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Cronologia (pdf) - Sandro Visca

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<strong>Cronologia</strong>


CRONOLOGIA<br />

La seguente cronologia propone<br />

una parziale ricostruzione delle<br />

opere esposte nelle mostre di <strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong>. Sono antologizzati i testi dei cataloghi<br />

relativi alle mostre personali e per<br />

meglio comprendere l’attività di <strong>Visca</strong><br />

sono riportate parti di recensioni apparse<br />

su quotidiani, riviste e periodici.<br />

1944<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nasce il 19 settembre a<br />

L’Aquila.<br />

1951<br />

<strong>Visca</strong> inizia da bambino a dimostrare<br />

uno spiccato interesse per il disegno e<br />

la pittura e già a cinque anni passa le<br />

giornate a copiare paesaggi e a disegnare<br />

personaggi immaginari. A sette<br />

anni con “L’usignolo” (pastello su cartoncino<br />

Fabriano) vince un concorso<br />

regionale di disegno a tema promosso<br />

dalla scuola E. De Amicis dell’Aquila.<br />

1958<br />

Dopo aver frequentato le scuole medie,<br />

per decisione della famiglia, anche<br />

se controvoglia, si iscrive all’Istituto Tecnico<br />

per Geometri, ma le sue attenzioni<br />

rimangono sempre vive per il mondo<br />

dell’arte e dedica quasi tutto il suo<br />

tempo alla pittura.<br />

1961<br />

Intraprendente e di forte personalità il<br />

giovane <strong>Visca</strong> a diciassette anni allestisce<br />

, dall’1 al 20 settembre, la sua prima<br />

mostra personale alla Sala Eden<br />

dell’Aquila, allora luogo di incontro e<br />

scambio intellettuale della città. Espone<br />

“Barattoli”, “Strumenti musicali”, “Paesaggio”,<br />

“Marina”, “Campagna romana”,<br />

“Paese”, “Pesca al trabocco”, “Fiori”, “Autunno”,<br />

“Chimica”, “Cantiere”. In questo<br />

periodo conosce Fulvio Muzi, il pittore<br />

più autorevole della città, e i fratelli Nicola<br />

e Fracescangelo Ciarletta con i<br />

quali, nonostante il divario di età, stringe<br />

una profonda amicizia. Dopo aver<br />

frequentato malvolentieri per due anni<br />

l’Istituto Tecnico per Geometri, malgrado<br />

il disappunto dei suoi genitori, decide<br />

di iscriversi alla Scuola d’Arte che in<br />

quell’anno è riconosciuta Statale. Durante<br />

gli studi si distingue per il vivace<br />

impegno profuso ad un rinnovamento<br />

tecnico artistico delle materie professionali,<br />

ma soprattutto si fa notare nel disegno<br />

e nel laboratorio metalli-oreficeria.<br />

In quegli anni il suo insegnante di<br />

figura disegnata, Giuseppe Desiato, diventato<br />

in seguito uno dei più autorevoli<br />

esponenti della body-art in Europa,<br />

lo sceglie insieme ad altri artisti aquilani<br />

per formare il “Gruppo 5”.<br />

Spinto dalla sua intensa attenzione per<br />

la pittura, si reca a Roma per visitare la<br />

prima mostra personale di Rothko allestita<br />

alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.<br />

In quell’occasione, per la prima<br />

volta, prende visione dei primi “sacchi”<br />

di Burri che, nonostante le forti polemiche<br />

in corso, lo lasciano profondamente<br />

emozionato.<br />

1962<br />

Dall’1 al 30 aprile <strong>Visca</strong> rappresenta la<br />

sua Scuola alla Terza mostra d’arte dello<br />

studente, sezione pittura, al Palazzo<br />

delle Esposizioni a Roma. Espone “Villaggio”<br />

(smalti sintetici su tavola). La<br />

mostra è a cura del «Giornale D’Italia».<br />

- Partecipa alla Prima mostra nazionale<br />

“Giuseppe Casciaro” al Circolo Artistico<br />

Politecnico di Napoli. Espone “Nudo”<br />

(vernici e smalti su carta). 18/24 aprile.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla “Mostra del disegno<br />

aquilano” alla Sala Eden dell’Aquila.<br />

Espone “Nudo n. 1” (inchiostro su<br />

carta), “Composizione di figure” (inchiostro<br />

su carta). La mostra è a cura<br />

della Società Universitaria di Cultura<br />

dell’Aquila. 27 maggio / 10 giugno.<br />

- Nel giugno del 1962 è selezionato<br />

per la Biennale nazionale del disegno<br />

“Premio Recoaro Terme” ed espone “Figure<br />

n. 1” (inchiostro e tecnica mista<br />

su cartoncino Fabriano, cm. 50x70),<br />

“Figura n. 2” (inchiostro e tecnica mista<br />

su cartoncino Fabriano, cm. 50x70),<br />

“Figura n. 3” (inchiostro e tecnica mista<br />

su cartoncino Fabriano, cm. 50x70) insieme<br />

agli artisti V. Adami, F. Casorati,<br />

G. Capogrossi, F. Gentilini, E.Greco, P.<br />

Guccione, R. Guttuso, G. Morandi, E.<br />

Morlotti, B. Saetti, T. Zancanaro, E. Scanavino<br />

ed altri.<br />

- È invitato alla mostra “Premio l’Unità”<br />

al Circolo della Stampa, Palazzo Pomponi<br />

di Pescara. Espone “Nudo” e gli<br />

viene conferito un premio. Nel catalogo<br />

della mostra il testo è di Nerio Rosa.<br />

- Partecipa alla Prima Mostra Regionale<br />

di Arti Figurative al Centro Sociale Giovanile<br />

di Avezzano. Espone “Nudo di<br />

26 27 28 29<br />

ragazza” (tecnica mista su tavola),<br />

“Torso maschile” (tecnica mista su tavola)<br />

e gli viene conferito un premio.<br />

In questo anno per <strong>Visca</strong> è sicuramente<br />

di notevole spessore formativo la Prima<br />

Rassegna Internazionale “Alternative<br />

attuali” Omaggio a Burri, allestita al<br />

Forte Spagnolo dell’Aquila da Antonio<br />

Bandera ed Enrico Crispolti che in seguito<br />

diventeranno suoi estimatori.<br />

Questa importante Rassegna insieme<br />

alle altre che seguiranno, forti delle<br />

presenze degli artisti nazionali e internazionali<br />

più importanti del momento,<br />

riescono ad aprire a <strong>Visca</strong> un orizzonte<br />

nuovo al di la dei confini di una città<br />

provinciale come L’Aquila e a dargli così<br />

la possibilità di capire con più lucidità<br />

e chiarezza la realtà artistica del momento.<br />

<strong>Visca</strong> nei primi anni sessanta è<br />

sostenuto con l’acquisto di opere da<br />

suo zio Niclo Allegri, di Torino, che in<br />

quegli anni era uno dei più importanti<br />

e conosciuti collezionisti italiani del secondo<br />

periodo futurista. Con lui, in occasione<br />

di alcuni viaggi a Roma, conosce<br />

Laura ed Enrico Crispolti, Filiberto<br />

Menna e Ferdinando Bologna che nella<br />

valutazione critica delle sue opere manifestano<br />

lusinghieri apprezzamenti e<br />

valide considerazioni per il suo futuro.<br />

1963<br />

- <strong>Visca</strong> partecipa alla Quarta mostra<br />

d’arte dello studente, sezione pittura, al<br />

Palazzo delle Esposizioni a Roma.<br />

Espone “La fine dopo la morte” (tecnica<br />

mista su carta, cm. 100x136). La<br />

mostra è a cura del «Giornale D’Italia»<br />

in collaborazione con il Centro Nazionale<br />

per le Mostre d’Arte in Italia e all’estero.<br />

16 febbraio / 15 marzo.<br />

- È presente alla Prima Mostra del Piccolo<br />

Formato a Sulmona.<br />

- Partecipa alla Quarta Mostra Regionale<br />

di Arti Figurative al Forte Spagnolo<br />

dell’Aquila. Espone “Nudo” e “Figura”.<br />

21 aprile / 23 maggio.<br />

- A settembre, alla galleria Verrocchio<br />

di Pescara, con l’opera “Disastro sangue”<br />

vince insieme a Gerardo Lizza il<br />

primo premio ex equo L’Unità “Omaggio<br />

a Toto”.


- Partecipa alla mostra “Sette pittori<br />

aquilani” alla Sala Eden dell’Aquila.<br />

Espone “Da un brivido di luce”, “Disastro<br />

sangue”. Settembre.<br />

- È invitato alla Mostra Nazionale del<br />

Piccolo Formato a Campo di Giove.<br />

Espone “Momento in corsa”, “Momento<br />

automobilistico”. 3 novembre 1963 / 8<br />

gennaio 1964.<br />

1964<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, alacremente impegnato<br />

nella ricerca pittorica, nel 1964 inizia a<br />

realizzare una serie di opere con materiali<br />

cartacei di recupero, stoffe, stracci, vinavil,<br />

smalti, ferri saldati ed altri elementi.<br />

- Partecipa alla mostra “10 Pittori d’Abruzzo”<br />

al Centro Artistico della Gioventù<br />

Italiana a Genova. Espone “Disastro<br />

sangue - Attraversando una strada<br />

bianca” (tecnica mista su tavola, cm.<br />

97x127) “Oltraggio”, “Momento N. 1”,<br />

“Momento N. 2”, “Momento N. 3”.<br />

14/25 marzo.<br />

- <strong>Visca</strong> insieme a Giuseppe Desiato,<br />

Ennio Di Vincenzo, Marcello Mariani e<br />

Giuseppe Pappa partecipa alla mostra<br />

“Gruppo 5” allo spazio espositivo Gran<br />

Derby di San Benedetto del Tronto.<br />

Espone “Pensando”, “Momento 1964”<br />

(tecnica mista su carta, cm. 50x70),<br />

“Disastro C-45” (acrilici e smalti su carta,<br />

cm. 139x88), “Attraversando una<br />

strada” (tecnica mista su carta, cm.<br />

50x70) “Momento-paura” (tecnica mista<br />

su carta, cm. 50x70). 20 maggio /<br />

5 giugno.<br />

- È invitato alla mostra “Abruzzo in<br />

cammino” a Pescara. Espone “Tutto il<br />

mondo”, “Da una finestra”. Nel catalogo<br />

i testi sono di Maurizio Calvesi e<br />

Nello Ponente. 3/14 giugno.<br />

- È invitato al Premio Sulmona delle Arti<br />

al Palazzo dell’Annunziata di Sulmona.<br />

Espone “Colpe di desideri” (tecnica<br />

mista, cm.100x90). Settembre.<br />

- Il primo novembre apre con oltre<br />

quaranta opere la mostra personale<br />

“<strong>Visca</strong>” al Salone del Grand Hotel et du<br />

Parc dell’Aquila suscitando una forte disapprovazione<br />

da parte del pubblico<br />

locale.<br />

«<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è il giovane<br />

che accetta la scelta; quest’ultima tessuta<br />

sul filo di una ricerca di valori umani.<br />

Il suo modulo pittorico si delinea, inconfondibilmente,<br />

dal ‘61: la visione è<br />

espressionistica. La figura umana è volutamente<br />

disgregata, decomposta nei<br />

suoi elementi; da vaste chiazze cromatiche<br />

zampillano sensazioni crude. Sono<br />

per lo più reazioni impresse gestualmente,<br />

senza tregua, ma sempre ricondotte<br />

ad una problematica di racconto,<br />

di situazione, di momento umano, di<br />

tragico evento. Il materiale giunge dagli<br />

organi di informazione — specie dalla<br />

stampa — e <strong>Visca</strong> non toglie nulla della<br />

comunicativa iniziale; semmai rielabora<br />

l’interrogativo che ha motivato — ma<br />

non spiegato — il disastro o la tragedia.<br />

Se la realtà si è manifestata mediante<br />

l’inchiostro nero di una fotografia stampata<br />

sul lucido di una carta patinata di<br />

settimanale a grande tiratura, sarà il ritaglio<br />

della foto a giostrare nel quadro.<br />

Nulla varrà a rendere più vibrante, scottante<br />

— e perciò meglio accessibile — il<br />

problema.<br />

Una foto come scelta quindi e il riproponimento<br />

soggettivo dell’accaduto nell’opera<br />

compiuta. In un certo senso,<br />

l’artista funge da trait d’union tra fatto<br />

originario e reazioni che lo stesso suscita<br />

nell’uomo. Tom Wesselmann, stralciando<br />

elementi di insegne pubblicitarie<br />

e riproponendoli, non si comporta diversamente.<br />

L’esperienza del collage, nata da una<br />

necessità di racconto il più ancorato<br />

possibile alla realtà, acquista, nei primi<br />

mesi del ’63, una consistenza più spiccatamente<br />

materica che delinea all’orizzonte<br />

possibilità di ricerca in direzione<br />

Neo-Dada. È un lavoro che ricorda<br />

Schwitters, i grandi collage Merz. Ma qui<br />

la materia non ha valore di rifiuto come<br />

nei Merz e denota piuttosto una impossibilità<br />

ad agire di fronte all’evidenza.<br />

Nei cicli — il lavoro si inquadra su un<br />

unico problema che interessa di volta in<br />

volta un incidente stradale, un disastro<br />

aereo, una tragedia in miniera ecc. —<br />

compaiono gli stracci, il nailon, i legni.<br />

Nel gruppo dedicato a tragedia in miniera<br />

— sei enormi cartoni sui quali so-<br />

no state scavate delle finestre — il collage<br />

racconta, strozzato, attimo per attimo,<br />

la tragedia umana. È il frutto della<br />

cronaca che giunge rapida da ogni angolo<br />

della terra, è l’onda del respiro<br />

umano che impregna l’aria e la rende<br />

respirabile solo in funzione del grido disperato<br />

degli uomini vittime della loro<br />

stessa società.<br />

L’atto di sfiducia è manifesto. La crisi interessa<br />

la società, l’uomo contemporaneo.<br />

<strong>Visca</strong> si rende conto che la battaglia deve<br />

essere condotta con l’uomo. È il ciclo<br />

delle crocifissioni. Ogni opera diviene<br />

la sintesi di uno dei cicli precedenti:<br />

un momento si tradurrà nella frantumazione<br />

interiore e nella ricostruzione<br />

esteriore dell’uomo colpevole. Ne scaturisce<br />

un nuovo racconto, una nuova<br />

realtà figurativa; il tema religioso è in<br />

secondo ordine: le 14 stazioni del Calvario<br />

di Cristo sono 14 momenti umani<br />

carichi di dolore, di sensazioni, di reazioni<br />

a catena; una nuova presenza dell’uomo.<br />

È ancora una ricerca condotta con il collage,<br />

il colore è vivo — quanto i problemi<br />

—, scola e si allarga in macchie; il<br />

segno è pulito e brillante e incide tangibilmente<br />

una storia umana rivissuta fino<br />

allo spasimo.<br />

La figura però (bruciata, dilaniata, cristallizzata)<br />

accenna a dissolversi: è il gusto<br />

per la materia, la contemplazione della<br />

plasticità della stessa (un nuovo interrogativo<br />

di fronte alla realtà?), della necessità<br />

di una nuova componente spaziale,<br />

della composizione.<br />

<strong>Visca</strong> ascolta in silenzio, avverte una<br />

pulsazione umana: è la sua stessa presenza<br />

che comunica e che scaturisce<br />

dall’opera che egli stesso ha forgiato,<br />

con i materiali che ha scelto».<br />

(Emidio Di Carlo, “Incontri Presenze” 30<br />

Anni di pittura e scultura a L’Aquila, Edizioni<br />

c.c.3 m. Testo tratto dalla presentazione<br />

al catalogo della mostra personale<br />

“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” al Grand Hotel et<br />

du Parc, L’Aquila, 1/15 novembre<br />

1964).<br />

Terminati gli studi, anche per una crescente<br />

incompatibilità con l’ambiente<br />

30 31 32<br />

aquilano, <strong>Visca</strong> decide di lasciare la<br />

sua città e si trasferisce a Roma dove<br />

lavora anche come grafico per una società<br />

americana, fino alla fine del<br />

1967.<br />

1965<br />

- <strong>Visca</strong> partecipa alla Mostra Collettiva<br />

sulla Resistenza al Circolo Culturale<br />

Aquilano dell’Aquila. Espone “Momento”<br />

(tecnica mista). I testi nel catalogo<br />

della mostra sono di Ferdinando Bologna,<br />

Nicola Ciarletta, Enrico Crispolti e<br />

Giorgio Di Genova. 23 aprile / 10<br />

maggio.<br />

- Partecipa alla mostra “Omaggio a Pirandello”<br />

al Centro Culturale Tre Marie<br />

dell’Aquila. Espone “Di momento in<br />

momento mutano le illusioni” (tecnica<br />

mista su tela, cm. 80x60). La mostra è<br />

patrocinata dal Teatro Stabile dell’Aquila.<br />

3 maggio / 6 giugno.<br />

- È invitato alla Mostra Nazionale D’Arte<br />

Contemporanea di San Benedetto<br />

del Tronto. Espone “Momento” (tecnica<br />

mista su tavola, cm. 108x141). 25<br />

aprile / 15 giugno.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato al Secondo Premio<br />

Sulmona delle Arti al Palazzo dell’Annunziata<br />

di Sulmona. Espone “Momento<br />

X-65”.<br />

1966<br />

In questi ultimi anni la situazione artistica<br />

abruzzese è andata sempre più<br />

peggiorando e nella regione gli artisti<br />

sono divisi in due schieramenti.<br />

Ciò a causa del controllo che alcuni<br />

gruppi più influenti riescono ad esercitare<br />

sugli enti delle singole città. Tale<br />

stato di cose ha fatto sì che non potesse<br />

avere luogo quel ricambio di forze<br />

che ci si era auspicati ai fini di uno sviluppo<br />

culturale più democratico della<br />

Regione Abruzzo. Per questi motivi in<br />

contrapposizione alla Biennale Aquilana,<br />

nasce la Rassegna “Realtà figurativa<br />

d’Abruzzo” e <strong>Visca</strong> insieme ad un<br />

gruppo di artisti ne diventa uno dei<br />

promotori più vivaci.<br />

- Partecipa alla mostra “Realtà figurativa<br />

d’Abruzzo” al Palazzo Bonanni dell’Aquila.<br />

Espone “La sposa” (tecnica mista


su tela, cm. 110x130), “Pensiero di un<br />

personaggio innamorato” (vernici acriliche<br />

e sintetiche su tela, cm. 70x100),<br />

“Norma” (tecnica mista su tavola, cm.<br />

50x70), “Crocifissione” (vernici acriliche<br />

e sintetiche su tela, cm. 70x100). 17<br />

settembre / 18 ottobre.<br />

In occasione della mostra “Realtà figurativa<br />

d’Abruzzo” Remo Brindisi acquista<br />

le opere di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>: “La sposa”<br />

(tecnica mista su tavola, cm.<br />

110x130) e “Crocifissione” (vernici acriliche<br />

e sintetiche su tela, cm. 50x70)<br />

per destinarle al Museo Alternativo “R.<br />

Brindisi” di Lido di Spina, Ferrara. In seguito<br />

farà parte della collezione del<br />

Museo anche l’edizione di grafica “Per<br />

un ligamento d’amore” (contenitore in<br />

legno, con inserto originale cucito sul<br />

coperchio, contenente tre serigrafie su<br />

alluminio satinato stampate in tiratura<br />

limitata da 1 a 50 (formato cm.<br />

60x60x6,5).<br />

- A ottobre è invitato al Terzo Premio<br />

Sulmona delle Arti al Palazzo dell’Annunziata<br />

di Sulmona. Espone “Momento”.<br />

1967<br />

- Il primo gennaio <strong>Visca</strong> apre la mostra<br />

personale al Palazzo Cappelli dell’Aquila.<br />

Espone quasi cento opere di piccolo<br />

formato, tra disegni e cartoni dipinti a<br />

tecnica mista.<br />

Nel catalogo il testo è di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

e Emidio Di Carlo.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “La nuova<br />

situazione dell’arte in Abruzzo”, Luco<br />

Dei Marsi - Pescara. Espone “Pensiero<br />

di un personaggio innamorato” (vernici<br />

acriliche e sintetiche su tela, cm.<br />

70x100), “Personaggio che pensa”<br />

(vernici sintetiche su tela, cm. 70x100).<br />

Nel catalogo i testi sono di Giorgio<br />

Tempesti e Margherita Abruzzese. Aprile/maggio.<br />

- In agosto è invitato alla mostra “Proposte<br />

uno” al Palazzo del Liceo di Avezzano.<br />

Espone “Donna in scatola” (struttura<br />

in legno dipinto, tecnica mista e<br />

luce, cm. 50x7x80), “Regina in scatola”<br />

(struttura in legno dipinto, tecnica mista<br />

e luce, cm. 50x7x80). Nel catalogo<br />

i testi sono di Maurizio Calvesi, Giuseppe<br />

Gatt, Filiberto Menna, Achille Bonito<br />

Oliva, Margherita Abruzzese, Giorgio<br />

Tempesti, Cesare Vivaldi, Alberto Boatto,<br />

Marisa Volpi Orlandini, Nicola Pagliaro.<br />

- È invitato al Primo Premio Città di<br />

Penne. Espone “Regina con fiori” e gli<br />

viene assegnato il premio acquisto dell’E.P.T.<br />

di Pescara. 21/27 agosto.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla Rassegna della<br />

Pittura Italiana Contemporanea –<br />

Omaggio a Spazapan – Aspetti della<br />

Pittura in Abruzzo alla galleria Arte<br />

d’Oggi di Pescara. Espone “Donna in<br />

scatola” (struttura in legno dipinto, tecnica<br />

mista e luce cm. 50x7x80). 7/27<br />

ottobre.<br />

1968<br />

Nel 1968, sollecitato dalle insistenti<br />

pressioni di Giuseppe Misticoni che lo<br />

vuole come docente nel suo Liceo Artistico<br />

<strong>Visca</strong>, anche se con molti dubbi,<br />

decide di lasciare Roma e si trasferisce<br />

a Pescara dove nella Sezione Accademia<br />

del Liceo Artistico gli viene assegnata<br />

la cattedra di Discipline pittoriche.<br />

A Pescara, lontano dai meccanismi del<br />

potere della critica e del mercato dell’arte,<br />

trova la misura operativa consona<br />

alla sua esigenza di essere e di esistere<br />

fuori da tutti gli schemi condizionanti<br />

del sistema e con forte determinazione<br />

elegge la città rivierasca a sua<br />

dimora.<br />

In questo periodo conosce Antonio<br />

Bandera che si interessa al suo lavoro<br />

con molta attenzione. L’assidua frequentazione<br />

del critico giornalista del<br />

terzo programma culturale della Rai<br />

porterà <strong>Visca</strong> a consolidare le sue posizioni<br />

politiche in rapporto al suo lavoro<br />

e soprattutto a individuare con più attenzione<br />

le scelte operative per i progetti<br />

futuri. La loro amicizia rimarrà solida<br />

e duratura fino alla scomparsa di<br />

Antonio Bandera che avviene nel 1975.<br />

- Dal 7 all’11 aprile partecipa alla mostra<br />

“Variazioni pittoriche su un tema<br />

xerografico” al Salone del Grand Hotel<br />

e del Parco a L’Aquila. Il curatore della<br />

mostra è Mario Falli.<br />

- È invitato al 2° Premio Città di Penne.<br />

Espone “Ragazza con fiori” e gli viene<br />

assegnato il secondo premio assoluto.<br />

La mostra è a cura di Remo Brindisi e<br />

Aleardo Rubini. 19 agosto / 8 settembre.<br />

- Lo stesso anno partecipa alla mostra<br />

“Premio Europa 68” a Milano.<br />

- In dicembre è invitato al “Premio San<br />

Fedele”, per giovani artisti italiani, presso<br />

la galleria San Fedele di Milano.<br />

Espone “Personaggio” (vernici sintetiche<br />

e acriliche su tela, cm. 70x100)<br />

1969<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, artista versatile in campi<br />

diversi di attività e di ricerca, come collaboratore<br />

artistico del Teatro Stabile<br />

dell’Aquila, in occasione della XXIV Festa<br />

del Teatro a San Miniato, realizza le<br />

scene di Alberto Burri per lo spettacolo<br />

“L’avventura di un povero cristiano” di<br />

Ignazio Silone. Regia di Valerio Zurlini,<br />

musiche di Mario Zafred direttore dell’Opera<br />

di Roma.<br />

In questa circostanza l’incontro con<br />

Burri si tramuta in una vera amicizia<br />

tanto che, anche per la passione che li<br />

accomuna per la caccia, si frequentano<br />

in lunghe settimane venatorie sia in<br />

Umbria che sulle montagne d’Abruzzo.<br />

Nonostante Burri sia un uomo schivo e<br />

pieno di quel riserbo tipico degli umbri,<br />

spesso invita <strong>Visca</strong> nella sua casa studio<br />

di montagna immersa tra secolari<br />

boschi di castagni. In questa grande<br />

casa dall’arredamento rastremato e<br />

quasi francescano, <strong>Visca</strong> trascorre con<br />

Burri molti pomeriggi a parlare di pittura<br />

e di tecniche di caccia. Qualche volta<br />

Burri si fa aiutare da <strong>Visca</strong> a stendere<br />

dei fondi di vernice su alcune sue<br />

opere in corso di esecuzione. Nel 1978<br />

<strong>Visca</strong> realizza un interessante servizio<br />

fotografico su Burri.<br />

- <strong>Visca</strong> partecipa alla Prima Mostra Nazionale<br />

di Pittura e Grafica “Città di<br />

Lanciano” e gli viene conferita la coppa<br />

del sottosegretario alla P.I. Sen. V. Bellisario.<br />

33 34 35<br />

- È invitato al 3° Premio Città di Penne<br />

al Chiostro di San Domenico. Espone<br />

“La sposa” (tecnica mista su tela, cm.<br />

80x100). 21 settembre / 15 ottobre.<br />

- È invitato al 6° Premio Sulmona delle<br />

Arti al Palazzo dell’Annunziata di Sulmona.<br />

Espone “Personaggio”. 14 dicembre<br />

/ 6 gennaio 1970.<br />

- È presente alla mostra “Colore d’Abruzzo”<br />

al Palazzo del Comune di Calascio.<br />

1970<br />

Sono di quest’anno le prime sculture di<br />

pezza cucite con materiali tessili e polivalenti<br />

che espone per la prima volta,<br />

dal 10 al 21 marzo, nella mostra personale<br />

alla galleria Arte d’Oggi di Pescara.<br />

Nel catalogo il testo è di Nicola<br />

Ciarletta.<br />

«Intanto, mi piace per l’invenzione<br />

figurale e per quel nitore estremo<br />

dell’esecuzione: qualità, quest’ultima,<br />

che ravviva l’invenzione quanto più la<br />

cela, facendola apparire a poco a poco<br />

all’occhio indugiante.<br />

Si tratta, infatti, di variazioni su un tema<br />

dato – ho qui, sul tavolo, le fotografie di<br />

alcune variazioni sul tema della dama di<br />

cuori –: l’invenzione, quindi, consiste<br />

nel dettaglio (una pupilla prende la forma<br />

del cuore; il colore del cuore cambia<br />

dal rosso al verde, come un semaforo<br />

stradale; i ricami d’un corsetto<br />

trovano un assetto tale, che il corsetto<br />

finisce per rassomigliare al volto della<br />

persona che l’indossa), e il dettaglio, di<br />

necessità, ambisce a farsi scoprire. Dunque,<br />

il nitore dell’esecuzione è qui la via<br />

obbligata per una scoperta lenta e furtiva.<br />

Ma, ecco, già vado dicendo ciò che<br />

m’interessa. La scoperta lenta e furtiva<br />

non è altro che il focalizzarsi dell’attenzione,<br />

la quale, come si focalizza, fa diventare<br />

il dettaglio più importante dell’intero.<br />

È proprio quello che si cerca in una variazione<br />

su tema. Vorrei dire, valendomi<br />

di una frase famosa di Picasso, che qui<br />

si fa in modo che si trovi prima ancora<br />

di cercare. Trovare, ora questo ora quel<br />

particolare, che forma il tessuto can-


giante della metamorfosi: trovarlo senza<br />

cercarlo, in virtù d’una semplice ostinazione<br />

degli occhi.<br />

Intanto, questa matissiana dama di cuori,<br />

che a volte appare tra le lame ingigantite<br />

di un tagliasigari – sorta di ghigliottina<br />

che sta per tagliarle il collo a<br />

rocchetto – è un oggetto: è una pupazza.<br />

(Non più pupazza, del resto, di certe<br />

donne di Picasso: ricordate quella che<br />

ha per cappellino un piatto con le stoviglie<br />

sopra?).<br />

<strong>Visca</strong> sa, da moderno, che l’uomo oggi<br />

(e per uomo – non serve dirlo – s’intende<br />

anche la donna) è «reificáto», è<br />

diventato cioè mutuabile con gli oggetti<br />

che adopera. (Questa mutuabilità dell’uomo<br />

con l’oggetto ha avuto il suo primo<br />

raffiguratore – mi si perdoni l’insistenza<br />

– in Picasso). Ma <strong>Visca</strong> sa pure<br />

che in antico un artista figurativo era<br />

considerato un fabbricante di oggetti, e<br />

che assai lunga è stata la sua strada per<br />

arrivare ad essere considerato – alla pari<br />

con i poeti – un imitatore (e cioè, se<br />

si rifletta, un interprete) dell’azione<br />

umana (la quale richiede sviluppo e<br />

movimento). È, dunque, sulla base di<br />

questo doppio ordine di consapevolezze,<br />

che <strong>Visca</strong> giunge a concepire (ed è<br />

chiaro che in lui confluiscono le istanze<br />

delle varie tendenze che sono in giro:<br />

pop, op e via dicendo) la pittura, che è<br />

visione (e vorrebbe esserlo di azioni<br />

umane), come teatro, che è ed è sempre<br />

stata visione (lo denuncia la parola<br />

stessa), proponendosi fin dalla sua origine<br />

di rendere presenti e visibili delle<br />

azioni umane già compiute. Talché, a<br />

un certo punto, le variazioni della pupazza<br />

di cuori diventano vere pupazze<br />

di stoffa, e, «montate» in posizioni varie<br />

e tra oggetti vari (fotoréclames, mobili e<br />

stesse loro immagini originarie), vengono<br />

fotografate ed esibite di seguito, l’una<br />

dopo l’altra. Ne può risultare un effetto<br />

caricaturale e allucinatorio, alla Godard<br />

(il regista cinematografico più vicino<br />

alle origini del teatro).<br />

No, non chiamerei Bay a modello: Bay<br />

è malizioso, non teatrale. Però consiglierei<br />

a <strong>Visca</strong> di dedicare maggior cura alla<br />

scelta dei mobili (specie le sedie), che<br />

– a parer mio – devono essere verissi-<br />

mi quanto più veri possibile e offerti all’uso<br />

consueto, ma tanto veri appunto,<br />

da sembrare delle misteriose finzioni,<br />

mentre le pupazze – afflitte come dei<br />

saltimbanchi in riposo – crescono nel<br />

caricamento iperbolico della loro realtà».<br />

(Nicola Ciarletta, Quello che m’interessa<br />

nella produzione di <strong>Visca</strong>..., presentazione<br />

nel catalogo della mostra personale<br />

“<strong>Visca</strong>” alla galleria Arte D’Oggi di<br />

Pescara, 10/21 marzo 1970).<br />

«Non si può parlare più di pittura senza<br />

che il termine investa i valori più disparati,<br />

da quelli sociali ed estetici, a quelli<br />

più propriamente compositivi, armonici<br />

quindi e soggetti a modificarsi per meglio<br />

centrare il punto emozionale legato<br />

molto spesso alla casualità. Di fronte alla<br />

pittura di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> si affollano<br />

nella mente nomi e situazioni che non<br />

possono, tuttavia, costituire un confronto<br />

ma appena una analogia. Un segno<br />

così elementare, come risulta dagli<br />

schizzi e dai quadri, non può che essere<br />

carico di esperienze rivissute al limite<br />

delle problematiche più ardue. Nicola<br />

Ciarletta esclude il nome di Baj, parla di<br />

Picasso – ma per inciso –, poi ci torna<br />

su. Gli è sfuggito Klee, probabilmente,<br />

ma ha capito <strong>Visca</strong> e ciò che egli intende<br />

dire con le sue “pupazze” proposte<br />

prima su tela, poi costruite e collocate<br />

in uno spazio dove, strano a dirsi, sembrano<br />

sopraffatte dalle loro matrici incorniciate<br />

e tendono a rientrarvi, quasi<br />

le sedie, il tavolo, il leggio, tutto quanto<br />

è stato predisposto per loro, fosse inutile<br />

e superfluo, eliminato dal contesto<br />

del discorso volenterosamente avviato<br />

su due piani e poi tornato ad essere<br />

unidimensionale. Si tratta, in definitiva,<br />

di un tema variato e vario, non monotono,<br />

estremamente elegante, a volte bizantino.<br />

Vi è, nel fondo, una certa irrisione<br />

della realtà, smorzata dalla tristezza<br />

dei pupazzi veri, autentici Golem svitalizzati<br />

o sagome afflosciate in un museo<br />

delle cere non refrigerato a sufficienza.<br />

I merletti, i bottoni, le dorature e<br />

le argentature, insieme al simbolo del<br />

cuore posto negli occhi, nella bocca,<br />

sulle gote, ai piedi: tutto un materiale<br />

che fa pensare a un Matthew-Gregory<br />

Lewis divenuto pittore con qualche secolo<br />

di ritardo e passato attraverso il<br />

vento di certa spensierata liricità dei<br />

tempi tranquilli. La trovata, poi, di far<br />

entrare in scena – e diciamo scena in<br />

senso teatrale, perché (e concordiamo<br />

con Ciarletta) la mostra si predispone e<br />

qualifica in forma “recitativa” – due giovani<br />

donne col volto dipinto come le<br />

“pupazze” che nell’angolo della Galleria<br />

“fanno salotto”, e averle vestite, magari<br />

più sobriamente, dei loro doppi, è una<br />

forma di rivincita sulla unidimensionalità.<br />

Lo spazio, in tal modo, è risultato<br />

occupato, qualcosa si è mosso, è scattata<br />

la molla dell’happening contenuto<br />

nel limite consentito dall’ambiente. Anche<br />

<strong>Visca</strong> gioca la sua parte tra le sue<br />

opere. A suo agio nel mondo che ha<br />

creato, gioca sul tema scoperto con<br />

stoffe e colori in attesa di passare dalla<br />

stanza che si trova nello specchio in<br />

quella dimensionale della realtà, magari<br />

inventata».<br />

(Benito Sablone, Galleria d’Oggi: <strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong>, «NAC», Milano, 1 aprile).<br />

- Il 3 ottobre apre la mostra “<strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong>” alla galleria Il pozzo di Città di<br />

Castello dove espone sculture di pezza,<br />

tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti.<br />

Nel catalogo della mostra il testo<br />

è di Lamberto Giancarli.<br />

- Dal 24 al 31 ottobre apre la mostra<br />

“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” alla galleria Zodiaco di<br />

Assisi. Espone sculture di pezza, tele dipinte<br />

a tecnica mista e cartoni dipinti.<br />

Nel pieghevole della mostra il testo è<br />

di Lamberto Giancarli.<br />

- In gennaio partecipa al “Premio Torino”<br />

a Torino.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Immagini<br />

del nostro tempo” al Museo della<br />

scienza e della tecnica di Milano. Espone<br />

“Personaggio”. 22/31 maggio.<br />

- È presente alla mostra “Artisti contemporanei”,<br />

Presenze abruzzesi 1970, a<br />

Ortona dei Marsi. Espone “Personaggi”<br />

(tecnica mista su tela, cm. 120x100).<br />

13/23 agosto.<br />

- Partecipa alla mostra “Arte 70 a Calascio”<br />

al Palazzo del Comune di Calascio,<br />

14 agosto / 5 settembre.<br />

36 37<br />

38 39<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla 24 a Mostra Nazionale<br />

F.P. Michetti a Francavilla al mare.<br />

Espone “La sposa” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 120x100), “Ritratto di un personaggio<br />

che pensa” (tecnica mista su<br />

tela, cm. 100x120), “Personaggi 70”<br />

(tecnica mista su tela, cm. 120x100),<br />

“Personaggio” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 100x120). La mostra è a cura di<br />

Marcello Venturoli. 1 agosto / 1 settembre.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato al 4° Premio Città di<br />

Penne al Chiostro di San Domenico di<br />

Penne. Espone “Personaggio”. Il testo in<br />

catalogo è di Giammario Sgattoni. 30<br />

agosto / 27 settembre.<br />

- Partecipa alla mostra “Bazar” alla galleria<br />

Poliantea di Terni. 12 dicembre<br />

1970 / 3 gennaio 1971.<br />

- In dicembre è presente alla Mostra<br />

Nazionale di Pittura e Grafica al Palazzo<br />

Suffoletta di Roccaraso.<br />

1971<br />

- Il 18 maggio si inaugura alla Saletta<br />

Filippo Palizzi di Vasto la mostra personale<br />

“<strong>Visca</strong>”. Espone tele dipinte a tecnica<br />

mista e disegni.<br />

«Un personaggio, un personaggio-uomo<br />

o un personaggio-donna<br />

che siano e rimangano tali, non l’astratta<br />

idealità che rincorra magari un passato<br />

evanescente, ma s’appunti piuttosto<br />

sull’incombenza del presente, il suo urgere<br />

come attitudine emozionale: ecco<br />

il tema delle opere di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, via<br />

via attuate all’interno di quel processo<br />

di assestamento visivo dove i dipinti attuali<br />

restano immagine ed emblema<br />

dell’arabesco della vita: le figure che si<br />

stagliano sui fondi opachi e s’intrecciano<br />

come parole nella traccia illusoria<br />

dello spazio sembrano risalire le maree<br />

del tempo fino ad assumere le cadenze<br />

di un’inquieta esperienza esistenziale.<br />

Non è, questo, il vorticoso grafismo che<br />

avvolge e svolge il personaggio svagato<br />

sulla tela come l’ombra di un silenzio?<br />

Non sono le foglie che si fanno cuori<br />

disegnati su tronchi immaginari? Il cuore;<br />

un sogno strano di sudore e di salmastro,<br />

forse emaciato come uno sfatto<br />

acquarello. Nel colore che varia si sente


il recupero alla sua parvenza meno labile.<br />

Lo spazio viene ridotto a filigrana, il<br />

tessuto materico ondeggia la sua mimica<br />

di ritmo fra la splendente vivacità tonale.<br />

La mostra punta dunque sul personaggio,<br />

e quale che sia: anche una<br />

sposa dal pensiero lontano (“una sposa<br />

orientalizzante impettita di fiori d’argento”,<br />

annotava Giammario Sgattoni). Anche<br />

una figura femminile può mantenere<br />

una sua icasticità, magari calata fra i<br />

simboli del moderno meccanismo tecnologico,<br />

in un’accostamento ironico,<br />

semmai, ma riscattato dai misteri caotici<br />

di quella perfezione di vita, e verso una<br />

bellezza fredda e poetica».<br />

(Aleardo Rubini, testo nel pieghevole<br />

della mostra personale “<strong>Visca</strong>” alla Saletta<br />

Filippo Palizzi di Vasto, 18/30 maggio<br />

1971).<br />

- L’1 giugno apre la mostra personale<br />

“<strong>Visca</strong>” al Centro Santelmo di Salò.<br />

Espone una serie di sculture di pezza<br />

insieme a tele dipinte a tecnica mista e<br />

cartoni dipinti. Nel catalogo il testo è di<br />

Benito Sablone.<br />

- Il 10 luglio apre la mostra personale<br />

“<strong>Visca</strong>” al Museo Civico di Penne. Espone<br />

tele dipinte a tecnica mista, cartoni<br />

dipinti e strutture polimateriche. Nel<br />

pieghevole della mostra il testo è di<br />

Aleardo Rubini.<br />

- In aprile partecipa alla mostra<br />

“Omaggio alla resistenza” al Palazzo<br />

del Liceo di Avezzano.<br />

- È presente al Premio Nazionale “Bice<br />

Bugatti” a Nova Milanese, Milano.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato al 13° Premio Vasto a<br />

Vasto.<br />

- È invitato alla XXV Mostra Nazionale<br />

F.P. Michetti a Francavilla al mare.<br />

Espone “Trittico con nuvoletta d’oro”<br />

(tecnica mista su tela cm. 170x132),<br />

“Personaggio compresso” (tecnica mista<br />

su tela, cm. 70x150) e due sculture:<br />

“Personaggio con appendice nera”<br />

(stoffe cucite e imbottite in poliuretano,<br />

cm. 85x230), “Personaggio” (stoffe cucite<br />

e imbottite in poliuretano, cm.<br />

50x245). Nel catalogo della mostra i<br />

testi sono di Umberto Russo, Luigi Marcucci,<br />

Carlo Barbieri, Luigi Lambertini.<br />

31 luglio / 1 settembre.<br />

«Dal gusto delle rappresentazioni<br />

lineari e sintetiche, <strong>Visca</strong> è giunto<br />

a dare un contenuto non più estetizzante<br />

alle sue «figure» che parlano, ormai,<br />

un linguaggio maturo, ironico e complesso<br />

di cui il colore e il segno, il decorativo<br />

e il floreale (non ci si spaventi<br />

dei due termini) altro non sono che<br />

l’eccentrico alfabeto. L’evidenza della<br />

maturità dell’artista sta nel fatto che egli<br />

è riuscito a svincolarsi dalle «invenzioni»,<br />

da quelle continue «trasformazioni»,<br />

cioè che sono il limite di coloro (e sono<br />

tanti) che non riescono a parlare senza<br />

aver prima ascoltato altre voci, a scrivere<br />

senza aver letto una pagina d’altri, a<br />

dipingere senza aver «assorbito» — quasi<br />

sempre mentalmente — le soluzioni<br />

di chi veramente opera nell’arte e ne<br />

intende senza equivoci la funzione dinamica<br />

nella civiltà. A me pare che gli<br />

emblemi di <strong>Visca</strong>, nel loro ripetersi e<br />

nel loro variare (ma nel variare non fanno<br />

che arricchirsi, diventano sempre più<br />

se stessi) siano veramente esemplari<br />

perché irridono il mondo, mettono in<br />

imbarazzo lo spettatore — altri direbbe il<br />

fruitore, ma per dei «personaggi» il termine<br />

spettatore si addice meglio —,<br />

funzionano da revulsivo nei confronti<br />

del conformismo — e del conformista —<br />

che talvolta ostenta perfino la logora etichetta<br />

dell’avanguardia borghese.<br />

La verità è che queste pupazze non vogliono<br />

essere prese sul serio e minacciano<br />

continuamente di ribellarsi al suo<br />

stesso creatore per la forte carica ironica<br />

che posseggono: diventano, così, anche<br />

estremamente serie e drammatiche:<br />

ma di rimbalzo, in un secondo<br />

tempo, dopo che hanno fatto tabula rasa<br />

d’ogni residuo mito estetico. Perché,<br />

in definitiva, la «pupazza» è l’anti mito<br />

che si colloca nella nicchia vuota per<br />

mostrarci che la divinità non c’è mai<br />

stata o è sostituibile, oppure è da cercare<br />

altrove, magari dietro la candida e divertita<br />

ostentazione sessuale o il freddo<br />

cuore di stagnola dorata.»<br />

(Benito Sablone, testo nel pieghevole<br />

della mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”<br />

al Centro D’Arte Santelmo di Salò, 1 /<br />

18 giugno 1971).<br />

- Partecipa alla mostra “Il giornale nell’arte”<br />

alla libreria Niccoli di Pescara<br />

promossa dall’Associazione della Stampa<br />

Pescarese e gli viene conferito il riconoscimento<br />

della Gazzetta del Popolo<br />

di Torino. 4/12 settembre.<br />

- Partecipa alla mostra “Carnemolla –<br />

Marletta – Paolinelli – <strong>Visca</strong>“ alla galleria<br />

Nuova dimensione di Pescara.<br />

- In agosto è presente alla Prima Rassegna<br />

di pittura e Grafica a Santo Stefano<br />

di Sessanio. Espone “Personaggio<br />

compresso” (tecnica mista su tela, cm.<br />

70x150).<br />

- Partecipa alla mostra “Calascio 71” al<br />

Palazzo Civico di Calascio. 1/22 agosto.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla V Mostra d’Arte<br />

“Città di Penne” al Chiostro San Domenico<br />

di Penne. Espone “Personaggio<br />

con cuore d’oro” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 70x100) e una scultura polimaterica.<br />

5/30 settembre.<br />

1972<br />

In questo periodo, sempre collaboratore<br />

artistico del Teatro Stabile dell’Aquila,<br />

entra in contatto con Carmelo Bene che<br />

produce alcuni suoi spettacoli con il<br />

T.S.A. e inizia tra loro una frequentazione<br />

di profonda familiarità insieme a Gino<br />

Marotta, Luciano Fabiani, Federico<br />

Fiorenza, Paolo Scipioni e altri cultori<br />

del Teatro.<br />

Nel 1971/1972 il giovane Andrea Pazienza<br />

si iscrive alla Sezione Accademia<br />

del Liceo Artistico Statale di Pescara dove<br />

incontra <strong>Visca</strong> che è titolare della<br />

cattedra di Figura Disegnata. L’atteggiamento<br />

provocatorio del giovanissimo<br />

Pazienza nei confronti di <strong>Visca</strong> è subito<br />

così pungente che, anche per l’affetto e<br />

la stima che gli porta, diventerà la motivazione<br />

forte per la realizzazione di centinaia<br />

di caricature e storie esilaranti. Il<br />

protagonista dei disegni realizzati da Pazienza<br />

tra il 1971 ed il 1973 diventa il<br />

suo insegnante ed è proprio a questo<br />

biennio che risalgono le prime storie disegnate<br />

da Pazienza su <strong>Visca</strong>, con alcune<br />

eccezioni risalenti agli anni successivi<br />

che testimoniano un rapporto tra i due<br />

che non si è mai interrotto nel tempo,<br />

come dimostrano le brevi apparizioni su<br />

40 41 42 43<br />

Pentothal e Zanardi. Infatti sono di questi<br />

anni le prime storie sceneggiate<br />

“Don Viscotte della Mancia”, “Visco Little”,<br />

“Visk8 il polizziotto” e tante altre.<br />

Dall’archivio Pazienza risulta che <strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong> è stato il personaggio reale più disegnato<br />

da Andrea Pazienza.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla 1 a Mostra Nazionale<br />

