilato<br />
graffito, cm. 77x114).<br />
Nel catalogo il testo è di Giorgio Misticoni.<br />
Dicembre 1982 / gennaio 1983.<br />
1983<br />
- <strong>Visca</strong> è presente all’Expo Arte di Bari<br />
presentato dalla galleria Questarte di<br />
Pescara. Espone “La casa dei ricordi”<br />
(tecnica mista su tela, cm. 120x150),<br />
“Attendere serenamente il passaggio<br />
del martin pescatore” (tecnica mista su<br />
tela, cm. 200x150).<br />
- Partecipa con Di Vincenzo, Lustri, Mulas,<br />
Notari e Sarri alla mostra “Contemporanee<br />
visioni” alla galleria Il Pentagono<br />
di Avezzano. 9/21 aprile.<br />
- La mostra “Intimità dell’indagine” Psicanalisi<br />
ed arte – Psicanalisi ed estetica,<br />
viene replicata al Palazzo Massari,<br />
Gallerie Civiche d’Arte Moderna Palazzo<br />
dei Diamanti di Ferrara. 22 maggio /<br />
19 giugno.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla XXXVI Mostra Nazionale<br />
F.P. Michetti “L’Immagine diversa”<br />
a Francavilla al mare. Espone “Attendere<br />
serenamente il passaggio del<br />
martin pescatore” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 200x150), “Il tavolo galleggiante”<br />
(tecnica mista su tela, cm.<br />
200x150), “La casa dei ricordi” (tecnica<br />
mista su tela, cm. 120x150). La mostra<br />
è a cura di Marcello Venturoli. 30<br />
luglio / 31 agosto.<br />
«Non so se <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> preferisca<br />
si dica che nella sua opera — e<br />
non solamente in quella ultima — giungano<br />
ad amalgama le varie componenti<br />
che ne stanno comunque a presupposto,<br />
o che queste si lascino identificare<br />
ora nell’uno ora nelI’altro esito di lavoro<br />
e di ricerca, come altrettante facce di<br />
una proteiforme realtà posseduta, op-<br />
pure ipotizzata, o ancora «sentita» per fili<br />
inafferrabili quali quelli che manovrano<br />
il sogno. Certo è che la gran quantità<br />
di elementi, confluenti o convergenti<br />
o concorrenti, dispiegano un apparato<br />
di essenze (o di parvenze?) che danno<br />
conto di un inseguirsi di motivazioni a<br />
fronte delle quali l’apparato tecnico — si<br />
vuol dire la possibilità di riferirne sul<br />
piano di una «figurazione» che sia tale<br />
da lasciarsi se non sempre pienamente<br />
intendere certo sì captare nel segno di<br />
un istintivo godimento — è giocoforza<br />
necessitato ad arricchirsi di nuove strutturazioni<br />
e compilazioni inedite, o si<br />
dirà in breve di un «linguaggio» continuamente<br />
in fieri, senza prospettive di<br />
catarsi se non provvisorie.<br />
La sedimentazione di una «tradizione»<br />
di una «tradizione» di magia che si è<br />
fatta cultura: ciò innanzitutto, come<br />
componente primaria ma, per sua stessa<br />
natura, implicativa in misura così ampia,<br />
e su ramificazioni tanto estese e<br />
complesse, da farsi re-identificare di<br />
continuo come multiforme punto di<br />
partenza o, che può essere la stessa<br />
cosa, come imprescindibile punto di arrivo.<br />
Sulla mediazione di una duttilità<br />
espressiva che finisce a sua volta per<br />
rendersi responsabile di operazioni<br />
sempre ulteriori, a livello di rigorosissima<br />
creatività del linguaggio».<br />
(Giuseppe Rosato, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, presentazione<br />
nel catalogo del XXXVI Premio<br />
Michetti, Francavilla al mare, 30 luglio<br />
/ 31 agosto 1983).<br />
- <strong>Visca</strong> partecipa con Alfredo Del Greco,<br />
Giuseppe Fiducia, Pasquale Liberatore<br />
e Albano Paolinelli alla mostra<br />
“Pietra e colore” alla galleria Questarte<br />
di Pescara. Nel foglio della mostra il testo<br />
è di Francesco Iengo. 20 dicembre<br />
1983 / 22 gennaio 1984.<br />
1984<br />
- <strong>Visca</strong> insieme allo scultore Pasquale<br />
Liberatore apre la mostra “Parole di<br />
terra parole nell’aria” al Centro Multimediale<br />
Quarto di Santa Giusta a L’Aquila.<br />
Nel foglio della mostra il testo è<br />
di Tito Spini. 22 dicembre 1984 / 15<br />
gennaio 1985.<br />
«Fra chi la vuole morta e chi<br />
più viva che mai, querelle ormai annosa<br />
ma sempre ottimo pretesto di ginnastica<br />
dialettica, l’arte continua comunque<br />
a imporsi per prove indubbie di esistenza.<br />
L’arte all’Aquila: trascurata, osannata,<br />
spesso evento indotto, troppo spesso in<br />
bilico tra «nemo propheta in patria»,<br />
vecchio complesso provinciale irrisolto,<br />
ed esaltazione poveramente campanilistica<br />
di glorie locali. Che fare? Forse per<br />
iniziare basterebbe prendere le distanze<br />
da complessi o compiacimenti fuorvianti,<br />
e sulla base di proposte attendibili,<br />
suscitare l’interesse e sottoporsi al giudizio<br />
del pubblico. Qualcuno ci sta provando.<br />
Al Quarto di S. Giusta, il centro multimediale<br />
di via Crispomonti, è stata proposta<br />
dal 22 dicembre scorso ad oggi,<br />
una selezione di opere di Pasquale Liberatore<br />
e <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>. A conclusione<br />
della mostra, oggi, quindi, alle 18 si tiene<br />
un incontro-dibattito, sempre nei locali<br />
del Quarto, tra il professor Spini,<br />
docente del corso di tradizioni popolari<br />
dell’Accademia di belle arti dell’Aquila e<br />
i due artisti. Le premesse perché l’incontro<br />
si preannunci interessante ci sono<br />
tutte, anche per la partecipazione<br />
dell’antropologo francese François Calamns.<br />
Uomo di cultura reale, ben al di là delle<br />
specifiche competenze professionali, Tito<br />
Spini da anni percorre l’Abruzzo con<br />
la lanterna di Diogene, alla ricerca di verità<br />
sommerse e di tesori a prima vista<br />
improbabili: una ricerca condotta sul filo<br />
di un totale rigore scientifico, ma anche<br />
del più profondo coinvolgimento personale<br />
e tali ambedue da escludere in<br />
partenza ogni facile entusiasmo.<br />
Entusiasmo che invece, motivazione immediata,<br />
ha connotato l’approccio conoscitivo<br />
con l’opera di Liberatore e <strong>Visca</strong>.<br />
L’Enigma archetipico delle sculture di<br />
Pasquale Liberatore non lascia indifferenti;<br />
riproposizione ingigantita dei semi<br />
della vita, i baccelli primordiali da alba<br />
del mondo, le orme unghiate da passato<br />
remoto ma ricreate, futuro prossimo<br />
e tecnologico, in colla di marmo su<br />
stampo.<br />
56 57 58<br />
E finalmente <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, ovvero un ritorno.<br />
Un ritorno da un viaggio iniziato<br />
più di vent’anni fa, alla ricerca di «segni»<br />
che sembrava impossibile non vedere<br />
tanto erano vicini. Eppure così consueti<br />
che non si vedevano più. Il riconoscimento,<br />
la folgorazione sulla via di Damasco<br />
appena dietro l’angolo, il tempo<br />
dei cuori di seta gonfi e rossi, dei rituali,<br />
degli altari barbari e barocchi. E poi il<br />
tempo di «Un cuore rosso sul Gran Sasso»,<br />
film-documento di una processione<br />
titanica (e giacché ci siamo: perché<br />
qualcuno non lo restituisce almeno alla<br />
città, se non a <strong>Visca</strong>?) fino alla Triennale<br />
di Milano e ai salotti in cui si vezzeggiano<br />
gli artisti; ma anche il tempo dell’avventura,<br />
sulle Ande e nei villaggi peruviani,<br />
o quello degli arazzi, ironici e tragici,<br />
o preziosi come un atto di fede.<br />
Per la città, comunque, un momento da<br />
non perdere: quello del piacere dell’intelligenza».<br />
(Marina Acitelli, Alla ricerca di verità<br />
sommerse, «Il Messaggero», L’Aquila, 15<br />
gennaio 1985, p. 13).<br />
1985<br />
- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra<br />
“L’Onda del Sud?”, Nuovo immaginario<br />
mediterraneo nel design, al Castello<br />
Svevo di Bari. Espone “Ripostiglio proibito”<br />
(struttura in legno dipinto e miscele<br />
di stoffe, cm. 75x15x160). La mostra<br />
è a cura di Enrico Crispolti con il<br />
contributo critico di Andrea Branzi, Riccardo<br />
Dalisi e Alessandro Mendini.<br />
- È invitato alla XXX Mostra Nazionale<br />
d’Arte “Castello Svevo” alla galleria Civica<br />
d’Arte Contemporanea di Termoli.<br />
Espone “Dopo i fuochi di mezzanotte”<br />
(struttura in legno dipinto e stoffe imbottite,<br />
cm. 180x22x205).<br />
Nel catalogo i testi sono di Filiberto<br />
Menna e Remo Brindisi. 27 luglio / 14<br />
settembre.<br />
- Partecipa alla mostra “Arte e territorio”<br />
alla Sala Consiliare del Municipio di<br />
Collelongo. Espone “Mare” (collage dipinto,<br />
cm. 50x70). 3/18 agosto.<br />
- Con tre opere di grafica partecipa alla<br />
mostra “International Biennal print exhibit”<br />
a Taipei, Taiwan.
- La mostra personale <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
“Fuochi d’amore” apre alla galleria<br />
Questarte di Pescara con una serie di<br />
sculture, tele dipinte e cartoni cuciti.<br />
Nel catalogo il testo è di Enrico Crispolti,<br />
dicembre.<br />
«<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è uno di quegli<br />
artisti «segreti» che sfuggono alla misura<br />
critica del consumo dell’arte, o meglio<br />
dell’arte di consumo (nelle prospettive<br />
di un’estetica che non a torto è stata<br />
detta «sportiva»). Lavora infatti da<br />
vent’anni, solitario, secondo una propria<br />
coerenza di riscontro ad un immaginario<br />
personalissimo, che non è «fuori della<br />
storia», ma in una «sua» storia, anzitutto<br />
(giacché la storia è poi fatta nel<br />
concreto dalla dimensione creativa di<br />
ciascuno), ed entro una storia, se vogliamo<br />
«parallela», di un’area culturale<br />
antropologicamente ben definita, alle<br />
fonti remote della quale quel suo immaginario<br />
si alimenta, scandagliandone<br />
in recessi profondi. (Lo ricordo giovanissimo<br />
e inquieto testimone dal tempo<br />
delle ormai epiche — anche proprio per<br />
la loro poi inarrivata indipendenza — Alternative<br />
Attuali aquilane negli anni Sessanta).<br />
Non che <strong>Visca</strong> sia pittore «folclorico», intendiamoci.<br />
Infatti quel patrimonio antropologico<br />
scandaglia e attualizza reinventandolo<br />
a misura del proprio immaginario,<br />
interamente giocato sull’evocazione<br />
simbolica pregnante, in una continua<br />
oscillazione fra narrazione appunto<br />
di simboli e sintesi iconica, a volte persino<br />
aggressiva nella sua prensilità emotivo-immaginifica<br />
sul lettore. Il suo dialogo<br />
antropologico profondo è d’altra parte<br />
di naturalità colta. Lavora infatti <strong>Visca</strong><br />
su simboli d’accentuata icasticità il cui<br />
assemblaggio, e il cui conseguente snodo<br />
narrativo, molto rastremato, come<br />
nei fregi romanici delle chiese d’Abruzzo,<br />
acquisisce una massima evidenza<br />
icastica e impressiva; a loro modo infatti<br />
sollecitanti, starei per dire terrifici (anagogici,<br />
certo, comunque), se in realtà<br />
quell’immaginario non fosse fatto, ad<br />
evidenza, di dolcezze evocative, di sensuoso<br />
lirismo, in remoti echi d’amorosi<br />
rapporti. Esplicandosi d’altra parte in un<br />
figurare sontuoso, quasi carico di indefinite<br />
seduzioni d’Oriente (scopre forse<br />
dagli alti orizzonti marini abruzzesi un<br />
lembo di magico lontano?); in un figurare<br />
fitto che carica tutto, il simbolo<br />
quanto il suo contesto, d’una straordinaria<br />
intensità di tessuto d’immagine.<br />
Tanto più ricca questa contestualità di<br />
segni simbolici, e microsegni tissulari,<br />
giacché percepita spesso in una varietà<br />
di materie (così da aver sperimentato, e<br />
portandosene poi comunque sempre<br />
l’eco anche sulla superficie diciamo «pittorica»,<br />
pure la costruzione straordinariamente<br />
icastica di figure totemiche di<br />
simboli di carica magica avvincente e<br />
straniante). L’impianto narrativo dei suoi<br />
dipinti si arricchisce nell’articolarsi dei<br />
simboli in soluzioni sempre nuove ed<br />
inedite, in un pullulare di proposizioni<br />
che rinnovano continuamente le soluzioni<br />
immaginative. Ma la tematica del<br />
suo fare verte da anni appunto su un<br />
nodo di amorosi magici riscontri. Dieci<br />
anni fa espose a Roma «dipinti» sul tema<br />
dei Ligamenti d’amore e quest’anno<br />
ha proposto a Pescara Fuochi d’amore.<br />
Nel 1979-80 ha realizzato l’azione Un<br />
grande cuore rosso sul Gran Sasso,<br />
inerpicandosi proprio sul maestoso macigno<br />
con una grande cuore rosso, perduto<br />
simbolo di memoria umana nell’immensità<br />
della natura sovrana.<br />
Il suo mondo è magico, e dunque ogni<br />
elemento, immagine simbolica, contesto,<br />
del «dipinto» (come altrimenti nella<br />
sontuosità polimaterica accattivante e<br />
seduttiva nelle costruzioni che chiamo<br />
totemiche, ma sono forse anche grandi<br />
«ex voto» affettivi, ha funzione squisitamente<br />
di simbolismo magico in tutta la<br />
sua densità ed ambiguità evocativa.<br />
Quasi formularsi di magiche evocazioni<br />
di comportamenti possibili, ove l’umano,<br />
remoto e attuale, è il termine di riscontro,<br />
ma ove il transito dal naturale<br />
all’artificiale (più propriamente magico)<br />
è continuo. Qui per esempio fra il fuoco<br />
come fuoco (il fulmine, la fiamma) e il<br />
fuoco artificiale, appunto. Naturalmente<br />
il suo è uno scandaglio di profondità interiori<br />
della struttura antropologica perenne<br />
dell’uomo, non lette però in archeologia,<br />
ma in attualità di dialogo: vo-<br />
glio dire ben consapevole dell’estroversione<br />
clamorosa del nostro tempo di un<br />
prepotente immaginario di massa (di<br />
qui quel suo figurare per schematizzazioni<br />
da «fumetto», si potrebbe dire).<br />
Ne viene un orizzonte d’immagini festevole,<br />
ludico (e <strong>Visca</strong> mi parla infatti di<br />
recupero di una «festività persa»), ove il<br />
gioco tuttavia non è liberazione altrimenti<br />
alienante, ma è evocazione, invenzione,<br />
scandaglio di nessi possibili,<br />
vitalmente significanti. Il traguardo è<br />
l’immaginazione come potenza di costruzione<br />
di un mondo più ricco, diverso<br />
nella sua densità animistica, ove ogni<br />
segno è dunque anche altro da sé, come<br />
ogni suo elemento in campo è sì<br />
allusione alla figura simbolica deliberata,<br />
ma anche carica d’immaginario ulteriore<br />
attraverso l’intensità direi di «decoro»<br />
espressivo del suo stesso tessuto, sempre<br />
sontuosamente condotto, e perciò<br />
mai inerte, mai puramente descrittivo<br />
(sia pure nella distesa semplicità di una<br />
sintesi figurativa estrema). Un’iconologia<br />
di oggetti quotidiani, perché la base del<br />
magico è la prossimità del mondo domestico,<br />
si anima (proprio animisticamente)<br />
e si dichiara in una capacità e<br />
imprevedibilità simbolica. E di qui nasce<br />
l’avvio del suo tipico sincopato narrativo.<br />
Sono immagini lucidamente inquietanti<br />
proprio nella loro nettezza, a tutto vantaggio<br />
dell’esplicazione simbolica. E il<br />
simbolo è lo strumento (e il traguardo)<br />
dell’arricchimento narrativo; di una compenetrazione<br />
della quotidianità nell’immaginario<br />
di altrovi remoti possibili, che<br />
rendono magica ogni presenza, ogni<br />
evidenza, ogni particolare non solo dell’immagine<br />
protagonista, ma appunto<br />
del contesto nel quale questa si viene a<br />
dichiarare, entro il quale, se vogliamo, ci<br />
appare, e racconta di un’inalienabile<br />
realtà della (e di un inalienabile diritto<br />
alla) fantasia dell’altrove, dell’altrimenti,<br />
di remoti sensi che caricano la vita di<br />
una sua fascinosità inarrestabile, di un<br />
folto patrimonio di memorie».<br />
(Enrico Crispolti, testo nel catalogo della<br />
mostra personale <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Fuochi<br />
d’amore” alla galleria Questarte di Pescara,<br />
dicembre 1985).<br />
59 60 61<br />
1986<br />
- La mostra <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Un coraçao<br />
vermelho no Gran Sasso” apre all’Expo<br />
Brasil – Italia a San Paolo del Brasile.<br />
10/18 maggio.<br />
Lo stesso anno apre la mostra personale<br />
“Cuciti” al Forte Spagnolo dell’Aquila.<br />
In questa occasione espone per<br />
la prima volta diciannove arazzi cuciti<br />
di grandi dimensioni, prodotti dal 1974<br />
al 1985.<br />
Nella monografia “Cuciti” i testi sono di<br />
Enrico Crispolti e Tito Spini.<br />
«Il sentiero dei linguaggi di<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è segnato da eventi mitici,<br />
realtà pietrose, processioni festive, metafisici<br />
ritrovamenti; è un “tratturo culturale”<br />
che registra le transumanze dall’oceano<br />
Adriatico al Tibet del Gran Sasso.<br />
I Saraceni sbarcati ad Ortona, gli Slavi<br />
mercanti di cavalli di Lanciano, gli Albanesi<br />
guerrieri di Villa Badessa portano<br />
sulle gualdrappe dei loro destrieri gli<br />
echi di Bisanzio e degli Sciti, l’opulenza<br />
e il sangue degli imperi e delle guerre<br />
che li hanno costruiti.<br />
L’obiettivo di <strong>Visca</strong> mette a fuoco le immagini<br />
e, da fattori esogeni, le trasforma<br />
in storia iconografica, ne fa sofferenza<br />
e festa, le ripropone attraverso il<br />
filtro della sovrapposizione e del confronto.<br />
Solo così si può entrare in questo<br />
“cucito”, e non per nulla <strong>Visca</strong> chiama<br />
cucito l’intenso lavoro di strappo e<br />
di costruzione.<br />
Cuce l’arte monastica delle abbazie benedettine,<br />
le ombre e i fuochi che si<br />
chiudono nelle navate di S. Liberatore, il<br />
Chronicon Casauriense con i suoi contrappunti<br />
carolingi. Ombre e fuochi non<br />
di luoghi ma di culture a scontro. I vessilli<br />
di violenza trasferiti dalla Francia<br />
con il duca di Guisa fronteggiati dall’oro<br />
e dal rosso del duca d’Alba sono le striscie<br />
di stoffa-storia che avvolgono l’Abruzzo<br />
nelle sue miserie e nei suoi<br />
splendori.<br />
I villaggi sono attraversati da questi lampi<br />
di follia, da queste dominazioni icastiche.<br />
Ma dentro le case segrete si tessono<br />
le stoffe della comunità, gli emblemi<br />
di una cultura pastorale e contadina che
ha portato nell’iconografia cattolica gli<br />
elementi della propria arcaicità.<br />
Nelle contrade camminano i santi con<br />
al collo le serpi di Angizia; s’inchinano i<br />
buoi in chiesa e defecano; franano dai<br />
dirupi di Pacentro gli zingari nudi, feriti e<br />
vittoriosi per essere rivestiti con il panno<br />
sacrale. Gli stendardi ricamati di denti<br />
miracolosi, le pelli di lupo per vestire gli<br />
attori nell’eterna rappresentazione del<br />
dramma selvaggio/coltivato, le fanciulle<br />
vergini cariche di pizzi e ori, le tovaglie<br />
e le coperte spiegate sui percorsi delle<br />
processioni sono le stoffe-storia che il<br />
popolo estrae dal proprio passato per<br />
tracciare quel sentiero dei linguaggi sul<br />
quale <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> raccoglie reperti per<br />
immetterli nella sua sfera di lavoro e di<br />
etnicità.<br />
Il sentiero non serpeggia solo tra paesaggi<br />
culturali e umani ma attraversa fenomeni<br />
della natura: massi e acque,<br />
temporali e arcobaleni, nembi gonfi di<br />
pioggia e di saette e cirri appesi ai cieli<br />
di montagna, lenzuola di neve e alberi<br />
dorati, foglie di bosco e fuochi notturni.<br />
Non intendo restringere il mondo del<br />
rappresentato, ma non altrove che in<br />
questo Abruzzo di passato e di presente,<br />
di impennate montuose e di voragini,<br />
di mari d’acqua e di lana, non altrove,<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> avrebbe potuto farsi<br />
artigiano e cantore di tale profondità e<br />
saggezza, di tanta matura contemplazione<br />
e colorazione affettiva.<br />
L’operazione ermeneutica apparentemente<br />
contrasta con la tensione a immettere<br />
la storia nel mito, la realtà nella<br />
fantasia. Ma, di fatto, non è forse corrispondente<br />
a quella verità che si intravede<br />
nei Venerdì santi di Chieti o nelle resurrezioni<br />
di Sulmona?<br />
L’ermeneuta <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> non vuole<br />
storicizzare gli accadimenti ma li interpreta<br />
e cuce per noi su un canovaccio<br />
preparato da millenni. I cuciti fanno parte<br />
d’una genetica per mezzo della quale<br />
si spiegano permanenze e mutazioni, in<br />
una condivisione conscia e sistematica<br />
dei passaggi che regolano le misteriose<br />
leggi della riconciliazione psicologica tra<br />
presente e passato.<br />
Ricordo, splendida coerenza alla scelta<br />
di costruire e vivere la propria apparte-<br />
nenza tribale, la processione inventata<br />
nel 1975 da <strong>Visca</strong> per trasportare da S.<br />
Stefano di Sessanio alla cima del Gran<br />
Sasso il grande cuore rosso di pezza;<br />
prova iniziatica del corpo e della mente,<br />
sfida al silenzio e all’indifferenza. Quel<br />
percorso rituale l’ho registrato come un<br />
moto di recupero che partendo dall’aggregato<br />
domestico, dalla forzatura emblematica<br />
annullava lo spazio temporale<br />
del mito. Tentativo di imporre, fuori dalle<br />
logiche sclerotizzate, il risveglio d’un<br />
luogo del meridione sulle tracce delle<br />
proprie gestualità quasi a confrontarsi<br />
con la lettura non materialista dei fatti<br />
sociali, disperato tentativo di sciogliersi<br />
dagli schemi dell’antropologia scritta.<br />
Vorrei annettere, e non a forza o per<br />
polemica, l’opera, il “lavoro sul campo”,<br />
di <strong>Visca</strong> al mondo aperto dell’antropologia<br />
visiva. Vi è stata sempre diffidenza<br />
per chi scrivesse bene il testo antropologico,<br />
poi, per chi fornisse belle immagini<br />
all’antropologia visiva; chissà mai<br />
cosa si dirà oggi contro chi pensi di collocare<br />
questa impresa nelle trame dell’indagine<br />
e sintesi antropologica.<br />
Quando Lévi-Strauss scrive “Tristi Tropici”,<br />
non ne fa solo un documento ma<br />
un testo sottile e permeabile, il tessuto<br />
di comprensione per la situazione socioculturale<br />
da rappresentare e per il riconoscimento<br />
del proprio stato di testimone.<br />
Quando Joris Ivens filma la Cina,<br />
le immagini bellissime scardinano gli<br />
stereotipi e invadono i campi della ricerca<br />
e della comunicazione scientifica.<br />
La personalità di <strong>Visca</strong> si raddoppia non<br />
si sdoppia, raccontare-interpretare, rileggere-proporre,<br />
intervento complesso<br />
che si allontana dalla fattura folklorica e<br />
rinnova canoni e parametri per affermare<br />
un’esplicita estetica dell’arte popolare.<br />
L’opera è tesa a cancellare il rincorrersi<br />
delle mode d’una borghesia mercantile<br />
che crea i suoi feticci primitivi e<br />
celebra i suoi rituali attorno agli ex-voto,<br />
ai presepi napoletani, alle canzoni popolari.<br />
Questi cuciti, sapienti di tutto ciò che è<br />
passato sopra il “Continente Abruzzo”,<br />
composti di tutti i ritagli di cronaca, contenenti<br />
tutte le reliquie, aprono un microcosmo<br />
a dimensioni universali e col-<br />
locano i momenti operativi popolari nell’asse<br />
portante della Storia. E la storia è<br />
tutta: quella infilzata sulle spade degli<br />
eserciti, sulle falci dei contadini, sulle pirocche<br />
dei pastori. Quella tessuta nelle<br />
tovaglie di lino, nei pizzi di Pescocostanzo,<br />
nel capecchio dei transumanti. Vi si<br />
legge furore, sopraffazione, coraggio, allegria,<br />
fantasia, spreco, povertà. I cuciti<br />
di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> sono gli stendardi di<br />
questa nobiltà, pagine ricamate del vocabolario<br />
delle caste, mappe di complessi<br />
territori culturali. L’impegno è di<br />
fare antropologia visiva con un intervento<br />
d’arte, esplorare e far emergere i microcosmi<br />
così come per la storia fanno<br />
Duby e Le Goff; perché lì sono i semi<br />
dell’albero del mondo.<br />
“Nascita di un asparago”, uno dei cuciti<br />
più recenti, non è enfatizzazione suicida<br />
ma emblematica indicazione della traccia<br />
di ricchezze che da un grumo di<br />
materia esplodono nella continuità come<br />
le stagioni.<br />
L’insegnamento non sta nel solo fatto<br />
culturale, è anche nell’evento manuale.<br />
Cucire, per la sua ripetitività, non è un<br />
gesto solitario; nella comunità contadina<br />
ha sempre determinato l’ampiezza del<br />
reticolo di relazioni. Si cuce sulle porte<br />
delle case, nelle aie, nei cortili; il cucito<br />
veicola la parola, è strumento di comunicazione<br />
con il quale <strong>Visca</strong> ci trasmette<br />
dai territori della cultura popolare le tecniche<br />
arcaiche dell’estasi. Come uno<br />
sciamano, cuce parole e stoffe, costruisce<br />
oggetti rituali per il “volo” e, dall’alto<br />
spazio raggiunto, scruta nelle pieghe<br />
della storia il futuro».<br />
(Tito Spini, Antropologia e arte, testo<br />
nella monografia <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Cuciti”,<br />
Edizioni del Gallo Cedrone, per la mostra<br />
personale al Forte Spagnolo dell’Aquila,<br />
ottobre 1986).<br />
«Da circa metà degli anni Settanta<br />
<strong>Visca</strong> ha realizzato degli arazzi, cuciti<br />
a mano, e in effetti degli ‘’assemblage“,<br />
non soltanto di stoffe, ma di elementi<br />
oggettuali diversi. Li espone soltanto<br />
ora, per la prima volta, e li raccoglie<br />
in questa pubblicazione, “Cuciti”,<br />
1986.<br />
62 63 64<br />
Sono in realtà veri e propri quadri di<br />
stoffa, e certo non deduzioni decorative.<br />
La traduzione dell’arazzo contemporaneo,<br />
come si sa, è assai ricca, e proprio<br />
lungo due versanti in certo modo contrapposti.<br />
Il primo, ove si è recuperata,<br />
e al tempo stesso in qualche misura<br />
provocata, la tradizione aulica dell’arazzeria<br />
(da Lurçat a Cagli). Il secondo, ove<br />
invece hanno avuto campo soluzioni<br />
sperimentali, in tecniche infatti sempre<br />
più disinvolte nelle commistioni ed aggiunzioni<br />
di materiali, non soltanto tessili;<br />
e comunque spingendo quelli tessili<br />
al massimo della loro mobilità e articolazione<br />
(da Depero alle recenti fortune<br />
della tessitura d’avanguardia).<br />
Naturalmente il lavoro di <strong>Visca</strong> si colloca<br />
in questo secondo versante, d’illustri<br />
frequentazioni nell’ambito dell’avanguardia<br />
italiana, a cominciare dai futuristi. Se<br />
Balla dipingeva i suoi arazzi, sull’apposita<br />
tela, certamente in una scorciatoia<br />
dovuta a ragioni economiche, non perciò<br />
tuttavia risultando diminuito il fascino<br />
di quelle sue realizzazioni di grande<br />
formato, e Prampolini, come altrimenti<br />
Pizzo Rizzo progettarono e fecero realizzare<br />
arazzi (e tappeti), tessuti ad alto<br />
liccio (almeno certo il primo), Nizzoli<br />
preferì ricamarli; e invece Depero immaginò<br />
una tecnica di assemblaggio di<br />
panni di lana coloratissimi, secondo l’acceso<br />
gusto cromatico largamente campito<br />
della sua pittura (in una tecnica<br />
che è quella che chiamiamo oggi “patchwork”).<br />
L’arazzo diveniva così sostanzialmente<br />
come un quadro dipinto con materiali<br />
diversi, tessili appunto. Ed accentuava<br />
una propria presenza di immagine, provocante,<br />
proselitistica (per i futuristi),<br />
entro lo spazio quotidiano, domestico,<br />
invadendo maggiormente tale spazio,<br />
condizionandolo dunque, e consegnandosi<br />
d’altra parte in una materialità assai<br />
meno ideale invece assai più prossima<br />
e immediata che non il mezzo tradizionale<br />
“pittura”. Una diversa possibilità di<br />
pittura dunque.<br />
Non credo tuttavia che l’origine motivazionale<br />
dell’interesse di <strong>Visca</strong> per l’arazzo<br />
cucito e assemblagistico sia di natura<br />
avanguardistica. Mi sembra invece chia-
amente di natura antropologica, nel<br />
senso cioè che nel denominatore non<br />
vi è qualche clamorosa evidenza affermativa<br />
dell’immagine e del linguaggio<br />
figurale su un presupposto ideologico,<br />
ma l’appassionata rilettura, sul filo di<br />
una intensa partecipazione emotiva memoriale,<br />
di un patrimonio di manualità<br />
domestica nella sua ancestrale tramandata<br />
sapienza, affondando in livelli d’impressività<br />
emotiva infantile, e sviluppandovi<br />
una propria del tutto autonoma avventura<br />
di intimo dialogo iconico quanto<br />
oggettuale, nella dimensione dell’immagine<br />
infatti quanto della materia, del<br />
tessuto, dell’oggetto, non meno direi<br />
che del punto.<br />
Il fascino di questi arazzi di <strong>Visca</strong> è infatti<br />
tutto nella loro discorsività fantastica,<br />
nella loro capacità di intensissima<br />
suggestione di magiche preziosità, che<br />
si raccontano in presenze simboliche e<br />
allusive, di elementare e il più spesso<br />
criptica (giacché privata, intima) simbologia,<br />
in accenni narrativi fabulisticamente<br />
spiazzanti. Una discorsività che non è<br />
soltanto appunto d’immagine, ma di<br />
materie, di tissularità della materia, in<br />
una straordinaria e veramente magica<br />
varietà di componenti, materiologiche,<br />
cromatiche, segniche, oggettuali; così da<br />
sostenere una fascinazione continua,<br />
che è dunque tanto dell’icone complessiva,<br />
quanto della preziosità estrema<br />
che ne sorregge la “texture”, a sua volta<br />
assai differenziata episodio per episodio,<br />
componente per componente iconica<br />
del racconto, secondo che quest’ultimo<br />
nella sua funzionalità richieda.<br />
Si collocano, questi arazzi, nel lavoro di<br />
<strong>Visca</strong>, fra le straordinarie costruzioni oggettuali<br />
di stoffe ed altri materiali, magici,<br />
preziosissimi, appassionati totem domestici,<br />
nati attorno al tema delle bambole,<br />
all’inizio degli anni Settanta, feticci<br />
fascinosi; e insinuanti e la vivida intensità<br />
fantastica delle sintetiche aperture<br />
narrative dei dipinti che corrono lungo<br />
gli anni Settanta e questi Ottanta. Dalle<br />
costruzioni oggettuali ereditano direttamente<br />
quella che chiamo discorsività<br />
manuale, cioè il dialogo con le materie<br />
e gli oggetti significanti, e il senso di<br />
presenza oggettualmente fisica dell’im-<br />
magine, pur così intensamente fantastica<br />
nello spiazzamento immaginativo<br />
che la preziosità spinta delle materie e<br />
della stessa virtuosità manuale del lavoro<br />
vi provocano. Mentre, se con i dipinti<br />
a volte gli arazzi condividono soluzioni<br />
iconiche, come certi stilemi di sintesi<br />
narrativa, in realtà se ne staccano proprio<br />
perché “l’unicum” della ricchezza<br />
materica (soprattutto naturalmente tessile)<br />
che di volta in volta li distingue vi<br />
crea una densità di presenza a mio avviso<br />
superiore alla distensione grafica<br />
che spesso i dipinti altrimenti assumono,<br />
nella loro cesellata mosaicatura di<br />
preziose nette superfici.<br />
Qui, negli arazzi, la manualità trionfa come<br />
esperienza d’una sorta di anamnesi<br />
privata, d’una avventura che attraverso il<br />
percorso del cucito, risalendo itinerari di<br />
memoria costruisce un proprio mondo<br />
iconico e materico di continuamente<br />
sorprendente risalto fantastico e di continua<br />
insinuazione magica che vi si realizzano<br />
infatti entro livelli molteplici<br />
d’antichi richiami, affondati in una simbologia<br />
primaria d’affettività remota, rivissute<br />
in magica stupefazione come di<br />
favola avvolgente e spaesante verso<br />
una dimensione di assoluto dominio e<br />
sommesso ascolto d’antichi sensi e perdute<br />
magie. È essenziale alla natura<br />
espressiva di questi arazzi il loro essere<br />
cuciti a mano, ma in una manualità che<br />
non è esecutiva, non è iterativa, ed è<br />
direi invece euristica, e a volte quasi rituale<br />
e devozionale. Cucire è ricercare e<br />
costruire la propria dimensione fabulistica<br />
magica, è attingere livelli memoria, è<br />
godere sensitivamente, sensualmente<br />
di materie, di oggetti, di ricordi, di allusioni,<br />
di proiezioni fantastiche. Il lavoro<br />
è naturalmente lento, perché ogni passo<br />
è motivato, vale infatti l’individuazione<br />
di un elemento concorrente a costruire<br />
il racconto, che è sì fatto dall’icone<br />
che infine ne risulta, ma anche appunto<br />
dal tragitto di affettuosa, passionale,<br />
manualità percorso per raggiungere<br />
la definizione di quell’immagine. Non<br />
solo dunque un’immagine fantastica,<br />
ma un effettivo viaggio fantastico; e ne<br />
trovi traccia nella ricchezza d’ogni segno,<br />
d’ogni passaggio, d’ogni elemento,<br />
