Rassegna dell'Esercito 2/2013 - Esercito Italiano - Ministero della ...
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NORME DI COLLABORAZIONE<br />
La <strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> è un periodico on line di informazione e la collaborazione è aperta a tutti i Quadri dell’<strong>Esercito</strong>.<br />
Gli elaborati, che dovranno essere accompagnati da una dichiarazione dell’Autore che espliciti la natura inedita ed esente<br />
da vincoli editoriali dei medesimi, investono la diretta responsabilità dell’Autore stesso, rispecchiandone le idee personali.<br />
Gli articoli (minimo una cartella - massimo sette cartelle in formato word; 2000 battute a cartella) dovranno pervenire<br />
in formato elettronico all’indirizzo di posta elettronica riv.mil@tiscali.it, corredati di foto in alta risoluzione (formato<br />
tif o jpg - dimensione minima 13 x10 cm - definizione di 300dpi) e con relative didascalie esplicative. Gli eventuali acronimi<br />
presenti nell’articolo dovranno essere esplicitati in maniera chiara. La Direzione si riserva il diritto di dare all’articolo<br />
l’impostazione e i tagli ritenuti più opportuni. L’accoglimento degli articoli o proposte di collaborazione non impegnano<br />
questo Centro alla pubblicazione né alla retribuzione: gli stessi non verranno restituiti. L’autore con l’invio dell’articolo si<br />
impegna a cedere alla Redazione, a titolo gratuito, tutti i relativi diritti di esclusività e di utilizzo. Nessuna parte dei testi e<br />
delle illustrazioni può essere riprodotta senza l’autorizzazione scritta <strong>della</strong> Direzione.
RASSEGNA DELL’ESERCITO<br />
ON LINE<br />
di Rivista Militare<br />
NUMERO 2/<strong>2013</strong><br />
(MARZO - APRILE)<br />
Direttore responsabile<br />
Francesco Paolo D’Emilio<br />
Redazione<br />
Via di San Marco, 8 - 00186 Roma<br />
Tel. 06 47357373 - Fax 06 47358139<br />
e-mail: riv.mil@tiscali.it<br />
Coordinamento Editoriale<br />
Luigino Cerbo<br />
Claudio Angelini<br />
Annarita Laurenzi<br />
Grafica<br />
Marcello Ciriminna<br />
Edizione<br />
Centro Pubblicistica dell’<strong>Esercito</strong><br />
© <strong>2013</strong><br />
Proprietà letteraria artistica<br />
E scientifica riservata<br />
Registrazione del Tribunale di<br />
Roma n. 20/<strong>2013</strong> del 15.01.<strong>2013</strong><br />
ISP: www.esercito.difesa.it -<br />
Comando C4 Difesa<br />
SOMMARIO<br />
La rassegna ha lo scopo di estendere e aggiornare la preparazione tecnicoprofessionale<br />
dei Quadri dell’<strong>Esercito</strong>. A tal fine costituisce palestra di studio e<br />
di dibattito<br />
2 STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
Afghanistan: punto di situazione e prospettive<br />
future.<br />
2<br />
(Gianluca Luchena)<br />
Afghanistan: la terra di mezzo.<br />
10<br />
(Marco Paccoj)<br />
La manovra nella terza dimensione.<br />
22<br />
(Gianmarco Di Leo)<br />
L’avvento dell’arma nucleare come strumento<br />
di pressione internazionale.<br />
40<br />
(Mario Mastantuoni)<br />
46 ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />
I progetti di formazione professionale in ambito<br />
Difesa sviluppati in Calabria: Euroformazione e<br />
sbocchi occupazionali.<br />
46<br />
(Andrea Galiano)<br />
UNMISS - United Nations Mission in South<br />
Sudan: il rinnovato impegno per l’ONU e<br />
nuove speranze per un popolo.<br />
56<br />
(Alessio Gronchi)<br />
62 STORIA<br />
Francesco Nullo: un eroe garibaldino caduto in<br />
terra polacca, nel 150° anniversario.<br />
62<br />
(Giovanni Bucciol)<br />
Il primo centenario <strong>della</strong> Guerra italo-turca<br />
1911 - 1912.<br />
(Domenico Interdonato)<br />
Le trincee quali fortificazioni campali durante<br />
la Grande Guerra.<br />
(Stefano Eliseo)<br />
74<br />
84 ASTERISCHI<br />
La Cyberwar come strumento di minaccia<br />
globale.<br />
(Nicola Grammatico)<br />
84<br />
94 RECENSIONI<br />
70
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
AFGHANISTAN: PUNTO DI<br />
SITUAZIONE E PROSPETTIVE<br />
FUTURE<br />
2<br />
del Capitano Gianluca LUCHENA<br />
in servizio presso il Reggimento Lancieri di Montebello (8°)
Agosto del 2012 è stato il mese<br />
del Ramadan nei Paesi musulmani.<br />
Anche in Afghanistan,<br />
come in altre parti del mondo, dopo un<br />
lungo periodo di astinenze, si è respirata<br />
l’aria di festa tipica dell’«Eid ul Fitr».<br />
Si tratta di una grande manifestazione.<br />
Segna la fine di un perido intenso di<br />
digiuno e di preghiera, un periodo in cui<br />
tutti i fedeli sono tenuti ad astenersi dal<br />
peccato, a essere generosi col prossimo,<br />
a perseguire l’umiltà e l’autocontrollo,<br />
imparando ad apprezzare, attraverso<br />
la privazione, i doni quotidiani che<br />
Allah manda sulla terra durante il resto<br />
dell’anno.<br />
È la decima grande festa da quando le<br />
Coalition Forces (CF) <strong>della</strong> NATO hanno<br />
posato per la prima volta gli anfibi su questo<br />
terreno sabbioso e arido, iniziando,<br />
sotto l’egida delle Nazioni Unite, una delle<br />
più insidiose e difficili missioni (1). Il logo<br />
«ISAF» (International Security Assistance<br />
Force), sulle uniformi di uomini e donne di<br />
numerose Nazioni, rimanda immediatamente<br />
a un’idea di grande sforzo umano,<br />
militare ed economico, riporta alla memoria<br />
il ricordo di valorosi soldati scomparsi<br />
nell’adempimento del proprio dovere,<br />
rammenta costantemente a tutti che in<br />
questa remota parte <strong>della</strong> terra si lotta<br />
quotidianamente per sconfiggere un<br />
nemico subdolo, un avversario che usa<br />
tecniche e tattiche deprecabili e ci si adopera<br />
per consentire ad una popolazione<br />
martoriata da anni di guerra, di godere di<br />
uno scampolo di pace.<br />
È una sfida difficile e impegnativa<br />
quella con cui le Forze <strong>della</strong> Coalizione<br />
si confrontano. Da circa dieci anni si<br />
tenta di controllare un territorio aspro,<br />
da sempre dimora di un nutrito gruppo<br />
di terroristi, trafficanti, criminali, ecc.,<br />
accomunati dal desiderio di mantenere<br />
lo status quo, ovvero il non - stato, l’as-<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
senza di un potere centrale costituito<br />
che permetta loro di continuare a curare<br />
i propri interessi. Noti più comunemente<br />
come Insurgents, rappresentano<br />
tutt’altro che un avversario sprovveduto.<br />
Di certo non competitivi con le forze<br />
<strong>della</strong> coalizione dal punto di vista tecnologico,<br />
numerico e logistico, hanno sviluppato<br />
delle precise strategie sia di<br />
guerriglia che comunicative, facendo<br />
dell’Afghanistan uno dei Teatri Operativi<br />
dove è più chiaramente individuabile<br />
l’asimmetria del confronto militare. La<br />
NATO, da parte sua, ha scoperto col<br />
tempo di avere di fronte a sè un avversario<br />
con grandi doti di flessibilità, capace<br />
di modificare le proprie Tactics,<br />
Techniques and Procedures (TTPs) al<br />
variare delle strategie <strong>della</strong> controparte.<br />
Il terreno ceduto alle Forze Armate dei<br />
sei Regional Commands (RCs), solo<br />
per fare un esempio, aveva inizialmente<br />
dato al mondo un ottimistico segnale di<br />
svolta, salvo poi constatare che tale<br />
avvenimento rientrava in una pianificata<br />
e precisa volontà da parte degli insurgents<br />
di sottrarsi alla pressione<br />
dell’Alleanza rifugiandosi in zone più<br />
sicure («safe heavens») appena al di là<br />
del confine col Pakistan e sfruttare la<br />
conoscenza del territorio e la stagione<br />
primaverile/estiva ed autunnale, nota<br />
come fighting season, per minare alle<br />
fondamenta la credibilità delle CF attraverso<br />
uno stillicidio di attacchi attivi e<br />
passivi.<br />
Qualcosa però negli ultimi due anni è<br />
cambiato. Le statistiche e i rapporti<br />
attentamente valutati da COMISAF<br />
(Commander of ISAF) ogni inizio settimana,<br />
raccontano chiaramente che i<br />
modesti risultati in security, governance<br />
and development conseguiti nel corso<br />
del 2010 sono stati consolidati e incrementati<br />
nel 2011 e appaiono sempre più<br />
3
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
confortanti con il passare del tempo (2).<br />
Il 2011 ha visto per la prima volta un<br />
declino nel numero degli EIA (Enemy<br />
Initiated Attacks) consolidato poi nel<br />
2012, a testimonianza che la strategia<br />
adottata dalla Coalizione e il ruolo di primaria<br />
importanza in cui è posta la popolazione<br />
(3), hanno comportato grandi<br />
successi in termini di sicurezza e di stabilità.<br />
In questo periodo storico, poi,<br />
l’Afghanistan affronta un’ulteriore grande<br />
sfida, che è quella <strong>della</strong> transition.<br />
Come tutti sanno, l’impegno delle<br />
Nazioni del Trattato del Nord Atlantico<br />
non può durare per sempre ma deve<br />
4<br />
agire sui drivers del Paese affinché<br />
possa un giorno funzionare autonomamente.<br />
Lo sforzo per essere in un territorio così<br />
lontano dalla maggiorparte delle TCNs<br />
(Troops Contributing Nations), con una<br />
così grossa organizzazione di forze e di<br />
mezzi, è certamente notevole. Se da un<br />
lato, però, c’è la precisa volontà politica di<br />
ridurre il footprint dell’Alleanza su questa<br />
terra, dall’altro vi è la consapevolezza di<br />
non poter abbandonare drasticamente il<br />
Paese alle sue sorti, correndo il rischio di<br />
non aver assestato al terrorismo quel<br />
colpo risolutivo che si cercava e,
soprattutto, alla luce dell’elevato costo<br />
sofferto fin’ora in termini di vite umane.<br />
Questa deve esser stata la riflessione<br />
fatta dai vertici militari e politici nell’ormai<br />
storica «Conferenza Internazionale<br />
di Kabul» del luglio 2010, durante la<br />
quale è stato deciso di dare inizio a un<br />
nuovo processo, quello appunto <strong>della</strong><br />
transition, scrivendo, in questo modo,<br />
una delle più importanti pagine <strong>della</strong><br />
storia di questo Paese.<br />
Il termine transition si traduce operativamente<br />
nell’ambizioso progetto di portare<br />
gradualmente il Governo afghano<br />
alla guida del Paese, riducendo contestualmente<br />
e progressivamente la presenza<br />
<strong>della</strong> NATO sul terreno. Questo è<br />
l’obbiettivo principale e una delle maggiori<br />
priorità nell’agenda del Comandante<br />
di ISAF. Dare cioè corso a un processo<br />
di maturazione che dovrà portare,<br />
col tempo, il Governo afghano (4) ad<br />
assumersi la responsabilità di guidare il<br />
Paese, di difenderlo dagli attacchi interni<br />
ed esterni e di garantire alla popolazione<br />
una vita pacifica.<br />
Gli ingredienti sono, giocoforza, il<br />
tempo, la caparbietà, il convincimento<br />
di poterci riuscire e la volontà <strong>della</strong> classe<br />
dirigente e dei vertici militari del<br />
Paese di fare il grande passo. Aver iniziato<br />
questa nuova fase, comunque,<br />
rappresenta di per sé un positivo segnale<br />
di progressivo rafforzamento<br />
delle Istituzioni afghane e <strong>della</strong> sovranità<br />
del Paese dopo trent’anni di conflitti e<br />
di sacrifici.<br />
Il progetto di transizione, noto anche<br />
come Inteqal (in lingua Dari) poggia le<br />
sue basi, dunque, su una forte partnership<br />
tra GIRoA (Government of the<br />
Islamic Republic of Afghanistan) e CF<br />
(Coalition Forces), prevedendo il progressivo<br />
passaggio <strong>della</strong> responsabilità<br />
<strong>della</strong> sicurezza del Paese dalle forze<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
<strong>della</strong> NATO alla classe dirigente locale,<br />
attraverso cinque fasi (tranches), fino<br />
ad arrivare al completamento del processo<br />
entro la fine del 2014. Le tranches<br />
sono pianificate e dichiarate attraverso<br />
un percorso di tipo bottom – up,<br />
ovvero attraverso una scrupolosa valutazione<br />