“Arte d’Oggi” alla galleria Arte<br />

d’Oggi di Pescara e gli viene conferito<br />

un premio acquisto per l’opera “Personaggio<br />

all’italiana”. 30 gennaio / 20<br />

febbraio.<br />

- È presente alla Mostra del Centro G4<br />

di Teramo. Espone “Esorcismo per una<br />

pioggia nera” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 100x120).<br />

- Partecipa al “Premio Borgosesia” a<br />

Vercelli.<br />

- È presente ad una mostra di autori<br />

contemporanei alla galleria “Diomedea”<br />

a Termoli. 24 giugno / 20 luglio.<br />

- È invitato alla 1 a Rassegna Internazionale<br />

“Aspetti dell’Arte Contemporanea”<br />

a Montesilvano. Espone “Esorcismo per<br />

un malefizio d’amore” (cartone dipinto,<br />

cm. 70x100). 22 agosto / 5 settembre.<br />

- Partecipa alla Collettiva di pittura al<br />

Centro d’Arte “Il Cubo” di Lanciano. 26<br />

novembre / 10 dicembre.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato da Lorenza Trucchi alla<br />

mostra “Estensione 72” alla Casa del<br />

Mantegna di Mantova. Espone “Nascita<br />

di un personaggio” (tecnica mista su<br />

tela, cm. 100x120), “Malefizio per una<br />

pioggia nera” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 100x120). 20 novembre / 5 dicembre.<br />

- Il 24 luglio apre la mostra personale<br />

“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” al Centro Culturale Nuova<br />

Dimensione di Pescara. Espone<br />

strutture polimateriche, tele dipinte a<br />

tecnica mista e cartoni dipinti.<br />

«Dal 24 giugno tiene cartello<br />

presso gli eleganti locali del Centro Culturale<br />

“Nuova Dimensione” di Pescara<br />

la personale di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>.<br />

Vernice affollatissima la sera del 24 giugno.<br />

Presenti tutti i pittori pescaresi e<br />

molti colleghi convenuti dalle altre città<br />

abruzzesi. Tra la nutrita schiera di aquilani,<br />

Luciano Fabiani, Commissario Gover-


nativo dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.<br />

Personale impegnatissima quella attuale<br />

di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, con opere che erano<br />

destinate a gallerie piemontesi e lombarde<br />

e che fortunate coincidenze di lavoro<br />

dell’artista hanno permesso agli<br />

abruzzesi di veder riunite tutte insieme<br />

in una personale destinata a segnare,<br />

non solo per <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, un momento<br />

magico per l’arte figurativa in Abruzzo.<br />

E moduli simbolici e magici pervadono<br />

tutta la rassegna.<br />

A ventotto anni <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> rompe di<br />

nuovo il ritmo di una produzione già felicemente<br />

affermata e, evidenziando<br />

profonde e sofferte ricerche, oggettivizza<br />

e anticipa alcuni motivi-base, certamente<br />

destinati a generalizzarsi nell’uso<br />

e nel costume.<br />

Alla base, quindi, anche di questa stagione<br />

artistica del giovante artista aquilano,<br />

il tentativo di imbrigliare la crisi<br />

dell’uomo contemporaneo e di offrirgli<br />

un’ancora, un motivo, una giustificazione.<br />

Certo nell’attuale stadio della produzione<br />

di <strong>Visca</strong> sia i tempi della crisi, sia la<br />

soluzione prospettata, diventano chiari<br />

per pochi nonostante l’uso di accorgimenti,<br />

come l’incorniciatura grezza dei<br />

pezzi e la riproposizione dei moduli<br />

simbolici in elegantissime teche. Su tutta<br />

la produzione è evidente la tensione<br />

dell’artista a rendere il monologo chiaro<br />

sia per i critici sia per la massa. Ma al<br />

primo impatto con le opere esposte appare<br />

chiaro che, per ora, solo il primo<br />

obiettivo è stato felicemente raggiunto.<br />

Risultato, comunque, da non sottovalutare,<br />

anzi.<br />

A ventotto anni, quindi, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> ha<br />

ulteriormente verticalizzato e culturalizzato<br />

il suo messaggio artistico, cogliendo<br />

immediati consensi. Del resto, nonostante<br />

la giovane età, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> ha<br />

alle spalle un lungo cammino artistico e<br />

quello attuale è solo un “momento” di<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> pittore.<br />

[...]<br />

Sono quindi oramai lontani i tempi in<br />

cui <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, giovanissimo, affidava<br />

ad un messaggio personale il compito<br />

di illustrare la sua visione del mondo.<br />

Nell’attuale elegantissimo catalogo l’illustrazione<br />

della produzione è affidata a<br />

pezzi tratti da vari singolarissimi testi:<br />

“Dalla Magia naturalis di Giambattista<br />

Della Porta”, da “Jeannot, Livre de colportage”,<br />

dai “Segreti magici raccolti dal<br />

Cousin”, da “Etteila, citato da René<br />

Schwaebré”, da “M. Tiers, 172”, da “Le<br />

Loyer, 830”, da “Tract des superst. M.<br />

Thiers, t. I, 366, 367”, ecc.<br />

L’elencazione non spaventi, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>,<br />

come sempre, ama l’umanità, cerca<br />

di capirla, cerca di renderla con l’eleganza<br />

e la perizia consueta; come un tempo<br />

non lontano amò disgregarla per ricomporla;<br />

come un tempo non lontano<br />

amò sondarla per capirla.<br />

Quindi anche l’attuale ricerca non è fine<br />

a se stessa, come un tempo non era fine<br />

a se stessa la ricerca che lo portò al<br />

ciclo delle “crocifissioni”, come successivamente<br />

la ricerca lo portò al modulo<br />

ricorrente della donna stilizzata — la<br />

donna <strong>Visca</strong> – come primavera, del segno<br />

e del colore, come fonte prima, ultima,<br />

perenne dell’esistenza».<br />

(Fausto Ianni, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> a Pescara, «L’Aquilasette»,<br />

L’Aquila, 6 luglio 1972, p. 2).<br />

«Se <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> potesse, sono<br />

certo che sarebbe felice di portarsi a<br />

spasso, di animare, in una teoria caricaturale<br />

e allucinatoria della nostra umanità,<br />

quelle sue pupazze di stoffa con i<br />

corsetti e le pupille piene di cuori merletti<br />

e bottoni, con stampata sul volto la<br />

fissità crudele dei fantocci-dei (divinitàfantoccio)<br />

della nostra società tecnologica,<br />

con la sfinita tristezza di esseri sbigottiti<br />

di esistere, con la tragicità ridicola<br />

e ironica dell’uomo d’oggi che, condizionato<br />

dalla società dei consumi, si riveste<br />

solo dei segni dell’esteriorità e<br />

perciò si ripropone ogni volta drammaticamente<br />

simile a se stesso e agli altri,<br />

spersonalizzato, ridotto al ruolo di manichino.<br />

Farli muovere, con al guinzaglio i neri<br />

cuori di pezza in libertà condizionata;<br />

toglierli dalla loro statica fissità per avere<br />

il disegno preciso, la rappresentazione<br />

della nostra umanità, come <strong>Visca</strong> chiaramente<br />

la intende. Ecco, so che il pittore<br />

aquilano — da 4 anni operante a Pesca-<br />

ra — aspirerebbe a questo magico sbocco<br />

della sua fatica come a culmine artistico<br />

e umano. Lo so perché ho colto<br />

questa sua aspirazione liberatoria e inconscia<br />

in un album di fotografie, nel<br />

suo studio-deposito, dietro il mercato<br />

coperto, a due passi da casa mia, a poche<br />

decine di metri dalla Galleria Nuova<br />

Dimensione, dove ora espone la sua<br />

più recente produzione.<br />

Entrare nello studio di <strong>Visca</strong> è come<br />

mettere piede in un luogo sacro dissacrato.<br />

Le finestre sono tutte sbarrate e<br />

c’è, nelle stanze, umore fresco, silenzio<br />

ombroso illuminato dal lampeggiare dei<br />

colori vividi dei quadri, dallo sciabolare<br />

freddo e crudele degli occhi delle pupazze<br />

che ti guardano da ogni dove, appoggiate<br />

alle pareti come statue demistificate<br />

di santi nelle sacrestie. L’atmosfera<br />

è possessiva; è interiore e allucinatrice<br />

quel tanto da indurti alla confidenza,<br />

cordiale, aperta, senza reticenze.<br />

Ed è proprio sfogliando un album di fotografie<br />

che scopro ciò che futile scherzo<br />

non è, ma l’inconscia segreta aspirazione<br />

di <strong>Visca</strong> ad animare i suoi personaggi:<br />

riprodurre, per una ironia disincantata<br />

e liberatrice, sui volti veri della<br />

moglie Vanna e dell’amica di lei Carla,<br />

la maschera delle sue pupazze. E scopro,<br />

prima ancora che, sul filo delle sue<br />

parole, possa io dipanare il senso e gli<br />

intenti della sua arte, come in questo<br />

sogno estremo <strong>Visca</strong> affidi il magico significato<br />

di un ritorno dell’uomo alla libertà<br />

di essere se stesso, di caratterizzarsi,<br />

di rifarsi individuo distinto.<br />

È questa una libertà cui <strong>Visca</strong> mira e si<br />

avvicina anche attraverso tutto il processo<br />

tecnico evolutivo della sua operazione<br />

artistica. Così, prima, l’immagine è<br />

soltanto dipinta sulla superficie della tela;<br />

poi, acquista dimensioni di scultura<br />

cui la sostanza che la compone — la<br />

stoffa — dona movenze, morbidezza e<br />

flessibilità umane. Il valore emblematico<br />

pupazzo-uomo è evidente, come chiara<br />

è la volontà, per liberare l’uomo, di<br />

enucleare il manichino dalla fissità statica<br />

delle due dimensioni facendolo vivere<br />

fuori della cornice immergendolo in<br />

una dimensione più umana, quella spaziale<br />

del movimento. Un movimento<br />

44 45 46<br />

che sia completo, autonomo, possibile<br />

solo per effetto di una magia che <strong>Visca</strong><br />

né altri potranno mai compiere, ma alla<br />

quale il pittore si potrà affidare con la<br />

speranza, la stessa che è riposta nella<br />

simbologia dei suoi cuori e che ora lo<br />

porta a indagare nel mondo oscuro e<br />

palpitante delle credenze magico animistiche<br />

della nostra società, in quel mondo<br />

irrazionale di presentimenti, dove<br />

l’uomo pare possa trovare un ultimo, sicuro<br />

rifugio e il cuore, solo questo, riprendere<br />

il sopravvento e rifarsi protagonista.<br />

Il cuore, i cuori di <strong>Visca</strong> tornano così,<br />

anche se prigionieri di una teca-reliquiario<br />

rappresentando ogni atto della magia<br />

solo una evasione religiosa dell’uomo<br />

moderno e non un riscatto e, nello<br />

stesso tempo, avendo valore di preziosi<br />

ex voto per quella sorta di grazia che il<br />

cuore ha ricevuto in questo suo nuovo<br />

recupero. E tornano, questi simboli, incombenti<br />

nell’attività artistica di <strong>Visca</strong>,<br />

con tutta la forza del loro valore emblematico,<br />

che è elemento esso stesso di<br />

magia. Dal ‘64 che li troviamo in ogni<br />

suo quadro: cuori soli, piccoli, smisurati,<br />

come foglie o pioggia in serie, moltiplicati,<br />

rossi, neri, verdi, nelle pupille dei<br />

personaggi a parlare un linguaggio crudele,<br />

o fissati sui corsetti per il recupero<br />

di un sentimento, o legati al pupazzo<br />

da un lungo cordone ombelicale a dirci<br />

che non ne possiamo fare a meno; e<br />

tutti, tutti questi cuori, ripetuti, spezzettati,<br />

dipinti o di pezza, altro non rappresentano<br />

che un pezzetto della dimensione<br />

umana, simboleggiano le nostre<br />

difficoltà a vivere senza sentimenti, sono<br />

la misura di una fiducia di <strong>Visca</strong> nella<br />

salvezza sua e dell’uomo. Sempre.<br />

Questo cuore, <strong>Visca</strong> se lo porta dall’infanzia.<br />

Il suo recupero attuale è recupero<br />

culturale della sua terra: di certi umori,<br />

di certa poesia popolare, della dimensione<br />

umana della sua gente. Ma è<br />

anche recupero della infanzia, in maniera<br />

direi totale, di leggende e sortilegi<br />

che riempiono oniricamente le lunghe<br />

serate d’inverno vissute da bambino a<br />

L’Aquila. Così come alla sua infanzia, alle<br />

bambole di pezza della sorella, deve<br />

la forma delle sue pupazze di stoffa; e


170<br />

1974<br />

“Ideazione per un personaggio enigmatico”<br />

(Azione e Fotografia)


171


alla inconscia presenza di un suo disegnare,<br />

nell’età infantile, si rifanno i loro<br />

colli a rocchetto, le facce gonfie di luna,<br />

gli occhi crudeli, i segni schematizzati e<br />

ingenui dei volti. Una semplicità, un<br />

candore, una schiettezza da inesperienza<br />

inconscia, non voluta. A 4, 5, 6 anni<br />

doveva essere più smaliziato; come sapiente,<br />

accorto e padrone dei suoi mezzi<br />

pittorici è stato prima del ‘64, nel periodo<br />

delle crocifissioni.<br />

È certo notevole la presenza attuale<br />

nell’arte di <strong>Visca</strong> di esperienze infantili,<br />

di elementi di un mondo che danno un<br />

candido vigore poetico alla sua produzione<br />

e la stemperano delle inevitabili<br />

durezze polemiche per la condizione<br />

dell’uomo nella società consumistica. La<br />

campana del gioco del “c’è” è lì, nella<br />

struttura compositiva di buona parte dei<br />

suoi quadri; i bottoni e le madreperle<br />

della madre, con i quali giocava da<br />

bambino, sono finiti sui corsetti delle<br />

pupazze, messi a cerchi concentrici come<br />

quelli graffiti con il gesso dei piccoli<br />

scolari sulla lamiera arrugginita di una<br />

vecchia via dell’Aquila e che tanto lo<br />

colpirono con gli altri segni misteriosi di<br />

una ancestrale manifestazione grafica. E<br />

ancora, la crudeltà tipica dell’infanzia<br />

trasferita negli occhi cattivi dei suoi personaggi;<br />

il cucire i vestiti alle bambole<br />

della sorella Mariacristina, che rivive nella<br />

realizzazione delle pupazze, nei suoi<br />

cuori trapunti a macchina, nei merletti e<br />

pizzi cuciti sui corpetti, o ai bordi dei zinali;<br />

come le perline e gli spilli e gli<br />

abatini contro il malocchio tornati sotto<br />

forma di simboli magici nelle teche in<br />

cui <strong>Visca</strong> ha rinchiuso quel suo cuore,<br />

che è cuore della sua infanzia ma anche<br />

della sua terra. Perché non si perda».<br />

(Pasquale Scarpitti, I cuorimagia di <strong>Visca</strong>,<br />

“Il mezzogiorno”, Pescara, 8 luglio<br />

1972, p. 20).<br />

- Partecipa alla Mostra d’Arte Moderna<br />

alla galleria “Il pozzo” di Città di Castello.<br />

16 dicembre 1972 / 8 gennaio<br />

1973.<br />

1973<br />

- La mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”<br />

apre il 18 gennaio alla galleria Pace di<br />

Milano.<br />

Espone quasi cento opere tra sculture<br />

di pezza, strutture polimateriche, tele<br />

dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti.<br />

L’8 febbraio la stessa mostra personale<br />

di Milano è replicata alla galleria Pacedue<br />

di Torino. Le due mostre sono presentate<br />

in catalogo con lo stesso testo<br />

di Lucio Fraccacreta, sociologo della<br />

Fondazione Agnelli.<br />

«1. Se è vero che alcune ultime<br />

esperienze interdisciplinari potrebbero<br />

costituire lezioni utili per l’interpretazione<br />

del significato contestuale di<br />

un’opera d’arte figurativa, è pure vero<br />

che mancano le occasioni nelle quali<br />

metterle a disposizione per il confronto<br />

reciproco con i sistemi di verifica correnti.<br />

Perché, allora, l’opera di <strong>Visca</strong> sembra<br />

poter anche rappresentare un’occasione<br />

di questo tipo? A quali condizioni prossime<br />

future, l’opera di <strong>Visca</strong> potrebbe<br />

polarizzare l’attenzione di esperti di settori<br />

diversi?<br />

Di fatto, questa elezione dell’artista pittore<br />

e delle opere figurative a luogo privilegiato<br />

di riscoperta e sperimentazione<br />

per nuove scienze, si è già verificata<br />

una volta. Alle origini della psicoanalisi,<br />

Freud ha scoperto il mondo interno dell’uomo<br />

proprio nell’artista: fino al punto<br />

di immaginare, a sua volta, ipotetici sogni<br />

di Leonardo da interpretare poi con<br />

la psicoanalisi.<br />

Da un altrettanto ipotetico parallelismo<br />

tra le ricerche sull’evoluzione prospettiva<br />

della situazione socioculturale contemporanea,<br />

da un lato, e le ricerche<br />

nell’arte figurativa, dall’altro, si ricava<br />

una discriminante comunque significativa.<br />

La discriminante tra pittori che, oggi,<br />

segnalano “solo” la fine di un’era socioculturale,<br />

e gli “altri”: quelli che perseguono<br />

una ricerca volta o a scoprire<br />

i modelli occulti, impliciti, del linguaggio<br />

e a tradurre in codici le esperienze<br />

da trasmettere sul futuro sistema umano;<br />

o a prevedere, per anticiparli ades-<br />

so, i sistemi di esperienza e conoscenza<br />

futuri.<br />

<strong>Visca</strong> sembra essere tra questi ultimi; o,<br />

meglio, tra i primi “altri”.<br />

2. Sarebbe fuori tema, in questa sede,<br />

costruire per l’opera di <strong>Visca</strong> un’interpretazione<br />

del suo significato contestuale<br />

(un’interpretazione ricavata dal<br />

riferimento all’evoluzione socioculturale<br />

contemporanea ed al ruolo dell’arte figurativa).<br />

In <strong>Visca</strong> autore c’è però probabilmente<br />

l’intenzione di presentare la propria<br />

opera nello “shopping center” di oggi;<br />

quasi come se questa sua opera provenisse<br />

dall’estrema periferia di un impero<br />

la cui tecno-logia verticale fosse tale da<br />

provocare ai suoi margini interni il distacco<br />

di isole neomedievali. Isole personali,<br />

cioè, nelle quali la concentrazione<br />

del semi-isolamento è in parte coatta<br />

ed in parte vocazionale. Semi-isolamento,<br />

infine, nel quale la condizione<br />

psico-culturale è in qualche senso quella<br />

di una specie particolare di parapsicologia<br />

e di magia: quelle ricavate dal<br />

ritorno autoimplosivo del più occulto<br />

subconscio “regionale” (originariamente<br />

non periferico), smosso in profondità<br />

dai sommovimenti che gli epicentri “civili”<br />

provocano nel sottosuolo collettivo.<br />

In questo senso, dunque, può essere<br />

estremamente significativo valutare anche<br />

l’opera di <strong>Visca</strong> in funzione del<br />

contesto socioculturale dell’arte figurativa.<br />

Proprio perché <strong>Visca</strong> appare quasi<br />

come un “barbaro” che conduce la sua<br />

conquista – la propria opera –, appunto<br />

nel centro del sisma nel quale l’opera<br />

dev’essere agita e proclamata come<br />

conquista.<br />

3. Nella pittura contemporanea la linea<br />

d’evoluzione lungo la quale passa il “ritorno<br />

alla magia”, è quella stessa che<br />

dovrebbe forse essere chiamata della<br />

scoperta del mondo interno-uomo. Al<br />

momento in cui Freud teorizzò il “disagio<br />

della civiltà”, corrispose nella pittura<br />

la fuga dalla realtà, che condusse alcuni<br />

pittori, attraverso l’astrazione progressiva,<br />

altrove.<br />

Con Mondrian scompaiono le figure<br />

che rappresentano gli oggetti e le situazioni<br />

del mondo reale.<br />

47 48 49<br />

Con De Chirico comincia l’apparizione,<br />

la scoperta delle figure del mondo interno.<br />

Da quel momento cresce l’acquisizione<br />

sul nuovo linguaggio con cui si<br />

viene rappresentando il mondo dell’inconscio<br />

individuale e delle masse: nel<br />

1943 ormai si parla di “visione magica<br />

della vita”, e pittori come Pollock,<br />

Rothko, Tobey e gli altri dell’espressionismo<br />

astratto USA, sono consapevoli<br />

perfettamente delle origini che precedono<br />

di venticinque anni i loro temi di<br />

lavoro.<br />

4. Il linguaggio magico di <strong>Visca</strong> tradisce<br />

origini meno databili e più remote:<br />

quindi più sotterranee e meno autoconsapevoli.<br />

Il medium culturale di <strong>Visca</strong> è<br />

però più diretto e coerente con le proprie<br />

origini, di quanto non lo fosse la filiazione<br />

dalla cultura europea per gli<br />

espressionisti astratti USA.<br />

D’altronde l’opera di <strong>Visca</strong> impone molti<br />

rinvii “colti” al sistema di conoscenza<br />

occidentale contemporaneo. Vi si può<br />

osservare, infatti, una complessa ricomposizione<br />

di elementi, per dir così, mituali<br />

(la femmina, il corpo biologico, il<br />

sottosuolo, ecc.) con elementi rituali (la<br />

scomposizione e la composizione, la<br />

miniaturizzazione di certi segni cifrati<br />

provocata da una sorta di horror vacui,<br />

un processo di astrazione progressiva<br />

cui vengono sottoposti i singoli oggetti<br />

sin quasi alla distillazione elementare,<br />

ecc.).<br />

Dall’opera di <strong>Visca</strong> appare alla fine un<br />

nuovo modello di culto: gli oggetti rappresentati<br />

sono contemporaneamente e<br />

reciprocamente “interni” ed “esterni”.<br />

Nel mondo esposto in queste opere, la<br />

testa, il cuore, il sistema neurovegetativo,<br />

l’utero, la nuvola, il sottosuolo, il<br />

fuoco, gli ori, gli argenti, i rossi, acquistano<br />

un valore sintattico complesso che<br />

deriva loro dal processo alchemico, cioè<br />

di trasformazione del Sé profondo del<br />

ricercatore-osservatore attraverso la ricerca<br />

stessa.<br />

Jung (psicologia e alchimia); Klee,<br />

Klimt, Hundertwasser ecc.; le tecniche<br />

dadaiste del collage e dell’“assemblage”,<br />

riprese nell’ultimo dopoguerra dagli<br />

informali “materici” (es. Burri) e del “ricalco”<br />

oggettuale, anch’esso d’origine


Dada, adottato sul finire degli anni cinquanta<br />

dai “popartisti” USA (Warhol):<br />

ecco gli autori e le esperienze che mi si<br />

propongono immediatamente per istituire<br />

possibili associazioni all’opera di<br />

<strong>Visca</strong>. Certo, sono citazioni superflue in<br />

una presentazione che non approfondisce<br />

la lettura dell’opera in chiave esegetica.<br />

Tuttavia, mi è sembrato lecito prospettarle<br />

come ipotesi da verificare in<br />

un’ulteriore (auspicabile) indagine conoscitiva<br />

sulla ricerca di <strong>Visca</strong> (comunque<br />

meritevole di essere seguita), che<br />

si prefigga un approfondimento adeguato<br />

dei suoi significati più complessi».<br />

(Lucio Fraccacreta, “Il metalinguaggio<br />

magico di <strong>Visca</strong>” – Il viaggio attraverso<br />

l’alchimia dell’uomo interno, testo nel<br />

catalogo della mostra personale alla galleria<br />

Pace di Milano, 18 gennaio / 4<br />

febbraio 1973).<br />

- È invitato al 5° Premio Biennale Silvio<br />

Dodaro, per giovani artisti del mezzogiorno,<br />

alla Pinacoteca Provinciale di<br />

Bari. Espone “Cuore nero sulla montagna<br />

magica” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 100x120), “Personaggio verde sotto<br />

la campana fatata” (tecnica mista<br />

su tela, cm. 100x150). 7 febbraio / 3<br />

marzo.<br />

- È invitato alla XV Triennale Internazionale<br />

di Milano, Sezione Italiana “Lo<br />

spazio vuoto dell’habitat”. Espone “Paesaggio”<br />

(struttura polimaterica con materiale<br />

volatile azionato da motore ad<br />

intermittenza, cm. 550x35x250). L’ordinamento<br />

e l’allestimento del padiglione<br />

italiano è a cura di Eduardo Vittoria. 20<br />

settembre / 20 novembre.<br />

- <strong>Visca</strong> insieme ad altri artisti quali Gabriele<br />

Amadori, Enrico Bay, Paolo Baratella,<br />

Fernando De Filippi, Lucio Del<br />

Pezzo, Bruno Donzelli, Ugo Nespolo,<br />

Albano Paolinelli, Andrea Pazienza,<br />

Sergio Sarri, Giangiacomo Spadari,<br />

partecipa alla mostra Dalla Pop(ular)<br />

Art all’Arte Popolare” al Laboratorio Comune<br />

d’Arte Convergenze di Pescara.<br />

Espone “Reliquiario per un sesso di<br />

vergine italiana” (legno e stoffe cucite,<br />

cm. 45x12x150), “Reliquiario per un<br />

sesso ciclopico” (legno e stoffe cucite,<br />

cm. 150x25x220), “Formula magica<br />

sotto l’arcobaleno” (tecnica mista su<br />

tela, cm. 100x150). 25 ottobre / 11<br />

novembre.<br />

1974<br />

- Dal 14 al 24 aprile apre a L’Aquila la<br />

mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” presso<br />

lo Scalco delle Tre Marie al Palazzo<br />

Iacopo Notar Nanni. Espone sculture di<br />

pezza, strutture polimateriche, tele dipinte<br />

a tecnica mista e cartoni dipinti.<br />

Nel foglio della mostra il testo è di Gino<br />

Marotta.<br />

«Arte come memoria, celebrazione<br />

e recupero della vita insidiando<br />

la memoria con espedienti e operazioni<br />

che appartengono ai silenziosi riti<br />

del fare, ripetendo, per tautologie antiche<br />

onoranze e riti che si modificano e<br />

si attestano come “primari” proprio nella<br />

variante assertiva della loro epifania.<br />

Queste le prime e più resistenti approssimazioni<br />

che vengono alla mente a<br />

proposito di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, profondamente<br />

abruzzese e certamente aquilano.<br />

E in Abruzzo sono più evidenti e reperibili<br />

le molte influenze islamiche che<br />

hanno dato all’arte romanica codici e<br />

sostanze traslate, motivi geometrici ed<br />

araldici, partiture, morfologie astratte,<br />

mostri e chimere a stuoli.<br />

I principi che regolano le superfici e gli<br />

spazi aquilani non possono non rimandare<br />

a moschee ed edifici arabi: lo spazio<br />

cresce sopra una struttura numerica,<br />

elaborazione del quadrato, che per associazione<br />

di porzioni (quadrati),<br />

morfologicamente diversi fra loro, realizzano<br />

la tensione significante dello spazio<br />

espressivo.<br />

Ed è proprio la contaminazione dei codici<br />

astratti e chimerici ad animare l’opera<br />

di <strong>Visca</strong>.<br />

Tracce ricomposte, secondo procedimenti<br />

definiti per associazione di frazioni,<br />

per gruppi che alludono a schemi di<br />

algebristi e poligonisti orientali.<br />

Dimensione composita, su strutture ancestrali,<br />

per addizioni di episodi guadagnati<br />

dalla memoria in un teatro tragicamente<br />

ingenuo per amarissime rappresentazioni.<br />

Elevazioni di riti mnemonici le cui origini<br />

indiziano il demoniaco-angelico che<br />

è nella sostanza stessa della vita.<br />

Affiorano e si manifestano feticci e tabù<br />

e ripristini candidi di coltissimi sortilegi,<br />

di ferocissime appassionate favole paradossali:<br />

propiziatorie ricognizioni dei territori<br />

passionali di un collettivo etnico<br />

che va oltre il Gran Sasso, verso il deserto.<br />

Ipotizziamo, proprio per il senso di ricercare<br />

significati e valori più profondi e<br />

del profondo, l’operatore plastico come<br />

è, forse, un ricercatore di ideologie, di<br />

ideografie. Ma l’incantamento che attiene<br />

a questi riti è poi la ragione e la regione<br />

più vera ed inviolabile di questo<br />

fare-essendo o essere-facendo che è il<br />

lavoro di un pittore.<br />

Così il saraceno, incantatore esorcista,<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, amaro privilegiato decifratore<br />

di arcani e lontani meccanismi del<br />

pensiero, conferisce splendore, da autentico<br />

poeta, al suo esistere».<br />

(Gino Marotta, testo nel pieghevole della<br />

mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” allo<br />

Scalco delle Tre Marie dell’Aquila, 4/24<br />

aprile 1974).<br />

- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> apre una mostra personale<br />

al Laboratorio Comune d’Arte<br />

Convergenze di Pescara. Insieme a una<br />

serie di tele dipinte a tecnica mista,<br />

sculture di pezza, e strutture polimateriche<br />

di grandi dimensioni. Espone il suo<br />

primo arazzo cucito “Sotto il gomitolo<br />

bianco” (cm. 168x255). Dicembre<br />

1974 / gennaio 1975.<br />

- Partecipa alla mostra “Incontri con<br />

l’arte contemporanea” a Pescara. Luglio/agosto.<br />

- È invitato alla Settima Mostra d’Arte<br />

“Città di Penne” al Chiostro di San Domenico.<br />

Espone “Personaggio sotterrato<br />

sotto il limone cucito” (tecnica mista<br />

su tela, cm. 60x80). 17 novembre / 1<br />

dicembre.<br />

1975<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, fin da giovane, appassionato<br />

frequentatore delle sue montagne,<br />

inizia a studiarne presto gli aspetti<br />

letterari e antropologici, tanto che nel<br />

1975 realizza il film “Un cuore rosso<br />

50 51 52<br />

sul Gran Sasso”. Film d’arte corredato<br />

da un volume serigrafico presentato da<br />

Diego Carpitella e un libro oggetto “Per<br />

un cuore rosso sul Gran Sasso”, eseguito<br />

a mano in tiratura limitata, editi dallo<br />

Studio l’Uovo dell’Aquila. In rapporto<br />

a questo film, nel 1986, invitato dall’Assessorato<br />

alla Cultura della Regione<br />

Abruzzo a San Paolo del Brasile, dà il<br />

titolo al Primo Expo Brasil-Italia, “Un coraçao<br />

vermelho no Gran Sasso”, dove<br />

espone una serie di opere sul tema.<br />

«Il cuore di <strong>Visca</strong> è certamente<br />

polisemico, perché rosso e viaggia<br />

sul Gran Sasso. Potrebbe anche essere<br />

un titolo famoso, Il futuro ha un cuore<br />

antico, di leviana memoria. Se così fosse<br />

le immagini oggettuali della sequenza<br />

sembrerebbero configurarsi in una<br />

post conflagrazione atomica. Il cupio<br />

dissolvi, la dissoluzione, la sparizione, il<br />

dolore. Una costellazione di categorie<br />

entro cui si muove, con cinesica malinconica<br />

e fatale una processione verso la<br />

montagna. Un corteo patologico perché<br />

senza mito. In questo panorama sembra<br />

sopravvivere solo la vitalità del corpo<br />

con la sua manualità ossessiva, metastorica,<br />

artigianale. Gli indici della sopravvivenza<br />

sono espliciti: l’uomo, il suo<br />

disegnarsi simbolico, il suo delimitare lo<br />

spazio protetto, i suoi conati di formalizzazione<br />

(il cuore, appunto), la sua costretta<br />

socialità (sia pure la piazzetta del<br />

borgo), il suo addobbarsi prima della<br />

partenza, il sistemarsi in processione, il<br />

salire «come prova», l’arrampicamento<br />

rituale, la risoluzione al vertice, con il<br />

terminale fissaggio cardiaco.<br />

Sembra il lessico strutturale di un qualsiasi<br />

pellegrinaggio della tradizione popolare<br />

che <strong>Visca</strong> conosce, in parte vissuto,<br />

in parte ri-vissuto criticamente en<br />

artiste. Il tutto accompagnato da una<br />

glossalia magica e rassicurante; inventata:<br />

Portarsi all’alba di un dì di festa ad una<br />

altezza di almeno mille metri dal livello<br />

del mare<br />

Al canto del gallo cucire un cuore di<br />

pezza rossa della lunghezza di circa<br />

due canne trapuntandolo con vero spago<br />

di ortica


1975 Gran Sasso d’Italia<br />

Foto di scena del film d’arte “Un cuore rosso sul Gran Sasso”<br />

(Film girato in pellicola a 16 mm)<br />

174


175


Ligare intorno alla fronte dei portatori<br />

una fascetta di seta rossa<br />

A notte adagiarlo con cura su di una<br />

lettiga di presso costruita con verghe di<br />

legno di ornello e spaghi di raffia<br />

Portare il cuore fino ad una altezza di<br />

circa tremila metri dal livello del mare<br />

e lasciarlo per tre giorni e tre notti alle<br />

intemperie<br />

Al terzo dì discenderlo lentamente a<br />

valle e abbandonarlo senza mai voltarsi<br />

indietro<br />

La comprensione di questa processione<br />

sarà più chiara a chi conosca le variazioni<br />

sul cuore di <strong>Visca</strong>: un polimaterico a<br />

sorpresa, naif, artigianale, sofisticato, patetico,<br />

serico, cartaceo, infantile, fantastico,<br />

iterativo, manuale, ecc. Con un cuore,<br />

così consumato nei laboratori di Barnard<br />

o di Houston, che vorrebbe apparire<br />

nella sua continuità simbolica persistente.<br />

Il viaggio delle immagini di <strong>Visca</strong> a me<br />

sembra proprio disperato, ancor più sospeso<br />

nella speranza che possiamo<br />

avere noi contemporanei. Ancor più livido<br />

nel bianco e nero di Iammarrone,<br />

un classico ormai della fotografia antropologica.<br />

Cioè dell’uomo, con i suoi vestitini ed i<br />

suoi scapolari di contadina memoria, attaccati<br />

al corpo automatico, vitale».<br />

(Diego Carpitella, testo nel libro d’arte<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Un cuore rosso sul Gran<br />

Sasso”, Edizioni Studio l’Uovo, L’Aquila<br />

1979).<br />

- Dal 15 al 27 febbraio <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

apre la mostra personale al Centro<br />

d’Arte “Il Cubo” di Lanciano. Espone tele<br />

dipinte a tecnica mista, cartoni dipinti<br />

e disegni.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla Ventinovesima<br />

Mostra Internazionale di Pittura F.P. Michetti<br />

a Francavilla al mare. Espone<br />

“Formula magica sotto l’arcobaleno”<br />

(tecnica mista su tela, cm. 100x150),<br />

“Per una richiesta di matrimonio” (tecnica<br />

mista su tela, cm. 120 x100), “Foglie<br />

d’oro sul gallo con lo sperone rosso”<br />

(tecnica mista su tela, cm.<br />

100x120). La mostra è a cura di Giuseppe<br />

Marchiori, Franco Solmi, Marcello<br />

Venturoli.<br />

- Partecipa al 11° Festival degli Artisti,<br />

Otto presenze significative nelle arti figurative<br />

e plastiche, al Chiostro di San<br />

Giovanni in Venere a Fossacesia. Espone<br />

“Personaggio sotto la nuvoletta d’argento”<br />

(tecnica mista su tela, cm.<br />

80x120) e una serie di cartoni dipinti.<br />

1976<br />

- Il 29 gennaio <strong>Visca</strong> apre la mostra<br />

personale “Giochi di fate” allo Studio<br />

l’Uovo dell’Aquila. Presenta una cartella<br />

di cinque incisioni più una serigrafia insieme<br />

ad una serie di tele dipinte a<br />

tecnica mista.<br />

Nel luglio 1976 Gino Marotta e <strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong> ricostruiscono l’opera “Ambiente<br />

spaziale a luce nera”(1949) di Lucio<br />

Fontana per la Biennale di Venezia. In<br />

questa occasione <strong>Visca</strong> conosce Teresita<br />

Rasini, moglie di Fontana, che proprio<br />

in quegli anni, nonostante la sua<br />

limitata esperienza e le oggettive difficoltà<br />

da lei esposte inizia, con l’amore<br />

che appartiene alle donne schiette, a<br />

interessarsi a dar vita alla Fondazione<br />

Lucio Fontana che a tutt’oggi costituisce<br />

una delle iniziative meglio gestite<br />

nella valorizzazione dell’operato di un<br />

artista.<br />

- <strong>Visca</strong> partecipa insieme agli artisti<br />

Alechinskij, Appel, Ceroli, Corpora, Dalì,<br />

Ernest, Fioroni, Lam, Marotta, Matta,<br />

Moor, Pavlos e Pozzati alla mostra organizzata<br />

dalla Galleria de Arte Arcobaleno<br />

a Caracas, Venezuela.<br />

Luglio/agosto.<br />

- È invitato alla XXI Mostra “Premio Villa<br />

San Giovanni” a Villa San Giovanni.<br />

Espone “Formuletta con capitello rosso”.<br />

Luglio/agosto.<br />

- In agosto partecipa alla mostra “Cavallo<br />

di Troia” a Pescara.<br />

- Il 23 novembre <strong>Visca</strong> apre la mostra<br />

personale “Ligamenti d’amore” alla<br />

galleria L’Oca di Roma. Espone alcuni<br />

arazzi cuciti, strutture polimateriche, tele<br />

dipinte a tecnica mista e disegni.<br />

- Partecipa alla mostra “Grafica e multipli<br />

dello Studio L’ Uovo” al Laboratorio<br />

Comune d’Arte Convergenze di Pescara.<br />

11 dicembre 1976 / 8 gennaio<br />

1977.<br />

1977<br />

- È invitato ad una collettiva di autori<br />

contemporanei alla Bottega d’Arte Magazzeni<br />

di Giulianova Alta. 12/28 giugno.<br />

- È presente alla mostra “Artisti aquilani”<br />

alla galleria Ferriarte dell’Aquila. 23<br />

dicembre.<br />

1978<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, interessato alla cultura<br />

latino-americana, nel 1978 organizza,<br />

insieme e Giancarlo Papini una spedizione<br />

in Sud America con particolare<br />

attenzione agli aspetti popolari del<br />

Perù.<br />

In questo impegnativo viaggio tra le<br />

Ande documenta i segni tipici dei villaggi<br />

della Sierra e dei centri storici più<br />

sperduti dei parchi archeologici di Cuzco<br />

e Puno trovando profonde analogie<br />

con la sua terra d’origine.<br />

Poi, risalendo da Iquitos un tratto del<br />

Rio delle Amazzoni, si addentra nella<br />

foresta amazzonica avvicinando indios<br />

Jaguas e Jvaros. Questa esperienza, sia<br />

da un punto di vista scientifico che<br />

umano, lo porterà a rafforzare ancora<br />

di più le sue posizioni politiche nei confronti<br />

del suo lavoro e della sua ricerca.<br />

- In settembre, con alcune strutture polimateriche<br />

e tele dipinte a tecnica mista,<br />

partecipa insieme a Elio Di Blasio<br />

alla manifestazione “Incontri 78” al<br />

Chiostro di San Francesco a Loreto<br />

Aprutino.<br />

1980<br />

- Dal 19 al 23 gennaio <strong>Visca</strong> apre la<br />

mostra personale “Un cuore rosso sul<br />

Gran Sasso” ai Centri di Servizi Culturali<br />

della Regione Abruzzo di Pescara con<br />

una video proiezione (foto di scena del<br />

film “Un cuore rosso sul Gran Sasso di<br />

Giuseppe Iammarrone - musiche scritte<br />

e arrangiate di Ugo Fusco) e alcune<br />

opere di riferimento al tema del film<br />

“Un cuore rosso sul Gran Sasso”.<br />

- È invitato alla mostra “Postal Medium”,<br />

(“Invii” Postali al Centro di Documentazione<br />

Arti Visive nel 1979) ai<br />

Centri di Servizi Culturali di Pescara. I<br />

testi nel catalogo sono di Enrico Cri-<br />

53 54 55<br />

spolti, Umberto Russo, Adina Riga e<br />

Franco Summa. 6/26 marzo.<br />

1982<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato alla Terza Rassegna<br />

Nazionale “Doppio versante” ad<br />

Acquaviva Picena. Espone “Legare una<br />

stella su un’onda del mare, attendere”<br />

(tecnica mista, cm. 70x85), “Attendere<br />

serenamente sotto le nuvole legate”<br />

(tecnica mista, cm. 70x67). Nel catalogo<br />

i testi sono di Carlo Melloni e Elverio<br />

Maurizi. 4 luglio / 1 agosto.<br />

«Nell’opera di <strong>Visca</strong>, al segno<br />

pulito, alla scelta delle tonalità più delicate<br />

corrisponde l’uso ripetuto del simbolo,<br />

della metafora, mediazioni linguistiche<br />

per la espressione di quanto è<br />

maggiormente privato e incomunicabile<br />

per via diretta. L’affetto trova così il suo<br />

naturale mezzo espressivo, il simbolo,<br />

che da sempre ne è il veicolo più immediato;<br />

esso viene usato istintivamente<br />

nelle produzioni migliori di <strong>Visca</strong> ed<br />

obbedisce, pertanto, ad una esigenza<br />

comunicativa profonda. Appunto in tali<br />

produzioni si assiste, non ad una scelta<br />

poetica dettata da esperienza e gusto<br />

culturali, ma proprio ad un lasciarsi andare<br />

a ciò che parla dove c’è chi parla.<br />

Così la simbolica di quanto è interno si<br />

oppone a quanto è esterno, il pieno e il<br />

vuoto, il maschile ed il femminile; il<br />

senso del congiungimento espresso attraverso<br />

le linee raccordanti il cielo alla<br />

terra, gli incastri stilizzati e mimati con<br />

l’uso di linee compenetrantisi. Un’arte,<br />

dunque, ispirata, ma che tradisce un<br />

gusto per l’ordine ed il pulito, quasi un<br />

processo riparativo a ciò che in qualche<br />

modo si è costretti a comunicare».<br />

(Giorgio Misticoni, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, presentazione<br />

nel catalogo della terza rassegna<br />

nazionale d’arte figurativa “Doppio<br />

versante”, Acquaviva Picena, 4 luglio<br />

/ 1 agosto 1982).<br />

- <strong>Visca</strong> partecipa con Alfredo Del Greco,<br />

Pasquale Liberatore e Albano Paolinelli<br />

alla mostra “Intimità dell’indagine”<br />

Psicanalisi ed arte – Psicanalisi ed estetica,<br />

ai Centri di Servizi Culturali della<br />

Regione Abruzzo di Pescara. Espone


“Attendere serenamente il passaggio<br />

del martin pescatore” (tecnica mista su<br />

tela, cm. 200x150), “Paesaggio interno”<br />

(tecnica mista su tela, cm.<br />

200x150), “La casa dei ricordi” (tecnica<br />

mista su tela, cm. 120x150), “Sotto<br />

il fulmine bianco” (tecnica mista, cm.<br />

75x75), “Paesaggio con nuvole” (tecnica<br />

mista, cm. 75x75), “Paesaggio fatato”<br />

(tecnica mista, cm. 75x75), “Bolla<br />

con arcobaleno” (Legno dipinto e metacrilato<br />

graffito, cm. 77x114).<br />

Nel catalogo il testo è di Giorgio Misticoni.<br />

Dicembre 1982 / gennaio 1983.<br />

1983<br />

- <strong>Visca</strong> è presente all’Expo Arte di Bari<br />

presentato dalla galleria Questarte di<br />

Pescara. Espone “La casa dei ricordi”<br />

(tecnica mista su tela, cm. 120x150),<br />

“Attendere serenamente il passaggio<br />

del martin pescatore” (tecnica mista su<br />

tela, cm. 200x150).<br />

- Partecipa con Di Vincenzo, Lustri, Mulas,<br />

Notari e Sarri alla mostra “Contemporanee<br />

visioni” alla galleria Il Pentagono<br />

di Avezzano. 9/21 aprile.<br />

- La mostra “Intimità dell’indagine” Psicanalisi<br />

ed arte – Psicanalisi ed estetica,<br />

viene replicata al Palazzo Massari,<br />

Gallerie Civiche d’Arte Moderna Palazzo<br />

dei Diamanti di Ferrara. 22 maggio /<br />

19 giugno.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla XXXVI Mostra Nazionale<br />

F.P. Michetti “L’Immagine diversa”<br />

a Francavilla al mare. Espone “Attendere<br />

serenamente il passaggio del<br />

martin pescatore” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 200x150), “Il tavolo galleggiante”<br />