stoffa, oggetto, punto. L’immagine conclusiva,<br />
nella sua ricchezza spesso suggestivamente<br />
strepitosa, racchiude ed<br />
esalta questa vitalità di lavorazione, che<br />
vi è vera e propria esperienza del fare<br />
come dedizione ad una ritualità manuale<br />
antica, riscatta da perdute profondità<br />
ataviche, e rimergente da livelli di evidente<br />
memoria infantile personale.<br />
In questo senso è chiaro che gioca intensamente<br />
negli arazzi di <strong>Visca</strong> appunto<br />
l’origine motivazionale antropologica,<br />
legata esattamente ad uno specifico patrimonio<br />
della sua terra d’Abruzzo, dalla<br />
fiera rusticità arcaica della quale tuttavia<br />
<strong>Visca</strong> traspone chiaramente ogni suggestione<br />
in una diversa misura di magicità<br />
inarrivata e quasi inarrivabile, proprio direi<br />
quasi per dimostrare la possibilità<br />
d’attingerla ormai soltanto in dimensione<br />
d’esaltazione fantastica e fabulistica,<br />
cioè nell’ostensione di una dimensione<br />
magica e sottilmente sacrale, impraticabile<br />
se non in una dedizione totale all’intensità<br />
della fantasia. Che è poi fatto<br />
tutto privato, intimo, come di chi si crei<br />
un proprio orizzonte alternativo. Perciò<br />
<strong>Visca</strong> non è archeologico in senso folclorico,<br />
come d’altra parte non è arcaico,<br />
né arcaicizzante, ma magico nel<br />
senso di giungere ad una preziosità irreale<br />
di soddisfazione (propria appunto<br />
anzitutto) fantastica e magicamente<br />
sensuale.<br />
A volervi avvertire una dinamica interna,<br />
in oltre dieci anni di lavoro, si può notare,<br />
credo, una maggiore concentrazione<br />
totemica nei primi di questi arazzi degli<br />
anni Settanta, d’altra parte risolti in<br />
grandissime dimensioni, e una maggiore<br />
propensione narrativa negli ultimi, di<br />
dimensioni più circoscritti, e in certo<br />
modo più dialoganti con la pittura di <strong>Visca</strong>,<br />
mentre i primi sono più segnati<br />
dalla precedente esperienza delle costruzioni<br />
oggettuali polimateriche. Per<br />
esempio un tema ricorrente negli uni e<br />
negli altri, il “paesaggio”, nei primi è più<br />
enigmatico, più misterioso, mentre nei<br />
secondi si distende in un racconto fantastico<br />
essenziale, ma certo più discorsivo<br />
nella descrizione dei suoi diversi elementi.<br />
65 66 67<br />
Sono oggetti sempre comunque di<br />
straordinaria preziosità, che traspongono<br />
cioè l’immagine appunto ad un livello<br />
ove il prezioso, materico quanto iconico,<br />
è magico e fantasticamente involvente.<br />
Ove dunque si esaltano le qualità tipiche<br />
dell’immaginario di <strong>Visca</strong>, circolante<br />
del resto con la medesima autorità suggestiva<br />
nelle diverse esperienze da lui<br />
attraversate e nelle stesse contemporaneamente<br />
frequentate. Giacché <strong>Visca</strong> è<br />
artista liberamente operativo in modalità<br />
diverse di manufatto, pur in una<br />
medesima tensione appunto allo spiazzamento<br />
favoloso, che tuttavia realizza<br />
in differente intensità proprio attraverso<br />
le differenti occasioni operative che va<br />
coltivando.»<br />
(Enrico Crispolti, Gli arazzi, testo nella<br />
monografia <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Cuciti”, Edizioni<br />
del Gallo Cedrone, per la mostra<br />
personale al Forte Spagnolo dell’Aquila,<br />
ottobre 1986).<br />
«Con i Cuciti di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>,<br />
esposti nel Forte cinquecentesco dell’Aquila<br />
dopo oltre dieci anni d’ininterrotta<br />
e solitaria sperimentazione, la storia dell’arazzo<br />
contemporaneo viene ad arricchirsi<br />
di un capitolo inedito. Progetto<br />
(schizzo grafico = cartone) e realizzazione<br />
dell’opera, di mano dello stesso<br />
artista, spazzano via la discriminante<br />
ideologica arte/artigianato: il fare pittorico<br />
è riportato alla primigenia unità con<br />
tele, pennelli e colori rimpiazzati da ago,<br />
filo, bottoni, stoffe, pelli, ecc. L’assemblaggio<br />
di materiali poveri, decorati e<br />
decoranti, riecheggia stilemi cari al newdada,<br />
per la verità ingentiliti esteticamente<br />
da un’atmosfera liberty. In questi<br />
autentici quadri dipinti in un plein-air<br />
tutto mentale, la kleeniana “Teoria della<br />
forma e della figurazione” prende corpo<br />
in paesaggi fatati, preservati, con l’incantesimo<br />
creativo di <strong>Visca</strong>, dalla metastasi<br />
ecologica causata dal progresso tecnicoscientifico.<br />
La fisicità di casette, prati, radici,<br />
asparagi, onde, nuvole, fulmini e<br />
stelle (apparterranno anch’esse all’ecosistema)<br />
è rappresentata a due sole dimensioni:<br />
una linea d’orizzonte fa da<br />
cesura tra alto e basso, sopra e sotto, e<br />
da collegamento concettuale tra magia
esperita e realtà evocata. C’era una volta:<br />
verrebbe la voglia di qualificare fabulatorio<br />
il racconto di <strong>Visca</strong>. Ma ben altre<br />
sono le implicazioni etiche, può dirsi,<br />
del radicale rifiuto nell’accettare passivamente<br />
il rantolo agonico di una natura<br />
segnata per sempre. Da qui, l’azzeramento<br />
della ragione “metafisica” e la<br />
negazione della prospettiva rinascimentale;<br />
da qui, il trionfo di una fantasia “infantile”,<br />
iridescente ed imprevedibile,<br />
plasmatrice di una realtà altra. C’è di<br />
più. La lentezza gestuale del tagliare e<br />
del cucire è la stessa del tessere e del<br />
seminare: rovescio della medaglia informale,<br />
dove è la velocità di un altro gesto<br />
a far urlare rabbia e protesta. Da un<br />
lato il tempo paziente della natura, dall’altro<br />
quello accelerato della storia. Il lavoro<br />
di <strong>Visca</strong> può ben essere ricondotto<br />
nel filone del “pattern painting”: a condizione<br />
di non confondere lo “slang”<br />
degli artisti americani con il “dialetto”<br />
della civiltà abruzzese».<br />
(Antonio Gasbarrini, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>,<br />
“Questarte” 52, Pescara, dicembre<br />
1986, p. 108).<br />
A chiusura della mostra “Cuciti” il Presidente<br />
della Regione Abruzzo Gaetano<br />
Novello acqusisce l’opera “Sogno di un<br />
paesaggio di mare” (arazzo cucito –<br />
cm.155x195 - anno 1986) per destinarla<br />
alla collezione d’arte della Regione<br />
Abruzzo.<br />
- <strong>Visca</strong> partecipa ad una mostra collettiva<br />
di autori contemporanei al Museo<br />
Archeologico di Spalato a Spalato,<br />
Croazia.<br />
- È invitato alla XXXVIII Mostra Nazionale<br />
di Pittura F.P. Michetti “Il mare” a<br />
Francavilla al mare. Espone “Onda<br />
anomala” (tecnica mista su tela, cm.<br />
200x150), “Grande fuoco di mare”<br />
(tecnica mista su tela, cm. 200x150),<br />
“Sogno di un paesaggio di mare”<br />
(arazzo cucito, cm. 155x195) e gli viene<br />
conferito un premio acquisto. La<br />
mostra è a cura di Enrico Crispolti. Luglio<br />
/ agosto.<br />
- È invitato alla Ottava Mostra Città di<br />
Penne “Disponibilità dell’Immagine” al<br />
Chiostro di San Domenico di Penne.<br />
Espone “La cassapanca dei giochi proibiti”<br />
(tecnica mista su tela, cm.<br />
120x150), “La scatola dei fuochi” (tecnica<br />
mista su tela, cm. 133x205), “Il tavolo<br />
della festa” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 200x150), “Quando cadono le<br />
stelle” (tecnica mista su tela,<br />
cm.133x205). 2/25 agosto.<br />
- Partecipa alla mostra “Arte & Territorio”,<br />
L’uomo e la natura, alle Scuole Comunali<br />
di Collelongo. Espone “La scatola<br />
dei fuochi” (tecnica mista su tela,<br />
cm. 133x205), “Dolce tempesta” (collage<br />
dipinto, cm. 50x70). La mostra è<br />
a cura di Marcello Ventuoli. Agosto.<br />
- <strong>Visca</strong> insieme ad Alfredo del Greco,<br />
Elio Di Blasio, Giuseppe Fiducia e Franco<br />
Summa partecipa alla mostra “Cinque<br />
artisti e una città” alla galleria<br />
Questarte di Pescara. Espone “Grande<br />
fuoco di mare” (tecnica mista su tela<br />
cm. 200x150), “Ricordo di un’isola sognata”<br />
(tecnica mista su tela, cm.<br />
100x150), “Ricordo di un paesaggio<br />
sognato” (tecnica mista su tela, cm.<br />
100x150). La mostra è a cura di Eugenio<br />
Riccitelli. 19 luglio / 30 agosto.<br />
- È invitato al Premio Nazionale di Pittura<br />
Cappelle sul Tavo al Centro Mammuth<br />
di Spoltore. La mostra è a cura di<br />
Mario De Micheli. 15/23 novembre.<br />
1987<br />
- Di quest’anno è il tappeto tessuto a<br />
mano “Notturno da terra” (cm.<br />
290x230) fatto realizzare da <strong>Visca</strong>,<br />
su suo disegno, durante un viaggio in<br />
Turchia.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Alternative<br />
attuali” Abruzzo 87, al Forte Spagnolo<br />
dell’Aquila. Espone ”La scatola dei<br />
fuochi” (tecnica mista su tela, cm.<br />
133x203), “Quando cadono le stelle”<br />
(tecnica mista su tela, cm.133x203),<br />
“Ricordo di un paesaggio sognato”<br />
(tecnica mista su tela, cm.100x150),<br />
“Paesaggio di fuoco” (tecnica mista su<br />
tela, cm.100x100). La mostra è a cura<br />
di Enrico Crispolti. 22 marzo / 26 aprile.<br />
- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> replica la mostra personale<br />
“Cuciti” alla galleria Questarte di<br />
Pescara. 9/25 aprile.<br />
- <strong>Visca</strong> espone tre arazzi cuciti alla Gallerie<br />
du Pommier a Neuchatel, Svizzera.<br />
Espone “Nascita di un asparago<br />
d’oro” (arazzo cucito, cm. 150x198),<br />
“Notturno marino” (arazzo cucito, cm.<br />
150x197), “Pelle di paesaggio” (arazzo<br />
cucito, cm. 145x200). Maggio/giugno.<br />
- È invitato alla mostra “Caitanya”, Arte<br />
per la pace, al Palazzo Venezia a Roma.<br />
I testi nel catalogo sono di: Jolena<br />
Baldini, Carmine Benincasa, Angelo Calabrese,<br />
Renato Civello, Enrico Crispolti,<br />
Giorgio Di Genova, Antonio Gasbarrini,<br />
Domenico Guzzi, Italo Mussa, Ugo Piscopo,<br />
Pierre Restanj, Pier Carlo Santini,<br />
Marcello Venturoli, Marisa Vescovo.<br />
Espone “Paesaggio con nuvoletta bianca”<br />
(arazzo cucito realizzato per Casa<br />
Vogue, cm. 97x153). 7 maggio / 15<br />
giugno.<br />
- Il 6 giugno apre la mostra personale<br />
“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” alla galleria La Stadera<br />
di Sulmona. Espone arazzi cuciti e cartoni<br />
cuciti.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Itineraires<br />
Paralleles” al Palazzo del Ghiaccio di<br />
Neuchatel, Svizzera. La mostra è a cura<br />
di Enrico Crispolti. 15/25 maggio.<br />
- Espone un libro d’artista, eseguito a<br />
mano in tiratura limitata, “Per un cuore<br />
rosso sul Gran Sasso”, alla mostra<br />
“Dalla Bibbia di Guttemberg al libro telematico”<br />
alla Casa D’Annunzio di Pescara.<br />
La mostra è a cura della Casa<br />
Editrice del Gallo Cedrone. 6 agosto /<br />
12 settembre.<br />
- È invitato alla mostra “Parallel Itineraires”,<br />
Festitalia 87, alla University Art<br />
Gallery – Mc Master, Hamilton, Ontario,<br />
Canada. Espone “Piccolo paesaggio in<br />
bianco” (arazzo cucito, cm. 105x98),<br />
“Grande fuoco di mare” (tecnica mista<br />
su tela, cm. 200x150). La mostra è a<br />
cura di Enrico Crispolti.<br />
- Partecipa alla mostra “20 Artisti per il<br />
Nicaragua” a cura dell’Associazione Italia<br />
– Nicaragua di Avezzano. 21/29 ottobre.<br />
- Da una idea di <strong>Visca</strong> nasce la mostra<br />
“12 Piatti di 12 Artisti” allo Scalco delle<br />
Tre Marie al Palazzo Iacopo Notar Nanni<br />
dell’Aquila. Espone “Asparagi” (piatto<br />
in ceramica in unico esemplare, ø cm.<br />
30).<br />
68 69 70<br />
1988<br />
<strong>Visca</strong> apre a Pescara la Scuola Italiana<br />
d’Arte dove per due anni, oltre che a<br />
dirigerla, vi insegna pittura e tecniche<br />
grafiche del disegno.<br />
- Aderisce alla Prima Mostra di Artisti<br />
Abruzzesi a favore dell’UILDM alla Sala<br />
dei marmi della Provincia di Pescara.<br />
4/9 gennaio.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla Biennale Internazionale<br />
del mare “Mare & Mare”, Il mare<br />
nelle arti visuali, a Castel dell’Ovo a<br />
Napoli. Espone “Onda anomala” (tecnica<br />
mista su tela, cm. 200x150). La mostra<br />
è a cura di Marcello Venturoli. Giugno.<br />
- È invitato alla mostra “Dittico” all’Università<br />
degli studi dell’Aquila, Facoltà di<br />
Magistero. Espone “Stelle di fuoco” e<br />
“L’uccello cometa” (collage dipinto, cm.<br />
50+50x56). La mostra è a cura di Antonio<br />
Gasbarrini. 1/12 giugno.<br />
- <strong>Visca</strong> è presente alla mostra “Itinerari<br />
paralleli” al Centro Congressi di Montesilvano.<br />
Espone “Notturno marino”<br />
(arazzo cucito, cm. 150x197). La mostra<br />
è a cura di Enrico Crispolti. 23<br />
maggio / 12 giugno.<br />
- È invitato alla mostra “Alternative attuali<br />
88”, Pittura per musica, al cortile<br />
del Convitto Nazionale e al cortile del<br />
Palazzo di Città dove I Solisti Aquilani e<br />
il violinista Felix Ayo sono stati diretti<br />
dal M° Vittorio Antonellini.<br />
Espone “L’estate 2° movimento – Antonio<br />
Vivaldi” (n. 6 cartoni eseguiti a collages,<br />
dipinti e cuciti, cm. 50x70 cad.).<br />
La mostra è a cura di Enrico Crispolti.<br />
23 luglio / 7 agosto.<br />
- È presente alla mostra “Artisti per<br />
L’Aurum” all’ex Aurum di Pescara.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Laboratorio<br />
d’Abruzzo”, Ripe 88, alla Pinacoteca<br />
Comunale di Ripe San Genesio. Espone<br />
“Caduta di una stella” (stoffe cucite,<br />
cm. 34x34), “Fuoco marino” (stoffe cucite,<br />
cm. 34x34), “Fuochi sulla montagna”<br />
(stoffe cucite, cm. 34x34). La mostra<br />
è a cura di Enrico Crispolti. Luglio.<br />
1989<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, “Il quadro del mese”, Associazione<br />
Culturale Florian Espace,
Teatro Florian Espace, Pescara. Espone<br />
“Paesaggio interno” (tecnica mista su<br />
tela, cm. 200x150). 4 marzo.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Duplice<br />
versante”, Quarta Rassegna d’Arte Contemporanea<br />
al Palazzo Comunale di<br />
Campomarino. Espone “Piccolo paesaggio<br />
in pelle” (arazzo cucito, cm.<br />
50x50). 1/15 luglio.<br />
- È invitato alla mostra “Arte Abruzzo<br />
90/1”, Ragioni e finalità di una proposta,<br />
allo Spazio Arte “Di Loreto” di Pratola<br />
Peligna. Espone “Tramonto di fuoco”<br />
(tecnica mista su tela, cm.<br />
100x100), “Tempesta al pistacchio”<br />
(tecnica mista su tela, cm. 100x100).<br />
La mostra è a cura di Carlo Fabrizio<br />
Carli. 15/30 luglio.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato al Sesto Premio Internazionale<br />
di Pittura “Amore & Amore”<br />
al Comune di Lampedusa. La mostra è<br />
a cura di Marcello Venturoli. Agosto.<br />
1990<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla X Mostra d’Arte<br />
Città di Penne “Il segno e i suoi dintorni”<br />
Biennale 90-91. Espone “Dopo i<br />
fuochi di mezzanotte” (struttura in legno<br />
dipinto e stoffe imbottite, cm.<br />
130x22x180), “Ripostiglio proibito”<br />
(struttura in legno dipinto e miscele di<br />
stoffe, cm. 75x15x160). La mostra è a<br />
cura di Antonio Gasbarrini e Renzo<br />
Margonari. 28 luglio / 25 agosto.<br />
1991<br />
Il 17 gennaio viene invitato dall’Istituto<br />
di Lingue Romanze dell’Università G.<br />
D’Annunzio di Pescara a partecipare al<br />
convegno “Il Perù nel quinto secolo dalla<br />
conquista”. Nel suo intervento: “Il<br />
Perù, appunti di viaggio”, <strong>Visca</strong> disquisisce<br />
sulla sua esperienza tra le Ande<br />
proittando un gran numero di fotocolor<br />
selezionati tra i quasi quattromila fotogrammi<br />
scattati durante la sua spedizione<br />
nella sierra e in Amazzonia peruviana.<br />
In questa circostanza conosce Joaquin<br />
Roca-Rey, raffinato scultore immaginario<br />
surreale, già da molti anni addetto<br />
culturale all’Ambasciata peruviana<br />
di Roma. Roca-Rey viene invitato da <strong>Visca</strong><br />
nel suo studio e nasce tra loro<br />
un’espansiva stima che li porterà a fre-<br />
quentarsi e scambiare opinioni sia sul<br />
lavoro artistico che sulla scabrosa realtà<br />
peruviana, per la quale Joaquin Roca<br />
Rey ne pativa fortemente delle profonde<br />
sofferenze.<br />
- <strong>Visca</strong> apre la mostra personale<br />
“l giardini dell’amore” allo spazio espositivo<br />
della Casa Editrice L’Acacia dell’Aquila.<br />
Espone arazzi cuciti sculture polimateriche<br />
e sculture in bronzo e ferro.<br />
Nel pieghevole della mostra sono contenute<br />
due opere grafiche numerate e<br />
firmate dall’autore in tiratura limitata. I<br />
testi nel pieghevole sono di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
e Fernando Tempesti.<br />
- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra<br />
“Textilia 91” Pittura tessuta, Secondo<br />
confronto europeo: La Spagna, insieme<br />
agli artisti Enrico Accatino, Giacomo<br />
Balla, Afro Basaldella, Mirko Basaldella,<br />
Corrado Cagli, Fortunato Depero, Piero<br />
Dorazio, Pasquale Liberatore, Bruno<br />
Munari, Enrico Prampolini e Mauro<br />
Reggiani. Espone “Nascita di un asparago<br />
d’oro” (arazzo cucito cm.<br />
150x198), “Ricordo di un paesaggio<br />
sognato” (tecnica mista su tela, cm.<br />
100x150). La mostra è a cura di Enrico<br />
Crispolti. 9/22 dicembre.<br />
- Nello stesso anno apre la mostra personale<br />
“<strong>Visca</strong>” alla galleria Experientia<br />
Arte & di Teramo. Espone arazzi cuciti,<br />
tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti<br />
e cuciti. Nel pieghevole della mostra<br />
il testo è di Nerio Rosa. 30 novembre<br />
/ 27 dicembre.<br />
«Nelle opere di <strong>Visca</strong> non c’è<br />
alcuna parvenza aneddotica, non c’è<br />
svolgimento narrativo, non c’è allusività<br />
misterica, non c’è citazionismo eclettico:<br />
tutto si raccoglie e si esalta nella fissa e<br />
trasparente rappresentatività degli elementi<br />
di superficie e nella loro costruzione<br />
mai concettuale né naturalistica,<br />
ma trasognata nella comunicatività immediata<br />
di un segno che delimita nitidamente<br />
i simboli dell’ambiente, individuati<br />
da occhi candidi ed essenzializzanti.<br />
Anche i materiali sono elementi caldi,<br />
soft, intimi, con accostamenti di tipo polimaterico,<br />
con tessuti, collages, dipinti,<br />
che rendono sempre il candore di un<br />
ambiente sereno e rassicurante, colto<br />
nell’immaginario di simboli primari iconici<br />
di ludico fiabesco.<br />
Sono le icone della prima scoperta del<br />
mondo agli occhi ancora puri e incontaminati<br />
di un genio interiore, che fissa<br />
con immagini fanciulle un paesaggio<br />
senza tempo di riferimenti nitidamente<br />
essenziali, di archi di cielo, notturni, foglie,<br />
voli, nuvole, profili di case, onde<br />
marine, astri, folgori, che negli arazzi cuciti<br />
si caricano di ridondanze, di reticoli<br />
colorati, di fitte pigmentazioni, di trame<br />
ricche e policrome, sino a destare la<br />
sensazione di un sogno, il cui nitore distanzia<br />
e rimuove una leggerezza di<br />
fondamento, non priva di centralità, che<br />
contrasta con lo spaesamento e il nomadismo<br />
che percorrono la complessità<br />
del mondo contemporaneo. È come se<br />
<strong>Visca</strong> avesse coltivato una sua scoperta<br />
primitiva del mondo nelle sue permanenze<br />
più semplici e rarefatte, senza<br />
mediazioni culturologiche con la crisi nichilistica,<br />
che toglie sicurezza a chi affronti<br />
una visione dinamica delle dispersioni<br />
di una storia sociale e antropologica,<br />
per rinvenire sotto di essa e oltre di<br />
essa il profilo rassicurante e l’intimità<br />
non dissociata dall’ambiente. Il gioco<br />
dell’immaginario dell’eterno fanciullo<br />
che è in noi sa fissare una tale visione<br />
con pochi e saldi punti di riferimento<br />
nelle figurazioni bidimensionali scaturite<br />
da una rilettura del paesaggio intimo<br />
delle prime scoperte.<br />
Il dettaglio dell’elaborazione non ha<br />
però la semplicità della riscoperta di un<br />
mondo fiabesco visto da un bambino, o<br />
da un adulto che utilizzi questo vettore<br />
secondo la grafica di un cartoonist o di<br />
un pubblicitario. C’è invece una sapienza<br />
artigianale che si fissa su moduli minimali<br />
ed inediti, per rendere la cura e<br />
la vaghezza di chi ha già effettuato una<br />
scoperta di piccoli mondi inseriti nel<br />
quotidiano, ma insieme «paralleli» per lo<br />
sguardo ravvicinato e caldo con cui sono<br />
colti. L’immagine presenta così una<br />
nuova dimensione che ci sfugge, e che<br />
tuttavia è sempre magicamente presente<br />
per chi abbia la predisposizione ad<br />
assecondarla, non appena si fissa nella<br />
rëverie. Di qui il senso trasognato di og-<br />
71 72 73<br />
getti sempre presenti nelle piccole opere<br />
richiamate alla memoria, nella partecipazione<br />
alle corrispondenze d’ambiente,<br />
ma senza volontà di ambientazione,<br />
nell’attenzione alle minute e dolci presenze<br />
di una quotidianità contemplativa,<br />
senza la riflessione analitica dell’intelletto,<br />
ma col coglimento diretto del simbolo<br />
che resta depositato nell’immaginazione.<br />
Più che la volontà di rappresentazione<br />
del gioco perduto, del candore di<br />
uno sguardo che più non ci appartiene,<br />
c’è la fissazione delle icone del paesaggio<br />
dell’infanzia perenne, che la civilizzazione<br />
non può abrogare senza perdere<br />
l’intimità calda delle sensazioni tattili<br />
e visive del mondo colorato, proibito,<br />
fiabesco, che ci lega in sintonia alla natura,<br />
prima che intervenga ogni diaframma<br />
del pensiero riflessivo.<br />
Per questo <strong>Visca</strong> ha condotto fino in<br />
fondo una ricerca da isolato? Ci pare<br />
piuttosto che abbia condotto un itinerario<br />
suo proprio, per attraversare con una<br />
sua risposta alcune problematiche centrali<br />
delle temperie artistico-culturali del<br />
nostro tempo.<br />
Se Baj ha rappresentato negli anni passati<br />
un riferimento linguistico per <strong>Visca</strong>,<br />
per il suo ricco cromatismo polimaterico<br />
e per i tratti di rappresentazione bidimensionale<br />
delle icone, non ha però lasciato<br />
traccia delle suggestioni storiche<br />
e cronachistiche degli eventi emblematici,<br />
nella stagione degli impegni ideologici.<br />
Al tramonto delle ideologie, <strong>Visca</strong><br />
continua a mostrare una continuità ed<br />
una coerenza per la esemplificazione di<br />
un suo mondo fantastico nelle visioni<br />
più semplici ed essenziali dei momenti<br />
permanenti dotati di una carica di affettuosa<br />
aderenza verso i segni primordiali,<br />
che continuano però a travalicare il<br />
tempo e lo spazio. In una qualche maniera<br />
<strong>Visca</strong> ha quindi risposto non da<br />
isolato al problema centrale di un’età di<br />
incertezze e di smarrimento, mirando<br />
non alla fuga, né al coinvolgimento del<br />
fittizio realismo delle ideologie in universi<br />
magici irreali, ma al ritrovamento<br />
delle immagini eterne della memoria<br />
che possano consentire di reperire, nella<br />
complessità ingovernabile del presente,<br />
i segni grafici e attuali di ciò che
conta per sfuggire all’indeterminatezza<br />
erratica, senza ritrovarli nella storia transeunda,<br />
ma nelle evenienze più semplici<br />
ed essenziali. Lo ha fatto mirando a<br />
quel mondo caldo, partecipe di segni<br />
primari della vita e dell’ambiente, che<br />
solo chi ha coltivato il disincanto verso<br />
le sicure certezze degli iconoclasti sa ritrovare<br />
con gli occhi puri delle scoperte<br />
primigenie dell’infanzia della vita e di<br />
ogni civiltà nascente.<br />
È quanto ha tentato di fare la ventata<br />
postmoderna, quando, crollate le certezze<br />
delle grandi narrazioni ideologiche<br />
del Moderno, ha voluto ritrovare negli<br />
accostamenti eclettici di passate e più<br />
recenti stagioni una nuova verginità della<br />
citazione, sottratta alla contestualità di<br />
senso di una continuità storica e sociale<br />
obbligante. Ma, mentre il Postmoderno<br />
ha imboccato questa via attraverso la<br />
dominanza della complessità trasversale<br />
ed instabile tra icone diverse, che dovevano<br />
restituire nuova significatività a logorati<br />
modelli semantici, così come nel<br />
caso di Meyer Vaisman, che adotta un<br />
linguaggio polimaterico comparabile a<br />
quello del nostro, ma con l’intreccio<br />
dell’immaginifico antico e moderno nei<br />
suoi arazzi, <strong>Visca</strong> ripropone al contrario<br />
una dominanza di icone primarie dell’immaginario<br />
antropologico senza tempo<br />
né spazio, che funge da attrattore<br />
degli elementi analitici, ricchi, complessi,<br />
diffusivi, ridondanti, che mostrano la<br />
consapevolezza di un attraversamento<br />
contemporaneo, di una realtà magmatica<br />
e sovrabbondante, ma governandone<br />
il senso attraverso la riconduzione a<br />
modelli elementari della purezza sovrastorica.<br />
Con questo percorso inverso, <strong>Visca</strong><br />
suggerisce in apparenza un isolamento;<br />
che è invece un ribaltamento<br />
coerente della ricerca di una via di ripristino<br />
di senso alla mancanza di fondamento<br />
dell’età postmoderna, cui partecipa<br />
con pieno coinvolgimento, suggerendo<br />
solo la ricerca più diretta di immagini<br />
incontaminate, che prevalgono<br />
sul disordine, invece di assecondare il<br />
filone più influente della dominanza<br />
della complessità sulla semplicità originaria.»<br />
(Nerio Rosa, Coerenza ed epocalità nei<br />
lavori di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, testo nel pieghevole<br />
della mostra personale “<strong>Visca</strong>” alla<br />
galleria Experientia Art & di Teramo, 30<br />
novembre / 27 dicembre 1991).<br />
1992<br />
- <strong>Visca</strong> allestisce l’installazione “Firmamento<br />
di terra” (balle di paglia e luci a<br />
fiamma) nella piazza di Collelongo. La<br />
manifestazione è a cura del Teatro dei<br />
colori di Avezzano. 4/5 gennaio.<br />
- Dal 7 maggio al 30 giugno apre la<br />
mostra <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Paesaggi di fate”<br />
allo Studio Spica Design di Roma insieme<br />
agli scultori Marcello Aitiani, Mauro<br />
Berrettini, Rinaldo Bigi, Nado Canuti,<br />
Pietro Cascella, Annamaria Cesarini<br />
Sforza, Girolamo Ciulla, Daniel, Cordelia<br />
Von Den Steinen. Espone arazzi cuciti,<br />
tele dipinte a tecnica mista e cartoni<br />
cuciti.<br />
- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato all’Expo Mondiale<br />
di Siviglia “Expo 92” Pabellon de<br />
las Artes – Algunos recorridos del arte<br />
contemporanea en Italia a Siviglia,<br />
Spagna. Espone “Paesaggio” (arazzo<br />
cucito, cm. 142x195), “Paesaggio”<br />
(arazzo cucito, cm. 170x230), “Paesaggio”<br />
(arazzo cucito, cm. 160x200),<br />
“Notturno marino” (arazzo cucito, cm.<br />
150x197), “Pelle di paesaggio” (arazzo<br />
cucito, cm. 145x200). Nel catalogo i<br />
testi sono di Paolo Portoghesi e Egidio<br />
Maria Eleuteri. 21 settembre / 12 ottobre.<br />
1993<br />
- <strong>Visca</strong> partecipa alla mostra “Omaggio<br />
a Spoltore”. Espone “L’albero dei sogni”<br />
(arazzo cucito, cm. 50x50). Spoltore 25<br />
settembre / 2 ottobre.<br />
1995<br />
- In aprile apre la mostra personale<br />
“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” alla Brioni Roman Style<br />
sulla 52 a Strada di New York. Espone<br />
una serie di cartoni dipinti e cuciti.<br />
Il 13 marzo 1995 Ruggero Pierantoni,<br />
ricercatore presso l’Istituto di Cibernetica<br />
e Biofisica del CNR di Genova e studioso<br />
di neuroscienze e psicologia cognitiva,<br />
nonchè Visiting Professor presso<br />
il Dipartimento di Architettura dell’U-<br />
niversità della Pennsylvania a Filadelfia,<br />
visita lo studio di <strong>Visca</strong> e prende visione<br />
del lavoro dell’artista per redigere<br />
un testo di presentazione alla mostra<br />
personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” 1974-1994,<br />
che viene allestita presso la Sala del<br />
Diritto Comune del Palazzo Ducale dell’Università<br />
degli Studi di Camerino (21<br />
ottobre / 4 novembre 1995). In occasione<br />
di questo incontro <strong>Visca</strong> ha la<br />
possibilità di uno stimolante scambio di<br />
opinioni con Ruggero Pierantoni sulle<br />
scelte progettuali del “Grande firmamento”,<br />
opera ambientale predisposta<br />
per le manifestazioni estive dell’Ente<br />
Manifestazioni Pescaresi (agosto<br />
1995).<br />
«Come è possibile vivere in<br />
un ordine così mostruoso?» Si chiede<br />
l’amico Pierantoni, mettendo piede per<br />
la prima volta nello studio di <strong>Visca</strong>. E<br />
per un momento si inverte il cliché che<br />
vuole il primo-scienziato-rigoroso e preciso<br />
e l’altro-il pittore-immerso nel disordine<br />
caotico ma creativo degli artisti.<br />
Niente a che vedere, insomma, con<br />
quadri ed arazzi appesi in bell’ordine;<br />
tele diligentemente appoggiate alle pareti,<br />
come appena spolverate; gomitoli<br />
e rotoli di filo sistemati accuratamente<br />
nei ripiani; bottoni, aghi, passamanerie<br />
riposti nelle scatole come nella più organizzata<br />
merceria: ogni cosa sembra<br />
aver trovato il proprio posto – che è<br />
quello e non un altro – in un ordine<br />
quasi sacrale che sconcerta il visitatore.<br />
«L’ordine mi viene da un certo tipo di<br />
educazione familiare, dal mio ambiente...<br />
Ed oggi rappresenta il mio modo<br />
naturale di essere. Ma è anche un modo<br />
come un altro per difendermi da<br />
certi disordini mentali che ho e che vivo<br />
in rapporto al mondo: insomma una<br />
reazione inconscia a tutto quello che<br />
dentro di me è fuori posto e a tutto<br />
quello che nel mondo vorrei fosse più<br />
umano, più civile…». Ecco, civile. Ti accorgi<br />
subito di come questo aggettivo<br />
sia il più adatto a riassumere in una parola<br />
la poliedrica eppure limpida personalità<br />
dell’artista, a dare l’idea di una<br />
descrizione anche solo esteriore del<br />
personaggio.<br />
74 75 76<br />
Alto, fisico asciutto, viso fiero incorniciato<br />
da una barbetta accurata, modi da<br />
gentleman, non smentiti dall’abbigliamento<br />
informale (jeans, scarpe da tennis<br />
e pullover), che anzi denota nei particolari<br />
la ricerca di un decoro e di un rigore<br />
anche esteriore, <strong>Visca</strong> porta con<br />
disinvolta eleganza i suoi cinquant’anni.<br />
Tutto in lui trasmette un senso di tolleranza,<br />
apertura, disponibilità al dialogo,<br />
in una parola civiltà. Che poi non sia<br />
neutralità e tanto meno impassibilità inglese,<br />
lo rivelano gli occhi, o meglio<br />
quella morbidezza e pastosità dello<br />
sguardo che cerca nell’altro una comunanza<br />
di idee, un calore umano, un<br />
cenno di intesa, svelando la «gentilezza»<br />
di un animo tipicamente abruzzese, attaccato<br />
alle tradizione della sua terra, a<br />
quelle «stratificazioni culturali» dalle quali<br />
ha «potuto trarre gli stimoli e le motivazioni<br />
per la ricerca.»<br />
<strong>Visca</strong> è uno di quegli artisti che, decidendo<br />
per una scelta affettiva, di vivere<br />
ed operare in Abruzzo, praticano quotidianamente<br />
la virtù della «resistenza», di<br />
fronte all’indifferenza culturale delle istituzioni.<br />
«Sono tornato in Abruzzo nel ‘68 perché<br />
non credevo alla situazione politica<br />
del momento, alla possibilità di fare il<br />
cartello della contestazione. Credevo invece<br />
in un’altra via d’uscita, che era<br />
quella della possibilità di riproposte, per<br />
indicare nuove vie di costruzione del<br />
sociale. Purtroppo questo non è avvenuto.<br />
Ma sono convinto che un artista<br />
per esprimersi veramente non può essere<br />
legato a nulla, né al successo né<br />
alla critica, né al mercato, né tanto meno,<br />
a quello che le mode del potere richiedono.<br />
Personalmente ho cercato di<br />
vivere la mia storia d’artista dentro una<br />
libertà totale di pensiero, lontano da<br />
qualsiasi condizionamento…».<br />
Pittore, scultore, arazziere, un po’ poeta<br />
e un po’ filosofo, <strong>Visca</strong> si è espresso attraverso<br />
un lavoro polivalente – dove<br />
non è mancata persino la realizzazione<br />
di un film d’arte – per una curiosità innata<br />
verso la sperimentazione e la ricerca<br />
di nuovi modi d’essere, perché, come<br />
ama affermare «la verità non esiste,<br />
ma sarebbe disastroso non cercarla».