delle condizioni a livello locale,<br />
rispetto a precisi e dettagliati indicatori.<br />
L’assessment sulla sicurezza, sulla<br />
governance e sullo sviluppo di una<br />
determinata provincia, viene sottoposto<br />
al vaglio del Joint Afghan – NATO Inteqal<br />
Board (JANIB), al cui tavolo siedono<br />
COMISAF, i rappresentanti del<br />
Governo afghano ed esponenti <strong>della</strong><br />
Comunità Internazionale (CI). Il JANIB<br />
raccomanda determinate aree, ritienute<br />
«pronte» per entrare nel processo di<br />
transizione, al Presidente dell’Afghanistan,<br />
il quale ha poi l’autorità di proclamare<br />
pubblicamente la decisione.<br />
Il tutto, per avere un quadro chiaro <strong>della</strong><br />
situazione, va intrecciato con la cosiddetta<br />
Force Posture delle CF. Procedendo<br />
nelle varie fasi, il ruolo delle NATO cambia.<br />
Man mano che le ANSF (Afghan<br />
National Security Forces) acquistano<br />
capacità e credibilità, divenendo efficaci<br />
nella gestione <strong>della</strong> sicurezza del Paese,<br />
le forze <strong>della</strong> coalizione acquisiscono un<br />
ruolo più marginale, diminuendo notevolmente<br />
in numero e passando da supported<br />
a supporting, ovvero rimodulando la<br />
presenza sul territorio in modo da fornire<br />
un graduale supporto dapprima a livello<br />
tattico, per poi muovere al livello operativo<br />
e strategico (nella fase apicale).<br />
Chiaro è che rimanendo invariato<br />
l’End State (5) <strong>della</strong> missione ISAF e al<br />
fine di non interrompere il momentum<br />
<strong>della</strong> Campagna, ovvero quella serie di<br />
successi in termini di vantaggio acquisito<br />
sugli insurgents nel controllo del territorio<br />
e sulla popolazione in termini di<br />
5
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
fiducia e credibilità, è necessario introdurre<br />
nel quadro generale <strong>della</strong> situazione<br />
operativa corrente del Teatro<br />
afghano un altro concetto, riassumibile<br />
nell’acronimo SFA (Security Force<br />
Assistance).<br />
Lo «SFA Concept» rappresenta la<br />
risposta e lo sforzo <strong>della</strong> Coalizione alla<br />
necessità di continuare con la serie<br />
positiva di successi nella lotta agli insurgents,<br />
diminuendo sensibilmente e contestualmente<br />
il numero di soldati sul terreno,<br />
passando ad un ruolo di regia più<br />
che di attore primario e coordinando<br />
uno dei più grossi e difficoltosi redeployment<br />
mai affrontati fin’ora.<br />
È evidente la complessità del problema<br />
e la difficoltà in termini di coordinamento e<br />
di Comando e Controllo (C2) su un terreno<br />
aspro e compartimentato e con la<br />
pressione del mondo intero che guarda<br />
alle vicende afghane domandandosi se,<br />
dopo il 2014, qualcosa sarà cambiato.<br />
Tuttavia, il concetto di Security Force<br />
Assistance è il frutto di una grande intuizione<br />
e di una profonda consapevolezza<br />
e conoscenza dello scenario in cui si<br />
opera. Man mano che il Governo afghano<br />
assume il ruolo di leader e si procede,<br />
dunque, lungo le fasi <strong>della</strong> transizione,<br />
esso ha sempre più bisogno di Forze<br />
Armate professionali, addestrate e credibili.<br />
E il ruolo degli SFA Teams è proprio<br />
questo. Penetrare nel sistema militare<br />
afghano, affiancare i Kandak (i Battaglioni<br />
Afghani) e le unità di polizia (Afghan<br />
National Police - ANP, Afghan National<br />
Civil Order Police - ANCOP, Afghan<br />
Uniform Police - AUP, Afghan Local<br />
Police - ALP, Afghan Border Police - ABP)<br />
in tutte le attività quotidiane, condividerne<br />
la mentalità, gli usi, le abitudini, guidando<br />
le ANSF verso una migliore preparazione,<br />
verso una più profonda convinzione delle<br />
rispettive capacità e potenzialità e verso<br />
6<br />
un livello addestrativo che consenta loro<br />
di essere indipendenti.<br />
Come in un intricato puzzle, sarà poi<br />
necessario strutturare e ridisegnare la<br />
disposizione delle rimanenti unità <strong>della</strong><br />
CF sul terreno, in modo tale da fornire<br />
un adeguato supporto a questi teams e<br />
garantire all’ANSF di poter contare su<br />
quegli enablers (6) di cui è ancora<br />
carente. E questa è la sfida principale<br />
per il futuro, intuire e cercare di leggere<br />
in maniera adeguata i segnali che vengono<br />
dal CJOA (Combined Joint Area of<br />
Operation), data l’attuale incertezza sul<br />
post-ISAF e volendo evitare di correre<br />
rischi eccessivi nel pianificare con un<br />
elevato numero di assumptions. Si capisce<br />
dunque come non sia facile il lavoro<br />
che in questo periodo stanno facendo<br />
i vertici di ISAF studiando, insieme<br />
con i rappresentanti nazionali, i requisiti<br />
operativi che devono informare il processo<br />
di formazione delle CJSOR<br />
(Combined Joint State of Requirement)<br />
future, disegnando l’organizzazione<br />
delle Forze <strong>della</strong> Colazione per i prossimi<br />
mesi.<br />
Un altro aspetto che mi preme sottolineare<br />
e che è perfettamente in linea<br />
con i concetti di transizione, riduzione<br />
delle forze e Security Force Assistance,<br />
è quello <strong>della</strong> reintegration. Come ho<br />
già avuto modo di ribadire precedentemente,<br />
non ci può essere una vera transizione<br />
senza che il Governo afghano<br />
possa contare su delle Forze Armate<br />
credibili (innanzitutto dal punto di vista<br />
numerico) e prima che la popolazione<br />
prenda coscienza del fatto che un<br />
governo democratico legittimamente<br />
eletto, delle istituzioni sane ed efficienti,<br />
si traducono in un miglioramento generale<br />
<strong>della</strong> condizione di vita, permettendo<br />
di mettere finalmente da parte quelle<br />
percezioni costanti di terrore e di peri-
colo tipiche del regime talebano.<br />
Sulla convergenza comune su queste<br />
considerazioni si innesta il programma,<br />
interamente afghano, di APRP (Afghan<br />
Peace and Reintegration Program), il<br />
cui scopo principale è quello di dare<br />
una seconda opportunità a quegli insurgents<br />
che decidano di rientrare nella<br />
società riacquistando dignità e onore. Il<br />
Comando Operativo di ISAF, IJC (ISAF<br />
Joint Command) ha solo un ruolo di<br />
supporto in questo particolare e delicato<br />
ambito, adoperandosi più che altro<br />
con tipiche operazioni di targeting e con<br />
raccolta di informazioni per agevolare il<br />
lavoro del Governo. Gli insurgents che<br />
decidono di abbandonare la precedente<br />
vita e di aderire al programma, ricevono<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Forze ISAF-ANA e ANP mettono in sicurezza<br />
un villaggio.<br />
immediata assistenza nonché il supporto<br />
necessario per reinserirsi nel tessuto<br />
sociale di cui erano precedentemente<br />
parte. Alcuni di essi, poi, al termine del<br />
processo di recupero, vengono inseriti<br />
nelle fila dell’ANSF mettendo a frutto la<br />
loro esperienza per costruire un Paese<br />
migliore.<br />
L’Afghanistan vive dunque, in questo<br />
momento, una fase molto delicata e<br />
complessa <strong>della</strong> sua storia. Tanti sono i<br />
settori nei quali la Coalizione sta lavorando<br />
e molteplici sono gli sforzi che si<br />
stanno intrecciando per permettere al<br />
7
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
Pattugliamento con veicolo VCC «Dardo» nel<br />
Distretto di Farah.<br />
Paese di fare quel passo che tutti<br />
aspettano. Le difficoltà, però, non mancano<br />
e un esempio estremamente<br />
attuale di quanto l’intero processo sia<br />
messo a dura prova, viene dal c.d. fenomeno<br />
dell’insider threat (minaccia interna).<br />
Si tratta di una problematica molto<br />
delicata e complessa che, in estrema sin-<br />
8<br />
tesi, si può spiegare come il tentativo da<br />
parte di individui non membri di<br />
Organizzazioni NATO/Governative afghane,<br />
ma con accesso ad esse per motivazioni<br />
professionali o di impiego, di condurre<br />
atti di terrorismo, di sabotaggio ecc.<br />
dall’interno delle Istituzioni stesse, causando<br />
spesso danni notevoli sia nelle fila<br />
delle CF che in quelle afghane. Ciò che<br />
rende questo fenomeno di difficile prevenzione<br />
e di grave pericolosità è che non<br />
esiste, in realtà, una precisa connessione
tra gli attentatori e che non sempre tali iniziative<br />
possono essere ricondotte al solo<br />
gruppo degli insurgents. Gli attacchi possono<br />
ad esempio essere il risultato di casi<br />
di frustrazione da parte di militari afghani,<br />
o provenire da personale spinto da<br />
motivazioni personali, come, ovviamente,<br />
possono essere il deliberato tentativo<br />
di insorgenti che riescono a inserirsi<br />
tra le fila delle ANSF per minare alle<br />
fondamenta la loro credibilità. Quel che<br />
è certo, come ha affermato lo stesso<br />
Comandante di ISAF, è che non esiste<br />
una singola soluzione e che la risposta<br />
a questa insidiosa minaccia non può<br />
che provenire, egualmente, sia dalle fila<br />
<strong>della</strong> Coalizione che da quelle del<br />
Governo afghano (7). Proprio per enfatizzare<br />
questo aspetto di comune esposizione<br />
al rischio e per sottolineare il<br />
solidale coinvolgimento nel tentativo di<br />
mitigarlo, oggi non si parla più di «green<br />
on blue», ritenendo questa espressione<br />
non adeguata a classificare un problema<br />
che invece riguarda, in egual misura,<br />
entrambe le parti (8). Ed effettivamente<br />
lo sforzo comune in tal senso è<br />
notevole, come dimostrano una serie di<br />
iniziative che vanno dall’organizzazione di<br />
conferenze che coinvolgono Comandanti<br />
e leader afghani, nell’intento di discutere<br />
e diffondere una spiccata sensibilizzazione<br />
alla problematica, all’aumento del<br />
numero di counterintelligence teams nella<br />
Coalizione e nelle formazioni afghane, al<br />
miglioramento del processo di selezione<br />
delle reclute, all’ideazione di nuove procedure<br />
che realizzino un maggiore controllo<br />
del personale che si reca o torna dalla<br />
licenza.<br />
Si cerca, cioè, di fare il possibile per<br />
essere protetti al meglio, condividendo<br />
contromisure e idee, in un’ottica di<br />
affiancamento più che di supporto.<br />
Il 2014, anno in cui termina ufficial-<br />
mente la missione ISAF, non è poi così<br />
lontano. L’Afghanistan con la sua complessità<br />
e le sue tante sfaccettature è<br />
una scommessa e una sfida in cui bisogna<br />
credere fino in fondo. E forse il<br />
segreto per il successo è proprio questo:<br />
crederci e impegnarsi fino in fondo.<br />
Fino alla fine. Del resto il motto di IJC<br />
ne è testimonianza: «Make it matter! It<br />
will be done!»<br />
NOTE<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
(1) La forza di intervento internazionale denominata<br />
«International Security Assistance<br />
Force» si è schierata originariamente come<br />
Missione Multinazionale nel dicembre del<br />
2001, ma è solo dall’agosto 2003 che il contingente<br />
è passato alle dipendenze <strong>della</strong> NATO.<br />
(2) Report on Progress towards Security and<br />
Stability in Afghanistan, April 2012.<br />
(3) Oggi si parla di POPCOIN ovvero di<br />
Population Counter Insurgency, volendo enfatizzare<br />
il ruolo <strong>della</strong> popolazione, centro di gravità<br />
<strong>della</strong> Campagna.<br />
(4) GIRoA: Government of the Islamic<br />
Republic of Afghanistan.<br />
(5) End State: The political and/or military<br />
situation to be attained at the end of an operation,<br />
which indicates that the objective has<br />
been achieved (AAP-6);<br />
(6) Enablers: assetti quali Intelligence,<br />
PSYOPS e ISR (Intelligence, Surveillance,<br />
Reconnaissance) nonché Human Terrain<br />
Teams ecc.;<br />
(7) «The issue of insider threats is very complex<br />
and requires a comprehensive, integrated,<br />