(tecnica mista su tela, cm.<br />

200x150), “La casa dei ricordi” (tecnica<br />

mista su tela, cm. 120x150). La mostra<br />

è a cura di Marcello Venturoli. 30<br />

luglio / 31 agosto.<br />

«Non so se <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> preferisca<br />

si dica che nella sua opera — e<br />

non solamente in quella ultima — giungano<br />

ad amalgama le varie componenti<br />

che ne stanno comunque a presupposto,<br />

o che queste si lascino identificare<br />

ora nell’uno ora nelI’altro esito di lavoro<br />

e di ricerca, come altrettante facce di<br />

una proteiforme realtà posseduta, op-<br />

pure ipotizzata, o ancora «sentita» per fili<br />

inafferrabili quali quelli che manovrano<br />

il sogno. Certo è che la gran quantità<br />

di elementi, confluenti o convergenti<br />

o concorrenti, dispiegano un apparato<br />

di essenze (o di parvenze?) che danno<br />

conto di un inseguirsi di motivazioni a<br />

fronte delle quali l’apparato tecnico — si<br />

vuol dire la possibilità di riferirne sul<br />

piano di una «figurazione» che sia tale<br />

da lasciarsi se non sempre pienamente<br />

intendere certo sì captare nel segno di<br />

un istintivo godimento — è giocoforza<br />

necessitato ad arricchirsi di nuove strutturazioni<br />

e compilazioni inedite, o si<br />

dirà in breve di un «linguaggio» continuamente<br />

in fieri, senza prospettive di<br />

catarsi se non provvisorie.<br />

La sedimentazione di una «tradizione»<br />

di una «tradizione» di magia che si è<br />

fatta cultura: ciò innanzitutto, come<br />

componente primaria ma, per sua stessa<br />

natura, implicativa in misura così ampia,<br />

e su ramificazioni tanto estese e<br />

complesse, da farsi re-identificare di<br />

continuo come multiforme punto di<br />

partenza o, che può essere la stessa<br />

cosa, come imprescindibile punto di arrivo.<br />

Sulla mediazione di una duttilità<br />

espressiva che finisce a sua volta per<br />

rendersi responsabile di operazioni<br />

sempre ulteriori, a livello di rigorosissima<br />

creatività del linguaggio».<br />

(Giuseppe Rosato, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, presentazione<br />

nel catalogo del XXXVI Premio<br />

Michetti, Francavilla al mare, 30 luglio<br />

/ 31 agosto 1983).<br />

- <strong>Visca</strong> partecipa con Alfredo Del Greco,<br />

Giuseppe Fiducia, Pasquale Liberatore<br />

e Albano Paolinelli alla mostra<br />

“Pietra e colore” alla galleria Questarte<br />

di Pescara. Nel foglio della mostra il testo<br />

è di Francesco Iengo. 20 dicembre<br />

1983 / 22 gennaio 1984.<br />

1984<br />

- <strong>Visca</strong> insieme allo scultore Pasquale<br />

Liberatore apre la mostra “Parole di<br />

terra parole nell’aria” al Centro Multimediale<br />

Quarto di Santa Giusta a L’Aquila.<br />

Nel foglio della mostra il testo è<br />

di Tito Spini. 22 dicembre 1984 / 15<br />

gennaio 1985.<br />

«Fra chi la vuole morta e chi<br />

più viva che mai, querelle ormai annosa<br />

ma sempre ottimo pretesto di ginnastica<br />

dialettica, l’arte continua comunque<br />

a imporsi per prove indubbie di esistenza.<br />

L’arte all’Aquila: trascurata, osannata,<br />

spesso evento indotto, troppo spesso in<br />

bilico tra «nemo propheta in patria»,<br />

vecchio complesso provinciale irrisolto,<br />

ed esaltazione poveramente campanilistica<br />

di glorie locali. Che fare? Forse per<br />

iniziare basterebbe prendere le distanze<br />

da complessi o compiacimenti fuorvianti,<br />

e sulla base di proposte attendibili,<br />

suscitare l’interesse e sottoporsi al giudizio<br />

del pubblico. Qualcuno ci sta provando.<br />

Al Quarto di S. Giusta, il centro multimediale<br />

di via Crispomonti, è stata proposta<br />

dal 22 dicembre scorso ad oggi,<br />

una selezione di opere di Pasquale Liberatore<br />

e <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>. A conclusione<br />

della mostra, oggi, quindi, alle 18 si tiene<br />

un incontro-dibattito, sempre nei locali<br />

del Quarto, tra il professor Spini,<br />

docente del corso di tradizioni popolari<br />

dell’Accademia di belle arti dell’Aquila e<br />

i due artisti. Le premesse perché l’incontro<br />

si preannunci interessante ci sono<br />

tutte, anche per la partecipazione<br />

dell’antropologo francese François Calamns.<br />

Uomo di cultura reale, ben al di là delle<br />

specifiche competenze professionali, Tito<br />

Spini da anni percorre l’Abruzzo con<br />

la lanterna di Diogene, alla ricerca di verità<br />

sommerse e di tesori a prima vista<br />

improbabili: una ricerca condotta sul filo<br />

di un totale rigore scientifico, ma anche<br />

del più profondo coinvolgimento personale<br />

e tali ambedue da escludere in<br />

partenza ogni facile entusiasmo.<br />

Entusiasmo che invece, motivazione immediata,<br />

ha connotato l’approccio conoscitivo<br />

con l’opera di Liberatore e <strong>Visca</strong>.<br />

L’Enigma archetipico delle sculture di<br />

Pasquale Liberatore non lascia indifferenti;<br />

riproposizione ingigantita dei semi<br />

della vita, i baccelli primordiali da alba<br />

del mondo, le orme unghiate da passato<br />

remoto ma ricreate, futuro prossimo<br />

e tecnologico, in colla di marmo su<br />

stampo.<br />

56 57 58<br />

E finalmente <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, ovvero un ritorno.<br />

Un ritorno da un viaggio iniziato<br />

più di vent’anni fa, alla ricerca di «segni»<br />

che sembrava impossibile non vedere<br />

tanto erano vicini. Eppure così consueti<br />

che non si vedevano più. Il riconoscimento,<br />

la folgorazione sulla via di Damasco<br />

appena dietro l’angolo, il tempo<br />

dei cuori di seta gonfi e rossi, dei rituali,<br />

degli altari barbari e barocchi. E poi il<br />

tempo di «Un cuore rosso sul Gran Sasso»,<br />

film-documento di una processione<br />

titanica (e giacché ci siamo: perché<br />

qualcuno non lo restituisce almeno alla<br />

città, se non a <strong>Visca</strong>?) fino alla Triennale<br />

di Milano e ai salotti in cui si vezzeggiano<br />

gli artisti; ma anche il tempo dell’avventura,<br />

sulle Ande e nei villaggi peruviani,<br />

o quello degli arazzi, ironici e tragici,<br />

o preziosi come un atto di fede.<br />

Per la città, comunque, un momento da<br />

non perdere: quello del piacere dell’intelligenza».<br />

(Marina Acitelli, Alla ricerca di verità<br />

sommerse, «Il Messaggero», L’Aquila, 15<br />

gennaio 1985, p. 13).<br />

1985<br />

- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra<br />

“L’Onda del Sud?”, Nuovo immaginario<br />

mediterraneo nel design, al Castello<br />

Svevo di Bari. Espone “Ripostiglio proibito”<br />

(struttura in legno dipinto e miscele<br />

di stoffe, cm. 75x15x160). La mostra<br />

è a cura di Enrico Crispolti con il<br />

contributo critico di Andrea Branzi, Riccardo<br />

Dalisi e Alessandro Mendini.<br />

- È invitato alla XXX Mostra Nazionale<br />

d’Arte “Castello Svevo” alla galleria Civica<br />

d’Arte Contemporanea di Termoli.<br />

Espone “Dopo i fuochi di mezzanotte”<br />

(struttura in legno dipinto e stoffe imbottite,<br />

cm. 180x22x205).<br />

Nel catalogo i testi sono di Filiberto<br />

Menna e Remo Brindisi. 27 luglio / 14<br />

settembre.<br />

- Partecipa alla mostra “Arte e territorio”<br />

alla Sala Consiliare del Municipio di<br />

Collelongo. Espone “Mare” (collage dipinto,<br />

cm. 50x70). 3/18 agosto.<br />

- Con tre opere di grafica partecipa alla<br />

mostra “International Biennal print exhibit”<br />

a Taipei, Taiwan.


- La mostra personale <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

“Fuochi d’amore” apre alla galleria<br />

Questarte di Pescara con una serie di<br />

sculture, tele dipinte e cartoni cuciti.<br />

Nel catalogo il testo è di Enrico Crispolti,<br />

dicembre.<br />

«<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è uno di quegli<br />

artisti «segreti» che sfuggono alla misura<br />

critica del consumo dell’arte, o meglio<br />

dell’arte di consumo (nelle prospettive<br />

di un’estetica che non a torto è stata<br />

detta «sportiva»). Lavora infatti da<br />

vent’anni, solitario, secondo una propria<br />

coerenza di riscontro ad un immaginario<br />

personalissimo, che non è «fuori della<br />

storia», ma in una «sua» storia, anzitutto<br />

(giacché la storia è poi fatta nel<br />

concreto dalla dimensione creativa di<br />

ciascuno), ed entro una storia, se vogliamo<br />

«parallela», di un’area culturale<br />

antropologicamente ben definita, alle<br />

fonti remote della quale quel suo immaginario<br />

si alimenta, scandagliandone<br />

in recessi profondi. (Lo ricordo giovanissimo<br />

e inquieto testimone dal tempo<br />

delle ormai epiche — anche proprio per<br />

la loro poi inarrivata indipendenza — Alternative<br />

Attuali aquilane negli anni Sessanta).<br />

Non che <strong>Visca</strong> sia pittore «folclorico», intendiamoci.<br />

Infatti quel patrimonio antropologico<br />

scandaglia e attualizza reinventandolo<br />

a misura del proprio immaginario,<br />

interamente giocato sull’evocazione<br />

simbolica pregnante, in una continua<br />

oscillazione fra narrazione appunto<br />

di simboli e sintesi iconica, a volte persino<br />

aggressiva nella sua prensilità emotivo-immaginifica<br />

sul lettore. Il suo dialogo<br />

antropologico profondo è d’altra parte<br />

di naturalità colta. Lavora infatti <strong>Visca</strong><br />

su simboli d’accentuata icasticità il cui<br />

assemblaggio, e il cui conseguente snodo<br />

narrativo, molto rastremato, come<br />

nei fregi romanici delle chiese d’Abruzzo,<br />

acquisisce una massima evidenza<br />

icastica e impressiva; a loro modo infatti<br />

sollecitanti, starei per dire terrifici (anagogici,<br />

certo, comunque), se in realtà<br />

quell’immaginario non fosse fatto, ad<br />

evidenza, di dolcezze evocative, di sensuoso<br />

lirismo, in remoti echi d’amorosi<br />

rapporti. Esplicandosi d’altra parte in un<br />

figurare sontuoso, quasi carico di indefinite<br />

seduzioni d’Oriente (scopre forse<br />

dagli alti orizzonti marini abruzzesi un<br />

lembo di magico lontano?); in un figurare<br />

fitto che carica tutto, il simbolo<br />

quanto il suo contesto, d’una straordinaria<br />

intensità di tessuto d’immagine.<br />

Tanto più ricca questa contestualità di<br />

segni simbolici, e microsegni tissulari,<br />

giacché percepita spesso in una varietà<br />

di materie (così da aver sperimentato, e<br />

portandosene poi comunque sempre<br />

l’eco anche sulla superficie diciamo «pittorica»,<br />

pure la costruzione straordinariamente<br />

icastica di figure totemiche di<br />

simboli di carica magica avvincente e<br />

straniante). L’impianto narrativo dei suoi<br />

dipinti si arricchisce nell’articolarsi dei<br />

simboli in soluzioni sempre nuove ed<br />

inedite, in un pullulare di proposizioni<br />

che rinnovano continuamente le soluzioni<br />

immaginative. Ma la tematica del<br />

suo fare verte da anni appunto su un<br />

nodo di amorosi magici riscontri. Dieci<br />

anni fa espose a Roma «dipinti» sul tema<br />

dei Ligamenti d’amore e quest’anno<br />

ha proposto a Pescara Fuochi d’amore.<br />

Nel 1979-80 ha realizzato l’azione Un<br />

grande cuore rosso sul Gran Sasso,<br />

inerpicandosi proprio sul maestoso macigno<br />

con una grande cuore rosso, perduto<br />

simbolo di memoria umana nell’immensità<br />

della natura sovrana.<br />

Il suo mondo è magico, e dunque ogni<br />

elemento, immagine simbolica, contesto,<br />

del «dipinto» (come altrimenti nella<br />

sontuosità polimaterica accattivante e<br />

seduttiva nelle costruzioni che chiamo<br />

totemiche, ma sono forse anche grandi<br />

«ex voto» affettivi, ha funzione squisitamente<br />

di simbolismo magico in tutta la<br />

sua densità ed ambiguità evocativa.<br />

Quasi formularsi di magiche evocazioni<br />

di comportamenti possibili, ove l’umano,<br />

remoto e attuale, è il termine di riscontro,<br />

ma ove il transito dal naturale<br />

all’artificiale (più propriamente magico)<br />

è continuo. Qui per esempio fra il fuoco<br />

come fuoco (il fulmine, la fiamma) e il<br />

fuoco artificiale, appunto. Naturalmente<br />

il suo è uno scandaglio di profondità interiori<br />

della struttura antropologica perenne<br />

dell’uomo, non lette però in archeologia,<br />

ma in attualità di dialogo: vo-<br />

glio dire ben consapevole dell’estroversione<br />

clamorosa del nostro tempo di un<br />

prepotente immaginario di massa (di<br />

qui quel suo figurare per schematizzazioni<br />

da «fumetto», si potrebbe dire).<br />

Ne viene un orizzonte d’immagini festevole,<br />

ludico (e <strong>Visca</strong> mi parla infatti di<br />

recupero di una «festività persa»), ove il<br />

gioco tuttavia non è liberazione altrimenti<br />

alienante, ma è evocazione, invenzione,<br />

scandaglio di nessi possibili,<br />

vitalmente significanti. Il traguardo è<br />

l’immaginazione come potenza di costruzione<br />

di un mondo più ricco, diverso<br />

nella sua densità animistica, ove ogni<br />

segno è dunque anche altro da sé, come<br />

ogni suo elemento in campo è sì<br />

allusione alla figura simbolica deliberata,<br />

ma anche carica d’immaginario ulteriore<br />

attraverso l’intensità direi di «decoro»<br />

espressivo del suo stesso tessuto, sempre<br />

sontuosamente condotto, e perciò<br />

mai inerte, mai puramente descrittivo<br />

(sia pure nella distesa semplicità di una<br />

sintesi figurativa estrema). Un’iconologia<br />

di oggetti quotidiani, perché la base del<br />

magico è la prossimità del mondo domestico,<br />

si anima (proprio animisticamente)<br />

e si dichiara in una capacità e<br />

imprevedibilità simbolica. E di qui nasce<br />

l’avvio del suo tipico sincopato narrativo.<br />

Sono immagini lucidamente inquietanti<br />

proprio nella loro nettezza, a tutto vantaggio<br />

dell’esplicazione simbolica. E il<br />

simbolo è lo strumento (e il traguardo)<br />

dell’arricchimento narrativo; di una compenetrazione<br />

della quotidianità nell’immaginario<br />

di altrovi remoti possibili, che<br />

rendono magica ogni presenza, ogni<br />

evidenza, ogni particolare non solo dell’immagine<br />

protagonista, ma appunto<br />

del contesto nel quale questa si viene a<br />

dichiarare, entro il quale, se vogliamo, ci<br />

appare, e racconta di un’inalienabile<br />

realtà della (e di un inalienabile diritto<br />

alla) fantasia dell’altrove, dell’altrimenti,<br />

di remoti sensi che caricano la vita di<br />

una sua fascinosità inarrestabile, di un<br />

folto patrimonio di memorie».<br />

(Enrico Crispolti, testo nel catalogo della<br />

mostra personale <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Fuochi<br />

d’amore” alla galleria Questarte di Pescara,<br />

dicembre 1985).<br />

59 60 61<br />

1986<br />

- La mostra <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Un coraçao<br />

vermelho no Gran Sasso” apre all’Expo<br />

Brasil – Italia a San Paolo del Brasile.<br />

10/18 maggio.<br />

Lo stesso anno apre la mostra personale<br />

“Cuciti” al Forte Spagnolo dell’Aquila.<br />

In questa occasione espone per<br />

la prima volta diciannove arazzi cuciti<br />

di grandi dimensioni, prodotti dal 1974<br />

al 1985.<br />

Nella monografia “Cuciti” i testi sono di<br />

Enrico Crispolti e Tito Spini.<br />

«Il sentiero dei linguaggi di<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è segnato da eventi mitici,<br />

realtà pietrose, processioni festive, metafisici<br />

ritrovamenti; è un “tratturo culturale”<br />

che registra le transumanze dall’oceano<br />

Adriatico al Tibet del Gran Sasso.<br />

I Saraceni sbarcati ad Ortona, gli Slavi<br />

mercanti di cavalli di Lanciano, gli Albanesi<br />

guerrieri di Villa Badessa portano<br />

sulle gualdrappe dei loro destrieri gli<br />

echi di Bisanzio e degli Sciti, l’opulenza<br />

e il sangue degli imperi e delle guerre<br />

che li hanno costruiti.<br />

L’obiettivo di <strong>Visca</strong> mette a fuoco le immagini<br />

e, da fattori esogeni, le trasforma<br />

in storia iconografica, ne fa sofferenza<br />

e festa, le ripropone attraverso il<br />

filtro della sovrapposizione e del confronto.<br />

Solo così si può entrare in questo<br />

“cucito”, e non per nulla <strong>Visca</strong> chiama<br />

cucito l’intenso lavoro di strappo e<br />

di costruzione.<br />

Cuce l’arte monastica delle abbazie benedettine,<br />

le ombre e i fuochi che si<br />

chiudono nelle navate di S. Liberatore, il<br />

Chronicon Casauriense con i suoi contrappunti<br />

carolingi. Ombre e fuochi non<br />

di luoghi ma di culture a scontro. I vessilli<br />

di violenza trasferiti dalla Francia<br />

con il duca di Guisa fronteggiati dall’oro<br />

e dal rosso del duca d’Alba sono le striscie<br />

di stoffa-storia che avvolgono l’Abruzzo<br />

nelle sue miserie e nei suoi<br />

splendori.<br />

I villaggi sono attraversati da questi lampi<br />

di follia, da queste dominazioni icastiche.<br />

Ma dentro le case segrete si tessono<br />

le stoffe della comunità, gli emblemi<br />

di una cultura pastorale e contadina che


ha portato nell’iconografia cattolica gli<br />

elementi della propria arcaicità.<br />

Nelle contrade camminano i santi con<br />

al collo le serpi di Angizia; s’inchinano i<br />

buoi in chiesa e defecano; franano dai<br />

dirupi di Pacentro gli zingari nudi, feriti e<br />

vittoriosi per essere rivestiti con il panno<br />

sacrale. Gli stendardi ricamati di denti<br />

miracolosi, le pelli di lupo per vestire gli<br />

attori nell’eterna rappresentazione del<br />

dramma selvaggio/coltivato, le fanciulle<br />

vergini cariche di pizzi e ori, le tovaglie<br />

e le coperte spiegate sui percorsi delle<br />

processioni sono le stoffe-storia che il<br />

popolo estrae dal proprio passato per<br />

tracciare quel sentiero dei linguaggi sul<br />

quale <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> raccoglie reperti per<br />

immetterli nella sua sfera di lavoro e di<br />

etnicità.<br />

Il sentiero non serpeggia solo tra paesaggi<br />

culturali e umani ma attraversa fenomeni<br />

della natura: massi e acque,<br />

temporali e arcobaleni, nembi gonfi di<br />

pioggia e di saette e cirri appesi ai cieli<br />

di montagna, lenzuola di neve e alberi<br />

dorati, foglie di bosco e fuochi notturni.<br />

Non intendo restringere il mondo del<br />

rappresentato, ma non altrove che in<br />

questo Abruzzo di passato e di presente,<br />

di impennate montuose e di voragini,<br />

di mari d’acqua e di lana, non altrove,<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> avrebbe potuto farsi<br />

artigiano e cantore di tale profondità e<br />

saggezza, di tanta matura contemplazione<br />

e colorazione affettiva.<br />

L’operazione ermeneutica apparentemente<br />

contrasta con la tensione a immettere<br />

la storia nel mito, la realtà nella<br />

fantasia. Ma, di fatto, non è forse corrispondente<br />

a quella verità che si intravede<br />

nei Venerdì santi di Chieti o nelle resurrezioni<br />

di Sulmona?<br />

L’ermeneuta <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> non vuole<br />

storicizzare gli accadimenti ma li interpreta<br />

e cuce per noi su un canovaccio<br />

preparato da millenni. I cuciti fanno parte<br />

d’una genetica per mezzo della quale<br />

si spiegano permanenze e mutazioni, in<br />

una condivisione conscia e sistematica<br />

dei passaggi che regolano le misteriose<br />

leggi della riconciliazione psicologica tra<br />

presente e passato.<br />

Ricordo, splendida coerenza alla scelta<br />

di costruire e vivere la propria apparte-<br />

nenza tribale, la processione inventata<br />

nel 1975 da <strong>Visca</strong> per trasportare da S.<br />

Stefano di Sessanio alla cima del Gran<br />

Sasso il grande cuore rosso di pezza;<br />

prova iniziatica del corpo e della mente,<br />

sfida al silenzio e all’indifferenza. Quel<br />

percorso rituale l’ho registrato come un<br />

moto di recupero che partendo dall’aggregato<br />

domestico, dalla forzatura emblematica<br />

annullava lo spazio temporale<br />

del mito. Tentativo di imporre, fuori dalle<br />

logiche sclerotizzate, il risveglio d’un<br />

luogo del meridione sulle tracce delle<br />

proprie gestualità quasi a confrontarsi<br />

con la lettura non materialista dei fatti<br />

sociali, disperato tentativo di sciogliersi<br />

dagli schemi dell’antropologia scritta.<br />

Vorrei annettere, e non a forza o per<br />

polemica, l’opera, il “lavoro sul campo”,<br />

di <strong>Visca</strong> al mondo aperto dell’antropologia<br />

visiva. Vi è stata sempre diffidenza<br />

per chi scrivesse bene il testo antropologico,<br />

poi, per chi fornisse belle immagini<br />

all’antropologia visiva; chissà mai<br />

cosa si dirà oggi contro chi pensi di collocare<br />

questa impresa nelle trame dell’indagine<br />

e sintesi antropologica.<br />

Quando Lévi-Strauss scrive “Tristi Tropici”,<br />

non ne fa solo un documento ma<br />

un testo sottile e permeabile, il tessuto<br />

di comprensione per la situazione socioculturale<br />

da rappresentare e per il riconoscimento<br />

del proprio stato di testimone.<br />

Quando Joris Ivens filma la Cina,<br />

le immagini bellissime scardinano gli<br />

stereotipi e invadono i campi della ricerca<br />

e della comunicazione scientifica.<br />

La personalità di <strong>Visca</strong> si raddoppia non<br />

si sdoppia, raccontare-interpretare, rileggere-proporre,<br />

intervento complesso<br />

che si allontana dalla fattura folklorica e<br />

rinnova canoni e parametri per affermare<br />

un’esplicita estetica dell’arte popolare.<br />

L’opera è tesa a cancellare il rincorrersi<br />

delle mode d’una borghesia mercantile<br />

che crea i suoi feticci primitivi e<br />

celebra i suoi rituali attorno agli ex-voto,<br />

ai presepi napoletani, alle canzoni popolari.<br />

Questi cuciti, sapienti di tutto ciò che è<br />

passato sopra il “Continente Abruzzo”,<br />

composti di tutti i ritagli di cronaca, contenenti<br />

tutte le reliquie, aprono un microcosmo<br />

a dimensioni universali e col-<br />

locano i momenti operativi popolari nell’asse<br />

portante della Storia. E la storia è<br />

tutta: quella infilzata sulle spade degli<br />

eserciti, sulle falci dei contadini, sulle pirocche<br />

dei pastori. Quella tessuta nelle<br />

tovaglie di lino, nei pizzi di Pescocostanzo,<br />

nel capecchio dei transumanti. Vi si<br />

legge furore, sopraffazione, coraggio, allegria,<br />

fantasia, spreco, povertà. I cuciti<br />

di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> sono gli stendardi di<br />

questa nobiltà, pagine ricamate del vocabolario<br />

delle caste, mappe di complessi<br />

territori culturali. L’impegno è di<br />

fare antropologia visiva con un intervento<br />

d’arte, esplorare e far emergere i microcosmi<br />

così come per la storia fanno<br />

Duby e Le Goff; perché lì sono i semi<br />

dell’albero del mondo.<br />

“Nascita di un asparago”, uno dei cuciti<br />

più recenti, non è enfatizzazione suicida<br />

ma emblematica indicazione della traccia<br />

di ricchezze che da un grumo di<br />

materia esplodono nella continuità come<br />

le stagioni.<br />

L’insegnamento non sta nel solo fatto<br />

culturale, è anche nell’evento manuale.<br />

Cucire, per la sua ripetitività, non è un<br />

gesto solitario; nella comunità contadina<br />

ha sempre determinato l’ampiezza del<br />

reticolo di relazioni. Si cuce sulle porte<br />

delle case, nelle aie, nei cortili; il cucito<br />

veicola la parola, è strumento di comunicazione<br />

con il quale <strong>Visca</strong> ci trasmette<br />

dai territori della cultura popolare le tecniche<br />

arcaiche dell’estasi. Come uno<br />

sciamano, cuce parole e stoffe, costruisce<br />

oggetti rituali per il “volo” e, dall’alto<br />

spazio raggiunto, scruta nelle pieghe<br />

della storia il futuro».<br />

(Tito Spini, Antropologia e arte, testo<br />

nella monografia <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Cuciti”,<br />

Edizioni del Gallo Cedrone, per la mostra<br />

personale al Forte Spagnolo dell’Aquila,<br />

ottobre 1986).<br />

«Da circa metà degli anni Settanta<br />

<strong>Visca</strong> ha realizzato degli arazzi, cuciti<br />

a mano, e in effetti degli ‘’assemblage“,<br />

non soltanto di stoffe, ma di elementi<br />

oggettuali diversi. Li espone soltanto<br />

ora, per la prima volta, e li raccoglie<br />

in questa pubblicazione, “Cuciti”,<br />

1986.<br />

62 63 64<br />

Sono in realtà veri e propri quadri di<br />

stoffa, e certo non deduzioni decorative.<br />

La traduzione dell’arazzo contemporaneo,<br />

come si sa, è assai ricca, e proprio<br />

lungo due versanti in certo modo contrapposti.<br />

Il primo, ove si è recuperata,<br />

e al tempo stesso in qualche misura<br />

provocata, la tradizione aulica dell’arazzeria<br />

(da Lurçat a Cagli). Il secondo, ove<br />

invece hanno avuto campo soluzioni<br />

sperimentali, in tecniche infatti sempre<br />

più disinvolte nelle commistioni ed aggiunzioni<br />

di materiali, non soltanto tessili;<br />

e comunque spingendo quelli tessili<br />

al massimo della loro mobilità e articolazione<br />

(da Depero alle recenti fortune<br />

della tessitura d’avanguardia).<br />

Naturalmente il lavoro di <strong>Visca</strong> si colloca<br />

in questo secondo versante, d’illustri<br />

frequentazioni nell’ambito dell’avanguardia<br />

italiana, a cominciare dai futuristi. Se<br />

Balla dipingeva i suoi arazzi, sull’apposita<br />

tela, certamente in una scorciatoia<br />

dovuta a ragioni economiche, non perciò<br />

tuttavia risultando diminuito il fascino<br />

di quelle sue realizzazioni di grande<br />

formato, e Prampolini, come altrimenti<br />

Pizzo Rizzo progettarono e fecero realizzare<br />

arazzi (e tappeti), tessuti ad alto<br />

liccio (almeno certo il primo), Nizzoli<br />

preferì ricamarli; e invece Depero immaginò<br />

una tecnica di assemblaggio di<br />

panni di lana coloratissimi, secondo l’acceso<br />

gusto cromatico largamente campito<br />

della sua pittura (in una tecnica<br />

che è quella che chiamiamo oggi “patchwork”).<br />

L’arazzo diveniva così sostanzialmente<br />

come un quadro dipinto con materiali<br />

diversi, tessili appunto. Ed accentuava<br />

una propria presenza di immagine, provocante,<br />

proselitistica (per i futuristi),<br />

entro lo spazio quotidiano, domestico,<br />

invadendo maggiormente tale spazio,<br />

condizionandolo dunque, e consegnandosi<br />

d’altra parte in una materialità assai<br />

meno ideale invece assai più prossima<br />

e immediata che non il mezzo tradizionale<br />

“pittura”. Una diversa possibilità di<br />

pittura dunque.<br />

Non credo tuttavia che l’origine motivazionale<br />

dell’interesse di <strong>Visca</strong> per l’arazzo<br />

cucito e assemblagistico sia di natura<br />

avanguardistica. Mi sembra invece chia-


amente di natura antropologica, nel<br />

senso cioè che nel denominatore non<br />

vi è qualche clamorosa evidenza affermativa<br />

dell’immagine e del linguaggio<br />

figurale su un presupposto ideologico,<br />

ma l’appassionata rilettura, sul filo di<br />

una intensa partecipazione emotiva memoriale,<br />

di un patrimonio di manualità<br />

domestica nella sua ancestrale tramandata<br />

sapienza, affondando in livelli d’impressività<br />

emotiva infantile, e sviluppandovi<br />

una propria del tutto autonoma avventura<br />

di intimo dialogo iconico quanto<br />

oggettuale, nella dimensione dell’immagine<br />

infatti quanto della materia, del<br />

tessuto, dell’oggetto, non meno direi<br />

che del punto.<br />

Il fascino di questi arazzi di <strong>Visca</strong> è infatti<br />

tutto nella loro discorsività fantastica,<br />

nella loro capacità di intensissima<br />

suggestione di magiche preziosità, che<br />

si raccontano in presenze simboliche e<br />

allusive, di elementare e il più spesso<br />

criptica (giacché privata, intima) simbologia,<br />

in accenni narrativi fabulisticamente<br />

spiazzanti. Una discorsività che non è<br />

soltanto appunto d’immagine, ma di<br />

materie, di tissularità della materia, in<br />

una straordinaria e veramente magica<br />

varietà di componenti, materiologiche,<br />

cromatiche, segniche, oggettuali; così da<br />

sostenere una fascinazione continua,<br />

che è dunque tanto dell’icone complessiva,<br />

quanto della preziosità estrema<br />

che ne sorregge la “texture”, a sua volta<br />

assai differenziata episodio per episodio,<br />

componente per componente iconica<br />

del racconto, secondo che quest’ultimo<br />

nella sua funzionalità richieda.<br />

Si collocano, questi arazzi, nel lavoro di<br />

<strong>Visca</strong>, fra le straordinarie costruzioni oggettuali<br />

di stoffe ed altri materiali, magici,<br />

preziosissimi, appassionati totem domestici,<br />

nati attorno al tema delle bambole,<br />

all’inizio degli anni Settanta, feticci<br />

fascinosi; e insinuanti e la vivida intensità<br />

fantastica delle sintetiche aperture<br />

narrative dei dipinti che corrono lungo<br />

gli anni Settanta e questi Ottanta. Dalle<br />

costruzioni oggettuali ereditano direttamente<br />

quella che chiamo discorsività<br />

manuale, cioè il dialogo con le materie<br />

e gli oggetti significanti, e il senso di<br />

presenza oggettualmente fisica dell’im-<br />

magine, pur così intensamente fantastica<br />

nello spiazzamento immaginativo<br />

che la preziosità spinta delle materie e<br />

della stessa virtuosità manuale del lavoro<br />

vi provocano. Mentre, se con i dipinti<br />

a volte gli arazzi condividono soluzioni<br />

iconiche, come certi stilemi di sintesi<br />

narrativa, in realtà se ne staccano proprio<br />

perché “l’unicum” della ricchezza<br />

materica (soprattutto naturalmente tessile)<br />

che di volta in volta li distingue vi<br />

crea una densità di presenza a mio avviso<br />

superiore alla distensione grafica<br />

che spesso i dipinti altrimenti assumono,<br />

nella loro cesellata mosaicatura di<br />

preziose nette superfici.<br />

Qui, negli arazzi, la manualità trionfa come<br />

esperienza d’una sorta di anamnesi<br />

privata, d’una avventura che attraverso il<br />

percorso del cucito, risalendo itinerari di<br />

memoria costruisce un proprio mondo<br />

iconico e materico di continuamente<br />

sorprendente risalto fantastico e di continua<br />

insinuazione magica che vi si realizzano<br />

infatti entro livelli molteplici<br />

d’antichi richiami, affondati in una simbologia<br />

primaria d’affettività remota, rivissute<br />

in magica stupefazione come di<br />

favola avvolgente e spaesante verso<br />

una dimensione di assoluto dominio e<br />

sommesso ascolto d’antichi sensi e perdute<br />

magie. È essenziale alla natura<br />

espressiva di questi arazzi il loro essere<br />

cuciti a mano, ma in una manualità che<br />

non è esecutiva, non è iterativa, ed è<br />

direi invece euristica, e a volte quasi rituale<br />

e devozionale. Cucire è ricercare e<br />

costruire la propria dimensione fabulistica<br />

magica, è attingere livelli memoria, è<br />

godere sensitivamente, sensualmente<br />

di materie, di oggetti, di ricordi, di allusioni,<br />

di proiezioni fantastiche. Il lavoro<br />

è naturalmente lento, perché ogni passo<br />

è motivato, vale infatti l’individuazione<br />

di un elemento concorrente a costruire<br />

il racconto, che è sì fatto dall’icone<br />

che infine ne risulta, ma anche appunto<br />

dal tragitto di affettuosa, passionale,<br />

manualità percorso per raggiungere<br />

la definizione di quell’immagine. Non<br />

solo dunque un’immagine fantastica,<br />

ma un effettivo viaggio fantastico; e ne<br />

trovi traccia nella ricchezza d’ogni segno,<br />

d’ogni passaggio, d’ogni elemento,<br />

stoffa, oggetto, punto. L’immagine conclusiva,<br />

nella sua ricchezza spesso suggestivamente<br />

strepitosa, racchiude ed<br />

esalta questa vitalità di lavorazione, che<br />

vi è vera e propria esperienza del fare<br />

come dedizione ad una ritualità manuale<br />

antica, riscatta da perdute profondità<br />

ataviche, e rimergente da livelli di evidente<br />

memoria infantile personale.<br />

In questo senso è chiaro che gioca intensamente<br />

negli arazzi di <strong>Visca</strong> appunto<br />

l’origine motivazionale antropologica,<br />

legata esattamente ad uno specifico patrimonio<br />

della sua terra d’Abruzzo, dalla<br />

fiera rusticità arcaica della quale tuttavia<br />

<strong>Visca</strong> traspone chiaramente ogni suggestione<br />

in una diversa misura di magicità<br />

inarrivata e quasi inarrivabile, proprio direi<br />

quasi per dimostrare la possibilità<br />

d’attingerla ormai soltanto in dimensione<br />

d’esaltazione fantastica e fabulistica,<br />

cioè nell’ostensione di una dimensione<br />

magica e sottilmente sacrale, impraticabile<br />

se non in una dedizione totale all’intensità<br />

della fantasia. Che è poi fatto<br />

tutto privato, intimo, come di chi si crei<br />

un proprio orizzonte alternativo. Perciò<br />

<strong>Visca</strong> non è archeologico in senso folclorico,<br />

come d’altra parte non è arcaico,<br />

né arcaicizzante, ma magico nel<br />

senso di giungere ad una preziosità irreale<br />

di soddisfazione (propria appunto<br />

anzitutto) fantastica e magicamente<br />

sensuale.<br />

A volervi avvertire una dinamica interna,<br />

in oltre dieci anni di lavoro, si può notare,<br />

credo, una maggiore concentrazione<br />

totemica nei primi di questi arazzi degli<br />

anni Settanta, d’altra parte risolti in<br />

grandissime dimensioni, e una maggiore<br />

propensione narrativa negli ultimi, di<br />

dimensioni più circoscritti, e in certo<br />

modo più dialoganti con la pittura di <strong>Visca</strong>,<br />

mentre i primi sono più segnati<br />

dalla precedente esperienza delle costruzioni<br />

oggettuali polimateriche. Per<br />

esempio un tema ricorrente negli uni e<br />

negli altri, il “paesaggio”, nei primi è più<br />

enigmatico, più misterioso, mentre nei<br />

secondi si distende in un racconto fantastico<br />

essenziale, ma certo più discorsivo<br />

nella descrizione dei suoi diversi elementi.<br />

65 66 67<br />

Sono oggetti sempre comunque di<br />

straordinaria preziosità, che traspongono<br />

cioè l’immagine appunto ad un livello<br />

ove il prezioso, materico quanto iconico,<br />

è magico e fantasticamente involvente.<br />

Ove dunque si esaltano le qualità tipiche<br />

dell’immaginario di <strong>Visca</strong>, circolante<br />

del resto con la medesima autorità suggestiva<br />

nelle diverse esperienze da lui<br />

attraversate e nelle stesse contemporaneamente<br />

frequentate. Giacché <strong>Visca</strong> è<br />

artista liberamente operativo in modalità<br />

diverse di manufatto, pur in una<br />

medesima tensione appunto allo spiazzamento<br />

favoloso, che tuttavia realizza<br />

in differente intensità proprio attraverso<br />

le differenti occasioni operative che va<br />

coltivando.»<br />

(Enrico Crispolti, Gli arazzi, testo nella<br />

monografia <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Cuciti”, Edizioni<br />

del Gallo Cedrone, per la mostra<br />

personale al Forte Spagnolo dell’Aquila,<br />

ottobre 1986).<br />

«Con i Cuciti di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>,<br />

esposti nel Forte cinquecentesco dell’Aquila<br />

dopo oltre dieci anni d’ininterrotta<br />

e solitaria sperimentazione, la storia dell’arazzo<br />

contemporaneo viene ad arricchirsi<br />

di un capitolo inedito. Progetto<br />

(schizzo grafico = cartone) e realizzazione<br />

dell’opera, di mano dello stesso<br />

artista, spazzano via la discriminante<br />

ideologica arte/artigianato: il fare pittorico<br />

è riportato alla primigenia unità con<br />

tele, pennelli e colori rimpiazzati da ago,<br />

filo, bottoni, stoffe, pelli, ecc. L’assemblaggio<br />

di materiali poveri, decorati e<br />

decoranti, riecheggia stilemi cari al newdada,<br />

per la verità ingentiliti esteticamente<br />

da un’atmosfera liberty. In questi<br />

autentici quadri dipinti in un plein-air<br />

tutto mentale, la kleeniana “Teoria della<br />

forma e della figurazione” prende corpo<br />

in paesaggi fatati, preservati, con l’incantesimo<br />

creativo di <strong>Visca</strong>, dalla metastasi<br />

ecologica causata dal progresso tecnicoscientifico.<br />

La fisicità di casette, prati, radici,<br />

asparagi, onde, nuvole, fulmini e<br />

stelle (apparterranno anch’esse all’ecosistema)<br />

è rappresentata a due sole dimensioni:<br />

una linea d’orizzonte fa da<br />

cesura tra alto e basso, sopra e sotto, e<br />

da collegamento concettuale tra magia


esperita e realtà evocata. C’era una volta:<br />

verrebbe la voglia di qualificare fabulatorio<br />

il racconto di <strong>Visca</strong>. Ma ben altre<br />

sono le implicazioni etiche, può dirsi,<br />

del radicale rifiuto nell’accettare passivamente<br />

il rantolo agonico di una natura<br />

segnata per sempre. Da qui, l’azzeramento<br />

della ragione “metafisica” e la<br />

negazione della prospettiva rinascimentale;<br />

da qui, il trionfo di una fantasia “infantile”,<br />

iridescente ed imprevedibile,<br />

plasmatrice di una realtà altra. C’è di<br />

più. La lentezza gestuale del tagliare e<br />

del cucire è la stessa del tessere e del<br />

seminare: rovescio della medaglia informale,<br />

dove è la velocità di un altro gesto<br />

a far urlare rabbia e protesta. Da un<br />

lato il tempo paziente della natura, dall’altro<br />

quello accelerato della storia. Il lavoro<br />

di <strong>Visca</strong> può ben essere ricondotto<br />

nel filone del “pattern painting”: a condizione<br />

di non confondere lo “slang”<br />

degli artisti americani con il “dialetto”<br />

della civiltà abruzzese».<br />

(Antonio Gasbarrini, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>,<br />

“Questarte” 52, Pescara, dicembre<br />

1986, p. 108).<br />

A chiusura della mostra “Cuciti” il Presidente<br />

della Regione Abruzzo Gaetano<br />

Novello acqusisce l’opera “Sogno di un<br />

paesaggio di mare” (arazzo cucito –<br />

cm.155x195 - anno 1986) per destinarla<br />

alla collezione d’arte della Regione<br />

Abruzzo.<br />

- <strong>Visca</strong> partecipa ad una mostra collettiva<br />

di autori contemporanei al Museo<br />

Archeologico di Spalato a Spalato,<br />

Croazia.<br />

- È invitato alla XXXVIII Mostra Nazionale<br />

di Pittura F.P. Michetti “Il mare” a<br />

Francavilla al mare. Espone “Onda<br />

anomala” (tecnica mista su tela, cm.<br />

200x150), “Grande fuoco di mare”<br />

(tecnica mista su tela, cm. 200x150),<br />

“Sogno di un paesaggio di mare”<br />

(arazzo cucito, cm. 155x195) e gli viene<br />

conferito un premio acquisto. La<br />

mostra è a cura di Enrico Crispolti. Luglio<br />

/ agosto.<br />

- È invitato alla Ottava Mostra Città di<br />

Penne “Disponibilità dell’Immagine” al<br />

Chiostro di San Domenico di Penne.<br />

Espone “La cassapanca dei giochi proibiti”<br />

(tecnica mista su tela, cm.<br />

120x150), “La scatola dei fuochi” (tecnica<br />

mista su tela, cm. 133x205), “Il tavolo<br />

della festa” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 200x150), “Quando cadono le<br />

stelle” (tecnica mista su tela,<br />

cm.133x205). 2/25 agosto.<br />

- Partecipa alla mostra “Arte & Territorio”,<br />

L’uomo e la natura, alle Scuole Comunali<br />

di Collelongo. Espone “La scatola<br />

dei fuochi” (tecnica mista su tela,<br />

cm. 133x205), “Dolce tempesta” (collage<br />

dipinto, cm. 50x70). La mostra è<br />

a cura di Marcello Ventuoli. Agosto.<br />

- <strong>Visca</strong> insieme ad Alfredo del Greco,<br />

Elio Di Blasio, Giuseppe Fiducia e Franco<br />

Summa partecipa alla mostra “Cinque<br />

artisti e una città” alla galleria<br />

Questarte di Pescara. Espone “Grande<br />

fuoco di mare” (tecnica mista su tela<br />

cm. 200x150), “Ricordo di un’isola sognata”<br />

(tecnica mista su tela, cm.<br />

100x150), “Ricordo di un paesaggio<br />

sognato” (tecnica mista su tela, cm.<br />

100x150). La mostra è a cura di Eugenio<br />

Riccitelli. 19 luglio / 30 agosto.<br />

- È invitato al Premio Nazionale di Pittura<br />

Cappelle sul Tavo al Centro Mammuth<br />

di Spoltore. La mostra è a cura di<br />

Mario De Micheli. 15/23 novembre.<br />

1987<br />

- Di quest’anno è il tappeto tessuto a<br />

mano “Notturno da terra” (cm.<br />

290x230) fatto realizzare da <strong>Visca</strong>,<br />

su suo disegno, durante un viaggio in<br />

Turchia.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Alternative<br />

attuali” Abruzzo 87, al Forte Spagnolo<br />

dell’Aquila. Espone ”La scatola dei<br />

fuochi” (tecnica mista su tela, cm.<br />

133x203), “Quando cadono le stelle”<br />

(tecnica mista su tela, cm.133x203),<br />

“Ricordo di un paesaggio sognato”<br />

(tecnica mista su tela, cm.100x150),<br />

“Paesaggio di fuoco” (tecnica mista su<br />

tela, cm.100x100). La mostra è a cura<br />

di Enrico Crispolti. 22 marzo / 26 aprile.<br />

- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> replica la mostra personale<br />

“Cuciti” alla galleria Questarte di<br />

Pescara. 9/25 aprile.<br />

- <strong>Visca</strong> espone tre arazzi cuciti alla Gallerie<br />

du Pommier a Neuchatel, Svizzera.<br />

Espone “Nascita di un asparago<br />

d’oro” (arazzo cucito, cm. 150x198),<br />

“Notturno marino” (arazzo cucito, cm.<br />

150x197), “Pelle di paesaggio” (arazzo<br />

cucito, cm. 145x200). Maggio/giugno.<br />

- È invitato alla mostra “Caitanya”, Arte<br />

per la pace, al Palazzo Venezia a Roma.<br />

I testi nel catalogo sono di: Jolena<br />

Baldini, Carmine Benincasa, Angelo Calabrese,<br />

Renato Civello, Enrico Crispolti,<br />

Giorgio Di Genova, Antonio Gasbarrini,<br />

Domenico Guzzi, Italo Mussa, Ugo Piscopo,<br />

Pierre Restanj, Pier Carlo Santini,<br />

Marcello Venturoli, Marisa Vescovo.<br />

Espone “Paesaggio con nuvoletta bianca”<br />

(arazzo cucito realizzato per Casa<br />

Vogue, cm. 97x153). 7 maggio / 15<br />

giugno.<br />

- Il 6 giugno apre la mostra personale<br />

“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” alla galleria La Stadera<br />

di Sulmona. Espone arazzi cuciti e cartoni<br />

cuciti.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Itineraires<br />

Paralleles” al Palazzo del Ghiaccio di<br />

Neuchatel, Svizzera. La mostra è a cura<br />

di Enrico Crispolti. 15/25 maggio.<br />

- Espone un libro d’artista, eseguito a<br />

mano in tiratura limitata, “Per un cuore<br />

rosso sul Gran Sasso”, alla mostra<br />

“Dalla Bibbia di Guttemberg al libro telematico”<br />

alla Casa D’Annunzio di Pescara.<br />

La mostra è a cura della Casa<br />

Editrice del Gallo Cedrone. 6 agosto /<br />

12 settembre.<br />

- È invitato alla mostra “Parallel Itineraires”,<br />

Festitalia 87, alla University Art<br />

Gallery – Mc Master, Hamilton, Ontario,<br />

Canada. Espone “Piccolo paesaggio in<br />

bianco” (arazzo cucito, cm. 105x98),<br />

“Grande fuoco di mare” (tecnica mista<br />

su tela, cm. 200x150). La mostra è a<br />

cura di Enrico Crispolti.<br />

- Partecipa alla mostra “20 Artisti per il<br />

Nicaragua” a cura dell’Associazione Italia<br />

– Nicaragua di Avezzano. 21/29 ottobre.<br />

- Da una idea di <strong>Visca</strong> nasce la mostra<br />

“12 Piatti di 12 Artisti” allo Scalco delle<br />

Tre Marie al Palazzo Iacopo Notar Nanni<br />

dell’Aquila. Espone “Asparagi” (piatto<br />

in ceramica in unico esemplare, ø cm.<br />

30).<br />

68 69 70<br />

1988<br />

<strong>Visca</strong> apre a Pescara la Scuola Italiana<br />

d’Arte dove per due anni, oltre che a<br />

dirigerla, vi insegna pittura e tecniche<br />

grafiche del disegno.<br />

- Aderisce alla Prima Mostra di Artisti<br />

Abruzzesi a favore dell’UILDM alla Sala<br />

dei marmi della Provincia di Pescara.<br />

4/9 gennaio.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla Biennale Internazionale<br />

del mare “Mare & Mare”, Il mare<br />

nelle arti visuali, a Castel dell’Ovo a<br />

Napoli. Espone “Onda anomala” (tecnica<br />

mista su tela, cm. 200x150). La mostra<br />

è a cura di Marcello Venturoli. Giugno.<br />

- È invitato alla mostra “Dittico” all’Università<br />

degli studi dell’Aquila, Facoltà di<br />

Magistero. Espone “Stelle di fuoco” e<br />

“L’uccello cometa” (collage dipinto, cm.<br />

50+50x56). La mostra è a cura di Antonio<br />

Gasbarrini. 1/12 giugno.<br />

- <strong>Visca</strong> è presente alla mostra “Itinerari<br />

paralleli” al Centro Congressi di Montesilvano.<br />

Espone “Notturno marino”<br />

(arazzo cucito, cm. 150x197). La mostra<br />

è a cura di Enrico Crispolti. 23<br />

maggio / 12 giugno.<br />

- È invitato alla mostra “Alternative attuali<br />

88”, Pittura per musica, al cortile<br />

del Convitto Nazionale e al cortile del<br />

Palazzo di Città dove I Solisti Aquilani e<br />

il violinista Felix Ayo sono stati diretti<br />

dal M° Vittorio Antonellini.<br />

Espone “L’estate 2° movimento – Antonio<br />

Vivaldi” (n. 6 cartoni eseguiti a collages,<br />

dipinti e cuciti, cm. 50x70 cad.).<br />

La mostra è a cura di Enrico Crispolti.<br />

23 luglio / 7 agosto.<br />

- È presente alla mostra “Artisti per<br />

L’Aurum” all’ex Aurum di Pescara.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Laboratorio<br />

d’Abruzzo”, Ripe 88, alla Pinacoteca<br />

Comunale di Ripe San Genesio. Espone<br />

“Caduta di una stella” (stoffe cucite,<br />

cm. 34x34), “Fuoco marino” (stoffe cucite,<br />

cm. 34x34), “Fuochi sulla montagna”<br />

(stoffe cucite, cm. 34x34). La mostra<br />

è a cura di Enrico Crispolti. Luglio.<br />

1989<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, “Il quadro del mese”, Associazione<br />