184<br />
1995<br />
“Il grande firmamento” (ambientazione)<br />
Struttura in legno, pavimento in feltro nero inclinato di 5 gradi,<br />
interno totalmente oscurato, soffitto dipinto su tela nera con tempere fluorescenti, illuminazione interna a luce nera<br />
Musiche di: Karlheinz Stockhausen e Krysztof Penderecki<br />
(ingresso cm 200x200x220 - interno cm 500x500x350)
“Osservatorio”<br />
Da tutto il mondo si vedono le stelle<br />
185
Nato come pittore figurativo, dopo una<br />
fase post-informale, è ritornato alla figura,<br />
per passare piano piano alla rappresentazione<br />
di quel mondo magico, favolistico<br />
dell’ultima produzione, dove un<br />
ruolo fondamentale ha il “cucito”, quell’intenso<br />
“lavoro di strappo e costruzione”<br />
dietro cui i critici hanno rinvenuto<br />
complesse motivazioni di natura psicologica<br />
ed antropologica.<br />
Più semplicemente per lui il cucito rappresenta<br />
il recupero di una passione<br />
nata per gioco nell’infanzia, quando,<br />
nella casa isolata fuori dell’Aquila, si divertiva<br />
a realizzare abiti per le bambole<br />
della sorella o costumi per le rappresentazioni<br />
teatrali che inventava nel teatrino<br />
costruito in giardino.<br />
«Fu così che negli anni ‘70 ho iniziato a<br />
realizzare delle sculture di pezza, dei feticci,<br />
dei pupazzi enormi, creati con stoffe<br />
diverse ed altri orpelli. E nel ‘74 ho<br />
messo in atto il primo arazzo cucito, fino<br />
ad arrivare agli ultimi quadri che sono<br />
fatti di stoffa anche se tirati su un telaio».<br />
Tu parli di operatività, ma quanta parte<br />
ha l’ispirazione nel lavoro di un artista?<br />
«L’ispirazione è una cosa che hanno inventato<br />
i dilettanti e la sottocultura. Fare<br />
pittura da professionisti è un lavoro e<br />
come tale va svolto con rispetto, anche<br />
quando non se ne ha voglia e si avverte<br />
il fastidio della fatica fisica. Il ruolo<br />
dell’artista non è quello di un visionario<br />
sognatore in attesa dell’ispirazione, ma<br />
quello di un individuo che si interessa<br />
dal vivo, attraverso la propria coscienza<br />
e partecipazione, dei problemi che riguardano<br />
il mondo».<br />
Un mondo che <strong>Visca</strong> osserva però con<br />
sempre maggiore disagio per “la volgarità<br />
del sociale” che incombe e che<br />
sembra spingerlo ad evocare nei suoi<br />
“cuciti” un universo remoto, magico: ora<br />
perso nella sontuosità di immagini bizantineggianti,<br />
ora nostalgicamente descritto<br />
nella semplicità di un Abruzzo<br />
naturale e primitivo, ridotto ai suoi segni<br />
essenziali: il mare, la natura, il monte...<br />
Non c’è figura umana nei cuciti di <strong>Visca</strong>,<br />
come se la presenza dell’uomo potesse<br />
portare solo disordine in quell’universo<br />
netto, nitido, senza sfumature ed ambi-<br />
77 78<br />
guità, giocato spesso su di un solo colore:<br />
il rosa, il grigio, il bianco, l’azzurro. O<br />
potesse disturbare l’immobile magia di<br />
momenti che assurgono ad eventi cosmici<br />
e per questo richiedono il nostro<br />
rispetto: la nascita di un asparago, la caduta<br />
di foglie d’oro, l’attesa del fagiano<br />
dorato, come recitano i titoli di alcune<br />
tavole.<br />
E fin dalla geometrica precisione dei titoli,<br />
<strong>Visca</strong> sembra voler far ordine, mettere<br />
ogni cosa al suo posto, non lasciare<br />
spazio a interpretazioni errate, dietrologie<br />
che si nutrono di se stesse e perdono<br />
di vista la semplicità e perfezione<br />
dell’esistenza che egli vuole ritrarre come<br />
modello per il nostro vivere schizofrenico».<br />
(Daniele Cavicchia, La civile “resistenza”<br />
nelle opere di <strong>Visca</strong>, «Il Messaggero»,<br />
Pescara, I giugno 1995, p. XIII).<br />
- In agosto, invitato dall’Ente Manifestazioni<br />
Pescaresi, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> allestisce<br />
all’Ex Gaslini di Pescara l’ambientazione<br />
“Il grande firmamento” (struttura in<br />
legno, pavimento inclinato di cinque<br />
gradi foderato in feltro nero, interno totalmente<br />
oscurato, soffitto dipinto su tela<br />
nera con tempere fluorescenti e illuminato<br />
con lampade di Wood. Ingresso<br />
m. 2x2x2,50 chiuso con tende nere,<br />
spazio interno m. 5x5x3,50).<br />
Musiche tratte da:<br />
LA MUSICA NUOVA<br />
Gazzelloni / Maderna<br />
Karlheinz Stockhausen<br />
1. KONTRA – PUNKTE<br />
Krzysztof Penderecki<br />
2. AUX VICTIMES DE HIROSHIMA –<br />
THRENE<br />
Frederick Rzewski, pianista<br />
Solisti dell’Orchestra Sinfonica di Roma<br />
diretti da Bruno Maderna<br />
Nel catalogo della mostra il testo è di<br />
Daniele Cavicchia.<br />
«Potrebbe accadere, improvvisamente,<br />
a ciascuno di noi di perdersi.<br />
Ci si potrebbe perdere in un bosco, nelle<br />
strade di una grande città, oppure<br />
davanti casa, nella nebbia, come accade<br />
al padre del protagonista del film di Fellini<br />
“Amarcord”.<br />
Ma a volte accade di perdersi in se<br />
stessi, o in sogni angosciosi e al risveglio<br />
cercare un appiglio, qualcosa di conosciuto,<br />
per ristabilire le giuste coordinate.<br />
Altre volte il perdersi diventa una<br />
scelta disperata, un modo alienato e artificiale<br />
di fuggire la realtà.<br />
Altre volte ancora, perdersi è disperdersi:<br />
nella frettolosità e fatuità del quotidiano,<br />
nella superficialità dei rapporti,<br />
nella menzogna degli impegni e degli<br />
alibi che ogni momento ci costruiamo<br />
per non fermarci un attimo a riflettere<br />
su noi stessi.<br />
Camminare a capo chino è ormai prerogativa<br />
dei più, un modo di perdersi<br />
camminando, un modo per disconoscere<br />
i propri simili, un modo per non farsi<br />
riconoscere nemmeno da se stessi.<br />
Potrebbe accadere, però, di trovarsi davanti<br />
a qualcosa di bello e inusuale, che<br />
ci costringe a fermarci ed alzare lo<br />
sguardo, per quel richiamo istintivo che<br />
viene da dentro e che la ragione non<br />
riesce a spiegare. Un paesaggio, come<br />
una scultura o un quadro, una poesia...<br />
tutto ciò che per un momento colpisce<br />
i nostri sensi e ci induce a riflettere.<br />
E l’opera diventa il pretesto per parlare<br />
un po’ con se stessi, per confrontarsi,<br />
per scoprire se siamo ancora in grado<br />
di apprezzare il bello, di discernere il<br />
bene dal male.<br />
Ecco allora l’artista, più avvezzo ai contatti<br />
con lo spirito, che si fa tramite, suo<br />
malgrado (perché il vero artista crea per<br />
sé) tra il noi conosciuto (che un po’ temiamo)<br />
e l’altro noi, quello ancora in<br />
grado di stupirsi, come il fanciullino pascoliano.<br />
“Il grande firmamento” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
sembra porsi in quest’ottica di provocazione:<br />
provocare quell’incontro di noi<br />
con noi stessi che da tempo rimandavamo,<br />
ma al quale, nello spazio limitato e<br />
buio del suo cubo, non possiamo più<br />
sottrarci.<br />
L’infinitamente grande e l’infinitamente<br />
piccolo, l’universo e l’uomo. Ogni cosa<br />
cerca il suo opposto e finisce con il trovarlo,<br />
secondo una legge non scritta.<br />
Costretto nel buio disorientante della<br />
stanza, tra vertigine ed equilibrio, ad alzare<br />
lo sguardo verso il cielo stellato riprodotto<br />
da <strong>Visca</strong> sul soffitto, lo spettatore<br />
non potrà, poi, che ripiegare su se<br />
stesso, ritrovarsi, anche se per un attimo,<br />
dopo essersi a lungo perso. Perché<br />
lo spazio infinito che si apre ai suoi occhi,<br />
calamitandolo con i suoi punti luminosi,<br />
è la stessa voragine sconosciuta<br />
della sua anima che egli teme di esplorare,<br />
ma che, suo malgrado, gli si spalanca<br />
davanti. La scatola magica di <strong>Visca</strong><br />
vuole essere la benevola trappola che<br />
l’artista tende all’ignaro visitatore, un po’<br />
giocosamente e un po’ seriamente, come<br />
è nella sua natura affabile e<br />
nient’affatto prevaricatrice, per “costringerlo”<br />
a cercare il cielo, a scoprire la<br />
meravigliosa architettura delle stelle, a<br />
perdersi, per una volta, nell’immensità<br />
dello spazio e non più nell’angustia dei<br />
suoi limiti, a svelare la sua stessa natura<br />
infinita.<br />
Di <strong>Visca</strong> conosciamo i paesaggi nitidi e<br />
poetici, dove le stelle fanno capolino,<br />
lontane e ammiccanti, come nei disegni<br />
dei bambini. Paesaggi fintamente ingenui,<br />
immobili, irreali, come in un sogno<br />
d’evasione, dove lo sguardo può riposarsi<br />
e ritemprarsi dallo squallido disordine<br />
delle architetture urbane. Lì la provocazione<br />
è forse più soft, sottintesa, in<br />
un gioco di allusioni e di rimandi non<br />
sempre esplicito. La “nascita di un asparago”,<br />
sbattuta in primo piano sulla tela<br />
come sulla prima pagina di un giornale,<br />
al di là dell’immobile magia descrittiva,<br />
apparentemente fine a se stessa, è forse<br />
la satira sottile di una certa affannosa<br />
corsa degli uomini dietro che? che cosa?,<br />
perdendo di vista la semplicità e<br />
perfezione della natura che si rinnova<br />
secondo leggi ordinate e ineluttabili: in<br />
un asparago che nasce come nelle foglie<br />
autunnali che cadono o nell’esatta<br />
geometria di un cielo stellato».<br />
Nella nascita di un asparago o nel cubo<br />
nero, abita la stessa coerenza.<br />
(Daniele Cavicchia, testo nel catalogo<br />
per l’ambientazione “Il grande firma-
mento” all’Ex Gaslini di Pescara, agosto<br />
1995).<br />
- Dal 21 ottobre al 4 novembre apre<br />
la mostra “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”, 1974 /<br />
1994, al Palazzo Ducale nella Sala del<br />
Diritto Comune dell’Università degli<br />
Studi di Camerino. Espone quasi cento<br />
opere tra arazzi, tele dipinte a tecnica<br />
mista e sculture). Nel catalogo della<br />
mostra i testi sono di Lucio Fraccacreta,<br />
Enrico Crispolti, Tito Spini e Ruggero<br />
Pierantoni.<br />
«Va detto subito che ogni uomo<br />
vorrebbe avere l’aspetto del Sean<br />
Connery maturo, l’aspetto appunto che<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> si porta in giro, con calma<br />
e con serenità. Ma io, in particolare, vorrei<br />
vivere nell’ordine pulito attento e rigoroso<br />
dello studio dove disegna, pensa<br />
e forma le sue opere. Un ordine che<br />
tanto contraddice le disordinate furie<br />
pseudo-creative di tanti studi spiritati e<br />
fasulli, di tanta deprimente e scoraggiante<br />
ideologia della creazione ad ogni<br />
costo. Creazione che dovrebbe, per necessità,<br />
sorgere da stanze in disordine,<br />
da pavimenti ingombri, da muri imbrattati<br />
di inutili segni “creativi”. Lo spazio<br />
attorno a <strong>Visca</strong> è semplice, chiaro, gli<br />
strumenti sono amati, protetti, arrangiati<br />
nel loro inevitabile ordine gerarchico.<br />
L’unico ordine che sancisce il grado di<br />
aristocrazia: lo strumento più nobile è<br />
quello, al momento, più usato. E, come<br />
tale, domina discretamente sugli altri. In<br />
attesa di essere sostituita dall’ago e dal<br />
filo e dal cuoio la matita siede al posto<br />
giusto. Sarà, più avanti, il ruolo dominante<br />
della sgorbia, del bulino, del trapano<br />
a modificare ancora una volta,<br />
con precisione funzionale, questa mobile<br />
scala sociale degli strumenti.<br />
Non so se il paragone farà piacere a <strong>Visca</strong><br />
ma il suo studio mi ha ricordato fittamente<br />
nei particolari un immenso garage<br />
nel nord più nord del Canada dove<br />
viveva una donna giovane e, apparentemente,<br />
sola. Vi ricorremmo per un guasto<br />
al camper. Essa aveva tutti gli strumenti<br />
in ordine immacolato, tutte le forme<br />
di cacciaviti, di trapani, di livelle... mi<br />
ricordò, essa, Calipso che porta a Ulisse<br />
seduto sulla riva e disperato di partire<br />
tutti i necessari strumenti, che essa evidentemente<br />
possedeva e conservava.<br />
Dea solitaria al limite del mondo umano<br />
e divino.<br />
Mi domanderei adesso a quale viaggio<br />
immobile si appresta <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> da<br />
questa plancia di comando così geometrica,<br />
uniformemente luminosa e onestamente<br />
abitata. E poiché per i viaggi<br />
occorrono le carte geografiche e i cammini<br />
mi pare che queste tre stanze siano<br />
la sede della evocazione e della rappresentazione<br />
di mondi da visitare, non<br />
da conquistare. Da amare, non da possedere.<br />
Che si tratti di viaggi e di mappe<br />
me ne sono convinto, anche se la<br />
convinzione non corrisponde forse all’intenzione<br />
di <strong>Visca</strong>. Ma nell’idea di<br />
viaggio si integra forte e definitivo il<br />
senso della possibilità di vivere e quindi<br />
l’attitudine gentile e sicura che vale la<br />
pena di muoverasi. Che vale la pena di<br />
inseguire dei segni, delle correnti, dei<br />
profili di monti. E, se ne vale la pena,<br />
vuol dire che di vivere vale la pena.<br />
L’altro aspetto gradevole di <strong>Visca</strong> è la<br />
coscienza tranquilla che le cose potrebbero<br />
andare infinitamente meglio ma<br />
che non conviene urlare, dimenarsi, agitarsi,<br />
lanciare sguardi allusivi e carichi di<br />
“indignazione”.<br />
Il compito che egli si è attribuito è quello<br />
di tracciare, per se e per gli altri, linee<br />
di fuga, uscite di sicurezza, aprire porte<br />
e finestre troppo spesso dimenticate<br />
chiuse, aggiungere ad aggettivi lieti e<br />
positivi altri aggettivi lieti e positivi, tracciare<br />
con cura le curve altimetriche di<br />
un paese che viene solo sognato. In un<br />
certo senso eroicamente muoversi con<br />
calma e in silenzio facendo vedere, non<br />
ostentando, le infinite combinazioni della<br />
felicità. Esploratore accurato e partecipe<br />
delle realtà geografiche e umane del<br />
Sud America egli sa benissimo come<br />
cantava Atahualpa Yupanqui nel suo desolato<br />
“Camino del indio”: “Caminantes,<br />
no hay caminos, se hace camino al andar”.<br />
E quindi i suoi percorsi, le sue<br />
mappe, i suoi testi grafici e plastici contengono<br />
momenti di scoraggiamento,<br />
tristezze improvvise, dettagli atroci e minuscoli<br />
(le “minuscole ignominie” di<br />
Borges). Esattamente come entro la pagina<br />
multicolore e solare di Marquez<br />
stanno certe disperazioni, certi suicidi<br />
annunciati, certi silenzi mortali così tra<br />
le stelle e gli svagati asparagi di bronzo<br />
e fulmini tipografici incontri un uccello<br />
smarrito, un artiglio adunco, un fuoco<br />
che brucia solo se stesso. In “Map and<br />
Mirror” Sir Ernest Gombrich descrive la<br />
complessa fenomenologia culturale della<br />
mappa e vi riconosce una forma ibrida<br />
sospesa tra l’alfabeto, la pittura, la<br />
poesia e la “semplice” rappresentazione.<br />
Così paludi sono disegnate come<br />
paludi con piante infestanti, i boschi sono<br />
fitte compagini di alberi stretti stretti<br />
tanto da non farti vedere il terreno, le<br />
città formalizzate sono un campanile,<br />
un ponte una porta. A volte ci incontri<br />
persino l’ombra, il riflesso del fiume, il<br />
cancello semiaperto di un orto. Ma accanto<br />
hai il numero, la misura, la scala,<br />
il nome.<br />
E, coerentemente, le mappe di <strong>Visca</strong>,<br />
hanno questa qualità di testo scritto con<br />
un alfabeto semplice e chiaro e di pochi<br />
simboli. Guardando e riguardando le<br />
immagini da lui dipinte, incise, cucite,<br />
fuse e ricamate (perché <strong>Visca</strong> ricama,<br />
anche) ho annoverato circa ventiquattro<br />
geroglifici. Mi sembra che egli scriva con<br />
ventiquattro simboli. Gli bastano. Mi bastano.<br />
Non li elencherò qui tutti ma sono<br />
così gradevoli, così riconoscibili, è<br />
così piacevole rincontrarli immagine dopo<br />
immagine, riconoscerli nella loro<br />
continua metamorfosi che fa piacere<br />
farne una sorta di abbreviatissimo dizionario,<br />
o forse vocabolario.<br />
Angolo: a volte sembra proprio l’Angolo,<br />
quello dei testi di geometria per le<br />
Scuole Medie. Con il suo bravo cerchietto<br />
ribattuto al vertice, altre volte addirittura<br />
esce da un arco di cerchio che,<br />
però se lo guardi diventa sempre più<br />
“arco” e la Geometria Elementare si<br />
scioglie scompare e la freccia può, finalmente,<br />
partire. Ma l’Angolo, senza annunci,<br />
diventa facilmente una vela piantata<br />
un po’ di sbieco su di un mare che<br />
sarebbe piaciuto assieme sia a Klee che<br />
a Euclide.<br />
Fulmine: è il fulmine tipografico. È la<br />
vera saetta con i fianchi a zig-zag, la<br />
79 80 81<br />
punta acuminata che si infila nel mare,<br />
il fulmine del bambino e dell’eroe, il fulmine<br />
delle previsioni del tempo. A volta<br />
scende verso il basso da nuvole ondulate<br />
e scalate astutamente dei colori figli<br />
del blu, a volta sale dal basso, esce da<br />
camini, si allontana da fiori schematici e<br />
“fulminei”. Può essere rosa, può essere<br />
di bronzo, può essere nero o solo essere<br />
fatto di aria, ritagliato come in negativo<br />
dalla nuvola madre, come in “Piccole<br />
Tempeste”.<br />
Asparago: inequivocabilmente ortofrutticolo.<br />
Gli esegeti che si sforzeranno di<br />
dargli connotati fallico-freudiani dovranno<br />
fare i conti con la sua assoluta immacolata<br />
vegetalità, il colore brunoverde<br />
delle foglioline, il gambo abbagliante,<br />
la cuspide rossa e violetta. Ma esso<br />
si presenta a volte solo, a volte in gruppo<br />
con altri fratelli, alcuni un po’ barbari<br />
e coperti di scaglie di cuoio come il catafratto<br />
di D’Annunzio. Altri si presentano<br />
lignei o germanici, o scivolano sinuosi<br />
come il loro riflesso su di un’acqua<br />
oleosa di un porto. Sembrano insensibili<br />
e silenziosi, e quasi arroganti.<br />
Ma ne incontri alcuni che sentono fortissimamente<br />
l’attrazione di una stellina<br />
di bronzo lontana e si tendono verso di<br />
lei, spuntando obliqui e curiosi oltre<br />
una coltre di onde matematiche. Ne incontri<br />
quasi un clan in “Asparagi” ma,<br />
nel “Giardino dei frutti proibiti” l’asparago<br />
è il Re (degli scacchi). Mi ricordano,<br />
queste creature vegetali così arcaiche<br />
ed essenziali, ma buonissime da mangiare,<br />
l’episodio narrato da Brillat Savarin<br />
nel suo ‘’Meditazioni di Gastronomia<br />
Trascendente” in cui si narra dello<br />
scherzo bonario inferto a quel Canonico<br />
che era oltremodo orgoglioso dei propri<br />
asparagi che egli faceva crescere nell’orto<br />
dietro la chiesa. Nottetempo vennero<br />
gli amici, colsero gli asparagi veri e li sostituirono<br />
con una popolazione di falsi<br />
asparagi ben scolpiti ben colorati che,<br />
notte dopo notte, facevano “crescere”.<br />
Sino al ligneo, beffardo banchetto finale.<br />
Quelli veri erano ormai stati ampiamente<br />
celebrati in un altro, più privato,<br />
banchetto cui il Canonico non venne invitato...
Spirale: destrorsa o sinistrorsa, sottile o<br />
resa barocca di tutta una popolazione di<br />
segni e di colori sta sola o si accompagna<br />
ad altre sorelle. Può uscire da una<br />
sorta di camino o, piuttosto, da una guglia<br />
conica di castello francese cui è attaccata<br />
da una piccola presa, una mano<br />
nascosta che la trattenga sul posto.<br />
Che le impedisca di volarsene via. Ma,<br />
altre volte, è il percorso stesso dell’Uccellino<br />
(vedi alla voce) che se la tira<br />
dietro in racemi e intrecci di una memoria<br />
calligrafica e piamente scolastica.<br />
Uccellino: è questa la creatura viva forse<br />
unica ma quasi sempre presente<br />
nelle mappe di <strong>Visca</strong>. Si tratta di un uccellino<br />
che sta a mezzo tra la pernice e<br />
la quaglia tra la gazza e la triste gallina.<br />
Quella che, per capirsi, “ritorna sulla<br />
via...” una volta smesso di piovere. A<br />
volte moltiplicata in uno stormo che<br />
punta ad un eroico esodo senza ritorno,<br />
o che ritorna dopo l’ennesima migrazione.<br />
A volte curiosa, sola, mezzocelata<br />
nel verde smerlato di un prato ricamato<br />
a giorno (ma un po’ cattivo nelle lame<br />
dell’erba) attende che il cacciatore si distragga.<br />
Ma la volta dopo è atterrata,<br />
morta forse, uccisa da un inganno nell’Agguato<br />
di un disco di bronzo sospeso<br />
su quattro artigli lucenti. Come in “Cacciatore”<br />
di Garcia Lorca dove “quattro<br />
colombe per l’aria vanno, volano e portano<br />
le loro quattro ombre” già morte.<br />
Cosa essa sia per il suo creatore o compagno,<br />
non lo so. Ma da questa creatura<br />
inerme e indistruttibile, paurosa e impavida<br />
spira una costanza nel voler sopravvivere,<br />
nel voler vedere, capire e<br />
“esserci” che non la scambierei né con<br />
l’aquila, né con il pellicano, né con l’Araba<br />
Fenice.<br />
Stella: è quasi invariabilmente pentagonale<br />
e senza simmetrie stellari, un po’<br />
malfatta, con i raggi diseguali, buttata li<br />
per caso, opzione della Creazione astronomica.<br />
Più grafica e infantile che<br />
scientifica e siderale stabilisce attorno a<br />
se un campo gravitazionale gentile e<br />
inesorabile che vi attrae punti colorati,<br />
fumi, teste speranzose di asparagi e altre<br />
stelle.<br />
Potrebbe questo dizionario, questo vocabolario<br />
dei segni individuali di <strong>Visca</strong><br />
continuare tanto che mi da piacere rievocarli<br />
dopo che li ho isolati dal loro<br />
mondo, li ho “tirati giù” e li ho messi in<br />
ordine non alfabetico.<br />
Quello che commuove e seduce sono<br />
quasi sempre le forze invisibili che si intrattengono<br />
tra questi simboli, tra queste<br />
parole. Una stella si piega verso un<br />
asparago, una spirale mette un vento<br />
intenso e verde in una popolazione di<br />
asparagi che seguono la brezza e che,<br />
se non fossero radicati, se ne starebbero<br />
adesso tutti per aria. Una stella, forse<br />
marina (magari un riflesso di una stella)<br />
galleggia su di un’onda di bronzo e, a<br />
parte, sta una punta acuminata ma rotonda,<br />
lucida ma non dura, che allude<br />
alle profondità di quel mare. Allude alla<br />
pericolosità ma anche alle meraviglie<br />
della navigazione.<br />
Ma esiste un’altra presenza curiosa, celata,<br />
resa trasparente dalla sua autoironia.<br />
Qua e la incontri delle curiose forme<br />
di prospettiva: alcuni tavoli la abbozzano<br />
in un angolo per presto dimenticarla<br />
in quello vicino. A volte un<br />
piedistallo inizia ad articolare con precisione<br />
infantile e scolastica i nomi delle<br />
sue modanature: gola rovescia, listello,<br />
scozia, toro... ma poi resta li, perplesso<br />
a metà di un segno. Altre vedi delle finestre,<br />
aperture in un cubo sghembo<br />
che avrebbe fatto la delizia di Pavel Florenskji<br />
a veder la sua “Prospettiva Invertita”<br />
ancora godere, tra noi miscredenti,<br />
di una sua fortuna rara ma salda. Qui<br />
sotto c’è, a mio parere, la Scuola e ciò<br />
che <strong>Visca</strong> di essa pensa. Sono restato<br />
sorpreso, nell’ascoltarlo, nel rilevare che,<br />
a differenza della quasi totalità degli Insegnanti<br />
di Scuole Superiori che ho incontrato,<br />
non mi ha mai parlato male<br />
della scuola. Certo sorrideva nella barba<br />
con comprensione delle infinite debolezze<br />
di questa nostra creatura fragile e<br />
sempre sull’orlo di affogare che è la<br />
Scuola. Allora, ma si tratta di personale<br />
affabulazione, l’Uccellino mi parve la<br />
Scuola. Appiattato per non essere impallinato,<br />
reso furbo e veloce per non<br />
farsi prendere, attento e paziente per<br />
non farsi mettere in forno. Continuamente<br />
sull’orlo dell’estinzione ma mai<br />
scomparso dagli Atlanti. <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
non scivolò sul quasi inevitabile pendio<br />
dell’ingiuriarla, la Scuola, del condannarla,<br />
farne bersaglio di contumelie. Quelle<br />
poche citazioni del mestiere del disegnatore,<br />
l’accenno parco alla prospettiva,<br />
i profili imbarazzati e tronfi dei piedistalli<br />
vagamente architettonici, un piccolo<br />
ricordo di contrasto cromatico istituzionale,<br />
tutto mi ha fatto sospettare,<br />
in <strong>Visca</strong>, un Insegnante paziente ironico<br />
e gentile. Una di quelle persone che,<br />
all’incontrarlo venti anni dopo, per un<br />
viale, metti giù il piede dalla bicicletta e<br />
gli dici: “E, allora, gli Asparagi sono cresciuti?».<br />
(Ruggero Pierantoni, Un alfabeto di<br />
ventiquattro segni, testo nel catalogo<br />
della mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”<br />
1974 / 1994, alla Sala del Diritto Comune<br />
del Palazzo Ducale dell’Università<br />
degli Studi di Camerino, 21 ottobre / 4<br />
novembre 1995).<br />
- Dal 22 dicembre 1995 al 18 febbraio<br />
1996 è invitato alla mostra “Lupo”, dall’Abruzzo<br />
all’immaginario, al Salone<br />
delle Fontane a Roma Eur. Espone “Attendere<br />
serenamente fuori della tana<br />
del lupo” (collage dipinto e pelli cucite,<br />
cm. 57x77).<br />
La mostra è a cura di Alessandro Mendini.<br />
1996<br />
- In giugno <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato alla<br />
mostra “Spazio dell’800-900 in Abruzzo”<br />
alla Sala Michetti del Consiglio Regionale<br />
d’Abruzzo a L’Aquila. Espone<br />
“Sogno di un paesaggio di mare”<br />
(arazzo cucito cm. 155x195).<br />
- È presente con l’opera “Nascita di un<br />
asparago” (scultura in semirefrattario<br />
biscottato, la parte superiore smaltata<br />
e toccata in oro, cotture 1 (980°C), 2<br />
(900°C), 3 (750°C), h. cm. 61 – ø di<br />
base cm. 12), alla mostra “Raccolta Internazionale<br />
d’Arte Ceramica Contemporanea”<br />
al Museo Regionale dell’lstituto<br />
d’Arte F.A. Grue di Castelli. Nel catalogo<br />
i testi sono di Enzo Biffi Gentili e<br />
Eduardo Alamaro.<br />
- Dal dicembre 1996 al gennaio 1997<br />
si apre la mostra antologica <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
“Vessilli d’amore” al Museo Speri-<br />
82 83 84<br />
mentale d’Arte Contemporanea dell’Aquila.<br />
Espone un centinaio di opere tra arazzi<br />
cuciti, tele dipinte a tecnica mista, cartoni<br />
dipinti e cuciti, strutture polimateriche,<br />
sculture di pezza e sculture in<br />
bronzo e ferro di piccolo formato. Nel<br />
catalogo i testi sono di Nicola Ciarletta,<br />
Benito Sablone, Lucio Fraccacreta, Gino<br />
Marotta, Diego Carpitella, Enrico Crispolti,<br />
Tito Spini, Ruggero Pierantoni.<br />
1997<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Teatrarte<br />
novantasette” al Teatro D’Annunzio di<br />
Pescara. Espone “Attendere serenamente<br />
fuori della tana del lupo” (collage<br />
dipinto e pelli cucite, cm. 57x77). La<br />
mostra è a cura di Nicoletta Di Gregorio.<br />
9 luglio / 18 agosto.<br />
- In questo anno <strong>Visca</strong> partecipa, insieme<br />
a Edoardo Caroccia e a un ristretto<br />
gruppo di amici, alla fondazione dell’Associazione<br />
Culturale “Gli alianti”, di<br />
cui disegna il logo, che come prima iniziativa<br />
nel 1998 promuove con grande<br />
successo, alla Galleria della Stazione<br />
Centrale di Pescara, un’importante antologica<br />
di Andrea Pazienza. La monografia<br />
“Andrea Pazienza” Edizioni Baldini<br />
& Castoldi, è a cura di Vincenzo Mollica<br />
e Michele e Mariella Pazienza, 25<br />
aprile / 21 giugno.<br />
Sempre alla Galleria della Stazione<br />
Centrale di Pescara seguono nel 1999<br />
un’altra grande antologica di Tanino Liberatore.<br />
La monografia “Liberatore”,<br />
Da Quadri a Parigi, Disegni e illustrazioni<br />
1975-1999 è a cura della Casa<br />
Editrice 3ntini & C.<br />
Nel 2000 viene aperta una mostra di<br />
Milo Manara. Il catalogo è a cura delle<br />
edizioni Gli Alianti.<br />
Nel 2001, con grande successo, viene<br />
promossa la retrospettiva di Pino Zac al<br />
Forte Spagnolo dell’Aquila che viene replicata<br />
in gennaio al Palazzo delle<br />
Esposizioni a Roma. Il catalogo “Pino<br />
Zac” è a cura delle edizioni Gli Alianti.<br />
1998<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, per il suo vivo interesse<br />
verso la storia dell’uomo e dei rapporti
con il luogo e i costumi territoriali nel<br />
1998, insieme a sua moglie Brunella e<br />
alcuni amici venezuelani, Fausto Giannangeli<br />
Rosa, Silvia e Mirna Parra e Josè<br />
Luis Padilla parte da Puerto La Cruz<br />
e attraversando la Gran Sabana Venezuelana<br />
da Canaima a Roraima arriva,<br />
dopo un percorso di duemila chilometri<br />
di geep, fino in Brasile.<br />
Nell’estate dell’anno successivo, insieme<br />
a sua moglie Brunella, si avventura<br />
in Africa settentrionale e percorre in<br />
geep millecinquecento chilometri del<br />
deserto tunisino attraversando le oasi e<br />
i luoghi più rilevanti.<br />
In questi viaggi così impegnativi, dove<br />
la fatica fisica e i disagi sono una delle<br />
componenti filosofiche che lo accompagnano<br />
si scopre in lui non solo il piacere<br />
del viaggiatore naturalista, ma anche<br />
la passione per la fotografia. Perché<br />
<strong>Visca</strong> è anche un bravissimo fotografo,<br />
certo è un suo hobby, ma lui, riservato<br />
come sempre, sfugge da qualsiasi<br />
elogio e non vuole essere riconosciuto<br />
tale.<br />
- Dal 9 al 12 ottobre espone “Paesaggio”<br />
(arazzo cucito, cm. 170x230) e<br />
“Asparago” (arazzo tessuto al telaio di<br />
Paola Pia di Civitella Alfedena) alla mostra<br />
“Abitare il tempo”, Mostre di sperimentazione<br />
e ricerca “Riprogettare il<br />
passato”, a Verona. Nel catalogo il testo<br />
è di Mariano Apa.<br />
- Dal 31 ottobre al 15 novembre l’Istituto<br />
Statale d’Arte dell’Aquila lo invita<br />
alla mostra “40° Anniversario dell’lstituto<br />
Statale d’Arte” al Forte Spagnolo dell’Aquila.<br />
Espone “La grande montagna”<br />
(stoffe e pelli cucite, cm. 100x150).<br />
- Il 20 dicembre si inaugura la mostra<br />
“Museo e archivio di artisti abruzzesi<br />
contemporanei” (collezione permanente)<br />
al Castello Medievale di Nocciano.<br />
Espone “Voli misteriosi sulla montagna”<br />
(stoffe e pelli cucite, cm. 100x100). La<br />
mostra è a cura di Eugenio Riccitelli.<br />
1999<br />
- <strong>Visca</strong> insieme ad altri artisti quali Carla<br />
Accardi, Bruno Ceccobelli, Peter Flaccus,<br />
Gino Marotta e Egon Wostemeier<br />
partecipa alla mostra “Annodo”, Kilim<br />
contemporanei, al Chiostro di San Salvatore<br />
in Lauro a Roma. Espone “Preghiera”<br />
(tappeto Kilim, cm. 143x172,<br />