combined response from International<br />
Security Assistance Force (ISAF) and the<br />
Afghans». (www.ISAF.NATO.int)<br />
(8) Fonte: www.ISAF.NATO.int, Commander’s<br />
corner, «insider threat».<br />
□<br />
9
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
AFGHANISTAN:<br />
LA «TERRA DI MEZZO»<br />
Pochi Paesi come l’Afghanistan vantano<br />
un club assolutamente variegato<br />
di estimatori. In ogni epoca,<br />
infatti, i forestieri di passaggio sul territorio<br />
<strong>della</strong> «terra di mezzo» del «Grande<br />
Gioco», sono sempre rimasti affascinati<br />
10<br />
del Maggiore Marco PACCOJ<br />
in servizio presso il Comando Operativo di Vertice Interforze (COI Difesa)<br />
Fig. 1<br />
La distribuzione etnica nelle province del territorio.<br />
dal paesaggio severo, dalla sua storia<br />
permanentemente guerriera e dal miscu-
Le statue di Buddha di Bamiyan.<br />
Fig. 2<br />
glio di popoli sempre in lite tra loro (1) che<br />
lo caratterizzano (Fig. 1).<br />
Quando ad un viaggiatore del passato<br />
veniva chiesto in quale Paese desiderasse<br />
ritornare, invariabilmente veniva fatto il<br />
nome dell’Afghanistan.<br />
«Ricordo che è un luogo eccitante violento,<br />
stimolante; quasi ogni americano o<br />
europeo che vi lavorò nel passato dice lo<br />
stesso. Da una camera al livello più alto<br />
delle caverne ho potuto contare sessantuno<br />
vette coperte di neve in piena estate,<br />
tutte sopra i 5 000 metri, le sue colossali<br />
statue di Buddha (2), le sue cinquecento<br />
grotte ed i suoi splendidi corridoi» (Fig. 2).<br />
L’autore e viaggiatore inglese James<br />
Morris all’inizio degli anni ‘60 del ‘900 trovava<br />
Kabul pittoresca e funesta allo stesso<br />
tempo. «La sua storia è segnata da<br />
massacri, bigotteria e gelosia e sebbene<br />
la sua gente sia abbastanza gentile, può<br />
dare ancora l’impressione di una città che<br />
terrorizza. La sua gente è così varia da far<br />
venire il mal di testa, dagli occhi a mandorla<br />
e dalle barbe incolte, lisci come<br />
castagne o pieni di rughe come pigne,<br />
massicci, gagliardi uomini di frontiera ed<br />
esili montanari, pathan e uzbeki, persiani<br />
e sikh uomini di ogni livello <strong>della</strong> gerarchia<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
sociale, dall’uomo austero che sembra<br />
venire dal medioevo al progressista in<br />
giacca e cravatta».<br />
Malgrado ciò e nonostante l’amore per il<br />
popolo afghano fosse quasi contagioso<br />
per tutti coloro che si sono, in qualche<br />
modo, con esso relazionati, la dura realtà<br />
geografica del Paese s’impone su di esso<br />
come una maledizione ancestrale. Con<br />
un territorio intercluso e del quindici percento<br />
più vasto di quello francese,<br />
l’Afghanistan presenta delle difficoltà geomorfologiche<br />
straordinarie. Posto immediatamente<br />
a ridosso delle latitudini<br />
dell’Asia centrale, contornato ad ovest da<br />
Iran e Turkmenistan, a nord da Uzbekistan<br />
e Tajikistan, a est ed a sud dal Pakistan,<br />
dominato dal massiccio centrale<br />
dell’Hindu Kush e collegato alla Cina da<br />
una striscia di terra nota col nome di «corridoio<br />
di Wakhan», imposto dai cartografi<br />
imperiali con lo scopo che la Russia e<br />
l’India del Raj britannico non dovessero<br />
avere una frontiera comune, lo Stato<br />
afghano copre l’area dello snodo territoriale<br />
maggiormente strategico del centro<br />
Asia (Fig. 3). Per secoli le carovane cariche<br />
di merci itineranti sulla Via <strong>della</strong> Seta,<br />
sono passate per le malagevoli alture<br />
sismiche, le ripide valli ed i suoi passi che<br />
rallentarono l’avanzata finanche del<br />
potente <strong>Esercito</strong> di Alessandro «il<br />
Grande» di Macedonia. Ciò nonostante, il<br />
fascino di questa terra ha sempre sospinto<br />
ed attirato le genti dell’Occidente:<br />
«Ognuno di noi si fa il proprio Eden, e<br />
usando un’argilla che non conosce» scriveva<br />
nel 1964 l’americana Roseanne<br />
Klass che, appena uscita dall’università<br />
del Wisconsin, venne ad insegnare ed a<br />
vivere in Afghanistan, descrivendo il suo<br />
idilliaco viaggio d’addio in corriera verso il<br />
Khyber Pass.<br />
Non solo ammirazione però. L’Afghanistan<br />
nel corso degli ultimi due secoli si è trovato<br />
11
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
Le impervie caratteristiche geografiche del territorio.<br />
spesso al centro dell’attenzione delle grandi<br />
potenze e, in un periodo relativamente<br />
recente, dell’insorgenza jihadista nell’ambito<br />
dell’Islam centroasiatico del fondamentalismo.<br />
Un fatto obiettivo tuttavia risponde a<br />
verità: nessuna potenza straniera in epoca<br />
moderna è mai riuscita a conquistare e<br />
colonizzare completamente questo Paese<br />
così irritabile. Anche la International<br />
Security Assistance Force (ISAF), la più<br />
grande coalizione multinazionale presente<br />
sul territorio dal 2001, poi a guida NATO dal<br />
2003, (Fig. 4) non ha, a tutt’oggi, raggiunto<br />
la completa stabilizzazione politico–istituzionale<br />
del Paese con la prospettiva di scenari<br />
futuri non propriamente agevoli. Per<br />
provare a rendere un’efficace comparazione<br />
delle caratteristiche del Paese, si può<br />
affermare che l’Afghanistan sta alla guerriglia<br />
in montagna come la Francia all’alta<br />
moda e l’Italia alla storia dell’arte.<br />
Povero di risorse, desolato nei suoi paesaggi<br />
e ricettacolo, come detto, di una<br />
12<br />
Fig. 3<br />
miriade di tribù religiose, l’Afghanistan è<br />
sempre sembrato, a primo impatto, una<br />
facile preda per l’esercito invasore dotato<br />
di armamenti moderni. Kermit Roosevelt<br />
lo riteneva il trampolino per seminare<br />
discordie e malcontento nell’Asia centrale<br />
sovietica e nel Caucaso russo. Tuttavia gli<br />
afghani, non inquadrati in un esercito<br />
regolare e privi perfino di un comando<br />
unificato, hanno per due volte dimostrato<br />
che l’Impero britannico, al culmine <strong>della</strong><br />
sua potenza, non era in grado di estendere<br />
la sua egemonia sul Paese, impresa<br />
che poi è stata ripetuta contro l’invasore<br />
sovietico. Il risultato è che l’Afghanistan<br />
non è mai stato colonizzato, ma ha continuato<br />
ad essere un amalgama di tribù<br />
sottoposte a governi spesso corrotti verso<br />
le generose tangenti degli stranieri che vi<br />
giungevano, con lo scopo di provare a<br />
comprare ovvero imporre la pace sul territorio;<br />
rappresenta, sostanzialmente,<br />
l’essenza del crudo commercio che ha<br />
dato forma alle caratteristiche peculiari di<br />
questo «quasi-Paese».<br />
L’affermazione che è la geografia a<br />
determinare la storia vale per pochi Stati
Suddivisione delle Aree di responsabilità delle<br />
Nazioni che conducono i sei Comandi Regionali<br />
ISAF.<br />
al mondo come per l’Afghanistan; la politica,<br />
la natura di un popolo, la collocazione<br />
geostrategica del Paese, tra Iran,<br />
Mare Arabico e India e tra Asia centrale<br />
e Asia meridionale, hanno conferito<br />
grande importanza al suo territorio ed ai<br />
suoi valichi montani fin dalla prime invasioni<br />
ariane del 2000 a. C..(3) Il terreno<br />
aspro, accidentato, desertico e arido del<br />
Paese ha prodotto combattenti tra i<br />
migliori mai esistiti, mentre gli stupendi<br />
scenari delle sue acri montagne e delle<br />
valli verdeggianti sono stati altresì fonte<br />
di ispirazione letteraria. Strade e piste<br />
sono state vitali per l’Afghanistan fin<br />
dagli albori <strong>della</strong> sua storia; il suo territorio<br />
intercluso fu il crocevia dell’Asia ed il<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Fig. 4<br />
punto di incontro e di<br />
scontro per due grandi<br />
ondate di civilizzazione: i<br />
più urbanizzati imperi<br />
persiani ad occidente e<br />
gli imperi nomadi altaici a<br />
nord dell’Asia centrale.<br />
Per la sopravvivenza di<br />
queste due antiche civiltà,<br />
che crebbero e calarono<br />
in grandezza e conquiste<br />
seguendo l’onda<br />
<strong>della</strong> storia, il controllo<br />
dell’Afghanistan si rivelò<br />
cruciale. In alcune occasioni<br />
fece da ammortizzatore<br />
tra i due imperi<br />
mentre in altre servì da<br />
corridoio per gli eserciti<br />
che intendevano invadere<br />
l’India, in marcia da nord a<br />
sud o da ovest ad est.<br />
L’Afghanistan ha sempre<br />
posseduto caratteristiche di «centro di gravità»<br />
nel «mezzo» dell’Asia centro-meridionale<br />
subito a ridosso del sub-continente<br />
indiano.<br />
Nel XIX secolo gli inglesi in India e la<br />
Russia zarista avevano combattuto una<br />
guerra non dichiarata, recante il nome di<br />
«Grande Gioco», di competizione ed<br />
influenza in Asia centrale e in<br />
Afghanistan. Scriveva l’inglese Lord<br />
Curzon prima di divenire viceré dell’India<br />
nel 1898: «Turkestan, Afghanistan,<br />
Transcaspia e Persia: troppi di questi<br />
nomi suscitano soltanto un senso di<br />
assoluta distanza, o il ricordo di strane<br />
vicissitudini e di atmosfera moribonda.<br />
Per me, confesso, sono caselle di una<br />
scacchiera sulla quale si gioca il dominio<br />
del mondo». L’epicentro di entrambi gli<br />
Imperi presenti in quest’area era dunque<br />
l’Afghanistan. Il Raj britannico temeva<br />
che l’offensiva russa nella regione tur-<br />
13
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
L’Emiro di ferro Abdur Rahman Khan.<br />
kmena ed in particolare su Herat, potesse<br />
minacciare il Beluchistan inglese,<br />
mentre l’oro di Mosca avrebbe potuto far<br />
schierare i governanti di Kabul contro i<br />
delegati di sua maestà. I russi paventavano<br />
invece che la pressione inglese<br />
potesse indebolirli in Asia centrale e, per<br />
arginarla, si accaparrarono le simpatie<br />
delle genti autoctone mettendo a disposizione<br />
il loro supporto alle tribù musulmane<br />
ed ai governanti dei khanati di<br />
Bukhara e Khokand (4). La battaglia più<br />
importante era per le vie di comunicazione<br />
dato che entrambi gli imperi costruirono<br />
tratti ferroviari attraverso l’Asia centrale<br />
sino ai confini con l’Afghanistan, la<br />
Persia, la Cina; mentre gli inglesi costruirono<br />
le loro vie ferrate anche attraverso<br />
l’India sino al loro confine con l’Afghanistan.<br />
La forza dell’influenza inglese sul<br />
Paese si era ancor più delineata a partire<br />
dal 1880 sotto Abdur Rahman Khan<br />
(Fig. 5), scelto ed appoggiato nella sua<br />
ascesa al trono in seguito allo stallo mili-<br />
14<br />
Fig. 5<br />
tare <strong>della</strong> seconda guerra anglo-afghana.<br />
Noto come «l’Emiro di ferro» in<br />
un’autobiografia – ritenuta comunemente<br />
valida dalla letteratura inglese dominante –<br />
si chiese «come poteva una piccola<br />
potenza come l’Afghanistan, come una<br />
capra in mezzo ai due leoni (la Gran<br />
Bretagna e la Russia zarista) oppure<br />
come un chicco di grano tra le macine di<br />
un mulino, restare fra queste due pietre<br />
senza essere macinata o ridotta in polvere?».<br />
La soluzione, a cui lo stesso Emiro<br />
diede risposta, venne individuata nello<br />
sfruttamento, nel modo migliore possibile,<br />
<strong>della</strong> sua posizione di Stato cuscinetto.<br />
Accettò, infatti, la sottrazione di regioni<br />
di confine oggetto di contenzioso con il<br />
Raj britannico (una parte dei territori del<br />
Baluchistan), ingoiò i rospi <strong>della</strong> Durand<br />
line (5) e del corridoio di Whakan (creato<br />
per non far confinare i due imperi - Fig. 6)<br />
e acconsentì di cedere alla Gran<br />
Bretagna la direzione <strong>della</strong> politica estera<br />
afghana divenendone una forma di<br />
protettorato. In cambio l’Emiro riceveva<br />
1,2 milioni di rupie in contributi annuali,<br />
che furono aumentati a 1,85 milioni dopo<br />
che si inchinò all’imposizione dei confini<br />