Culturale Florian Espace,


Teatro Florian Espace, Pescara. Espone<br />

“Paesaggio interno” (tecnica mista su<br />

tela, cm. 200x150). 4 marzo.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Duplice<br />

versante”, Quarta Rassegna d’Arte Contemporanea<br />

al Palazzo Comunale di<br />

Campomarino. Espone “Piccolo paesaggio<br />

in pelle” (arazzo cucito, cm.<br />

50x50). 1/15 luglio.<br />

- È invitato alla mostra “Arte Abruzzo<br />

90/1”, Ragioni e finalità di una proposta,<br />

allo Spazio Arte “Di Loreto” di Pratola<br />

Peligna. Espone “Tramonto di fuoco”<br />

(tecnica mista su tela, cm.<br />

100x100), “Tempesta al pistacchio”<br />

(tecnica mista su tela, cm. 100x100).<br />

La mostra è a cura di Carlo Fabrizio<br />

Carli. 15/30 luglio.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato al Sesto Premio Internazionale<br />

di Pittura “Amore & Amore”<br />

al Comune di Lampedusa. La mostra è<br />

a cura di Marcello Venturoli. Agosto.<br />

1990<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla X Mostra d’Arte<br />

Città di Penne “Il segno e i suoi dintorni”<br />

Biennale 90-91. Espone “Dopo i<br />

fuochi di mezzanotte” (struttura in legno<br />

dipinto e stoffe imbottite, cm.<br />

130x22x180), “Ripostiglio proibito”<br />

(struttura in legno dipinto e miscele di<br />

stoffe, cm. 75x15x160). La mostra è a<br />

cura di Antonio Gasbarrini e Renzo<br />

Margonari. 28 luglio / 25 agosto.<br />

1991<br />

Il 17 gennaio viene invitato dall’Istituto<br />

di Lingue Romanze dell’Università G.<br />

D’Annunzio di Pescara a partecipare al<br />

convegno “Il Perù nel quinto secolo dalla<br />

conquista”. Nel suo intervento: “Il<br />

Perù, appunti di viaggio”, <strong>Visca</strong> disquisisce<br />

sulla sua esperienza tra le Ande<br />

proittando un gran numero di fotocolor<br />

selezionati tra i quasi quattromila fotogrammi<br />

scattati durante la sua spedizione<br />

nella sierra e in Amazzonia peruviana.<br />

In questa circostanza conosce Joaquin<br />

Roca-Rey, raffinato scultore immaginario<br />

surreale, già da molti anni addetto<br />

culturale all’Ambasciata peruviana<br />

di Roma. Roca-Rey viene invitato da <strong>Visca</strong><br />

nel suo studio e nasce tra loro<br />

un’espansiva stima che li porterà a fre-<br />

quentarsi e scambiare opinioni sia sul<br />

lavoro artistico che sulla scabrosa realtà<br />

peruviana, per la quale Joaquin Roca<br />

Rey ne pativa fortemente delle profonde<br />

sofferenze.<br />

- <strong>Visca</strong> apre la mostra personale<br />

“l giardini dell’amore” allo spazio espositivo<br />

della Casa Editrice L’Acacia dell’Aquila.<br />

Espone arazzi cuciti sculture polimateriche<br />

e sculture in bronzo e ferro.<br />

Nel pieghevole della mostra sono contenute<br />

due opere grafiche numerate e<br />

firmate dall’autore in tiratura limitata. I<br />

testi nel pieghevole sono di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

e Fernando Tempesti.<br />

- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra<br />

“Textilia 91” Pittura tessuta, Secondo<br />

confronto europeo: La Spagna, insieme<br />

agli artisti Enrico Accatino, Giacomo<br />

Balla, Afro Basaldella, Mirko Basaldella,<br />

Corrado Cagli, Fortunato Depero, Piero<br />

Dorazio, Pasquale Liberatore, Bruno<br />

Munari, Enrico Prampolini e Mauro<br />

Reggiani. Espone “Nascita di un asparago<br />

d’oro” (arazzo cucito cm.<br />

150x198), “Ricordo di un paesaggio<br />

sognato” (tecnica mista su tela, cm.<br />

100x150). La mostra è a cura di Enrico<br />

Crispolti. 9/22 dicembre.<br />

- Nello stesso anno apre la mostra personale<br />

“<strong>Visca</strong>” alla galleria Experientia<br />

Arte & di Teramo. Espone arazzi cuciti,<br />

tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti<br />

e cuciti. Nel pieghevole della mostra<br />

il testo è di Nerio Rosa. 30 novembre<br />

/ 27 dicembre.<br />

«Nelle opere di <strong>Visca</strong> non c’è<br />

alcuna parvenza aneddotica, non c’è<br />

svolgimento narrativo, non c’è allusività<br />

misterica, non c’è citazionismo eclettico:<br />

tutto si raccoglie e si esalta nella fissa e<br />

trasparente rappresentatività degli elementi<br />

di superficie e nella loro costruzione<br />

mai concettuale né naturalistica,<br />

ma trasognata nella comunicatività immediata<br />

di un segno che delimita nitidamente<br />

i simboli dell’ambiente, individuati<br />

da occhi candidi ed essenzializzanti.<br />

Anche i materiali sono elementi caldi,<br />

soft, intimi, con accostamenti di tipo polimaterico,<br />

con tessuti, collages, dipinti,<br />

che rendono sempre il candore di un<br />

ambiente sereno e rassicurante, colto<br />

nell’immaginario di simboli primari iconici<br />

di ludico fiabesco.<br />

Sono le icone della prima scoperta del<br />

mondo agli occhi ancora puri e incontaminati<br />

di un genio interiore, che fissa<br />

con immagini fanciulle un paesaggio<br />

senza tempo di riferimenti nitidamente<br />

essenziali, di archi di cielo, notturni, foglie,<br />

voli, nuvole, profili di case, onde<br />

marine, astri, folgori, che negli arazzi cuciti<br />

si caricano di ridondanze, di reticoli<br />

colorati, di fitte pigmentazioni, di trame<br />

ricche e policrome, sino a destare la<br />

sensazione di un sogno, il cui nitore distanzia<br />

e rimuove una leggerezza di<br />

fondamento, non priva di centralità, che<br />

contrasta con lo spaesamento e il nomadismo<br />

che percorrono la complessità<br />

del mondo contemporaneo. È come se<br />

<strong>Visca</strong> avesse coltivato una sua scoperta<br />

primitiva del mondo nelle sue permanenze<br />

più semplici e rarefatte, senza<br />

mediazioni culturologiche con la crisi nichilistica,<br />

che toglie sicurezza a chi affronti<br />

una visione dinamica delle dispersioni<br />

di una storia sociale e antropologica,<br />

per rinvenire sotto di essa e oltre di<br />

essa il profilo rassicurante e l’intimità<br />

non dissociata dall’ambiente. Il gioco<br />

dell’immaginario dell’eterno fanciullo<br />

che è in noi sa fissare una tale visione<br />

con pochi e saldi punti di riferimento<br />

nelle figurazioni bidimensionali scaturite<br />

da una rilettura del paesaggio intimo<br />

delle prime scoperte.<br />

Il dettaglio dell’elaborazione non ha<br />

però la semplicità della riscoperta di un<br />

mondo fiabesco visto da un bambino, o<br />

da un adulto che utilizzi questo vettore<br />

secondo la grafica di un cartoonist o di<br />

un pubblicitario. C’è invece una sapienza<br />

artigianale che si fissa su moduli minimali<br />

ed inediti, per rendere la cura e<br />

la vaghezza di chi ha già effettuato una<br />

scoperta di piccoli mondi inseriti nel<br />

quotidiano, ma insieme «paralleli» per lo<br />

sguardo ravvicinato e caldo con cui sono<br />

colti. L’immagine presenta così una<br />

nuova dimensione che ci sfugge, e che<br />

tuttavia è sempre magicamente presente<br />

per chi abbia la predisposizione ad<br />

assecondarla, non appena si fissa nella<br />

rëverie. Di qui il senso trasognato di og-<br />

71 72 73<br />

getti sempre presenti nelle piccole opere<br />

richiamate alla memoria, nella partecipazione<br />

alle corrispondenze d’ambiente,<br />

ma senza volontà di ambientazione,<br />

nell’attenzione alle minute e dolci presenze<br />

di una quotidianità contemplativa,<br />

senza la riflessione analitica dell’intelletto,<br />

ma col coglimento diretto del simbolo<br />

che resta depositato nell’immaginazione.<br />

Più che la volontà di rappresentazione<br />

del gioco perduto, del candore di<br />

uno sguardo che più non ci appartiene,<br />

c’è la fissazione delle icone del paesaggio<br />

dell’infanzia perenne, che la civilizzazione<br />

non può abrogare senza perdere<br />

l’intimità calda delle sensazioni tattili<br />

e visive del mondo colorato, proibito,<br />

fiabesco, che ci lega in sintonia alla natura,<br />

prima che intervenga ogni diaframma<br />

del pensiero riflessivo.<br />

Per questo <strong>Visca</strong> ha condotto fino in<br />

fondo una ricerca da isolato? Ci pare<br />

piuttosto che abbia condotto un itinerario<br />

suo proprio, per attraversare con una<br />

sua risposta alcune problematiche centrali<br />

delle temperie artistico-culturali del<br />

nostro tempo.<br />

Se Baj ha rappresentato negli anni passati<br />

un riferimento linguistico per <strong>Visca</strong>,<br />

per il suo ricco cromatismo polimaterico<br />

e per i tratti di rappresentazione bidimensionale<br />

delle icone, non ha però lasciato<br />

traccia delle suggestioni storiche<br />

e cronachistiche degli eventi emblematici,<br />

nella stagione degli impegni ideologici.<br />

Al tramonto delle ideologie, <strong>Visca</strong><br />

continua a mostrare una continuità ed<br />

una coerenza per la esemplificazione di<br />

un suo mondo fantastico nelle visioni<br />

più semplici ed essenziali dei momenti<br />

permanenti dotati di una carica di affettuosa<br />

aderenza verso i segni primordiali,<br />

che continuano però a travalicare il<br />

tempo e lo spazio. In una qualche maniera<br />

<strong>Visca</strong> ha quindi risposto non da<br />

isolato al problema centrale di un’età di<br />

incertezze e di smarrimento, mirando<br />

non alla fuga, né al coinvolgimento del<br />

fittizio realismo delle ideologie in universi<br />

magici irreali, ma al ritrovamento<br />

delle immagini eterne della memoria<br />

che possano consentire di reperire, nella<br />

complessità ingovernabile del presente,<br />

i segni grafici e attuali di ciò che


conta per sfuggire all’indeterminatezza<br />

erratica, senza ritrovarli nella storia transeunda,<br />

ma nelle evenienze più semplici<br />

ed essenziali. Lo ha fatto mirando a<br />

quel mondo caldo, partecipe di segni<br />

primari della vita e dell’ambiente, che<br />

solo chi ha coltivato il disincanto verso<br />

le sicure certezze degli iconoclasti sa ritrovare<br />

con gli occhi puri delle scoperte<br />

primigenie dell’infanzia della vita e di<br />

ogni civiltà nascente.<br />

È quanto ha tentato di fare la ventata<br />

postmoderna, quando, crollate le certezze<br />

delle grandi narrazioni ideologiche<br />

del Moderno, ha voluto ritrovare negli<br />

accostamenti eclettici di passate e più<br />

recenti stagioni una nuova verginità della<br />

citazione, sottratta alla contestualità di<br />

senso di una continuità storica e sociale<br />

obbligante. Ma, mentre il Postmoderno<br />

ha imboccato questa via attraverso la<br />

dominanza della complessità trasversale<br />

ed instabile tra icone diverse, che dovevano<br />

restituire nuova significatività a logorati<br />

modelli semantici, così come nel<br />

caso di Meyer Vaisman, che adotta un<br />

linguaggio polimaterico comparabile a<br />

quello del nostro, ma con l’intreccio<br />

dell’immaginifico antico e moderno nei<br />

suoi arazzi, <strong>Visca</strong> ripropone al contrario<br />

una dominanza di icone primarie dell’immaginario<br />

antropologico senza tempo<br />

né spazio, che funge da attrattore<br />

degli elementi analitici, ricchi, complessi,<br />

diffusivi, ridondanti, che mostrano la<br />

consapevolezza di un attraversamento<br />

contemporaneo, di una realtà magmatica<br />

e sovrabbondante, ma governandone<br />

il senso attraverso la riconduzione a<br />

modelli elementari della purezza sovrastorica.<br />

Con questo percorso inverso, <strong>Visca</strong><br />

suggerisce in apparenza un isolamento;<br />

che è invece un ribaltamento<br />

coerente della ricerca di una via di ripristino<br />

di senso alla mancanza di fondamento<br />

dell’età postmoderna, cui partecipa<br />

con pieno coinvolgimento, suggerendo<br />

solo la ricerca più diretta di immagini<br />

incontaminate, che prevalgono<br />

sul disordine, invece di assecondare il<br />

filone più influente della dominanza<br />

della complessità sulla semplicità originaria.»<br />

(Nerio Rosa, Coerenza ed epocalità nei<br />

lavori di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, testo nel pieghevole<br />

della mostra personale “<strong>Visca</strong>” alla<br />

galleria Experientia Art & di Teramo, 30<br />

novembre / 27 dicembre 1991).<br />

1992<br />

- <strong>Visca</strong> allestisce l’installazione “Firmamento<br />

di terra” (balle di paglia e luci a<br />

fiamma) nella piazza di Collelongo. La<br />

manifestazione è a cura del Teatro dei<br />

colori di Avezzano. 4/5 gennaio.<br />

- Dal 7 maggio al 30 giugno apre la<br />

mostra <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Paesaggi di fate”<br />

allo Studio Spica Design di Roma insieme<br />

agli scultori Marcello Aitiani, Mauro<br />

Berrettini, Rinaldo Bigi, Nado Canuti,<br />

Pietro Cascella, Annamaria Cesarini<br />

Sforza, Girolamo Ciulla, Daniel, Cordelia<br />

Von Den Steinen. Espone arazzi cuciti,<br />

tele dipinte a tecnica mista e cartoni<br />

cuciti.<br />

- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato all’Expo Mondiale<br />

di Siviglia “Expo 92” Pabellon de<br />

las Artes – Algunos recorridos del arte<br />

contemporanea en Italia a Siviglia,<br />

Spagna. Espone “Paesaggio” (arazzo<br />

cucito, cm. 142x195), “Paesaggio”<br />

(arazzo cucito, cm. 170x230), “Paesaggio”<br />

(arazzo cucito, cm. 160x200),<br />

“Notturno marino” (arazzo cucito, cm.<br />

150x197), “Pelle di paesaggio” (arazzo<br />

cucito, cm. 145x200). Nel catalogo i<br />

testi sono di Paolo Portoghesi e Egidio<br />

Maria Eleuteri. 21 settembre / 12 ottobre.<br />

1993<br />

- <strong>Visca</strong> partecipa alla mostra “Omaggio<br />

a Spoltore”. Espone “L’albero dei sogni”<br />

(arazzo cucito, cm. 50x50). Spoltore 25<br />

settembre / 2 ottobre.<br />

1995<br />

- In aprile apre la mostra personale<br />

“<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” alla Brioni Roman Style<br />

sulla 52 a Strada di New York. Espone<br />

una serie di cartoni dipinti e cuciti.<br />

Il 13 marzo 1995 Ruggero Pierantoni,<br />

ricercatore presso l’Istituto di Cibernetica<br />

e Biofisica del CNR di Genova e studioso<br />

di neuroscienze e psicologia cognitiva,<br />

nonchè Visiting Professor presso<br />

il Dipartimento di Architettura dell’U-<br />

niversità della Pennsylvania a Filadelfia,<br />

visita lo studio di <strong>Visca</strong> e prende visione<br />

del lavoro dell’artista per redigere<br />

un testo di presentazione alla mostra<br />

personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>” 1974-1994,<br />

che viene allestita presso la Sala del<br />

Diritto Comune del Palazzo Ducale dell’Università<br />

degli Studi di Camerino (21<br />

ottobre / 4 novembre 1995). In occasione<br />

di questo incontro <strong>Visca</strong> ha la<br />

possibilità di uno stimolante scambio di<br />

opinioni con Ruggero Pierantoni sulle<br />

scelte progettuali del “Grande firmamento”,<br />

opera ambientale predisposta<br />

per le manifestazioni estive dell’Ente<br />

Manifestazioni Pescaresi (agosto<br />

1995).<br />

«Come è possibile vivere in<br />

un ordine così mostruoso?» Si chiede<br />

l’amico Pierantoni, mettendo piede per<br />

la prima volta nello studio di <strong>Visca</strong>. E<br />

per un momento si inverte il cliché che<br />

vuole il primo-scienziato-rigoroso e preciso<br />

e l’altro-il pittore-immerso nel disordine<br />

caotico ma creativo degli artisti.<br />

Niente a che vedere, insomma, con<br />

quadri ed arazzi appesi in bell’ordine;<br />

tele diligentemente appoggiate alle pareti,<br />

come appena spolverate; gomitoli<br />

e rotoli di filo sistemati accuratamente<br />

nei ripiani; bottoni, aghi, passamanerie<br />

riposti nelle scatole come nella più organizzata<br />

merceria: ogni cosa sembra<br />

aver trovato il proprio posto – che è<br />

quello e non un altro – in un ordine<br />

quasi sacrale che sconcerta il visitatore.<br />

«L’ordine mi viene da un certo tipo di<br />

educazione familiare, dal mio ambiente...<br />

Ed oggi rappresenta il mio modo<br />

naturale di essere. Ma è anche un modo<br />

come un altro per difendermi da<br />

certi disordini mentali che ho e che vivo<br />

in rapporto al mondo: insomma una<br />

reazione inconscia a tutto quello che<br />

dentro di me è fuori posto e a tutto<br />

quello che nel mondo vorrei fosse più<br />

umano, più civile…». Ecco, civile. Ti accorgi<br />

subito di come questo aggettivo<br />

sia il più adatto a riassumere in una parola<br />

la poliedrica eppure limpida personalità<br />

dell’artista, a dare l’idea di una<br />

descrizione anche solo esteriore del<br />

personaggio.<br />

74 75 76<br />

Alto, fisico asciutto, viso fiero incorniciato<br />

da una barbetta accurata, modi da<br />

gentleman, non smentiti dall’abbigliamento<br />

informale (jeans, scarpe da tennis<br />

e pullover), che anzi denota nei particolari<br />

la ricerca di un decoro e di un rigore<br />

anche esteriore, <strong>Visca</strong> porta con<br />

disinvolta eleganza i suoi cinquant’anni.<br />

Tutto in lui trasmette un senso di tolleranza,<br />

apertura, disponibilità al dialogo,<br />

in una parola civiltà. Che poi non sia<br />

neutralità e tanto meno impassibilità inglese,<br />

lo rivelano gli occhi, o meglio<br />

quella morbidezza e pastosità dello<br />

sguardo che cerca nell’altro una comunanza<br />

di idee, un calore umano, un<br />

cenno di intesa, svelando la «gentilezza»<br />

di un animo tipicamente abruzzese, attaccato<br />

alle tradizione della sua terra, a<br />

quelle «stratificazioni culturali» dalle quali<br />

ha «potuto trarre gli stimoli e le motivazioni<br />

per la ricerca.»<br />

<strong>Visca</strong> è uno di quegli artisti che, decidendo<br />

per una scelta affettiva, di vivere<br />

ed operare in Abruzzo, praticano quotidianamente<br />

la virtù della «resistenza», di<br />

fronte all’indifferenza culturale delle istituzioni.<br />

«Sono tornato in Abruzzo nel ‘68 perché<br />

non credevo alla situazione politica<br />

del momento, alla possibilità di fare il<br />

cartello della contestazione. Credevo invece<br />

in un’altra via d’uscita, che era<br />

quella della possibilità di riproposte, per<br />

indicare nuove vie di costruzione del<br />

sociale. Purtroppo questo non è avvenuto.<br />

Ma sono convinto che un artista<br />

per esprimersi veramente non può essere<br />

legato a nulla, né al successo né<br />

alla critica, né al mercato, né tanto meno,<br />

a quello che le mode del potere richiedono.<br />

Personalmente ho cercato di<br />

vivere la mia storia d’artista dentro una<br />

libertà totale di pensiero, lontano da<br />

qualsiasi condizionamento…».<br />

Pittore, scultore, arazziere, un po’ poeta<br />

e un po’ filosofo, <strong>Visca</strong> si è espresso attraverso<br />

un lavoro polivalente – dove<br />

non è mancata persino la realizzazione<br />

di un film d’arte – per una curiosità innata<br />

verso la sperimentazione e la ricerca<br />

di nuovi modi d’essere, perché, come<br />

ama affermare «la verità non esiste,<br />

ma sarebbe disastroso non cercarla».


184<br />

1995<br />

“Il grande firmamento” (ambientazione)<br />

Struttura in legno, pavimento in feltro nero inclinato di 5 gradi,<br />

interno totalmente oscurato, soffitto dipinto su tela nera con tempere fluorescenti, illuminazione interna a luce nera<br />

Musiche di: Karlheinz Stockhausen e Krysztof Penderecki<br />

(ingresso cm 200x200x220 - interno cm 500x500x350)


“Osservatorio”<br />

Da tutto il mondo si vedono le stelle<br />

185


Nato come pittore figurativo, dopo una<br />

fase post-informale, è ritornato alla figura,<br />

per passare piano piano alla rappresentazione<br />

di quel mondo magico, favolistico<br />

dell’ultima produzione, dove un<br />

ruolo fondamentale ha il “cucito”, quell’intenso<br />

“lavoro di strappo e costruzione”<br />

dietro cui i critici hanno rinvenuto<br />

complesse motivazioni di natura psicologica<br />

ed antropologica.<br />

Più semplicemente per lui il cucito rappresenta<br />

il recupero di una passione<br />

nata per gioco nell’infanzia, quando,<br />

nella casa isolata fuori dell’Aquila, si divertiva<br />

a realizzare abiti per le bambole<br />

della sorella o costumi per le rappresentazioni<br />

teatrali che inventava nel teatrino<br />

costruito in giardino.<br />

«Fu così che negli anni ‘70 ho iniziato a<br />

realizzare delle sculture di pezza, dei feticci,<br />

dei pupazzi enormi, creati con stoffe<br />

diverse ed altri orpelli. E nel ‘74 ho<br />

messo in atto il primo arazzo cucito, fino<br />

ad arrivare agli ultimi quadri che sono<br />

fatti di stoffa anche se tirati su un telaio».<br />

Tu parli di operatività, ma quanta parte<br />

ha l’ispirazione nel lavoro di un artista?<br />

«L’ispirazione è una cosa che hanno inventato<br />

i dilettanti e la sottocultura. Fare<br />

pittura da professionisti è un lavoro e<br />

come tale va svolto con rispetto, anche<br />

quando non se ne ha voglia e si avverte<br />

il fastidio della fatica fisica. Il ruolo<br />

dell’artista non è quello di un visionario<br />

sognatore in attesa dell’ispirazione, ma<br />

quello di un individuo che si interessa<br />

dal vivo, attraverso la propria coscienza<br />

e partecipazione, dei problemi che riguardano<br />

il mondo».<br />

Un mondo che <strong>Visca</strong> osserva però con<br />

sempre maggiore disagio per “la volgarità<br />

del sociale” che incombe e che<br />

sembra spingerlo ad evocare nei suoi<br />

“cuciti” un universo remoto, magico: ora<br />

perso nella sontuosità di immagini bizantineggianti,<br />

ora nostalgicamente descritto<br />

nella semplicità di un Abruzzo<br />

naturale e primitivo, ridotto ai suoi segni<br />

essenziali: il mare, la natura, il monte...<br />

Non c’è figura umana nei cuciti di <strong>Visca</strong>,<br />

come se la presenza dell’uomo potesse<br />

portare solo disordine in quell’universo<br />

netto, nitido, senza sfumature ed ambi-<br />

77 78<br />

guità, giocato spesso su di un solo colore:<br />

il rosa, il grigio, il bianco, l’azzurro. O<br />

potesse disturbare l’immobile magia di<br />

momenti che assurgono ad eventi cosmici<br />

e per questo richiedono il nostro<br />

rispetto: la nascita di un asparago, la caduta<br />

di foglie d’oro, l’attesa del fagiano<br />

dorato, come recitano i titoli di alcune<br />

tavole.<br />

E fin dalla geometrica precisione dei titoli,<br />

<strong>Visca</strong> sembra voler far ordine, mettere<br />

ogni cosa al suo posto, non lasciare<br />

spazio a interpretazioni errate, dietrologie<br />

che si nutrono di se stesse e perdono<br />

di vista la semplicità e perfezione<br />

dell’esistenza che egli vuole ritrarre come<br />

modello per il nostro vivere schizofrenico».<br />

(Daniele Cavicchia, La civile “resistenza”<br />

nelle opere di <strong>Visca</strong>, «Il Messaggero»,<br />

Pescara, I giugno 1995, p. XIII).<br />

- In agosto, invitato dall’Ente Manifestazioni<br />

Pescaresi, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> allestisce<br />

all’Ex Gaslini di Pescara l’ambientazione<br />

“Il grande firmamento” (struttura in<br />

legno, pavimento inclinato di cinque<br />

gradi foderato in feltro nero, interno totalmente<br />

oscurato, soffitto dipinto su tela<br />

nera con tempere fluorescenti e illuminato<br />

con lampade di Wood. Ingresso<br />

m. 2x2x2,50 chiuso con tende nere,<br />

spazio interno m. 5x5x3,50).<br />

Musiche tratte da:<br />

LA MUSICA NUOVA<br />

Gazzelloni / Maderna<br />

Karlheinz Stockhausen<br />

1. KONTRA – PUNKTE<br />

Krzysztof Penderecki<br />

2. AUX VICTIMES DE HIROSHIMA –<br />

THRENE<br />

Frederick Rzewski, pianista<br />

Solisti dell’Orchestra Sinfonica di Roma<br />

diretti da Bruno Maderna<br />

Nel catalogo della mostra il testo è di<br />

Daniele Cavicchia.<br />

«Potrebbe accadere, improvvisamente,<br />

a ciascuno di noi di perdersi.<br />

Ci si potrebbe perdere in un bosco, nelle<br />

strade di una grande città, oppure<br />

davanti casa, nella nebbia, come accade<br />

al padre del protagonista del film di Fellini<br />

“Amarcord”.<br />

Ma a volte accade di perdersi in se<br />

stessi, o in sogni angosciosi e al risveglio<br />

cercare un appiglio, qualcosa di conosciuto,<br />

per ristabilire le giuste coordinate.<br />

Altre volte il perdersi diventa una<br />

scelta disperata, un modo alienato e artificiale<br />

di fuggire la realtà.<br />

Altre volte ancora, perdersi è disperdersi:<br />

nella frettolosità e fatuità del quotidiano,<br />

nella superficialità dei rapporti,<br />

nella menzogna degli impegni e degli<br />

alibi che ogni momento ci costruiamo<br />

per non fermarci un attimo a riflettere<br />

su noi stessi.<br />

Camminare a capo chino è ormai prerogativa<br />

dei più, un modo di perdersi<br />

camminando, un modo per disconoscere<br />

i propri simili, un modo per non farsi<br />

riconoscere nemmeno da se stessi.<br />

Potrebbe accadere, però, di trovarsi davanti<br />

a qualcosa di bello e inusuale, che<br />

ci costringe a fermarci ed alzare lo<br />

sguardo, per quel richiamo istintivo che<br />

viene da dentro e che la ragione non<br />

riesce a spiegare. Un paesaggio, come<br />

una scultura o un quadro, una poesia...<br />

tutto ciò che per un momento colpisce<br />

i nostri sensi e ci induce a riflettere.<br />

E l’opera diventa il pretesto per parlare<br />

un po’ con se stessi, per confrontarsi,<br />

per scoprire se siamo ancora in grado<br />

di apprezzare il bello, di discernere il<br />

bene dal male.<br />

Ecco allora l’artista, più avvezzo ai contatti<br />

con lo spirito, che si fa tramite, suo<br />

malgrado (perché il vero artista crea per<br />

sé) tra il noi conosciuto (che un po’ temiamo)<br />

e l’altro noi, quello ancora in<br />

grado di stupirsi, come il fanciullino pascoliano.<br />

“Il grande firmamento” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

sembra porsi in quest’ottica di provocazione:<br />

provocare quell’incontro di noi<br />

con noi stessi che da tempo rimandavamo,<br />

ma al quale, nello spazio limitato e<br />

buio del suo cubo, non possiamo più<br />

sottrarci.<br />

L’infinitamente grande e l’infinitamente<br />

piccolo, l’universo e l’uomo. Ogni cosa<br />

cerca il suo opposto e finisce con il trovarlo,<br />

secondo una legge non scritta.<br />

Costretto nel buio disorientante della<br />

stanza, tra vertigine ed equilibrio, ad alzare<br />

lo sguardo verso il cielo stellato riprodotto<br />

da <strong>Visca</strong> sul soffitto, lo spettatore<br />

non potrà, poi, che ripiegare su se<br />

stesso, ritrovarsi, anche se per un attimo,<br />

dopo essersi a lungo perso. Perché<br />

lo spazio infinito che si apre ai suoi occhi,<br />

calamitandolo con i suoi punti luminosi,<br />

è la stessa voragine sconosciuta<br />

della sua anima che egli teme di esplorare,<br />

ma che, suo malgrado, gli si spalanca<br />

davanti. La scatola magica di <strong>Visca</strong><br />

vuole essere la benevola trappola che<br />

l’artista tende all’ignaro visitatore, un po’<br />

giocosamente e un po’ seriamente, come<br />

è nella sua natura affabile e<br />

nient’affatto prevaricatrice, per “costringerlo”<br />

a cercare il cielo, a scoprire la<br />

meravigliosa architettura delle stelle, a<br />

perdersi, per una volta, nell’immensità<br />

dello spazio e non più nell’angustia dei<br />

suoi limiti, a svelare la sua stessa natura<br />

infinita.<br />

Di <strong>Visca</strong> conosciamo i paesaggi nitidi e<br />

poetici, dove le stelle fanno capolino,<br />

lontane e ammiccanti, come nei disegni<br />

dei bambini. Paesaggi fintamente ingenui,<br />

immobili, irreali, come in un sogno<br />

d’evasione, dove lo sguardo può riposarsi<br />

e ritemprarsi dallo squallido disordine<br />

delle architetture urbane. Lì la provocazione<br />

è forse più soft, sottintesa, in<br />

un gioco di allusioni e di rimandi non<br />

sempre esplicito. La “nascita di un asparago”,<br />

sbattuta in primo piano sulla tela<br />

come sulla prima pagina di un giornale,<br />

al di là dell’immobile magia descrittiva,<br />

apparentemente fine a se stessa, è forse<br />

la satira sottile di una certa affannosa<br />

corsa degli uomini dietro che? che cosa?,<br />

perdendo di vista la semplicità e<br />

perfezione della natura che si rinnova<br />

secondo leggi ordinate e ineluttabili: in<br />

un asparago che nasce come nelle foglie<br />

autunnali che cadono o nell’esatta<br />

geometria di un cielo stellato».<br />

Nella nascita di un asparago o nel cubo<br />

nero, abita la stessa coerenza.<br />

(Daniele Cavicchia, testo nel catalogo<br />

per l’ambientazione “Il grande firma-


mento” all’Ex Gaslini di Pescara, agosto<br />

1995).<br />

- Dal 21 ottobre al 4 novembre apre<br />

la mostra “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”, 1974 /<br />

1994, al Palazzo Ducale nella Sala del<br />

Diritto Comune dell’Università degli<br />

Studi di Camerino. Espone quasi cento<br />

opere tra arazzi, tele dipinte a tecnica<br />

mista e sculture). Nel catalogo della<br />

mostra i testi sono di Lucio Fraccacreta,<br />

Enrico Crispolti, Tito Spini e Ruggero<br />

Pierantoni.<br />

«Va detto subito che ogni uomo<br />

vorrebbe avere l’aspetto del Sean<br />

Connery maturo, l’aspetto appunto che<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> si porta in giro, con calma<br />

e con serenità. Ma io, in particolare, vorrei<br />

vivere nell’ordine pulito attento e rigoroso<br />

dello studio dove disegna, pensa<br />

e forma le sue opere. Un ordine che<br />

tanto contraddice le disordinate furie<br />

pseudo-creative di tanti studi spiritati e<br />

fasulli, di tanta deprimente e scoraggiante<br />

ideologia della creazione ad ogni<br />

costo. Creazione che dovrebbe, per necessità,<br />

sorgere da stanze in disordine,<br />

da pavimenti ingombri, da muri imbrattati<br />

di inutili segni “creativi”. Lo spazio<br />

attorno a <strong>Visca</strong> è semplice, chiaro, gli<br />

strumenti sono amati, protetti, arrangiati<br />

nel loro inevitabile ordine gerarchico.<br />

L’unico ordine che sancisce il grado di<br />

aristocrazia: lo strumento più nobile è<br />

quello, al momento, più usato. E, come<br />

tale, domina discretamente sugli altri. In<br />

attesa di essere sostituita dall’ago e dal<br />

filo e dal cuoio la matita siede al posto<br />

giusto. Sarà, più avanti, il ruolo dominante<br />

della sgorbia, del bulino, del trapano<br />

a modificare ancora una volta,<br />

con precisione funzionale, questa mobile<br />

scala sociale degli strumenti.<br />

Non so se il paragone farà piacere a <strong>Visca</strong><br />

ma il suo studio mi ha ricordato fittamente<br />

nei particolari un immenso garage<br />

nel nord più nord del Canada dove<br />

viveva una donna giovane e, apparentemente,<br />

sola. Vi ricorremmo per un guasto<br />

al camper. Essa aveva tutti gli strumenti<br />

in ordine immacolato, tutte le forme<br />

di cacciaviti, di trapani, di livelle... mi<br />

ricordò, essa, Calipso che porta a Ulisse<br />

seduto sulla riva e disperato di partire<br />

tutti i necessari strumenti, che essa evidentemente<br />

possedeva e conservava.<br />

Dea solitaria al limite del mondo umano<br />

e divino.<br />

Mi domanderei adesso a quale viaggio<br />

immobile si appresta <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> da<br />

questa plancia di comando così geometrica,<br />

uniformemente luminosa e onestamente<br />

abitata. E poiché per i viaggi<br />

occorrono le carte geografiche e i cammini<br />

mi pare che queste tre stanze siano<br />

la sede della evocazione e della rappresentazione<br />

di mondi da visitare, non<br />

da conquistare. Da amare, non da possedere.<br />

Che si tratti di viaggi e di mappe<br />

me ne sono convinto, anche se la<br />

convinzione non corrisponde forse all’intenzione<br />

di <strong>Visca</strong>. Ma nell’idea di<br />

viaggio si integra forte e definitivo il<br />

senso della possibilità di vivere e quindi<br />

l’attitudine gentile e sicura che vale la<br />

pena di muoverasi. Che vale la pena di<br />

inseguire dei segni, delle correnti, dei<br />

profili di monti. E, se ne vale la pena,<br />

vuol dire che di vivere vale la pena.<br />

L’altro aspetto gradevole di <strong>Visca</strong> è la<br />

coscienza tranquilla che le cose potrebbero<br />

andare infinitamente meglio ma<br />

che non conviene urlare, dimenarsi, agitarsi,<br />

lanciare sguardi allusivi e carichi di<br />

“indignazione”.<br />

Il compito che egli si è attribuito è quello<br />

di tracciare, per se e per gli altri, linee<br />

di fuga, uscite di sicurezza, aprire porte<br />

e finestre troppo spesso dimenticate<br />

chiuse, aggiungere ad aggettivi lieti e<br />

positivi altri aggettivi lieti e positivi, tracciare<br />

con cura le curve altimetriche di<br />

un paese che viene solo sognato. In un<br />

certo senso eroicamente muoversi con<br />

calma e in silenzio facendo vedere, non<br />

ostentando, le infinite combinazioni della<br />

felicità. Esploratore accurato e partecipe<br />

delle realtà geografiche e umane del<br />

Sud America egli sa benissimo come<br />

cantava Atahualpa Yupanqui nel suo desolato<br />

“Camino del indio”: “Caminantes,<br />

no hay caminos, se hace camino al andar”.<br />

E quindi i suoi percorsi, le sue<br />

mappe, i suoi testi grafici e plastici contengono<br />

momenti di scoraggiamento,<br />

tristezze improvvise, dettagli atroci e minuscoli<br />

(le “minuscole ignominie” di<br />

Borges). Esattamente come entro la pagina<br />

multicolore e solare di Marquez<br />

stanno certe disperazioni, certi suicidi<br />

annunciati, certi silenzi mortali così tra<br />

le stelle e gli svagati asparagi di bronzo<br />

e fulmini tipografici incontri un uccello<br />

smarrito, un artiglio adunco, un fuoco<br />

che brucia solo se stesso. In “Map and<br />

Mirror” Sir Ernest Gombrich descrive la<br />

complessa fenomenologia culturale della<br />

mappa e vi riconosce una forma ibrida<br />

sospesa tra l’alfabeto, la pittura, la<br />

poesia e la “semplice” rappresentazione.<br />

Così paludi sono disegnate come<br />

paludi con piante infestanti, i boschi sono<br />

fitte compagini di alberi stretti stretti<br />

tanto da non farti vedere il terreno, le<br />

città formalizzate sono un campanile,<br />

un ponte una porta. A volte ci incontri<br />

persino l’ombra, il riflesso del fiume, il<br />

cancello semiaperto di un orto. Ma accanto<br />

hai il numero, la misura, la scala,<br />

il nome.<br />

E, coerentemente, le mappe di <strong>Visca</strong>,<br />

hanno questa qualità di testo scritto con<br />

un alfabeto semplice e chiaro e di pochi<br />

simboli. Guardando e riguardando le<br />

immagini da lui dipinte, incise, cucite,<br />

fuse e ricamate (perché <strong>Visca</strong> ricama,<br />

anche) ho annoverato circa ventiquattro<br />

geroglifici. Mi sembra che egli scriva con<br />

ventiquattro simboli. Gli bastano. Mi bastano.<br />

Non li elencherò qui tutti ma sono<br />

così gradevoli, così riconoscibili, è<br />

così piacevole rincontrarli immagine dopo<br />

immagine, riconoscerli nella loro<br />

continua metamorfosi che fa piacere<br />

farne una sorta di abbreviatissimo dizionario,<br />

o forse vocabolario.<br />

Angolo: a volte sembra proprio l’Angolo,<br />

quello dei testi di geometria per le<br />

Scuole Medie. Con il suo bravo cerchietto<br />

ribattuto al vertice, altre volte addirittura<br />

esce da un arco di cerchio che,<br />

però se lo guardi diventa sempre più<br />

“arco” e la Geometria Elementare si<br />

scioglie scompare e la freccia può, finalmente,<br />

partire. Ma l’Angolo, senza annunci,<br />

diventa facilmente una vela piantata<br />

un po’ di sbieco su di un mare che<br />

sarebbe piaciuto assieme sia a Klee che<br />

a Euclide.<br />

Fulmine: è il fulmine tipografico. È la<br />

vera saetta con i fianchi a zig-zag, la<br />

79 80 81<br />

punta acuminata che si infila nel mare,<br />

il fulmine del bambino e dell’eroe, il fulmine<br />

delle previsioni del tempo. A volta<br />

scende verso il basso da nuvole ondulate<br />

e scalate astutamente dei colori figli<br />

del blu, a volta sale dal basso, esce da<br />

camini, si allontana da fiori schematici e<br />

“fulminei”. Può essere rosa, può essere<br />

di bronzo, può essere nero o solo essere<br />

fatto di aria, ritagliato come in negativo<br />

dalla nuvola madre, come in “Piccole<br />

Tempeste”.<br />

Asparago: inequivocabilmente ortofrutticolo.<br />

Gli esegeti che si sforzeranno di<br />

dargli connotati fallico-freudiani dovranno<br />

fare i conti con la sua assoluta immacolata<br />

vegetalità, il colore brunoverde<br />

delle foglioline, il gambo abbagliante,<br />

la cuspide rossa e violetta. Ma esso<br />

si presenta a volte solo, a volte in gruppo<br />

con altri fratelli, alcuni un po’ barbari<br />

e coperti di scaglie di cuoio come il catafratto<br />

di D’Annunzio. Altri si presentano<br />

lignei o germanici, o scivolano sinuosi<br />

come il loro riflesso su di un’acqua<br />

oleosa di un porto. Sembrano insensibili<br />

e silenziosi, e quasi arroganti.<br />

Ma ne incontri alcuni che sentono fortissimamente<br />

l’attrazione di una stellina<br />

di bronzo lontana e si tendono verso di<br />

lei, spuntando obliqui e curiosi oltre<br />

una coltre di onde matematiche. Ne incontri<br />

quasi un clan in “Asparagi” ma,<br />

nel “Giardino dei frutti proibiti” l’asparago<br />

è il Re (degli scacchi). Mi ricordano,<br />

queste creature vegetali così arcaiche<br />

ed essenziali, ma buonissime da mangiare,<br />

l’episodio narrato da Brillat Savarin<br />

nel suo ‘’Meditazioni di Gastronomia<br />

Trascendente” in cui si narra dello<br />

scherzo bonario inferto a quel Canonico<br />

che era oltremodo orgoglioso dei propri<br />

asparagi che egli faceva crescere nell’orto<br />

dietro la chiesa. Nottetempo vennero<br />

gli amici, colsero gli asparagi veri e li sostituirono<br />

con una popolazione di falsi<br />

asparagi ben scolpiti ben colorati che,<br />

notte dopo notte, facevano “crescere”.<br />

Sino al ligneo, beffardo banchetto finale.<br />

Quelli veri erano ormai stati ampiamente<br />

celebrati in un altro, più privato,<br />

banchetto cui il Canonico non venne invitato...