tessitrice Mali Ha Talasli, tintore Mehmet<br />
Tosunyalin). La mostra è a cura di<br />
Giovanna Odorisio.<br />
- Dal 18 luglio all’8 agosto si inaugura<br />
la mostra “Artisti & Venti 1944-1999”<br />
Rassegna d’Arte Moderna e Contemporanea,<br />
al Forte Spagnolo dell’Aquila.<br />
Espone “Paesaggio estivo” (stoffe cucite,<br />
cm. 150x50). La mostra è a cura di<br />
Antonio Gasbarrini.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato a partecipare alla mostra<br />
“Epicaforma” National exbition al<br />
Columbus Centre di Toronto, Canada.<br />
Espone “Prima della tempesta” (tela dipinta<br />
a tecnica mista, cm. 50x70), “Tramonto<br />
estivo” (tela dipinta a tecnica<br />
mista, cm. 50x70). La mostra è a cura<br />
di Mariano Apa.<br />
- Dal 14 agosto al 26 settembre si<br />
inaugura la mostra “Alitalia per L’arte”,<br />
Artisti per la 705 a Perdonanza Celestiniana,<br />
al Forte Spagnolo dell’Aquila.<br />
Espone “Fuochi sulla montagna” (stoffe,<br />
pelli e spaghi cuciti, cm. 100x150).<br />
La mostra è a cura di Massimo Duranti.<br />
- <strong>Visca</strong> il 5 settembre è invitato dall’Università<br />
degli Studi di Camerino al<br />
12 TH Camerino – Noordwijkerbout<br />
Symposium, “RECEPTOR CHEMISTRY<br />
TOWARDS THE THIRD MILLENNIUM”.<br />
Espone “Piccolo paesaggio” (pelli e<br />
stoffe cucite cm. 50x50).<br />
- Il 28 dicembre è invitato alla mostra<br />
“Quei giovani amici pittori”, Cronache<br />
d’arte 1970-1978 a Casa Rosato a<br />
Lanciano. Espone “Sotto il gomitolo<br />
bianco” (arazzo cucito, cm. 168x255).<br />
La mostra è a cura di Giuseppe Rosato.<br />
- Nel dicembre del 1999 Alessandro<br />
Clementi presenta alla Sala rossa di<br />
Palazzo Centi all’Aquila il volume <strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong>, “Abruzzi, L’Arte del far cucina”,<br />
edito dalla Casa Editrice G.T.E. dell’Aquila.<br />
Il volume è stato promosso da<br />
Abruzzo Promozione Turismo di Pescara.<br />
«È consolante constatare che,<br />
sotto la sigla di Abruzzo Promozione Tu-<br />
rismo esca un libro come questo, L’arte<br />
del far cucina di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, libro che<br />
della nostra regione offre, finalmente,<br />
un aspetto raffinato, quasi aristocratico,<br />
in linea con certe tradizioni nostre, fatte<br />
di sobrietà e di eleganza, aliene dall’opulenza<br />
e dallo spreco. Scritto, illustrato<br />
e graficamente progettato dall’Autore,<br />
stampato rigorosamente dalla G.T.E. dell’Aquila,<br />
il volume assomma tutte le<br />
qualità di un artista che unisce al talento<br />
creativo una esperienza tecnica non<br />
comune.<br />
Definire questo un libro di ricette sarebbe<br />
una banalità; lo stesso titolo, d’altronde,<br />
sembra voler fugare l’equivoco:<br />
l’arte del far cucina. Arte, appunto, del<br />
“far cucina”, ma non solo.<br />
L’autore dice, nell’introduzione: “Uno<br />
degli aspetti che mi ha sempre intrigato<br />
di fronte a una pietanza è la sua componente<br />
alchemica: una cosa, più un’altra<br />
cosa, più un’altra ancora possono insieme<br />
dar vita a una prelibatezza, a una<br />
leccornia... Che felice momento quando,<br />
dinanzi a un piatto da onorare, entrano<br />
in competizione tutti i nostri sensi:<br />
dalla vista all’olfatto, dal gusto al tatto<br />
all’udito”.<br />
In questo spirito sono fornite tutta una<br />
serie di indicazioni culinarie, che della<br />
“ricetta” hanno solo la struttura di base,<br />
ma che in realtà vogliono indirizzare il<br />
lettore verso scelte raffinate e profondamente<br />
colte, anche se apparentemente<br />
molto semplici.<br />
Ho apprezzato il rigore filologico con cui<br />
viene trattato il testo: non a caso, la filologia<br />
non è tanto una scienza della parola,<br />
quanto un metodo di studio, un<br />
modus operandi che può investire qualunque<br />
campo. L’esattezza dei termini<br />
usati, la precisione con cui vengono<br />
proposti gli argomenti, sottintende,<br />
qualche volta, una sottile vena ironica:<br />
come nel caso della ricetta della misticanza<br />
(p p. 144), che elenca sei erbe,<br />
come una cantilena: Lattughina riccia,<br />
Valerianella, Caccialepre, Porcacchia, Rucoletta<br />
selvatica, Papavero): da condire<br />
con sale, olio extravergine di oliva, aceto<br />
di lamponi.<br />
Così le Lumache al pomodoro (p. 70)<br />
prendono un andamento fiabesco: per<br />
86 87 88<br />
quattro giorni “debbono restare chiuse<br />
in un ampio recipiente coperto da una<br />
rete a trama sottile per evitare che fuoriescano.<br />
Il primo giorno alimentarle solo<br />
con la lattughina fresca, mentre i rimanenti<br />
tre giorni con crusca di grano…”.<br />
Ma questo non è solo un testo<br />
scritto, è soprattutto un libro splendidamente<br />
illustrato: dalle cornici ai capoversi<br />
delle pagine, alle raffigurazioni, di<br />
varia grandezza, di oggetti, animali, paesaggi,<br />
erbe e fiori, la fantasia dell’Autore<br />
spazia con volo gioioso e nel contempo<br />
misurato.<br />
Abbiamo appreso da Dante che l’arte<br />
della miniatura, che a Parigi si chiamava<br />
“illuminare», faceva “ridere le carte”:<br />
una luce e un sorriso che ritrovo in<br />
questo libro felice, che ripaga la carta<br />
dalle mortificazioni a cui la cattiva editoria<br />
la sottopone».<br />
(Anna Ventura, Quando la cucina è arte<br />
ed a parlarne è un maestro, «Il Messaggero»,<br />
L’Aquila, 11 febbraio 2000, p.<br />
VIII).<br />
2000<br />
- Dal 26 febbraio al 31 marzo apre la<br />
mostra <strong>Visca</strong> “In itinere” alla Galleria<br />
D’Arte Moderna, Palazzo Ricci di Macerata.<br />
Espone “In itinere” (arazzo cucito,<br />
m. 34x0,50). La mostra è a cura di<br />
Paola Ballesi.<br />
«Non credo – scrive Crispolti<br />
– che l’origine motivazionale dell’interesse<br />
di <strong>Visca</strong> per l’arazzo sia di natura<br />
avanguardistica», ma è facile rilevare come<br />
esso si innesti su un importante filone<br />
di ricerca dell’arte contemporanea,<br />
che comprende tanto il recupero della<br />
tradizionale poetica del tessuto, a titolo<br />
esemplificativo da Cagli a Boetti, quanto<br />
le diverse declinazioni di carattere sperimentale,<br />
da Depero a Baj, fino alle<br />
esperienze più recenti di Ghada Amer o<br />
di Louise Bourgeois, teso comunque ad<br />
evidenziare, pur nella sua variegata articolazione,<br />
la valenza artistica a forte<br />
connotazione comunicativa e sociale<br />
che il materiale tessile ha il magico potere<br />
di traslare e tradurre.<br />
La motivazione che muove <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
per questa pratica antica è, infatti,
2000<br />
“In Itinere”<br />
Arazzo cucito, mt 34x0,50<br />
(stoffe cucite e assemblaggio di materiali polimaterici)<br />
1<br />
3<br />
5<br />
7
2<br />
4<br />
6<br />
8
anch’essa antica ed ancestrale, nasce<br />
dalla confidenza con le proprie radici,<br />
dal desiderio manifesto di promuovere<br />
una indagine al confine tra ontogenesi<br />
e filogenesi, finalizzata a ricucire brandelli<br />
di memoria, spezzoni di storia, per<br />
ricostruire e ricomporre il tessuto della<br />
vita che racconta il complesso intreccio<br />
di vissuto e di ethos, in una sequenza<br />
di immagini da consegnare allo spettatore<br />
come visione immaginifica, ma anche<br />
come pellicola tissulare ed epifanica<br />
del reale nella continuità del suo inesorabile<br />
apparire.<br />
Sono i manufatti artistici, un tempo ritenuti<br />
minori e succedanei, rispetto a<br />
quelli delle cosiddette “arti maggiori”, a<br />
rivelare più generosamente le spinte<br />
profonde che muovono l’evolversi storico<br />
della cultura, ai primordi dettato<br />
semplicemente dal gesto che crea forme<br />
e produce immagini, non ancora<br />
mediate da alcun dettato coscienziale,<br />
ma spontanee e vergini nel loro attingere<br />
all’origine del fare produttivo e<br />
creativo, costitutivo dello statuto esistenziale<br />
dell’uomo impegnato, come<br />
suggerisce Heidegger, a “costruire, abitare,<br />
pensare”.<br />
Alois Riegl, uno dei maggiori esponenti<br />
della “Scuola di Vienna”, individua in essi<br />
i tratti fondamentali del Kunstwollen,<br />
il volere artistico che fa tutt’uno con la<br />
visione del mondo, e, in Alt orientalische<br />
Teppische del 1891, getta le basi<br />
per un approccio scientifico allo studio<br />
del manufatto tanto antico quanto ricco<br />
di significati culturali: il tappeto, denominazione<br />
estremamente ampia sotto la<br />
quale sono compresi sia i tappeti da<br />
pavimento sia quelli da parete.<br />
Ad essi corrispondono due tecniche<br />
dalla diversa tipologia: ‘’per i tappeti da<br />
parete la tessitura ad arazzo (Wirkerey),<br />
per i tappeti da pavimento l’annodatura”;<br />
la prima tecnica è la più primitiva e<br />
con ogni probabilità la più antica forma<br />
in assoluto di tessitura. Usati “per coprire,<br />
per proteggere, per chiudere”, i primordiali<br />
prodotti della tessitura venivano<br />
adoperati – precisa Gottfried Semper<br />
nel magistrale studio Die texile Kunst<br />
(1878) – sia per rivestire il corpo, sia<br />
per erigere temporanee barriere verso il<br />
mondo esterno, e creare così uno spazio<br />
abitativo chiuso.<br />
“Quest’ultimo scopo – prosegue Riegl –<br />
fu raggiunto nel modo più semplice<br />
con l’appendere dei drappi tessuti ad<br />
arazzo ad una certa altezza dal suolo, o<br />
a mo’ di tenda sopra un palo, o a mo’<br />
di capanna sopra due, tre, quattro o più<br />
pali”.<br />
Così, dalla primitiva tecnica dell’intreccio<br />
delle stuoie, nacque la tessitura ad arazzo<br />
che si diffuse presso tutte le antiche<br />
civiltà, caratterizzando con i suoi manufatti<br />
tanto la cultura occidentale che<br />
quella orientale: dai peruviani inca, agli<br />
egiziani, agli indiani ecc.<br />
Dopo aver conosciuto il suo maggiore<br />
sviluppo in età tardo-antica e nel periodo<br />
medievale, a partire dal XV secolo,<br />
questa antica tecnica, punto di partenza<br />
per la tessitura gobelin occidentale, si<br />
era già diffusa in tutta l’Europa centrale,<br />
dalla Francia ai Paesi Bassi alla Germania,<br />
dove veniva esercitata professionalmente,<br />
mentre in altri paesi europei fu<br />
affidata per molto tempo all’industria<br />
domestica rurale.<br />
In Italia queste due linee di sviluppo<br />
sembra che siano vissute fianco a fianco,<br />
tanto che “ancora oggi, – scrive Riegl<br />
nel già citato testo del 1891 – quasi<br />
quattro secoli dopo Raffaello, nei dintorni<br />
di Macerata troviamo in piena fioritura<br />
nel lavoro domestico rurale la<br />
produzione di tessuti a strisce colorate...<br />
un’eredità proveniente da un remoto<br />
passato”.<br />
E proprio nell’ambito di questa notazione<br />
sull’attività tessile della provincia maceratese<br />
di un secolo fa, è interessante<br />
inquadrare l’evento promosso dalla Fondazione<br />
Cassa di Risparmio della Provincia<br />
di Macerata che, con la mostra<br />
degli arazzi di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, ha ancora<br />
una volta sottolineato la peculiarità di<br />
una tra le sue principali funzioni istituzionali,<br />
quella di sensibile e sottile sensore<br />
particolarmente attento al mondo<br />
dell’arte, sia dal punto di vista della fenomenologia<br />
degli stili che dello spirito<br />
del tempo.<br />
Nel panorama della ricerca artistica contemporanea<br />
il lavoro di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> si<br />
colloca infatti come una variante parti-<br />
colarmente significativa, in quanto strategicamente<br />
puntuale nel rappresentare<br />
l’attuale sistema dell’arte, caratterizzato<br />
da un alto gradiente di diffusività e di<br />
consumo del prodotto artistico, che, recuperato<br />
soprattutto nella sua originaria<br />
matrice comunicativa, pur veicolando<br />
un messaggio a forte valenza ad un<br />
tempo estetica ed etica, risulta reperibile<br />
anche tra gli oggetti di consumo più<br />
comuni.<br />
Assemblando nel cucito e nel tessuto i<br />
materiali più svariati ed eterogenei ai<br />
più diversi contenuti rappresentativi, con<br />
una speciale attenzione per alcune immagini<br />
ricorrenti o emblematiche, egli<br />
compone una sorta di glossario metonimico<br />
di una immaginifica raccolta di reperti<br />
e di tracce mnestiche che contrassegnano<br />
e scandiscono il tempo della<br />
vita lungo una strada irta di sedimenti<br />
iconici che l’autore raccoglie e traduce<br />
secondo un codice personalissimo di<br />
forme icastiche, cifre araldiche, emblemi<br />
e simboli, giocati secondo il sottile<br />
spartito dell’ironia.<br />
Intende così rintracciare quel percorso<br />
di frontiera dove avviene da sempre ed<br />
inesorabilmente l’impatto dell’uomo<br />
con il mondo, all’origine del gesto creativo<br />
che dà senso all’esistere e partisce<br />
il reale con contrassegni simbolici affidati<br />
alla pratica artistica, peraltro, nel nostro,<br />
sempre funzionale alla rappresentatività<br />
dell’immagine, anche nel suo fare<br />
più raffinato e apparentemente gratuito,<br />
con ciò reclamando l’autonomia<br />
del suo gesto rispetto a quello di Burri,<br />
la cui giovanile frequentazione resta tuttavia<br />
un momento indiscutibilmente significativo<br />
nella sua formazione.<br />
Ma con i suoi segni ”cuciti” <strong>Visca</strong>, tanto<br />
pedantemente quanto pazientemente,<br />
si sofferma anche a descrivere l’erranza<br />
del segno dissociato prima di diventare<br />
forma e configurazione, prima di poter<br />
acquisire il suo statuto di immagine, allorché<br />
attinge alla fonte incantata del<br />
sentire originario per alimentare questo<br />
processo lento che muove, punto per<br />
punto, alla costituzione di un tessuto, lo<br />
sfondo su cui può stagliarsi una possibile<br />
forma, una volatile idea, una urgente<br />
volontà rappresentativa e immaginifica<br />
89 90 91<br />
ad un tempo, metafora di quel processo<br />
filogenetico di ben più vasta portata<br />
che ha contrassegnato la faticosa, lenta<br />
ed errante storia dell’umanità.<br />
Nell’avviare l’elaborazione e la raccolta<br />
di questi reperti esperienziali, sfociati<br />
nella costruzione di “oggetti mentali”<br />
conservati nella memoria quali sostituti<br />
dell’esperienza stessa, egli declina tutte<br />
le strategie tecniche del ricamo per tradurre,<br />
in un sistema di segni, cuciti e<br />
fermati nel tessuto, spesso seguendo<br />
umilmente la logica cogente della trama<br />
e dell’ordito, configurazioni e forme apparentemente<br />
ingenue, in realtà dotate<br />
di intensissimo valore simbolico, codici<br />
iconici semplificati ma carichi di vissuto<br />
e grondanti di ethos, che egli ha il potere<br />
rabdomantico di scovare, raccogliere<br />
e presentare così, in itinere.<br />
Il grande arazzo squadernato alle pareti<br />
della Galleria Galeotti in Macerata è uno<br />
straordinario esempio del lavoro di <strong>Visca</strong>,<br />
una sorta di sintesi che, mentre fa<br />
il punto sulla sua ricerca, tradisce anche<br />
una intenzionalità trasversale e indiretta,<br />
rispetto a quella immediata di carattere<br />
artistico, denunciata dalla proiezione del<br />
mondo dell’high-tech in un tempo speciale,<br />
straniato e sospeso nella lentezza<br />
della prassi artigianale, là dove si privilegia<br />
l’intervallo e la pausa per conservare<br />
tuttavia la velocità, più che mentale,<br />
empatica, del fulmineo percorso dell’intuizione,<br />
che cattura e collega punti lontani<br />
dello spazio e del tempo, da sempre<br />
dominio incontrastato dell’artista,<br />
sua nicchia privata, in cui è più facile fare<br />
venire alla luce il caleidoscopico apparato<br />
dell’immaginario.<br />
Ma l’artista non inventa arbitrariamente<br />
forme, semmai le rende riconoscibili in<br />
quanto partecipe di un repertorio di immagini,<br />
come quelle che <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
recupera ed esprime con inconfondibile<br />
idioletto nei suoi cuciti, nei suoi arazzi e<br />
nei suoi ricami, sia attraverso partiture<br />
astratte che inserti narrativi, contrassegnati<br />
da colori intensamente caldi e solari<br />
avvicendati ad altri altrettanto puri e<br />
notturni nella loro freddezza, nonché da<br />
configurazioni soffici e morbide, come<br />
possono essere quelle assunte da un<br />
materiale di natura organica e perciò vi-
vo, sottile ma indispensabile viatico per<br />
tessere e fermare, nella infinita sequenza<br />
della rappresentazione immaginifica,<br />
alcuni fotogrammi simbolici, come quelli<br />
che campeggiano qui, in questo originale<br />
story board, dove è gelosamente<br />
riposto il segreto senso della vita, scritto<br />
con i segni indelebili del lavoro umano<br />
che fa coppia con il mondo».<br />
(Paola Ballesi, In itinere, testo nel catalogo<br />
della mostra personale al Palazzo<br />
Ricci di Macerata, 26 febbraio / 31<br />
marzo 2000).<br />
- <strong>Visca</strong> insieme a Carla Accardi, Bruno<br />
Ceccobelli, Peter Flaccus, Gino Marotta,<br />
Egon Wostemeier partecipa alla mostra<br />
“Annodo” Kilim contemporanei, allo<br />
Studio Calia di Matera. La mostra è a<br />
cura di Giovanna Odorisio. 6/15 maggio.<br />
- Dal 28 maggio al 28 giugno apre la<br />
mostra <strong>Visca</strong> “In itinere” alla Chiesa del<br />
Suffragio a Corinaldo. Espone “In itinere”<br />
(arazzo cucito, m. 34x0,50). La mostra<br />
è a cura di Margherita Abbo.<br />
- Dal 9 settembre all’1 ottobre <strong>Visca</strong> replica<br />
la mostra “In itinere” al Forte Spagnolo<br />
dell’Aquila. Espone “In itinere”<br />
(arazzo cucito, m. 34x0,50). La mostra<br />
è a cura dell’Associazione Culturale “Un<br />
cuore rosso sul Gran Sasso”.<br />
- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra Annuale<br />
d’Arte 2000 “Lo scandalo dello spirito”,<br />
Arte contemporanea per Celestino V, al<br />
Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone “Ripostiglio<br />
estivo” (pelli e stoffe cucite,<br />
cm. 80x150), “Ripostiglio segreto”<br />
(stoffe cucite, cm. 80x150), “Fuochi sulla<br />
montagna” (stoffe, pelli e spaghi cuciti,<br />
cm. 100x150), “La grande montagna”<br />
(stoffe e pelli cucite, cm.<br />
100x150). La mostra è a cura di Enrico<br />
Sconci. 27 agosto / 25 settembre.<br />
- Dall’1 al 15 settembre partecipa alla<br />
mostra “World Festival of Art on Paper”<br />
a Kranj, Slovenia. Espone “La città degli<br />
asparagi” (acquerello su cartoncino Fabriano,<br />
cm. 76x57), “Paesaggio di mare”<br />
(acquerello su cartoncino Fabriano,<br />
cm. 76x57). Nel catalogo della mostra<br />
i testi sono di Berislav Valusek.<br />
- Dal 20 dicembre 2000 al 31 gennaio<br />
2001 <strong>Visca</strong> partecipa alla mostra “Nati-<br />
vità in ceramica” alla Chiesa di Santa<br />
Maria degli Angeli – Museo delle ceramiche<br />
di Castelli. Espone “Nascita di<br />
una stella” (refrattario maiolicato e oro<br />
al terzo fuoco, cm. 36x6x48). La mostra<br />
è a cura di Antonello Rubini.<br />
2001<br />
- Dal 3 marzo all’1 aprile apre la mostra<br />
<strong>Visca</strong> “In itinere” al Centro Culturale<br />
Officina di Lucca. Espone “In itinere”<br />
(arazzo cucito, m. 34x0,50). La mostra<br />
è a cura di Emy Petrini. In occasione di<br />
questa esposizione si tiene una lezione<br />
sull’arazzo cucito “In itinere” presso<br />
L’Accademia di Belle Arti di Pisa e due<br />
laboratori per ragazzi presso Il Centro<br />
Culturale Officina.<br />
- Dal 21 luglio al 10 settembre è invitato<br />
alla Rassegna pittori e scultori ceramisti<br />
abruzzesi “Column’art 2001” al<br />
Palazzo Pardi, Colonnella. Espone “La<br />
porta dei sogni” (tecnica mista, cm.<br />
50x50), “Piccolo paesaggio in posa”<br />
(tecnica mista, cm. 50x50), “Tempesta<br />
sulla montagna” (tecnica mista, cm.<br />
50x50). La mostra è a cura dell’Associazione<br />
artisti teramani.<br />
- Dal 16 dicembre al 6 gennaio 2002<br />
<strong>Visca</strong> è invitato alla Rassegna Internazionale<br />
“Mail Art” alla Galleria Civica<br />
d’Arte Contemporanea di Termoli. La<br />
mostra è a cura del Centro Culturale “Il<br />
Campo” di Campomarino.<br />
- Il 18 dicembre <strong>Visca</strong> partecipa alla<br />
Rassegna d’Arte Contemporanea “Natale<br />
per i Palestinesi... Pasqua in Palestina”,<br />
Solidarietà internazionale con<br />
Land Research Center Gerusalemme,<br />
al Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea<br />
dell’Aquila.<br />
2002<br />
- In giugno <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra<br />
“Tracciati d’Arte in Abruzzo, – Un’esplorazione<br />
di vicende e tendenze, – alla<br />
Sala G. Trevisan di Giulianova.<br />
Espone “Il teatrino del Martin Pescatore”<br />
(tecnica mista, stoffe cucite e foglia<br />
d’oro, cm. 50x55). La mostra è a cura<br />
di Carlo Fabrizio Carli.<br />
- In luglio <strong>Visca</strong> è invitato al Premio Nazionale<br />
di Letteratura Naturalistica “Par-<br />
co Maiella” di Abbateggio. Partecipa<br />
con il volume “Abruzzi, L’Arte del far cucina”<br />
e gli viene assegnato il 3° Premio<br />
per la sezione “Saggistica edita” intitolata<br />
a Paolo Barrasso. Il concorso è<br />
promosso dalla Pro Loco di Abbateggio<br />
in collaborazione con il Columbus Centre<br />
di Toronto, Canada.<br />
- Dal 27 luglio al 13 ottobre è invitato<br />
al XXXV Premio Vasto, Il secondo novecento<br />
in Italia, Riferimenti forti, ai Musei<br />
Civici in Palazzo D’Avalos di Vasto.<br />
Espone “Il teatrino dei fiori” (tecnica<br />
mista e foglia d’oro, cm. 50x55), “Caduta<br />
di un teatrino” (tecnica mista e foglia<br />
d’oro, cm. 50x55), “Il teatrino dell’amore”<br />
(tecnica mista e foglia d’oro,<br />
cm. 50x55), “Salvataggio” (tecnica mista<br />
e foglia d’oro, cm. 50x50). La mostra<br />
è a cura di Enrico Crispolti.<br />
- Dall’8 dicembre al 7 gennaio <strong>Visca</strong> è<br />
invitato alla mostra “Viaggio per terra”,<br />
Undici scultori a Castelli. Laboratorio<br />
ceramico internazionale sulla Salita Paradiso<br />
di Castelli. Espone “Nascita di un<br />
asparago rosso” (refrattario maiolicato<br />
e oro al terzo fuoco, h. cm. 260, base<br />
ø cm. 40). La mostra è a cura di Antonello<br />
Rubini.<br />
- A dicembre è invitato alla mostra “01<br />
Arte Contemporanea Internazionale” alla<br />
Vox Ecomunicazioni di Roma. Espone<br />
“Paesaggio pericoloso” (acquerello<br />
cucito, cm. 50x40). La mostra è a cura<br />
di Stefano Marotta.<br />
2003<br />
- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> insieme a Giuseppe Fiducia<br />
è invitato ad una mostra itinerante<br />
negli U.S.A. e in Canada: Los Angeles,<br />
San Francisco, New York, Washington,<br />
Vancouver, Toronto, Montreal. La<br />
mostra è promossa dalla Presidenza<br />
della Giunta Regionale della Regione<br />
Abruzzo. Espone “Paesaggio invernale”<br />
(pelli e stoffe cucite, cm. 50x50), “Paesaggio<br />
di tempesta” (pelli e stoffe cucite,<br />
cm. 50x50), “Montagna di fuoco”<br />
(pelli e stoffe cucite, cm. 50x50) Nel<br />
pieghevole della mostra i testi sono di<br />
Maria Cristina Ricciardi. Febbraio/marzo.<br />
- In occasione della presentazione del<br />
volume «Vicende, testimonianze e con-<br />
92 93<br />
94<br />
testo di una esperienza italiana – Liceo<br />
Artistico “G. Misticoni” dal 1947» di Antonio<br />
Zimarino, <strong>Visca</strong> partecipa alla<br />
mostra «Immagini di una esperienza»<br />
allo Spazio per le Arti – SPARTS di Pescara.<br />
Espone “Stellario“ (stoffe cucite,<br />
cm. 125x150), “Il teatrino del martin<br />
pescatore” (tecnica mista, stoffe cucite<br />
e foglia d’oro, cm. 50x55). La mostra è<br />
a cura di Piera Di Nicolantonio.<br />
- Il 3 giugno è invitato alla mostra “Futuro<br />
remoto” - L’arte della materia dall’antichità<br />
al contemporaneo - al Palazzo<br />
Dorotea di Villetta Barrea. Espone<br />
“Rosso di paesaggio” (stoffe cucite, cm.<br />
70x50).<br />
- Nel mese di luglio il Comune di Ofena<br />
promuove la mostra personale di<br />
<strong>Visca</strong> “Teatrini” a cura di Antonello Rubini.<br />
Espone “Stellario”(stoffe cucite cm.<br />
125x150), “Teatrino notturno” (stoffe<br />
cucite cm. 50x50), “Tempesta sulla<br />
montagna” (collage e carte cucite cm.<br />
50x50), “Teatrino pericolante” (tecnica<br />
mista cm. 50x50), “Il teatrino dell’amore”<br />
(tecnica mista e foglia d’oro cm.<br />
50x55), “Il teatrino dei fiori” (tecnica<br />
mista, stoffe e foglia d’oro cm. 50x55),<br />
“Caduta di un teatrino” (tecnica mista,<br />
stoffe e foglia d’oro cm. 50x55), “Teatrino<br />
orientale” (tecnica mista, stoffe<br />
cucite e foglia d’oro cm. 50x55), “Asparago<br />
in posa” (teatrino) (tecnica mista<br />
e stoffe cucite cm. 65x49), “Il tetrino<br />
del martin pescatore” (tecnica mista,<br />
stoffe cucite e foglia d’oro cm. 50x55),<br />
“L’imprudenza del martin pescatore”<br />
(teatrino) (tecnica mista, tempere e foglia<br />
d’oro cm. 65x50), “L’istrionismo del<br />
guitto” (teatrino) (tecnica mista, tempere<br />
e foglia d’oro cm. 65x50), “Ripostigli<br />
segreti” (teatrino) (tecnica mista e<br />
stoffe cucite cm. 65x49), “Quando volano<br />
le comete” (teatrino) (tecnica mista,<br />
stoffe cucite e foglia d’oro cm.<br />
65x50), “Personaggio teatrante” (teatrino)<br />
(tecnica mista e stoffe cucite cm.<br />
70x50), “Caduta di un personaggio”<br />
(teatrino) (stoffe e pelli cucite cm.<br />
70x58), “Spettacolarità dell’interprete”<br />
(teatrino) (tecnica mista e stoffe cucite<br />
cm. 63x43), “Dietro le luci della ribalta”<br />
(teatrino) (tecnica mista, stoffe e foglia<br />
d’oro cm. 65x48), “Capitolazione di un
194<br />
2000<br />
“Itineris” Una Via Crucis per Ofena<br />
Progetto di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
Via Crucis composta da 14 stazioni<br />
(edicole e sedili in pietra, iconografia delle stazioni in fotoceramica)<br />
Via Crucis<br />
I stazione Gino Marotta<br />
II stazione Valeriano Trubiani<br />
III stazione Joe Tilson<br />
IV stazione <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
V stazione Fausto Cheng<br />
VI stazione Mauro Andrea<br />
VII stazione Sergio Vacchi<br />
VIII stazione Herman Albert<br />
IX stazione Paolo Baratella<br />
X stazione Louis Cane<br />
XI stazione Mikhail Koulakov<br />
XII stazione Giannetto Fieschi<br />
XIII stazione Claudio D’Angelo<br />
XIV stazione Mauro Berrettini
personaggio (teatrino) (tecnica mista e<br />
carte cucite cm. 70x50), “Caduta di<br />
una teatralità” (teatrino) (tecnica mista,<br />
stoffe e carte cucite cm. 70x50), “Salvataggio<br />
estremo” (teatrino) (tecnica<br />
mista, stoffe e carte cucite cm. 50x50),<br />
”Personaggio invernale” (teatrino) (tecnica<br />
mista, stoffe cucite e foglia d’oro<br />
cm. 30x138), “Personaggio estivo”<br />
(teatrino) (tecnica mista, stoffe cucite e<br />
foglia d’oro cm. 30x138), “Personaggio<br />
Primaverile” (teatrino) (tecnica mista,<br />
stoffe cucite e foglia d’oro cm.<br />
30x140). Inoltre vengono presentate<br />
sei sculture polimateriche di cm.<br />
60x40x145 – 60x40x155<br />
60x40x144 – 60x40x134<br />
60x40x132 – 60x40x132.<br />
«Felicemente insolito, in un<br />
certo senso spiazzante, risulta il lavoro<br />
di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, artista capace di realizzare<br />
autenticamente delle opere di spiccato<br />
valore creativo. La raffinata manualità<br />
e il meditato e costante fare stabiliscono<br />
il coerente linguaggio che lo caratterizza,<br />
con il quale indubbiamente<br />
bisogna fare i conti. Il suo modo di operare<br />
è personalissimo e condotto in silenzio,<br />
perché a <strong>Visca</strong> il chiasso di gran<br />
parte del mondo artistico non piace,<br />
non desidera stare in prima linea e rifiuta<br />
di aderire ai contorti meccanismi,<br />
spesso inevitabili, per chi vuole intraprendere<br />
la strada del successo. Preferisce<br />
lavorare appartato portando avanti,<br />
senza fretta appunto, una singolare ricerca<br />
che ha molto da raccontare,<br />
affondando le radici in determinati<br />
aspetti memoriali antropologicamente<br />
recuperati e poi riproposti in itinere.<br />
Ed è estremamente interessante il suo<br />
discorso dalla fine degli anni ’60 ad oggi,<br />
con il bisogno di un proprio universo<br />
immaginativo, attraverso una conoscenza<br />
culturale, senza cedere spazio all’improvvisazione.<br />
È una posizione espressiva<br />
precisa che nel fantastico trova un’esperienza<br />
altissima in termini di qualità.<br />
In <strong>Visca</strong> è sicuramente organizzato lo<br />
sviluppo esecutivo nell’ampio sapere<br />
tecnico, le mani demiurgiche dell’artista<br />
restituiscono, anche mediante il fascino<br />
dei materiali utilizzati, gradevoli epifanie<br />
di elevato impatto emozionale, toccando<br />
le più sensibili corde interiori e facendo<br />
percepire al fruitore un’irrealtà<br />
che però in fondo attinge dal quotidiano,<br />
pur se vissuto con pregevole superiorità<br />
d’animo. Egli è comunque al di<br />
sopra dell’affannoso vivere, parla con<br />
misurato tono, percorrendo sottilmente<br />
i sentieri evocativi, dove cerca le tracce<br />
lasciate dalla storia, affrontando gli ambiti<br />
magici e di sublimazione onirica degli<br />
elementi con i quali compone le immagini.<br />
Una dimensione, la sua, ampia di vedute,<br />
che non si pone quindi con superficialità<br />
difronte al mondo, è un artista<br />
che con il pensiero indaga profondamente,<br />
quasi incontentabile e continuamente<br />
attivo in una tensione di ricerca<br />
verso la verità. Insomma si è davanti ad<br />
una figura complessa dell’arte, molto<br />
più complessa di come appare in un<br />
primo approccio con le opere. Non per<br />
nulla <strong>Visca</strong> è un “caso” a sé. È la testimonianza<br />
di una ritualità direi alchemica<br />
dell’agire che all’origine ha a che fare,<br />
per dirla con Gino Marotta, con ...“ricognizioni<br />
dei territori passionali di un<br />
collettivo etnico che va oltre il Gran Sasso,<br />
verso il deserto.”...<br />
L’uccellino, la stella, l’asparago, fanno<br />
parte di un più largo alfabeto di simboli<br />
che l’artista negli anni ha creato, costruendo<br />
calde immagini che non peccano<br />
di eccessive proiezioni decorative,<br />
ma qui per decorativo si intende una<br />
parte integrante del discorso. Nelle opere<br />
di <strong>Visca</strong> vi è un contenuto denso, a<br />
prescindere dalla struttura formale del<br />
manufatto. Allora quando l’aspetto estetico<br />
