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Reis glorios - Dipartimento di Filologia Moderna

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Un testimone siciliano <strong>di</strong> <strong>Reis</strong> <strong>glorios</strong> 31<br />

so rigo, cal kifaças sta suliuas. M ün presenta quin<strong>di</strong> lezioni che sicuramente<br />

non possono essere attribuite al copista o alla sua fonte imme<strong>di</strong>ata.<br />

Poco chiaro invece 19 sestangenuchuns, dove sotto sestan si<br />

indovina il verbo “stare” (forse estei, come suggerisce Chaguinian, o<br />

m’estei), dopo il quale manca un de o un a, come nelle locuzioni avverbiali<br />

con genolhos (cfr. v. 22 ni·m moc de ginolhos), a meno che la prima<br />

-n- della stringa non spetti a genuchuns e nasconda la preposizione<br />

“in”; si aggiunga che genuchuns fa saltare la rima.<br />

Di più <strong>di</strong>fficile spiegazione il vocativo Bel dous companh ad apertura<br />

<strong>di</strong> tutte le strofi tranne la prima in luogo <strong>di</strong> Bel companho degli altri<br />

manoscritti. Oltre che in M ün , Bel dous companh compare anche in<br />

una delle due strofi giu<strong>di</strong>cabili apocrife <strong>di</strong> T (T 2 ; l’altra apocrifa dello<br />

stesso manoscritto, T 1 , si apre con un’invocazione alla Vergine) nonché<br />

in un’altra strofe apocrifa che T con<strong>di</strong>vide con R (R 1 T 3 : la strofe<br />

conclusiva che comincia B. d. c., tan soy en ric sojorn, accolta a testo<br />

da alcuni e<strong>di</strong>tori), non tuttavia nell’unica strofe apocrifa <strong>di</strong> C, che<br />

ha Bel companho (C 1 ) 26 . Due sono le ipotesi possibili: o l’originale<br />

presentava sistematicamente il vocativo con “dolce”, su cui sono state<br />

modellate precocemente le strofi false <strong>di</strong> M ün , R e T, sicché il vocativo<br />

senza “dolce” sarebbe da attribuire ai copisti; oppure è stato il<br />

trovatore, a un certo punto, a <strong>di</strong>ffondere una nuova versione con Bel<br />

dous companh (fase testimoniata da M ün ) da lui stesso mo<strong>di</strong>ficato in Bel<br />

companho. In quest’ultimo caso il vocativo con “dolce” sopravviverebbe<br />

solo in tre strofi apocrife captate dai copisti da altre fonti non aggiornate<br />

alla volontà dell’autore.<br />

Il co<strong>di</strong>ce, come si è visto, proviene dall’Italia, e a una mano italiana<br />

per il componimento pensava già Meyer, interrogandosi sulla sua<br />

curiosa grafia («eine merkwür<strong>di</strong>ge (italienisirende?) Orthographie») 27 .<br />

Ma si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più. Alcuni in<strong>di</strong>zi reperibili nella guar<strong>di</strong>a anteriore<br />

e un’analisi della facies linguistica dell’alba rinviano all’Italia meri<strong>di</strong>onale<br />

e più in particolare alle aree dell’italiano meri<strong>di</strong>onale estremo<br />

a vocalismo <strong>di</strong> tipo siciliano (Sicilia, Calabria meri<strong>di</strong>onale e parte<br />

del Salento) 28 .<br />

26 Si veda il mio precedente articolo, L’angelo dell’alba cit., p. 69.<br />

27 MEYER, Zu Guiraut de Borneil’s Tagelied cit., p. 113.<br />

28 Non so su quale base M. PICCHIO SIMONELLI, Lirica moralistica nell’Occitania del<br />

XII secolo: Bernart de Venzac, Modena 1974, giunga a questa conclusione: «La strofa [VI <strong>di</strong><br />

M ün , l’unica che la stu<strong>di</strong>osa sembra conoscere nella trascrizione <strong>di</strong> KOLSEN, Sämtliche Lie-

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