Spirale: destrorsa o sinistrorsa, sottile o<br />

resa barocca di tutta una popolazione di<br />

segni e di colori sta sola o si accompagna<br />

ad altre sorelle. Può uscire da una<br />

sorta di camino o, piuttosto, da una guglia<br />

conica di castello francese cui è attaccata<br />

da una piccola presa, una mano<br />

nascosta che la trattenga sul posto.<br />

Che le impedisca di volarsene via. Ma,<br />

altre volte, è il percorso stesso dell’Uccellino<br />

(vedi alla voce) che se la tira<br />

dietro in racemi e intrecci di una memoria<br />

calligrafica e piamente scolastica.<br />

Uccellino: è questa la creatura viva forse<br />

unica ma quasi sempre presente<br />

nelle mappe di <strong>Visca</strong>. Si tratta di un uccellino<br />

che sta a mezzo tra la pernice e<br />

la quaglia tra la gazza e la triste gallina.<br />

Quella che, per capirsi, “ritorna sulla<br />

via...” una volta smesso di piovere. A<br />

volte moltiplicata in uno stormo che<br />

punta ad un eroico esodo senza ritorno,<br />

o che ritorna dopo l’ennesima migrazione.<br />

A volte curiosa, sola, mezzocelata<br />

nel verde smerlato di un prato ricamato<br />

a giorno (ma un po’ cattivo nelle lame<br />

dell’erba) attende che il cacciatore si distragga.<br />

Ma la volta dopo è atterrata,<br />

morta forse, uccisa da un inganno nell’Agguato<br />

di un disco di bronzo sospeso<br />

su quattro artigli lucenti. Come in “Cacciatore”<br />

di Garcia Lorca dove “quattro<br />

colombe per l’aria vanno, volano e portano<br />

le loro quattro ombre” già morte.<br />

Cosa essa sia per il suo creatore o compagno,<br />

non lo so. Ma da questa creatura<br />

inerme e indistruttibile, paurosa e impavida<br />

spira una costanza nel voler sopravvivere,<br />

nel voler vedere, capire e<br />

“esserci” che non la scambierei né con<br />

l’aquila, né con il pellicano, né con l’Araba<br />

Fenice.<br />

Stella: è quasi invariabilmente pentagonale<br />

e senza simmetrie stellari, un po’<br />

malfatta, con i raggi diseguali, buttata li<br />

per caso, opzione della Creazione astronomica.<br />

Più grafica e infantile che<br />

scientifica e siderale stabilisce attorno a<br />

se un campo gravitazionale gentile e<br />

inesorabile che vi attrae punti colorati,<br />

fumi, teste speranzose di asparagi e altre<br />

stelle.<br />

Potrebbe questo dizionario, questo vocabolario<br />

dei segni individuali di <strong>Visca</strong><br />

continuare tanto che mi da piacere rievocarli<br />

dopo che li ho isolati dal loro<br />

mondo, li ho “tirati giù” e li ho messi in<br />

ordine non alfabetico.<br />

Quello che commuove e seduce sono<br />

quasi sempre le forze invisibili che si intrattengono<br />

tra questi simboli, tra queste<br />

parole. Una stella si piega verso un<br />

asparago, una spirale mette un vento<br />

intenso e verde in una popolazione di<br />

asparagi che seguono la brezza e che,<br />

se non fossero radicati, se ne starebbero<br />

adesso tutti per aria. Una stella, forse<br />

marina (magari un riflesso di una stella)<br />

galleggia su di un’onda di bronzo e, a<br />

parte, sta una punta acuminata ma rotonda,<br />

lucida ma non dura, che allude<br />

alle profondità di quel mare. Allude alla<br />

pericolosità ma anche alle meraviglie<br />

della navigazione.<br />

Ma esiste un’altra presenza curiosa, celata,<br />

resa trasparente dalla sua autoironia.<br />

Qua e la incontri delle curiose forme<br />

di prospettiva: alcuni tavoli la abbozzano<br />

in un angolo per presto dimenticarla<br />

in quello vicino. A volte un<br />

piedistallo inizia ad articolare con precisione<br />

infantile e scolastica i nomi delle<br />

sue modanature: gola rovescia, listello,<br />

scozia, toro... ma poi resta li, perplesso<br />

a metà di un segno. Altre vedi delle finestre,<br />

aperture in un cubo sghembo<br />

che avrebbe fatto la delizia di Pavel Florenskji<br />

a veder la sua “Prospettiva Invertita”<br />

ancora godere, tra noi miscredenti,<br />

di una sua fortuna rara ma salda. Qui<br />

sotto c’è, a mio parere, la Scuola e ciò<br />

che <strong>Visca</strong> di essa pensa. Sono restato<br />

sorpreso, nell’ascoltarlo, nel rilevare che,<br />

a differenza della quasi totalità degli Insegnanti<br />

di Scuole Superiori che ho incontrato,<br />

non mi ha mai parlato male<br />

della scuola. Certo sorrideva nella barba<br />

con comprensione delle infinite debolezze<br />

di questa nostra creatura fragile e<br />

sempre sull’orlo di affogare che è la<br />

Scuola. Allora, ma si tratta di personale<br />

affabulazione, l’Uccellino mi parve la<br />

Scuola. Appiattato per non essere impallinato,<br />

reso furbo e veloce per non<br />

farsi prendere, attento e paziente per<br />

non farsi mettere in forno. Continuamente<br />

sull’orlo dell’estinzione ma mai<br />

scomparso dagli Atlanti. <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

non scivolò sul quasi inevitabile pendio<br />

dell’ingiuriarla, la Scuola, del condannarla,<br />

farne bersaglio di contumelie. Quelle<br />

poche citazioni del mestiere del disegnatore,<br />

l’accenno parco alla prospettiva,<br />

i profili imbarazzati e tronfi dei piedistalli<br />

vagamente architettonici, un piccolo<br />

ricordo di contrasto cromatico istituzionale,<br />

tutto mi ha fatto sospettare,<br />

in <strong>Visca</strong>, un Insegnante paziente ironico<br />

e gentile. Una di quelle persone che,<br />

all’incontrarlo venti anni dopo, per un<br />

viale, metti giù il piede dalla bicicletta e<br />

gli dici: “E, allora, gli Asparagi sono cresciuti?».<br />

(Ruggero Pierantoni, Un alfabeto di<br />

ventiquattro segni, testo nel catalogo<br />

della mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”<br />

1974 / 1994, alla Sala del Diritto Comune<br />

del Palazzo Ducale dell’Università<br />

degli Studi di Camerino, 21 ottobre / 4<br />

novembre 1995).<br />

- Dal 22 dicembre 1995 al 18 febbraio<br />

1996 è invitato alla mostra “Lupo”, dall’Abruzzo<br />

all’immaginario, al Salone<br />

delle Fontane a Roma Eur. Espone “Attendere<br />

serenamente fuori della tana<br />

del lupo” (collage dipinto e pelli cucite,<br />

cm. 57x77).<br />

La mostra è a cura di Alessandro Mendini.<br />

1996<br />

- In giugno <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è invitato alla<br />

mostra “Spazio dell’800-900 in Abruzzo”<br />

alla Sala Michetti del Consiglio Regionale<br />

d’Abruzzo a L’Aquila. Espone<br />

“Sogno di un paesaggio di mare”<br />

(arazzo cucito cm. 155x195).<br />

- È presente con l’opera “Nascita di un<br />

asparago” (scultura in semirefrattario<br />

biscottato, la parte superiore smaltata<br />

e toccata in oro, cotture 1 (980°C), 2<br />

(900°C), 3 (750°C), h. cm. 61 – ø di<br />

base cm. 12), alla mostra “Raccolta Internazionale<br />

d’Arte Ceramica Contemporanea”<br />

al Museo Regionale dell’lstituto<br />

d’Arte F.A. Grue di Castelli. Nel catalogo<br />

i testi sono di Enzo Biffi Gentili e<br />

Eduardo Alamaro.<br />

- Dal dicembre 1996 al gennaio 1997<br />

si apre la mostra antologica <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

“Vessilli d’amore” al Museo Speri-<br />

82 83 84<br />

mentale d’Arte Contemporanea dell’Aquila.<br />

Espone un centinaio di opere tra arazzi<br />

cuciti, tele dipinte a tecnica mista, cartoni<br />

dipinti e cuciti, strutture polimateriche,<br />

sculture di pezza e sculture in<br />

bronzo e ferro di piccolo formato. Nel<br />

catalogo i testi sono di Nicola Ciarletta,<br />

Benito Sablone, Lucio Fraccacreta, Gino<br />

Marotta, Diego Carpitella, Enrico Crispolti,<br />

Tito Spini, Ruggero Pierantoni.<br />

1997<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra “Teatrarte<br />

novantasette” al Teatro D’Annunzio di<br />

Pescara. Espone “Attendere serenamente<br />

fuori della tana del lupo” (collage<br />

dipinto e pelli cucite, cm. 57x77). La<br />

mostra è a cura di Nicoletta Di Gregorio.<br />

9 luglio / 18 agosto.<br />

- In questo anno <strong>Visca</strong> partecipa, insieme<br />

a Edoardo Caroccia e a un ristretto<br />

gruppo di amici, alla fondazione dell’Associazione<br />

Culturale “Gli alianti”, di<br />

cui disegna il logo, che come prima iniziativa<br />

nel 1998 promuove con grande<br />

successo, alla Galleria della Stazione<br />

Centrale di Pescara, un’importante antologica<br />

di Andrea Pazienza. La monografia<br />

“Andrea Pazienza” Edizioni Baldini<br />

& Castoldi, è a cura di Vincenzo Mollica<br />

e Michele e Mariella Pazienza, 25<br />

aprile / 21 giugno.<br />

Sempre alla Galleria della Stazione<br />

Centrale di Pescara seguono nel 1999<br />

un’altra grande antologica di Tanino Liberatore.<br />

La monografia “Liberatore”,<br />

Da Quadri a Parigi, Disegni e illustrazioni<br />

1975-1999 è a cura della Casa<br />

Editrice 3ntini & C.<br />

Nel 2000 viene aperta una mostra di<br />

Milo Manara. Il catalogo è a cura delle<br />

edizioni Gli Alianti.<br />

Nel 2001, con grande successo, viene<br />

promossa la retrospettiva di Pino Zac al<br />

Forte Spagnolo dell’Aquila che viene replicata<br />

in gennaio al Palazzo delle<br />

Esposizioni a Roma. Il catalogo “Pino<br />

Zac” è a cura delle edizioni Gli Alianti.<br />

1998<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, per il suo vivo interesse<br />

verso la storia dell’uomo e dei rapporti


con il luogo e i costumi territoriali nel<br />

1998, insieme a sua moglie Brunella e<br />

alcuni amici venezuelani, Fausto Giannangeli<br />

Rosa, Silvia e Mirna Parra e Josè<br />

Luis Padilla parte da Puerto La Cruz<br />

e attraversando la Gran Sabana Venezuelana<br />

da Canaima a Roraima arriva,<br />

dopo un percorso di duemila chilometri<br />

di geep, fino in Brasile.<br />

Nell’estate dell’anno successivo, insieme<br />

a sua moglie Brunella, si avventura<br />

in Africa settentrionale e percorre in<br />

geep millecinquecento chilometri del<br />

deserto tunisino attraversando le oasi e<br />

i luoghi più rilevanti.<br />

In questi viaggi così impegnativi, dove<br />

la fatica fisica e i disagi sono una delle<br />

componenti filosofiche che lo accompagnano<br />

si scopre in lui non solo il piacere<br />

del viaggiatore naturalista, ma anche<br />

la passione per la fotografia. Perché<br />

<strong>Visca</strong> è anche un bravissimo fotografo,<br />

certo è un suo hobby, ma lui, riservato<br />

come sempre, sfugge da qualsiasi<br />

elogio e non vuole essere riconosciuto<br />

tale.<br />

- Dal 9 al 12 ottobre espone “Paesaggio”<br />

(arazzo cucito, cm. 170x230) e<br />

“Asparago” (arazzo tessuto al telaio di<br />

Paola Pia di Civitella Alfedena) alla mostra<br />

“Abitare il tempo”, Mostre di sperimentazione<br />

e ricerca “Riprogettare il<br />

passato”, a Verona. Nel catalogo il testo<br />

è di Mariano Apa.<br />

- Dal 31 ottobre al 15 novembre l’Istituto<br />

Statale d’Arte dell’Aquila lo invita<br />

alla mostra “40° Anniversario dell’lstituto<br />

Statale d’Arte” al Forte Spagnolo dell’Aquila.<br />

Espone “La grande montagna”<br />

(stoffe e pelli cucite, cm. 100x150).<br />

- Il 20 dicembre si inaugura la mostra<br />

“Museo e archivio di artisti abruzzesi<br />

contemporanei” (collezione permanente)<br />

al Castello Medievale di Nocciano.<br />

Espone “Voli misteriosi sulla montagna”<br />

(stoffe e pelli cucite, cm. 100x100). La<br />

mostra è a cura di Eugenio Riccitelli.<br />

1999<br />

- <strong>Visca</strong> insieme ad altri artisti quali Carla<br />

Accardi, Bruno Ceccobelli, Peter Flaccus,<br />

Gino Marotta e Egon Wostemeier<br />

partecipa alla mostra “Annodo”, Kilim<br />

contemporanei, al Chiostro di San Salvatore<br />

in Lauro a Roma. Espone “Preghiera”<br />

(tappeto Kilim, cm. 143x172,<br />

tessitrice Mali Ha Talasli, tintore Mehmet<br />

Tosunyalin). La mostra è a cura di<br />

Giovanna Odorisio.<br />

- Dal 18 luglio all’8 agosto si inaugura<br />

la mostra “Artisti & Venti 1944-1999”<br />

Rassegna d’Arte Moderna e Contemporanea,<br />

al Forte Spagnolo dell’Aquila.<br />

Espone “Paesaggio estivo” (stoffe cucite,<br />

cm. 150x50). La mostra è a cura di<br />

Antonio Gasbarrini.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato a partecipare alla mostra<br />

“Epicaforma” National exbition al<br />

Columbus Centre di Toronto, Canada.<br />

Espone “Prima della tempesta” (tela dipinta<br />

a tecnica mista, cm. 50x70), “Tramonto<br />

estivo” (tela dipinta a tecnica<br />

mista, cm. 50x70). La mostra è a cura<br />

di Mariano Apa.<br />

- Dal 14 agosto al 26 settembre si<br />

inaugura la mostra “Alitalia per L’arte”,<br />

Artisti per la 705 a Perdonanza Celestiniana,<br />

al Forte Spagnolo dell’Aquila.<br />

Espone “Fuochi sulla montagna” (stoffe,<br />

pelli e spaghi cuciti, cm. 100x150).<br />

La mostra è a cura di Massimo Duranti.<br />

- <strong>Visca</strong> il 5 settembre è invitato dall’Università<br />

degli Studi di Camerino al<br />

12 TH Camerino – Noordwijkerbout<br />

Symposium, “RECEPTOR CHEMISTRY<br />

TOWARDS THE THIRD MILLENNIUM”.<br />

Espone “Piccolo paesaggio” (pelli e<br />

stoffe cucite cm. 50x50).<br />

- Il 28 dicembre è invitato alla mostra<br />

“Quei giovani amici pittori”, Cronache<br />

d’arte 1970-1978 a Casa Rosato a<br />

Lanciano. Espone “Sotto il gomitolo<br />

bianco” (arazzo cucito, cm. 168x255).<br />

La mostra è a cura di Giuseppe Rosato.<br />

- Nel dicembre del 1999 Alessandro<br />

Clementi presenta alla Sala rossa di<br />

Palazzo Centi all’Aquila il volume <strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong>, “Abruzzi, L’Arte del far cucina”,<br />

edito dalla Casa Editrice G.T.E. dell’Aquila.<br />

Il volume è stato promosso da<br />

Abruzzo Promozione Turismo di Pescara.<br />

«È consolante constatare che,<br />

sotto la sigla di Abruzzo Promozione Tu-<br />

rismo esca un libro come questo, L’arte<br />

del far cucina di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, libro che<br />

della nostra regione offre, finalmente,<br />

un aspetto raffinato, quasi aristocratico,<br />

in linea con certe tradizioni nostre, fatte<br />

di sobrietà e di eleganza, aliene dall’opulenza<br />

e dallo spreco. Scritto, illustrato<br />

e graficamente progettato dall’Autore,<br />

stampato rigorosamente dalla G.T.E. dell’Aquila,<br />

il volume assomma tutte le<br />

qualità di un artista che unisce al talento<br />

creativo una esperienza tecnica non<br />

comune.<br />

Definire questo un libro di ricette sarebbe<br />

una banalità; lo stesso titolo, d’altronde,<br />

sembra voler fugare l’equivoco:<br />

l’arte del far cucina. Arte, appunto, del<br />

“far cucina”, ma non solo.<br />

L’autore dice, nell’introduzione: “Uno<br />

degli aspetti che mi ha sempre intrigato<br />

di fronte a una pietanza è la sua componente<br />

alchemica: una cosa, più un’altra<br />

cosa, più un’altra ancora possono insieme<br />

dar vita a una prelibatezza, a una<br />

leccornia... Che felice momento quando,<br />

dinanzi a un piatto da onorare, entrano<br />

in competizione tutti i nostri sensi:<br />

dalla vista all’olfatto, dal gusto al tatto<br />

all’udito”.<br />

In questo spirito sono fornite tutta una<br />

serie di indicazioni culinarie, che della<br />

“ricetta” hanno solo la struttura di base,<br />

ma che in realtà vogliono indirizzare il<br />

lettore verso scelte raffinate e profondamente<br />

colte, anche se apparentemente<br />

molto semplici.<br />

Ho apprezzato il rigore filologico con cui<br />

viene trattato il testo: non a caso, la filologia<br />

non è tanto una scienza della parola,<br />

quanto un metodo di studio, un<br />

modus operandi che può investire qualunque<br />

campo. L’esattezza dei termini<br />

usati, la precisione con cui vengono<br />

proposti gli argomenti, sottintende,<br />

qualche volta, una sottile vena ironica:<br />

come nel caso della ricetta della misticanza<br />

(p p. 144), che elenca sei erbe,<br />

come una cantilena: Lattughina riccia,<br />

Valerianella, Caccialepre, Porcacchia, Rucoletta<br />

selvatica, Papavero): da condire<br />

con sale, olio extravergine di oliva, aceto<br />

di lamponi.<br />

Così le Lumache al pomodoro (p. 70)<br />

prendono un andamento fiabesco: per<br />

86 87 88<br />

quattro giorni “debbono restare chiuse<br />

in un ampio recipiente coperto da una<br />

rete a trama sottile per evitare che fuoriescano.<br />

Il primo giorno alimentarle solo<br />

con la lattughina fresca, mentre i rimanenti<br />

tre giorni con crusca di grano…”.<br />

Ma questo non è solo un testo<br />

scritto, è soprattutto un libro splendidamente<br />

illustrato: dalle cornici ai capoversi<br />

delle pagine, alle raffigurazioni, di<br />

varia grandezza, di oggetti, animali, paesaggi,<br />

erbe e fiori, la fantasia dell’Autore<br />

spazia con volo gioioso e nel contempo<br />

misurato.<br />

Abbiamo appreso da Dante che l’arte<br />

della miniatura, che a Parigi si chiamava<br />

“illuminare», faceva “ridere le carte”:<br />

una luce e un sorriso che ritrovo in<br />

questo libro felice, che ripaga la carta<br />

dalle mortificazioni a cui la cattiva editoria<br />

la sottopone».<br />

(Anna Ventura, Quando la cucina è arte<br />

ed a parlarne è un maestro, «Il Messaggero»,<br />

L’Aquila, 11 febbraio 2000, p.<br />

VIII).<br />

2000<br />

- Dal 26 febbraio al 31 marzo apre la<br />

mostra <strong>Visca</strong> “In itinere” alla Galleria<br />

D’Arte Moderna, Palazzo Ricci di Macerata.<br />

Espone “In itinere” (arazzo cucito,<br />

m. 34x0,50). La mostra è a cura di<br />

Paola Ballesi.<br />

«Non credo – scrive Crispolti<br />

– che l’origine motivazionale dell’interesse<br />

di <strong>Visca</strong> per l’arazzo sia di natura<br />

avanguardistica», ma è facile rilevare come<br />

esso si innesti su un importante filone<br />

di ricerca dell’arte contemporanea,<br />

che comprende tanto il recupero della<br />

tradizionale poetica del tessuto, a titolo<br />

esemplificativo da Cagli a Boetti, quanto<br />

le diverse declinazioni di carattere sperimentale,<br />

da Depero a Baj, fino alle<br />

esperienze più recenti di Ghada Amer o<br />

di Louise Bourgeois, teso comunque ad<br />

evidenziare, pur nella sua variegata articolazione,<br />

la valenza artistica a forte<br />

connotazione comunicativa e sociale<br />

che il materiale tessile ha il magico potere<br />

di traslare e tradurre.<br />

La motivazione che muove <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

per questa pratica antica è, infatti,


2000<br />

“In Itinere”<br />

Arazzo cucito, mt 34x0,50<br />

(stoffe cucite e assemblaggio di materiali polimaterici)<br />

1<br />

3<br />

5<br />

7


2<br />

4<br />

6<br />

8


anch’essa antica ed ancestrale, nasce<br />

dalla confidenza con le proprie radici,<br />

dal desiderio manifesto di promuovere<br />

una indagine al confine tra ontogenesi<br />

e filogenesi, finalizzata a ricucire brandelli<br />

di memoria, spezzoni di storia, per<br />

ricostruire e ricomporre il tessuto della<br />

vita che racconta il complesso intreccio<br />

di vissuto e di ethos, in una sequenza<br />

di immagini da consegnare allo spettatore<br />

come visione immaginifica, ma anche<br />

come pellicola tissulare ed epifanica<br />

del reale nella continuità del suo inesorabile<br />

apparire.<br />

Sono i manufatti artistici, un tempo ritenuti<br />

minori e succedanei, rispetto a<br />

quelli delle cosiddette “arti maggiori”, a<br />

rivelare più generosamente le spinte<br />

profonde che muovono l’evolversi storico<br />

della cultura, ai primordi dettato<br />

semplicemente dal gesto che crea forme<br />

e produce immagini, non ancora<br />

mediate da alcun dettato coscienziale,<br />

ma spontanee e vergini nel loro attingere<br />

all’origine del fare produttivo e<br />

creativo, costitutivo dello statuto esistenziale<br />

dell’uomo impegnato, come<br />

suggerisce Heidegger, a “costruire, abitare,<br />

pensare”.<br />

Alois Riegl, uno dei maggiori esponenti<br />

della “Scuola di Vienna”, individua in essi<br />

i tratti fondamentali del Kunstwollen,<br />

il volere artistico che fa tutt’uno con la<br />

visione del mondo, e, in Alt orientalische<br />

Teppische del 1891, getta le basi<br />

per un approccio scientifico allo studio<br />

del manufatto tanto antico quanto ricco<br />

di significati culturali: il tappeto, denominazione<br />

estremamente ampia sotto la<br />

quale sono compresi sia i tappeti da<br />

pavimento sia quelli da parete.<br />

Ad essi corrispondono due tecniche<br />

dalla diversa tipologia: ‘’per i tappeti da<br />

parete la tessitura ad arazzo (Wirkerey),<br />

per i tappeti da pavimento l’annodatura”;<br />

la prima tecnica è la più primitiva e<br />

con ogni probabilità la più antica forma<br />

in assoluto di tessitura. Usati “per coprire,<br />

per proteggere, per chiudere”, i primordiali<br />

prodotti della tessitura venivano<br />

adoperati – precisa Gottfried Semper<br />

nel magistrale studio Die texile Kunst<br />

(1878) – sia per rivestire il corpo, sia<br />

per erigere temporanee barriere verso il<br />

mondo esterno, e creare così uno spazio<br />

abitativo chiuso.<br />

“Quest’ultimo scopo – prosegue Riegl –<br />

fu raggiunto nel modo più semplice<br />

con l’appendere dei drappi tessuti ad<br />

arazzo ad una certa altezza dal suolo, o<br />

a mo’ di tenda sopra un palo, o a mo’<br />

di capanna sopra due, tre, quattro o più<br />

pali”.<br />

Così, dalla primitiva tecnica dell’intreccio<br />

delle stuoie, nacque la tessitura ad arazzo<br />

che si diffuse presso tutte le antiche<br />

civiltà, caratterizzando con i suoi manufatti<br />

tanto la cultura occidentale che<br />

quella orientale: dai peruviani inca, agli<br />

egiziani, agli indiani ecc.<br />

Dopo aver conosciuto il suo maggiore<br />

sviluppo in età tardo-antica e nel periodo<br />

medievale, a partire dal XV secolo,<br />

questa antica tecnica, punto di partenza<br />

per la tessitura gobelin occidentale, si<br />

era già diffusa in tutta l’Europa centrale,<br />

dalla Francia ai Paesi Bassi alla Germania,<br />

dove veniva esercitata professionalmente,<br />

mentre in altri paesi europei fu<br />

affidata per molto tempo all’industria<br />

domestica rurale.<br />

In Italia queste due linee di sviluppo<br />

sembra che siano vissute fianco a fianco,<br />

tanto che “ancora oggi, – scrive Riegl<br />

nel già citato testo del 1891 – quasi<br />

quattro secoli dopo Raffaello, nei dintorni<br />

di Macerata troviamo in piena fioritura<br />

nel lavoro domestico rurale la<br />

produzione di tessuti a strisce colorate...<br />

un’eredità proveniente da un remoto<br />

passato”.<br />

E proprio nell’ambito di questa notazione<br />

sull’attività tessile della provincia maceratese<br />

di un secolo fa, è interessante<br />

inquadrare l’evento promosso dalla Fondazione<br />

Cassa di Risparmio della Provincia<br />

di Macerata che, con la mostra<br />

degli arazzi di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, ha ancora<br />

una volta sottolineato la peculiarità di<br />

una tra le sue principali funzioni istituzionali,<br />

quella di sensibile e sottile sensore<br />

particolarmente attento al mondo<br />

dell’arte, sia dal punto di vista della fenomenologia<br />

degli stili che dello spirito<br />

del tempo.<br />

Nel panorama della ricerca artistica contemporanea<br />

il lavoro di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> si<br />

colloca infatti come una variante parti-<br />

colarmente significativa, in quanto strategicamente<br />

puntuale nel rappresentare<br />

l’attuale sistema dell’arte, caratterizzato<br />

da un alto gradiente di diffusività e di<br />

consumo del prodotto artistico, che, recuperato<br />

soprattutto nella sua originaria<br />

matrice comunicativa, pur veicolando<br />

un messaggio a forte valenza ad un<br />

tempo estetica ed etica, risulta reperibile<br />

anche tra gli oggetti di consumo più<br />

comuni.<br />

Assemblando nel cucito e nel tessuto i<br />

materiali più svariati ed eterogenei ai<br />

più diversi contenuti rappresentativi, con<br />

una speciale attenzione per alcune immagini<br />

ricorrenti o emblematiche, egli<br />

compone una sorta di glossario metonimico<br />

di una immaginifica raccolta di reperti<br />

e di tracce mnestiche che contrassegnano<br />

e scandiscono il tempo della<br />

vita lungo una strada irta di sedimenti<br />

iconici che l’autore raccoglie e traduce<br />

secondo un codice personalissimo di<br />

forme icastiche, cifre araldiche, emblemi<br />

e simboli, giocati secondo il sottile<br />

spartito dell’ironia.<br />

Intende così rintracciare quel percorso<br />

di frontiera dove avviene da sempre ed<br />

inesorabilmente l’impatto dell’uomo<br />

con il mondo, all’origine del gesto creativo<br />

che dà senso all’esistere e partisce<br />

il reale con contrassegni simbolici affidati<br />

alla pratica artistica, peraltro, nel nostro,<br />

sempre funzionale alla rappresentatività<br />

dell’immagine, anche nel suo fare<br />

più raffinato e apparentemente gratuito,<br />

con ciò reclamando l’autonomia<br />

del suo gesto rispetto a quello di Burri,<br />

la cui giovanile frequentazione resta tuttavia<br />

un momento indiscutibilmente significativo<br />

nella sua formazione.<br />

Ma con i suoi segni ”cuciti” <strong>Visca</strong>, tanto<br />

pedantemente quanto pazientemente,<br />

si sofferma anche a descrivere l’erranza<br />

del segno dissociato prima di diventare<br />

forma e configurazione, prima di poter<br />

acquisire il suo statuto di immagine, allorché<br />

attinge alla fonte incantata del<br />

sentire originario per alimentare questo<br />

processo lento che muove, punto per<br />

punto, alla costituzione di un tessuto, lo<br />

sfondo su cui può stagliarsi una possibile<br />

forma, una volatile idea, una urgente<br />

volontà rappresentativa e immaginifica<br />

89 90 91<br />

ad un tempo, metafora di quel processo<br />

filogenetico di ben più vasta portata<br />

che ha contrassegnato la faticosa, lenta<br />

ed errante storia dell’umanità.<br />

Nell’avviare l’elaborazione e la raccolta<br />

di questi reperti esperienziali, sfociati<br />

nella costruzione di “oggetti mentali”<br />

conservati nella memoria quali sostituti<br />

dell’esperienza stessa, egli declina tutte<br />

le strategie tecniche del ricamo per tradurre,<br />

in un sistema di segni, cuciti e<br />

fermati nel tessuto, spesso seguendo<br />

umilmente la logica cogente della trama<br />

e dell’ordito, configurazioni e forme apparentemente<br />

ingenue, in realtà dotate<br />

di intensissimo valore simbolico, codici<br />

iconici semplificati ma carichi di vissuto<br />

e grondanti di ethos, che egli ha il potere<br />

rabdomantico di scovare, raccogliere<br />

e presentare così, in itinere.<br />

Il grande arazzo squadernato alle pareti<br />

della Galleria Galeotti in Macerata è uno<br />

straordinario esempio del lavoro di <strong>Visca</strong>,<br />

una sorta di sintesi che, mentre fa<br />

il punto sulla sua ricerca, tradisce anche<br />

una intenzionalità trasversale e indiretta,<br />

rispetto a quella immediata di carattere<br />

artistico, denunciata dalla proiezione del<br />

mondo dell’high-tech in un tempo speciale,<br />

straniato e sospeso nella lentezza<br />

della prassi artigianale, là dove si privilegia<br />

l’intervallo e la pausa per conservare<br />

tuttavia la velocità, più che mentale,<br />

empatica, del fulmineo percorso dell’intuizione,<br />

che cattura e collega punti lontani<br />

dello spazio e del tempo, da sempre<br />

dominio incontrastato dell’artista,<br />

sua nicchia privata, in cui è più facile fare<br />

venire alla luce il caleidoscopico apparato<br />

dell’immaginario.<br />

Ma l’artista non inventa arbitrariamente<br />

forme, semmai le rende riconoscibili in<br />

quanto partecipe di un repertorio di immagini,<br />

come quelle che <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

recupera ed esprime con inconfondibile<br />

idioletto nei suoi cuciti, nei suoi arazzi e<br />

nei suoi ricami, sia attraverso partiture<br />

astratte che inserti narrativi, contrassegnati<br />

da colori intensamente caldi e solari<br />

avvicendati ad altri altrettanto puri e<br />

notturni nella loro freddezza, nonché da<br />

configurazioni soffici e morbide, come<br />

possono essere quelle assunte da un<br />

materiale di natura organica e perciò vi-


vo, sottile ma indispensabile viatico per<br />

tessere e fermare, nella infinita sequenza<br />

della rappresentazione immaginifica,<br />

alcuni fotogrammi simbolici, come quelli<br />

che campeggiano qui, in questo originale<br />

story board, dove è gelosamente<br />

riposto il segreto senso della vita, scritto<br />

con i segni indelebili del lavoro umano<br />

che fa coppia con il mondo».<br />

(Paola Ballesi, In itinere, testo nel catalogo<br />

della mostra personale al Palazzo<br />

Ricci di Macerata, 26 febbraio / 31<br />

marzo 2000).<br />

- <strong>Visca</strong> insieme a Carla Accardi, Bruno<br />

Ceccobelli, Peter Flaccus, Gino Marotta,<br />

Egon Wostemeier partecipa alla mostra<br />

“Annodo” Kilim contemporanei, allo<br />

Studio Calia di Matera. La mostra è a<br />

cura di Giovanna Odorisio. 6/15 maggio.<br />

- Dal 28 maggio al 28 giugno apre la<br />

mostra <strong>Visca</strong> “In itinere” alla Chiesa del<br />

Suffragio a Corinaldo. Espone “In itinere”<br />

(arazzo cucito, m. 34x0,50). La mostra<br />

è a cura di Margherita Abbo.<br />

- Dal 9 settembre all’1 ottobre <strong>Visca</strong> replica<br />

la mostra “In itinere” al Forte Spagnolo<br />

dell’Aquila. Espone “In itinere”<br />

(arazzo cucito, m. 34x0,50). La mostra<br />

è a cura dell’Associazione Culturale “Un<br />

cuore rosso sul Gran Sasso”.<br />

- <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra Annuale<br />

d’Arte 2000 “Lo scandalo dello spirito”,<br />

Arte contemporanea per Celestino V, al<br />

Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone “Ripostiglio<br />

estivo” (pelli e stoffe cucite,<br />

cm. 80x150), “Ripostiglio segreto”<br />

(stoffe cucite, cm. 80x150), “Fuochi sulla<br />

montagna” (stoffe, pelli e spaghi cuciti,<br />

cm. 100x150), “La grande montagna”<br />

(stoffe e pelli cucite, cm.<br />

100x150). La mostra è a cura di Enrico<br />

Sconci. 27 agosto / 25 settembre.<br />

- Dall’1 al 15 settembre partecipa alla<br />

mostra “World Festival of Art on Paper”<br />

a Kranj, Slovenia. Espone “La città degli<br />

asparagi” (acquerello su cartoncino Fabriano,<br />

cm. 76x57), “Paesaggio di mare”<br />

(acquerello su cartoncino Fabriano,<br />

cm. 76x57). Nel catalogo della mostra<br />

i testi sono di Berislav Valusek.<br />

- Dal 20 dicembre 2000 al 31 gennaio<br />

2001 <strong>Visca</strong> partecipa alla mostra “Nati-<br />

vità in ceramica” alla Chiesa di Santa<br />

Maria degli Angeli – Museo delle ceramiche<br />

di Castelli. Espone “Nascita di<br />

una stella” (refrattario maiolicato e oro<br />

al terzo fuoco, cm. 36x6x48). La mostra<br />

è a cura di Antonello Rubini.<br />

2001<br />

- Dal 3 marzo all’1 aprile apre la mostra<br />

<strong>Visca</strong> “In itinere” al Centro Culturale<br />

Officina di Lucca. Espone “In itinere”<br />

(arazzo cucito, m. 34x0,50). La mostra<br />

è a cura di Emy Petrini. In occasione di<br />

questa esposizione si tiene una lezione<br />

sull’arazzo cucito “In itinere” presso<br />

L’Accademia di Belle Arti di Pisa e due<br />

laboratori per ragazzi presso Il Centro<br />

Culturale Officina.<br />

- Dal 21 luglio al 10 settembre è invitato<br />

alla Rassegna pittori e scultori ceramisti<br />

abruzzesi “Column’art 2001” al<br />

Palazzo Pardi, Colonnella. Espone “La<br />

porta dei sogni” (tecnica mista, cm.<br />

50x50), “Piccolo paesaggio in posa”<br />

(tecnica mista, cm. 50x50), “Tempesta<br />

sulla montagna” (tecnica mista, cm.<br />

50x50). La mostra è a cura dell’Associazione<br />

artisti teramani.<br />

- Dal 16 dicembre al 6 gennaio 2002<br />

<strong>Visca</strong> è invitato alla Rassegna Internazionale<br />

“Mail Art” alla Galleria Civica<br />

d’Arte Contemporanea di Termoli. La<br />

mostra è a cura del Centro Culturale “Il<br />

Campo” di Campomarino.<br />

- Il 18 dicembre <strong>Visca</strong> partecipa alla<br />

Rassegna d’Arte Contemporanea “Natale<br />

per i Palestinesi... Pasqua in Palestina”,<br />

Solidarietà internazionale con<br />

Land Research Center Gerusalemme,<br />

al Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea<br />

dell’Aquila.<br />

2002<br />

- In giugno <strong>Visca</strong> è invitato alla mostra<br />

“Tracciati d’Arte in Abruzzo, – Un’esplorazione<br />

di vicende e tendenze, – alla<br />

Sala G. Trevisan di Giulianova.<br />

Espone “Il teatrino del Martin Pescatore”<br />

(tecnica mista, stoffe cucite e foglia<br />

d’oro, cm. 50x55). La mostra è a cura<br />

di Carlo Fabrizio Carli.<br />

- In luglio <strong>Visca</strong> è invitato al Premio Nazionale<br />

di Letteratura Naturalistica “Par-<br />

co Maiella” di Abbateggio. Partecipa<br />

con il volume “Abruzzi, L’Arte del far cucina”<br />

e gli viene assegnato il 3° Premio<br />

per la sezione “Saggistica edita” intitolata<br />

a Paolo Barrasso. Il concorso è<br />

promosso dalla Pro Loco di Abbateggio<br />

in collaborazione con il Columbus Centre<br />

di Toronto, Canada.<br />

- Dal 27 luglio al 13 ottobre è invitato<br />

al XXXV Premio Vasto, Il secondo novecento<br />

in Italia, Riferimenti forti, ai Musei<br />

Civici in Palazzo D’Avalos di Vasto.<br />

Espone “Il teatrino dei fiori” (tecnica<br />

mista e foglia d’oro, cm. 50x55), “Caduta<br />

di un teatrino” (tecnica mista e foglia<br />

d’oro, cm. 50x55), “Il teatrino dell’amore”<br />

(tecnica mista e foglia d’oro,<br />

cm. 50x55), “Salvataggio” (tecnica mista<br />

e foglia d’oro, cm. 50x50). La mostra<br />

è a cura di Enrico Crispolti.<br />

- Dall’8 dicembre al 7 gennaio <strong>Visca</strong> è<br />

invitato alla mostra “Viaggio per terra”,<br />

Undici scultori a Castelli. Laboratorio<br />

ceramico internazionale sulla Salita Paradiso<br />

di Castelli. Espone “Nascita di un<br />

asparago rosso” (refrattario maiolicato<br />

e oro al terzo fuoco, h. cm. 260, base<br />

ø cm. 40). La mostra è a cura di Antonello<br />

Rubini.<br />

- A dicembre è invitato alla mostra “01<br />

Arte Contemporanea Internazionale” alla<br />

Vox Ecomunicazioni di Roma. Espone<br />

“Paesaggio pericoloso” (acquerello<br />

cucito, cm. 50x40). La mostra è a cura<br />

di Stefano Marotta.<br />

2003<br />

- <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> insieme a Giuseppe Fiducia<br />

è invitato ad una mostra itinerante<br />

negli U.S.A. e in Canada: Los Angeles,<br />

San Francisco, New York, Washington,<br />

Vancouver, Toronto, Montreal. La<br />

mostra è promossa dalla Presidenza<br />

della Giunta Regionale della Regione<br />

Abruzzo. Espone “Paesaggio invernale”<br />

(pelli e stoffe cucite, cm. 50x50), “Paesaggio<br />

di tempesta” (pelli e stoffe cucite,<br />

cm. 50x50), “Montagna di fuoco”<br />

(pelli e stoffe cucite, cm. 50x50) Nel<br />

pieghevole della mostra i testi sono di<br />

Maria Cristina Ricciardi. Febbraio/marzo.<br />

- In occasione della presentazione del<br />

volume «Vicende, testimonianze e con-<br />

92 93<br />

94<br />

testo di una esperienza italiana – Liceo<br />

Artistico “G. Misticoni” dal 1947» di Antonio<br />

Zimarino, <strong>Visca</strong> partecipa alla<br />

mostra «Immagini di una esperienza»<br />

allo Spazio per le Arti – SPARTS di Pescara.<br />

Espone “Stellario“ (stoffe cucite,<br />

cm. 125x150), “Il teatrino del martin<br />

pescatore” (tecnica mista, stoffe cucite<br />

e foglia d’oro, cm. 50x55). La mostra è<br />

a cura di Piera Di Nicolantonio.<br />

- Il 3 giugno è invitato alla mostra “Futuro<br />

remoto” - L’arte della materia dall’antichità<br />

al contemporaneo - al Palazzo<br />

Dorotea di Villetta Barrea. Espone<br />

“Rosso di paesaggio” (stoffe cucite, cm.<br />

70x50).<br />

- Nel mese di luglio il Comune di Ofena<br />

promuove la mostra personale di<br />

<strong>Visca</strong> “Teatrini” a cura di Antonello Rubini.<br />

Espone “Stellario”(stoffe cucite cm.<br />

125x150), “Teatrino notturno” (stoffe<br />

cucite cm. 50x50), “Tempesta sulla<br />

montagna” (collage e carte cucite cm.<br />

50x50), “Teatrino pericolante” (tecnica<br />

mista cm. 50x50), “Il teatrino dell’amore”<br />

(tecnica mista e foglia d’oro cm.<br />

50x55), “Il teatrino dei fiori” (tecnica<br />

mista, stoffe e foglia d’oro cm. 50x55),<br />

“Caduta di un teatrino” (tecnica mista,<br />

stoffe e foglia d’oro cm. 50x55), “Teatrino<br />

orientale” (tecnica mista, stoffe<br />

cucite e foglia d’oro cm. 50x55), “Asparago<br />

in posa” (teatrino) (tecnica mista<br />

e stoffe cucite cm. 65x49), “Il tetrino<br />

del martin pescatore” (tecnica mista,<br />

stoffe cucite e foglia d’oro cm. 50x55),<br />

“L’imprudenza del martin pescatore”<br />

(teatrino) (tecnica mista, tempere e foglia<br />

d’oro cm. 65x50), “L’istrionismo del<br />

guitto” (teatrino) (tecnica mista, tempere<br />

e foglia d’oro cm. 65x50), “Ripostigli<br />

segreti” (teatrino) (tecnica mista e<br />

stoffe cucite cm. 65x49), “Quando volano<br />

le comete” (teatrino) (tecnica mista,<br />

stoffe cucite e foglia d’oro cm.<br />

65x50), “Personaggio teatrante” (teatrino)<br />

(tecnica mista e stoffe cucite cm.<br />

70x50), “Caduta di un personaggio”<br />

(teatrino) (stoffe e pelli cucite cm.<br />

70x58), “Spettacolarità dell’interprete”<br />

(teatrino) (tecnica mista e stoffe cucite<br />

cm. 63x43), “Dietro le luci della ribalta”<br />

(teatrino) (tecnica mista, stoffe e foglia<br />

d’oro cm. 65x48), “Capitolazione di un


194<br />

2000<br />

“Itineris” Una Via Crucis per Ofena<br />

Progetto di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

Via Crucis composta da 14 stazioni<br />

(edicole e sedili in pietra, iconografia delle stazioni in fotoceramica)<br />

Via Crucis<br />

I stazione Gino Marotta<br />

II stazione Valeriano Trubiani<br />

III stazione Joe Tilson<br />

IV stazione <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

V stazione Fausto Cheng<br />

VI stazione Mauro Andrea<br />

VII stazione Sergio Vacchi<br />

VIII stazione Herman Albert<br />

IX stazione Paolo Baratella<br />

X stazione Louis Cane<br />

XI stazione Mikhail Koulakov<br />

XII stazione Giannetto Fieschi<br />

XIII stazione Claudio D’Angelo<br />

XIV stazione Mauro Berrettini


personaggio (teatrino) (tecnica mista e<br />

carte cucite cm. 70x50), “Caduta di<br />

una teatralità” (teatrino) (tecnica mista,<br />

stoffe e carte cucite cm. 70x50), “Salvataggio<br />

estremo” (teatrino) (tecnica<br />

mista, stoffe e carte cucite cm. 50x50),<br />

”Personaggio invernale” (teatrino) (tecnica<br />

mista, stoffe cucite e foglia d’oro<br />

cm. 30x138), “Personaggio estivo”<br />

(teatrino) (tecnica mista, stoffe cucite e<br />

foglia d’oro cm. 30x138), “Personaggio<br />

Primaverile” (teatrino) (tecnica mista,<br />

stoffe cucite e foglia d’oro cm.<br />

30x140). Inoltre vengono presentate<br />

sei sculture polimateriche di cm.<br />

60x40x145 – 60x40x155<br />

60x40x144 – 60x40x134<br />

60x40x132 – 60x40x132.<br />

«Felicemente insolito, in un<br />

certo senso spiazzante, risulta il lavoro<br />

di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, artista capace di realizzare<br />