con ulteriore guadagno di un premio in<br />
armamenti di provenienza inglese.<br />
Grazie a questi aiuti l’Emiro di ferro costituì<br />
un esercito nazionale permanente e<br />
continuò a sfidare i capi delle tribù senza<br />
peraltro riuscire a sottometterli fino alla<br />
sua morte nel 1901. Ma mentre adottava<br />
le armi moderne il satrapo, al tempo<br />
stesso, impediva che nascessero scuole<br />
e ferrovie, interpretabili come le vere ed<br />
autentiche armi per trasformare e far<br />
evolvere le società tradizionali quale<br />
quella afghana di fine XIX secolo.<br />
L’Afghanistan ebbe l’occasione più propizia<br />
per mettersi alla pari con le altre<br />
nazioni dopo la Prima guerra mondiale,<br />
quando il potere giunse nelle mani del
La morfogenesi «retroversa» dell’Afghanistan<br />
alla fine del XIX secolo.<br />
nipote dell’Emiro di ferro: il riformatore<br />
Amanullah Khan. Mostrando la propria<br />
immagine con un’azione di governo tipica<br />
di un re piuttosto che di un anacronistico<br />
emiro, il riformatore costrinse nel<br />
1919 l’Inghilterra al riconoscimento dell’indipendenza<br />
dell’Afghanistan ed a tentare<br />
ogni sforzo per trasformare una<br />
società tribale e di tipo agricolo in uno<br />
Stato – Nazione (6).<br />
Non più sostenuto dai sussidi britannici,<br />
dopo l’indipendenza, Amanullah si<br />
rivolse alla Russia sovietica per ricevere<br />
assistenza in maniera più calibrata<br />
rispetto al passato, dal momento che il<br />
modello di riferimento per questo nuovo<br />
riformatore era la Turchia di Mustafa<br />
Kemal «Atatürk». Trascurò, tuttavia, le<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Fig. 6<br />
Forze Armate – elemento essenziale e<br />
amalgamante in un processo di nazionalizzazione<br />
– non potendosi così confrontare<br />
con i Signori <strong>della</strong> Guerra delle singole<br />
province, che affrontava però con<br />
l’esazione delle tasse necessarie a tamponare<br />
la falla lasciata aperta dal mancato<br />
ricevimento del contributo britannico<br />
dopo l’indipendenza. Provò a lanciare un<br />
programma di riforme che «soffriva delle<br />
stesse debolezze che avevano caratterizzato<br />
i molto più limitati programmi dei<br />
suoi predecessori. Intraprese un progetto<br />
di una rapida trasformazione di una<br />
società afghana senza un piano definito,<br />
priva delle necessarie risorse economiche<br />
e sprovvista delle indispensabili<br />
conoscenze tecnologiche e del capitale<br />
umano». Tuttavia una ribellione tribale<br />
depose Amanullah nel 1928.<br />
Negli anni successivi le «relazioni<br />
internazionali» dell’Afghanistan assunse-<br />
15
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
ro una spinta multivettorialità nei confronti<br />
delle potenze occidentali per provare a<br />
dirigersi verso una modellizzazione statuale<br />
moderna, facendo però contestualmente<br />
ristagnare all’interno la presenza<br />
di poteri intermedi di tipo tribale. I governi<br />
di Kabul aprirono alla Germania nazista<br />
permettendo l’instaurazione di collegamenti<br />
aerei Lufthansa per far giungere<br />
nel Paese ingegneri tedeschi come assistenti<br />
ai lavori pubblici. Ancora meno<br />
saggiamente, dopo lo scoppio <strong>della</strong><br />
Seconda guerra mondiale, gli afghani si<br />
aggregarono alla Germania e all’Italia<br />
quando fomentarono una sollevazione<br />
antibritannica alla frontiera di Nord-Ovest<br />
del Raj britannico. Strategia che gli si<br />
rivolse contro quando la Germania nel<br />
1941 invase la Russia. Inchinandosi ad<br />
un’istanza anglo-sovietica, il Paese si<br />
oppose, nell’immediatezza <strong>della</strong> fine del<br />
conflitto, all’ingresso del Pakistan nelle<br />
Nazioni Unite, attaccando la Durand line<br />
come un relitto imperiale illegittimo (7).<br />
«Il conflitto costrinse inevitabilmente il<br />
governo afghano a cercare dei modi per<br />
l’accesso ai mercati internazionali dai<br />
quali dipendevano la liquidità <strong>della</strong> sua<br />
fragile economia e le magre entrate<br />
governative. I trasporti verso l’Iran orientale<br />
erano insufficienti così il solo sbocco<br />
alternativo era l’Asia centrale sovietica».<br />
Nei primi anni ‘50 del ‘900, l’Afghanistan<br />
si trovò sempre più impigliato, sia dal<br />
punto di vista militare che economico, con<br />
il blocco sovietico.<br />
Un episodio legato al rifiuto di<br />
Washington verso il governo di Kabul di<br />
provvedere ad una serie di forniture militari,<br />
costrinse gli afghani a rivolgersi a<br />
Mosca per armi da fuoco e personale<br />
addestratore. Nel frattempo affluivano<br />
nel Paese aiuti esteri di ogni tipo che<br />
trasformarono la struttura politico-economica<br />
dell’Afghanistan in una forma<br />
16<br />
consolidata di Rentier State (8) governato<br />
da leader che cambiavano continuamente<br />
direzione tenendo il Paese «nel<br />
bel mezzo» dei suoi lontani e plurimi<br />
protettori.<br />
Nel decennio 1958-1968 più del 40%<br />
delle risorse dell’Afghanistan derivarono<br />
dall’estero nella forma di aiuti specifici.<br />
Un progetto sovietico di grande importanza<br />
fu l’autostrada che collegò Kabul<br />
all’Asia centrale, una via di comunicazione<br />
ampia e solida per sostenere il peso<br />
dei veicoli militari sovietici. Oltre all’urbanizzazione<br />
anche l’istruzione e l’apparato<br />
dello Stato venivano spartiti tra le potenze<br />
occidentali (Francia, Germania Ovest,<br />
Stati Uniti) lasciando però l’influenza<br />
maggiore, in particolare verso l’addestramento<br />
dei Quadri degli Ufficiali, al blocco<br />
sovietico.<br />
All’inizio degli anni ‘70 del XX secolo<br />
l’Afghanistan conosce l’epilogo <strong>della</strong><br />
monarchia e delle dinastie regnanti (9)<br />
che avevano, fino a quel punto, tenuto le<br />
redini del Paese. Con il sostegno degli<br />
Ufficiali dell’<strong>Esercito</strong> formati da una<br />
sapiente regia sovietica, unitamente al<br />
sostegno dei militanti del piccolo partito<br />
urbano del Parcham, Muhammad Daoud<br />
Khan, già Primo Ministro del Regno, spodestò<br />
il cugino Zahir Khan (inviandolo in<br />
esilio a Roma), abrogò la Monarchia e istituì<br />
una Repubblica <strong>della</strong> quale si auto-proclamò<br />
Presidente. Il cambiamento <strong>della</strong><br />
leadership e <strong>della</strong> forma di Stato, trascinò<br />
ancora una volta il Paese nel bel mezzo<br />
di una contesa nella geopolitica del confronto<br />
bipolare nella regione. Lo scià di<br />
Persia Reza Pahlavi, sostenuto dagli<br />
Usa dell’amministrazione Nixon, aspirava<br />
ad escludere l’influenza sovietica<br />
dagli Stati vicini e, per primo tra tutti, dal<br />
confinante Afghanistan, con lo scopo di<br />
provare ad attirarlo nello schieramento<br />
del blocco occidentale. Un prestito di
quaranta milioni di dollari del 1974 provò<br />
a dare concretezza al progetto degli attori<br />
politici rientranti nell’area di influenza<br />
occidentale. L’approccio di risposta del<br />
Presidente Daoud all’offerta si diresse<br />
verso un generale abbassamento dei<br />
toni di aspirazione a prendere parte alla<br />
volontà di costruire un «Grande<br />
Afghanistan» e si indirizzò nel solco dell’instaurazione<br />
di una politica di compromesso<br />
sulle difficili questioni etniche e di<br />
frontiera con le vicine realtà dell’Iran e<br />
del Pakistan. Daoud, come tutti i suoi<br />
predecessori, non riuscì a consolidare la<br />
modernizzazione delle Istituzioni. Una<br />
struttura venne sovrapposta all’ordine<br />
sociale esistente, contraddistinto da una<br />
eccessiva e dominante polverizzazione<br />
etnica.<br />
I risultati, però, sfociarono in organismi<br />
di rappresentanza pubblica scarsamente<br />
significativi, la cui ragione principale<br />
andava ricercata nell’eccesso di frammentazione<br />
etnico - linguistica sussistente<br />
nel Paese, eccezion fatta per la Loya<br />
Jirga ormai in larga misura nominata a<br />
livello verticistico.<br />
In tale contesto, i Quadri filosovietici ed<br />
i nazionalisti dell’apparato afghano, pur<br />
se distanti su ogni altra materia (erano<br />
nettamente divisi in due filoni: Khalq – «le<br />
masse» e Parcham – «la bandiera») avevano<br />
costituito un sinergico fronte interno<br />
«nel lanciare l’allarme sul nuovo corso di<br />
Daoud, con l’appoggio dei capi tribali il cui<br />
timore principale era individuabile nella<br />
vendita dell’onore del Paese per un po’ di<br />
paccottiglia <strong>della</strong> Guerra Fredda». Dai<br />
bazar alle caserme di Kabul, gli esponenti<br />
del fronte anti-presidenziale si facevano<br />
forza in vista di una nuova lotta. Il 27 aprile<br />
1978, le dimostrazioni di massa sfociarono<br />
in una ribellione con carri armati ed<br />
aerei che attaccarono il palazzo presidenziale.<br />
Il coupe d’État assunse contorni<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
notevolmente sanguinosi e si concluse<br />
con l’uccisione di Muhammad Daoud<br />
Khan e con lo sterminio di 19 membri<br />
<strong>della</strong> sua famiglia. L’errore determinante<br />
del Presidente Daoud sussistette nel non<br />
fermare ed incarcerare Hazifullah Amin –<br />
il militante comunista che aveva organizzato<br />
il golpe e che, nei contorni del nuovo<br />
regime, aveva assunto il ruolo di Ministro<br />
degli Esteri. L’obiettivo principale di Amin<br />
si riscontrava in uno spinto irredentismo<br />
territoriale che avrebbe voluto «l’unità<br />
nazionale degli afghani dall’Oxus all’Indo,<br />
sottolineando che la rivoluzione afghana<br />
e la questione del Pashtunistan erano<br />
strettamente collegate». La disputa<br />
riguardava il popolo Pashtun che, maggioritario<br />
nell’area di confine tra Pakistan<br />
ed Afghanistan, è stato diviso in due proprio<br />
con la Linea Durand.<br />
Il sogno, se mai avesse aspirato a<br />
diventare reale, di un grande Pashtunistan<br />
indipendente è apparso sempre irrealizzabile.<br />
In Afghanistan i Pashtun sono maggioritari,<br />
in Pakistan rappresentano invece<br />
circa il 15% <strong>della</strong> popolazione. Il sentimento<br />
di resistenza di questo popolo sembra<br />
aver guidato l’instabilità cronica <strong>della</strong><br />
regione. Un popolo pronto a tutto.<br />
L’importante era trovare finanziatori disposti<br />
ad investire nella lotta (Fig. 7).<br />
Nella descritta situazione politica, i<br />
Mullah (10) ed i khan lanciarono il jihad<br />
contro gli infedeli comunisti che, a loro<br />
volta, si trovavano invischiati in lotte politiche<br />
intestine. In un siffatto quadro, si costituiva<br />
la nuova Repubblica con a capo Nur<br />
Muhammad Taraki (la guida ed il padre<br />
<strong>della</strong> rivoluzione di aprile) che, nei mesi a<br />
seguire, attuò una spinta repressione del<br />
clero afghano e comminò una serie di purghe<br />
in cui perirono almeno quindicimila<br />
persone tra moderati e tradizionalisti.<br />
L’indignazione tuttavia cominciò ad affiorare<br />
sfociando nei primi germi <strong>della</strong> resisten-<br />
17
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
L’area territoriale di colore grigio rappresenta<br />
l’oggetto <strong>della</strong> contesa irredentista dell’etnia<br />
Pashtun dopo la suddivisione di fine ‘800<br />
imposta con la Durand line.<br />
za. Nel frattempo tuttavia, nell’eterna contesa<br />
del confronto bipolare, riaffiorano gli<br />
interessi di tipo geopolitico nella regione ed<br />
a Washington la linea più decisa e chiara<br />
fu proposta da Zbigniew Brzezinski secondo<br />
il quale il colpo del 1978 sarebbe stato<br />
18<br />
Fig. 7<br />
il preludio al totale assorbimento<br />
dell’Afghanistan nel blocco sovietico, con<br />
relativa reviviscenza del vecchio velleitarismo<br />
zarista legato all’accesso alle calde<br />
acque del Golfo Persico e al dominio<br />
dell’Asia sud–occidentale. La dirigenza<br />
sovietica, dal canto suo, non era propriamente<br />