sembra far sprofondare il fruitore<br />
nella piacevolezza percettiva, nel contempo<br />
affiorano le argomentazioni decisamente<br />
etiche delle quali è un assiduo<br />
propositore. Intendo dire che se nel<br />
prodotto artistico si legge all’esterno un<br />
innato senso di deviazione nella stravagante,<br />
e particolarmente affettiva, rivisitazione<br />
sincera, perché no inaspettata,<br />
dell’infanzia, all’interno ideologicamente<br />
chiara si presenta l’opera nell’impropria<br />
contestualizzazione nella società. Egli<br />
non conosce condizionamenti, non fissa<br />
confini, sa volare e fa volare con la poesia.<br />
Il suo lavoro si pone come alternativa<br />
alle numerose mode espressive che<br />
giustamente lasciano il tempo che trovano,<br />
effimere per la loro povertà sostanziale.<br />
<strong>Visca</strong> sa bene cosa significa<br />
l’arte e sa appunto l’importanza della riflessione.<br />
Non si lascia prendere dall’istinto,<br />
non crede all’idea enfatizzata dell’ispirazione:<br />
l’arte è un processo di<br />
esperienze, è un’operazione che tende<br />
ad un fine. È consapevole che in questo<br />
campo non si può improvvisare e<br />
con impegno cuce, dipinge e scolpisce,<br />
apprendendo dalla storia le metodologie<br />
essenziali di seducente “fabbrilità”,<br />
oltre alle responsabilità teoriche.<br />
Dai vari materiali che usa nasce l’interesse<br />
di analisi pratica. Li assembla, lì fa<br />
comunicare armonicamente e con sottinteso<br />
procedimento artigianale, cerca<br />
di riscattarli dalla loro domestica utilità<br />
quotidiana rendendoli un tramite per<br />
tentare l’assoluto. L’idea di natura dell’artista<br />
subisce diverse modifiche da<br />
opera ad opera, non vi è mai la noiosa<br />
ripetizione, la sorpresa è sempre forte,<br />
basta cambiare qualcosa per rimettere<br />
tutto in gioco. La favola è senza fine,<br />
sagomata in qualche modo fumettisticamente,<br />
largamente distribuita nelle geometrie<br />
che stabiliscono lo spazio d’azione.<br />
L’insieme è scrupolosamente ordinato<br />
nel mentale casellario d’immagini<br />
dal quale <strong>Visca</strong> ogni volta si fornisce:<br />
prova ripetutamente sulla superficie i<br />
molteplici elementi fino a quando non<br />
è soddisfatto. Sono manufatti delicatissimi,<br />
in grado di suscitare una musicalità<br />
di fondo di estrema leggerezza evasiva,<br />
vestiti a festa nei minimi dettagli,<br />
pare di potervi leggere dentro ogni passaggio,<br />
cucitura dopo cucitura, segno<br />
dopo segno, applicazione dopo applicazione,<br />
riferimenti sia d’Occidente che<br />
d’Oriente.<br />
<strong>Visca</strong> in questa pubblicazione presenta<br />
le opere recenti sul tema dei “Teatrini”,<br />
appunto. E qui mi torna in mente Ruggero<br />
Pierantoni il quale scrive: ...“I suoi<br />
testi grafici e plastici contengono momenti<br />
di scoraggiamento, tristezze improvvise,<br />
dettagli atroci e minuscoli.”... È<br />
95 96<br />
proprio vero in diverse ultime realizzazioni.<br />
Già le ho notate, in piccolissima<br />
parte, nell’estate del 2002 al Premio<br />
Vasto. Mi sono sembrate inquietanti e<br />
adesso avendole davanti nella totalità,<br />
sottolineo questa impressione. Inquietanti<br />
perché dietro alla preziosità vibratile,<br />
iconica e materica, spesso vi si colgono<br />
prepotentemente precarietà e turbamento:<br />
crollano nelle composizioni i<br />
corpi architettonici, il caos s’impone e<br />
quelle così facili deduzioni gioiose perdono<br />
un po’ della loro leggerezza, le figure<br />
appaiono colte talvolta nell’istante<br />
della distruzione. Ma in tutto ciò non vi<br />
è comunque drammatizzazione, <strong>Visca</strong><br />
però mi pare che assuma una posizione<br />
mai in passato esternata con così<br />
decisiva evidenza.<br />
Vedo un punto di approdo che lascia<br />
interiormente scossi, mette probabilmente<br />
in discussione certi principi esistenziali,<br />
mantenendo naturalmente<br />
sempre vitali gli ambiti fascinosi dei<br />
quali l’artista è illustre sostenitore».<br />
(Antonello Rubini, Teatrini, Edizioni Traccie,<br />
testo tratto dalla presentazione del<br />
catalogo della mostra personale “Teatrini”<br />
alla Sala Consiliare del Comune di<br />
Ofena 5 luglio / 31 agosto).<br />
- L’11 ottobre viene invitato alla mostra<br />
“Artpolis 2003“ alla Chiesa di S. Silvestro<br />
di Guardiagrele. Espone “Notturno<br />
dorato” (stoffe cucite cm. 70x50). La<br />
mostra è a cura di Veniero De Giorgi.<br />
- Il 26 ottobre partecipa alla mostra<br />
“500 artisti nell’arcobaleno degli angeli”<br />
- Ambientazione di mail-art internazionale,<br />
S. Giuliano di Puglia. Espone un<br />
piccolo cartone cucito.<br />
2004<br />
- Dal 26 luglio al 7 agosto viene invitato<br />
a partecipare ad una mostra collettiva<br />
nello Spazio archeologico presso il<br />
Teatro sociale di Trento. Espone “Il teatrino<br />
dei fiori” (tecnica mista, stoffe e<br />
foglia d’oro cm. 50x55), “Il teatrino del<br />
martin pescatore” (tecnica mista, stoffe<br />
cucite e foglia d’oro cm. 50x55), “Il<br />
teatrino dell’amore” (tecnica mista e<br />
foglia d’oro cm. 50x55), “Asparago in<br />
posa” teatrino (tecnica mista e stoffe
cucite cm. 65x49), “Spettacolarità dell’interprete”<br />
(tecnica mista stoffe cucite<br />
cm. 63x43). La mostra è a cura del<br />
Teatro Stabile di innovazione L’Uovo<br />
dell’Aquila.<br />
- Il 7 agosto è invitato alla mostra “Arte<br />
contemporanea d’Abruzzo” alla Sala<br />
Consiliare del Comune di Ofena. Espone<br />
“Stellario” (stoffe cucite cm.<br />
125x150), “Notturno dorato” (stoffe cucite<br />
cm. 70x50). La mostra è a cura di<br />
Antonello Rubini.<br />
- Il 18 agosto <strong>Visca</strong> viene invitato al<br />
XXVI Premio di Arte contemporanea<br />
“Enrico Mattei” alla sala polivalente<br />
Mario Sinopoli di Civitella Roveto. Espone<br />
“Teatrino pericolante” (tecnica mista<br />
cm. 50x50), “Ripostigli segreti” (tecnica<br />
mista e stoffe cucite cm. 65x49),<br />
“Quando volano le comete” (tecnica<br />
mista, stoffe cucite e foglia d’oro cm.<br />
65x50). La mostra è a cura di Luigi<br />
Lambertini, Carlo Fabrizio Carli e Mariano<br />
Apa.<br />
- In ottobre viene invitato, a Seul (Korea),<br />
a partecipare ad una mostra in<br />
omaggio al sommo poeta Francesco<br />
Petrarca. Espone “Passa la nave mia<br />
colma d’oblio per aspro mare...” (cartone<br />
cucito cm. 76x106), ”Passer mai solitario<br />
in alcun tempo non fu quant’io...”<br />
(cartone cucito cm. 76x106). La mostra<br />
è a cura dell’Istituto Italiano di cultura<br />
di Seul.<br />
- Il 15 dicembre il Comune di Ofena<br />
affida a <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> l’incarico di procedere<br />
all’ideazione di un progetto definitivo<br />
ed esecutivo relativo ad una Via<br />
Crucis da installare nel territorio di<br />
Ofena, nonchè la direzione artistica<br />
per la redazione dello stesso. <strong>Visca</strong> demanda<br />
la scelta degli autori, per la<br />
progettazione iconografica delle 14<br />
stazioni di “Itineris”, al critico Antonello<br />
Rubini che sceglie gli artisti: Gino Marotta,<br />
Valeriano Trubbiani, Joe Tilson,<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, Fausto Cheng, Mauro<br />
Andrea, Sergio Vacchi, Hermann Albert,<br />
Paolo Baratella, Louis Cane,<br />
Mikhail Koulakov, Giannetto Fieschi,<br />
Claudio D’Angelo, Mauro Berrettini.<br />
97<br />
2005<br />
- Il 15 ottobre <strong>Visca</strong> viene invitato alla<br />
mostra “Le due rive” Artisti Italiani e<br />
Croati in occasione del 50° anniversario<br />
del Premio Termoli. Espone “Giù il<br />
sipario”(stoffe cucite cm. 100x100),<br />
“Teatro safari” (stoffe cucite cm.<br />
100x150). La mostra è a cura di Antonello<br />
Rubini e Jasminka Poklecki Stosic.<br />
- Il 26 novembre a Pieve Di Cento, in<br />
occasione dell’inaugurazione del nuovo<br />
Museo d’Arte delle generazioni italiane<br />
del 900 “G. Bargellini”, <strong>Visca</strong> è presente<br />
nella mostra “Collezione generazioni<br />
anni quaranta” con due opere che rimarranno<br />
in permanenza nello stesso<br />
Museo: “Il grande coleottero” (struttura<br />
in legno, chiodi, stoffe e pelli cm.<br />
179x130x235), “Prima della tempesta”<br />
(tecnica mista su tela cm. 50x70). La<br />
mostra è a cura di Giorgio Di Genova.<br />
2006<br />
- Il 21 maggio ad Ofena viene inaugurata<br />
“Itineris” Una Via Crucis Per Ofena,<br />
per il progetto e la direzione artistica di<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>. L’opera, composta di<br />
quattordici edicole in pietra è stata corredata<br />
nella parte iconografica dalle<br />
opere in fotoceramica degli artisti: Gino<br />
Marotta, Valeriano Trubbiani, Joe Tilson,<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, Fausto Cheng, Mauro Andrea,<br />
Sergio Vacchi, Hermann Albert,<br />
Paolo Baratella, Louis Cane, Mikhail<br />
Koulakov, Giannetto Fieschi, Claudio<br />
D’Angelo e Mauro Berrettini. La progettazione<br />
tecnica e l’impianto d’illuminazione<br />
sono stati curati dall’ingegnere<br />
Nicola Pescatore.<br />
- Nel mese di maggio viene pubblicato<br />
“Andrea Pazienza <strong>Visca</strong>”. Il libro, di<br />
164 pagine, edito dalla Casa Editrice<br />
Fandango, è stato stampato in bianco<br />
e nero e a colori. Composto da disegni,<br />
fumetti e storie esilaranti che Andrea<br />
Pazienza da allievo dedicò a<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> durante la sua frequenza<br />
presso il Liceo Artistico di Pescara,<br />
si aggiunge alle più note opere monografiche<br />
di Pazienza, Pentothal, Zanardi<br />
e Pertini. <strong>Visca</strong>, come risulta dall’archivio<br />
Pazienza, è stato il personaggio<br />
vivente più disegnato dal genio del fumetto<br />
italiano.<br />
- A Lanciano è presente nella mostra<br />
“Arte per la vita” con l’opera “Paesaggio<br />
d’amore” (serigrafia e collage cm.<br />
50x35), la mostra è a cura di Vito Bucciarelli.<br />
- A Roma il 13 dicembre la Casa delle<br />
Letterature e la Casa Editrice Fandango<br />
presentano la mostra “<strong>Visca</strong>” di Andrea<br />
Pazienza. Intervengono alla presentazione<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e lo scrittore Emanuele<br />
Trevi. La mostra composta da<br />
novantatre opere di Pazienza, evidenzia<br />
storie a fumetti, vignette e disegni inediti<br />
realizzati nei primi anni settanta,<br />
protagonista <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, l’insegnante<br />
di disegno e amico di una vita.<br />
2007<br />
- Il 18 gennaio a Roma <strong>Visca</strong> viene invitato<br />
a partecipare alla mostra “Sagome<br />
547” promossa dal Ministero degli<br />
Affari Esteri. La mostra “Sagome 547”<br />
è stata dedicata ai bambini che, secondo<br />
il rapporto UNICEF 2005 sulla condizione<br />
dell’infanzia nel mondo, muoiono<br />
ogni giorno a causa di guerre e di<br />
terrorismo. Espone “ Sagoma” (stoffe<br />
cucite e incollate su tavola, cm.<br />
50x120x1).<br />
- Il 22 settembre è presente alla mostra<br />
Annuale 2007 L’Aquila Città della<br />
Pace in nome di Celestino V, allestita<br />
presso l’ex Monastero di S .Maria dei<br />
Raccomandati. La mostra è a cura di<br />
Enrico Sconci.<br />
In primavera a Ofena viene presentato<br />
il catalogo “Itineris” Una Via Crucis per<br />
Ofena (Progetto artistico di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>)<br />
a cura di Antonello Rubini, Mazzotta<br />
Editore settembre 2007 (testi in<br />
catalogo di Sergio Cinquino, Monsignor<br />
Ersilio Tonini, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, Nicola<br />
Pescatore, Enrico Crispolti, Antonello<br />
Rubini).
Immergersi nel lavoro di un artista che vale, ogni volta in fondo reinventa<br />
l’arte, scava in fondo radici umide e nere d’ispirazione, scopre e filtra linfa<br />
misteriosa di crescita, celebra come ardito strappo di gioia le nuove gemme<br />
che furono, sono o saranno colore, e tutti i fiori destinati a frutti… Enigmi,<br />
quesiti, illuminazioni che affollano e trapuntano tutta la sua vita, e soprattutto<br />
l’opera, come stelle mimate di un “Grande Firmamento” d’estate…<br />
Di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, aquilano sessantatreenne da molto tempo residente a Pescara,<br />
cuore cosmopolita e sguardo senza frontiere, da anni celebrato un po’<br />
ovunque come una delle personalità e dei talenti più dotati e sorgivi della<br />
sua generazione, mi affascinano tanti pregi e virtù che poi si assommano: il<br />
percorso impavido, e soprattutto il rigore in ogni scelta che egli abbia onorato,<br />
consacrato nella pura e laica fede nell’arte.<br />
Tante cose ogni volta vorrei chiedergli, anche per puntualizzare meglio le<br />
coordinate “In itinere”. Ma mi limito a riassumerle in un unico punto: la capacità<br />
che ha sempre avuto di accarezzare, tagliare, cucire, incollare, fare insomma<br />
deflagrare l’arte come un destino – e non una semplice attività fintognomica<br />
ma decorativa…<br />
Di distinguo in distinguo, e seguendo tutti i suoi anni e risolti progetti di<br />
lavoro, mi sembrano poi decisivi – come in un resoconto o racconto biografico<br />
– i vari, cadenzati capitoli di una vita spesa interamente a diventare<br />
(anche nell’arte) solamente ciò che già era o voleva essere… E che aggregano<br />
e intonano come un unico, inaudito romanzo mai scritto: il Romanzo<br />
della Materia…<br />
E questo interminabile, trasparente romanzo, a pensarci bene, è in realtà<br />
l’unico e il vero percorso, quesito, poema, linguaggio, mistero… che abbia<br />
donato, assegnato – inflitto – all’Arte la sua Modernità. Ma non certo da ora,<br />
se è vero che già al tempo di Baudelaire costruire delle Corrispondenze fra<br />
tutto questo era attività pressoché rivoluzionaria, ed elaborare anche la tradizione,<br />
ammirare i suoi Fari, significava celebrare e ripercorrere, di volta in volta,<br />
sub specie poetica, come un «fiume d’oblio, giardino d’indolenza» (Rubens),<br />
«specchio oscuro e profondo» (Leonardo), quasi un «triste ospedale<br />
pieno di sussurri» (Rembrandt), «fantasmi poderosi su sfondi di crepuscoli»<br />
(Michelangelo), o un «carnevale in cui come farfalle / tanti cuori illustri vagano<br />
fiammeggiando» (Watteau), ma troppo spesso anche l’«incubo pieno di<br />
cose sconosciute» (Goya) – insomma un’eco propagata da mille labirinti…<br />
Nel labirinto della forma, e della materia, l’artista moderno, si sa, ama perdersi<br />
proprio per ritrovarvisi: «Forse questo è sempre stato ma per questo oggi<br />
v’è tanta materia, credo di poesia quanto nei tempi andati». – scriveva,<br />
giurava Boccioni, corrente già il 1907, nei suoi confessati, irridenti e fervidi<br />
Taccuini futuristi – «La forma cambia e gli artisti ricevendo in retaggio la religione<br />
della forma sono divenuti dei ridicoli conservatori. Il mondo ricomincia<br />
una nuova era e vuole della sostanza. In altre parole l’Arte deve divenire una<br />
funzione della vita e non tenersi da parte sdegnosa… Una prova che gli artisti<br />
non hanno seguìto il processo di trasformazione sta in questo, che mentre<br />
gli scienziati studiano e creano palpitando con l’anima universale che li<br />
circonda, gli artisti creano cose morte, e d’un linguaggio sconosciuto non solo<br />
ai più ma anche ai pochi. È impossibile che l’era dell’arte sia finita e che<br />
sia cominciata quella della scienza. Che l’umanità non abbia più bisogno di<br />
canto. C’è sempre un’infinita gioia e un infinito dolore che ride e piange.<br />
Quale sarà la formula che darà l’ispirazione umana?».<br />
La forma cambia… Ma ripercorrendo – oggi – tutto il sorprendente e giudizioso<br />
percorso di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, mai ci sfiora il dubbio o la sensazione di un<br />
benché minimo conservatorismo, di una religione della forma o degli stilemi,<br />
in senso diciamo passatista, o comunque abusato. <strong>Visca</strong> ha sempre cercato<br />
intanto dentro e poi anche fuori di sé la matrice cosmogonica, la duttilità sinergetica<br />
di questo cambiamento, movimento perenne che si chiama Arte,<br />
ed esige metamorfosi, profondità, esattezza fantasiosa, finalmente – questo<br />
sì – religio devota alla forma in fieri, al comunicarsi in progress… Dunque<br />
mai riposandosi, pascendosi sui propri piccoli o grandi traguardi, e nemmeno<br />
sui sacrosanti, già intimizzati raggiungimenti emotivi.<br />
La forma non conserva la Forma altro che rinnegandola, rimettendola in<br />
gioco, per sempre inseparata, trasfusa ad ogni ombra o luce del proprio<br />
tempo.<br />
Ecco, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> ha sempre studiato e creato palpitando con l’anima<br />
universale che lo circonda… Cioè a dire con i suoi materiali, le sue fibre, le<br />
sue essenze – i suoi elementi: intesi proprio in senso chimico, fisico. E questo,<br />
fin dal tempo dei suoi esordi, e dei primi studi presso la Scuola d’Arte<br />
dell’Aquila, intorno al 1961. Nell’aria friggono ovviamente i tormenti e le mode<br />
epocali in piena irruenza: Tom Wesselmann coi suoi stralci dalle insegne<br />
pubblicitarie, Schwitters e i grandi collages di Merz, il New-Dada, il materico…<br />
Ma <strong>Visca</strong> cerca e già trova una sua linea di fervorosa controtendenza. È<br />
del 1964 il ciclo delle Crocifissioni: «una ricerca condotta con il collage, il colore<br />
è vivo – quanto i problemi –, scola e si allarga in macchie;» – rileva Emidio<br />
Di Carlo – «il segno è pulito e brillante e incide tangibilmente una storia<br />
umana rivissuta fino allo spasimo. La figura però (bruciata, dilaniata, cristallizzata)<br />
accenna a dissolversi: è il gusto per la materia, la contemplazione della<br />
plasticità stessa (un nuovo interrogativo di fronte alla realtà?), della necessità<br />
di una nuova componente spaziale, della composizione».<br />
Ed è in questo dissolvimento parziale, in questo sfumato e abbrunito impeto<br />
di ricomposizione, di rinascita finanche figurativa – che già si svela un<br />
filo costante della sua opera: materico e insieme iconologico…<br />
Per questo è giocoforza condurci subito al suo rapporto con Alberto Burri.<br />
Che nasce nel ’69 ai tempi della sua collaborazione artistica con il Teatro<br />
Stabile dell’Aquila. Fervide e dolcissime, a rivederle oggi, le foto che ritraggono<br />
entrambi alle prese con il citato allestimento e montaggio delle gigantesche<br />
scenografie teatrali per lo spettacolo «L’avventura di un povero cristiano»,<br />
di Ignazio Silone, per la regia di Valerio Zurlini, a San Miniato, appunto<br />
nel 1969.<br />
«Fui contattato dal T.S.A. perché in Italia nessun laboratorio scenotecnico<br />
era disponibile alla realizzazione di quelle scene. Si trattava di due combustioni<br />
di plastica, una bianca e l’altra rossa e di un sacco. Bisognava realizzare<br />
tre fondali di dieci metri di base per sette e mezzo di altezza in rapporto a<br />
tre piccoli bozzetti di Burri. Le due combustioni le andai a fare a Milano dove<br />
il Teatro mi aveva riservato un vasto spazio presso un padiglione della Fiera.<br />
Riuscii a concretizzare il lavoro non dormendo per quindici giorni di seguito e<br />
lavorando ininterrottamente giorno e notte, allora avevo venticinque anni e<br />
tutto era possibile».<br />
Torna in mente la splendida prosa lirica che Leonardo Sinisgalli – poeta, e<br />
insieme estroso, peritissimo critico d’arte – dedicava in L’età della luna
(1962) proprio all’amico Burri, visitandolo al lavoro, nel suo studio baluginante<br />
e annerito, fumigante ma sublime, quasi arcano eppure futuribile antro<br />
di una Sibilla…<br />
«Nello stanzone semisepolto della Salaria Burri ci aspetta coi suoi vivi occhi<br />
di gatto, in maglietta. Vive come un barbone, un mentecatto nascosto dalle<br />
ortiche. Sugli spigoli dei muri spara contro due lastre di piombo a contatto o<br />
squarcia il fondo di una bottiglia. Appese alle pareti lacere bandiere, vedove<br />
gramaglie, fetide culottes, nastrini di medaglie. Ha un bidone di bitume nella<br />
stanza, sacchi di gesso, aghi, aghicelle, pennellesse. Soldato di una guerra<br />
perduta non fischia, non canta. Cuce, brucia».<br />
Naturalmente, vero fine dell’arte, il rapporto, la collaborazione artistica si è<br />
fatta anche approdo umano, stima umanista, diremmo, cioè amicizia: ed ecco<br />
<strong>Visca</strong> e Burri, entrambi appassionati cacciatori, cosmogonicamente immersi<br />
nei loro tours venatori in Umbria o in Abruzzo, fra lo studio di Burri a Casenove<br />
di Mucignano e gli splendidi boschi di castagni del circondario…<br />
«Conobbi un altro Burri. Diverso da quel personaggio misantropo di cui<br />
tutti parlavano. Con me fu molto aperto e nei pomeriggi di riposo, dopo il<br />
rientro da lunghe battute di caccia, mi raccontava con passione del periodo<br />
della sua prigionia in Texas, dei suoi primi dipinti e delle difficoltà che aveva<br />
trovato in campo di concentramento a reperire i primi colori, specialmente i<br />
rossi. Mi raccontò anche, con una certa rabbia, di tutti gli sforzi e dell’impegno<br />
profuso nelle ricerche del fratello disperso in Russia, ma soprattutto parlammo<br />
di pittura e anche del mio lavoro».<br />
Ed è un vero Romanzo della Materia, ripetiamo, questo che <strong>Visca</strong> ci dispiega<br />
davanti agli occhi, rapito ed inesausto, ma sempre salvandolo, riplasmandolo<br />
non mai con l’artificio ma con il sorgivo, ancestrale anelito dell’Arte…<br />
La materia inerte… Da cucire, bruciare, combùrere… E poi il rapporto vitalissimo,<br />
eclettico e enciclopedico, ci viene da dire, con questi materiali: dal<br />
Laboratorio Metalli della scuola di giovinezza, agli arazzi amplissimi… E questo<br />
suo cocciuto, sublime voler “recuperare il colore attraverso le materie”…<br />
E soprattutto, recuperare l’Informale con delle parvenze figurate…<br />
Quando nel 1964 avvia dunque la sua sentita serie delle Crocifissioni – i<br />
14 tragici momenti umani della Via Crucis – anche qui, come suo solito pregio,<br />
<strong>Visca</strong> scantona, vira, evita implicazioni ideologiche, o azzeramenti, oscuramenti,<br />
umiliazioni della sua fertile aurora creativa. Mentre tutta la corrente<br />
materica (tutti gli epigoni di Burri, insomma) ponevano la materia a unico logos<br />
ed ethos – fine incoronato – delle proprie ricerche espressive, <strong>Sandro</strong><br />
utilizza, sublima e seleziona gli scarti, le scorie della materia (carta di recupero,<br />
stoffe, stracci, vinavil, smalti, ferri saldati) per riaggregare, intessere, plasmare<br />
e riseminare figurazioni neoumaniste.<br />
E dove insomma l’umano – no, non il postumano, la deriva residuale e<br />
dilacerata, esplosa da dentro – fosse ancora bene al centro dell’opera, divinata<br />
anzi in una nuova risultanza qualificante.<br />
Dal nero, sembrava dirci <strong>Visca</strong> – perfetto, originale ed emancipato allievo<br />
del miglior Burri – rinasce, implode e risorge luce… Dalle lacerazioni combuste<br />
del tessuto sociale – e della materia creatrice – miracolano nuovi colori:<br />
nuovi perché, come il tempo proustiano, prima perduti e poi tanto più ritrovati.<br />
La collaborazione col Cinema spalanca una prospettiva altra, consanguinea<br />
e insieme variata: il film di Zurlini da Silone… E soprattutto “Un cuore rosso<br />
sul Gran Sasso”, che <strong>Visca</strong> realizzò nel 1979-80, al culmine di una stagione<br />
di bizzarro, fertile romitaggio estetico nel suo Abruzzo montano, più aspro,<br />
ancestrale e apotropaico, petrosamente incarnato come un immenso monumento<br />
tettonico, un laico e gigantesco santuario cardiaco, poroso mausoleo<br />
di Natura.<br />
E pensiamo, mutatis mutandis (qui non incombe la cima del Gran Sasso,<br />
ma la sua sororale Maiella), alla splendida descrizione che il D’Annunzio del<br />
Trionfo della Morte (1894) intona come per una vetta innalzata dai suoi<br />
stessi scoscendimenti, radicata e vegetante per l’atavica forza delle sue stesse<br />
tradizioni, di un indicibile furor anthropologicus:<br />
«La sua terra e la sua gente gli apparivano transfigurate, sollevate fuori del<br />
tempo, con un aspetto leggendario e formidabile, grave di cose misteriose<br />
ed eterne e senza nome. Una montagna sorgeva dal centro, come un immenso<br />
ceppo originale, in forma d’una mammella, ricoperta di nevi perpetue;<br />
e bagnava le coste falcate e i promontorii sacri all’olivo un mare mutevole<br />
e triste su cui le vele portavano i colori del lutto e della fiamma. Vie larghe<br />
come fiumi, verdeggianti d’erbe e sparse di macigni e qua e là segnate<br />
d’orme gigantesche, discendevano per le alture conducendo ai piani le migrazioni<br />
delle greggi. Riti di religioni morte e obliate vi sopravvivevano; simboli<br />
incomprensibili di potenze da tempo decadute vi rimanevano intatti»…<br />
Come un immenso ceppo originale… Questo fascino della montagna sull’artista<br />
ci porta davvero lontano (magari a Roccatagliata Ceccardi, a Jahier, a<br />
Dino Campana, a un certo Rèbora, perfino alla povera Antonia Pozzi!): ma<br />
anche con <strong>Visca</strong> non si tratta solamente di un’esperienza, diciamo, naturistica<br />
– bensì, di un’ascensione umana, di una lievitante, ossimorica immersione<br />
antropologica… «sopra il monte imbattezzato» e la sua falange di immagini –<br />
per dirla col grande poeta gallese Dylan Thomas.<br />
Ed ogni discesa dalla vetta, celebra in fondo un’ossigenata ripartenza, il<br />
tornare, riaddensarsi a valle lungo i fiumi e le strade anche ostili della Realtà.<br />
«Nell’opera di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> affiorano e si manifestano feticci e tabù e ripristini<br />
candidi di coltissimi sortilegi,» – scrive Gino Marotta certo pensando anche<br />
a questi grandi tours in giro per mezzo mondo – «di ferocissime appassionate<br />
ricognizioni dei territori passionali di un collettivo etnico che va oltre<br />
il Gran Sasso, verso il deserto»… E altrove amerà ritrarlo come «il saraceno,<br />
incantatore esorcista», «amaro privilegiato decifratore di arcani e lontani meccanismi<br />
del pensiero»…<br />
Ecco, uno dei capitoli più interessanti della sua vita – e dunque della sua<br />
arte – <strong>Visca</strong> può ben ascriverlo ai suoi lunghi viaggi nelle Ande, in Perù, lungo<br />
il Rio delle Amazzoni… Torna ovviamente in mente una certa luce lirica<br />
di Pablo Neruda – non meno dolce che aspra, irredenta e pura – perfettamente<br />
riversata non solo nelle celebri poesie, ma ancor più forse in certe<br />
sue prose, e diari, dove la fortissima natura sudamericana sembra ergersi,<br />
mutarsi in aspro o fantasiosissimo artista, capace di dipingere, scolpire coi<br />
suoi colori e con le sue forme, ogni terra, squarcio o golfo o muro d’orizzonte;<br />
ecco ad esempio l’irripetibile, introiettato murales de L’autunno dei rampicanti:
«Giallo, fuggitivo, il tempo che decapita le foglie avanza verso l’altro lato<br />
della terra, pesante, facendo scricchiolare il fogliame caduto. Ma prima di<br />
andarsene, si arrampica su per le pareti, si aggrappa ai crespi viticci e illumina<br />
i taciturni rampicanti. Essi attendono tutto l’anno il suo arrivo, perché lui<br />
li veste di crespo e di bronzo. È quando l’autunno si allontana che i convolvoli<br />
adorno, colmi di gioia, invasi da un’ultima e disperata resurrezione.<br />
Tempo pieno di disperazione, tutto corre verso la morte. Allora tu forgi sulle<br />
umide muraglie la furia cupa dei rampicanti. Immobili ragni azzurri, cicatrici<br />
violette e gialle, medaglie insanguinate, giocattolo dei venti del Nord. Dove<br />
il vento formerà ogni ricamo, dove andrà completando il tuo lavoro l’acqua<br />
delle nubi».<br />
Anche la Natura s’inventa le sue gloriose, supreme tavolozze! Feticci e<br />
tabù… Collettivo etnico…<br />
Dobbiamo immaginare e rispettare quel <strong>Visca</strong> più giovane del 1970 e dintorni,<br />
felicemente sintonizzato, collegato a questa profonda scelta di vita: ivi<br />
comprese, e per fortuna, le annesse e connesse scelte politiche, che poi furono,<br />
sono anche e per ciò stesse umane. “In quegli anni,” mi ha detto come<br />
sul filo di un antico disagio affettuoso, di un empito perfino incarnato,<br />
certo, ma non del tutto condiviso, “le categorie dovevano essere sempre di<br />
una proposta alternativa… Preferivo il recupero di certe stratificazioni di<br />
esperienze… Un recupero progressista, sia chiaro, non archeologico… Ambivo<br />
e indagavo piuttosto il rapporto dell’uomo-interno con l’esterno – le vere<br />
necessità introiettate del vivere. Magari, perché no?, prendendo anche ad<br />
esempio una cultura di appartenenza; e uscendo fuori dai meccanismi del<br />
Mercato, o del Potere della Critica, per salvare me stesso”.<br />
Decisivo dunque il rifiuto di darsi pienamente in pasto all’entourage delle<br />
gallerie e della critica modaiola – ribadendo invece (anzitutto dentro di sé)<br />
ansia di libertà creativa e quiete esistenziale: la scelta dell’insegnamento,<br />
presso la Sezione Accademia del Liceo Artistico di Pescara, a partire dal<br />
1969, lo aiuta e lo protegge come in un’oasi operosa. Il rapporto coi giovani,<br />
ne prolunga in fondo la giovinezza e gli consente insperate collaborazioni e<br />
trasfusioni emotive, nonché espressive. L’incontro nel ’72 con un allievo come<br />
Andrea Pazienza – il geniale disegnatore e cartoonist diventato in pochi<br />
anni l’emblema di una generazione, e altrettanto in fretta bruciatosi – la dice<br />
lunga su certi illuminanti, destinati snodi insieme artistici ed esistenziali (dall’archivio<br />
Pazienza, risulta che <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, il professore amato e caricaturato,<br />
sceneggiato in decine di vignette, risulta proprio il personaggio “reale” più<br />
disegnato da Andrea Pazienza…).<br />
Era il periodo in cui finalmente si usciva – assai malconci – dal grande peso,<br />
egemonico e in fondo ricattatorio delle ideologie. Il loro provvido e inevitabile<br />
tramonto – che è come dire sfaldarsi, corrompersi, implodere – favorì<br />
e ingenerò un sottile ma caldissimo bisogno di altri conforti, stilemi, archetipi,<br />
traguardi.<br />
Moda su moda, venne anche quella della Natura – di un suo eterno ritorno<br />
come Alma Mater, arcana e primigenia. Ma per molti fu un bisogno sincero,<br />
un urgente leggersi dentro, auscultarsi proprio e soprattutto come Anima<br />