autenticamente delle opere di spiccato<br />

valore creativo. La raffinata manualità<br />

e il meditato e costante fare stabiliscono<br />

il coerente linguaggio che lo caratterizza,<br />

con il quale indubbiamente<br />

bisogna fare i conti. Il suo modo di operare<br />

è personalissimo e condotto in silenzio,<br />

perché a <strong>Visca</strong> il chiasso di gran<br />

parte del mondo artistico non piace,<br />

non desidera stare in prima linea e rifiuta<br />

di aderire ai contorti meccanismi,<br />

spesso inevitabili, per chi vuole intraprendere<br />

la strada del successo. Preferisce<br />

lavorare appartato portando avanti,<br />

senza fretta appunto, una singolare ricerca<br />

che ha molto da raccontare,<br />

affondando le radici in determinati<br />

aspetti memoriali antropologicamente<br />

recuperati e poi riproposti in itinere.<br />

Ed è estremamente interessante il suo<br />

discorso dalla fine degli anni ’60 ad oggi,<br />

con il bisogno di un proprio universo<br />

immaginativo, attraverso una conoscenza<br />

culturale, senza cedere spazio all’improvvisazione.<br />

È una posizione espressiva<br />

precisa che nel fantastico trova un’esperienza<br />

altissima in termini di qualità.<br />

In <strong>Visca</strong> è sicuramente organizzato lo<br />

sviluppo esecutivo nell’ampio sapere<br />

tecnico, le mani demiurgiche dell’artista<br />

restituiscono, anche mediante il fascino<br />

dei materiali utilizzati, gradevoli epifanie<br />

di elevato impatto emozionale, toccando<br />

le più sensibili corde interiori e facendo<br />

percepire al fruitore un’irrealtà<br />

che però in fondo attinge dal quotidiano,<br />

pur se vissuto con pregevole superiorità<br />

d’animo. Egli è comunque al di<br />

sopra dell’affannoso vivere, parla con<br />

misurato tono, percorrendo sottilmente<br />

i sentieri evocativi, dove cerca le tracce<br />

lasciate dalla storia, affrontando gli ambiti<br />

magici e di sublimazione onirica degli<br />

elementi con i quali compone le immagini.<br />

Una dimensione, la sua, ampia di vedute,<br />

che non si pone quindi con superficialità<br />

difronte al mondo, è un artista<br />

che con il pensiero indaga profondamente,<br />

quasi incontentabile e continuamente<br />

attivo in una tensione di ricerca<br />

verso la verità. Insomma si è davanti ad<br />

una figura complessa dell’arte, molto<br />

più complessa di come appare in un<br />

primo approccio con le opere. Non per<br />

nulla <strong>Visca</strong> è un “caso” a sé. È la testimonianza<br />

di una ritualità direi alchemica<br />

dell’agire che all’origine ha a che fare,<br />

per dirla con Gino Marotta, con ...“ricognizioni<br />

dei territori passionali di un<br />

collettivo etnico che va oltre il Gran Sasso,<br />

verso il deserto.”...<br />

L’uccellino, la stella, l’asparago, fanno<br />

parte di un più largo alfabeto di simboli<br />

che l’artista negli anni ha creato, costruendo<br />

calde immagini che non peccano<br />

di eccessive proiezioni decorative,<br />

ma qui per decorativo si intende una<br />

parte integrante del discorso. Nelle opere<br />

di <strong>Visca</strong> vi è un contenuto denso, a<br />

prescindere dalla struttura formale del<br />

manufatto. Allora quando l’aspetto estetico<br />

sembra far sprofondare il fruitore<br />

nella piacevolezza percettiva, nel contempo<br />

affiorano le argomentazioni decisamente<br />

etiche delle quali è un assiduo<br />

propositore. Intendo dire che se nel<br />

prodotto artistico si legge all’esterno un<br />

innato senso di deviazione nella stravagante,<br />

e particolarmente affettiva, rivisitazione<br />

sincera, perché no inaspettata,<br />

dell’infanzia, all’interno ideologicamente<br />

chiara si presenta l’opera nell’impropria<br />

contestualizzazione nella società. Egli<br />

non conosce condizionamenti, non fissa<br />

confini, sa volare e fa volare con la poesia.<br />

Il suo lavoro si pone come alternativa<br />

alle numerose mode espressive che<br />

giustamente lasciano il tempo che trovano,<br />

effimere per la loro povertà sostanziale.<br />

<strong>Visca</strong> sa bene cosa significa<br />

l’arte e sa appunto l’importanza della riflessione.<br />

Non si lascia prendere dall’istinto,<br />

non crede all’idea enfatizzata dell’ispirazione:<br />

l’arte è un processo di<br />

esperienze, è un’operazione che tende<br />

ad un fine. È consapevole che in questo<br />

campo non si può improvvisare e<br />

con impegno cuce, dipinge e scolpisce,<br />

apprendendo dalla storia le metodologie<br />

essenziali di seducente “fabbrilità”,<br />

oltre alle responsabilità teoriche.<br />

Dai vari materiali che usa nasce l’interesse<br />

di analisi pratica. Li assembla, lì fa<br />

comunicare armonicamente e con sottinteso<br />

procedimento artigianale, cerca<br />

di riscattarli dalla loro domestica utilità<br />

quotidiana rendendoli un tramite per<br />

tentare l’assoluto. L’idea di natura dell’artista<br />

subisce diverse modifiche da<br />

opera ad opera, non vi è mai la noiosa<br />

ripetizione, la sorpresa è sempre forte,<br />

basta cambiare qualcosa per rimettere<br />

tutto in gioco. La favola è senza fine,<br />

sagomata in qualche modo fumettisticamente,<br />

largamente distribuita nelle geometrie<br />

che stabiliscono lo spazio d’azione.<br />

L’insieme è scrupolosamente ordinato<br />

nel mentale casellario d’immagini<br />

dal quale <strong>Visca</strong> ogni volta si fornisce:<br />

prova ripetutamente sulla superficie i<br />

molteplici elementi fino a quando non<br />

è soddisfatto. Sono manufatti delicatissimi,<br />

in grado di suscitare una musicalità<br />

di fondo di estrema leggerezza evasiva,<br />

vestiti a festa nei minimi dettagli,<br />

pare di potervi leggere dentro ogni passaggio,<br />

cucitura dopo cucitura, segno<br />

dopo segno, applicazione dopo applicazione,<br />

riferimenti sia d’Occidente che<br />

d’Oriente.<br />

<strong>Visca</strong> in questa pubblicazione presenta<br />

le opere recenti sul tema dei “Teatrini”,<br />

appunto. E qui mi torna in mente Ruggero<br />

Pierantoni il quale scrive: ...“I suoi<br />

testi grafici e plastici contengono momenti<br />

di scoraggiamento, tristezze improvvise,<br />

dettagli atroci e minuscoli.”... È<br />

95 96<br />

proprio vero in diverse ultime realizzazioni.<br />

Già le ho notate, in piccolissima<br />

parte, nell’estate del 2002 al Premio<br />

Vasto. Mi sono sembrate inquietanti e<br />

adesso avendole davanti nella totalità,<br />

sottolineo questa impressione. Inquietanti<br />

perché dietro alla preziosità vibratile,<br />

iconica e materica, spesso vi si colgono<br />

prepotentemente precarietà e turbamento:<br />

crollano nelle composizioni i<br />

corpi architettonici, il caos s’impone e<br />

quelle così facili deduzioni gioiose perdono<br />

un po’ della loro leggerezza, le figure<br />

appaiono colte talvolta nell’istante<br />

della distruzione. Ma in tutto ciò non vi<br />

è comunque drammatizzazione, <strong>Visca</strong><br />

però mi pare che assuma una posizione<br />

mai in passato esternata con così<br />

decisiva evidenza.<br />

Vedo un punto di approdo che lascia<br />

interiormente scossi, mette probabilmente<br />

in discussione certi principi esistenziali,<br />

mantenendo naturalmente<br />

sempre vitali gli ambiti fascinosi dei<br />

quali l’artista è illustre sostenitore».<br />

(Antonello Rubini, Teatrini, Edizioni Traccie,<br />

testo tratto dalla presentazione del<br />

catalogo della mostra personale “Teatrini”<br />

alla Sala Consiliare del Comune di<br />

Ofena 5 luglio / 31 agosto).<br />

- L’11 ottobre viene invitato alla mostra<br />

“Artpolis 2003“ alla Chiesa di S. Silvestro<br />

di Guardiagrele. Espone “Notturno<br />

dorato” (stoffe cucite cm. 70x50). La<br />

mostra è a cura di Veniero De Giorgi.<br />

- Il 26 ottobre partecipa alla mostra<br />

“500 artisti nell’arcobaleno degli angeli”<br />

- Ambientazione di mail-art internazionale,<br />

S. Giuliano di Puglia. Espone un<br />

piccolo cartone cucito.<br />

2004<br />

- Dal 26 luglio al 7 agosto viene invitato<br />

a partecipare ad una mostra collettiva<br />

nello Spazio archeologico presso il<br />

Teatro sociale di Trento. Espone “Il teatrino<br />

dei fiori” (tecnica mista, stoffe e<br />

foglia d’oro cm. 50x55), “Il teatrino del<br />

martin pescatore” (tecnica mista, stoffe<br />

cucite e foglia d’oro cm. 50x55), “Il<br />

teatrino dell’amore” (tecnica mista e<br />

foglia d’oro cm. 50x55), “Asparago in<br />

posa” teatrino (tecnica mista e stoffe


cucite cm. 65x49), “Spettacolarità dell’interprete”<br />

(tecnica mista stoffe cucite<br />

cm. 63x43). La mostra è a cura del<br />

Teatro Stabile di innovazione L’Uovo<br />

dell’Aquila.<br />

- Il 7 agosto è invitato alla mostra “Arte<br />

contemporanea d’Abruzzo” alla Sala<br />

Consiliare del Comune di Ofena. Espone<br />

“Stellario” (stoffe cucite cm.<br />

125x150), “Notturno dorato” (stoffe cucite<br />

cm. 70x50). La mostra è a cura di<br />

Antonello Rubini.<br />

- Il 18 agosto <strong>Visca</strong> viene invitato al<br />

XXVI Premio di Arte contemporanea<br />

“Enrico Mattei” alla sala polivalente<br />

Mario Sinopoli di Civitella Roveto. Espone<br />

“Teatrino pericolante” (tecnica mista<br />

cm. 50x50), “Ripostigli segreti” (tecnica<br />

mista e stoffe cucite cm. 65x49),<br />

“Quando volano le comete” (tecnica<br />

mista, stoffe cucite e foglia d’oro cm.<br />

65x50). La mostra è a cura di Luigi<br />

Lambertini, Carlo Fabrizio Carli e Mariano<br />

Apa.<br />

- In ottobre viene invitato, a Seul (Korea),<br />

a partecipare ad una mostra in<br />

omaggio al sommo poeta Francesco<br />

Petrarca. Espone “Passa la nave mia<br />

colma d’oblio per aspro mare...” (cartone<br />

cucito cm. 76x106), ”Passer mai solitario<br />

in alcun tempo non fu quant’io...”<br />

(cartone cucito cm. 76x106). La mostra<br />

è a cura dell’Istituto Italiano di cultura<br />

di Seul.<br />

- Il 15 dicembre il Comune di Ofena<br />

affida a <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> l’incarico di procedere<br />

all’ideazione di un progetto definitivo<br />

ed esecutivo relativo ad una Via<br />

Crucis da installare nel territorio di<br />

Ofena, nonchè la direzione artistica<br />

per la redazione dello stesso. <strong>Visca</strong> demanda<br />

la scelta degli autori, per la<br />

progettazione iconografica delle 14<br />

stazioni di “Itineris”, al critico Antonello<br />

Rubini che sceglie gli artisti: Gino Marotta,<br />

Valeriano Trubbiani, Joe Tilson,<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, Fausto Cheng, Mauro<br />

Andrea, Sergio Vacchi, Hermann Albert,<br />

Paolo Baratella, Louis Cane,<br />

Mikhail Koulakov, Giannetto Fieschi,<br />

Claudio D’Angelo, Mauro Berrettini.<br />

97<br />

2005<br />

- Il 15 ottobre <strong>Visca</strong> viene invitato alla<br />

mostra “Le due rive” Artisti Italiani e<br />

Croati in occasione del 50° anniversario<br />

del Premio Termoli. Espone “Giù il<br />

sipario”(stoffe cucite cm. 100x100),<br />

“Teatro safari” (stoffe cucite cm.<br />

100x150). La mostra è a cura di Antonello<br />

Rubini e Jasminka Poklecki Stosic.<br />

- Il 26 novembre a Pieve Di Cento, in<br />

occasione dell’inaugurazione del nuovo<br />

Museo d’Arte delle generazioni italiane<br />

del 900 “G. Bargellini”, <strong>Visca</strong> è presente<br />

nella mostra “Collezione generazioni<br />

anni quaranta” con due opere che rimarranno<br />

in permanenza nello stesso<br />

Museo: “Il grande coleottero” (struttura<br />

in legno, chiodi, stoffe e pelli cm.<br />

179x130x235), “Prima della tempesta”<br />

(tecnica mista su tela cm. 50x70). La<br />

mostra è a cura di Giorgio Di Genova.<br />

2006<br />

- Il 21 maggio ad Ofena viene inaugurata<br />

“Itineris” Una Via Crucis Per Ofena,<br />

per il progetto e la direzione artistica di<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>. L’opera, composta di<br />

quattordici edicole in pietra è stata corredata<br />

nella parte iconografica dalle<br />

opere in fotoceramica degli artisti: Gino<br />

Marotta, Valeriano Trubbiani, Joe Tilson,<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, Fausto Cheng, Mauro Andrea,<br />

Sergio Vacchi, Hermann Albert,<br />

Paolo Baratella, Louis Cane, Mikhail<br />

Koulakov, Giannetto Fieschi, Claudio<br />

D’Angelo e Mauro Berrettini. La progettazione<br />

tecnica e l’impianto d’illuminazione<br />

sono stati curati dall’ingegnere<br />

Nicola Pescatore.<br />

- Nel mese di maggio viene pubblicato<br />

“Andrea Pazienza <strong>Visca</strong>”. Il libro, di<br />

164 pagine, edito dalla Casa Editrice<br />

Fandango, è stato stampato in bianco<br />

e nero e a colori. Composto da disegni,<br />

fumetti e storie esilaranti che Andrea<br />

Pazienza da allievo dedicò a<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> durante la sua frequenza<br />

presso il Liceo Artistico di Pescara,<br />

si aggiunge alle più note opere monografiche<br />

di Pazienza, Pentothal, Zanardi<br />

e Pertini. <strong>Visca</strong>, come risulta dall’archivio<br />

Pazienza, è stato il personaggio<br />

vivente più disegnato dal genio del fumetto<br />

italiano.<br />

- A Lanciano è presente nella mostra<br />

“Arte per la vita” con l’opera “Paesaggio<br />

d’amore” (serigrafia e collage cm.<br />

50x35), la mostra è a cura di Vito Bucciarelli.<br />

- A Roma il 13 dicembre la Casa delle<br />

Letterature e la Casa Editrice Fandango<br />

presentano la mostra “<strong>Visca</strong>” di Andrea<br />

Pazienza. Intervengono alla presentazione<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e lo scrittore Emanuele<br />

Trevi. La mostra composta da<br />

novantatre opere di Pazienza, evidenzia<br />

storie a fumetti, vignette e disegni inediti<br />

realizzati nei primi anni settanta,<br />

protagonista <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, l’insegnante<br />

di disegno e amico di una vita.<br />

2007<br />

- Il 18 gennaio a Roma <strong>Visca</strong> viene invitato<br />

a partecipare alla mostra “Sagome<br />

547” promossa dal Ministero degli<br />

Affari Esteri. La mostra “Sagome 547”<br />

è stata dedicata ai bambini che, secondo<br />

il rapporto UNICEF 2005 sulla condizione<br />

dell’infanzia nel mondo, muoiono<br />

ogni giorno a causa di guerre e di<br />

terrorismo. Espone “ Sagoma” (stoffe<br />

cucite e incollate su tavola, cm.<br />

50x120x1).<br />

- Il 22 settembre è presente alla mostra<br />

Annuale 2007 L’Aquila Città della<br />

Pace in nome di Celestino V, allestita<br />

presso l’ex Monastero di S .Maria dei<br />

Raccomandati. La mostra è a cura di<br />

Enrico Sconci.<br />

In primavera a Ofena viene presentato<br />

il catalogo “Itineris” Una Via Crucis per<br />

Ofena (Progetto artistico di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>)<br />

a cura di Antonello Rubini, Mazzotta<br />

Editore settembre 2007 (testi in<br />

catalogo di Sergio Cinquino, Monsignor<br />

Ersilio Tonini, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, Nicola<br />

Pescatore, Enrico Crispolti, Antonello<br />

Rubini).


Immergersi nel lavoro di un artista che vale, ogni volta in fondo reinventa<br />

l’arte, scava in fondo radici umide e nere d’ispirazione, scopre e filtra linfa<br />

misteriosa di crescita, celebra come ardito strappo di gioia le nuove gemme<br />

che furono, sono o saranno colore, e tutti i fiori destinati a frutti… Enigmi,<br />

quesiti, illuminazioni che affollano e trapuntano tutta la sua vita, e soprattutto<br />

l’opera, come stelle mimate di un “Grande Firmamento” d’estate…<br />

Di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, aquilano sessantatreenne da molto tempo residente a Pescara,<br />

cuore cosmopolita e sguardo senza frontiere, da anni celebrato un po’<br />

ovunque come una delle personalità e dei talenti più dotati e sorgivi della<br />

sua generazione, mi affascinano tanti pregi e virtù che poi si assommano: il<br />

percorso impavido, e soprattutto il rigore in ogni scelta che egli abbia onorato,<br />

consacrato nella pura e laica fede nell’arte.<br />

Tante cose ogni volta vorrei chiedergli, anche per puntualizzare meglio le<br />

coordinate “In itinere”. Ma mi limito a riassumerle in un unico punto: la capacità<br />

che ha sempre avuto di accarezzare, tagliare, cucire, incollare, fare insomma<br />

deflagrare l’arte come un destino – e non una semplice attività fintognomica<br />

ma decorativa…<br />

Di distinguo in distinguo, e seguendo tutti i suoi anni e risolti progetti di<br />

lavoro, mi sembrano poi decisivi – come in un resoconto o racconto biografico<br />

– i vari, cadenzati capitoli di una vita spesa interamente a diventare<br />

(anche nell’arte) solamente ciò che già era o voleva essere… E che aggregano<br />

e intonano come un unico, inaudito romanzo mai scritto: il Romanzo<br />

della Materia…<br />

E questo interminabile, trasparente romanzo, a pensarci bene, è in realtà<br />

l’unico e il vero percorso, quesito, poema, linguaggio, mistero… che abbia<br />

donato, assegnato – inflitto – all’Arte la sua Modernità. Ma non certo da ora,<br />

se è vero che già al tempo di Baudelaire costruire delle Corrispondenze fra<br />

tutto questo era attività pressoché rivoluzionaria, ed elaborare anche la tradizione,<br />

ammirare i suoi Fari, significava celebrare e ripercorrere, di volta in volta,<br />

sub specie poetica, come un «fiume d’oblio, giardino d’indolenza» (Rubens),<br />

«specchio oscuro e profondo» (Leonardo), quasi un «triste ospedale<br />

pieno di sussurri» (Rembrandt), «fantasmi poderosi su sfondi di crepuscoli»<br />

(Michelangelo), o un «carnevale in cui come farfalle / tanti cuori illustri vagano<br />

fiammeggiando» (Watteau), ma troppo spesso anche l’«incubo pieno di<br />

cose sconosciute» (Goya) – insomma un’eco propagata da mille labirinti…<br />

Nel labirinto della forma, e della materia, l’artista moderno, si sa, ama perdersi<br />

proprio per ritrovarvisi: «Forse questo è sempre stato ma per questo oggi<br />

v’è tanta materia, credo di poesia quanto nei tempi andati». – scriveva,<br />

giurava Boccioni, corrente già il 1907, nei suoi confessati, irridenti e fervidi<br />

Taccuini futuristi – «La forma cambia e gli artisti ricevendo in retaggio la religione<br />

della forma sono divenuti dei ridicoli conservatori. Il mondo ricomincia<br />

una nuova era e vuole della sostanza. In altre parole l’Arte deve divenire una<br />

funzione della vita e non tenersi da parte sdegnosa… Una prova che gli artisti<br />

non hanno seguìto il processo di trasformazione sta in questo, che mentre<br />

gli scienziati studiano e creano palpitando con l’anima universale che li<br />

circonda, gli artisti creano cose morte, e d’un linguaggio sconosciuto non solo<br />

ai più ma anche ai pochi. È impossibile che l’era dell’arte sia finita e che<br />

sia cominciata quella della scienza. Che l’umanità non abbia più bisogno di<br />

canto. C’è sempre un’infinita gioia e un infinito dolore che ride e piange.<br />

Quale sarà la formula che darà l’ispirazione umana?».<br />

La forma cambia… Ma ripercorrendo – oggi – tutto il sorprendente e giudizioso<br />

percorso di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, mai ci sfiora il dubbio o la sensazione di un<br />

benché minimo conservatorismo, di una religione della forma o degli stilemi,<br />

in senso diciamo passatista, o comunque abusato. <strong>Visca</strong> ha sempre cercato<br />

intanto dentro e poi anche fuori di sé la matrice cosmogonica, la duttilità sinergetica<br />

di questo cambiamento, movimento perenne che si chiama Arte,<br />

ed esige metamorfosi, profondità, esattezza fantasiosa, finalmente – questo<br />

sì – religio devota alla forma in fieri, al comunicarsi in progress… Dunque<br />

mai riposandosi, pascendosi sui propri piccoli o grandi traguardi, e nemmeno<br />

sui sacrosanti, già intimizzati raggiungimenti emotivi.<br />

La forma non conserva la Forma altro che rinnegandola, rimettendola in<br />

gioco, per sempre inseparata, trasfusa ad ogni ombra o luce del proprio<br />

tempo.<br />

Ecco, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> ha sempre studiato e creato palpitando con l’anima<br />

universale che lo circonda… Cioè a dire con i suoi materiali, le sue fibre, le<br />

sue essenze – i suoi elementi: intesi proprio in senso chimico, fisico. E questo,<br />

fin dal tempo dei suoi esordi, e dei primi studi presso la Scuola d’Arte<br />

dell’Aquila, intorno al 1961. Nell’aria friggono ovviamente i tormenti e le mode<br />

epocali in piena irruenza: Tom Wesselmann coi suoi stralci dalle insegne<br />

pubblicitarie, Schwitters e i grandi collages di Merz, il New-Dada, il materico…<br />

Ma <strong>Visca</strong> cerca e già trova una sua linea di fervorosa controtendenza. È<br />

del 1964 il ciclo delle Crocifissioni: «una ricerca condotta con il collage, il colore<br />

è vivo – quanto i problemi –, scola e si allarga in macchie;» – rileva Emidio<br />

Di Carlo – «il segno è pulito e brillante e incide tangibilmente una storia<br />

umana rivissuta fino allo spasimo. La figura però (bruciata, dilaniata, cristallizzata)<br />

accenna a dissolversi: è il gusto per la materia, la contemplazione della<br />

plasticità stessa (un nuovo interrogativo di fronte alla realtà?), della necessità<br />

di una nuova componente spaziale, della composizione».<br />

Ed è in questo dissolvimento parziale, in questo sfumato e abbrunito impeto<br />

di ricomposizione, di rinascita finanche figurativa – che già si svela un<br />

filo costante della sua opera: materico e insieme iconologico…<br />

Per questo è giocoforza condurci subito al suo rapporto con Alberto Burri.<br />

Che nasce nel ’69 ai tempi della sua collaborazione artistica con il Teatro<br />

Stabile dell’Aquila. Fervide e dolcissime, a rivederle oggi, le foto che ritraggono<br />

entrambi alle prese con il citato allestimento e montaggio delle gigantesche<br />

scenografie teatrali per lo spettacolo «L’avventura di un povero cristiano»,<br />

di Ignazio Silone, per la regia di Valerio Zurlini, a San Miniato, appunto<br />

nel 1969.<br />

«Fui contattato dal T.S.A. perché in Italia nessun laboratorio scenotecnico<br />

era disponibile alla realizzazione di quelle scene. Si trattava di due combustioni<br />

di plastica, una bianca e l’altra rossa e di un sacco. Bisognava realizzare<br />

tre fondali di dieci metri di base per sette e mezzo di altezza in rapporto a<br />

tre piccoli bozzetti di Burri. Le due combustioni le andai a fare a Milano dove<br />

il Teatro mi aveva riservato un vasto spazio presso un padiglione della Fiera.<br />

Riuscii a concretizzare il lavoro non dormendo per quindici giorni di seguito e<br />

lavorando ininterrottamente giorno e notte, allora avevo venticinque anni e<br />

tutto era possibile».<br />

Torna in mente la splendida prosa lirica che Leonardo Sinisgalli – poeta, e<br />

insieme estroso, peritissimo critico d’arte – dedicava in L’età della luna


(1962) proprio all’amico Burri, visitandolo al lavoro, nel suo studio baluginante<br />

e annerito, fumigante ma sublime, quasi arcano eppure futuribile antro<br />

di una Sibilla…<br />

«Nello stanzone semisepolto della Salaria Burri ci aspetta coi suoi vivi occhi<br />

di gatto, in maglietta. Vive come un barbone, un mentecatto nascosto dalle<br />

ortiche. Sugli spigoli dei muri spara contro due lastre di piombo a contatto o<br />

squarcia il fondo di una bottiglia. Appese alle pareti lacere bandiere, vedove<br />

gramaglie, fetide culottes, nastrini di medaglie. Ha un bidone di bitume nella<br />

stanza, sacchi di gesso, aghi, aghicelle, pennellesse. Soldato di una guerra<br />

perduta non fischia, non canta. Cuce, brucia».<br />

Naturalmente, vero fine dell’arte, il rapporto, la collaborazione artistica si è<br />

fatta anche approdo umano, stima umanista, diremmo, cioè amicizia: ed ecco<br />

<strong>Visca</strong> e Burri, entrambi appassionati cacciatori, cosmogonicamente immersi<br />

nei loro tours venatori in Umbria o in Abruzzo, fra lo studio di Burri a Casenove<br />

di Mucignano e gli splendidi boschi di castagni del circondario…<br />

«Conobbi un altro Burri. Diverso da quel personaggio misantropo di cui<br />

tutti parlavano. Con me fu molto aperto e nei pomeriggi di riposo, dopo il<br />

rientro da lunghe battute di caccia, mi raccontava con passione del periodo<br />

della sua prigionia in Texas, dei suoi primi dipinti e delle difficoltà che aveva<br />

trovato in campo di concentramento a reperire i primi colori, specialmente i<br />

rossi. Mi raccontò anche, con una certa rabbia, di tutti gli sforzi e dell’impegno<br />

profuso nelle ricerche del fratello disperso in Russia, ma soprattutto parlammo<br />

di pittura e anche del mio lavoro».<br />

Ed è un vero Romanzo della Materia, ripetiamo, questo che <strong>Visca</strong> ci dispiega<br />

davanti agli occhi, rapito ed inesausto, ma sempre salvandolo, riplasmandolo<br />

non mai con l’artificio ma con il sorgivo, ancestrale anelito dell’Arte…<br />

La materia inerte… Da cucire, bruciare, combùrere… E poi il rapporto vitalissimo,<br />

eclettico e enciclopedico, ci viene da dire, con questi materiali: dal<br />

Laboratorio Metalli della scuola di giovinezza, agli arazzi amplissimi… E questo<br />

suo cocciuto, sublime voler “recuperare il colore attraverso le materie”…<br />

E soprattutto, recuperare l’Informale con delle parvenze figurate…<br />

Quando nel 1964 avvia dunque la sua sentita serie delle Crocifissioni – i<br />

14 tragici momenti umani della Via Crucis – anche qui, come suo solito pregio,<br />

<strong>Visca</strong> scantona, vira, evita implicazioni ideologiche, o azzeramenti, oscuramenti,<br />

umiliazioni della sua fertile aurora creativa. Mentre tutta la corrente<br />

materica (tutti gli epigoni di Burri, insomma) ponevano la materia a unico logos<br />

ed ethos – fine incoronato – delle proprie ricerche espressive, <strong>Sandro</strong><br />

utilizza, sublima e seleziona gli scarti, le scorie della materia (carta di recupero,<br />

stoffe, stracci, vinavil, smalti, ferri saldati) per riaggregare, intessere, plasmare<br />

e riseminare figurazioni neoumaniste.<br />

E dove insomma l’umano – no, non il postumano, la deriva residuale e<br />

dilacerata, esplosa da dentro – fosse ancora bene al centro dell’opera, divinata<br />

anzi in una nuova risultanza qualificante.<br />

Dal nero, sembrava dirci <strong>Visca</strong> – perfetto, originale ed emancipato allievo<br />

del miglior Burri – rinasce, implode e risorge luce… Dalle lacerazioni combuste<br />

del tessuto sociale – e della materia creatrice – miracolano nuovi colori:<br />

nuovi perché, come il tempo proustiano, prima perduti e poi tanto più ritrovati.<br />

La collaborazione col Cinema spalanca una prospettiva altra, consanguinea<br />

e insieme variata: il film di Zurlini da Silone… E soprattutto “Un cuore rosso<br />

sul Gran Sasso”, che <strong>Visca</strong> realizzò nel 1979-80, al culmine di una stagione<br />

di bizzarro, fertile romitaggio estetico nel suo Abruzzo montano, più aspro,<br />

ancestrale e apotropaico, petrosamente incarnato come un immenso monumento<br />

tettonico, un laico e gigantesco santuario cardiaco, poroso mausoleo<br />

di Natura.<br />

E pensiamo, mutatis mutandis (qui non incombe la cima del Gran Sasso,<br />

ma la sua sororale Maiella), alla splendida descrizione che il D’Annunzio del<br />

Trionfo della Morte (1894) intona come per una vetta innalzata dai suoi<br />

stessi scoscendimenti, radicata e vegetante per l’atavica forza delle sue stesse<br />

tradizioni, di un indicibile furor anthropologicus:<br />

«La sua terra e la sua gente gli apparivano transfigurate, sollevate fuori del<br />

tempo, con un aspetto leggendario e formidabile, grave di cose misteriose<br />

ed eterne e senza nome. Una montagna sorgeva dal centro, come un immenso<br />

ceppo originale, in forma d’una mammella, ricoperta di nevi perpetue;<br />

e bagnava le coste falcate e i promontorii sacri all’olivo un mare mutevole<br />

e triste su cui le vele portavano i colori del lutto e della fiamma. Vie larghe<br />

come fiumi, verdeggianti d’erbe e sparse di macigni e qua e là segnate<br />

d’orme gigantesche, discendevano per le alture conducendo ai piani le migrazioni<br />

delle greggi. Riti di religioni morte e obliate vi sopravvivevano; simboli<br />

incomprensibili di potenze da tempo decadute vi rimanevano intatti»…<br />

Come un immenso ceppo originale… Questo fascino della montagna sull’artista<br />

ci porta davvero lontano (magari a Roccatagliata Ceccardi, a Jahier, a<br />

Dino Campana, a un certo Rèbora, perfino alla povera Antonia Pozzi!): ma<br />

anche con <strong>Visca</strong> non si tratta solamente di un’esperienza, diciamo, naturistica<br />

– bensì, di un’ascensione umana, di una lievitante, ossimorica immersione<br />

antropologica… «sopra il monte imbattezzato» e la sua falange di immagini –<br />

per dirla col grande poeta gallese Dylan Thomas.<br />

Ed ogni discesa dalla vetta, celebra in fondo un’ossigenata ripartenza, il<br />

tornare, riaddensarsi a valle lungo i fiumi e le strade anche ostili della Realtà.<br />

«Nell’opera di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> affiorano e si manifestano feticci e tabù e ripristini<br />

candidi di coltissimi sortilegi,» – scrive Gino Marotta certo pensando anche<br />

a questi grandi tours in giro per mezzo mondo – «di ferocissime appassionate<br />

ricognizioni dei territori passionali di un collettivo etnico che va oltre<br />

il Gran Sasso, verso il deserto»… E altrove amerà ritrarlo come «il saraceno,<br />

incantatore esorcista», «amaro privilegiato decifratore di arcani e lontani meccanismi<br />

del pensiero»…<br />

Ecco, uno dei capitoli più interessanti della sua vita – e dunque della sua<br />

arte – <strong>Visca</strong> può ben ascriverlo ai suoi lunghi viaggi nelle Ande, in Perù, lungo<br />

il Rio delle Amazzoni… Torna ovviamente in mente una certa luce lirica<br />

di Pablo Neruda – non meno dolce che aspra, irredenta e pura – perfettamente<br />

riversata non solo nelle celebri poesie, ma ancor più forse in certe<br />

sue prose, e diari, dove la fortissima natura sudamericana sembra ergersi,<br />

mutarsi in aspro o fantasiosissimo artista, capace di dipingere, scolpire coi<br />

suoi colori e con le sue forme, ogni terra, squarcio o golfo o muro d’orizzonte;<br />

ecco ad esempio l’irripetibile, introiettato murales de L’autunno dei rampicanti:


«Giallo, fuggitivo, il tempo che decapita le foglie avanza verso l’altro lato<br />

della terra, pesante, facendo scricchiolare il fogliame caduto. Ma prima di<br />

andarsene, si arrampica su per le pareti, si aggrappa ai crespi viticci e illumina<br />

i taciturni rampicanti. Essi attendono tutto l’anno il suo arrivo, perché lui<br />

li veste di crespo e di bronzo. È quando l’autunno si allontana che i convolvoli<br />

adorno, colmi di gioia, invasi da un’ultima e disperata resurrezione.<br />

Tempo pieno di disperazione, tutto corre verso la morte. Allora tu forgi sulle<br />

umide muraglie la furia cupa dei rampicanti. Immobili ragni azzurri, cicatrici<br />

violette e gialle, medaglie insanguinate, giocattolo dei venti del Nord. Dove<br />

il vento formerà ogni ricamo, dove andrà completando il tuo lavoro l’acqua<br />

delle nubi».<br />

Anche la Natura s’inventa le sue gloriose, supreme tavolozze! Feticci e<br />

tabù… Collettivo etnico…<br />

Dobbiamo immaginare e rispettare quel <strong>Visca</strong> più giovane del 1970 e dintorni,<br />

felicemente sintonizzato, collegato a questa profonda scelta di vita: ivi<br />

comprese, e per fortuna, le annesse e connesse scelte politiche, che poi furono,<br />

sono anche e per ciò stesse umane. “In quegli anni,” mi ha detto come<br />

sul filo di un antico disagio affettuoso, di un empito perfino incarnato,<br />

certo, ma non del tutto condiviso, “le categorie dovevano essere sempre di<br />

una proposta alternativa… Preferivo il recupero di certe stratificazioni di<br />

esperienze… Un recupero progressista, sia chiaro, non archeologico… Ambivo<br />

e indagavo piuttosto il rapporto dell’uomo-interno con l’esterno – le vere<br />

necessità introiettate del vivere. Magari, perché no?, prendendo anche ad<br />

esempio una cultura di appartenenza; e uscendo fuori dai meccanismi del<br />

Mercato, o del Potere della Critica, per salvare me stesso”.<br />

Decisivo dunque il rifiuto di darsi pienamente in pasto all’entourage delle<br />

gallerie e della critica modaiola – ribadendo invece (anzitutto dentro di sé)<br />

ansia di libertà creativa e quiete esistenziale: la scelta dell’insegnamento,<br />

presso la Sezione Accademia del Liceo Artistico di Pescara, a partire dal<br />

1969, lo aiuta e lo protegge come in un’oasi operosa. Il rapporto coi giovani,<br />

ne prolunga in fondo la giovinezza e gli consente insperate collaborazioni e<br />

trasfusioni emotive, nonché espressive. L’incontro nel ’72 con un allievo come<br />

Andrea Pazienza – il geniale disegnatore e cartoonist diventato in pochi<br />

anni l’emblema di una generazione, e altrettanto in fretta bruciatosi – la dice<br />

lunga su certi illuminanti, destinati snodi insieme artistici ed esistenziali (dall’archivio<br />

Pazienza, risulta che <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, il professore amato e caricaturato,<br />

sceneggiato in decine di vignette, risulta proprio il personaggio “reale” più<br />

disegnato da Andrea Pazienza…).<br />

Era il periodo in cui finalmente si usciva – assai malconci – dal grande peso,<br />

egemonico e in fondo ricattatorio delle ideologie. Il loro provvido e inevitabile<br />

tramonto – che è come dire sfaldarsi, corrompersi, implodere – favorì<br />

e ingenerò un sottile ma caldissimo bisogno di altri conforti, stilemi, archetipi,<br />

traguardi.<br />

Moda su moda, venne anche quella della Natura – di un suo eterno ritorno<br />

come Alma Mater, arcana e primigenia. Ma per molti fu un bisogno sincero,<br />

un urgente leggersi dentro, auscultarsi proprio e soprattutto come Anima<br />

Mundi. <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> fu subito tra questi, e con quale e quanta profondità<br />

d’analisi, di esigenze, di fervore e di dinieghi. Dunque il credo naturista epurava<br />

e riscattava gli animi, dolenti ancora dello sterile malessere e delle terrorizzanti<br />

scaramucce di troppe avanguardie – e molto più dell’inesorabile, ter-<br />

rorizzante guerra nel contesto civile, politico, velenoso e fazioso… Il ’68 aveva<br />

in fondo tradito i suoi sogni e bisogni – gli anni ’70 s’incupirono a lutto:<br />

anni di piombo, li dissero. E pesarono e uccisero come il piombo. Con le<br />

P38 degli “autonomi” e i fumogeni reazionari della polizia, le Brigate Rosse e<br />

il rapimento e poi la tetra, delirante esecuzione di Moro: tragico, inutile olocausto<br />

per un Sistema che certo rimase ignobilmente lo stesso, semmai accelerando<br />

ancora le sue pulsioni e propensioni consumistiche, la dittatura<br />

fintodemocratica del Capitale… Pasolini tuonava e ammoniva, ma finì cadavere<br />

bastonato, tumefatto e dilaniato in una discarica dell’Idroscalo di Ostia,<br />

nell’estrema periferia di Roma che sempre e pure aveva amato, dopo uno<br />

dei suoi squallidi, consueti rendez-vous omosessuali. Dai suoi idolatrati Ragazzi<br />

di vita gli venne infine la Morte. Ma egli aveva in verità profetato e come<br />

filmato, poetato già tutto, in un incubo visionario che perfettamente gli<br />

fece intuire, soffrire tutte le nuove emergenze, e gli scenari di un intero pianeta<br />

spaventosamente brulicante e agonico, col suo irrefrenabile Terzo Mondo<br />

elevato al quadrato, al cubo, esportato a virus endemico, colonizzato a<br />

necessario antinferno, purgatorio condannato e funzionale al sistema:<br />

Il Quinto Dolore è sapere<br />

che miliardi di viventi<br />

una dolce mattina, si desteranno,<br />

come in ogni mattina della loro vita,<br />

nel semplice sole dell’Europa futura,<br />

i suoi gelsi, le sue primule,<br />

– o in quello profondo dell’India<br />

nel puzzo sublime del colera che aleggia<br />

su corpicini nudi come spiriti,<br />

– o in quello spudorato dell’Africa<br />

sempre più moderna<br />

sul verde della morte che sarà cornice<br />

al furioso dono della vita,<br />

– o in questo di Fiumicino, sole di fiume<br />

che fa dell’odore del fango una festa<br />

di misera immortalità latina…<br />

Ognuno sognò, ricercò l’antidoto che più gli si confaceva. Ognuno fuggì da<br />

sé verso sé, dentro sé: e fu la volta di una commossa, struggente mitizzazione<br />

della Natura. L’Occidente, si sa, viaggia a mode: ecco quella dei libri di<br />

Tolkien, di Hermann Hesse e del suo Siddharta, con quest’India evocata e<br />

invocata, e un nirvana che nessuna metropoli poteva realmente concedersi –<br />

fuori dei meri giochetti letterari, o dei guizzi simbolici…<br />

«A nessuno veniva in mente di mettere in discussione la saggezza del<br />

Centro Permanente dell’Amore quando affermava che era necessario rifiutare<br />

ogni forma di contatto con il resto dell’universo. Attivato… una parola scritta<br />

a lettere nere che colava inchiostro rosso…» – delirava quel gran saggio ebbro<br />

di Jack Kerouac in uno strano, inaudito e mordente racconto fantascientifico<br />

di quegli anni, cityCityCITY – «ATTIVATO, lo vedevi scritto sui muri dei gabinetti<br />

superasettici di cityCityCITY, accompagnato da disegni indecenti».<br />

Di spiazzamento in spiazzamento, verso l’altro lato della terra, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

continuò invece a fare tranquillamente il suo lavoro, di essere ed auscul-


tarsi ed attivarsi artista, artefice di un sano, innato desiderio espressivo. Lui<br />

che la metropoli mai l’aveva scelta e in fondo accettata; né i finti dettami liberaldemocratici<br />

del consumismo, o peggio gli alibi rivoltosi e le cupe utopie<br />

delle dittature del bene, dei paventati o seducenti socialismi reali…<br />

Il suo nuovo periodo dei pieni anni ’70 ammira e incanta, coi suoi lavori<br />

sapienti d’ingenuità, incorrotti e fioriti di figurazioni quasi alchemiche, mai<br />

vièto décor ma sofferto, ossigenante orizzonte di incantamenti, sospensioni,<br />

rarefazioni o intrighi analogici, inesausta iconografia e policromo arazzo dell’anima:<br />

o forse, chissà, davvero la mappa intessuta, variata e finalmente decrittata,<br />

del Centro Permanente dell’Amore…<br />

Ma di questo caro sciamano che cuce parole e stoffe, ci interessa poi anche<br />

il rapporto coi moderni classici del ‘900 (e perfino di fine ‘800: pensiamo<br />

allo Jugendstil, a Klimt e alla secessione viennese, o ai rapimenti fiabeschi,<br />

neomedievalisti, di un William Morris con tutto il suo movimento di Arts<br />

and Crafts, ma non solo): i secondo-futuristi come Prampolini e Depero, certo;<br />

ma soprattutto (oltre al suo Burri) Fontana, Afro, Mirko, Cagli, Munari, e<br />

tanti altri potremmo aggiungerne: da tutti gli “astrattisti” italici di Forma 1, sino<br />

ai performativi, alla Body Art, alla Land Art (vedi Christo)…<br />

Così come c’intrigano le infinite chances di “teatralizzazione” delle immagini<br />

e delle installazioni che <strong>Visca</strong> sempre propone e spalanca, vorremmo dire<br />

sciorina en plein air…<br />

«È lo spettatore che fa l’opera», teorizzava, dissacrava Duchamp. Ma ancora<br />

con <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> l’opera sceglie, elegge e ammaestra il suo spettatore –<br />

sembra anzi catechizzarlo, dialogarci all’unisono… Come appunto nei suoi<br />

teatrini che chiedono allo spettatore di animarli, di dialogarli di sensazioni,<br />

pensieri, immagini rifratte e catafratte d’anima. O prima ancora in quella Pupazza<br />

che è la vera contro-figlia e principessa in sorriso, in sogno, specchiata<br />

e dissimile, ilare e pacificante, del terribile Ubu-Roi assurdo e metafisico, angustiato<br />

e satirico, allibito dentro la nostra Storia ridicola e atroce di moderno,<br />

che ha aperto e regnato per tutto il ‘900, da Alfred Jarry in poi…<br />

Teatrini inquietanti eppure di-vertenti, esorcistici oltre ogni ponderante,<br />

“pericolante” leggiadrìa, questi di <strong>Visca</strong> ideati nel 2002: “Il teatrino dell’amore”,<br />

“Il teatrino dei fiori”, “Teatrino orientale”, “Il teatrino del martin pescatore”<br />

– e addirittura “Asparago in posa”, “L’istrionismo del guitto”, “Ripostigli segreti”,<br />

“Caduta di un personaggio”, “Salvataggio estremo”… «Inquietanti» – ha ragione<br />

Antonello Rubini – «perché dietro alla preziosità vibratile, iconica e materica,<br />

spesso vi si colgono prepotentemente precarietà e turbamento: crollano<br />

nelle composizioni i corpi architettonici, il caos s’impone e quelle così facili<br />

deduzioni gioiose perdono un po’ della loro leggerezza, le figure appaiono<br />

colte talvolta nell’istante della distruzione. Ma in tutto ciò non vi è comunque<br />

drammatizzazione»…<br />

Ci torna in mente il James Hillman più leggiadro e concentrico (il celebre<br />

psicanalista e studioso junghiano, si sa, feroce critico del razionalismo della<br />

cultura occidentale, insiste a identificare la psiche con l’immagine archetipica,<br />

sostituendo al concetto di inconscio quello della memoria collettiva), che<br />

sempre invoca e rimpiange, in noi, il Puer aeternus che rischiamo di perdere,<br />

esiliare altrove:<br />

«la figura del Puer aeternus è la visione della nostra natura prima, la nostra<br />

primordiale Ombra d’oro, la nostra affinità con la bellezza, la nostra essenza<br />

angelica come messaggera del divino, come messaggio divino. […] Il Puer<br />

dunque personifica quella scintilla umida all’interno di qualsiasi complesso o<br />

atteggiamento che è l’originario seme dinamico dello spirito. È la vocazione<br />

delle cose a raggiungere la propria perfezione, la vocazione delle persone<br />

verso il Sé, a essere fedeli a se stesse, a mantenere il contatto con il proprio<br />

eidos che è creazione divina. Il Puer offre un contatto diretto con lo spirito.<br />

Se si rompe questa connessione diretta, il Puer cade con le ali spezzate. E<br />

quando cade noi perdiamo il senso urgente, bruciante del nostro scopo e<br />

cominciamo invece la lunga marcia processionale attraverso i palazzi del potere<br />

verso il Vecchio Re malato e dal cuore indurito che spesso si traveste ed<br />

è indistinguibile da un Vecchio Saggio infermo».<br />

Cosmogonia materica, tessitura cromatica, dislocazione formale, architettura<br />

emotiva… Quante operazioni s’assommano e concordano, coesistono e<br />

addirittura confricano, nelle opere di <strong>Visca</strong> – in questo suo continuo e caparbio<br />

plasmare e forse riplasmarsi, specchiarsi, appassionarsi ma anche astrarre<br />

nella, dalla pura materia! Aveva ragione un poeta Sinisgalli, questa volta alle<br />

prese coi lavori di un Lucio Fontana: «La sua opera è tutta sotto il segno dell’allegria,<br />

un’allegria belluina un po’ raccapricciante. Voleva portare il cielo nelle<br />

stanze… Lo vedo fratello nella vocazione antiretorica, antimistica. Bisognava<br />

intralciare il passo agli accademici, ai pompieri. I suoi ‘concetti’ sono intralci,<br />

ostacoli, barriere. Ebbero un grandissimo effetto deterrente. Fecero paura<br />

ai filistei».<br />

Sotto il segno dell’allegria… Portare il cielo nelle stanze… Intralciare il<br />

passo… Effetto deterrente…<br />

Guarda caso, proprio alla vigilia di uno degli anni più brutti della nostra<br />

storia, nel 1976, alla Biennale di Venezia, <strong>Sandro</strong> opererà da par suo, con la<br />

passione e l’estro che mai gli mancano, per la ricostruzione dell’ambiente di<br />

Lucio Fontana.<br />

Sempre più, con questi adorabili e inquieti teatrini, <strong>Visca</strong> ci introduce e si<br />

immerge in una vera metaforica parata o immota danza delle cose. Se il<br />

motto di Marc, di Kandinskij e del “Blaue Reiter”, era nel 1914 di non copiare<br />

più il mondo ma di “rendere visibili” le cose, ora le cose diventano protagoniste<br />

assolute, emblemi corroboranti, ambasciatori umanoidi; e la cosificazione<br />

simbolica, pare l’unico antidoto concettuale, espressivo, contro la disumanizzazione<br />

di massa…<br />

C’erano tante, troppe cose in giro, in quegli anni di intrigante e intricata<br />

emancipazione del moderno dal moderno, dentro e oltre il moderno…<br />

Espressionismo astratto, tachisme, informale, Action Painting, astrazione geometrica,<br />

Optical Art, naturalmente un diluvio di Pop-Art (i combine paintings<br />

di Rauschenberg, i dipinti puntinati e fumettistici di Lichtenstein, Warhol e le<br />

sue serigrafie in serie e ossessivamente ripetute di immagini prescelte e iconografie<br />

massmediatiche)…<br />

Tutto o quasi, insomma, era già stato fatto o tentato: dal manifesto «DADA<br />

DADA DADA, urlio di colori increspati, incontro di tutti i contrari e di tutte le<br />

contraddizioni», insomma dal “disgusto dadaista” di Tristan Tzara, alle “sculture<br />

portaoggetti” di Giacomo Balla; dagli autoritratti con la biro blu e rossa di<br />

Dubuffet, e dalla fascinazione utopica de L’Hourloupe, alle sarcastiche serie<br />

dei “Generali”, delle “Modificazioni”, dei “Meccani” e delle “Dame” di Enrico<br />

Baj… Né dimentichiamo, più o meno coevi, i “Lirismi alchemici” di Vladimiro<br />