convinta dell’impronta riformista<br />
socialisteggiante imposta dal governo di<br />
Taraki all’Afghanistan, soprattutto alla luce<br />
dell’evidente infiammazione anti-sistema
propagata dai Mullah locali, nonché dell’appoggio<br />
loro fornito da parte dei soldati<br />
delusi ribelli dell’esercito che, nel marzo<br />
del 1979, presero il controllo di Herat (allora<br />
città di circa 200 000 abitanti a forte<br />
componente etnica pashtun e totalmente<br />
di lingua persiana). Contestualmente, a<br />
livello macro-regionale, si era appena tratteggiato<br />
il trionfo ideologico-religioso<br />
dell’Ayatollah-Ruhollah Khomeini che, a<br />
seguito del consolidamento ottenuto attraverso<br />
la Rivoluzione islamica, riversava,<br />
dalla neo-costituita teocrazia sciita, una<br />
intensa e decisa spinta alla già evidente e<br />
delineata volontà insurrezionale, anti-regime,<br />
<strong>della</strong> resistenza afghana.<br />
Nel rappresentato quadro di crisi, il<br />
presidente Taraki si rivolse a Mosca per<br />
chiedere un immediato intervento armato.<br />
Nei mesi successivi prese corpo una<br />
sostanziale appendice del «torneo d’ombre»<br />
ottocentesco: i sovietici, inizialmente<br />
scettici sull’invio di truppe a supporto<br />
del «regime marxista di Kabul» (11),<br />
decisero di non dispiegare alcun dispositivo<br />
militare preferendogli il supporto<br />
esterno attuato sotto forma di fornitura<br />
d’armamento ed expertise di consiglieri,<br />
dal momento che consideravano<br />
l’<strong>Esercito</strong> afghano instabile e potenzialmente<br />
capace anche di schierarsi contro<br />
il nuovo «invasore-alleato». Dal canto<br />
suo invece, il Presidente statunitense<br />
Jimmy Carter, nel luglio del 1979, aveva<br />
firmato un decreto che autorizzava la<br />
Central Intelligence Agency (Cia) americana<br />
ad intraprendere un programma<br />
segreto per rafforzare i ribelli afghani con<br />
interventi propagandistici e aiuti medici.<br />
In una fase cospirativa di così torbido<br />
tratto (a tutt’oggi non ancora completamente<br />
delineato), che aveva visto anche<br />
il verificarsi di faide interne al regime (12), si<br />
giunse all’invasione Sovietica del 28<br />
dicembre 1979 – formalmente chiesta<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
dal nuovo governo filo-sovietico guidato<br />
da Babrak Kamal - dopo l’eliminazione,<br />
perpetrata ad opera di agenti del KGB<br />
che cooperavano con la polizia segreta<br />
afghana, anche dell’ultimo ostacolo: il<br />
fanatico ultra nazionalista Hazifullah<br />
Amin.<br />
L’invasione sovietica dell’Afghanistan<br />
«mai colonizzato», si rivelò, oltreché un<br />
clamoroso errore di valutazione storicogeografica<br />
e politico-strategica del<br />
Politbjuro, un irrinunciabile assist per<br />
Brzezinski, presenza incessante nella<br />
politica estera statunitense fin dalla crisi<br />
degli ostaggi in Iran nell’aprile 1979, per<br />
colpire quei russi che detestava: «per<br />
regalargli il loro Vietnam e per spargere<br />
.... nel loro cortile» (l’espressione fu resa<br />
popolare da una copertina del Time del<br />
tempo). Il consigliere per la sicurezza<br />
nazionale dell’Amministrazione Carter, in<br />
un viaggio lampo nell’area <strong>della</strong> «Crisis<br />
Crescent» riuscì a persuadere l’Arabia<br />
Saudita ed il Pakistan, rispettivamente, a<br />
finanziare ed a far passare attraverso i<br />
propri servizi segreti (Inter Services<br />
Intelligence - ISI), tutto l’armamento<br />
necessario allo sforzo bellico per la guerriglia<br />
di resistenza afghana all’invasore<br />
sovietico. Per i dieci anni successivi,<br />
infatti, le Forze Armate del Pakistan<br />
riscossero denaro contante ed armamento<br />
da far arrivare ai mujaheddin<br />
afghani, per mezzo proprio dell’ISI, fin<br />
quando le forze sovietiche nel 1989, alla<br />
fine di dieci anni sventurati di intervento<br />
militare, lasciarono l’Afghanistan nelle<br />
maglie di una rete di militanti islamici,<br />
altamente disciplinati, che identificavano<br />
una nuova generazione di terroristi chiamati<br />
«gli arabi afghani o i figli del jihad» (13).<br />
Il Presidente <strong>della</strong> Repubblica democratica<br />
succeduto a Kamal, Mohammad<br />
Najibullah, considerato l’ultimo uomo<br />
forte comunista, rimase aggrappato al<br />
19
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
potere, dopo il ritiro sovietico, per altri tre<br />
anni. La sua sostanziale politica oppositiva<br />
e repressiva nei confronti degli<br />
agguerriti mujaheddin durò fino al 1992<br />
quando una rivolta, scoppiata all’interno<br />
dei suoi stessi ranghi, lo costrinse a farsi<br />
da parte.<br />
La corsa per Kabul venne quindi contesa<br />
tra le forze pashtun dell’estremista Hikmetyar<br />
ed i tagichi di Burahnuddin Rabbani. Le forze<br />
tagiche guidate dal comandante militare<br />
Ahmad Shan Massoud (14), prevalsero sugli<br />
islamisti dell’Hizb-i-Islami di Hikmetyar cosicchè<br />
la capitale cadeva, dopo oltre tre secoli,<br />
nelle mani di un non pashtun. Ne seguì un<br />
difficile negoziato tra le frammentate fazioni<br />
dei mujaheddin, che portò ad un accordo di<br />
governo per cui, il 17 aprile del 1992, veniva<br />
proclamata la Repubblica Islamica<br />
dell’Afghanistan con a capo il presidente<br />
Sigbatullah Mujadeddi (15). Peraltro nel neo<br />
costituito governo emergeva la figura di un<br />
giovane Viceministro per gli Affari Esteri che<br />
in futuro avrebbe inesorabilmente legato il<br />
suo nome al Paese: Hamid Karzai (16).<br />
NOTE<br />
(1) Principalmente Tagiki, Hazara, Pashtun,<br />
Uzbeki, Beluci e Turcomanni.<br />
(2) I Buddha di Bamiyan rappresentavano due<br />
colossali statue del Buddha risalenti al periodo<br />
preislamico dell’Afghanistan; esse sono state<br />
scolpite da una setta nelle pareti di roccia <strong>della</strong><br />
valle di Bamiyan, territorio degli hazara sciiti a<br />
circa 230 chilometri dalla capitale Kabul e ad<br />
un’altezza di circa 2500 metri. La valle di<br />
Bamiyan, infatti, fu al centro del buddhismo<br />
indiano e punto di sosta sulla Via <strong>della</strong> Seta<br />
per i mercanti che, dall’Europa, si dirigevano<br />
verso la Cina e l’India. La valle ha mantenuto<br />
la sua posizione di centro religioso anche<br />
dopo la sua conquista da parte dell’Islam. Le<br />
statue, una alta 38 metri e risalente a 1800<br />
20<br />
anni fa, l’altra alta 53 metri e vecchia di 1500<br />
anni, vennero distrutte il 12 marzo 2001, a<br />
seguito dell’emissione di un fatwa del leader<br />
talebano, il mullah Mohammed Omar, con<br />
chiaro intento di esprimere la volontà di trasformare<br />
l’Afghanistan in uno Stato monoconfessionale<br />
e di lanciare un evidente monito<br />
alle altre confessioni religiose minoritarie del<br />
Paese.<br />
(3) Le prime notizie del periodo pre-islamico<br />
dell’Afghanistan risalgono alle invasioni ariane.<br />
In seguito, nella sua storia, ci furono le fasi persiana,<br />
meda, greca, maurya e bactriana.<br />
(4) I khanati rappresentavano i regni territoriali<br />
in cui venne suddiviso il territorio asiatico<br />
dall’Orda d’oro di Gengis Khan nel XIII secolo.<br />
(5) La «Linea Durand» è il termine utilizzato<br />
per indicare il confine (scarsamente delimitato,<br />
ma riconosciuto ufficialmente dal punto di<br />
vista internazionale) che per 2640 km separa<br />
Afghanistan e Pakistan. La Linea Durand<br />
prese il nome dal Colonnello Sir Mortimer<br />
Durand, Segretario degli Esteri del Raj<br />
Britannico che il 12 novembre 1893 insieme<br />
all’Emiro afghano Abdur Rahman Khan,<br />
negoziò i confini tra lo stesso Raj, di cui il<br />
Pakistan faceva parte, e l’Afghanistan. La<br />
Durand line viene a volte chiamata anche<br />
«Zero Line» o Linea Zero.<br />
(6) Nel 1919 venne promulgata la prima Carta<br />
Costituzionale dell’Afghanistan ed emerse il<br />
consolidamento sociale e politico di una piccola<br />
élite urbanizzata.<br />
(7) Nel 1949 la Loya Jirga afghana dichiarò di<br />
non riconoscere la validità <strong>della</strong> Linea Durand in<br />
quanto nel 1947, con l’indipendenza del<br />
Pakistan, il Raj, visto come la controparte nella<br />
stipula dell’accordo di confine, aveva cessato di<br />
esistere. Questa presa di posizione non provocò<br />
comunque effetti tangibili ed il confine è sempre<br />
rimasto effettivo ed è riconosciuto, ancor oggi,<br />
dalla maggior parte degli Stati.<br />
(8) L’espressione Rentier State (traducibile in italiano<br />
come «stato redditiere») è utilizzata per<br />
classificare gli Stati che traggono tutto ovvero
una ingente porzione sostanziale del loro reddito<br />
nazionale, dalla rendita assicurata dalla vendita<br />
di risorse indigene a clienti esterni.<br />
(9) La dinastia Durrani (radice etimologica nei<br />
lemmi dur-e-durran, perla delle perle) si radicò<br />
nel territorio, che oggi viene chiamato<br />
Afghanistan, nell’anno 1747 con l’incoronazione<br />
di Ahmad Shah Durrani, un comandante<br />
pashtun dell’<strong>Esercito</strong> safavide. Alla dinastia<br />
di Durrani seguì quella di Barakzai, che<br />
governò il Paese fino al 1973, anno <strong>della</strong><br />
creazione <strong>della</strong> Repubblica Afghana.<br />
(10) L’appellativo Mullah è generalmente utilizzato<br />
per riferirsi a un fedele musulmano<br />
educato alla teologia islamica ed alla legge<br />
sacra (Sharia). È inteso nel mondo islamico,<br />
anzitutto, come termine di rispetto per un<br />
uomo colto. L’etimologia del titolo è ricondotta<br />
alla parola araba Mawla, che significa «vicario»,<br />
«custode». In vaste aree del mondo<br />
musulmano, in particolare l’Iran, la Bosnia,<br />
l’Afghanistan, la Turchia, l’Asia centro-meridionale<br />
e la Somalia, è il nominativo comunemente<br />
attribuito al locale leader religioso islamico.<br />
L’appellativo è stato altresì utilizzato in alcune<br />
comunità ebraiche sefardite, con lo scopo di<br />
fare riferimento alla leadership religiosa <strong>della</strong><br />
comunità.<br />
(11) Da verbale reso pubblico nel 1991, durante<br />
i processi che seguirono il fallito colpo di Stato<br />
contro Michail Gorbaciov, emerge la volontà del<br />
Ministro degli Affari Esteri sovietico del tempo<br />
Aleksej Kosygin di «non inviare truppe, ma di<br />
invitare il presidente Taraki e il fanatico nazionalista<br />
Amin a cambiare la loro tattica».<br />
(12) Dalle informazioni di cui si è in possesso<br />
oggi, emerge che gli Ufficiali sovietici si<br />
accordarono in gran segreto con il Presidente<br />
Taraki per estromettere l’ultranazionalista<br />
Amin e costituire un governo a base più larga.<br />
Quest’ultimo tuttavia riuscì ad evitare – grazie<br />
ad una soffiata – un appuntamento fatale e<br />
colpì giustiziando in anticipo Taraki, al punto<br />
tale da far risultare, in un comunicato ufficiale<br />
del regime, che il Presidente era morto a<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
causa di «una seria malattia».<br />
(13) Il partito più estremista dei mujaheddin<br />
afghani - Hizb-i-Islami (Partito dell’Islam) -<br />
venne fondato da Gulbuddin Hikmetyar per<br />
resistere all’invasione sovietica.<br />
(14) Ahmad Shan Massoud è stato un militare<br />
e politico afghano del Fronte Unito<br />
(Alleanza del nord), combattente contro il<br />
regime talebano afghano meritandosi l’appellativo<br />
di «leone del Panjshir». Nato il 9 gennaio<br />
del 1953 a Jangalak, nel nord<br />
dell’Afghanistan, fu il comandante più rispettato<br />
ed amato dei combattenti islamici per la<br />
resistenza afghana contro l’invasione sovietica<br />
prima e contro il regime dei talebani poi. Il<br />
suo sogno era un Afghanistan libero, indipendente<br />
e democratico. Oltre ad essere un<br />
ammirevole uomo di cultura, amante <strong>della</strong><br />
poesia e dei viaggi, si dimostrò un abile stratega<br />
militare. Nel 2002 venne candidato<br />
