leggi il numero 2 - DOM la cupola del pilastro
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effort to document the unspeakable, what […] could only be said by finding form of its own, an art form that is coherent with the matter of life. […] As if Šalamov’s essential lesson, sketched in the words «I believe that whoever reads my stories will understand how futile are old ideas and traditional literary schemata», was to be applied to theatre. He, who for the Soviet power was an «enemy of the people» charged with fifteen years of forced works, is for us, his readers, the greatest Russian narrator of the XX Century. Il testo è stato scritto in seguito all’incontro Duale - esperienze e riflessioni: a proposito di Varlam Šalamov a cura di Laminarie, tenutosi a DOM La cupola del Pilastro a Bologna nell’ambito della rassegna Monopolio quattro vite di un’altra fibra il 6 novembre 2010. Ospiti della serata sono stati Giancarlo Gaeta, docente di Storia del cristianesimo antico presso l’Università di Firenze e Francesco Bigazzi, addetto Cultura e Stampa presso il Consolato Generale d’Italia a San Pietroburgo, che conobbe personalmente Šalamov a Mosca. Esagera da I racconti della Kolyma di Varlam Šalamov • Laminarie con Febo Del Zozzo regia e scene Febo Del Zozzo drammaturgia Bruna Gambarelli macchinisti in scena Carlo Colucci, Filippo Deambrogio assistente tecnico Matteo Chesini suoni Febo Del Zozzo, Luca Ravaioli voce di Irina Sirotinskaja Annunciata e Sara Gambarelli Jackson Pollock Totem • Giuliano Guatta Questo è quello che leggo dai gesti e dagli oggetti nello spettacolo Jackson Pollock on the other hand di Laminarie. Reperti Jackson Pollock si è agganciato ad un momento primordiale della storia dell’umanità in cui non c’era distinzione tra segno gesto e danza… dove ancora non esisteva la distinzione dei generi e ancora non si era formata l’esigenza di contemplare immobili un’immagine. Questa, in fondo, credo sia stata la sua grande crisi, un conflitto che non ha saputo superare, il dover essere a tutti i costi un pittore e dover conservare una superficie imbrattata e cercare di piazzarla su qualche parete di un’importante galleria o della casa di un grosso collezionista e mi pare che J.P. puntasse alto in quanto a mecenati, e poi questo dover trattenere i reperti di questa danza/ lotta, l’esser costretto a guardarli e vedere cosa funzionava e cosa non funzionava, lo poneva, io immagino, in una condizione insopportabile, perché quando sei dentro il quadro, quando fai, non ti poni il problema di cosa funziona e cosa non funziona, è quando ti allontani che escono le rogne, ed è quella la sua verità, credo, il resto è solo ciò che è rimasto. 38 ampio raggio n°2 39
Versare Lasciar piovere, lasciar cadere le cose sulla terra. Mi piace come è reso questo momento nello spettacolo, le foglie e i rami che cadono, la ventola che fa vento, i suoni della natura, il canto indiano… sì perché il segno di J.P. non si imprime ma si deposita sulla superficie. Di fatto è un approccio naturale questo: le cose cadono, cadono le foglie, cadono pezzi di meteorite, piove, nevica. “Io sono natura”, ripeteva. Non c’è mai l’invasione organizzata di un corpo segnante, l’aratro non è ancora stato inventato, non si scava, non si zappa, siamo in una dimensione pre-contadina, nomadica, si viaggia; J.P., versando il colore viaggia, e a quanto pare sta bene, e quando smette di versarlo sta male, e allora il colore lo versa dentro, illudendosi di star meglio e continua a star male. Alla fine si tratta sempre di versare del liquido, o fuori, o dentro. Il suo stesso modo di gettare il colore sulla tela mi fa pensare all’atto di battezzare, ma anche al muratore che getta la malta con la cazzuola. Viaggiare, versare, l’acqua che scorre, versarcisi dentro, immergersi, credo abbia a che fare con quanto è scritto nella presentazione dello spettacolo, riguardo a quel momento prezioso che non può essere cercato, ma deve essere atteso. Il pensiero è vuoto, sospeso, pronto a ricevere l’opera, e mi pare che lui più che a ricevere sia stato disponibile ad essere ricevuto, a lasciarsi trascinare per alcuni attimi lungo il corso del fiume. Postura La sua postura mentre dipinge mi ricorda il movimento base della Capoeira (l’arte marziale brasiliana nata come lotta di liberazione), la ginga: un incedere senza incedere, ondeggiando ritmicamente, danza e lotta, il corpo piegato in avanti come a sorvolare, esplorare la terra, la tela. Il corpo del pittore funge da guida sul territorio. Ghiaccio Il