Tulli (come tralasciare i suoi “Veleni in rosa e materasso”, o “L’arcobaleno<br />

stroncato”?), i deliziosi, scenografici Mozart di Luzzati – e più ancora le allegoriche,<br />

gioconde “Fantasie teatrali” di Daniela Remiddi, coi suoi burattini, le


maschere, i costumi di immediata e policroma fragranza… Vegliava anche –<br />

per non dire incombeva, ed esploderà di lì a poco – anche il successo (meritato<br />

e pilotato assieme) della Transavanuardia, i cui campioni, da Chia a<br />

Clemente, da Cucchi a De Maria, a Paladino), secondo l’intuizione del loro<br />

critico e “profeta” Achille Bonito Oliva, «superando l’ideologia del darwinismo<br />

linguistico […] recuperano le ragioni della manualità, della soggettività e ripristinano<br />

le categorie di pittura, scultura e disegno. Nomadismo culturale ed<br />

eclettismo stilistico presiedono il lavoro di una rifondazione dell’arte improntata<br />

sul principio manieristico della citazione»…<br />

Ma questi sono già giochi e giochetti della seconda metà degli anni ’70…<br />

Le giovinezze, le generazioni si succedono in fretta, e ciascuna sembra abbia<br />

solo fretta di licenziare e sostituire la precedente… E gli anni ’60, no che<br />

non erano facilmente archiviabili – né da noi né altrove!…<br />

In Italia, a parte le solitarie e celebrate imprese dei grandi numi tutelari (da<br />

Burri a Fontana, appunto, da Capogrossi a Rotella, etc.), era cresciuta, specie<br />

a Roma, intorno ai caffè di Piazza del Popolo, diciamo fra il 1959 e il ’68,<br />

una sfacciatamente giovane, irruenta scuola di pittori un po’ maledetti, un<br />

po’ disancorati, e infastiditi da ogni tradizione, anche del moderno, che diedero<br />

man forte a una sorta di talentuosa, rapita e vagamente edonista versione<br />

nostrana della Pop-Art: i nomi li sanno tutti, si va, con molteplici sfumature<br />

e distinguo, da Schifano a Festa, da Angeli a Ceroli, a Mambor, Kounellis,<br />

Tacchi, Pascali… Paola Pitagora, che in quegli anni, da promettente e<br />

tormentata attrice di Bellocchio (ma anche nazionalpopolare Lucia Mondella<br />

nei Promessi Sposi televisivi), si ritrovò fidanzata e musa di uno di loro, Renato<br />

Mambor, racconta molto tempo dopo, nelle pagine diaristiche e romanzate<br />

di Fiato d’artista (2001), quei sogni ansiosi, spericolati come una traiettoria<br />

delle loro veloci maximoto, e quella scanzonata, bruciante e anarchica<br />

bohème in pieno, maldestro boom economico, con accenti lucidi, struggenti:<br />

«Ma perché non ti sei messa con un regista o un produttore?” mi sentivo<br />

chiedere. Certo sarebbe stato più facile per me, che con quei ‘maestri del<br />

dolore’, loro ponevano una visione della realtà che spesso contrastava le mie<br />

quotidiane necessità, che erano vitali, di crescita. Ma senza rendermi conto<br />

proprio da loro bevevo un nettare preziosissimo, quello della libera, gratuita<br />

creatività. “Delle arti, quelle inutili” scrive Brecht. Le loro opere ai miei occhi<br />

nascevano realmente da una non necessità, nemmeno quella della Bellezza:<br />

non si pronunciava “bello!” davanti a un quadro o una scultura, bisognava<br />

piuttosto superare uno spiazzamento, perché era un’altra versione della Bellezza,<br />

un diverso linguaggio che sperimentavano. Affascinata miravo quella<br />

ruota iridescente e mi sforzavo di comprendere, ma se la parola Avanguardia<br />

ha un senso, solo oggi posso amare il loro lavoro».<br />

Ecco allora <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> 1969, sorridente e irridente, capziosamente autoironico<br />

con le sue emblematiche pupazze di stoffa, cucite a mano con inopinabile<br />

perizia artigianale, e poi giocate, suggeriva Nicola Ciarletta con un «effetto<br />

caricaturale e allucinatorio, alla Godard (il regista cinematografico più vicino<br />

alle origini del teatro)». Ma è il versante – e il discrimine – dell’umanizzazione<br />

degli oggetti (e forse viceversa), quello che consente i funambolismi<br />

concettuali, gli interscambi archetipici più interessanti. Ancora Ciarletta: «<strong>Visca</strong><br />

sa, da moderno, che l’uomo oggi (e per uomo – non serve dirlo – s’intende<br />

anche la donna) è ‘reificato’, è diventato cioè mutuabile con gli oggetti che<br />

adopera. (Questa mutuabilità dell’uomo con l’oggetto ha avuto il suo primo<br />

raffiguratore – mi si perdoni l’insistenza – in Picasso). Ma <strong>Visca</strong> sa pure che<br />

in antico un artista figurativo era considerato un fabbricante di oggetti, e che<br />

assai lunga è stata la sua strada per arrivare ad essere considerato – alla pari<br />

con i poeti – un imitatore (e cioè, si rifletta, un interprete) dell’azione<br />

umana (la quale richiede sviluppo e movimento). È, dunque, sulla base di<br />

questo doppio ordine di consapevolezze, che <strong>Visca</strong> giunge a concepire (ed<br />

è chiaro che in lui confluiscono le istanze di varie tendenze che sono in giro:<br />

pop, op e via dicendo) la pittura, che è visione (e vorrebbe esserlo di<br />

azioni umane), come teatro, che è ed è sempre stata visione (lo denuncia<br />

la parola stessa)»…<br />

E Benito Sablone – da poeta ironico e dolente, come tutti noi in perenne<br />

ansia di nuovi equilibri – parlerà della duplice verità delle sue “pupazze” cucite<br />

a mano, le quali in fondo «non vogliono essere prese sul serio e minacciano<br />

continuamente di ribellarsi al loro stesso creatore per la forte carica ironica<br />

che posseggono: diventano così, anche estremamente serie e drammatiche:<br />

ma di rimbalzo, in un secondo tempo, dopo che hanno fatto tabula rasa<br />

d’ogni residuo mito estetico».<br />

Ma proprio così, compunto e ilare, strutturato e antimitico, <strong>Sandro</strong> riusciva<br />

a coniugare, a contemperare forse Creatività, Necessità, Libertà e Bellezza…<br />

Non parliamo poi delle felici – e contraddittorie, evviva! – implicazioni antropologico-culturali;<br />

e soprattutto del cosiddetto “metalinguaggio magico di<br />

<strong>Visca</strong>”, che il sociologo Luigi Fraccacreta individua e premia (correvano già i<br />

primi anni ’70, per la precisione un’importante personale a Milano presso la<br />

galleria Pace) come viaggio attraverso l’alchimia dell’uomo interno:<br />

«Dall’opera di <strong>Visca</strong> appare alla fine un nuovo modello di culto: gli oggetti<br />

rappresentati sono contemporaneamente e reciprocamente “interni” ed<br />

“esterni”.<br />

Nel mondo esposto in queste opere, la testa, il cuore, il sistema neurovegetativo,<br />

l’utero, la nuvola, il sottosuolo, il fuoco, gli ori, gli argenti, i rossi, acquistano<br />

un valore sintattico complesso che deriva loro dal processo alchemico,<br />

cioè dalla trasformazione del Sé profondo del ricercatore-osservatore<br />

attraverso la ricerca stessa».<br />

E la costante, per l’appunto, è questa rara e amabile qualità di irrisione<br />

proba, di eticità festosa, di un serissimo joke, ed egualmente dolce, docile:<br />

«Ne viene fuori un orizzonte d’immagini festevole, ludico (e <strong>Visca</strong> mi parla<br />

infatti di recupero di una ‘festività persa’), ove il gioco tuttavia» – annota Enrico<br />

Crispolti nell’85 – «non è liberazione altrimenti alienante, ma è evocazione,<br />

invenzione, scandaglio di nessi possibili, vitalmente significanti. Il traguardo<br />

è l’immaginazione come potenza di costruzione di un mondo più ricco,<br />

diverso nella sua densità animistica, ove ogni segno è dunque anche altro da<br />

sé, come ogni suo elemento in campo è sì allusione alla figura simbolica deliberata,<br />

ma anche carica d’immaginario ulteriore attraverso l’intensità direi di<br />

‘decoro’ espressivo del suo stesso tessuto, sempre sontuosamente condotto,<br />

e perciò mai inerte»…<br />

Certo è che anche <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> – già a partire da allora – sempre più si<br />

poneva e risaltava come artista “totale”, e questo, più che un evento, splende<br />

tutt’oggi come assoluto miracolo. A dirne i pregi, suffragarne il talento, forse<br />

l’esercizio critico non basta più, con la sua mera, tarata misurazione di stili


e stilemi: occorrerebbe semmai il voto felice e sincronico d’un poeta, il rito<br />

di sapienza di una illuminazione felicemente postrimbaudiana; o perfino le<br />

cronache munifiche ed efflorescenti del Gabriele d’Annunzio più raro, più<br />

sincero – più abruzzese che romano, più nostalgico che progressista, più<br />

terrigno che sensuale, più elitario che mondano – più innamorato della<br />

stoffa esosa dell’arte, dei suoi serici, cabalistici colori, di ogni implosa tessitura<br />

o materiale poietico che rinarra l’ispirazione, la veste, l’arreda, la contempla,<br />

la frequenta, la abita, la seduce, la sveste, la penetra col denso<br />

amore del Linguaggio, con il corteggio inaudito e quotidiano delle parole,<br />

insieme seriose e impertinenti, lucide ed evanescenti, anticate e squisitamente<br />

fuori del tempo…<br />

«… Io so che tutto è una emanazione della sostanza una, infinita ed eterna;<br />

e che l’uomo terrestre è l’immagine dell’uomo celeste; e che li universi<br />

sono i riflessi dell’Uno.<br />

Le driadi sono fuggite, con le oreadi, i tritoni e i silvani; ma per me i silfi<br />

ancora sospirano nell’aura; le ondine piangono nelle acque cadenti e si lagnano<br />

nella profonda voce del mare; le salamandre si agitano e scintillano<br />

nel fuoco; gli gnomi in fondo alle caverne custodiscono tesori che il sole non<br />

vide mai».<br />

Un viaggio immobile e vorticoso, duttile e coriaceo, plasmabile e petroso,<br />

metamorfico e induttivo, presiede a quest’«attitudine gentile e sicura» – chiosa<br />

Ruggero Pierantoni – che «da questa plancia di comando così geometrica,<br />

uniformemente luminosa e onestamente abitata», circumnaviga in un<br />

arazzo di 34 metri, alto 50 cm, tutto il mondo da visitare – ma insieme tutti i<br />

mondi possibili: con una grazia fantastica e una precisione implacata, un’eleganza<br />

e una consapevolezza, che davvero ricordano certe indimenticabili parabole<br />

di Italo Calvino, i suoi tarocchi o Castelli dei destini incrociati, le sue<br />

Città invisibili, i suoi Marco Polo insomma di ieri e di sempre, ma soprattutto<br />

di domani.<br />

Non è un caso che negli ultimi, densi saggi di conoscenza – e cioè nelle<br />

ormai mitiche Lezioni americane, uscite postume nel 1988 –, Calvino additasse<br />

proprio la “Leggerezza” come virtù principe per il Nuovo Millennio: e<br />

proprio perché, come rileva Fabio Pierangeli in una sua acuta monografia<br />

(Italo Calvino. La metamorfosi e l’idea del nulla, 1997), «si oppone vittoriosamente<br />

ad una realtà diventata pesante a causa di un lento processo di<br />

‘pietrificazione’ iniziato con il dopoguerra».<br />

La pietrificazione, fuori dalla contingenza storica, pur segnalata da Calvino,<br />

rappresenta anche il male: è il passaggio più delicato, il nodo rimasto aggrovigliato<br />

ne La giornata di uno scrutatore. Che siamo in un ambito metaletterario,<br />

Calvino lo chiarisce immediatamente, ponendo un parallelo tra il mito<br />

e il «metodo da seguire scrivendo». Lasciando che «le immagini della mitologia»<br />

compongano un discorso sulla letteratura, si può evitare di essere catturati<br />

dallo sguardo pietrificatore. Tuttavia «coi miti non bisogna avere fretta; è<br />

meglio lasciarli depositare nella memoria». Indubbiamente attrae Calvino la<br />

leggerezza, la nobiltà dei gesti con cui Perseo porta a termine l’uccisione del<br />

mostro, troncandone di netto la testa: «Si sostiene su ciò che vi è di più leggero,<br />

i venti e le nuvole». Immagini di grazia e delicatezza che preannunciano<br />

quel processo metamorfico in cui il primo gradino è la trasformazione del<br />

sangue del mostro: «dal sangue di Medusa nasce un cavallo alato, Pegaso»,<br />

cosicché la «pesantezza della pietra può essere rovesciata nel suo contrario».<br />

Davvero qualcosa di molto simile, ed egualmente, inesauribilmente felice,<br />

ha sempre fatto il nostro agile, caparbio e forte – perché leggerissimo – <strong>Visca</strong>,<br />

artista metamorfico quant’altri mai, e originale indagatore, onesto e paziente<br />

alchimista della sua stessa fantasia… Davvero dalla nerezza al bianco,<br />

dalla nigredo fino all’albedo, all’ultimo chiaroveggente traguardo e stadio di<br />

ogni opera che con la vita coincide, la rifrange e l’assomma.<br />

Ma con un artista totale e del totale come <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, poderoso e lievissimo,<br />

vorticoso e apparentemente concentrico, assommato e primigenio come<br />

un metafisico Primo Motore Immobile, per fortuna anche le armi e gli<br />

adusi arnesi della critica d’arte paiono spuntati, diremmo limitativi: forse più<br />

giusto e assennato il trasvolante, sempiterno intuito del poeta, la cognizione<br />

d’un dolore che tradotto, metabolizzato, torna invece a nutrirci, instaura e radica<br />

il meritato contrappasso del sorriso, combatte e rischia per una vera felicità<br />

auratica, mentale, e solo dopo appagatamente creativa.<br />

In ogni atomo o cellula o atomo o goccia d’acqua c’è in fondo il calco,<br />

l’essenza, la scala o rimembranza dell’intero mondo, la formula stessa della<br />

vita – giurano i biologi, i fisici e gli scienziati. In ogni quadro o installazione,<br />

arazzo o pupazza, teatrino o collage di <strong>Visca</strong> – solare e lunare assieme, come<br />

un’Ombra d’Oro –, langue, si macera o si ridesta, gemma e nasce come<br />

da un taglio cesareo la scommessa lieta dell’arte, l’armonia faticosa dell’esistere,<br />

la natura cui apparteniamo e che ci reclama, ci battezza e ci forgia uomini,<br />

sempre nuovi d’antico, aurore successive, tramontanti ma inestinguibili.<br />

In bilico e equilibristi tra i regni a specchio di sole e luna – proprio come divinarono,<br />

esplorarono per mera trasparenza di parole le immagini sorprendentemente<br />

consanguinee, qui ben sovrapponibili, ma invero solo pensate,<br />

di Dylan Thomas, sul ventre materno dell’arte:<br />

Perché colui che ora apprende il sole e la luna<br />

Del latte di sua madre possa fare ritorno<br />

Prima che le labbra avvampino e fioriscano<br />

Alla stanza sanguinante della nascita<br />

Dietro l’osso di scricciolo<br />

Del muro e ammutolisca<br />

E il ventre<br />

Che generò<br />

Per<br />

Tutti gli<br />

Uomini l’adorata<br />

Luce infantile o<br />

L’abbagliante prigione<br />

Si spalanchi al suo arrivo.<br />

In nome di tutti i dissoluti<br />

Smarriti sopra il monte imbattezzato<br />

Nel centro delle tenebre io lo prego


a cura di<br />

Antonello Rubini<br />

1<br />

2<br />

Una metabiografia tra racconto e intervista<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> è certamente uno dei più interessanti artisti italiani contemporanei che operano nella sfera del fantastico.<br />

Nasce all’Aquila il 19 settembre 1944, dove trascorre l’infanzia in una casa appena fuori le mura della città medievale<br />

manifestando da subito una spiccata sensibilità per il disegno<br />

[«È lì che per la prima volta ho avuto la possibilità di scoprire che esisteva l’architettura di un fiore e che un aquilone,<br />

a parte il suo aspetto estetico, poteva volare solo dietro un’attenta progettazione. È stato soprattutto con il diretto contatto<br />

con la natura vissuta da vicino e con i giochi dell’infanzia che ho iniziato ad avvertire il bisogno di esternare tutto<br />

ciò che dentro di me diventava emozione. In seguito un istinto segreto mi ha sempre accompagnato verso le forme, i<br />

colori, i segni, le materie e la costruzione»].<br />

Sensibilità che negli anni immediatamente a seguire comincia a rivelarsi un vero e proprio amore per l’arte<br />

[«Nel 1950, durante il dopoguerra, frequentavo la seconda elementare e già ero impegnato a realizzare disegni creativi<br />

con profili evidenti di prospettiva. Questo entusiasmava la mia maestra che era appassionata di pittura e che non<br />

risparmiava mai parole di elogio per incoraggiarmi a fare meglio. Una volta ci portò a visitare una mostra di Teofilo Patini<br />

(1840-1906) allestita presso il Teatro Comunale dell’Aquila, proprio di fronte alla nostra scuola “De Amicis”. Ricordo<br />

che rimasi molto impressionato da quelle opere ispirate alla tematica della vita contadina abruzzese (solo in età<br />

adulta riuscii a capire l’eccesso di retorica declamatoria alla quale appartenevano). Allora ero appena un bambino e<br />

quei quadri così grandi, di cui spesso avevo sentito parlare in famiglia, mi sembrarono ancora più grandi di quanto lo<br />

fossero realmente. Rimasi così trasognato davanti a quei dipinti che quando fummo richiamati per tornare a scuola,<br />

per distrazione, ma anche preso dall’emozione, rimasi impalato a rimirare quelle opere soprattutto per capire come<br />

erano state dipinte e solo quando mi ritrovai immerso nel silenzio totale mi resi conto di essere rimasto solo. Nel tornare<br />

indietro, mi persi negli intricati spazi del Teatro e con un certo affanno riuscii a riguadagnare l’entrata a scuola in<br />

evidente ritardo. Per questo fui pesantemente rimproverato»].<br />

Nel 1951, all’età di sette anni, ottiene il suo primo riconoscimento, vincendo un concorso regionale organizzato dalla<br />

scuola che frequenta<br />

[«In quegli anni per le mie capacità grafiche fui selezionato per partecipare ad un concorso di disegno. Un concorso in<br />

tutta regola, senza libri disponibili per copiare e con i fogli regolarmente timbrati dalla commissione, era perfino proibito<br />

parlare con i concorrenti del banco accanto. Fu l’occasione per vincere il mio primo premio con un elaborato dal<br />

titolo L’usignolo. Quel successo fu una grande spinta per credere di più nei miei mezzi»].<br />

Parallelamente a quello che produce in relazione all’attività scolastica, <strong>Visca</strong> autonomamente realizza da autodidatta i suoi<br />

primi dipinti<br />

[«La prima scatola di colori ad olio, dopo tante insistenze, riuscii ad averla in regalo all’età di otto anni in occasione del<br />

mio compleanno. Non sapendo però come diluirli, pensai bene di usare come solvente l’olio di oliva che usava mia<br />

madre in cucina e ne risultò che quei piccoli quadretti che dipingevo su delle tavolette di compensato, non si asciugavano<br />

mai e di conseguenza non potevano essere toccati neanche dopo vari mesi a causa della pittura che restava sempre<br />

fresca»].<br />

Terminate le scuole medie, si sente decisamente indirizzato verso una scuola d’impronta artistica ma incontra forti resistenze<br />

familiari che vengono però superate in un secondo momento<br />

[«L’Aquila in quegli anni era una città profondamente provinciale e nonostante capoluogo di Regione non aveva ancora<br />

una scuola di indirizzo artistico. Solo nel 1955 si istituì la Scuola Comunale d’Arte, ma non riconosciuta legalmente<br />

e di conseguenza i miei genitori non mi dettero il permesso di iscrivermi, loro volevano assolutamente che andassi a<br />

frequentare una scuola statale. Provai a convincerli a mandarmi al Liceo Artistico di Pescara, ma non ci riuscii. Così fui<br />

iscritto, contro la mia volontà, all’Istituto Tecnico per Geometri dove c’era sì un po’ di disegno, ma solo tecnico. Per fortuna<br />

dopo due anni, la Scuola Comunale d’Arte si trasformò in Scuola Statale d’Arte - sezione di Roma e riuscii a cambiare<br />

indirizzo di studi»].


3<br />

4<br />

5<br />

Ovviamente, viste le sue attitudini, è entusiasta di frequentare una scuola del genere<br />

[«La Scuola d’Arte mi aprì la strada per iniziare a vivere le prime esperienze in rapporto al mondo che m’interessava e soprattutto<br />

m’illuminò sui vari aspetti delle tecnologie di rappresentazione. La possibilità di applicazione delle mie idee ad<br />

ampio raggio era ormai un sogno raggiunto. Nel corso dei miei studi, soprattutto nelle materie professionali, ho partecipato<br />

sempre con vivacità ed impegno totale incuriosendomi sempre di tutto. Certo la pittura rimase una vicenda privata<br />

perché a scuola non si insegnava e quindi, per la cosa alla quale tenevo di più, sono dovuto andare avanti con i miei passi<br />

potendo contare solo sulle mie energie, oltretutto costretto a confrontarmi con una realtà aquilana piuttosto spenta»].<br />

A settembre del 1961, appena prima di iniziare a frequentare la Scuola d’Arte, tiene la sua prima mostra personale alla<br />

Sala Eden dell’Aquila, esponendo dodici opere<br />

[«Fu un’avventura emozionante. Allora dipingevo dei quadri figurativi realizzati però con dei materiali alternativi a quelli<br />

di uso comune. Impastavo degli smalti nitro-sintetici misti a degli stucchi per legno che poi lavoravo a spatola e incollavo<br />

degli stracci misti a pezze recuperando una figurazione soprattutto materica. Il mio intento fin dall’età di sedici<br />

anni è stato sempre quello di cercare una discorsività pittorica personale e una mia strada privata da percorrere»].<br />

Tale mostra rappresenta sostanzialmente la sua uscita ufficiale<br />

[«Fui recensito sulla stampa regionale suscitando curiosità e apprezzamenti lusinghieri. Ricordo soprattutto quelli di Fulvio<br />

Muzi, l’artista più autorevole della città, che nel corso della mostra disse che bisognava tenere conto delle qualità promettenti<br />

di un ragazzo così giovane. I suoi apprezzamenti, ma soprattutto i suoi consigli, mi furono di grande aiuto»];<br />

grazie a questa occasione entra in contatto anche con i fratelli Ciarletta<br />

[«Erano personalità che facevano parte della storia della città. Vivevano tra Roma e L’Aquila e durante il periodo invernale<br />

spesso mi ritrovavo a trascorrere insieme a loro interi pomeriggi alla Sala Eden. Nonostante fossi appena diciassettenne<br />

mi consideravano quasi alla pari e questo, nonostante mi imbarazzasse un po’, mi gratificava parecchio. Ero<br />

sempre interessato ad ascoltare i loro racconti, soprattutto quelli di Nicola che era docente universitario di Storia del<br />

Teatro e al quale piaceva dimostrare il suo sapere poliedrico, soprattutto sulla storia dell’arte moderna. Mi raccontava<br />

anche dei suoi amici di Roma, spesso di Monachesi che nelle serate romane più vivaci degli anni cinquanta lo rivoltava<br />

sottosopra e tenendolo per i piedi simulava di suonarlo come fosse un contrabbasso. E poi di Ennio Flaiano con il<br />

quale era molto amico anche Francescangelo per via della sua prestigiosa attività di costumista scenografo, per non<br />

parlare poi di tutte le storie aquilane»].<br />

Ma negli anni d’esordio probabilmente la figura più importante per <strong>Visca</strong> è lo zio Niclo Allegri, mediante il quale acquisisce<br />

diverse conoscenze importanti<br />

[«Era un fratello di mia madre che aveva una fabbrica di vernici industriali a Torino e in quel periodo risultava il più autorevole<br />

collezionista italiano del secondo periodo futurista. Personaggio arguto e intraprendente, aveva raccolto sul<br />

mercato quasi tutte le opere di Prampolini, Fillìa, Diulgheroff, Oriani ed altri (Oriani lo conobbi in seguito in un incontro<br />

a Roma). Le teneva segretamente nascoste in una villa a Torre Pellice dove andava in villeggiatura. Con me era sempre<br />

premuroso e in quegli anni ogni mese mi inviava un piccolo assegno per aiutarmi a sostenere le spese per dipingere.<br />

Un’estate mi invitò a Torre Pellice ed ebbi l’occasione di vedere dal vero quel suo patrimonio artistico che solo in<br />

seguito, come aveva intuito, fu rivalutato nella misura dovuta. Spesso con queste opere futuriste organizzava delle mostre<br />

ed una volta mi portò con lui a Roma per un incontro con Laura ed Enrico Crispolti, Filiberto Menna e Ferdinando<br />

Bologna con i quali doveva concertare un’esposizione alla galleria La Medusa in via del Babuino. Per me che frequentavo<br />

il secondo anno della Scuola d’Arte, conoscere quei personaggi addetti all’arte ufficiale fu importante e ricordo che<br />

con timidezza mi sottoposi ai loro giudizi. Quando visionarono alcune opere che avevo portato con me, rimasero stupiti<br />

dal fatto che le avesse realizzate un ragazzo così giovane, però dissero che proprio per la mia giovane età bisognava<br />

attendere ancora per vedere meglio gli sviluppi. Rimasi un po’ perplesso, ma allora era così, bravi o no i giovani<br />

erano visti con diffidenza, oggi è totalmente il contrario»].


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7<br />

Nel 1962 si tiene al Castello Spagnolo dell’Aquila la prima delle grandi rassegne internazionali d’avanguardia Alternative<br />

attuali, che comprende un omaggio ad Alberto Burri, con il quale anni dopo, come vedremo, <strong>Visca</strong> ha a che fare per una<br />

grande impresa. Naturalmente un evento di tale portata non può che sollecitare un animo non comune come quello del<br />

giovane <strong>Visca</strong><br />

[«L’Aquila è stata sempre una cittadina molto chiusa e nel campo delle arti visive non ha mai offerto vere possibilità<br />

operative a nessuno. L’unico e irripetibile momento felice che ebbe la città fu quando Enrico Crispolti e Antonio Bandera<br />

organizzarono la prima edizione di Alternative attuali. Per me, ma non solo, fu l’occasione per aprire gli occhi sul<br />

mondo dell’arte internazionale. Le Alternative attuali furono per tutti una grande lezione tanto che anticiparono la Biennale<br />

di Venezia che solo in seguito riconobbe il premio alla Pop Art americana»],<br />

e lo sollecita anche in termini di spregiudicatezza, di polemica con la realtà locale via via sempre più evidenti, pervenendo<br />

nel 1966 ad essere uno degli ideatori della soprannominata “antibiennale” (Realtà figurativa d’Abruzzo), nel cui catalogo<br />

si sostiene che essa «intende estendere il concetto di democrazia anche nell’ambito delle arti figurative» 1 , cosa che si ritiene<br />

non contemplata dalla Biennale Regionale dell’Aquila; occasione in cui Remo Brindisi acquista due sue opere per<br />

il Museo di Lido di Spina<br />

[«Dopo la prima edizione di Alternative attuali, vivevo una certa insofferenza nei confronti della situazione artistica della<br />

mia città e fui uno dei più vivaci promotori della contestazione sulla gestione della Biennale Regionale aquilana che poi<br />

da quel momento decadde. In quel periodo insieme ad un manipolo di pittori e intellettuali locali, si cercò di ricostituire<br />

un Gruppo Artisti Aquilani, ma un po’ per la “miopia” generale, un po’ per l’incoerenza dei più, ma anche per le polemiche<br />

sterili che ci furono, non si venne a capo di nulla. Iniziò da lì la mia vera disillusione con l’ambiente aquilano»].<br />

Il 1964 lo vede prendere parte alla fondazione del “Gruppo 5”<br />

[«Una cosa importante di quegli anni per me fu la presenza di Giuseppe Desiato, mio insegnante di figura disegnata.<br />

Artista sensibile, aggressivo e di rottura fu un riferimento importante per il mio lavoro e nonostante fossi suo allievo, mi<br />

inserì nel costituendo “Gruppo 5” da lui ideato creandosi perfino delle controversie con la direzione della scuola. Facevamo<br />

parte del gruppo io, Desiato, Giuseppe Pappa, Ennio Di Vincenzo e Marcello Mariani. L’intento era quello di rimuovere<br />

l’immobilismo e la miopia di una città spenta proponendoci con delle opere riformiste dai contenuti espressivi<br />

alquanto forti»],<br />

e in ciò che scrive nel catalogo dei cinque <strong>Visca</strong> già dimostra di avere sul piano della ricerca le idee alquanto chiare: «Amo<br />

“il segno a strappo e quello sepolto dalle successive stratificazioni di carte” perché lasciano “una suggestione sottintesa<br />

nello spazio”, e questa suggestione, appunto, si realizza solo nella tela e tramite la tela» 2 . In questo periodo è impegnato<br />

nella realizzazione di opere implicanti sovente materiali di recupero, venate di drammaticità<br />

[«Per un fatto generazionale l’informale l’ho vissuto con qualche anno di ritardo, però mi tornò lo stesso utile per riproporre<br />

una sorta di figurazione materica. Nei primi anni sessanta avvertii la necessità di sottolineare gli inizi di una<br />

frantumazione della realtà che pian piano si andava delineando. Nacque così il periodo delle tematiche sulle Tragedie<br />

e sulle Crocifissioni attraverso le quali tendevo ad evidenziare con forza il dramma esistenziale dell’uomo»].<br />

Quadri in una certa misura allarmanti dal punto di vista della riflessione sociale<br />

[«Erano opere fortemente materiche realizzate nei tempi che precedevano la contestazione forte degli anni settanta e<br />

attraverso questo lavoro il tentativo era quello di mettere in evidenza il sistema del mondo che sempre più andava accelerando.<br />

Infatti in quegli anni iniziò a lievitare un’economia che avanzando freneticamente ci portò al boom economico.<br />

Certi aspetti di quel periodo assolutamente non mi convincevano per nulla e già intravedevo che il sistema che<br />

si andava profilando non era certo uno dei più consoni per un vivere civile»];<br />

1 Realtà figurativa d’Abruzzo. Rassegna regionale di pittura scultura e grafica, L’Aquila, Palazzo Bonanni, 1966, p. 1.<br />

2 S. <strong>Visca</strong>, S.t., in “Gruppo 5”. Desiato, Di Vincenzo, Mariani, Pappa, <strong>Visca</strong>, San Benedetto del Tronto, Spazio Espositivo Gran Derby, 1964, p. 1.


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con i quali tiene nel novembre dello stesso anno la sua seconda personale al Salone del Grand Hotel et du Parc dell’Aquila.<br />

La mostra è presentata in catalogo dal giovane Emidio Di Carlo, il quale in un articolo su «Il Messaggero» sintetizza<br />

che «il pittore muove sotto la spinta dei più scottanti problemi che gli giungono dalla cronaca, che viene sentita e rielaborata,<br />

perchè possa nuovamente presentarsi su una linea poetica vicina alla sensibilità dell’artista» 3 .<br />

Successivamente si trasferisce a Roma, giacché all’Aquila viene persino osteggiato<br />

[«Dopo qualche tempo, sfumate le polemiche dell’antibiennale e forse per tenermi buono, fui contattato perché partecipassi<br />

a una edizione di Alternative attuali. Crispolti venne a trovarmi a l’Aquila nel mio studio in via Tre Spighe per scegliere<br />

le opere da esporre, ma dopo qualche giorno mi scrisse una lettera nella quale mi diceva, dispiaciuto, che non<br />

avrebbe potuto più estendermi l’invito, almeno per quella edizione, per un diniego degli organizzatori. Date le mie precedenti<br />

contestazioni non ne rimasi sorpreso, ma mi sentii ancora profondamente tradito dalla città e così decisi di chiudere<br />

definitivamente con L’Aquila per andare a vivere a Roma»],<br />

anche se poi Roma, dopo un po’ di tempo, gli si rivela una città poco disposta a promuovere quegli artisti che agiscono<br />

in piena trasparenza<br />

[«A Roma in quegli anni si viveva un momento di straordinaria bellezza, ma si svelò una grande provincia borghese dove,<br />

se si voleva raggiungere qualche obiettivo, bisognava passare attraverso certi salotti “buoni”. Lì non ho mai ceduto<br />

le armi, non per moralità o provincialismo, ma perché quel tipo di transito non faceva parte del mio modo di essere»].<br />

Dopo qualche anno, a causa di questo, decide di trasferirsi a Milano, dove al contrario ottiene presto considerevoli risultati<br />

[«In principio iniziai a frequentare Milano a fasi alterne e mi si aprirono subito delle porte, dei contatti interessanti, insomma<br />

riuscii ad entrare presto nelle pieghe favorevoli del mondo dell’arte. Infatti, dopo qualche tempo ebbi anche<br />

l’opportunità di firmare un contratto triennale con una galleria»],<br />

ma dopo appena un anno si accorge che la situazione in cui opera può rivelarsi in termini di ricerca un’arma a doppio<br />

taglio e, rivalutando l’invito di Giuseppe Misticoni (con cui stringe rapporti durante la prestigiosa mostra Proposte Uno di<br />

Avezzano, del 1967, nella quale <strong>Visca</strong> espone) di andare ad insegnare nel Liceo Artistico da lui diretto, decide con coraggio<br />

di abbandonare tutto e di trasferirsi a Pescara<br />

[«Con molta determinazione e senza nessuna remora, dopo un anno ruppi quel contratto che ogni mese mi rendeva<br />

economia sicura e in un momento di profonda indecisione su cosa fare della mia vita, mi ricordai di Giuseppe Misticoni<br />

che già dai primi tempi che vivevo a Roma mi chiamava insistentemente perchè andassi ad insegnare presso il<br />

suo Liceo Artistico di Pescara. L’insegnamento non era stato mai nei miei programmi ma in quel momento, determinato<br />

a voler riguadagnare una mia totale libertà operativa lontano dai meccanismi del potere del mercato e della critica,<br />

pur sapendo di andare incontro a una realtà certamente non facile, decisi di trasferirmi a Pescara per allontanarmi<br />

definitivamente dalla centralità. A Pescara mi confortò l’accoglienza affettuosa di Misticoni, ma anche quella di Alfredo<br />

Del Greco, Elio Di Blasio e tanti altri»].<br />

È il 1968<br />

[«Era in pieno svolgimento il momento caldo della contestazione. Il mondo evidenziava gravi lacune. La società occidentale<br />

dimostrava evidenti scompensi d’impostazione del sistema e il tipo di contestazione in atto non aveva più la forza adeguata<br />

per sovvertire nulla. In quel momento a mio avviso non aveva più senso alzare solo i cartelli dei no, bisognava invece<br />

proporre progetti alternativi contrastando il sistema dall’interno. Ormai si era al punto che tutto ciò che non funzionava<br />

era così evidente che si autodenunciava da solo. Bisognava quindi fare delle scelte e di fronte a quel panorama, pur<br />

nella lucidità che con l’arte non si sono mai fatte le rivoluzioni, decisi fermamente di allontanarmi dal sistema del potere<br />

per iniziare a lottare fuori dai binari delle mode che già iniziavano ad essere il viatico per sostenere i mercati dell’arte. Anche<br />

nella scuola, mentre montava sempre più il fermento della contestazione, remavo al contrario. Nelle università si elargivano<br />

voti politici di gruppo io invece, applicando sistemi d’insegnamento relativi ai “giochi di simulazione”, lottavo con fer-<br />

3 E. Di Carlo, <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> il pittore che racconta, in «Il Messaggero», L’Aquila 7 novembre 1964.


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mezza per accrescere le capacità individuali dei miei studenti, ma sempre nel rispetto della loro intelligenza e della libertà<br />

delle loro possibilità operative. Ero convinto che per rivaleggiare contro un apparato ormai così forte e cristallizzato, l’unica<br />

arma possibile era l’accrescimento del proprio sapere e riuscire a fare qualsiasi cosa ai massimi livelli di capacità per<br />

poter contrapporre fondate proposte alternative. Anche per questo nel mio lavoro, non perdendomi mai tra le pieghe delle<br />

mode dell’arte, ho sempre profuso un impegno totale per cercare un linguaggio personale non curandomi degli accadimenti<br />

circostanti e ho lavorato al massimo per tentare di focalizzare un alfabeto consono al mio modo di essere. In parte<br />

penso di esserci riuscito, non è certo un grosso successo, ma trovo positivo da parte mia l’etica con la quale ho intrapreso<br />

la mia avventura d’artista. Più che altro penso che il merito sia stato quello di aver intrapreso questo percorso con<br />

umiltà e con modestia aspirando sempre a capire un po’ di più di quanto capito un attimo prima e svolgendo il mio lavoro<br />

costantemente nella certezza del dubbio, ma soprattutto lontano dai luccichii del successo. Sono stato sempre convinto<br />

che il ruolo dell’artista non può essere quello di un virtuoso alla ricerca della gloria economica, ma quello di un individuo<br />

che si interessa dal vivo e attraverso il proprio immaginario, dei problemi che riguardano il mondo»].<br />

È il 1968, appunto, e <strong>Visca</strong> a Pescara in sostanza traccia un solco con il lavoro precedente, pur riprendendone i principi<br />

pungenti di fondo ed alcuni stilemi, approdando convintamente ad un linguaggio d’impronta magico-onirica che porta<br />

avanti fino ad oggi, venandolo anche di indiretti riferimenti al proprio territorio<br />

[«Tornato a vivere in Abruzzo persi tutte le possibilità di inserimento dentro gli spazi del potere decisionale, ma guadagnai<br />

di riappartenere alla mia terra ricca di stratificazioni storico-culturali molto complesse dalle quali in seguito ho potuto trarre<br />

anche alcuni stimoli e motivazioni per la mia ricerca. Certo Pescara fu una scelta molto sofferta e difficile perché mi allontanò<br />

da tante situazioni appetibili e da economia sicura, ma d’altra parte andavo dicendo da sempre che un suicidio<br />

si poteva mettere in atto solo dal nono piano e non da cinquanta centimetri di altezza come cercava di convincerci il mondo.<br />

Dopo un volo dal nono piano sei sicuro di morire, da cinquanta centimetri di altezza, nella peggiore delle ipotesi, può<br />

accadere di ritrovarti claudicante per tutta la vita. Questo l’ho trovavo sempre troppo triste, non mi è mai appartenuto»].<br />

Una delle prime persone che conosce a Pescara è Antonio Bandera, che, come abbiamo visto, è uno dei curatori delle<br />

edizioni di Alternative attuali<br />

[«Ormai da tempo, dopo un periodo di militanza ufficiale nel campo dell’arte, Bandera era impegnato solo a svolgere<br />

l’attività di giornalista del terzo programma culturale della Rai. Viveva a Roma e ogni anno, nel periodo estivo, veniva<br />

a trascorrere alcuni mesi di vacanze a Pescara. Durante i suoi soggiorni iniziò tra noi un’assidua frequentazione e di<br />

solito la sera andavamo a sederci al Lido, sul lungomare, insieme all’amico Alfredo Del Greco (autorevole artista degli<br />

anni sessanta) tirando le nottate fino all’alba per parlare dei problemi dell’arte e del mondo. Del mio lavoro e di quello<br />

di Del Greco aveva una grande considerazione e nonostante lontano dalla pratica delle arti visive, era sempre preso<br />

a dispensarci attenzioni e consigli positivi. Con lui mi convinsi, più di quanto già lo fossi, che la scelta di aver lasciato<br />

la centralità per la periferia era stata una cosa giusta. Spesso dietro le sue rumorose risate mi diceva che ero un vero<br />

“pazzoide”, ma che avevo fatto bene in quel momento a prendere le mie decisioni»].<br />

Nel 1969 il Teatro Stabile dell’Aquila gli affida un incarico molto impegnativo: la realizzazione delle scenografie di Alberto<br />

Burri per «L’avventura di un povero cristiano» di Ignazio Silone, la cui regia è di Valerio Zurlini<br />

[«Fui contattato dal T.S.A. perché in Italia nessun laboratorio scenotecnico era disponibile alla realizzazione di quelle scene.<br />

Si trattava di due combustioni di plastica, una bianca e l’altra rossa e di un sacco. Bisognava realizzare tre fondali di dieci<br />

metri di base per sette metri e mezzo di altezza in rapporto a tre piccoli bozzetti di Burri. Le due combustioni le andai a fare<br />

a Milano dove il Teatro mi aveva riservato un vasto spazio presso un padiglione della Fiera. Per mantenere l’impegno preso<br />

riuscii a concretizzare il lavoro non dormendo per quindici giorni di seguito e lavorando ininterrottamente giorno e notte,<br />

allora avevo venticinque anni e tutto era possibile. Il grande sacco invece andai a realizzarlo all’Aquila presso il Teatro Comunale.<br />

Burri lo incontrai a San Miniato perché la prima estiva dello spettacolo era prevista nella piccola piazza della città.<br />

Ricordo che ci fu un momento in cui si creò una certa tensione a causa di una pioggia insistente che non permetteva di<br />

montare le scene all’aperto e così dovemmo aspettare due giorni perché spiovesse. Nel frattempo Burri mi interrogava, voleva<br />

sapere come avevo realizzato il lavoro e mi chiedeva dei materiali usati. Mentre gli spiegavo che le combustioni erano<br />

state fatte in parte con il bruciatore e in parte pittoricamente, dimostrava con la sua mimica una certa apprensione e mi sottolineava<br />

con voce preoccupata che avrei dovuto usare al posto delle vernici nitrosintetiche altri colori che adoperava per le


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sue opere. Non fu facile fargli capire le mie scelte tecniche e che quei fondali così grandi sarebbero stati letti come minimo<br />

da venti metri di distanza. Confesso però che un po’ ansioso lo ero anch’io, soprattutto perché le opere montate in verticale<br />

non le avevo potute ancora visionare, ma in fondo ero fiducioso. Finalmente smise di piovere e a notte inoltrata Zurlini<br />

mi chiese di far montare le scene. Burri con la sua inseparabile Nikon al collo andò a sedersi all’ultima fila della platea. Sotto<br />

il palcoscenico c’era Zurlini con Giancarlo Giannini, Gianni Santuccio, il musicista Zafred e il resto della compagnia. Raggiunsi<br />

Burri e quando la combustione rossa fu issata sul fondale del palcoscenico, la piazza risuonò in un fragoroso applauso<br />

da parte di tutti. Burri allora si portò sotto il palco e schermendosi disse che più che a lui l’applauso l’avrebbero dovuto rivolgere<br />

all’esecutore, poi insieme a Zurlini si complimentò con me dichiarandomi tutta la sua soddisfazione»].<br />

Grazie a questa esperienza si stabilisce con Burri un rapporto al di là dell’ambito professionale che li fa incontrare più volte,<br />

discutendo anche del lavoro di <strong>Visca</strong><br />

[«L’amicizia con Burri iniziò a San Miniato e nel tempo si concretizzò sempre di più anche per la passione che avevamo<br />

per la caccia. La prima volta che fui invitato a trascorrere una settimana nella sua casa-studio, sopra Casenove di<br />

Mucignano in Umbria, conobbi un altro Burri. Diverso dal quel personaggio misantropo di cui tutti parlavano. Con me<br />

fu molto aperto e nei pomeriggi di riposo, dopo il rientro da lunghe battute di caccia, mi raccontava con passione del<br />

periodo della sua prigionia nel campo di Hereford in Texas, dei suoi primi dipinti e delle difficoltà che aveva trovato in<br />

campo di concentramento a reperire i primi colori, specialmente i rossi. Mi raccontò anche, con una certa rabbia, di tutti<br />

gli sforzi e dell’impegno profuso nelle ricerche del fratello disperso sul Don, in Russia, ma soprattutto parlammo di<br />

pittura, dei suoi amici Colla, Ballocco e Capogrossi con i quali firmò il manifesto del « Gruppo origine » e anche del mio<br />

lavoro. Era il periodo delle “pupazze” e devo dire che rimase abbastanza sorpreso da quelle mie grandi sculture di pezza.<br />

Dopo lunghe e articolate considerazioni sull’arte alla fine concluse dicendomi che la cosa più importante per un artista<br />

è seguire solo il proprio istinto fregandosene di tutto e di tutti»].<br />

Con il Teatro Stabile <strong>Visca</strong> continua a collaborare per qualche anno con soggiorni assidui all’Aquila, venendo a contatto<br />

con molte delle personalità artistiche che per vari motivi in tali anni frequentano la città<br />

[«In quel periodo era facile ritrovarmi insieme alla Compagnia del Living Theatre di New York, con Stockhausen e Bruno<br />

Canino, con Carmelo Bene e Gino Marotta, Piera Degli Esposti, Vittorio Gasman, Andrea Cascella e il giovane Gigi<br />

Proietti. La città viveva una stagione irripetibile di vera vivacità culturale ed era luogo di frequentazioni eccellenti continue<br />

grazie al T.S.A., alla Società Aquilana dei concerti e all’Accademia di Belle Arti diretta allora da Piero Sadun. Una<br />

sera, all’inaugurazione di una mia mostra personale allo Scalco delle Tre Marie di Paolo Scipioni (1974) dove quasi tutte<br />

le sere ci riunivamo, Carmelo Bene dietro un sorrisetto abbindolante mi disse: questa sera ti farò assistere al mio<br />

spettacolo in scena con me!? Nonostante la consumata amicizia che ci legava, pensai fosse una delle sue solite provocazioni,<br />

ma la sera stessa mi ritrovai veramente in palcoscenico con lui immerso nella scenografia di Gino Marotta<br />

a vivermi dal vero, come fossi un attore, Nostra Signora dei Turchi. In quegli anni penso di aver vissuto all’Aquila privilegi<br />

straordinariamente irripetibili. Peccato che finì tutto molto presto»].<br />

A questo periodo appartengono le “pupazze”, curiose figure tridimensionali di grandi dimensioni rivestite di stoffa (da<br />

questo momento la macchina da cucire diventa per lui uno strumento più che importante), in cui «vi è, nel fondo, una<br />

certa irrisione della realtà, smorzata dalla tristezza dei pupazzi veri, autentici Golem svitalizzati o sagome afflosciate in un<br />

museo delle cere non refrigerato a sufficienza» 4 . Discorso argutamente metaforico che mette in relazione l’uomo interno<br />

con l’uomo esterno, che nei primi anni settanta affronta a livello maggiormente bidimensionale, alternando la commistione<br />

di vari materiali all’uso esclusivo della pittura. Nel 1971 per due anni è insegnante di Figura disegnata di Andrea<br />

Pazienza, con il quale mantiene un rapporto di profonda amicizia fino alla sua tragica scomparsa avvenuta nel 1988. Nel<br />

2006 la casa editrice Fandango edita il libro Andrea Pazienza <strong>Visca</strong>, relativo alla vasta produzione di Pazienza incentrata<br />

su <strong>Visca</strong>, nel quale quest’ultimo dichiara: «Nel tempo mi sono quasi sempre ritrovato “vittima” nelle sue graffianti caricature<br />

e nello svolgimento delle storie sarcastiche che inventava su di me. Confesso però che ne sono stato sempre un<br />

po’ gratificato, anche perché gran parte dei disegni pubblicati in questo libro sono stati realizzati durante le mie lezioni o<br />

nel mio studio» 5 . E in una bandella della copertina del medesimo libro è scritto: «I folti baffi neri, lo sguardo stralunato e<br />

4 B. Sablone, Galleria d’Oggi: <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>, in «Nac», n. 34, Milano 1 aprile 1970, p. 20.<br />

5 S. <strong>Visca</strong>, Lo studente fuori-classe, in Andrea Pazienza <strong>Visca</strong>, Fandango Libri, Roma 2006, p. 9.