Mundi. <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> fu subito tra questi, e con quale e quanta profondità<br />
d’analisi, di esigenze, di fervore e di dinieghi. Dunque il credo naturista epurava<br />
e riscattava gli animi, dolenti ancora dello sterile malessere e delle terrorizzanti<br />
scaramucce di troppe avanguardie – e molto più dell’inesorabile, ter-<br />
rorizzante guerra nel contesto civile, politico, velenoso e fazioso… Il ’68 aveva<br />
in fondo tradito i suoi sogni e bisogni – gli anni ’70 s’incupirono a lutto:<br />
anni di piombo, li dissero. E pesarono e uccisero come il piombo. Con le<br />
P38 degli “autonomi” e i fumogeni reazionari della polizia, le Brigate Rosse e<br />
il rapimento e poi la tetra, delirante esecuzione di Moro: tragico, inutile olocausto<br />
per un Sistema che certo rimase ignobilmente lo stesso, semmai accelerando<br />
ancora le sue pulsioni e propensioni consumistiche, la dittatura<br />
fintodemocratica del Capitale… Pasolini tuonava e ammoniva, ma finì cadavere<br />
bastonato, tumefatto e dilaniato in una discarica dell’Idroscalo di Ostia,<br />
nell’estrema periferia di Roma che sempre e pure aveva amato, dopo uno<br />
dei suoi squallidi, consueti rendez-vous omosessuali. Dai suoi idolatrati Ragazzi<br />
di vita gli venne infine la Morte. Ma egli aveva in verità profetato e come<br />
filmato, poetato già tutto, in un incubo visionario che perfettamente gli<br />
fece intuire, soffrire tutte le nuove emergenze, e gli scenari di un intero pianeta<br />
spaventosamente brulicante e agonico, col suo irrefrenabile Terzo Mondo<br />
elevato al quadrato, al cubo, esportato a virus endemico, colonizzato a<br />
necessario antinferno, purgatorio condannato e funzionale al sistema:<br />
Il Quinto Dolore è sapere<br />
che miliardi di viventi<br />
una dolce mattina, si desteranno,<br />
come in ogni mattina della loro vita,<br />
nel semplice sole dell’Europa futura,<br />
i suoi gelsi, le sue primule,<br />
– o in quello profondo dell’India<br />
nel puzzo sublime del colera che aleggia<br />
su corpicini nudi come spiriti,<br />
– o in quello spudorato dell’Africa<br />
sempre più moderna<br />
sul verde della morte che sarà cornice<br />
al furioso dono della vita,<br />
– o in questo di Fiumicino, sole di fiume<br />
che fa dell’odore del fango una festa<br />
di misera immortalità latina…<br />
Ognuno sognò, ricercò l’antidoto che più gli si confaceva. Ognuno fuggì da<br />
sé verso sé, dentro sé: e fu la volta di una commossa, struggente mitizzazione<br />
della Natura. L’Occidente, si sa, viaggia a mode: ecco quella dei libri di<br />
Tolkien, di Hermann Hesse e del suo Siddharta, con quest’India evocata e<br />
invocata, e un nirvana che nessuna metropoli poteva realmente concedersi –<br />
fuori dei meri giochetti letterari, o dei guizzi simbolici…<br />
«A nessuno veniva in mente di mettere in discussione la saggezza del<br />
Centro Permanente dell’Amore quando affermava che era necessario rifiutare<br />
ogni forma di contatto con il resto dell’universo. Attivato… una parola scritta<br />
a lettere nere che colava inchiostro rosso…» – delirava quel gran saggio ebbro<br />
di Jack Kerouac in uno strano, inaudito e mordente racconto fantascientifico<br />
di quegli anni, cityCityCITY – «ATTIVATO, lo vedevi scritto sui muri dei gabinetti<br />
superasettici di cityCityCITY, accompagnato da disegni indecenti».<br />
Di spiazzamento in spiazzamento, verso l’altro lato della terra, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
continuò invece a fare tranquillamente il suo lavoro, di essere ed auscul-
tarsi ed attivarsi artista, artefice di un sano, innato desiderio espressivo. Lui<br />
che la metropoli mai l’aveva scelta e in fondo accettata; né i finti dettami liberaldemocratici<br />
del consumismo, o peggio gli alibi rivoltosi e le cupe utopie<br />
delle dittature del bene, dei paventati o seducenti socialismi reali…<br />
Il suo nuovo periodo dei pieni anni ’70 ammira e incanta, coi suoi lavori<br />
sapienti d’ingenuità, incorrotti e fioriti di figurazioni quasi alchemiche, mai<br />
vièto décor ma sofferto, ossigenante orizzonte di incantamenti, sospensioni,<br />
rarefazioni o intrighi analogici, inesausta iconografia e policromo arazzo dell’anima:<br />
o forse, chissà, davvero la mappa intessuta, variata e finalmente decrittata,<br />
del Centro Permanente dell’Amore…<br />
Ma di questo caro sciamano che cuce parole e stoffe, ci interessa poi anche<br />
il rapporto coi moderni classici del ‘900 (e perfino di fine ‘800: pensiamo<br />
allo Jugendstil, a Klimt e alla secessione viennese, o ai rapimenti fiabeschi,<br />
neomedievalisti, di un William Morris con tutto il suo movimento di Arts<br />
and Crafts, ma non solo): i secondo-futuristi come Prampolini e Depero, certo;<br />
ma soprattutto (oltre al suo Burri) Fontana, Afro, Mirko, Cagli, Munari, e<br />
tanti altri potremmo aggiungerne: da tutti gli “astrattisti” italici di Forma 1, sino<br />
ai performativi, alla Body Art, alla Land Art (vedi Christo)…<br />
Così come c’intrigano le infinite chances di “teatralizzazione” delle immagini<br />
e delle installazioni che <strong>Visca</strong> sempre propone e spalanca, vorremmo dire<br />
sciorina en plein air…<br />
«È lo spettatore che fa l’opera», teorizzava, dissacrava Duchamp. Ma ancora<br />
con <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> l’opera sceglie, elegge e ammaestra il suo spettatore –<br />
sembra anzi catechizzarlo, dialogarci all’unisono… Come appunto nei suoi<br />
teatrini che chiedono allo spettatore di animarli, di dialogarli di sensazioni,<br />
pensieri, immagini rifratte e catafratte d’anima. O prima ancora in quella Pupazza<br />
che è la vera contro-figlia e principessa in sorriso, in sogno, specchiata<br />
e dissimile, ilare e pacificante, del terribile Ubu-Roi assurdo e metafisico, angustiato<br />
e satirico, allibito dentro la nostra Storia ridicola e atroce di moderno,<br />
che ha aperto e regnato per tutto il ‘900, da Alfred Jarry in poi…<br />
Teatrini inquietanti eppure di-vertenti, esorcistici oltre ogni ponderante,<br />
“pericolante” leggiadrìa, questi di <strong>Visca</strong> ideati nel 2002: “Il teatrino dell’amore”,<br />
“Il teatrino dei fiori”, “Teatrino orientale”, “Il teatrino del martin pescatore”<br />
– e addirittura “Asparago in posa”, “L’istrionismo del guitto”, “Ripostigli segreti”,<br />
“Caduta di un personaggio”, “Salvataggio estremo”… «Inquietanti» – ha ragione<br />
Antonello Rubini – «perché dietro alla preziosità vibratile, iconica e materica,<br />
spesso vi si colgono prepotentemente precarietà e turbamento: crollano<br />
nelle composizioni i corpi architettonici, il caos s’impone e quelle così facili<br />
deduzioni gioiose perdono un po’ della loro leggerezza, le figure appaiono<br />
colte talvolta nell’istante della distruzione. Ma in tutto ciò non vi è comunque<br />
drammatizzazione»…<br />
Ci torna in mente il James Hillman più leggiadro e concentrico (il celebre<br />
psicanalista e studioso junghiano, si sa, feroce critico del razionalismo della<br />
cultura occidentale, insiste a identificare la psiche con l’immagine archetipica,<br />
sostituendo al concetto di inconscio quello della memoria collettiva), che<br />
sempre invoca e rimpiange, in noi, il Puer aeternus che rischiamo di perdere,<br />
esiliare altrove:<br />
«la figura del Puer aeternus è la visione della nostra natura prima, la nostra<br />
primordiale Ombra d’oro, la nostra affinità con la bellezza, la nostra essenza<br />
angelica come messaggera del divino, come messaggio divino. […] Il Puer<br />
dunque personifica quella scintilla umida all’interno di qualsiasi complesso o<br />
atteggiamento che è l’originario seme dinamico dello spirito. È la vocazione<br />
delle cose a raggiungere la propria perfezione, la vocazione delle persone<br />
verso il Sé, a essere fedeli a se stesse, a mantenere il contatto con il proprio<br />
eidos che è creazione divina. Il Puer offre un contatto diretto con lo spirito.<br />
Se si rompe questa connessione diretta, il Puer cade con le ali spezzate. E<br />
quando cade noi perdiamo il senso urgente, bruciante del nostro scopo e<br />
cominciamo invece la lunga marcia processionale attraverso i palazzi del potere<br />
verso il Vecchio Re malato e dal cuore indurito che spesso si traveste ed<br />
è indistinguibile da un Vecchio Saggio infermo».<br />
Cosmogonia materica, tessitura cromatica, dislocazione formale, architettura<br />
emotiva… Quante operazioni s’assommano e concordano, coesistono e<br />
addirittura confricano, nelle opere di <strong>Visca</strong> – in questo suo continuo e caparbio<br />
plasmare e forse riplasmarsi, specchiarsi, appassionarsi ma anche astrarre<br />
nella, dalla pura materia! Aveva ragione un poeta Sinisgalli, questa volta alle<br />
prese coi lavori di un Lucio Fontana: «La sua opera è tutta sotto il segno dell’allegria,<br />
un’allegria belluina un po’ raccapricciante. Voleva portare il cielo nelle<br />
stanze… Lo vedo fratello nella vocazione antiretorica, antimistica. Bisognava<br />
intralciare il passo agli accademici, ai pompieri. I suoi ‘concetti’ sono intralci,<br />
ostacoli, barriere. Ebbero un grandissimo effetto deterrente. Fecero paura<br />
ai filistei».<br />
Sotto il segno dell’allegria… Portare il cielo nelle stanze… Intralciare il<br />
passo… Effetto deterrente…<br />
Guarda caso, proprio alla vigilia di uno degli anni più brutti della nostra<br />
storia, nel 1976, alla Biennale di Venezia, <strong>Sandro</strong> opererà da par suo, con la<br />
passione e l’estro che mai gli mancano, per la ricostruzione dell’ambiente di<br />
Lucio Fontana.<br />
Sempre più, con questi adorabili e inquieti teatrini, <strong>Visca</strong> ci introduce e si<br />
immerge in una vera metaforica parata o immota danza delle cose. Se il<br />
motto di Marc, di Kandinskij e del “Blaue Reiter”, era nel 1914 di non copiare<br />
più il mondo ma di “rendere visibili” le cose, ora le cose diventano protagoniste<br />
assolute, emblemi corroboranti, ambasciatori umanoidi; e la cosificazione<br />
simbolica, pare l’unico antidoto concettuale, espressivo, contro la disumanizzazione<br />
di massa…<br />
C’erano tante, troppe cose in giro, in quegli anni di intrigante e intricata<br />
emancipazione del moderno dal moderno, dentro e oltre il moderno…<br />
Espressionismo astratto, tachisme, informale, Action Painting, astrazione geometrica,<br />
Optical Art, naturalmente un diluvio di Pop-Art (i combine paintings<br />
di Rauschenberg, i dipinti puntinati e fumettistici di Lichtenstein, Warhol e le<br />
sue serigrafie in serie e ossessivamente ripetute di immagini prescelte e iconografie<br />
massmediatiche)…<br />
Tutto o quasi, insomma, era già stato fatto o tentato: dal manifesto «DADA<br />
DADA DADA, urlio di colori increspati, incontro di tutti i contrari e di tutte le<br />
contraddizioni», insomma dal “disgusto dadaista” di Tristan Tzara, alle “sculture<br />
portaoggetti” di Giacomo Balla; dagli autoritratti con la biro blu e rossa di<br />
Dubuffet, e dalla fascinazione utopica de L’Hourloupe, alle sarcastiche serie<br />
dei “Generali”, delle “Modificazioni”, dei “Meccani” e delle “Dame” di Enrico<br />
Baj… Né dimentichiamo, più o meno coevi, i “Lirismi alchemici” di Vladimiro<br />
Tulli (come tralasciare i suoi “Veleni in rosa e materasso”, o “L’arcobaleno<br />
stroncato”?), i deliziosi, scenografici Mozart di Luzzati – e più ancora le allegoriche,<br />
gioconde “Fantasie teatrali” di Daniela Remiddi, coi suoi burattini, le
maschere, i costumi di immediata e policroma fragranza… Vegliava anche –<br />
per non dire incombeva, ed esploderà di lì a poco – anche il successo (meritato<br />
e pilotato assieme) della Transavanuardia, i cui campioni, da Chia a<br />
Clemente, da Cucchi a De Maria, a Paladino), secondo l’intuizione del loro<br />
critico e “profeta” Achille Bonito Oliva, «superando l’ideologia del darwinismo<br />
linguistico […] recuperano le ragioni della manualità, della soggettività e ripristinano<br />
le categorie di pittura, scultura e disegno. Nomadismo culturale ed<br />
eclettismo stilistico presiedono il lavoro di una rifondazione dell’arte improntata<br />
sul principio manieristico della citazione»…<br />
Ma questi sono già giochi e giochetti della seconda metà degli anni ’70…<br />
Le giovinezze, le generazioni si succedono in fretta, e ciascuna sembra abbia<br />
solo fretta di licenziare e sostituire la precedente… E gli anni ’60, no che<br />
non erano facilmente archiviabili – né da noi né altrove!…<br />
In Italia, a parte le solitarie e celebrate imprese dei grandi numi tutelari (da<br />
Burri a Fontana, appunto, da Capogrossi a Rotella, etc.), era cresciuta, specie<br />
a Roma, intorno ai caffè di Piazza del Popolo, diciamo fra il 1959 e il ’68,<br />
una sfacciatamente giovane, irruenta scuola di pittori un po’ maledetti, un<br />
po’ disancorati, e infastiditi da ogni tradizione, anche del moderno, che diedero<br />
man forte a una sorta di talentuosa, rapita e vagamente edonista versione<br />
nostrana della Pop-Art: i nomi li sanno tutti, si va, con molteplici sfumature<br />
e distinguo, da Schifano a Festa, da Angeli a Ceroli, a Mambor, Kounellis,<br />
Tacchi, Pascali… Paola Pitagora, che in quegli anni, da promettente e<br />
tormentata attrice di Bellocchio (ma anche nazionalpopolare Lucia Mondella<br />
nei Promessi Sposi televisivi), si ritrovò fidanzata e musa di uno di loro, Renato<br />
Mambor, racconta molto tempo dopo, nelle pagine diaristiche e romanzate<br />
di Fiato d’artista (2001), quei sogni ansiosi, spericolati come una traiettoria<br />
delle loro veloci maximoto, e quella scanzonata, bruciante e anarchica<br />
bohème in pieno, maldestro boom economico, con accenti lucidi, struggenti:<br />
«Ma perché non ti sei messa con un regista o un produttore?” mi sentivo<br />
chiedere. Certo sarebbe stato più facile per me, che con quei ‘maestri del<br />
dolore’, loro ponevano una visione della realtà che spesso contrastava le mie<br />
quotidiane necessità, che erano vitali, di crescita. Ma senza rendermi conto<br />
proprio da loro bevevo un nettare preziosissimo, quello della libera, gratuita<br />
creatività. “Delle arti, quelle inutili” scrive Brecht. Le loro opere ai miei occhi<br />
nascevano realmente da una non necessità, nemmeno quella della Bellezza:<br />
non si pronunciava “bello!” davanti a un quadro o una scultura, bisognava<br />
piuttosto superare uno spiazzamento, perché era un’altra versione della Bellezza,<br />
un diverso linguaggio che sperimentavano. Affascinata miravo quella<br />
ruota iridescente e mi sforzavo di comprendere, ma se la parola Avanguardia<br />
ha un senso, solo oggi posso amare il loro lavoro».<br />
Ecco allora <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> 1969, sorridente e irridente, capziosamente autoironico<br />
con le sue emblematiche pupazze di stoffa, cucite a mano con inopinabile<br />
perizia artigianale, e poi giocate, suggeriva Nicola Ciarletta con un «effetto<br />
caricaturale e allucinatorio, alla Godard (il regista cinematografico più vicino<br />
alle origini del teatro)». Ma è il versante – e il discrimine – dell’umanizzazione<br />
degli oggetti (e forse viceversa), quello che consente i funambolismi<br />
concettuali, gli interscambi archetipici più interessanti. Ancora Ciarletta: «<strong>Visca</strong><br />
sa, da moderno, che l’uomo oggi (e per uomo – non serve dirlo – s’intende<br />
anche la donna) è ‘reificato’, è diventato cioè mutuabile con gli oggetti che<br />
adopera. (Questa mutuabilità dell’uomo con l’oggetto ha avuto il suo primo<br />
raffiguratore – mi si perdoni l’insistenza – in Picasso). Ma <strong>Visca</strong> sa pure che<br />
in antico un artista figurativo era considerato un fabbricante di oggetti, e che<br />
assai lunga è stata la sua strada per arrivare ad essere considerato – alla pari<br />
con i poeti – un imitatore (e cioè, si rifletta, un interprete) dell’azione<br />
umana (la quale richiede sviluppo e movimento). È, dunque, sulla base di<br />
questo doppio ordine di consapevolezze, che <strong>Visca</strong> giunge a concepire (ed<br />
è chiaro che in lui confluiscono le istanze di varie tendenze che sono in giro:<br />
pop, op e via dicendo) la pittura, che è visione (e vorrebbe esserlo di<br />
azioni umane), come teatro, che è ed è sempre stata visione (lo denuncia<br />
la parola stessa)»…<br />
E Benito Sablone – da poeta ironico e dolente, come tutti noi in perenne<br />
ansia di nuovi equilibri – parlerà della duplice verità delle sue “pupazze” cucite<br />
a mano, le quali in fondo «non vogliono essere prese sul serio e minacciano<br />
continuamente di ribellarsi al loro stesso creatore per la forte carica ironica<br />
che posseggono: diventano così, anche estremamente serie e drammatiche:<br />
ma di rimbalzo, in un secondo tempo, dopo che hanno fatto tabula rasa<br />
d’ogni residuo mito estetico».<br />
Ma proprio così, compunto e ilare, strutturato e antimitico, <strong>Sandro</strong> riusciva<br />
a coniugare, a contemperare forse Creatività, Necessità, Libertà e Bellezza…<br />
Non parliamo poi delle felici – e contraddittorie, evviva! – implicazioni antropologico-culturali;<br />
e soprattutto del cosiddetto “metalinguaggio magico di<br />
<strong>Visca</strong>”, che il sociologo Luigi Fraccacreta individua e premia (correvano già i<br />
primi anni ’70, per la precisione un’importante personale a Milano presso la<br />
galleria Pace) come viaggio attraverso l’alchimia dell’uomo interno:<br />
«Dall’opera di <strong>Visca</strong> appare alla fine un nuovo modello di culto: gli oggetti<br />
rappresentati sono contemporaneamente e reciprocamente “interni” ed<br />
“esterni”.<br />
Nel mondo esposto in queste opere, la testa, il cuore, il sistema neurovegetativo,<br />
l’utero, la nuvola, il sottosuolo, il fuoco, gli ori, gli argenti, i rossi, acquistano<br />
un valore sintattico complesso che deriva loro dal processo alchemico,<br />
cioè dalla trasformazione del Sé profondo del ricercatore-osservatore<br />
attraverso la ricerca stessa».<br />
E la costante, per l’appunto, è questa rara e amabile qualità di irrisione<br />
proba, di eticità festosa, di un serissimo joke, ed egualmente dolce, docile:<br />
«Ne viene fuori un orizzonte d’immagini festevole, ludico (e <strong>Visca</strong> mi parla<br />
infatti di recupero di una ‘festività persa’), ove il gioco tuttavia» – annota Enrico<br />
Crispolti nell’85 – «non è liberazione altrimenti alienante, ma è evocazione,<br />
invenzione, scandaglio di nessi possibili, vitalmente significanti. Il traguardo<br />
è l’immaginazione come potenza di costruzione di un mondo più ricco,<br />
diverso nella sua densità animistica, ove ogni segno è dunque anche altro da<br />
sé, come ogni suo elemento in campo è sì allusione alla figura simbolica deliberata,<br />
ma anche carica d’immaginario ulteriore attraverso l’intensità direi di<br />
‘decoro’ espressivo del suo stesso tessuto, sempre sontuosamente condotto,<br />
e perciò mai inerte»…<br />
Certo è che anche <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> – già a partire da allora – sempre più si<br />
poneva e risaltava come artista “totale”, e questo, più che un evento, splende<br />
tutt’oggi come assoluto miracolo. A dirne i pregi, suffragarne il talento, forse<br />
l’esercizio critico non basta più, con la sua mera, tarata misurazione di stili
e stilemi: occorrerebbe semmai il voto felice e sincronico d’un poeta, il rito<br />
di sapienza di una illuminazione felicemente postrimbaudiana; o perfino le<br />
cronache munifiche ed efflorescenti del Gabriele d’Annunzio più raro, più<br />
sincero – più abruzzese che romano, più nostalgico che progressista, più<br />
terrigno che sensuale, più elitario che mondano – più innamorato della<br />
stoffa esosa dell’arte, dei suoi serici, cabalistici colori, di ogni implosa tessitura<br />
o materiale poietico che rinarra l’ispirazione, la veste, l’arreda, la contempla,<br />
la frequenta, la abita, la seduce, la sveste, la penetra col denso<br />
amore del Linguaggio, con il corteggio inaudito e quotidiano delle parole,<br />
insieme seriose e impertinenti, lucide ed evanescenti, anticate e squisitamente<br />
fuori del tempo…<br />
«… Io so che tutto è una emanazione della sostanza una, infinita ed eterna;<br />
e che l’uomo terrestre è l’immagine dell’uomo celeste; e che li universi<br />
sono i riflessi dell’Uno.<br />
Le driadi sono fuggite, con le oreadi, i tritoni e i silvani; ma per me i silfi<br />
ancora sospirano nell’aura; le ondine piangono nelle acque cadenti e si lagnano<br />
nella profonda voce del mare; le salamandre si agitano e scintillano<br />
nel fuoco; gli gnomi in fondo alle caverne custodiscono tesori che il sole non<br />
vide mai».<br />
Un viaggio immobile e vorticoso, duttile e coriaceo, plasmabile e petroso,<br />
metamorfico e induttivo, presiede a quest’«attitudine gentile e sicura» – chiosa<br />
Ruggero Pierantoni – che «da questa plancia di comando così geometrica,<br />
uniformemente luminosa e onestamente abitata», circumnaviga in un<br />
arazzo di 34 metri, alto 50 cm, tutto il mondo da visitare – ma insieme tutti i<br />
mondi possibili: con una grazia fantastica e una precisione implacata, un’eleganza<br />
e una consapevolezza, che davvero ricordano certe indimenticabili parabole<br />
di Italo Calvino, i suoi tarocchi o Castelli dei destini incrociati, le sue<br />
Città invisibili, i suoi Marco Polo insomma di ieri e di sempre, ma soprattutto<br />
di domani.<br />
Non è un caso che negli ultimi, densi saggi di conoscenza – e cioè nelle<br />
ormai mitiche Lezioni americane, uscite postume nel 1988 –, Calvino additasse<br />
proprio la “Leggerezza” come virtù principe per il Nuovo Millennio: e<br />
proprio perché, come rileva Fabio Pierangeli in una sua acuta monografia<br />
(Italo Calvino. La metamorfosi e l’idea del nulla, 1997), «si oppone vittoriosamente<br />
ad una realtà diventata pesante a causa di un lento processo di<br />
‘pietrificazione’ iniziato con il dopoguerra».<br />
La pietrificazione, fuori dalla contingenza storica, pur segnalata da Calvino,<br />
rappresenta anche il male: è il passaggio più delicato, il nodo rimasto aggrovigliato<br />
ne La giornata di uno scrutatore. Che siamo in un ambito metaletterario,<br />
Calvino lo chiarisce immediatamente, ponendo un parallelo tra il mito<br />
e il «metodo da seguire scrivendo». Lasciando che «le immagini della mitologia»<br />
compongano un discorso sulla letteratura, si può evitare di essere catturati<br />
dallo sguardo pietrificatore. Tuttavia «coi miti non bisogna avere fretta; è<br />
meglio lasciarli depositare nella memoria». Indubbiamente attrae Calvino la<br />
leggerezza, la nobiltà dei gesti con cui Perseo porta a termine l’uccisione del<br />
mostro, troncandone di netto la testa: «Si sostiene su ciò che vi è di più leggero,<br />
i venti e le nuvole». Immagini di grazia e delicatezza che preannunciano<br />
quel processo metamorfico in cui il primo gradino è la trasformazione del<br />
sangue del mostro: «dal sangue di Medusa nasce un cavallo alato, Pegaso»,<br />
cosicché la «pesantezza della pietra può essere rovesciata nel suo contrario».<br />
Davvero qualcosa di molto simile, ed egualmente, inesauribilmente felice,<br />
ha sempre fatto il nostro agile, caparbio e forte – perché leggerissimo – <strong>Visca</strong>,<br />
artista metamorfico quant’altri mai, e originale indagatore, onesto e paziente<br />
alchimista della sua stessa fantasia… Davvero dalla nerezza al bianco,<br />
dalla nigredo fino all’albedo, all’ultimo chiaroveggente traguardo e stadio di<br />
ogni opera che con la vita coincide, la rifrange e l’assomma.<br />
Ma con un artista totale e del totale come <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, poderoso e lievissimo,<br />
vorticoso e apparentemente concentrico, assommato e primigenio come<br />
un metafisico Primo Motore Immobile, per fortuna anche le armi e gli<br />
adusi arnesi della critica d’arte paiono spuntati, diremmo limitativi: forse più<br />
giusto e assennato il trasvolante, sempiterno intuito del poeta, la cognizione<br />
d’un dolore che tradotto, metabolizzato, torna invece a nutrirci, instaura e radica<br />
il meritato contrappasso del sorriso, combatte e rischia per una vera felicità<br />
auratica, mentale, e solo dopo appagatamente creativa.<br />
In ogni atomo o cellula o atomo o goccia d’acqua c’è in fondo il calco,<br />
l’essenza, la scala o rimembranza dell’intero mondo, la formula stessa della<br />
vita – giurano i biologi, i fisici e gli scienziati. In ogni quadro o installazione,<br />
arazzo o pupazza, teatrino o collage di <strong>Visca</strong> – solare e lunare assieme, come<br />
un’Ombra d’Oro –, langue, si macera o si ridesta, gemma e nasce come<br />
da un taglio cesareo la scommessa lieta dell’arte, l’armonia faticosa dell’esistere,<br />
la natura cui apparteniamo e che ci reclama, ci battezza e ci forgia uomini,<br />
sempre nuovi d’antico, aurore successive, tramontanti ma inestinguibili.<br />
In bilico e equilibristi tra i regni a specchio di sole e luna – proprio come divinarono,<br />
esplorarono per mera trasparenza di parole le immagini sorprendentemente<br />
consanguinee, qui ben sovrapponibili, ma invero solo pensate,<br />
di Dylan Thomas, sul ventre materno dell’arte:<br />
Perché colui che ora apprende il sole e la luna<br />
Del latte di sua madre possa fare ritorno<br />
Prima che le labbra avvampino e fioriscano<br />
Alla stanza sanguinante della nascita<br />
Dietro l’osso di scricciolo<br />
Del muro e ammutolisca<br />
E il ventre<br />
Che generò<br />
Per<br />
Tutti gli<br />
Uomini l’adorata<br />
Luce infantile o<br />
L’abbagliante prigione<br />
Si spalanchi al suo arrivo.<br />
In nome di tutti i dissoluti<br />
Smarriti sopra il monte imbattezzato<br />
Nel centro delle tenebre io lo prego
a cura di<br />
Antonello Rubini<br />
1<br />
2<br />
Una metabiografia tra racconto e intervista<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è certamente uno dei più interessanti artisti italiani contemporanei che operano nella sfera del fantastico.<br />
Nasce all’Aquila il 19 settembre 1944, dove trascorre l’infanzia in una casa appena fuori le mura della città medievale<br />
manifestando da subito una spiccata sensibilità per il disegno<br />
[«È lì che per la prima volta ho avuto la possibilità di scoprire che esisteva l’architettura di un fiore e che un aquilone,<br />
a parte il suo aspetto estetico, poteva volare solo dietro un’attenta progettazione. È stato soprattutto con il diretto contatto<br />
con la natura vissuta da vicino e con i giochi dell’infanzia che ho iniziato ad avvertire il bisogno di esternare tutto<br />
ciò che dentro di me diventava emozione. In seguito un istinto segreto mi ha sempre accompagnato verso le forme, i<br />
colori, i segni, le materie e la costruzione»].<br />
Sensibilità che negli anni immediatamente a seguire comincia a rivelarsi un vero e proprio amore per l’arte<br />
[«Nel 1950, durante il dopoguerra, frequentavo la seconda elementare e già ero impegnato a realizzare disegni creativi<br />
con profili evidenti di prospettiva. Questo entusiasmava la mia maestra che era appassionata di pittura e che non<br />
risparmiava mai parole di elogio per incoraggiarmi a fare meglio. Una volta ci portò a visitare una mostra di Teofilo Patini<br />
(1840-1906) allestita presso il Teatro Comunale dell’Aquila, proprio di fronte alla nostra scuola “De Amicis”. Ricordo<br />
che rimasi molto impressionato da quelle opere ispirate alla tematica della vita contadina abruzzese (solo in età<br />
adulta riuscii a capire l’eccesso di retorica declamatoria alla quale appartenevano). Allora ero appena un bambino e<br />
quei quadri così grandi, di cui spesso avevo sentito parlare in famiglia, mi sembrarono ancora più grandi di quanto lo<br />
fossero realmente. Rimasi così trasognato davanti a quei dipinti che quando fummo richiamati per tornare a scuola,<br />
per distrazione, ma anche preso dall’emozione, rimasi impalato a rimirare quelle opere soprattutto per capire come<br />
erano state dipinte e solo quando mi ritrovai immerso nel silenzio totale mi resi conto di essere rimasto solo. Nel tornare<br />
indietro, mi persi negli intricati spazi del Teatro e con un certo affanno riuscii a riguadagnare l’entrata a scuola in<br />
evidente ritardo. Per questo fui pesantemente rimproverato»].<br />
Nel 1951, all’età di sette anni, ottiene il suo primo riconoscimento, vincendo un concorso regionale organizzato dalla<br />
scuola che frequenta<br />
[«In quegli anni per le mie capacità grafiche fui selezionato per partecipare ad un concorso di disegno. Un concorso in<br />
tutta regola, senza libri disponibili per copiare e con i fogli regolarmente timbrati dalla commissione, era perfino proibito<br />
parlare con i concorrenti del banco accanto. Fu l’occasione per vincere il mio primo premio con un elaborato dal<br />
titolo L’usignolo. Quel successo fu una grande spinta per credere di più nei miei mezzi»].<br />
Parallelamente a quello che produce in relazione all’attività scolastica, <strong>Visca</strong> autonomamente realizza da autodidatta i suoi<br />
primi dipinti<br />
[«La prima scatola di colori ad olio, dopo tante insistenze, riuscii ad averla in regalo all’età di otto anni in occasione del<br />
mio compleanno. Non sapendo però come diluirli, pensai bene di usare come solvente l’olio di oliva che usava mia<br />
madre in cucina e ne risultò che quei piccoli quadretti che dipingevo su delle tavolette di compensato, non si asciugavano<br />
mai e di conseguenza non potevano essere toccati neanche dopo vari mesi a causa della pittura che restava sempre<br />
fresca»].<br />
Terminate le scuole medie, si sente decisamente indirizzato verso una scuola d’impronta artistica ma incontra forti resistenze<br />
familiari che vengono però superate in un secondo momento<br />
[«L’Aquila in quegli anni era una città profondamente provinciale e nonostante capoluogo di Regione non aveva ancora<br />
una scuola di indirizzo artistico. Solo nel 1955 si istituì la Scuola Comunale d’Arte, ma non riconosciuta legalmente<br />
e di conseguenza i miei genitori non mi dettero il permesso di iscrivermi, loro volevano assolutamente che andassi a<br />
frequentare una scuola statale. Provai a convincerli a mandarmi al Liceo Artistico di Pescara, ma non ci riuscii. Così fui<br />
iscritto, contro la mia volontà, all’Istituto Tecnico per Geometri dove c’era sì un po’ di disegno, ma solo tecnico. Per fortuna<br />
dopo due anni, la Scuola Comunale d’Arte si trasformò in Scuola Statale d’Arte - sezione di Roma e riuscii a cambiare<br />
indirizzo di studi»].