postumo al Premio Nobel per la pace ed al<br />
Premio Sacharov, istituito dal Parlamento<br />
europeo per coloro che si distinguono nel<br />
campo <strong>della</strong> lotta per i diritti dell’uomo. Nello<br />
stesso anno, il 25 aprile, Ahmad Shah<br />
Massoud è stato proclamato ufficialmente<br />
eroe nazionale.<br />
(15) Sigbatullah Mujadeddi da sempre a capo di<br />
una delle fazioni dei mujaheddin, ha diretto il<br />
Fronte nazionale di liberazione dell’Afghanistan<br />
a cui apparteneva anche Hamid Karzai. È stato<br />
anche un leader spirituale e il capo dell’ordine<br />
sufi del misticismo islamico in Afghanistan. Dopo<br />
il breve mandato presidenziale (28 aprile – 28<br />
giugno 1992), ha diretto la Commissione per la<br />
pace e la riconciliazione, istituita per affrontare il<br />
problema dei talebani.<br />
(16) Hamid Karzai è l’attuale Primo presidente<br />
eletto dell’Afghanistan (dal 7 dicembre<br />
2004). In precedenza, dal dicembre 2001<br />
Karzai aveva ricoperto il ruolo di Capo dell’amministrazione<br />
transitoria afghana e di<br />
Presidente ad interim (dal 2002).<br />
□<br />
21
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
LA MANOVRA NELLA TERZA<br />
DIMENSIONE<br />
ATTRITO E MANOVRA<br />
Gli uomini hanno cominciato fin<br />
dalla preistoria a combattere,<br />
ossia a usare la violenza per raggiungere<br />
i propri scopi, sia contro gli animali<br />
per difendersi o procurarsi il cibo, sia<br />
contro altri uomini per pura difesa ovvero<br />
per appropriarsi di nuovi territori e beni.<br />
Ebbene, già allora, seguendo il proprio<br />
intuito, gli stessi uomini hanno cercato,<br />
prima degli scontri, di muovere verso la<br />
posizione più favorevole per combattere,<br />
22<br />
del Tenente Colonnello Gianmarco DI LEO<br />
in servizio presso lo Stato Maggiore dell’<strong>Esercito</strong> - III RIF-COE<br />
Rappresentazione pittorica del lancio di paracadutisti<br />
in Normandia nel 1944.<br />
incrementando così le proprie possibilità<br />
di sopraffare o non essere sopraffatti dall’avversario.<br />
La manovra è proprio l’arte –<br />
non la scienza – di raggiungere quella<br />
posizione, consentendo di condurre il<br />
combattimento partendo da una situazione<br />
di vantaggio. Essa risulta dunque fondamentale<br />
nella condotta delle operazioni<br />
militari, tanto a livello tattico, quanto a
livello operativo o strategico; in terra,<br />
come in mare, in cielo o nello spazio.<br />
Tutti i più grandi condottieri, da Alessandro<br />
Magno, a Cesare o Napoleone, si sono<br />
appunto distinti in quest’arte riuscendo,<br />
grazie anche ad efficaci manovre delle loro<br />
forze, a sconfiggere eserciti numericamente<br />
molto superiori, in un tempo relativamente<br />
breve e con perdite relativamente contenute.<br />
Come suggeriva infatti, durante la<br />
Guerra di Secessione americana, il<br />
Generale confederato R.E. Lee, il compito<br />
principale dei comandanti in guerra è mettere<br />
le proprie truppe nella migliore posizione<br />
per combattere. Per il resto, la vittoria è<br />
nelle mani di Dio e delle truppe stesse.<br />
Durante il lungo corso <strong>della</strong> Storia si<br />
sono alternati momenti in cui gli eserciti o<br />
le flotte si sono confrontati in modo più<br />
dinamico, attraverso elaborate manovre,<br />
e momenti in cui si sono invece affrontati<br />
in modo quasi statico, basandosi quasi<br />
esclusivamente sull’urto; impegnandosi<br />
quindi in battaglie d’attrito in cui si scambiavano<br />
reciprocamente colpi sempre più<br />
potenti finché uno dei due contendenti<br />
veniva annientato o si arrendeva. La<br />
Prima Guerra Mondiale, combattuta principalmente<br />
dagli Stati europei per quattro<br />
lunghi anni, dando fondo a tutte le loro<br />
risorse umane e materiali, rappresenta<br />
certamente l’esempio più chiaro di guerra<br />
d’attrito. Le due alleanze, su tutti i fronti,<br />
hanno continuato ad ammassare uomini e<br />
artiglierie nel tentativo di realizzare «lo<br />
sfondamento» decisivo in grado di sbaragliare<br />
il nemico. Milioni di soldati sono<br />
quindi morti, o sono rimasti feriti, cercando<br />
di superare i reticolati e le trincee<br />
nemiche, in una serie di scontri frontali<br />
successivi, caratterizzati da un inferno di<br />
fuoco, schegge e, talvolta, gas letali. La<br />
mobilitazione generale <strong>della</strong> popolazione<br />
e delle risorse tecnico-industriali delle<br />
Potenze di allora portò alla costituzione di<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
eserciti enormi, schierati pressoché staticamente<br />
su impenetrabili fronti continui<br />
dove non esistevano fianchi da aggirare o<br />
retrovie che si potessero colpire rapidamente<br />
per far collassare l’avversario.<br />
Nessuna brillante manovra per linee<br />
esterne o interne fu in grado di scompaginare<br />
la coesione del fronte opposto e nessuno<br />
sfondamento risultò decisivo. In ultima<br />
analisi il solo attrito determinò la sconfitta<br />
degli Imperi centrali, che esaurirono<br />
prima dei loro avversari la capacità e la<br />
volontà di combattere.<br />
AMPLIAMENTO DELLA MANOVRA<br />
NELLA TERZA DIMENSIONE<br />
Verso la fine <strong>della</strong> guerra però, vennero<br />
gettati i semi in grado di rivoluzionare<br />
nuovamente le operazioni militari, consentendo<br />
finalmente agli eserciti di tornare<br />
a manovrare sui campi di battaglia. La<br />
nascita e il rapido perfezionamento del<br />
carro armato, così come dell’aereo, costituirono<br />
la premessa necessaria alla ideazione<br />
<strong>della</strong> Blitzkrieg sviluppata negli anni<br />
successivi alla Prima Guerra Mondiale e<br />
maturata poi durante la Seconda Guerra<br />
Mondiale.<br />
Nell’intervallo tra le due guerre, in tutti<br />
gli eserciti, iniziò infatti il processo di<br />
motorizzazione prima, e meccanizzazione<br />
poi, che portò alla formazione delle<br />
prime vere unità corazzate.<br />
Parimenti, le innovazioni tecnologiche<br />
in campo aeronautico, permisero la<br />
costruzione di velivoli sempre più grandi<br />
ed efficienti, in grado di trasportare a<br />
distanze sempre maggiori carichi paganti<br />
sempre più elevati. Ciò portò a una specializzazione<br />
sempre più accentuata dei<br />
Corpi Aerei di allora, che, nel giro di qualche<br />
decennio, divennero, in molti casi,<br />
autonome Forze Armate, con una propria<br />
23
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
dottrina d’impiego che prometteva addirittura<br />
di vincere le guerre del futuro con il<br />
solo utilizzo di massa dei nuovi bombardieri<br />
in costruzione. Verso la fine <strong>della</strong><br />
Prima Guerra Mondiale, oltre all’uso dell’aereo<br />
per colpire in profondità il nemico<br />
sul proprio territorio, scavalcando le linee<br />
avversarie, si iniziò a teorizzarne anche<br />
l’impiego per trasportare truppe che<br />
potessero essere lanciate col paracadute<br />
nelle retrovie nemiche, aggirandone le<br />
insuperabili posizioni trincerate. Proprio<br />
l’Italia effettuò, nell’agosto del 1918, il<br />
primo lancio di guerra noto, dietro le linee<br />
austriache, nei pressi di Vittorio Veneto, a<br />
scopo di ricognizione (1). Nello stesso<br />
anno anche sul fronte francese i paracadute<br />
furono usati per l’aviolancio di alcuni<br />
team di sabotatori dietro le linee tedesche,<br />
ma anche di materiali per il rifornimento<br />
di truppe alleate. Il Colonnello<br />
americano Billy Mitchell, arrivò addirittura<br />
a proporre al Gen. Pershing (2), per il<br />
1919, di paracadutare dai nuovi bombardieri<br />
in costruzione l’intera 1 a Divisione<br />
fanteria dietro le linee nemiche nella zona<br />
di Metz, per impedirne il ripiegamento e la<br />
Rappresentazione pittorica dello sbarco dei<br />
«Red Devils» (508 th PIR) in Normandia nel<br />
1944.<br />
24<br />
successiva riorganizzazione difensiva, in<br />
concomitanza con l’ennesima offensiva<br />
pianificata sul fronte occidentale per quell’anno.<br />
La guerra finì nel 1918 e l’idea rimase<br />
tale, ma in tutti i principali Paesi (3) cominciò<br />
negli anni successivi il reclutamento,<br />
la formazione e l’addestramento di unità<br />
aerotrasportate o paracadutisti in grado di<br />
manovrare sfruttando la terza dimensione,<br />
per aggirare la massa dei reparti<br />
avversari, colpendoli di sorpresa sui fianchi<br />
o sul tergo.<br />
Il Generale Gavin, Comandante <strong>della</strong><br />
82 a Divisione paracadutisti americana,<br />
nella Seconda Guerra Mondiale, sintetizza<br />
bene lo spirito di queste nuove unità<br />
nel suo libro di memorie On to Berlin: «[Si<br />
tratta di] individui [i paracadutisti] che<br />
devono essere in grado di affrontare<br />
immediatamente qualsiasi opposizione<br />
possano incontrare dopo l’atterraggio.<br />
Nonostante [quindi] si debba fare ogni<br />
sforzo per sviluppare sistemi di comunicazione<br />
e tecniche che consentano rapidamente,<br />
a battaglioni, compagnie e plotoni,<br />
di riordinarsi, noi dobbiamo addestrare i<br />
singoli a combattere per ore e giorni, se<br />
necessario, senza essere parte di unità<br />
organiche. L’equipaggiamento deve essere<br />
leggero e prontamente trasportabile…<br />
Dall’inizio <strong>della</strong> Storia, i soldati<br />
sono stati addestrati in modo<br />
ripetitivo per cancellarne i tratti<br />
individualistici, forzandoli così<br />
ad adattarsi al combattimento in<br />
grandi formazioni. Gli eserciti di<br />
Federico il Grande hanno,<br />
forse, dimostrato la massima<br />
efficienza nel trasformare singoli,<br />
squadre, plotoni e unità<br />
superiori, in perfetti meccanismi<br />
di una macchina più grande.<br />
Anche se l’avvento di armi sempre<br />
più letali ha cambiato la
necessità di costruire queste grandi formazioni<br />
addestrate a combattere in ordine<br />
chiuso, tra la Prima e la Seconda<br />
Guerra Mondiale, infinite ore sono state<br />
spese, in addestramento, per insegnare<br />
conversioni e spostamenti di squadre da<br />
destra a sinistra, come se si stessero preparando<br />
a combattere guerre del secolo<br />
passato (traduzione a cura dell’autore)».<br />
Uniformandosi a questo spirito, la dottrina<br />
seguita dalle unità aerotrasportate<br />
durante la Seconda Guerra Mondiale si<br />
basava essenzialmente sulla sorpresa,<br />
l’aggressività e la flessibilità per occupare<br />
e tenere posizioni chiave alle spalle del<br />
nemico fino all’arrivo di eventuali rinforzi,<br />
costringendolo così a ripiegare abbandonando<br />
le proprie posizioni difensive. Ciò<br />
minimizzava l’intrinseca debolezza delle<br />
stesse unità aerotrasportate, dovuta alle<br />
limitazioni causate dall’impossibilità di<br />
dotare questi reparti leggeri di artiglierie,<br />
mezzi protetti e supporto logistico sufficienti<br />
a metterli in condizione di sviluppare<br />
sforzi prolungati, specialmente contro<br />
unità blindate o corazzate. Tali limitazioni<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Rappresentazione pittorica dell’approntamento<br />
di reparti del 505° PIR (settembre 1943).<br />
erano principalmente dovute alla capacità<br />
di carico di aerei e alianti, che non erano<br />
certamente in grado di aviotrasportare<br />
artiglierie o mezzi pesanti. Altre limitazioni<br />
all’impiego erano dovute anche alla<br />
necessità di sufficienti aerei o alianti da<br />
trasporto per evitare un numero eccessivo<br />
di sortite nello spiegamento delle truppe<br />
aerotrasportate, così come all’assoluta<br />
necessità di avere la superiorità, se non la<br />
supremazia aerea, sul cielo dell’operazione.<br />
Un’ultima limitazione era infine intrinsecamente<br />
dovuta al metodo di spiegamento<br />
delle unità aerotrasportate, ossia il<br />
paracadute o l’aliante. Le auspicabili<br />
caratteristiche fisiche idonee per le zone<br />
d’atterraggio non erano sempre facilmente<br />
disponibili, costringendo quindi spesso<br />
