Un testimone siciliano <strong>di</strong> <strong>Reis</strong> <strong>glorios</strong> 17 Monaco, BSB, Clm 719, c. 1r
18 COSTANZO DI GIROLAMO Sotto la prescrizione dello scongiuro, della stessa mano, la seguente scrittura privata: In dei no(min)e am(en) an(n)o d(omi)ni m°ccc°xxxxv <strong>di</strong>e xxix de m(en)s(e) ma(r)tii | Ego dopnus donatus et Ego angelisscus de<strong>di</strong>m(us) francisco | mi(n)ciridonis una(m) petiam te(r)re ad cussto<strong>di</strong>endum p(ro) decem | annis (et) q(uod) ip(s)e deberet cussto<strong>di</strong>re luma que t(er)ra fugit | Angossge Ba(r)tholanutius Non è affatto perspicuo che cosa Francesco, oltre all’appezzamento <strong>di</strong> terreno, debba custo<strong>di</strong>re. Si legge <strong>di</strong>stintamente luma. Letture come limia, lunia o linua, ammesso che portino da qualche parte, sono da scartare perché chi scrive tende a <strong>di</strong>sambiguare, com’è normale, le sequenze <strong>di</strong> lettere basse consistenti in una successione <strong>di</strong> aste corte ponendo degli apici sulle i o in altro modo; se si volesse invece leggere lmna, solo molto forzatamente se ne potrebbe cavare l[i]m[i]na, che non gioverebbe nemmeno granché al senso. La forma luma potrebbe essere un calco latino malriuscito, un plurale neutro, sul volgare italiano lumia “limone” o “tipo <strong>di</strong> limone dolce”, <strong>di</strong> irra<strong>di</strong>azione siciliana dall’arabo līm(a) “tipo <strong>di</strong> cedro” con suffisso bizantino -ia specifico delle piante 15 . La voce italiana lumia è attestata nel Trecento in Toscana e in Umbria e compare in Sicilia nelle ricette del Thesaurus pauperum; ma già prima, alla fine del secolo XII, era stata ripresa in latino nell’Epistola ad Petrum Panormitane ecclesie thesaurarium 16 . Se questa per la verità fragile ipotesi fosse fondata, ci troveremmo davanti a un metaplasmo <strong>di</strong> genere accompagnato da uno storpiamento della parola o da un’accidentale omissione <strong>di</strong> una lettera (una sesta asta, quella <strong>di</strong> -i-, dopo la serie <strong>di</strong> cinque <strong>di</strong> -um-). Nella parte inferiore destra, <strong>di</strong> traverso e ancora della stessa mano, ma in un inchiostro <strong>di</strong>verso, una seconda scrittura molto sbia<strong>di</strong>ta, mal leggibile e non del tutto comprensibile: 15 Cfr. C. CARACAUSI, Arabismi me<strong>di</strong>evali <strong>di</strong> Sicilia, Palermo 1983, p. 270. 16 L’ignoto autore, a cui la princeps del 1550 darà il nome <strong>di</strong> Pietro Falcando, descrive a un certo punto lo splendore degli orti <strong>di</strong> Palermo: «Videas ibi et lumias acetositate sua saporan<strong>di</strong>s cibis ydoneas et arengias acetoso nichilominus humore plenas interius, que magis pulcritu<strong>di</strong>ne sua visum oblectant quam ad aliud utiles videantur» (La “Historia” o “Liber de Regno Sicilie” e la “Epistola ad Petrum Panormitane ecclesie thesaurarium” <strong>di</strong> Ugo Falcando, a cura <strong>di</strong> G. B. SIRAGUSA, Roma 1897, p. 185).