3<br />
4<br />
5<br />
Ovviamente, viste le sue attitudini, è entusiasta di frequentare una scuola del genere<br />
[«La Scuola d’Arte mi aprì la strada per iniziare a vivere le prime esperienze in rapporto al mondo che m’interessava e soprattutto<br />
m’illuminò sui vari aspetti delle tecnologie di rappresentazione. La possibilità di applicazione delle mie idee ad<br />
ampio raggio era ormai un sogno raggiunto. Nel corso dei miei studi, soprattutto nelle materie professionali, ho partecipato<br />
sempre con vivacità ed impegno totale incuriosendomi sempre di tutto. Certo la pittura rimase una vicenda privata<br />
perché a scuola non si insegnava e quindi, per la cosa alla quale tenevo di più, sono dovuto andare avanti con i miei passi<br />
potendo contare solo sulle mie energie, oltretutto costretto a confrontarmi con una realtà aquilana piuttosto spenta»].<br />
A settembre del 1961, appena prima di iniziare a frequentare la Scuola d’Arte, tiene la sua prima mostra personale alla<br />
Sala Eden dell’Aquila, esponendo dodici opere<br />
[«Fu un’avventura emozionante. Allora dipingevo dei quadri figurativi realizzati però con dei materiali alternativi a quelli<br />
di uso comune. Impastavo degli smalti nitro-sintetici misti a degli stucchi per legno che poi lavoravo a spatola e incollavo<br />
degli stracci misti a pezze recuperando una figurazione soprattutto materica. Il mio intento fin dall’età di sedici<br />
anni è stato sempre quello di cercare una discorsività pittorica personale e una mia strada privata da percorrere»].<br />
Tale mostra rappresenta sostanzialmente la sua uscita ufficiale<br />
[«Fui recensito sulla stampa regionale suscitando curiosità e apprezzamenti lusinghieri. Ricordo soprattutto quelli di Fulvio<br />
Muzi, l’artista più autorevole della città, che nel corso della mostra disse che bisognava tenere conto delle qualità promettenti<br />
di un ragazzo così giovane. I suoi apprezzamenti, ma soprattutto i suoi consigli, mi furono di grande aiuto»];<br />
grazie a questa occasione entra in contatto anche con i fratelli Ciarletta<br />
[«Erano personalità che facevano parte della storia della città. Vivevano tra Roma e L’Aquila e durante il periodo invernale<br />
spesso mi ritrovavo a trascorrere insieme a loro interi pomeriggi alla Sala Eden. Nonostante fossi appena diciassettenne<br />
mi consideravano quasi alla pari e questo, nonostante mi imbarazzasse un po’, mi gratificava parecchio. Ero<br />
sempre interessato ad ascoltare i loro racconti, soprattutto quelli di Nicola che era docente universitario di Storia del<br />
Teatro e al quale piaceva dimostrare il suo sapere poliedrico, soprattutto sulla storia dell’arte moderna. Mi raccontava<br />
anche dei suoi amici di Roma, spesso di Monachesi che nelle serate romane più vivaci degli anni cinquanta lo rivoltava<br />
sottosopra e tenendolo per i piedi simulava di suonarlo come fosse un contrabbasso. E poi di Ennio Flaiano con il<br />
quale era molto amico anche Francescangelo per via della sua prestigiosa attività di costumista scenografo, per non<br />
parlare poi di tutte le storie aquilane»].<br />
Ma negli anni d’esordio probabilmente la figura più importante per <strong>Visca</strong> è lo zio Niclo Allegri, mediante il quale acquisisce<br />
diverse conoscenze importanti<br />
[«Era un fratello di mia madre che aveva una fabbrica di vernici industriali a Torino e in quel periodo risultava il più autorevole<br />
collezionista italiano del secondo periodo futurista. Personaggio arguto e intraprendente, aveva raccolto sul<br />
mercato quasi tutte le opere di Prampolini, Fillìa, Diulgheroff, Oriani ed altri (Oriani lo conobbi in seguito in un incontro<br />
a Roma). Le teneva segretamente nascoste in una villa a Torre Pellice dove andava in villeggiatura. Con me era sempre<br />
premuroso e in quegli anni ogni mese mi inviava un piccolo assegno per aiutarmi a sostenere le spese per dipingere.<br />
Un’estate mi invitò a Torre Pellice ed ebbi l’occasione di vedere dal vero quel suo patrimonio artistico che solo in<br />
seguito, come aveva intuito, fu rivalutato nella misura dovuta. Spesso con queste opere futuriste organizzava delle mostre<br />
ed una volta mi portò con lui a Roma per un incontro con Laura ed Enrico Crispolti, Filiberto Menna e Ferdinando<br />
Bologna con i quali doveva concertare un’esposizione alla galleria La Medusa in via del Babuino. Per me che frequentavo<br />
il secondo anno della Scuola d’Arte, conoscere quei personaggi addetti all’arte ufficiale fu importante e ricordo che<br />
con timidezza mi sottoposi ai loro giudizi. Quando visionarono alcune opere che avevo portato con me, rimasero stupiti<br />
dal fatto che le avesse realizzate un ragazzo così giovane, però dissero che proprio per la mia giovane età bisognava<br />
attendere ancora per vedere meglio gli sviluppi. Rimasi un po’ perplesso, ma allora era così, bravi o no i giovani<br />
erano visti con diffidenza, oggi è totalmente il contrario»].
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7<br />
Nel 1962 si tiene al Castello Spagnolo dell’Aquila la prima delle grandi rassegne internazionali d’avanguardia Alternative<br />
attuali, che comprende un omaggio ad Alberto Burri, con il quale anni dopo, come vedremo, <strong>Visca</strong> ha a che fare per una<br />
grande impresa. Naturalmente un evento di tale portata non può che sollecitare un animo non comune come quello del<br />
giovane <strong>Visca</strong><br />
[«L’Aquila è stata sempre una cittadina molto chiusa e nel campo delle arti visive non ha mai offerto vere possibilità<br />
operative a nessuno. L’unico e irripetibile momento felice che ebbe la città fu quando Enrico Crispolti e Antonio Bandera<br />
organizzarono la prima edizione di Alternative attuali. Per me, ma non solo, fu l’occasione per aprire gli occhi sul<br />
mondo dell’arte internazionale. Le Alternative attuali furono per tutti una grande lezione tanto che anticiparono la Biennale<br />
di Venezia che solo in seguito riconobbe il premio alla Pop Art americana»],<br />
e lo sollecita anche in termini di spregiudicatezza, di polemica con la realtà locale via via sempre più evidenti, pervenendo<br />
nel 1966 ad essere uno degli ideatori della soprannominata “antibiennale” (Realtà figurativa d’Abruzzo), nel cui catalogo<br />
si sostiene che essa «intende estendere il concetto di democrazia anche nell’ambito delle arti figurative» 1 , cosa che si ritiene<br />
non contemplata dalla Biennale Regionale dell’Aquila; occasione in cui Remo Brindisi acquista due sue opere per<br />
il Museo di Lido di Spina<br />
[«Dopo la prima edizione di Alternative attuali, vivevo una certa insofferenza nei confronti della situazione artistica della<br />
mia città e fui uno dei più vivaci promotori della contestazione sulla gestione della Biennale Regionale aquilana che poi<br />
da quel momento decadde. In quel periodo insieme ad un manipolo di pittori e intellettuali locali, si cercò di ricostituire<br />
un Gruppo Artisti Aquilani, ma un po’ per la “miopia” generale, un po’ per l’incoerenza dei più, ma anche per le polemiche<br />
sterili che ci furono, non si venne a capo di nulla. Iniziò da lì la mia vera disillusione con l’ambiente aquilano»].<br />
Il 1964 lo vede prendere parte alla fondazione del “Gruppo 5”<br />
[«Una cosa importante di quegli anni per me fu la presenza di Giuseppe Desiato, mio insegnante di figura disegnata.<br />
Artista sensibile, aggressivo e di rottura fu un riferimento importante per il mio lavoro e nonostante fossi suo allievo, mi<br />
inserì nel costituendo “Gruppo 5” da lui ideato creandosi perfino delle controversie con la direzione della scuola. Facevamo<br />
parte del gruppo io, Desiato, Giuseppe Pappa, Ennio Di Vincenzo e Marcello Mariani. L’intento era quello di rimuovere<br />
l’immobilismo e la miopia di una città spenta proponendoci con delle opere riformiste dai contenuti espressivi<br />
alquanto forti»],<br />
e in ciò che scrive nel catalogo dei cinque <strong>Visca</strong> già dimostra di avere sul piano della ricerca le idee alquanto chiare: «Amo<br />
“il segno a strappo e quello sepolto dalle successive stratificazioni di carte” perché lasciano “una suggestione sottintesa<br />
nello spazio”, e questa suggestione, appunto, si realizza solo nella tela e tramite la tela» 2 . In questo periodo è impegnato<br />
nella realizzazione di opere implicanti sovente materiali di recupero, venate di drammaticità<br />
[«Per un fatto generazionale l’informale l’ho vissuto con qualche anno di ritardo, però mi tornò lo stesso utile per riproporre<br />
una sorta di figurazione materica. Nei primi anni sessanta avvertii la necessità di sottolineare gli inizi di una<br />
frantumazione della realtà che pian piano si andava delineando. Nacque così il periodo delle tematiche sulle Tragedie<br />
e sulle Crocifissioni attraverso le quali tendevo ad evidenziare con forza il dramma esistenziale dell’uomo»].<br />
Quadri in una certa misura allarmanti dal punto di vista della riflessione sociale<br />
[«Erano opere fortemente materiche realizzate nei tempi che precedevano la contestazione forte degli anni settanta e<br />
attraverso questo lavoro il tentativo era quello di mettere in evidenza il sistema del mondo che sempre più andava accelerando.<br />
Infatti in quegli anni iniziò a lievitare un’economia che avanzando freneticamente ci portò al boom economico.<br />
Certi aspetti di quel periodo assolutamente non mi convincevano per nulla e già intravedevo che il sistema che<br />
si andava profilando non era certo uno dei più consoni per un vivere civile»];<br />
1 Realtà figurativa d’Abruzzo. Rassegna regionale di pittura scultura e grafica, L’Aquila, Palazzo Bonanni, 1966, p. 1.<br />
2 S. <strong>Visca</strong>, S.t., in “Gruppo 5”. Desiato, Di Vincenzo, Mariani, Pappa, <strong>Visca</strong>, San Benedetto del Tronto, Spazio Espositivo Gran Derby, 1964, p. 1.
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con i quali tiene nel novembre dello stesso anno la sua seconda personale al Salone del Grand Hotel et du Parc dell’Aquila.<br />
La mostra è presentata in catalogo dal giovane Emidio Di Carlo, il quale in un articolo su «Il Messaggero» sintetizza<br />
che «il pittore muove sotto la spinta dei più scottanti problemi che gli giungono dalla cronaca, che viene sentita e rielaborata,<br />
perchè possa nuovamente presentarsi su una linea poetica vicina alla sensibilità dell’artista» 3 .<br />
Successivamente si trasferisce a Roma, giacché all’Aquila viene persino osteggiato<br />
[«Dopo qualche tempo, sfumate le polemiche dell’antibiennale e forse per tenermi buono, fui contattato perché partecipassi<br />
a una edizione di Alternative attuali. Crispolti venne a trovarmi a l’Aquila nel mio studio in via Tre Spighe per scegliere<br />
le opere da esporre, ma dopo qualche giorno mi scrisse una lettera nella quale mi diceva, dispiaciuto, che non<br />
avrebbe potuto più estendermi l’invito, almeno per quella edizione, per un diniego degli organizzatori. Date le mie precedenti<br />
contestazioni non ne rimasi sorpreso, ma mi sentii ancora profondamente tradito dalla città e così decisi di chiudere<br />
definitivamente con L’Aquila per andare a vivere a Roma»],<br />
anche se poi Roma, dopo un po’ di tempo, gli si rivela una città poco disposta a promuovere quegli artisti che agiscono<br />
in piena trasparenza<br />
[«A Roma in quegli anni si viveva un momento di straordinaria bellezza, ma si svelò una grande provincia borghese dove,<br />
se si voleva raggiungere qualche obiettivo, bisognava passare attraverso certi salotti “buoni”. Lì non ho mai ceduto<br />
le armi, non per moralità o provincialismo, ma perché quel tipo di transito non faceva parte del mio modo di essere»].<br />
Dopo qualche anno, a causa di questo, decide di trasferirsi a Milano, dove al contrario ottiene presto considerevoli risultati<br />
[«In principio iniziai a frequentare Milano a fasi alterne e mi si aprirono subito delle porte, dei contatti interessanti, insomma<br />
riuscii ad entrare presto nelle pieghe favorevoli del mondo dell’arte. Infatti, dopo qualche tempo ebbi anche<br />
l’opportunità di firmare un contratto triennale con una galleria»],<br />
ma dopo appena un anno si accorge che la situazione in cui opera può rivelarsi in termini di ricerca un’arma a doppio<br />
taglio e, rivalutando l’invito di Giuseppe Misticoni (con cui stringe rapporti durante la prestigiosa mostra Proposte Uno di<br />
Avezzano, del 1967, nella quale <strong>Visca</strong> espone) di andare ad insegnare nel Liceo Artistico da lui diretto, decide con coraggio<br />
di abbandonare tutto e di trasferirsi a Pescara<br />
[«Con molta determinazione e senza nessuna remora, dopo un anno ruppi quel contratto che ogni mese mi rendeva<br />
economia sicura e in un momento di profonda indecisione su cosa fare della mia vita, mi ricordai di Giuseppe Misticoni<br />
che già dai primi tempi che vivevo a Roma mi chiamava insistentemente perchè andassi ad insegnare presso il<br />
suo Liceo Artistico di Pescara. L’insegnamento non era stato mai nei miei programmi ma in quel momento, determinato<br />
a voler riguadagnare una mia totale libertà operativa lontano dai meccanismi del potere del mercato e della critica,<br />
pur sapendo di andare incontro a una realtà certamente non facile, decisi di trasferirmi a Pescara per allontanarmi<br />
definitivamente dalla centralità. A Pescara mi confortò l’accoglienza affettuosa di Misticoni, ma anche quella di Alfredo<br />
Del Greco, Elio Di Blasio e tanti altri»].<br />
È il 1968<br />
[«Era in pieno svolgimento il momento caldo della contestazione. Il mondo evidenziava gravi lacune. La società occidentale<br />
dimostrava evidenti scompensi d’impostazione del sistema e il tipo di contestazione in atto non aveva più la forza adeguata<br />
per sovvertire nulla. In quel momento a mio avviso non aveva più senso alzare solo i cartelli dei no, bisognava invece<br />
proporre progetti alternativi contrastando il sistema dall’interno. Ormai si era al punto che tutto ciò che non funzionava<br />
era così evidente che si autodenunciava da solo. Bisognava quindi fare delle scelte e di fronte a quel panorama, pur<br />
nella lucidità che con l’arte non si sono mai fatte le rivoluzioni, decisi fermamente di allontanarmi dal sistema del potere<br />
per iniziare a lottare fuori dai binari delle mode che già iniziavano ad essere il viatico per sostenere i mercati dell’arte. Anche<br />
nella scuola, mentre montava sempre più il fermento della contestazione, remavo al contrario. Nelle università si elargivano<br />
voti politici di gruppo io invece, applicando sistemi d’insegnamento relativi ai “giochi di simulazione”, lottavo con fer-<br />
3 E. Di Carlo, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> il pittore che racconta, in «Il Messaggero», L’Aquila 7 novembre 1964.
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mezza per accrescere le capacità individuali dei miei studenti, ma sempre nel rispetto della loro intelligenza e della libertà<br />
delle loro possibilità operative. Ero convinto che per rivaleggiare contro un apparato ormai così forte e cristallizzato, l’unica<br />
arma possibile era l’accrescimento del proprio sapere e riuscire a fare qualsiasi cosa ai massimi livelli di capacità per<br />
poter contrapporre fondate proposte alternative. Anche per questo nel mio lavoro, non perdendomi mai tra le pieghe delle<br />
mode dell’arte, ho sempre profuso un impegno totale per cercare un linguaggio personale non curandomi degli accadimenti<br />
circostanti e ho lavorato al massimo per tentare di focalizzare un alfabeto consono al mio modo di essere. In parte<br />
penso di esserci riuscito, non è certo un grosso successo, ma trovo positivo da parte mia l’etica con la quale ho intrapreso<br />
la mia avventura d’artista. Più che altro penso che il merito sia stato quello di aver intrapreso questo percorso con<br />
umiltà e con modestia aspirando sempre a capire un po’ di più di quanto capito un attimo prima e svolgendo il mio lavoro<br />
costantemente nella certezza del dubbio, ma soprattutto lontano dai luccichii del successo. Sono stato sempre convinto<br />
che il ruolo dell’artista non può essere quello di un virtuoso alla ricerca della gloria economica, ma quello di un individuo<br />
che si interessa dal vivo e attraverso il proprio immaginario, dei problemi che riguardano il mondo»].<br />
È il 1968, appunto, e <strong>Visca</strong> a Pescara in sostanza traccia un solco con il lavoro precedente, pur riprendendone i principi<br />
pungenti di fondo ed alcuni stilemi, approdando convintamente ad un linguaggio d’impronta magico-onirica che porta<br />
avanti fino ad oggi, venandolo anche di indiretti riferimenti al proprio territorio<br />
[«Tornato a vivere in Abruzzo persi tutte le possibilità di inserimento dentro gli spazi del potere decisionale, ma guadagnai<br />
di riappartenere alla mia terra ricca di stratificazioni storico-culturali molto complesse dalle quali in seguito ho potuto trarre<br />
anche alcuni stimoli e motivazioni per la mia ricerca. Certo Pescara fu una scelta molto sofferta e difficile perché mi allontanò<br />
da tante situazioni appetibili e da economia sicura, ma d’altra parte andavo dicendo da sempre che un suicidio<br />
si poteva mettere in atto solo dal nono piano e non da cinquanta centimetri di altezza come cercava di convincerci il mondo.<br />
Dopo un volo dal nono piano sei sicuro di morire, da cinquanta centimetri di altezza, nella peggiore delle ipotesi, può<br />
accadere di ritrovarti claudicante per tutta la vita. Questo l’ho trovavo sempre troppo triste, non mi è mai appartenuto»].<br />
Una delle prime persone che conosce a Pescara è Antonio Bandera, che, come abbiamo visto, è uno dei curatori delle<br />
edizioni di Alternative attuali<br />
[«Ormai da tempo, dopo un periodo di militanza ufficiale nel campo dell’arte, Bandera era impegnato solo a svolgere<br />
l’attività di giornalista del terzo programma culturale della Rai. Viveva a Roma e ogni anno, nel periodo estivo, veniva<br />
a trascorrere alcuni mesi di vacanze a Pescara. Durante i suoi soggiorni iniziò tra noi un’assidua frequentazione e di<br />
solito la sera andavamo a sederci al Lido, sul lungomare, insieme all’amico Alfredo Del Greco (autorevole artista degli<br />
anni sessanta) tirando le nottate fino all’alba per parlare dei problemi dell’arte e del mondo. Del mio lavoro e di quello<br />
di Del Greco aveva una grande considerazione e nonostante lontano dalla pratica delle arti visive, era sempre preso<br />
a dispensarci attenzioni e consigli positivi. Con lui mi convinsi, più di quanto già lo fossi, che la scelta di aver lasciato<br />
la centralità per la periferia era stata una cosa giusta. Spesso dietro le sue rumorose risate mi diceva che ero un vero<br />
“pazzoide”, ma che avevo fatto bene in quel momento a prendere le mie decisioni»].<br />
Nel 1969 il Teatro Stabile dell’Aquila gli affida un incarico molto impegnativo: la realizzazione delle scenografie di Alberto<br />
Burri per «L’avventura di un povero cristiano» di Ignazio Silone, la cui regia è di Valerio Zurlini<br />
[«Fui contattato dal T.S.A. perché in Italia nessun laboratorio scenotecnico era disponibile alla realizzazione di quelle scene.<br />
Si trattava di due combustioni di plastica, una bianca e l’altra rossa e di un sacco. Bisognava realizzare tre fondali di dieci<br />
metri di base per sette metri e mezzo di altezza in rapporto a tre piccoli bozzetti di Burri. Le due combustioni le andai a fare<br />
a Milano dove il Teatro mi aveva riservato un vasto spazio presso un padiglione della Fiera. Per mantenere l’impegno preso<br />
riuscii a concretizzare il lavoro non dormendo per quindici giorni di seguito e lavorando ininterrottamente giorno e notte,<br />
allora avevo venticinque anni e tutto era possibile. Il grande sacco invece andai a realizzarlo all’Aquila presso il Teatro Comunale.<br />
Burri lo incontrai a San Miniato perché la prima estiva dello spettacolo era prevista nella piccola piazza della città.<br />
Ricordo che ci fu un momento in cui si creò una certa tensione a causa di una pioggia insistente che non permetteva di<br />
montare le scene all’aperto e così dovemmo aspettare due giorni perché spiovesse. Nel frattempo Burri mi interrogava, voleva<br />
sapere come avevo realizzato il lavoro e mi chiedeva dei materiali usati. Mentre gli spiegavo che le combustioni erano<br />
state fatte in parte con il bruciatore e in parte pittoricamente, dimostrava con la sua mimica una certa apprensione e mi sottolineava<br />
con voce preoccupata che avrei dovuto usare al posto delle vernici nitrosintetiche altri colori che adoperava per le
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sue opere. Non fu facile fargli capire le mie scelte tecniche e che quei fondali così grandi sarebbero stati letti come minimo<br />
da venti metri di distanza. Confesso però che un po’ ansioso lo ero anch’io, soprattutto perché le opere montate in verticale<br />
non le avevo potute ancora visionare, ma in fondo ero fiducioso. Finalmente smise di piovere e a notte inoltrata Zurlini<br />
mi chiese di far montare le scene. Burri con la sua inseparabile Nikon al collo andò a sedersi all’ultima fila della platea. Sotto<br />
il palcoscenico c’era Zurlini con Giancarlo Giannini, Gianni Santuccio, il musicista Zafred e il resto della compagnia. Raggiunsi<br />
Burri e quando la combustione rossa fu issata sul fondale del palcoscenico, la piazza risuonò in un fragoroso applauso<br />
da parte di tutti. Burri allora si portò sotto il palco e schermendosi disse che più che a lui l’applauso l’avrebbero dovuto rivolgere<br />
all’esecutore, poi insieme a Zurlini si complimentò con me dichiarandomi tutta la sua soddisfazione»].<br />
Grazie a questa esperienza si stabilisce con Burri un rapporto al di là dell’ambito professionale che li fa incontrare più volte,<br />
discutendo anche del lavoro di <strong>Visca</strong><br />
[«L’amicizia con Burri iniziò a San Miniato e nel tempo si concretizzò sempre di più anche per la passione che avevamo<br />
per la caccia. La prima volta che fui invitato a trascorrere una settimana nella sua casa-studio, sopra Casenove di<br />
Mucignano in Umbria, conobbi un altro Burri. Diverso dal quel personaggio misantropo di cui tutti parlavano. Con me<br />
fu molto aperto e nei pomeriggi di riposo, dopo il rientro da lunghe battute di caccia, mi raccontava con passione del<br />
periodo della sua prigionia nel campo di Hereford in Texas, dei suoi primi dipinti e delle difficoltà che aveva trovato in<br />
campo di concentramento a reperire i primi colori, specialmente i rossi. Mi raccontò anche, con una certa rabbia, di tutti<br />
gli sforzi e dell’impegno profuso nelle ricerche del fratello disperso sul Don, in Russia, ma soprattutto parlammo di<br />
pittura, dei suoi amici Colla, Ballocco e Capogrossi con i quali firmò il manifesto del « Gruppo origine » e anche del mio<br />
lavoro. Era il periodo delle “pupazze” e devo dire che rimase abbastanza sorpreso da quelle mie grandi sculture di pezza.<br />
Dopo lunghe e articolate considerazioni sull’arte alla fine concluse dicendomi che la cosa più importante per un artista<br />
è seguire solo il proprio istinto fregandosene di tutto e di tutti»].<br />
Con il Teatro Stabile <strong>Visca</strong> continua a collaborare per qualche anno con soggiorni assidui all’Aquila, venendo a contatto<br />
con molte delle personalità artistiche che per vari motivi in tali anni frequentano la città<br />
[«In quel periodo era facile ritrovarmi insieme alla Compagnia del Living Theatre di New York, con Stockhausen e Bruno<br />
Canino, con Carmelo Bene e Gino Marotta, Piera Degli Esposti, Vittorio Gasman, Andrea Cascella e il giovane Gigi<br />
Proietti. La città viveva una stagione irripetibile di vera vivacità culturale ed era luogo di frequentazioni eccellenti continue<br />
grazie al T.S.A., alla Società Aquilana dei concerti e all’Accademia di Belle Arti diretta allora da Piero Sadun. Una<br />
sera, all’inaugurazione di una mia mostra personale allo Scalco delle Tre Marie di Paolo Scipioni (1974) dove quasi tutte<br />
le sere ci riunivamo, Carmelo Bene dietro un sorrisetto abbindolante mi disse: questa sera ti farò assistere al mio<br />
spettacolo in scena con me!? Nonostante la consumata amicizia che ci legava, pensai fosse una delle sue solite provocazioni,<br />
ma la sera stessa mi ritrovai veramente in palcoscenico con lui immerso nella scenografia di Gino Marotta<br />
a vivermi dal vero, come fossi un attore, Nostra Signora dei Turchi. In quegli anni penso di aver vissuto all’Aquila privilegi<br />
straordinariamente irripetibili. Peccato che finì tutto molto presto»].<br />
A questo periodo appartengono le “pupazze”, curiose figure tridimensionali di grandi dimensioni rivestite di stoffa (da<br />
questo momento la macchina da cucire diventa per lui uno strumento più che importante), in cui «vi è, nel fondo, una<br />
certa irrisione della realtà, smorzata dalla tristezza dei pupazzi veri, autentici Golem svitalizzati o sagome afflosciate in un<br />
museo delle cere non refrigerato a sufficienza» 4 . Discorso argutamente metaforico che mette in relazione l’uomo interno<br />
con l’uomo esterno, che nei primi anni settanta affronta a livello maggiormente bidimensionale, alternando la commistione<br />
di vari materiali all’uso esclusivo della pittura. Nel 1971 per due anni è insegnante di Figura disegnata di Andrea<br />
Pazienza, con il quale mantiene un rapporto di profonda amicizia fino alla sua tragica scomparsa avvenuta nel 1988. Nel<br />
2006 la casa editrice Fandango edita il libro Andrea Pazienza <strong>Visca</strong>, relativo alla vasta produzione di Pazienza incentrata<br />
su <strong>Visca</strong>, nel quale quest’ultimo dichiara: «Nel tempo mi sono quasi sempre ritrovato “vittima” nelle sue graffianti caricature<br />
e nello svolgimento delle storie sarcastiche che inventava su di me. Confesso però che ne sono stato sempre un<br />
po’ gratificato, anche perché gran parte dei disegni pubblicati in questo libro sono stati realizzati durante le mie lezioni o<br />
nel mio studio» 5 . E in una bandella della copertina del medesimo libro è scritto: «I folti baffi neri, lo sguardo stralunato e<br />
4 B. Sablone, Galleria d’Oggi: <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, in «Nac», n. 34, Milano 1 aprile 1970, p. 20.<br />
5 S. <strong>Visca</strong>, Lo studente fuori-classe, in Andrea Pazienza <strong>Visca</strong>, Fandango Libri, Roma 2006, p. 9.
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la chioma fluente, vittima più che protagonista di imprese surreali, <strong>Visca</strong> si ritrova improvvisamente catapultato nell’immaginario<br />
del giovane Paz. La comicità dissacrante, la precoce maturità del segno e la sperimentazione linguistica fanno<br />
rientrare <strong>Visca</strong> a pieno titolo tra i personaggi principali dello straordinario universo di Andrea Pazienza».<br />
È il 1973 quando incontra Gino Marotta, che all’epoca passa la maggior parte del suo tempo all’Aquila dove insegna all’Accademia<br />
di Belle Arti, avendo come studio la chiesa sconsacrata di San Filippo. La conoscenza avviene tramite amici<br />
comuni che li mettono in contatto poiché quell’anno entrambi vengono invitati alla Triennale di Milano. <strong>Visca</strong> nella sezione<br />
Lo spazio vuoto dell’habitat curata da Eduardo Vittoria<br />
[«Gino in quel momento stava realizzando il Paradiso artificiale per i giardini della Triennale, mentre io a Pescara mi<br />
adoperavo a costruire una struttura polimaterica di sei metri di base per il Padiglione Italiano. Fuori ai giardini insieme<br />
a Marotta c’era De Chirico con la ricostruzione dei suoi Bagni misteriosi, lo ricordo seduto nel bel mezzo della sua opera<br />
come fosse stato una sua scultura, e poi Burri con il Teatro continuo che all’inaugurazione mi salutò velocemente e<br />
scappò via, e ancora Hundertwasser che avevo conosciuto come artista in una edizione delle Alternative attuali dell’Aquila,<br />
Sebastian Matta con l’opera Autopocalipse. Insomma quella del 1973 fu una delle più interessanti edizioni della<br />
Triennale. Quando Gino Marotta seppe del mio invito, mi esortò a trasferire la mia opera da Pescara all’Aquila nella<br />
chiesa di San Filippo per poterla spedire insieme alle sue sculture a Milano. Infatti la mia struttura fu caricata insieme<br />
al Paradiso artificiale su un grande camion che con rinoceronti, giraffe, fenicotteri e coccodrilli di metacrilato rosa, prese<br />
l’aspetto di un’immaginaria Arca di Noè e guarda caso partimmo insieme per Milano sotto un diluvio torrenziale. Da<br />
quel momento nacque tra noi un’amicizia vera che, sostenuta da una stima professionale reciproca, ci ha accompagnato<br />
fino ad oggi anche oltre la nostra storia di artisti»].<br />
Infatti più volte Marotta lo segue nelle escursioni in montagna<br />
[«Con me Gino scoprì la montagna e nonostante i suoi timori, riuscì a tenermi dietro dovunque. Sul Gran Sasso in cima<br />
a Corno Grande, in difficoltose traversate di alta quota, nello sci da fondo e anche in duri soggiorni al rifugio di Forca<br />
Resuni nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Fin da ragazzo sono stato un fervente frequentatore delle mie montagne perché<br />
oltre a vivere il piacere della scoperta dei luoghi che attraversavo, riuscivo ad eludere il trambusto del quotidiano<br />
e immergermi nel rumore del silenzio. Il rapporto con la montagna mi è stato utile soprattutto per diventare più introspettivo<br />
in me stesso, per abbattere alcuni timori reconditi e anche per rimuovere alcune incertezze nascoste»].<br />
Una passione, questa, per la quale <strong>Visca</strong> nel 1975 realizza la singolare operazione performativa “Un cuore rosso sul Gran<br />
Sasso“<br />
[«Nel 1970, inerpicandomi sulle cime più alte, si accese nel mio immaginario l’idea di Un cuore rosso sul Gran Sasso.<br />
Un’opera cinetica che ideai come tentativo di segnare un luogo quasi a protezione di se stesso. Il film fu girato nel 1975<br />
in pellicola a sedici millimetri per la promozione della Scuola di Cultura Drammatica dell’Aquila e la collaborazione tecnica<br />
del Teatro Stabile. Devo però la realizzazione di questa impresa soprattutto ad un gruppo di amici scapigliati, che<br />
insieme ad alcuni noti scalatori aquilani, riuscirono a trasportare il grande cuore rosso (m. 4x2x1) attraverso Campo<br />
Imperatore per poi issarlo sulle pareti rocciose del Gran Sasso. L’azione non fu facile, anzi, in alcuni momenti si rivelò<br />
piuttosto pericolosa e le varie difficoltà tecniche incontrate durante tutto il percorso, misero continuamente a dura prova<br />
l’operatore Fausto Giaccone e tutto lo staff tecnico. Si riuscì a portare a compimento il film per le capacità organizzative<br />
di Federico Fiorenza (oggi Direttore del Teatro Stabile dell’Aquila) e soprattutto per la forte determinazione di tutto<br />
il gruppo operativo che non si arrese mai davanti alle avversità ambientali, in alcuni casi molto rischiose»].<br />
Le motivazioni intrinseche vengono spiegate brevemente dall’artista a Rita Centofanti in un’intervista del 1986: «la sceneggiatura<br />
è impostata sul recupero del senso alchemico della formula magica (cioè, una cosa, più una cosa, più una<br />
cosa, può dare un’altra cosa, un risultato). Parto proprio dall’elemento alchemico della formula magica e da lì costruisco<br />
l’azione. In questo caso in rapporto ad una serie di complesse riflessioni sul territorio. Ed ecco, allora, gli ingredienti: le<br />
fascette rosse, il lento e faticoso camminamento, il cuore che sale, che rimane tre giorni e tre notti alle intemperie, la ridiscesa<br />
a valle e l’abbandono senza mai voltarsi indietro. In fondo si tratta di un’azione senza un’apparente conclusione<br />
e che non propone una soluzione. Il tentativo è quello di impaginare un impianto mentale aperto (in questo caso mediante<br />
un effetto cinetico) di fronte al quale ognuno può elaborare, certamente dietro un mio preciso “disegno”, il contenuto<br />
misterioso dell’opera attraverso un proprio pensiero e una propria analisi».
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Nel 1974 <strong>Visca</strong> realizza il suo primo arazzo cucito, con intenzioni di maggiore squisitezza poetica, scelta operativa che da<br />
quel momento ricorre spesso nel suo fare, e nel decennio a venire, esattamente nel 1986, tiene una personale di soli<br />
arazzi all’Aquila<br />
[«Il primo arazzo cucito lo realizzai nel 1974 e lo esposi lo stesso anno a Pescara in una mostra personale al Laboratorio<br />
Comune d’Arte “Convergenze”, di cui facevo parte, diretto da Giuseppe D’Emilio. Da quella prima esperienza decisi<br />
di dedicarmi anche a quel tipo di lavoro e nell’arco di una decina di anni, data la laboriosità esecutiva, riuscii a eseguirne<br />
quasi una ventina di grandi e medie dimensioni senza però mai esporli. La casa editrice del Gallo Cedrone, interessata<br />
a questo lavoro, dispose di pubblicarli in un’elegante monografia, Cuciti, con i testi di Enrico Crispolti e Tito<br />
Spini e per l’occasione fu promossa una mostra al Forte Spagnolo dell’Aquila»].<br />
Crispolti nel suo scritto puntualizza, a scanso di equivoci, che «Sono in realtà veri e propri quadri di stoffa, e certo non<br />
deduzioni decorative» 6 . Questione che investe spesso <strong>Visca</strong>, ma di cui ha ormai un’opinione precisa<br />
[«Non credo che al mio lavoro appartengano aspetti decorativi che di tanto in tanto qualcuno rileva. Capisco che a volte<br />
il mio eccedere nel sommare il dettaglio sembra scadere nel decoro, ma se si è più attenti a valutare il rimando dei<br />
materiali che uso, si può notare che la mia intenzione, anche nel cifrare evidenti manufatti kitsch, è quella di innestare<br />
punte acuminate di sarcasmo e di ironia miste in alcuni casi anche alla metafora dello sberleffo e alla cattiveria del risibile.<br />
Il tentativo è quello di ficcare nelle mie opere qualcosa di smielato e stupido come risultano certi aspetti tristi della<br />
vita. In fondo è un’operazione che tende alla trasmutazione del quotidiano dove gli oggetti e le situazioni, filtrati attraverso<br />
una palese ironia, vengono riproposti per metafora in segni, simulacri e feticci. Certo quando la pittografia dei materiali<br />
che adopero si presenta più forzata del solito è facile equivocare le intenzioni, ma la mia “ginnastica” è stata sempre<br />
tesa a punteggiare una scrittura costantemente in bilico tra l’allusione e il rilievo oggettivo delle cose in rapporto alla<br />
realtà del mondo. È un problema con il quale mi misuro da sempre, fin dal periodo delle prime sculture di pezza. Le<br />
sfide con me stesso le ho sempre portate avanti per capire fino a quanto è possibile volteggiare su un trapezio senza<br />
avere sotto una rete di protezione. Nel mio lavoro avrei potuto sicuramente intraprendere una strada meno rischiosa allineandomi<br />
alla convenienza delle mode, vivere più tranquillamente e affrontare meno fatiche, ma le cose facili non mi<br />
hanno mai appagato, perfino quando da giovane frequentavo, rischiando, le dure realtà sassose del Gran Sasso»].<br />
Il 1978 è un anno particolare per <strong>Visca</strong>, in quanto organizza una spedizione in Sud America che interiormente lo arricchisce molto<br />
[«Ho avuto fin da ragazzo un’attrazione istintiva per il Sud America e in particolar modo per il Perù. Non so dire esattamente<br />
perché, forse per la cultura latina che mi appartiene, forse per aver percepito, dopo tante letture, varie analogie in<br />
rapporto alla mia terra o forse per la sempre sognata Cordigliera delle Ande. Per anni avevo coltivato il desiderio di visitare<br />
quelle terre lontane fino a quando nel 1978, raccolte tutte le mie energie, decisi di avventurarmi in quei territori così<br />
agognati. Per un anno, prima di partire, cercai di accrescere il più possibile la mia conoscenza sul Perù e su i suoi vari profili:<br />
quello socio-economico, storico-politico, etnico-antropologico e ambientale. Poi pianificai la spedizione in tutti gli aspetti<br />
tecnici: attrezzature, abbigliamento, materiale fotografico, mappe per gli spostamenti, studio dei percorsi. Non fu facile<br />
organizzare il tutto, anche perché in quel periodo al Consolato Peruviano non riuscii a trovare conforto da parte di nessuno.<br />
Mi salvai però con l’Istituto Italo Latino Americano di Roma. Il presidente Carlos Fernandez Sessarego si rivelò da buon<br />
peruviano una persona affabile e cortese e rimase profondamente gratificato dal mio vero interesse per il suo paese. Dopo<br />
avermi dato preziosi consigli, mi fece fotocopiare delle mappe militari che in seguito mi tornarono molto utili. Attraversai<br />
il Perù per alcuni mesi con i mezzi più disparati e avventurosi, spesso su cassoni di camioncini sgangherati insieme agli<br />
indios i loro animali e le loro mercanzie, percorrendo carrettere sterrate costeggianti burroni da brivido. Molte volte a piedi<br />
scavalcando montagne di oltre quattromila metri, o con veicoli di fortuna alquanto fatiscenti. L’unico mezzo relativamente<br />
confortevole fu il treno che dal Dipartimento di Cuzco porta a Puno sul lago Titicaca attraversando le Ande a cinquemila<br />
metri di altezza, la ferrovia più alta del mondo. La mia esperienza peruviana si rivelò profondamente toccante e si concluse<br />
felicemente (grazie anche alla preziosa collaborazione del livornese Giancarlo Papini che mi seguì lungo tutto il viaggio)<br />
dopo aver risalito da Iquitos un tratto del Rio delle Amazzoni, nella foresta amazzonica peruviana. In quei luoghi, un<br />
anno dopo il regista Werner Herzog realizzò il suo film-capolavoro Fitzcarraldo. Aver vissuto in rapporto diretto con le problematiche<br />
del paese, dei campesinos e degli indios e dopo aver toccato con mano le precarie condizioni socio economi-<br />
6 E. Crispolti, Gli arazzi, in <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>. Cuciti, L’Aquila, Forte Spagnolo, 1986, Edizioni del Gallo Cedrone, L’Aquila 1986, p. 18.