le truppe a un pericoloso diradamento<br />
nella fase di atterraggio, anche distanti<br />
dalle Landing Zone (LZ) pianificate, che<br />
portava altrettanto spesso a notevoli pro-<br />
25
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
blemi nel riordino delle forze. Durante<br />
l’avvicinamento al suolo poi, sia gli alianti,<br />
sia i paracadutisti, erano estremamente<br />
vulnerabili al fuoco <strong>della</strong> contraerea o<br />
anche delle armi leggere eventualmente<br />
appostate nei pressi delle LZ stesse.<br />
Le gravi perdite subite, ad esempio, da<br />
unità aerotrasportate tedesche a Creta,<br />
anglo-americane in Normandia e Olanda,<br />
o russe a Vyaz’ma come a Kursk, sembrarono<br />
confermare, su tutti i fronti <strong>della</strong><br />
Seconda Guerra Mondiale, la sostanziale<br />
inefficacia, in termini di costi-benefici,<br />
nella condotta di significative operazioni<br />
aerotrasportate di livello superiore al tattico<br />
(4). La guerra finì, quindi, con l’impiego<br />
dei reparti aviotrasportati, sostanzialmente,<br />
come fanteria di élite.<br />
NUOVI MEZZI PER LA MANOVRA<br />
NELLA TERZA DIMENSIONE<br />
Già dal 1946 però, il perfezionamento di<br />
un nuovo aeromobile in grado di atterrare<br />
e decollare verticalmente – l’elicottero –<br />
consentì l’ideazione e la sperimentazione<br />
di un metodo alternativo al paracadute, o<br />
all’aliante, per trasportare rapidamente i<br />
reparti aerotrasportati alle spalle del nemico.<br />
Il Generale Geiger dei Marines americani,<br />
riflettendo appunto sulle possibilità<br />
offerte dal nuovo mezzo che, proprio grazie<br />
alle sue caratteristiche, poteva essere<br />
imbarcato sulle portaerei e sfruttato, quindi,<br />
per attaccare dall’alto le spiagge nemiche<br />
aggirandone le difese, raccomandò lo<br />
studio del possibile impiego dell’elicottero<br />
per la manovra aeromobile al fine di limitare,<br />
in futuro, le altissime perdite subite,<br />
nel recente passato, dai suoi Marines<br />
durante la condotta delle varie operazioni<br />
anfibie sul fronte del Pacifico. Nel 1948, a<br />
seguito <strong>della</strong> formazione del primo reparto<br />
sperimentale da trasporto aereo<br />
26<br />
dell’USMC (HMX-1), che metteva in linea<br />
i Sikorsky HO3S-1s, nacque il primo<br />
manuale per le operazioni aeromobili eliportate<br />
(Phib-31). Nel 1949 poi, il reparto<br />
neocostituito, sperimentò la nuova dottrina<br />
in esercitazione e, decollando da una<br />
portaerei, condusse la prima manovra di<br />
avvolgimento verticale <strong>della</strong> Storia condotta<br />
con elicotteri.<br />
L’occasione di validare sul campo l’utilità<br />
degli elisbarchi, si ebbe già qualche<br />
anno dopo durante la guerra di Corea.<br />
Nel settembre 1951 infatti, gli elicotteri del<br />
HMR-161 trasportarono oltre 200 Marines<br />
alle spalle del nemico, lanciando l’operazione<br />
Summit, e nell’ottobre successivo,<br />
con l’operazione Bumblebee, l’intero 3°<br />
Battaglione del 7° Rgt. Marines condusse<br />
il primo assalto aereo di massa su elicotteri<br />
Sikorsky HRS-1s.<br />
I successi ottenuti e le grandi potenzialità<br />
che già si intravedevano, spinsero<br />
anche l’<strong>Esercito</strong> americano a esplorare le<br />
possibilità di impiego del nuovo aeromobile.<br />
Gli elicotteri infatti, non avendo bisogno,<br />
per operare, di lunghe piste e permettendo<br />
di rilasciare le truppe d’assalto<br />
già concentrate sulle zone di riordino,<br />
senza peraltro il necessario specifico<br />
addestramento per l’uso del paracadute,<br />
si candidavano ad essere il nuovo ideale<br />
mezzo di trasporto per tutte le truppe<br />
aviotrasportate, in grado di ridurre i problemi<br />
di dispersione, perdite all’atterraggio<br />
e limitazioni nella scelta di idonee LZ,<br />
sperimentati durante le operazioni aerotrasportate<br />
sui fronti <strong>della</strong> Seconda<br />
Guerra Mondiale.<br />
Nel 1954, il celebre Generale Gavin, excomandante<br />
dell’82 a scriveva sulla rivista<br />
Harper’s: «Dov’era la cavalleria?... E non<br />
intendo a cavallo. Intendo a bordo di elicotteri<br />
e aerei leggeri, in grado di trasportare<br />
soldati armati con armi automatiche e<br />
contro-carro portatili, ma anche veicoli
leggeri da ricognizione dotati di armamento<br />
contro-carro capace di eguagliare o<br />
superare quello dei T-34… Se mai nella<br />
storia delle nostre Forze Armate c’è stato<br />
un momento in cui c’è stato bisogno <strong>della</strong><br />
cavalleria – trasportata per via aerea con<br />
elicotteri e aerei leggeri d’assalto –, questo<br />
momento è oggi…Solo sfruttando al<br />
massimo il grande potenziale offerto dagli<br />
aeromobili contemporanei possiamo<br />
combinare la completa dispersione nella<br />
difesa con la capacità di ammassare le<br />
forze rapidamente per il contrattacco che<br />
l’<strong>Esercito</strong> di oggi e di domani deve possedere<br />
(traduzione a cura dell’autore)».<br />
In queste poche righe, il Generale<br />
Gavin, sintetizzò efficacemente le caratteristiche<br />
<strong>della</strong> futura cavalleria aerea, che,<br />
entro pochi anni, sui campi di battaglia del<br />
Vietnam, dimostrò le enormi potenzialità<br />
<strong>della</strong> combinazione elicottero-fanteria leggera<br />
aeromobile.<br />
Nell’agosto del 1962, il Generale<br />
Hamilton Howze, guidò infatti un gruppo<br />
di studio (Tactical Mobility Requirement<br />
Board) che in soli 90 giorni analizzò le<br />
potenzialità <strong>della</strong> manovra nella terza<br />
dimensione e propose addirittura la trasformazione<br />
dell’intero <strong>Esercito</strong> americano<br />
in chiave aeromobile. Il piano prevedeva<br />
cinque possibili alternative, la terza<br />
delle quali fu suggerita come preferibile al<br />
Ministro <strong>della</strong> Difesa di allora Robert Mc<br />
Namara. L’US Army, poteva essere riorganizzato,<br />
entro sei anni, su undici nuove<br />
Divisioni, di cui cinque Air Assault, più tre<br />
Brigate Air Cavalry e tre Air transport. Le<br />
principali innovazioni tattiche di questo<br />
programma di ristrutturazione erano proprio<br />
le creazioni delle Divisioni Air<br />
Assault, che avrebbero dovuto schierare<br />
459 aeromobili – anziché i 100 delle<br />
Divisioni standard – e 1 100 veicoli – anziché<br />
3 452 –, riducendone così il «peso»,<br />
per una più spiccata aeromobilità e un<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
minore onere per il trasporto aereo.<br />
Anche l’artiglieria sarebbe stata infatti<br />
ridotta ai soli obici da 105 mm e ai razzi<br />
Little John (aerotrasportabili dai Chinook),<br />
potendo però contare sul supporto di<br />
fuoco divisionale di 24 aerei leggeri<br />
Mohawks e 36 elicotteri Huey armati con<br />
razzi e mitragliatrici pesanti. La nuova<br />
Divisione, così costituita, sarebbe stata<br />
poi composta da tre Brigate, di cui una<br />
aerotrasportabile nella stessa sortita con i<br />
propri mezzi aerei. Le Brigate Air Cavalry<br />
dovevano essere invece composte da<br />
316 elicotteri, di cui 144 da attacco<br />
(all’epoca non ancora in servizio), ed<br />
essere completamente aerotrasportata<br />
nella stessa sortita (compresa la organica<br />
componente controcarri). Un’ulteriore<br />
novità, per entrambi i tipi di unità, era l’assegnazione<br />
permanente di sufficienti<br />
aeromobili (aerei Caribou ed elicotteri<br />
Chinook) per fornire il supporto logistico,<br />
via aerea, direttamente alle unità sul<br />
campo di battaglia. Il compito delle<br />
Divisioni d’assalto aereo sarebbe stato<br />
quello di manovrare nella terza dimensione<br />
per colpire il nemico direttamente sui<br />
fianchi o sul tergo, aggirandolo o avvolgendolo,<br />
e scavalcandone così le difese<br />
preparate più solide. Quello delle Brigate<br />
di cavalleria aerea, sarebbe stato invece<br />
quello di fornire le unità destinate<br />
all’esplorazione, allo schermo delle forze<br />
principali, alla protezione dei loro fianchi,<br />
nonché alle azioni ritardatrici. La conclusione<br />
del Generale Howze fu che:<br />
«L’adozione del principio di aeromobilità<br />
da parte dell’<strong>Esercito</strong>, per quanto possa<br />
essere giustificato in modo imperfetto, nel<br />
mio rapporto, è comunque necessario e<br />
desiderabile. Per certi aspetti si tratta di<br />
una transizione inevitabile, come quella<br />
del passaggio dalla mobilità basata su<br />
mezzi animali a quella basata su mezzi a<br />
motore (traduzione a cura dell’autore)».<br />
27
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
Aviosbarco di truppe americane in Vietnam<br />
protetto da cortina fumogena (foto US Army).<br />
A seguito dell’opposizione feroce di<br />
membri del Congresso, Ufficiali dell’US<br />
Air Force ed elementi tradizionalisti dello<br />
stesso US Army, il provvedimento di<br />
ristrutturazione non venne adottato, ma lo<br />
studio di Howze, servì comunque a gettare<br />
le basi per la creazione <strong>della</strong> 1a Divisione Cavalleria Aerea, costituita l’11<br />
febbraio 1963 in Fort Benning, dall’integrazione<br />
dell’11a Divisione Assalto Aereo<br />
con la 2a Divisione Fanteria, riprendendo<br />
però le tradizioni <strong>della</strong> 1 a<br />
Divisione<br />
Cavalleria. Successivamente, la nuova<br />
Grande Unità venne inviata in Vietnam e<br />
ricevette il battesimo del fuoco nei pressi<br />
del massiccio Chu Pong, al confine con la<br />
Cambogia, nel novembre 1965, dove<br />
diverse sue unità vennero coinvolte nella<br />
battaglia <strong>della</strong> Valle dello Ia Drang (5).<br />
28<br />
Proprio la guerra in Vietnam dimostrò,<br />
dopo i primi successi, alcuni problemi<br />
delle operazioni aeromobili, anche se eliportate,<br />
e il possibile alto tasso di perdite<br />
causato anche solo da forze leggere scarsamente<br />
equipaggiate, come quelle NVA<br />
(North Vietnamese Army) o Viet-Cong.<br />
Grazie, infatti, allo sviluppo rapido di efficaci<br />
tecniche contro-atterraggio, questi<br />
ultimi riuscirono in molti casi a infliggere<br />
parecchi danni alle forze aerotrasportate.<br />
Ad esempio, durante un assalto aereo ad<br />
AP Bac, nel gennaio 1963, 13 dei 15 elicotteri<br />
impiegati furono colpiti e 4 vennero<br />
abbattuti. Anche durante l’operazione<br />
Sure Wind 202, nell’aprile 1964, ben 17<br />
dei 21 elicotteri impiegati furono colpiti e 3<br />
finirono abbattuti. Anche a causa, infatti,<br />
dell’estesa e fitta vegetazione vietnamita,<br />
relativamente poche radure erano adatte<br />
come zone d’atterraggio, rendendo quindi<br />
possibili agguati con razzi e mitragliatrici<br />
pesanti posizionate a ridosso delle zone
stesse, nonché imboscate immediate alle<br />
unità appena sbarcate, come appunto<br />
nella citata battaglia dello Ia Drang. Tra il<br />
14 e il 18 novembre 1965, gli americani<br />
persero infatti in azione, tra morti e feriti,<br />
200 dei quasi 500 (1°/ 7° Cav.) impegnati<br />
sulla LZ X-RAY, e 279 dei 500 (2°/ 7°<br />
Cav.), circa, attaccati nei pressi <strong>della</strong> LZ<br />
ALBANY.<br />
Nuove procedure tecnico-tattiche vennero<br />
quindi sperimentate per limitare i<br />
danni possibili in caso di imboscata, a<br />
uomini o mezzi, in prossimità delle LZ e<br />
nuovi aeromobili, come l’OV-1A Mohawks<br />
o l’UH-1B Gunship (sostituito dai più<br />
potenti AH-1G Cobra, dal 1968) furono<br />
integrati nei pacchetti aerotrasportati per<br />
migliorarne la capacità di individuazione<br />
precoce del nemico e la potenza di fuoco.<br />
I nuovi Squadroni di Cavalleria Aerea<br />
costituiti erano formati da 1 Plotone da<br />
ricognizione, su Observation Helicopter<br />
(OH), 1 Plotone d’attacco, su Attack<br />
Helicopter (AH) e uno di fanteria aeromobile,<br />
su Utility Helicopter (UH). Ogni<br />
Gruppo Squadroni di Cavalleria<br />
Corazzata, organici alle Divisioni di fanteria,<br />
aveva uno di questi Squadroni; mentre<br />
i Gruppi Squadroni delle Divisioni<br />
