Vicari: Mafia e plebe - I Siciliani giovani

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15.06.2013 Views

La Plebe e il sorgere del nuovo soggetto: il trauma politico intenzionale L’intento di questo studio è quello di spostare l’attenzione sugli effetti sociopsicopatologici indotti nella “plebe” da questa creazione. Per “plebe” intendiamo quei cittadini che hanno subito – da generazioni – la saturazione dell’ambiente sociale, economico, culturale, politico, da parte del “Sentire mafioso” inteso come “Pensiero inconscio o preriflessivo automatico, esonerato dal pensiero riflessivo” 16 ; che non sono riusciti a sciogliere il nodo che li voleva presi nel “doppio legame” di essere abbandonati dalle istituzioni e di essere indifesi contro i soprusi, le violenze, le intimidazioni, i ricatti: di essere stritolati da un dispositivo di potere che li vuole in nero, al limite della sussistenza e bisognosi di protezione. Mi riferisco a tutti coloro che non possono trovare altra salvezza che in una confluenza patologica con tutto quello che è familiare – oltre la famiglia, le abitudini, le credenze, le parentele, le amicizie, le tradizioni –, che sono stati costretti a percepire il mondo esterno extrafamiliare come pericoloso, terrorizzante, estraneo, invasivo, destrutturante. In tal modo, facendo nostro lo stile argomentativo genealogico di Foucault 17 , agiamo un capovolgimento della narrazione dominante per quanto riguarda la collocazione sociale, culturale e politica della centralità della famiglia – intesa come matrice 16 Per la definizione di “Sentire mafioso” si veda F. Di Maria (a cura di), Il segreto e il dogma, Franco Angeli, Milano 1998. 17 Cfr. M. Foucault, Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, Einaudi, Torino 2001. In particolare “L’ordine del discorso” (pp. 11-41) e “Nietzsche, la genealogia, la storia” (pp. 43-64). 18

di conoscenza – nell’esistenza del “plebeo” siciliano: non più origine mitopoietica di un comportamento che ha tra i suoi effetti la formazione dell’aggregazione mafiosa – vissuta come una “famiglia allargata”, piena di riferimenti e rimandi identificativi alla famiglia d’origine e al ruolo del femminile –, ma conseguenza di un’“emozione politica” incistata, di una storia collettiva manipolata per fini politici di parte, che non solo ha impedito l’affrancamento dai legami familiari claustrofobici, ma, anche e soprattutto, ha costretto – senza che ce ne sia più traccia – a vivere queste forme invasive di relazioni familiari come l’unico luogo dove ricevere protezione e sicurezza. Detto altrimenti, e prendendo decisamente le distanze dalle letture antropologiche dell’attaccamento del siciliano alla famiglia e alla figura materna: l’attaccamento alla famiglia – e il conseguente “familismo amorale” –, da parte della “plebe”, non è la causa del fenomeno politico-mafioso, ma un suo perverso effetto che informa, dopo generazioni, l’inconscio collettivo della “plebe” siciliana. L’attaccamento alla famiglia ha la sua origine nella natura e nell’impatto psicologico “delle emozioni prodotte dal politico”, niente a che fare con il mitico, l’antropologico, l’interpretazione intrapsichica, o altro ancora che negli ultimi cento anni è stato presentato per spiegare il sorgere del soggetto Mafia e giustificare la debolezza della risposta socio-politico-istituzionale 18 . Due esperienze hanno inciso in modo determinante nella delineazione di questo studio. In primo luogo l’apertura di uno sportello sociopsicoterapeutico a indirizzo gestaltico nel quartiere San Cristoforo di Catania presso l’associazione Antimafia del GAPA, a cui, gratuitamente, afferivano singoli, coppie e famiglie: esser potuto entrare in contatto con i disagi quotidiani di adolescenti, donne e uomini. Questa esperienza ha permesso 18 Si veda a questo proposito M. Alcaro, Sull’identità meridionale, Bollati Boringhieri, Torino 1999. 19

di conoscenza – nell’esistenza del “<strong>plebe</strong>o” siciliano: non più<br />

origine mitopoietica di un comportamento che ha tra i suoi effetti<br />

la formazione dell’aggregazione mafiosa – vissuta come una<br />

“famiglia allargata”, piena di riferimenti e rimandi identificativi<br />

alla famiglia d’origine e al ruolo del femminile –, ma conseguenza<br />

di un’“emozione politica” incistata, di una storia collettiva<br />

manipolata per fini politici di parte, che non solo ha impedito<br />

l’affrancamento dai legami familiari claustrofobici, ma, anche<br />

e soprattutto, ha costretto – senza che ce ne sia più traccia – a<br />

vivere queste forme invasive di relazioni familiari come l’unico<br />

luogo dove ricevere protezione e sicurezza.<br />

Detto altrimenti, e prendendo decisamente le distanze dalle<br />

letture antropologiche dell’attaccamento del siciliano alla famiglia<br />

e alla figura materna: l’attaccamento alla famiglia – e il<br />

conseguente “familismo amorale” –, da parte della “<strong>plebe</strong>”, non<br />

è la causa del fenomeno politico-mafioso, ma un suo perverso<br />

effetto che informa, dopo generazioni, l’inconscio collettivo<br />

della “<strong>plebe</strong>” siciliana. L’attaccamento alla famiglia ha la sua<br />

origine nella natura e nell’impatto psicologico “delle emozioni<br />

prodotte dal politico”, niente a che fare con il mitico, l’antropologico,<br />

l’interpretazione intrapsichica, o altro ancora che<br />

negli ultimi cento anni è stato presentato per spiegare il sorgere<br />

del soggetto <strong>Mafia</strong> e giustificare la debolezza della risposta<br />

socio-politico-istituzionale 18 .<br />

Due esperienze hanno inciso in modo determinante nella<br />

delineazione di questo studio. In primo luogo l’apertura di uno<br />

sportello sociopsicoterapeutico a indirizzo gestaltico nel quartiere<br />

San Cristoforo di Catania presso l’associazione Antimafia<br />

del GAPA, a cui, gratuitamente, afferivano singoli, coppie e<br />

famiglie: esser potuto entrare in contatto con i disagi quotidiani<br />

di adolescenti, donne e uomini. Questa esperienza ha permesso<br />

18 Si veda a questo proposito M. Alcaro, Sull’identità meridionale, Bollati<br />

Boringhieri, Torino 1999.<br />

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