20<br />
21<br />
22<br />
che di quei territori, mi resi conto di quanto Che Guevara fosse stato un grande poeta e non certamente un grande rivoluzionario.<br />
Abbandonato da Castro e dal PCI boliviano, la speranza di trovare consenso politico e aiuto per una rivoluzione<br />
armata da parte di un popolo rassegnato a vivere nella misura di una realtà rarefatta, era certo poco probabile. Attraversando<br />
il Perù mi resi conto per la prima volta di quanto la cultura occidentale sia responsabile nell’aver determinato<br />
una sperequazione tragica e penosa tra continenti e di quanto avesse avuto però ragione Che Guevara nel suo tentativo<br />
di guerriglia, purtroppo con risultati che disattesero tragicamente il suo pronostico. Questo viaggio rafforzò le mie idee ancora<br />
più di quanto pensavo alla fine degli anni sessanta, in pratica che la società occidentale avrebbe dovuto recedere<br />
dalla strada intrapresa per riflettere sulle problematiche sociali evitando di eludere la rispettabilità del vivere a buona parte<br />
del mondo. L’esperienza di questa avventura cementò ancora di più la posizione politica nei confronti del mio lavoro e<br />
soprattutto le mie scelte. Non ho mai pensato che il mondo dovesse fermarsi, il mondo ha diritto ad andare avanti come<br />
è sempre stato, ma evitando di cancellare la dignità di noi stessi. Questo sarebbe potuto accadere se al termine dell’ultimo<br />
conflitto mondiale avessimo avuto un’etica morale per guardare indietro e capire dove stralciare i codici veri con i quali<br />
cifrare i meccanismi per una nuova piattaforma sulla quale rifondare la nostra esistenza. In seguito altri avventurosi viaggi<br />
in Venezuela, dove per migliaia di chilometri ho attraversato in jeep la Gran Sabana da Canaima a Roraima fino ad arrivare<br />
in Brasile, la ricognizione di quasi tutte le oasi del deserto Tunisino e altri impegnativi viaggi in territori lontani, mi<br />
hanno aiutato a comprendere quante serie responsabilità abbiamo nei confronti del mondo. Dal viaggio in Perù riportai<br />
quasi quattromila fotogrammi dei quali venne a conoscenza, tramite un amico comune, l’etnologo-archeologo americano<br />
Victor Von Hagen con alle spalle anni di soggiorno in Sud America sulle tracce degli Incas. Personaggio alla Hemingway<br />
viveva sul lago di Bracciano e quando si trovò difronte al mio materiale fotografico mi propose di realizzare un libro insieme<br />
a lui. Accettai subito con entusiasmo, ma a causa della scarsa tecnologia di quegli anni e alle mie lungaggini dovute<br />
ad obblighi di lavoro, dopo due anni dall’impegno preso purtroppo Von Hagen venne a mancare e il libro che avevo<br />
impaginato con tanta cura, non fu mai dato alle stampe»].<br />
Negli anni novanta e in quest’esordio del duemila opera con intenzioni più marcatamente oggettuali, con frequenti incursioni<br />
nella scultura, realizzando pure delle ambientazioni. Una di queste è “Il grande firmamento“, esposto all’Ex Gaslini<br />
di Pescara nel 1995<br />
[«Carlo Lizza, allora Presidente dell’E.M.P., mi dette l’incarico di realizzare un’opera da inserire nel programma delle manifestazioni<br />
estive pescaresi sollecitandomi però ad eseguire qualcosa di contenuto spiazzante. Un’idea per un’opera<br />
del genere l’avevo già nei miei appunti e così, dopo alcuni studi e accorgimenti, definii il progetto per “Il grande firmamento“.<br />
In quel frangente fu stimolante una visita al mio studio di Ruggero Pierantoni con il quale ebbi la possibilità di<br />
valutare le mie scelte progettuali e travasare scambi di opinioni. L’opera consisteva nella realizzazione di un grande ambiente<br />
di dieci metri per dieci di base per dieci metri di altezza preceduta da un ingresso, antistante la stanza, di misure<br />
più piccole. In seguito però per motivi economici fu necessario ridurre le misure. Il tentativo era quello di disorientare<br />
il visitatore facendolo entrare all’interno della grande scatola nera totalmente abbuiata e costringerlo, attraverso<br />
una serie di accorgimenti atti allo spiazzamento sensoriale, a rivolgere lo sguardo in alto per guardare l’unica cosa<br />
visibile, un cielo stellato. Il cielo nel buio della stanza si evidenziava solo perché dipinto con tempere fluorescenti e<br />
illuminato da luce nera (lampade di wood). La sensazione di chi entrava, rimanendo prigioniero del buio, era solo di<br />
forte incertezza. Lasciare un ambiente illuminato e immergersi nel buio totale smarrendo la percezione dello spazio e<br />
perdere anche il senso dell’equilibrio a causa del pavimento inclinato di vari gradi, per il fruitore gioco forza nasceva<br />
immediata la necessità di cercare l’orientamento e trovare un punto di riferimento per non perdersi. In questa situazione<br />
l’unico appiglio rimaneva il cielo. All’interno della grande stanza buia un’ulteriore forza suggestiva era esercitata<br />
da musiche disarticolate di Karlheinz Stockhausen e Krzysztof Penderecki, che quasi disegnavano i punti luminosi del<br />
cielo. Disposti tutti questi elementi, la scommessa era quella di ricondurre il visitatore, attraverso una serie di imprevedibilità,<br />
ad alzare lo sguardo in aria e riflettere quanto precaria, incerta e piccola può essere la realtà che viviamo»].<br />
Il 1995 e il 1996 lo vedono impegnato nella realizzazione di due ampie antologiche, a Camerino, presso il Palazzo Ducale,<br />
e all’Aquila, presso il Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea; i cataloghi di entrambe sono corredati di una selezionata<br />
antologia critica. Quella di Camerino è presentata dallo studioso di neuroscienze e di psicologia cognitiva Ruggero<br />
Pierantoni, il quale acutamente annota: «i suoi percorsi, le sue mappe, i suoi testi grafici e plastici contengono momenti<br />
di scoraggiamento, tristezze improvvise, dettagli atroci e minuscoli (le “minuscole ignominie” di Borges)» 7 .<br />
7 R. Pierantoni, Un alfabeto di ventiquattro segni, in <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “1974-1994”, Camerino, Palazzo Ducale, 1995, p. 20.
23<br />
24<br />
Inoltre, da vero amante della cucina, <strong>Visca</strong> nel 1999 scrive un libro su quella abruzzese riscuotendo notevole successo<br />
[«Da appassionato ed entusiasta cuoco dilettante decisi di scrivere un libro sulla mia cucina di appartenenza, “Abruzzi<br />
- L’Arte del far cucina“, quasi a porre un contrafforte a quei cucinatori di consumo sostenuti solo dalla differenziazione<br />
che il mercato richiede. Dichiaro comunque con molta franchezza che la mia conoscenza in materia non intende ergersi<br />
a carattere scientifico; rivendico a mio solo merito un vero entusiasmo e una genuina passione verso, a mio avviso,<br />
questa non tanto minore forma d’arte che i molti amici per i quali cucino possono certamente testimoniare e auguro<br />
ai lettori di trarre da questo libro, lo stesso piacere che io ho provato a scriverlo e da pittore a illustrarlo»] 8 .<br />
Dal novembre 1998 al dicembre 1999 realizza un arazzo cucito lungo trentaquattro metri dove in un certo senso dispiega<br />
tutto il suo immaginario cifrando la misura dell’arazzo di Bayeux<br />
[«In itinere è stato un lavoro molto singolare soprattutto per il fatto che non avevo mai impiegato così tanto tempo ed<br />
impegno, l’arco operativo di un anno, per realizzare un’opera cucita. L’idea mi venne leggendo alcuni antichi manoscritti<br />
sui tratturi che in Abruzzo ebbero un’importanza determinante nelle loro articolazioni socio culturali e politiche.<br />
Da quelle letture capii che le antiche vie della lana iniziavano da un punto e dopo un vissuto di complicanze territoriali<br />
terminavano decisamente in un altro punto evidenziando però di non essere solo dei semplici camminamenti, ma<br />
profondi spaccati di vita. Questi antichi percorsi, contenitori di storie vissute ed enfatizzate a tutt’oggi da personaggi ancora<br />
viventi nonostante l’età avanzata, mi indussero a meditare con attenzione su una moltitudine di evidenti assonanze<br />
con la stretta misura della nostra realtà. Infatti l’arazzo “In itinere“ inizia il suo percorso dal mistero di un cielo e<br />
dopo uno svolgimento di trentaquattro metri finisce nel mistero di un altro cielo. Il tentativo è stato quello di indicare,<br />
attraverso lo stretto tracciato affollato di accadimenti, quanto breve, precaria e misteriosa possa essere la nostra piccola<br />
esistenza, pur se raccontata nei trentaquattro metri dell’opera»].<br />
Nell’ultimo lustro lavora sul tema dei “teatrini”, manufatti perlopiù di piccole dimensioni che «a volte ironici e sarcastici, a<br />
volte tragici, costituiscono il tentativo di indicare quanto l’attuale “paesaggio” che viviamo, per molti aspetti già in rovina,<br />
sia per svariati profili un composto gravemente instabile e insicuro» 9 . E in merito sostengo nel catalogo dell’ultima personale<br />
ad Ofena: «Inquietanti perché dietro alla preziosità vibratile, iconica e materica, spesso vi si colgono prepotentemente<br />
precarietà e turbamento: crollano nelle composizioni i corpi architettonici, il caos s’impone e quelle così facili deduzioni<br />
gioiose perdono un po’ della loro leggerezza, le figure appaiono colte talvolta nell’istante della distruzione. Ma in<br />
tutto ciò non vi è comunque drammatizzazione, <strong>Visca</strong> però mi pare che assuma una posizione mai in passato esternata<br />
con così decisiva evidenza» 10 .<br />
Questo per grandi linee finora il cammino di <strong>Visca</strong>, che con il senno di poi conferma e porta ad estrema maturazione le<br />
sue posizioni critiche soprattutto rispetto all’attuale sistema dell’arte<br />
[«Dopo le mie scelte e le dure posizioni prese alla fine degli anni sessanta, le cose di cui oggi posso amareggiarmi sono<br />
poche. L’unico prezzo alto che ho pagato nel tornare in Abruzzo lontano dal mercato e dall’economia, è stato quello<br />
di aver potuto realizzare solo il cinquanta per cento della mia progettazione. Questa è una spina che mi pungerà<br />
per sempre perché nella vita di un artista la cosa più importante è concretizzare le proprie idee, tutto ciò che resta teoria<br />
non ha molta importanza. Comunque la conflittualità tra un mio essere interno e un mio vivere esterno mi ha sempre<br />
sostenuto la ragione del mio lavoro e mi ha rafforzato sempre di più nel tempo la convinzione che la “verità” non<br />
esiste, ma sarebbe disastroso non cercarla. Con serenità posso dire che oggi, dopo tanti anni di attività svolta con passione<br />
ed impegno, avvertendo ancora tanta energia mentale, mi sento come se stessi organizzando l’inizio del mio<br />
cammino. Il ruolo dell’artista sicuramente non è mai stato quello del rivoluzionario perché è certo che le rivoluzioni si<br />
fanno con le armi, però penso che sia stato sempre quello di indicare un pensiero, un’idea, una strada da percorrere,<br />
una frattura. A mio parere l’arte moderna da quando l’economia è diventata l’ago della bilancia di tutto, perfino della<br />
politica (che in nome dell’istituzione attacca quadri, li tira giù, smonta, allestisce...) a differenza di quando l’aveva avuta<br />
nei tempi passati purtroppo in gran parte ha perso quella funzione di filtro delle problematiche sociali e non ha più<br />
il ruolo di vera proposizione o di vero dissenso. Oggi i sistemi di legittimazione dell’arte sono platealmente evidenti. Per<br />
8<br />
S.<strong>Visca</strong>, Abruzzi – L’Arte del far cucina, Edizioni GTE, L’Aquila, 1999, p. 10, 11.<br />
9<br />
S. <strong>Visca</strong>, S.t., in XXV° Premio Vasto. Il secondo Novecento in Italia. Riferimenti forti, a cura di E. Crispolti, Vasto, Palazzo D’Avalos, 2002, p. 103.<br />
10<br />
A. Rubini, S.t., in <strong>Visca</strong>. Teatrini, Ofena, Comune, 2003, Edizioni Tracce, Pescara 2003, p. 13.
25<br />
creare il valore di un artista c’è bisogno di tre punti fissi. Un critico che teorizza il suo punto di vista, un collezionista miliardario<br />
pronto ad acquistare a cifre esorbitanti e il direttore di un museo che acclude il timbro ufficiale. Se sono disponibili<br />
questi tre passaggi è possibile far diventare importante qualsiasi cosa, poi se si è collusi con la politica si può<br />
arrivare dovunque. Attualmente il sistema dell’arte è fondato soprattutto sull’idea dello spiazzamento visuale. Ormai ne<br />
risultano quasi sempre lavori ripetitivi e noiosi che hanno la pretesa di rifarsi a quella rivoluzione nichilista di Duschamp<br />
e Dada che sicuramente in quei tempi aveva un senso, ma oggi credo che non lo abbia più. Le neo-avanguardie credono<br />
di dover stupire, io penso che non c’è più nessuno da stupire e niente di cui stupirsi. Oggi credo che le sole icone<br />
sbalorditive che possono veramente stupire sono quelle prodotte dalle televisioni internazionali che trasmettono tragici<br />
scenari di guerra rappresentati da corpi dilaniati di donne, bambini e uomini carbonizzati senza nome. L’arte dovrebbe<br />
essere un po’ più sapiente, quella vera degli artisti del ‘900, guarda caso, non passa ancora di moda. Oggi qualsiasi<br />
cosa che di colpo diventa importante, dopo qualche tempo viene esiliata nel dimenticatoio per dare spazio a nuove<br />
trovate commerciali. Negli anni sessanta la situazione dell’arte cambiò e in tutto il mondo ci fu il riconoscimento della<br />
cultura americana. Fu un cambiamento molto importante ma nello stesso tempo generò esiti che abbiamo potuto<br />
vedere dopo gli anni ottanta e novanta fino ad oggi. Un’arte che è solo un prodotto da vendere più che un prodotto<br />
artistico. Basta pensare alla storia degli espressionisti astratti americani da Pollock a Calder fino a Rothko l’ultimo che<br />
è morto. Nonostante le loro altissime quotazioni sul mercato si sono quasi tutti suicidati. Loro pensavano profondamente<br />
a una funzione diversa dell’arte e la forte resistenza che opposero all’omologazione del sistema non ebbe mai<br />
alcun esito. Oggi tanti artisti che hanno enorme successo e quotazioni milionarie producono opere per un pubblico che<br />
capisce poco e che si lascia facilmente impressionare. I mass media corteggiano questi artisti per lo shok che producono<br />
e i grandi collezionisti non acquistano più per il piacere di impossessarsi di un’opera di contenuto come accadeva<br />
una volta, ma solo per una speculazione a breve termine perché ormai le quotazioni salgono vertiginosamente in<br />
modo molto veloce. I potenti dell’arte sono catalogati da prestigiose riviste come fossero dei cavalli da corsa e sono<br />
messi in graduatoria con “pettorali numerati” o “abbattuti” come fossero “azzoppati” e non più recuperabili, per poi essere<br />
sostituiti. Di solito i comitati che dirigono queste classifiche sono composti da consulenti internazionali che si basano<br />
sul successo finanziario dell’artista, dell’evoluzione della carriera e del prestigio economico raggiunto. La maggior<br />
parte dei giovani artisti oggi sono allineati al sistema, sono lontani da un ideale e non hanno altra finalità che quella<br />
del protagonismo e del successo economico. Io penso di appartenere ad una minoranza emarginata che non è certo<br />
proiettata in questo cono ottico e sono convinto che l’arte o è libertà o non è nulla. A mio avviso nell’arte la qualità è<br />
da cercare dentro il lavoro di un artista, non nella superficialità del successo e delle mode. Quando nel 1968 decisi di<br />
tirarmi fuori dai meccanismi del potere del mercato certo non pensavo che oggi si sarebbe arrivati a questa situazione,<br />
ma sicuramente avevo capito bene dove si dirigeva la macchina dell’arte e così decisi di uscire dal giogo dell’oppressione.<br />
I sintomi di quello che stava per accadere, nonostante i miei venticinque anni e un po’ di successo in mano,<br />
li avevo intuiti con una certa perspicacietà e se oggi potessi tornare indietro ripercorrerei sicuramente la strada intrapresa.<br />
Voglio dire agli amici e a tutti quelli che hanno frainteso il mio isolamento e le mie scelte che comunque sono<br />
un ottimista che continua a sperare sempre nelle stesse cose. Insomma mi auspico che il mondo si renda conto che<br />
siamo tutti su una piccola astronave e che conviene navigare lontano da quella falsa realtà che riesce solo a proporci<br />
la più stucchevole pagina pubblicitaria del successo. Occorre crearsi un mondo interiore e fare a meno del potere burocratico<br />
che altro non è che pura oppressione. La speranza è quella di riappropriarci di una capacità creativa adatta<br />
a vivere una realtà moderna più vicina ai valori e alle esigenze della nostra misura umana»].
2006<br />
“Nascita e disfacimento di un teatrino”<br />
(tecnica mista e materiali oggettuali diversi)
Note delle foto di corredo ai testi<br />
1) 1961 “Volti”<br />
Disegno a inchiostro su cartoncino Fabriano<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
2) 1961 “Paesaggio aquilano”<br />
Smalti e stucchi su faesite<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
3) 1963 “Oltraggio"<br />
Tecnica mista su tavola cm 70x140<br />
(foto P. Iammarrone)<br />
4) 1964 Spilla cesellata in oro giallo brunito<br />
e topazio incastonato<br />
(progetto ed esecuzione di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>)<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
5) 1964 Spilla cesellata e saldata in oro<br />
giallo brunito con corallo incastonato a perno<br />
(progetto ed esecuzione di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>)<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
6) 1964 “Momento”<br />
Vernici sintetiche e carte su faesite<br />
cm 139x88<br />
(foto P. Iammarrone)<br />
7) 1964 “Crocifissione con argento”<br />
Stracci, combustione, vernici e stagnola<br />
cm 100x100<br />
(foto P. Iammarrone)<br />
8) 1971 “Personaggi in posa”<br />
Stoffe cucite, base cm 160<br />
(foto P. Iammarrone)<br />
9) 1966 “Pensiero di uomo innamorato”<br />
Vernici e acrilici su tela cm 70x100<br />
(foto P. Iammarrone)<br />
10) 1969 Milano<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> mentre realizza la combustione<br />
bianca di Alberto Burri per lo spettacolo<br />
teatrale “L’avventura di un povero cristiano” di<br />
Ignazio Silone – Regia di Valerio Zurlini<br />
Misure dell’opera mt. 10x7,5<br />
(foto Studio Milano)<br />
11) 1969 San Miniato<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Alberto Burri sul palcoscenico<br />
durante il montaggio delle scene per lo spettacolo<br />
teatrale “L’avventura di un povero cristiano”<br />
di Ignazio Silone – Regia di Valerio Zurlini<br />
(foto R. Ludovici)<br />
12) 1978 Umbria<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Alberto Burri nella casa studio<br />
di montagna del maestro dell’informale<br />
dopo una battuta di caccia<br />
(foto F. Fiorenza)<br />
13) 1996 L’Aquila<br />
Copertina della pubblicazione The Living<br />
Theatre in Europe firmata dagli attori della<br />
compagnia del Living Theatre di New York<br />
14) 1974 Pescara<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Andrea Pazienza<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
15) 1973 L’Aquila<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Gino Marotta nella Chiesa<br />
sconsacrata di San Filippo (studio di Marotta)<br />
16) 1974 “Il grande coleottero” (particolare)<br />
Struttura in legno, chiodi, stoffe e pelli<br />
cm170x130x235<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
17) 1986 “Sogno di un paesaggio di mare”<br />
Arazzo cucito cm 155x195<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
18) 1978 Perù<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> sul sentiero dell’Inca che da<br />
Ollantaytambo porta a Machu Picchu attraverso<br />
tre catene di montagne di oltre<br />
4.000 mt. di quota<br />
(foto G. Papini)<br />
19) 1978 Amazzonia peruviana<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> mentre risale un affluente del<br />
Rio delle Amazzoni<br />
(foto G. Papini)<br />
20) 1978 Amazzonia peruviana<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> in un villaggio di etnia Yaguas<br />
(foto G. Papini)<br />
21) 1998 Venezuela, rapide di Kamoiràn<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> durante la traversata della<br />
Gran Sabana Venezuelana<br />
(foto B. Andreola)<br />
22) 1999 Tunisia, Zaafrane<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> durante un percorso nel deserto<br />
tunisino<br />
(foto B. Andreola)<br />
23) 2001 “Tempesta sulla montagna”<br />
Carte cucite e tecnica mista cm 50x50<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
24) 2003 “Cometa estiva”<br />
Arazzo cucito cm 60x130<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
25) 2006 Pescara<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> ritratto in un maxi manifesto<br />
come testimonial<br />
(foto A. Rigo)<br />
26) 1962<br />
Catalogo della Prima Mostra Biennale Nazionale<br />
del Disegno “Premio Recoaro Terme”<br />
(Vicenza)<br />
(testo in catalogo di Giuseppe Marchiori)<br />
27) 1962<br />
“Figura”<br />
Tecnica mista e inchiostro su cartoncino Fabriano<br />
cm 30x40<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
28) 1962 Roma, Palazzo delle Esposizioni<br />
Catalogo della Terza Mostra d’Arte dello<br />
Studente<br />
29) 1962 Senza titolo<br />
Scultura in legno di faggio Altezza cm 60<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
30) 1964 L’Aquila<br />
Catalogo della mostra personale di <strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong> al Grand Hotel et du Parc<br />
(testo in catalogo di Emidio Di Carlo)<br />
31) 1964 “Paesaggio”<br />
Vernici acriliche, carte, combustione, cera e<br />
fiammiferi svedesi cm 50x30<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
32) 1964 L’Aquila<br />
Catalogo della mostra “Gruppo 5”<br />
(testi in catalogo degli autori)<br />
33) 1966 “Sogni”<br />
Collage realizzato con tecnica fotografica<br />
cm 21x30<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
34) 1968 L’Aquila<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nel suo studio di Via Tre Spighe<br />
(foto M. Falli)<br />
35) 1969 L’Aquila, Teatro Comunale<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> durante la realizzazione del<br />
fondale di sacco di Alberto Burri per lo<br />
spettacolo teatrale “L’avventura di un povero<br />
cristiano” di Ignazio Silone – Regia di Valerio<br />
Zurlini<br />
(foto F. Troiani)<br />
36) 1969 San Miniato<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> sul palcoscenico durante il<br />
montaggio delle scene di Alberto Burri per<br />
lo spettacolo teatrale “L’avventura di un povero<br />
cristiano” di Ignazio Silone – Regia di<br />
Valerio Zurlini<br />
(foto A. Burri)<br />
37) 1969<br />
Copertina della rivista «Il Dramma» dedicata<br />
allo spettacolo teatrale “L’avventura di un<br />
povero cristiano” di Ignazio Silone – Scene<br />
di Alberto Burri – Realizzazione delle scene<br />
di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
38) 1969 Pescara<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> con la scultura “Triste serpente”<br />
nel suo studio di Via De Cesaris<br />
39) 1969 Città di Castello<br />
Catalogo della mostra personale “<strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong>” alla galleria Il Pozzo<br />
(testo in catalogo di Lamberto Giancarli)<br />
40) 1970 “Personaggi”<br />
Stoffe cucite<br />
(foto C. Papola)<br />
41) 1970 “Personaggio”<br />
Tecnica mista e vernici su tela<br />
cm 100x120<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
42) 1971 Salò<br />
Catalogo della mostra personale “<strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong>” al Centro D’Arte Santelmo<br />
(testo in catalogo di Benito Sablone)<br />
43) 1971 Penne<br />
Catalogo della mostra personale “<strong>Visca</strong>” al<br />
Museo Civico di Penne<br />
(testo in catalogo di Aleardo Rubini)<br />
44) 1971 “Personaggi”<br />
Stoffe cucite<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
45) 1972 “Reliquiario per un sesso ciclopico”<br />
Struttura in legno e stoffe cucite<br />
cm 150x25x245<br />
(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />
46) 1972 “Gomitolo sotterrato per un<br />
malefizio d’amore”<br />
Tecnica mista e vernici su tela<br />
cm 100x120<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
47) 1973 “Altare per una sposa in bianco”<br />
Struttura in legno, stoffe cucite e materiali<br />
polivalenti cm 290x265x70<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
48) 1973 Milano<br />
Catalogo della mostra personale “<strong>Visca</strong>” alla<br />
galleria Pace<br />
(testo in catalogo di Lucio Fraccacreta)
49) 1973 Milano<br />
Catalogo della XV Triennale Internazionale<br />
di Milano, Sezione Italiana “Lo spazio vuoto<br />
dell’habitat”a cura di Edoardo Vittoria<br />
50) 1974 “Paesaggio interno”<br />
Struttura in legno e stoffe cucite<br />
cm 70x19x180<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
51) 1974 Pescara<br />
Locandina per la mostra personale “<strong>Visca</strong>”<br />
al Laboratorio Comune D’Arte Convergenze<br />
52) 1975 Senza titolo<br />
Cartone disegnato e cucito cm 50x70<br />
53) 1976 Biennale di Venezia<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Gino Marotta insieme a Teresita<br />
Rosini, moglie di Lucio Fontana, durante<br />
la ricostruzione dell’Ambiente spaziale<br />
di L. Fontana del 1949<br />
54) 1976 Roma<br />
Locandina per la mostra personale “Ligamenti<br />
d’amore” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> alla galleria<br />
dell’Oca<br />
55) 1982 “Paesaggio sulle zampe di gallina”<br />
Tecnica mista e metacrilato graffito<br />
cm 70x100<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
56) 1984 “Il ripostiglio con le ali”<br />
Tecnica mista e vernici su tela cm 150x200<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
57) 1985 “Fuoco di stelle”<br />
Cartone dipinto e cucito cm 50x55<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
58) 1985 Pescara<br />
Catalogo della mostra personale “Fuochi<br />
d’amore” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> alla galleria Questarte<br />
(testo in catalogo di Enrico Crispolti)<br />
59) 1984 “L’Attesa del fagiano dorato”<br />
Arazzo cucito cm 125x163<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
60) 1986 Pescara<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nel suo studio di Via del Circuito<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
61) 1986 L’Aquila<br />
Monografia per la mostra personale “Cuciti”<br />
di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> al Forte Spagnolo<br />
(testi in catalogo di Enrico Crispolti e Tito<br />
Spini)<br />
62) 1986 Brasile<br />
Copertina del pieghevole per la mostra di<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Un coração vermelho no<br />
Gran Sasso”, a San Paolo del Brasile, promossa<br />
dalla Regione Abruzzo in occasione<br />
del 1° EXPO Brasil-Italia Sao-Paulo (Brasile)<br />
63) 1986 “Grande fuoco di mare”<br />
Tecnica mista e vernici su tela” cm 200x150<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
64) 1986 “Tramonto di fuoco”<br />
Tecnica mista e vernici su tela”<br />
cm 100x100<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
65) 1986 “Ricordo di un paesaggio sognato”<br />
Tecnica mista e vernici su tela<br />
cm 100x150<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
66) 1987 “Attesa”<br />
Terracotta e bronzo cm 25x6x26<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
67) 1987 “Tempesta al pistacchio”<br />
Tecnica mista e vernici su tela<br />
cm 100x100<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
68) 1987 “Notturno da terra”<br />
Tappeto annodato (realizzato a Istambul,<br />
Turchia) cm 290x230<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
69) 1991 L’Aquila<br />
Pieghevole per la mostra personale “I giardini<br />
dell’amore” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> presso gli<br />
spazi espositivi della Casa Editrice L’Acacia<br />
70) 1991 Teramo<br />
Pieghevole per la mostra personale “Paesaggi<br />
di fate” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> alla galleria<br />
Experientia Art&E<br />
(testo di Nerio Rosa)<br />
71) 1991 “Asparagi”<br />
Terracotta, patine a freddo e smalto al terzo<br />
fuoco cm 70x25x68<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
72) 1991 Pescara<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nello studio fotografico di Giuseppe<br />
Iammarrone<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
73) 1991 Pescara<br />
Pieghevole per il convegno “Il Perù nel<br />
quinto secolo dalla conquista” a cura dell’I-<br />
stituto di Lingue Romanze dell’Università G.<br />
D’Annunzio di Pescara, dove <strong>Visca</strong> è invitato<br />
per intervenire sul tema “Il Perù, appunti<br />
di viaggio”<br />
74) 1991 “Mare di bronzo”<br />
Ferro e bronzo cm 40x7x40<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
75) 1992 “Fuochi sulla montagna”<br />
Stoffe, pelli e spaghi cuciti cm 100x150<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
76) 1992 “Il giardino proibito”<br />
Ferro e bronzo cm 58x40x30<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
77) 1995 Pescara<br />
Catalogo per l’ambientazione “Il grande firmamento”<br />
allestita presso i locali della Ex<br />
Gaslini di Pescara<br />
(testo in catalogo di Daniele Cavicchia)<br />
78) 1994 “La notte dei sogni”<br />
Arazzo cucito cm 181x106<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
79) 1995 Pescara<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nel suo studio di Via Genova<br />
insieme a Ruggero Pierantoni<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
80) 1995 Camerino<br />
Catalogo per la mostra personale “<strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong>” 1974-1994 presso la Sala del Diritto<br />
Comune del Palazzo Ducale dell’Università<br />
degli Studi di Camerino<br />
(testi in catalogo di Lucio Fraccacreta, Enrico<br />
Crispolti, Tito Spini, Ruggero Pierantoni)<br />
81) 1995 Camerino<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nel Palazzo Ducale di Camerino<br />
per la mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”<br />
1974-1994<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
82) 1996 L’Aquila<br />
Catalogo della mostra personale di <strong>Sandro</strong><br />
<strong>Visca</strong> “Vessilli D’Amore” al Museo Sperimentale<br />
d’Arte Contemporanea<br />
(testi in catalogo di Nicola Ciarletta, Benito<br />
Sablone, Lucio Fraccacreta, Gino Marotta,<br />
Diego Carpitella, Enrico Crispolti, Tito<br />
Spini, Ruggero Pierantoni)<br />
83) 1996 “Vessillo dorato”<br />
Cartone dipinto, grafite e foglia d’oro cm 70x50<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
84) 1996 Pescara<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> in una foto di Giuseppe Iammarrone<br />
85) 1999 L’Aquila<br />
Copertina del libro Abruzzi-L’Arte del far cucina<br />
(progetto grafico, testi e illustrazioni di<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>)<br />
86) 1999<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> con il regista argentino Cesar Brie<br />
e la Compagnia teatrale del Teatro de los Andes<br />
(foto P. Porto)<br />
87) 1999 Pescara<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nello studio di Via Genova insieme<br />
al suo amico fotografo Giuseppe Iammarrone<br />
(foto B. Andreola)<br />
88) 1999 Parigi<br />
<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> insieme a Tanino Liberatore<br />
89) 2000 Macerata<br />
Catalogo per l’esposizione dell’arazzo cucito<br />
“In itinere” (mt. 34x0,50) alla Galleria<br />
Nazionale Palazzo Ricci di Macerata<br />
(testo in catalogo di Paola Ballesi)<br />
90) 2000 Macerata<br />
Mostra dell’arazzo “In itinere” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
al Palazzo Ricci di Macerata<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
91) 2000 Corinaldo<br />
Catalogo per l’esposizione dell’arazzo cucito<br />
“In itinere” (mt. 34x0,50) alla Chiesa del<br />
Suffragio di Corinaldo<br />
92) 2000 Corinaldo<br />
Mostra dell’arazzo “In itinere” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
alla Chiesa del Suffragio di Corinaldo<br />
(foto M. Abbo)<br />
93) 2001 Lucca<br />
Mostra dell’arazzo “In itinere” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />
al Centro Culturale Officina di Lucca<br />
(foto G. Iammarrone)<br />
95) 2004 “Il teatrino dei silenzi mitologici”<br />
Tecnica mista cm 70x50<br />
(foto P. Iammarrone)<br />
96) 2004 “L’ultimo atto dell’acrobata”<br />
Tecnica mista cm 70x50<br />
(foto P. Iammarrone)<br />
97) 2006 Roma<br />
Copertina del libro «Andrea Pazienza <strong>Visca</strong>»<br />
- Edizioni Fandango (testi di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e<br />
Federico Fiorenza)