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la chioma fluente, vittima più che protagonista di imprese surreali, <strong>Visca</strong> si ritrova improvvisamente catapultato nell’immaginario<br />

del giovane Paz. La comicità dissacrante, la precoce maturità del segno e la sperimentazione linguistica fanno<br />

rientrare <strong>Visca</strong> a pieno titolo tra i personaggi principali dello straordinario universo di Andrea Pazienza».<br />

È il 1973 quando incontra Gino Marotta, che all’epoca passa la maggior parte del suo tempo all’Aquila dove insegna all’Accademia<br />

di Belle Arti, avendo come studio la chiesa sconsacrata di San Filippo. La conoscenza avviene tramite amici<br />

comuni che li mettono in contatto poiché quell’anno entrambi vengono invitati alla Triennale di Milano. <strong>Visca</strong> nella sezione<br />

Lo spazio vuoto dell’habitat curata da Eduardo Vittoria<br />

[«Gino in quel momento stava realizzando il Paradiso artificiale per i giardini della Triennale, mentre io a Pescara mi<br />

adoperavo a costruire una struttura polimaterica di sei metri di base per il Padiglione Italiano. Fuori ai giardini insieme<br />

a Marotta c’era De Chirico con la ricostruzione dei suoi Bagni misteriosi, lo ricordo seduto nel bel mezzo della sua opera<br />

come fosse stato una sua scultura, e poi Burri con il Teatro continuo che all’inaugurazione mi salutò velocemente e<br />

scappò via, e ancora Hundertwasser che avevo conosciuto come artista in una edizione delle Alternative attuali dell’Aquila,<br />

Sebastian Matta con l’opera Autopocalipse. Insomma quella del 1973 fu una delle più interessanti edizioni della<br />

Triennale. Quando Gino Marotta seppe del mio invito, mi esortò a trasferire la mia opera da Pescara all’Aquila nella<br />

chiesa di San Filippo per poterla spedire insieme alle sue sculture a Milano. Infatti la mia struttura fu caricata insieme<br />

al Paradiso artificiale su un grande camion che con rinoceronti, giraffe, fenicotteri e coccodrilli di metacrilato rosa, prese<br />

l’aspetto di un’immaginaria Arca di Noè e guarda caso partimmo insieme per Milano sotto un diluvio torrenziale. Da<br />

quel momento nacque tra noi un’amicizia vera che, sostenuta da una stima professionale reciproca, ci ha accompagnato<br />

fino ad oggi anche oltre la nostra storia di artisti»].<br />

Infatti più volte Marotta lo segue nelle escursioni in montagna<br />

[«Con me Gino scoprì la montagna e nonostante i suoi timori, riuscì a tenermi dietro dovunque. Sul Gran Sasso in cima<br />

a Corno Grande, in difficoltose traversate di alta quota, nello sci da fondo e anche in duri soggiorni al rifugio di Forca<br />

Resuni nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Fin da ragazzo sono stato un fervente frequentatore delle mie montagne perché<br />

oltre a vivere il piacere della scoperta dei luoghi che attraversavo, riuscivo ad eludere il trambusto del quotidiano<br />

e immergermi nel rumore del silenzio. Il rapporto con la montagna mi è stato utile soprattutto per diventare più introspettivo<br />

in me stesso, per abbattere alcuni timori reconditi e anche per rimuovere alcune incertezze nascoste»].<br />

Una passione, questa, per la quale <strong>Visca</strong> nel 1975 realizza la singolare operazione performativa “Un cuore rosso sul Gran<br />

Sasso“<br />

[«Nel 1970, inerpicandomi sulle cime più alte, si accese nel mio immaginario l’idea di Un cuore rosso sul Gran Sasso.<br />

Un’opera cinetica che ideai come tentativo di segnare un luogo quasi a protezione di se stesso. Il film fu girato nel 1975<br />

in pellicola a sedici millimetri per la promozione della Scuola di Cultura Drammatica dell’Aquila e la collaborazione tecnica<br />

del Teatro Stabile. Devo però la realizzazione di questa impresa soprattutto ad un gruppo di amici scapigliati, che<br />

insieme ad alcuni noti scalatori aquilani, riuscirono a trasportare il grande cuore rosso (m. 4x2x1) attraverso Campo<br />

Imperatore per poi issarlo sulle pareti rocciose del Gran Sasso. L’azione non fu facile, anzi, in alcuni momenti si rivelò<br />

piuttosto pericolosa e le varie difficoltà tecniche incontrate durante tutto il percorso, misero continuamente a dura prova<br />

l’operatore Fausto Giaccone e tutto lo staff tecnico. Si riuscì a portare a compimento il film per le capacità organizzative<br />

di Federico Fiorenza (oggi Direttore del Teatro Stabile dell’Aquila) e soprattutto per la forte determinazione di tutto<br />

il gruppo operativo che non si arrese mai davanti alle avversità ambientali, in alcuni casi molto rischiose»].<br />

Le motivazioni intrinseche vengono spiegate brevemente dall’artista a Rita Centofanti in un’intervista del 1986: «la sceneggiatura<br />

è impostata sul recupero del senso alchemico della formula magica (cioè, una cosa, più una cosa, più una<br />

cosa, può dare un’altra cosa, un risultato). Parto proprio dall’elemento alchemico della formula magica e da lì costruisco<br />

l’azione. In questo caso in rapporto ad una serie di complesse riflessioni sul territorio. Ed ecco, allora, gli ingredienti: le<br />

fascette rosse, il lento e faticoso camminamento, il cuore che sale, che rimane tre giorni e tre notti alle intemperie, la ridiscesa<br />

a valle e l’abbandono senza mai voltarsi indietro. In fondo si tratta di un’azione senza un’apparente conclusione<br />

e che non propone una soluzione. Il tentativo è quello di impaginare un impianto mentale aperto (in questo caso mediante<br />

un effetto cinetico) di fronte al quale ognuno può elaborare, certamente dietro un mio preciso “disegno”, il contenuto<br />

misterioso dell’opera attraverso un proprio pensiero e una propria analisi».


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Nel 1974 <strong>Visca</strong> realizza il suo primo arazzo cucito, con intenzioni di maggiore squisitezza poetica, scelta operativa che da<br />

quel momento ricorre spesso nel suo fare, e nel decennio a venire, esattamente nel 1986, tiene una personale di soli<br />

arazzi all’Aquila<br />

[«Il primo arazzo cucito lo realizzai nel 1974 e lo esposi lo stesso anno a Pescara in una mostra personale al Laboratorio<br />

Comune d’Arte “Convergenze”, di cui facevo parte, diretto da Giuseppe D’Emilio. Da quella prima esperienza decisi<br />

di dedicarmi anche a quel tipo di lavoro e nell’arco di una decina di anni, data la laboriosità esecutiva, riuscii a eseguirne<br />

quasi una ventina di grandi e medie dimensioni senza però mai esporli. La casa editrice del Gallo Cedrone, interessata<br />

a questo lavoro, dispose di pubblicarli in un’elegante monografia, Cuciti, con i testi di Enrico Crispolti e Tito<br />

Spini e per l’occasione fu promossa una mostra al Forte Spagnolo dell’Aquila»].<br />

Crispolti nel suo scritto puntualizza, a scanso di equivoci, che «Sono in realtà veri e propri quadri di stoffa, e certo non<br />

deduzioni decorative» 6 . Questione che investe spesso <strong>Visca</strong>, ma di cui ha ormai un’opinione precisa<br />

[«Non credo che al mio lavoro appartengano aspetti decorativi che di tanto in tanto qualcuno rileva. Capisco che a volte<br />

il mio eccedere nel sommare il dettaglio sembra scadere nel decoro, ma se si è più attenti a valutare il rimando dei<br />

materiali che uso, si può notare che la mia intenzione, anche nel cifrare evidenti manufatti kitsch, è quella di innestare<br />

punte acuminate di sarcasmo e di ironia miste in alcuni casi anche alla metafora dello sberleffo e alla cattiveria del risibile.<br />

Il tentativo è quello di ficcare nelle mie opere qualcosa di smielato e stupido come risultano certi aspetti tristi della<br />

vita. In fondo è un’operazione che tende alla trasmutazione del quotidiano dove gli oggetti e le situazioni, filtrati attraverso<br />

una palese ironia, vengono riproposti per metafora in segni, simulacri e feticci. Certo quando la pittografia dei materiali<br />

che adopero si presenta più forzata del solito è facile equivocare le intenzioni, ma la mia “ginnastica” è stata sempre<br />

tesa a punteggiare una scrittura costantemente in bilico tra l’allusione e il rilievo oggettivo delle cose in rapporto alla<br />

realtà del mondo. È un problema con il quale mi misuro da sempre, fin dal periodo delle prime sculture di pezza. Le<br />

sfide con me stesso le ho sempre portate avanti per capire fino a quanto è possibile volteggiare su un trapezio senza<br />

avere sotto una rete di protezione. Nel mio lavoro avrei potuto sicuramente intraprendere una strada meno rischiosa allineandomi<br />

alla convenienza delle mode, vivere più tranquillamente e affrontare meno fatiche, ma le cose facili non mi<br />

hanno mai appagato, perfino quando da giovane frequentavo, rischiando, le dure realtà sassose del Gran Sasso»].<br />

Il 1978 è un anno particolare per <strong>Visca</strong>, in quanto organizza una spedizione in Sud America che interiormente lo arricchisce molto<br />

[«Ho avuto fin da ragazzo un’attrazione istintiva per il Sud America e in particolar modo per il Perù. Non so dire esattamente<br />

perché, forse per la cultura latina che mi appartiene, forse per aver percepito, dopo tante letture, varie analogie in<br />

rapporto alla mia terra o forse per la sempre sognata Cordigliera delle Ande. Per anni avevo coltivato il desiderio di visitare<br />

quelle terre lontane fino a quando nel 1978, raccolte tutte le mie energie, decisi di avventurarmi in quei territori così<br />

agognati. Per un anno, prima di partire, cercai di accrescere il più possibile la mia conoscenza sul Perù e su i suoi vari profili:<br />

quello socio-economico, storico-politico, etnico-antropologico e ambientale. Poi pianificai la spedizione in tutti gli aspetti<br />

tecnici: attrezzature, abbigliamento, materiale fotografico, mappe per gli spostamenti, studio dei percorsi. Non fu facile<br />

organizzare il tutto, anche perché in quel periodo al Consolato Peruviano non riuscii a trovare conforto da parte di nessuno.<br />

Mi salvai però con l’Istituto Italo Latino Americano di Roma. Il presidente Carlos Fernandez Sessarego si rivelò da buon<br />

peruviano una persona affabile e cortese e rimase profondamente gratificato dal mio vero interesse per il suo paese. Dopo<br />

avermi dato preziosi consigli, mi fece fotocopiare delle mappe militari che in seguito mi tornarono molto utili. Attraversai<br />

il Perù per alcuni mesi con i mezzi più disparati e avventurosi, spesso su cassoni di camioncini sgangherati insieme agli<br />

indios i loro animali e le loro mercanzie, percorrendo carrettere sterrate costeggianti burroni da brivido. Molte volte a piedi<br />

scavalcando montagne di oltre quattromila metri, o con veicoli di fortuna alquanto fatiscenti. L’unico mezzo relativamente<br />

confortevole fu il treno che dal Dipartimento di Cuzco porta a Puno sul lago Titicaca attraversando le Ande a cinquemila<br />

metri di altezza, la ferrovia più alta del mondo. La mia esperienza peruviana si rivelò profondamente toccante e si concluse<br />

felicemente (grazie anche alla preziosa collaborazione del livornese Giancarlo Papini che mi seguì lungo tutto il viaggio)<br />

dopo aver risalito da Iquitos un tratto del Rio delle Amazzoni, nella foresta amazzonica peruviana. In quei luoghi, un<br />

anno dopo il regista Werner Herzog realizzò il suo film-capolavoro Fitzcarraldo. Aver vissuto in rapporto diretto con le problematiche<br />

del paese, dei campesinos e degli indios e dopo aver toccato con mano le precarie condizioni socio economi-<br />

6 E. Crispolti, Gli arazzi, in <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>. Cuciti, L’Aquila, Forte Spagnolo, 1986, Edizioni del Gallo Cedrone, L’Aquila 1986, p. 18.


20<br />

21<br />

22<br />

che di quei territori, mi resi conto di quanto Che Guevara fosse stato un grande poeta e non certamente un grande rivoluzionario.<br />

Abbandonato da Castro e dal PCI boliviano, la speranza di trovare consenso politico e aiuto per una rivoluzione<br />

armata da parte di un popolo rassegnato a vivere nella misura di una realtà rarefatta, era certo poco probabile. Attraversando<br />

il Perù mi resi conto per la prima volta di quanto la cultura occidentale sia responsabile nell’aver determinato<br />

una sperequazione tragica e penosa tra continenti e di quanto avesse avuto però ragione Che Guevara nel suo tentativo<br />

di guerriglia, purtroppo con risultati che disattesero tragicamente il suo pronostico. Questo viaggio rafforzò le mie idee ancora<br />

più di quanto pensavo alla fine degli anni sessanta, in pratica che la società occidentale avrebbe dovuto recedere<br />

dalla strada intrapresa per riflettere sulle problematiche sociali evitando di eludere la rispettabilità del vivere a buona parte<br />

del mondo. L’esperienza di questa avventura cementò ancora di più la posizione politica nei confronti del mio lavoro e<br />

soprattutto le mie scelte. Non ho mai pensato che il mondo dovesse fermarsi, il mondo ha diritto ad andare avanti come<br />

è sempre stato, ma evitando di cancellare la dignità di noi stessi. Questo sarebbe potuto accadere se al termine dell’ultimo<br />

conflitto mondiale avessimo avuto un’etica morale per guardare indietro e capire dove stralciare i codici veri con i quali<br />

cifrare i meccanismi per una nuova piattaforma sulla quale rifondare la nostra esistenza. In seguito altri avventurosi viaggi<br />

in Venezuela, dove per migliaia di chilometri ho attraversato in jeep la Gran Sabana da Canaima a Roraima fino ad arrivare<br />

in Brasile, la ricognizione di quasi tutte le oasi del deserto Tunisino e altri impegnativi viaggi in territori lontani, mi<br />

hanno aiutato a comprendere quante serie responsabilità abbiamo nei confronti del mondo. Dal viaggio in Perù riportai<br />

quasi quattromila fotogrammi dei quali venne a conoscenza, tramite un amico comune, l’etnologo-archeologo americano<br />

Victor Von Hagen con alle spalle anni di soggiorno in Sud America sulle tracce degli Incas. Personaggio alla Hemingway<br />

viveva sul lago di Bracciano e quando si trovò difronte al mio materiale fotografico mi propose di realizzare un libro insieme<br />

a lui. Accettai subito con entusiasmo, ma a causa della scarsa tecnologia di quegli anni e alle mie lungaggini dovute<br />

ad obblighi di lavoro, dopo due anni dall’impegno preso purtroppo Von Hagen venne a mancare e il libro che avevo<br />

impaginato con tanta cura, non fu mai dato alle stampe»].<br />

Negli anni novanta e in quest’esordio del duemila opera con intenzioni più marcatamente oggettuali, con frequenti incursioni<br />

nella scultura, realizzando pure delle ambientazioni. Una di queste è “Il grande firmamento“, esposto all’Ex Gaslini<br />

di Pescara nel 1995<br />

[«Carlo Lizza, allora Presidente dell’E.M.P., mi dette l’incarico di realizzare un’opera da inserire nel programma delle manifestazioni<br />

estive pescaresi sollecitandomi però ad eseguire qualcosa di contenuto spiazzante. Un’idea per un’opera<br />

del genere l’avevo già nei miei appunti e così, dopo alcuni studi e accorgimenti, definii il progetto per “Il grande firmamento“.<br />

In quel frangente fu stimolante una visita al mio studio di Ruggero Pierantoni con il quale ebbi la possibilità di<br />

valutare le mie scelte progettuali e travasare scambi di opinioni. L’opera consisteva nella realizzazione di un grande ambiente<br />

di dieci metri per dieci di base per dieci metri di altezza preceduta da un ingresso, antistante la stanza, di misure<br />

più piccole. In seguito però per motivi economici fu necessario ridurre le misure. Il tentativo era quello di disorientare<br />

il visitatore facendolo entrare all’interno della grande scatola nera totalmente abbuiata e costringerlo, attraverso<br />

una serie di accorgimenti atti allo spiazzamento sensoriale, a rivolgere lo sguardo in alto per guardare l’unica cosa<br />

visibile, un cielo stellato. Il cielo nel buio della stanza si evidenziava solo perché dipinto con tempere fluorescenti e<br />

illuminato da luce nera (lampade di wood). La sensazione di chi entrava, rimanendo prigioniero del buio, era solo di<br />

forte incertezza. Lasciare un ambiente illuminato e immergersi nel buio totale smarrendo la percezione dello spazio e<br />

perdere anche il senso dell’equilibrio a causa del pavimento inclinato di vari gradi, per il fruitore gioco forza nasceva<br />

immediata la necessità di cercare l’orientamento e trovare un punto di riferimento per non perdersi. In questa situazione<br />

l’unico appiglio rimaneva il cielo. All’interno della grande stanza buia un’ulteriore forza suggestiva era esercitata<br />

da musiche disarticolate di Karlheinz Stockhausen e Krzysztof Penderecki, che quasi disegnavano i punti luminosi del<br />

cielo. Disposti tutti questi elementi, la scommessa era quella di ricondurre il visitatore, attraverso una serie di imprevedibilità,<br />

ad alzare lo sguardo in aria e riflettere quanto precaria, incerta e piccola può essere la realtà che viviamo»].<br />

Il 1995 e il 1996 lo vedono impegnato nella realizzazione di due ampie antologiche, a Camerino, presso il Palazzo Ducale,<br />

e all’Aquila, presso il Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea; i cataloghi di entrambe sono corredati di una selezionata<br />

antologia critica. Quella di Camerino è presentata dallo studioso di neuroscienze e di psicologia cognitiva Ruggero<br />

Pierantoni, il quale acutamente annota: «i suoi percorsi, le sue mappe, i suoi testi grafici e plastici contengono momenti<br />

di scoraggiamento, tristezze improvvise, dettagli atroci e minuscoli (le “minuscole ignominie” di Borges)» 7 .<br />

7 R. Pierantoni, Un alfabeto di ventiquattro segni, in <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “1974-1994”, Camerino, Palazzo Ducale, 1995, p. 20.


23<br />

24<br />

Inoltre, da vero amante della cucina, <strong>Visca</strong> nel 1999 scrive un libro su quella abruzzese riscuotendo notevole successo<br />

[«Da appassionato ed entusiasta cuoco dilettante decisi di scrivere un libro sulla mia cucina di appartenenza, “Abruzzi<br />

- L’Arte del far cucina“, quasi a porre un contrafforte a quei cucinatori di consumo sostenuti solo dalla differenziazione<br />

che il mercato richiede. Dichiaro comunque con molta franchezza che la mia conoscenza in materia non intende ergersi<br />

a carattere scientifico; rivendico a mio solo merito un vero entusiasmo e una genuina passione verso, a mio avviso,<br />

questa non tanto minore forma d’arte che i molti amici per i quali cucino possono certamente testimoniare e auguro<br />

ai lettori di trarre da questo libro, lo stesso piacere che io ho provato a scriverlo e da pittore a illustrarlo»] 8 .<br />

Dal novembre 1998 al dicembre 1999 realizza un arazzo cucito lungo trentaquattro metri dove in un certo senso dispiega<br />

tutto il suo immaginario cifrando la misura dell’arazzo di Bayeux<br />

[«In itinere è stato un lavoro molto singolare soprattutto per il fatto che non avevo mai impiegato così tanto tempo ed<br />

impegno, l’arco operativo di un anno, per realizzare un’opera cucita. L’idea mi venne leggendo alcuni antichi manoscritti<br />

sui tratturi che in Abruzzo ebbero un’importanza determinante nelle loro articolazioni socio culturali e politiche.<br />

Da quelle letture capii che le antiche vie della lana iniziavano da un punto e dopo un vissuto di complicanze territoriali<br />

terminavano decisamente in un altro punto evidenziando però di non essere solo dei semplici camminamenti, ma<br />

profondi spaccati di vita. Questi antichi percorsi, contenitori di storie vissute ed enfatizzate a tutt’oggi da personaggi ancora<br />

viventi nonostante l’età avanzata, mi indussero a meditare con attenzione su una moltitudine di evidenti assonanze<br />

con la stretta misura della nostra realtà. Infatti l’arazzo “In itinere“ inizia il suo percorso dal mistero di un cielo e<br />

dopo uno svolgimento di trentaquattro metri finisce nel mistero di un altro cielo. Il tentativo è stato quello di indicare,<br />

attraverso lo stretto tracciato affollato di accadimenti, quanto breve, precaria e misteriosa possa essere la nostra piccola<br />

esistenza, pur se raccontata nei trentaquattro metri dell’opera»].<br />

Nell’ultimo lustro lavora sul tema dei “teatrini”, manufatti perlopiù di piccole dimensioni che «a volte ironici e sarcastici, a<br />

volte tragici, costituiscono il tentativo di indicare quanto l’attuale “paesaggio” che viviamo, per molti aspetti già in rovina,<br />

sia per svariati profili un composto gravemente instabile e insicuro» 9 . E in merito sostengo nel catalogo dell’ultima personale<br />

ad Ofena: «Inquietanti perché dietro alla preziosità vibratile, iconica e materica, spesso vi si colgono prepotentemente<br />

precarietà e turbamento: crollano nelle composizioni i corpi architettonici, il caos s’impone e quelle così facili deduzioni<br />

gioiose perdono un po’ della loro leggerezza, le figure appaiono colte talvolta nell’istante della distruzione. Ma in<br />

tutto ciò non vi è comunque drammatizzazione, <strong>Visca</strong> però mi pare che assuma una posizione mai in passato esternata<br />

con così decisiva evidenza» 10 .<br />

Questo per grandi linee finora il cammino di <strong>Visca</strong>, che con il senno di poi conferma e porta ad estrema maturazione le<br />

sue posizioni critiche soprattutto rispetto all’attuale sistema dell’arte<br />

[«Dopo le mie scelte e le dure posizioni prese alla fine degli anni sessanta, le cose di cui oggi posso amareggiarmi sono<br />

poche. L’unico prezzo alto che ho pagato nel tornare in Abruzzo lontano dal mercato e dall’economia, è stato quello<br />

di aver potuto realizzare solo il cinquanta per cento della mia progettazione. Questa è una spina che mi pungerà<br />

per sempre perché nella vita di un artista la cosa più importante è concretizzare le proprie idee, tutto ciò che resta teoria<br />

non ha molta importanza. Comunque la conflittualità tra un mio essere interno e un mio vivere esterno mi ha sempre<br />

sostenuto la ragione del mio lavoro e mi ha rafforzato sempre di più nel tempo la convinzione che la “verità” non<br />

esiste, ma sarebbe disastroso non cercarla. Con serenità posso dire che oggi, dopo tanti anni di attività svolta con passione<br />

ed impegno, avvertendo ancora tanta energia mentale, mi sento come se stessi organizzando l’inizio del mio<br />

cammino. Il ruolo dell’artista sicuramente non è mai stato quello del rivoluzionario perché è certo che le rivoluzioni si<br />

fanno con le armi, però penso che sia stato sempre quello di indicare un pensiero, un’idea, una strada da percorrere,<br />

una frattura. A mio parere l’arte moderna da quando l’economia è diventata l’ago della bilancia di tutto, perfino della<br />

politica (che in nome dell’istituzione attacca quadri, li tira giù, smonta, allestisce...) a differenza di quando l’aveva avuta<br />

nei tempi passati purtroppo in gran parte ha perso quella funzione di filtro delle problematiche sociali e non ha più<br />

il ruolo di vera proposizione o di vero dissenso. Oggi i sistemi di legittimazione dell’arte sono platealmente evidenti. Per<br />

8<br />

S.<strong>Visca</strong>, Abruzzi – L’Arte del far cucina, Edizioni GTE, L’Aquila, 1999, p. 10, 11.<br />

9<br />

S. <strong>Visca</strong>, S.t., in XXV° Premio Vasto. Il secondo Novecento in Italia. Riferimenti forti, a cura di E. Crispolti, Vasto, Palazzo D’Avalos, 2002, p. 103.<br />

10<br />

A. Rubini, S.t., in <strong>Visca</strong>. Teatrini, Ofena, Comune, 2003, Edizioni Tracce, Pescara 2003, p. 13.


25<br />

creare il valore di un artista c’è bisogno di tre punti fissi. Un critico che teorizza il suo punto di vista, un collezionista miliardario<br />

pronto ad acquistare a cifre esorbitanti e il direttore di un museo che acclude il timbro ufficiale. Se sono disponibili<br />

questi tre passaggi è possibile far diventare importante qualsiasi cosa, poi se si è collusi con la politica si può<br />

arrivare dovunque. Attualmente il sistema dell’arte è fondato soprattutto sull’idea dello spiazzamento visuale. Ormai ne<br />

risultano quasi sempre lavori ripetitivi e noiosi che hanno la pretesa di rifarsi a quella rivoluzione nichilista di Duschamp<br />

e Dada che sicuramente in quei tempi aveva un senso, ma oggi credo che non lo abbia più. Le neo-avanguardie credono<br />

di dover stupire, io penso che non c’è più nessuno da stupire e niente di cui stupirsi. Oggi credo che le sole icone<br />

sbalorditive che possono veramente stupire sono quelle prodotte dalle televisioni internazionali che trasmettono tragici<br />

scenari di guerra rappresentati da corpi dilaniati di donne, bambini e uomini carbonizzati senza nome. L’arte dovrebbe<br />

essere un po’ più sapiente, quella vera degli artisti del ‘900, guarda caso, non passa ancora di moda. Oggi qualsiasi<br />

cosa che di colpo diventa importante, dopo qualche tempo viene esiliata nel dimenticatoio per dare spazio a nuove<br />

trovate commerciali. Negli anni sessanta la situazione dell’arte cambiò e in tutto il mondo ci fu il riconoscimento della<br />

cultura americana. Fu un cambiamento molto importante ma nello stesso tempo generò esiti che abbiamo potuto<br />

vedere dopo gli anni ottanta e novanta fino ad oggi. Un’arte che è solo un prodotto da vendere più che un prodotto<br />

artistico. Basta pensare alla storia degli espressionisti astratti americani da Pollock a Calder fino a Rothko l’ultimo che<br />

è morto. Nonostante le loro altissime quotazioni sul mercato si sono quasi tutti suicidati. Loro pensavano profondamente<br />

a una funzione diversa dell’arte e la forte resistenza che opposero all’omologazione del sistema non ebbe mai<br />

alcun esito. Oggi tanti artisti che hanno enorme successo e quotazioni milionarie producono opere per un pubblico che<br />

capisce poco e che si lascia facilmente impressionare. I mass media corteggiano questi artisti per lo shok che producono<br />

e i grandi collezionisti non acquistano più per il piacere di impossessarsi di un’opera di contenuto come accadeva<br />

una volta, ma solo per una speculazione a breve termine perché ormai le quotazioni salgono vertiginosamente in<br />

modo molto veloce. I potenti dell’arte sono catalogati da prestigiose riviste come fossero dei cavalli da corsa e sono<br />

messi in graduatoria con “pettorali numerati” o “abbattuti” come fossero “azzoppati” e non più recuperabili, per poi essere<br />

sostituiti. Di solito i comitati che dirigono queste classifiche sono composti da consulenti internazionali che si basano<br />

sul successo finanziario dell’artista, dell’evoluzione della carriera e del prestigio economico raggiunto. La maggior<br />

parte dei giovani artisti oggi sono allineati al sistema, sono lontani da un ideale e non hanno altra finalità che quella<br />

del protagonismo e del successo economico. Io penso di appartenere ad una minoranza emarginata che non è certo<br />

proiettata in questo cono ottico e sono convinto che l’arte o è libertà o non è nulla. A mio avviso nell’arte la qualità è<br />

da cercare dentro il lavoro di un artista, non nella superficialità del successo e delle mode. Quando nel 1968 decisi di<br />

tirarmi fuori dai meccanismi del potere del mercato certo non pensavo che oggi si sarebbe arrivati a questa situazione,<br />

ma sicuramente avevo capito bene dove si dirigeva la macchina dell’arte e così decisi di uscire dal giogo dell’oppressione.<br />

I sintomi di quello che stava per accadere, nonostante i miei venticinque anni e un po’ di successo in mano,<br />

li avevo intuiti con una certa perspicacietà e se oggi potessi tornare indietro ripercorrerei sicuramente la strada intrapresa.<br />

Voglio dire agli amici e a tutti quelli che hanno frainteso il mio isolamento e le mie scelte che comunque sono<br />

un ottimista che continua a sperare sempre nelle stesse cose. Insomma mi auspico che il mondo si renda conto che<br />

siamo tutti su una piccola astronave e che conviene navigare lontano da quella falsa realtà che riesce solo a proporci<br />

la più stucchevole pagina pubblicitaria del successo. Occorre crearsi un mondo interiore e fare a meno del potere burocratico<br />

che altro non è che pura oppressione. La speranza è quella di riappropriarci di una capacità creativa adatta<br />

a vivere una realtà moderna più vicina ai valori e alle esigenze della nostra misura umana»].


2006<br />

“Nascita e disfacimento di un teatrino”<br />

(tecnica mista e materiali oggettuali diversi)


Note delle foto di corredo ai testi<br />

1) 1961 “Volti”<br />

Disegno a inchiostro su cartoncino Fabriano<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

2) 1961 “Paesaggio aquilano”<br />

Smalti e stucchi su faesite<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

3) 1963 “Oltraggio"<br />

Tecnica mista su tavola cm 70x140<br />

(foto P. Iammarrone)<br />

4) 1964 Spilla cesellata in oro giallo brunito<br />

e topazio incastonato<br />

(progetto ed esecuzione di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>)<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

5) 1964 Spilla cesellata e saldata in oro<br />

giallo brunito con corallo incastonato a perno<br />

(progetto ed esecuzione di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>)<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

6) 1964 “Momento”<br />

Vernici sintetiche e carte su faesite<br />

cm 139x88<br />

(foto P. Iammarrone)<br />

7) 1964 “Crocifissione con argento”<br />

Stracci, combustione, vernici e stagnola<br />

cm 100x100<br />

(foto P. Iammarrone)<br />

8) 1971 “Personaggi in posa”<br />

Stoffe cucite, base cm 160<br />

(foto P. Iammarrone)<br />

9) 1966 “Pensiero di uomo innamorato”<br />

Vernici e acrilici su tela cm 70x100<br />

(foto P. Iammarrone)<br />

10) 1969 Milano<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> mentre realizza la combustione<br />

bianca di Alberto Burri per lo spettacolo<br />

teatrale “L’avventura di un povero cristiano” di<br />

Ignazio Silone – Regia di Valerio Zurlini<br />

Misure dell’opera mt. 10x7,5<br />

(foto Studio Milano)<br />

11) 1969 San Miniato<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Alberto Burri sul palcoscenico<br />

durante il montaggio delle scene per lo spettacolo<br />

teatrale “L’avventura di un povero cristiano”<br />

di Ignazio Silone – Regia di Valerio Zurlini<br />

(foto R. Ludovici)<br />

12) 1978 Umbria<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Alberto Burri nella casa studio<br />

di montagna del maestro dell’informale<br />

dopo una battuta di caccia<br />

(foto F. Fiorenza)<br />

13) 1996 L’Aquila<br />

Copertina della pubblicazione The Living<br />

Theatre in Europe firmata dagli attori della<br />

compagnia del Living Theatre di New York<br />

14) 1974 Pescara<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Andrea Pazienza<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

15) 1973 L’Aquila<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Gino Marotta nella Chiesa<br />

sconsacrata di San Filippo (studio di Marotta)<br />

16) 1974 “Il grande coleottero” (particolare)<br />

Struttura in legno, chiodi, stoffe e pelli<br />

cm170x130x235<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

17) 1986 “Sogno di un paesaggio di mare”<br />

Arazzo cucito cm 155x195<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

18) 1978 Perù<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> sul sentiero dell’Inca che da<br />

Ollantaytambo porta a Machu Picchu attraverso<br />

tre catene di montagne di oltre<br />

4.000 mt. di quota<br />

(foto G. Papini)<br />

19) 1978 Amazzonia peruviana<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> mentre risale un affluente del<br />

Rio delle Amazzoni<br />

(foto G. Papini)<br />

20) 1978 Amazzonia peruviana<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> in un villaggio di etnia Yaguas<br />

(foto G. Papini)<br />

21) 1998 Venezuela, rapide di Kamoiràn<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> durante la traversata della<br />

Gran Sabana Venezuelana<br />

(foto B. Andreola)<br />

22) 1999 Tunisia, Zaafrane<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> durante un percorso nel deserto<br />

tunisino<br />

(foto B. Andreola)<br />

23) 2001 “Tempesta sulla montagna”<br />

Carte cucite e tecnica mista cm 50x50<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

24) 2003 “Cometa estiva”<br />

Arazzo cucito cm 60x130<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

25) 2006 Pescara<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> ritratto in un maxi manifesto<br />

come testimonial<br />

(foto A. Rigo)<br />

26) 1962<br />

Catalogo della Prima Mostra Biennale Nazionale<br />

del Disegno “Premio Recoaro Terme”<br />

(Vicenza)<br />

(testo in catalogo di Giuseppe Marchiori)<br />

27) 1962<br />

“Figura”<br />

Tecnica mista e inchiostro su cartoncino Fabriano<br />

cm 30x40<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

28) 1962 Roma, Palazzo delle Esposizioni<br />

Catalogo della Terza Mostra d’Arte dello<br />

Studente<br />

29) 1962 Senza titolo<br />

Scultura in legno di faggio Altezza cm 60<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

30) 1964 L’Aquila<br />

Catalogo della mostra personale di <strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong> al Grand Hotel et du Parc<br />

(testo in catalogo di Emidio Di Carlo)<br />

31) 1964 “Paesaggio”<br />

Vernici acriliche, carte, combustione, cera e<br />

fiammiferi svedesi cm 50x30<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

32) 1964 L’Aquila<br />

Catalogo della mostra “Gruppo 5”<br />

(testi in catalogo degli autori)<br />

33) 1966 “Sogni”<br />

Collage realizzato con tecnica fotografica<br />

cm 21x30<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

34) 1968 L’Aquila<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nel suo studio di Via Tre Spighe<br />

(foto M. Falli)<br />

35) 1969 L’Aquila, Teatro Comunale<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> durante la realizzazione del<br />

fondale di sacco di Alberto Burri per lo<br />

spettacolo teatrale “L’avventura di un povero<br />

cristiano” di Ignazio Silone – Regia di Valerio<br />

Zurlini<br />

(foto F. Troiani)<br />

36) 1969 San Miniato<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> sul palcoscenico durante il<br />

montaggio delle scene di Alberto Burri per<br />

lo spettacolo teatrale “L’avventura di un povero<br />

cristiano” di Ignazio Silone – Regia di<br />

Valerio Zurlini<br />

(foto A. Burri)<br />

37) 1969<br />

Copertina della rivista «Il Dramma» dedicata<br />

allo spettacolo teatrale “L’avventura di un<br />

povero cristiano” di Ignazio Silone – Scene<br />

di Alberto Burri – Realizzazione delle scene<br />

di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

38) 1969 Pescara<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> con la scultura “Triste serpente”<br />

nel suo studio di Via De Cesaris<br />

39) 1969 Città di Castello<br />

Catalogo della mostra personale “<strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong>” alla galleria Il Pozzo<br />

(testo in catalogo di Lamberto Giancarli)<br />

40) 1970 “Personaggi”<br />

Stoffe cucite<br />

(foto C. Papola)<br />

41) 1970 “Personaggio”<br />

Tecnica mista e vernici su tela<br />

cm 100x120<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

42) 1971 Salò<br />

Catalogo della mostra personale “<strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong>” al Centro D’Arte Santelmo<br />

(testo in catalogo di Benito Sablone)<br />

43) 1971 Penne<br />

Catalogo della mostra personale “<strong>Visca</strong>” al<br />

Museo Civico di Penne<br />

(testo in catalogo di Aleardo Rubini)<br />

44) 1971 “Personaggi”<br />

Stoffe cucite<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

45) 1972 “Reliquiario per un sesso ciclopico”<br />

Struttura in legno e stoffe cucite<br />

cm 150x25x245<br />

(foto S. <strong>Visca</strong>)<br />

46) 1972 “Gomitolo sotterrato per un<br />

malefizio d’amore”<br />

Tecnica mista e vernici su tela<br />

cm 100x120<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

47) 1973 “Altare per una sposa in bianco”<br />

Struttura in legno, stoffe cucite e materiali<br />

polivalenti cm 290x265x70<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

48) 1973 Milano<br />

Catalogo della mostra personale “<strong>Visca</strong>” alla<br />

galleria Pace<br />

(testo in catalogo di Lucio Fraccacreta)


49) 1973 Milano<br />

Catalogo della XV Triennale Internazionale<br />

di Milano, Sezione Italiana “Lo spazio vuoto<br />

dell’habitat”a cura di Edoardo Vittoria<br />

50) 1974 “Paesaggio interno”<br />

Struttura in legno e stoffe cucite<br />

cm 70x19x180<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

51) 1974 Pescara<br />

Locandina per la mostra personale “<strong>Visca</strong>”<br />

al Laboratorio Comune D’Arte Convergenze<br />

52) 1975 Senza titolo<br />

Cartone disegnato e cucito cm 50x70<br />

53) 1976 Biennale di Venezia<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e Gino Marotta insieme a Teresita<br />

Rosini, moglie di Lucio Fontana, durante<br />

la ricostruzione dell’Ambiente spaziale<br />

di L. Fontana del 1949<br />

54) 1976 Roma<br />

Locandina per la mostra personale “Ligamenti<br />

d’amore” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> alla galleria<br />

dell’Oca<br />

55) 1982 “Paesaggio sulle zampe di gallina”<br />

Tecnica mista e metacrilato graffito<br />

cm 70x100<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

56) 1984 “Il ripostiglio con le ali”<br />

Tecnica mista e vernici su tela cm 150x200<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

57) 1985 “Fuoco di stelle”<br />

Cartone dipinto e cucito cm 50x55<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

58) 1985 Pescara<br />

Catalogo della mostra personale “Fuochi<br />

d’amore” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> alla galleria Questarte<br />

(testo in catalogo di Enrico Crispolti)<br />

59) 1984 “L’Attesa del fagiano dorato”<br />

Arazzo cucito cm 125x163<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

60) 1986 Pescara<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nel suo studio di Via del Circuito<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

61) 1986 L’Aquila<br />

Monografia per la mostra personale “Cuciti”<br />

di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> al Forte Spagnolo<br />

(testi in catalogo di Enrico Crispolti e Tito<br />

Spini)<br />

62) 1986 Brasile<br />

Copertina del pieghevole per la mostra di<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> “Un coração vermelho no<br />

Gran Sasso”, a San Paolo del Brasile, promossa<br />

dalla Regione Abruzzo in occasione<br />

del 1° EXPO Brasil-Italia Sao-Paulo (Brasile)<br />

63) 1986 “Grande fuoco di mare”<br />

Tecnica mista e vernici su tela” cm 200x150<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

64) 1986 “Tramonto di fuoco”<br />

Tecnica mista e vernici su tela”<br />

cm 100x100<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

65) 1986 “Ricordo di un paesaggio sognato”<br />

Tecnica mista e vernici su tela<br />

cm 100x150<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

66) 1987 “Attesa”<br />

Terracotta e bronzo cm 25x6x26<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

67) 1987 “Tempesta al pistacchio”<br />

Tecnica mista e vernici su tela<br />

cm 100x100<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

68) 1987 “Notturno da terra”<br />

Tappeto annodato (realizzato a Istambul,<br />

Turchia) cm 290x230<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

69) 1991 L’Aquila<br />

Pieghevole per la mostra personale “I giardini<br />

dell’amore” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> presso gli<br />

spazi espositivi della Casa Editrice L’Acacia<br />

70) 1991 Teramo<br />

Pieghevole per la mostra personale “Paesaggi<br />

di fate” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> alla galleria<br />

Experientia Art&E<br />

(testo di Nerio Rosa)<br />

71) 1991 “Asparagi”<br />

Terracotta, patine a freddo e smalto al terzo<br />

fuoco cm 70x25x68<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

72) 1991 Pescara<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nello studio fotografico di Giuseppe<br />

Iammarrone<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

73) 1991 Pescara<br />

Pieghevole per il convegno “Il Perù nel<br />

quinto secolo dalla conquista” a cura dell’I-<br />

stituto di Lingue Romanze dell’Università G.<br />

D’Annunzio di Pescara, dove <strong>Visca</strong> è invitato<br />

per intervenire sul tema “Il Perù, appunti<br />

di viaggio”<br />

74) 1991 “Mare di bronzo”<br />

Ferro e bronzo cm 40x7x40<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

75) 1992 “Fuochi sulla montagna”<br />

Stoffe, pelli e spaghi cuciti cm 100x150<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

76) 1992 “Il giardino proibito”<br />

Ferro e bronzo cm 58x40x30<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

77) 1995 Pescara<br />

Catalogo per l’ambientazione “Il grande firmamento”<br />

allestita presso i locali della Ex<br />

Gaslini di Pescara<br />

(testo in catalogo di Daniele Cavicchia)<br />

78) 1994 “La notte dei sogni”<br />

Arazzo cucito cm 181x106<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

79) 1995 Pescara<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nel suo studio di Via Genova<br />

insieme a Ruggero Pierantoni<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

80) 1995 Camerino<br />

Catalogo per la mostra personale “<strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong>” 1974-1994 presso la Sala del Diritto<br />

Comune del Palazzo Ducale dell’Università<br />

degli Studi di Camerino<br />

(testi in catalogo di Lucio Fraccacreta, Enrico<br />

Crispolti, Tito Spini, Ruggero Pierantoni)<br />

81) 1995 Camerino<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nel Palazzo Ducale di Camerino<br />

per la mostra personale “<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>”<br />

1974-1994<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

82) 1996 L’Aquila<br />

Catalogo della mostra personale di <strong>Sandro</strong><br />

<strong>Visca</strong> “Vessilli D’Amore” al Museo Sperimentale<br />

d’Arte Contemporanea<br />

(testi in catalogo di Nicola Ciarletta, Benito<br />

Sablone, Lucio Fraccacreta, Gino Marotta,<br />

Diego Carpitella, Enrico Crispolti, Tito<br />

Spini, Ruggero Pierantoni)<br />

83) 1996 “Vessillo dorato”<br />

Cartone dipinto, grafite e foglia d’oro cm 70x50<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

84) 1996 Pescara<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> in una foto di Giuseppe Iammarrone<br />

85) 1999 L’Aquila<br />

Copertina del libro Abruzzi-L’Arte del far cucina<br />

(progetto grafico, testi e illustrazioni di<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong>)<br />

86) 1999<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> con il regista argentino Cesar Brie<br />

e la Compagnia teatrale del Teatro de los Andes<br />

(foto P. Porto)<br />

87) 1999 Pescara<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> nello studio di Via Genova insieme<br />

al suo amico fotografo Giuseppe Iammarrone<br />

(foto B. Andreola)<br />

88) 1999 Parigi<br />

<strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> insieme a Tanino Liberatore<br />

89) 2000 Macerata<br />

Catalogo per l’esposizione dell’arazzo cucito<br />

“In itinere” (mt. 34x0,50) alla Galleria<br />

Nazionale Palazzo Ricci di Macerata<br />

(testo in catalogo di Paola Ballesi)<br />

90) 2000 Macerata<br />

Mostra dell’arazzo “In itinere” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

al Palazzo Ricci di Macerata<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

91) 2000 Corinaldo<br />

Catalogo per l’esposizione dell’arazzo cucito<br />

“In itinere” (mt. 34x0,50) alla Chiesa del<br />

Suffragio di Corinaldo<br />

92) 2000 Corinaldo<br />

Mostra dell’arazzo “In itinere” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

alla Chiesa del Suffragio di Corinaldo<br />

(foto M. Abbo)<br />

93) 2001 Lucca<br />

Mostra dell’arazzo “In itinere” di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong><br />

al Centro Culturale Officina di Lucca<br />

(foto G. Iammarrone)<br />

95) 2004 “Il teatrino dei silenzi mitologici”<br />

Tecnica mista cm 70x50<br />

(foto P. Iammarrone)<br />

96) 2004 “L’ultimo atto dell’acrobata”<br />

Tecnica mista cm 70x50<br />

(foto P. Iammarrone)<br />

97) 2006 Roma<br />

Copertina del libro «Andrea Pazienza <strong>Visca</strong>»<br />

- Edizioni Fandango (testi di <strong>Sandro</strong> <strong>Visca</strong> e<br />

Federico Fiorenza)

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