pittore/attore è un pattinatore scalzo, scivola su questa lastra sottile di ghiaccio, sotto la quale si muovono le acque. Superficie liscia che non spinge il corpo in una direzione, ma lo lascia, lo invita a lasciarsi versare nuovamente, e questa apertura implica uno sforzo fisico, mentale e spirituale, un coinvolgimento totale, l’essere contemporaneamente padrone e servo. L’espandersi del corpo in ogni direzione permette l’equa distribuzione del peso sulla superficie. Ciò che non è prevedibile è lo spessore della lastra, la sua tenuta. Il suo possibile cedimento lascia il vuoto sotto i piedi ma permette di scorgere le profondità. L’attore/pittore è disposto a rompere il ghiaccio. Totem Picasso cammina attorno al totem scrutandolo e facendolo a pezzi. Pollock danza attorno al totem girando cento volte su se stesso. Filtro Grate metalliche verticali dove l’attore/pittore intravede ed è intravisto, vengono da lui lasciate 40 ampio raggio n°2 41
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effort to document the unspeakable, what […] could only be<br />
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sketched in the words «I believe that whoever reads my stories<br />
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schemata», was to be applied to theatre. He, who for the Soviet<br />
power was an «enemy of the people» charged with fifteen years<br />
of forced works, is for us, his readers, the greatest Russian<br />
narrator of the XX Century.<br />
Il testo è stato scritto in seguito all’incontro Duale -<br />
esperienze e riflessioni: a proposito di Var<strong>la</strong>m Ša<strong>la</strong>mov a<br />
cura di Laminarie, tenutosi a <strong>DOM</strong> La cupo<strong>la</strong> <strong>del</strong> P<strong>il</strong>astro a<br />
Bologna nell’ambito <strong>del</strong><strong>la</strong> rassegna Monopolio quattro vite<br />
di un’altra fibra <strong>il</strong> 6 novembre 2010. Ospiti <strong>del</strong><strong>la</strong> serata sono<br />
stati Giancarlo Gaeta, docente di Storia <strong>del</strong> cristianesimo<br />
antico presso l’Università di Firenze e Francesco Bigazzi,<br />
addetto Cultura e Stampa presso <strong>il</strong> Conso<strong>la</strong>to Generale<br />
d’Italia a San Pietroburgo, che conobbe personalmente<br />
Ša<strong>la</strong>mov a Mosca.<br />
Esagera<br />
da I racconti <strong>del</strong><strong>la</strong> Kolyma<br />
di Var<strong>la</strong>m Ša<strong>la</strong>mov<br />
• Laminarie<br />
con Febo Del Zozzo<br />
regia e scene Febo Del Zozzo<br />
drammaturgia Bruna Gambarelli<br />
macchinisti in scena Carlo Colucci,<br />
F<strong>il</strong>ippo Deambrogio<br />
assistente tecnico Matteo Chesini<br />
suoni Febo Del Zozzo, Luca Ravaioli<br />
voce di Irina Sirotinskaja Annunciata e<br />
Sara Gambarelli<br />
Jackson Pollock<br />
Totem<br />
• Giuliano Guatta<br />
Questo è quello che leggo dai gesti e dagli oggetti<br />
nello spettacolo Jackson Pollock on the other<br />
hand di Laminarie.<br />
Reperti<br />
Jackson Pollock si è agganciato ad un momento primordiale<br />
<strong>del</strong><strong>la</strong> storia <strong>del</strong>l’umanità in cui non c’era<br />
distinzione tra segno gesto e danza… dove ancora<br />
non esisteva <strong>la</strong> distinzione dei generi e ancora non<br />
si era formata l’esigenza di contemp<strong>la</strong>re immob<strong>il</strong>i<br />
un’immagine. Questa, in fondo, credo sia stata <strong>la</strong><br />
sua grande crisi, un conflitto che non ha saputo<br />
superare, <strong>il</strong> dover essere a tutti i costi un pittore e<br />
dover conservare una superficie imbrattata e cercare<br />
di piazzar<strong>la</strong> su qualche parete di un’importante galleria<br />
o <strong>del</strong><strong>la</strong> casa di un grosso collezionista e mi pare<br />
che J.P. puntasse alto in quanto a mecenati, e poi<br />
questo dover trattenere i reperti di questa danza/<br />
lotta, l’esser costretto a guardarli e vedere cosa funzionava<br />
e cosa non funzionava, lo poneva, io immagino,<br />
in una condizione insopportab<strong>il</strong>e, perché<br />
quando sei dentro <strong>il</strong> quadro, quando fai, non ti poni<br />
<strong>il</strong> problema di cosa funziona e cosa non funziona, è<br />
quando ti allontani che escono le rogne, ed è quel<strong>la</strong><br />
<strong>la</strong> sua verità, credo, <strong>il</strong> resto è solo ciò che è rimasto.<br />
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