Aeromobili ne avevano tre. Le varie minori<br />
unità a disposizione potevano essere<br />
diversamente combinate, a seconda delle<br />
missioni loro assegnate e divise in Team<br />
(Tab. 1). Nella condotta di assalti aerei, i<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Team WHITE, ricognivano gli itinerari di<br />
infiltrazione del pacchetto aeromobile e<br />
verificavano la situazione sulla LZ prescelta.<br />
I Team RED, intervenivano per eliminare<br />
le forze nemiche eventualmente<br />
presenti nei pressi <strong>della</strong> LZ (che in questo<br />
caso veniva denominata «HOT»), e i<br />
Team BLUE, provvedevano infine al trasporto<br />
delle truppe d’assalto incaricate di<br />
eseguire la missione tattica terrestre. I<br />
Team PINK, erano invece un misto di OH<br />
e AH, destinati a individuare e distruggere<br />
il nemico direttamente, senza l’intervento<br />
di forze a terra, tramite il loro stesso fuoco<br />
o guidando quello dei mortai, dell’artiglieria<br />
o delle Close Air Support (CAS) dell’Air<br />
Force. Esempi tipici di impiego dei PINK<br />
Team erano ad esempio quelli destinati a<br />
incrementare la protezione dei perimetri<br />
difensivi delle unità terrestri, nei periodi in<br />
cui era più probabile un attacco nemico,<br />
ossia intorno all’alba e al tramonto. A<br />
seconda poi del numero di truppe impegnate<br />
nell’operazione e <strong>della</strong> resistenza<br />
supposta sulla LZ, altri elementi potevano<br />
essere integrati. Alcuni esempi erano i<br />
velivoli per l’osservazione e il supporto<br />
aereo di fuoco ravvicinato, come i già citati<br />
OV-1A; gli aerei leggeri, come gli O-1<br />
Bird Dog, per guidare dall’alto il tiro delle<br />
artiglierie o le CAS dell’aeronautica; gli<br />
elicotteri con il compito di stendere cortine<br />
fumogene ai bordi delle LZ; le sezioni o le<br />
batterie da 105 mm, dislocate nei pressi<br />
Tab. 1<br />
29
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
delle LZ stesse, a supporto degli aviosbarchi;<br />
oppure gli elicotteri con compiti<br />
di comando e controllo, nel caso di operazioni<br />
complesse (6).<br />
Gran parte delle missioni assegnate<br />
alle nuove unità di Cavalleria Aerea<br />
erano di tre tipologie:<br />
• intelligence aeroterrestre;<br />
• sicurezza;<br />
• economia delle forze.<br />
Nella prima tipologia di missioni rientravano<br />
le ricognizioni di aree, itinerari e<br />
obiettivi specifici; la valutazione dei<br />
danni successiva a bombardamenti; la<br />
selezione e ricognizione delle LZ; l’acquisizione<br />
obiettivi, la cattura di prigionieri<br />
(body snatch); ovvero le operazioni<br />
Sistema di illuminazione Bug-Firefly installato<br />
su UH-1 in Vietnam (foto US Army).<br />
30<br />
speciali in supporto di Ranger e Special<br />
Force (SF). Nella seconda, rientravano<br />
invece le operazioni di schermo, protezione<br />
e scorta delle forze amiche durante<br />
movimenti o stazionamenti, così come<br />
quelle di sorveglianza e protezione dei siti<br />
dove si erano verificati abbattimenti,<br />
seguite poi da quelle successive di evacuazione<br />
delle perdite e dei relitti. Nella<br />
terza e ultima tipologia, rientravano infine<br />
i raid d’artiglieria, gli assalti aerei, le<br />
imboscate, le azioni ritardatrici e le operazioni<br />
di protezione durante la costruzione<br />
delle basi di fuoco avanzate, nonché<br />
di reazione agli attacchi contro basi<br />
amiche (7). Dal 1966, per ridurre le perdite<br />
proprie durante gli aviosbarchi, e<br />
incrementare l’effetto sorpresa sul nemico,<br />
le unità di Cavalleria Aerea cominciarono<br />
peraltro ad operare anche di<br />
notte e diventarono sempre più efficaci
grazie alla successiva introduzione di<br />
nuove tecnologie, come i ground controlled<br />
approach radar, i primi sistemi<br />
per la visione notturna (AN/TVS-4), i<br />
sistemi di illuminazione in luce visibile<br />
(Lightning Bug-Firefly), TV e IR (8).<br />
Le esperienze fatte in Vietnam dagli<br />
americani mostrarono comunque molti<br />
dei limiti già sperimentati dalle forze<br />
aerotrasportate nella Seconda Guerra<br />
Mondiale nel manovrare nella terza<br />
dimensione, nonostante tutte le citate<br />
innovazioni tecnico-tattiche e l’introduzione<br />
di aeromobili sempre più avanzati,<br />
in grado anche di decollare/atterrare<br />
verticalmente, nonché volare e combattere<br />
efficacemente anche di notte.<br />
Anche le nuove unità di Cavalleria Aerea<br />
infatti, come i paracadutisti, una volta a<br />
terra, diventavano pura fanteria leggera,<br />
senza protezione, senza artiglieria<br />
pesante, senza sufficiente autonomia<br />
logistica, e in grado di muovere solo a<br />
piedi. Ciò le rendeva ovviamente dipendenti<br />
dalla componente aerea, sia per il<br />
movimento, sia per il supporto di fuoco,<br />
sia per il sostegno logistico, e fortemente<br />
vincolate, dunque, alle LZ dove venivano<br />
sbarcate. Le LZ, essendo quindi<br />
vitali, dovevano essere ben protette<br />
(sottraendo così truppe alle forze di<br />
manovra, per la difesa del perimetro) e<br />
difficilmente le unità aeromobili se ne<br />
potevano allontanare troppo in termini di<br />
spazio o tempo (potendo trasportare i<br />
rifornimenti solo nei propri zaini), limitandone<br />
quindi il raggio d’azione tattico.<br />
Alcuni punti critici <strong>della</strong> manovra aeromobile<br />
si ritrovarono anche in un<br />
manuale Viet-Cong ritrovato nel 1962.<br />
Nel documento, si valutavano giustamente<br />
come debolezze, la capacità di trasportare<br />
nella stessa sortita solo piccole unità<br />
facilmente contrattaccabili; la scarsa<br />
conoscenza del terreno da parte dei<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
reparti aeroportati in zone poco conosciute<br />
e studiate solo sulla carta; nonché la<br />
necessità di operare da LZ rapidamente<br />
accerchiabili, ove si potevano, altrettanto<br />
facilmente, improvvisare imboscate contro-forze<br />
e/o contro-elicotteri.<br />
Nonostante, comunque, i possibili svantaggi<br />
sperimentati nel manovrare nella<br />
terza dimensione, le operazioni aeromobili<br />
furono comunque estensivamente<br />
impiegate in Vietnam, anche a livello<br />
superiore al tattico (9). Questo perchè la<br />
capacità dimostrata, sfruttando le potenzialità<br />
di elicotteri e aerei leggeri, di cercare,<br />
trovare il nemico, sempre estremamente<br />
elusivo, che si nascondeva tra<br />
montagne e foreste, nonché di ingaggiarlo<br />
rapidamente, impedendone la fuga, si<br />
rivelò estremamente preziosa, soprattutto<br />
in un teatro di operazione non-lineare<br />
come quello del Vietnam.<br />
Anche negli anni successivi quindi, seppure<br />
parecchie critiche furono mosse<br />
all’impiego massiccio di unità aerotrasportate<br />
su larga scala, diverse volte furono<br />
lanciate operazioni di assalto aereo,<br />
sia eliportato – sia avioportato – da tutti i<br />
Paesi che ne avevano la capacità. Un<br />
esempio è fornito, dal lancio di unità paracadutiste<br />
indiane, che conquistarono<br />
quasi tutto il ghiacciaio Siachen nella<br />
regione del Kashmir, nell’aprile del 1984,<br />
con un attacco preventivo sul campo di<br />
battaglia più alto del mondo (operazione<br />
Meghdoot).<br />
Un altro esempio è fornito dai sovietici<br />
che, nel dicembre 1979, aviotrasportarono<br />
a Bagram l’intera 103 a Divisione<br />
(Airborne) <strong>della</strong> Guardia «Vitebsk» come<br />
mossa d’apertura dell’invasione in Afghanistan.<br />
Altre operazioni furono condotte<br />
dagli americani a Grenada nel 1983, a<br />
Panama nel 1989 e, più recentemente, in<br />
Afghanistan nel 2001 e Iraq, sia nel 1990-<br />
91, sia nel 2003.<br />
31
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
CASE STUDIES RECENTI<br />
Particolarmente interessante è il caso<br />
<strong>della</strong> 101 a Divisione aerotrasportata, che<br />
alla fine del 1990 raggiunse l’Arabia<br />
Saudita, assieme alle altre forze del<br />
XVIII Corpo (Airborne) americano, come<br />
prima risposta all’invasione irachena del<br />
Kuwait, cominciando così l’operazione<br />
Desert Shield. Questo caso dimostra<br />
infatti la grande flessibilità e potenzialità<br />
di grandi unità aeromobili, come la 101 a ,<br />
anche nelle più classiche operazioni<br />
War. In agosto, le Screaming Eagle<br />
rischierarono, in soli 13 giorni, le loro<br />
prime unità, da Fort Cambpell (USA) a<br />
Camp Eagle II (Arabia Saudita), nei<br />
pressi del King Fahd International<br />
Airport (KFIA), con 56 sortite di C-141 e<br />
49 di C-5B, e assumendo la responsabilità<br />
di difendere un settore di 4 600 Km 2<br />
(AO Normandy), con un totale di 2 742<br />
uomini, 487 veicoli e 117 elicotteri (<strong>della</strong><br />
2 a Brigata e <strong>della</strong> organica Brigata<br />
32<br />
Aviazione dell’<strong>Esercito</strong>). Di questi ultimi,<br />
ben 96 erano d’attacco (42 AH-1 Cobra,<br />
ognuno armato con 8 missili TOW (Tube<br />
Launched Optically Tracked); 54 Apache,<br />
ognuno armato con 16 missili Hellfire), e<br />
rappresentavano quindi l’arma migliore<br />
per fermare l’eventuale ulteriore avanzata<br />
dei carri di Saddam Hussein nel<br />
Golfo. Nel giro di tre mesi, il Comando<br />
<strong>della</strong> coalizione anti-irachena formatasi<br />
nel frattempo, ordinò poi alla 101 a<br />
abbandonare la propria postura difensiva<br />
e di spostarsi dall’estrema destra<br />
all’estrema sinistra dello schieramento<br />
AH-64 in atterraggio presso un FARP in Iraq<br />
(foto US Army).<br />
alleato (un movimento di circa 1000<br />
Km), preparandosi ad attaccare, nell’ambito<br />
dell’operazione Desert Storm,<br />
partendo dalla nuova Tactical Assembly<br />
Area Campbell. Proprio gli elicotteri d’attacco<br />
<strong>della</strong> 101 a , nella notte del 17 gen-<br />
di
naio, condussero il primo raid alleato<br />
dell’offensiva, con 2 Sezioni (denominate<br />
White e Red) di 4 AH-64 e 2 MH-53J<br />
Pave Low, che, volando a bassissima<br />
quota, distrussero due radar <strong>della</strong> difesa<br />
aerea irachena in pieno territorio nemico,<br />
aprendo così un varco nella rete<br />
<strong>della</strong> difesa aerea stessa. Questo varco<br />
venne sfruttato poi, sempre nella notte<br />
del 17, dai primi caccia-bombardieri<br />
<strong>della</strong> coalizione, per colpire di sorpresa<br />
gli obiettivi strategici situati a Baghdad,<br />
riuscendo quindi, non essendo avvistati,<br />
a massimizzare gli effetti dei bombardamenti.<br />
All’inizio poi <strong>della</strong> campagna terrestre,<br />
il 24 febbraio (G-Day), tramite<br />
assalto aereo, la 101 a occupò una posizione<br />
151 Km a nord del confine iracheno<br />
FOB Cobra (Forward Operating Base<br />
“Cobra”), scavalcando le unità nemiche<br />
schierate sul confine stesso, e lì costituì<br />
diversi Forward Arming and Refueling<br />
Point (FARP) (alimentati anche con 100<br />
sortite di CH-47) necessari per rifornire<br />
gli elicotteri che dovevano proseguire<br />
l’assalto in profondità. Il giorno successivo<br />
infatti (G+1), la 101 a si spinse altri<br />
100 Km nel cuore del territorio nemico<br />
(60 sortite di CH-47 e 125 di UH-60),<br />
raggiungendo la valle dell’Eufrate, riuscendo<br />
così a tagliare la principale linea<br />
di comunicazione delle forze irachene<br />
schierate in Kuwait (Highway 8, attorno<br />
a As Samawah), a bloccarne l’eventuale<br />
via di ritirata, verso nord, e a minacciare<br />
anche direttamente Baghdad, posta solo<br />
233 Km a Nord-Ovest. Nel G+2, la<br />
Divisione rinforzò le posizioni raggiunte,<br />
e il G+3 lanciò, da una nuova FOB<br />
(VIPER), costituita 150 Km più a Est (55<br />
sortite di CH-47 e 120 di UH-60), i suoi<br />
elicotteri d’attacco (4 battaglioni) contro<br />
le unità nemiche in ripiegamento da<br />
Bassora (EA Thomas), pianificando poi<br />
un nuovo assalto aereo per il G+4.<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Prima che l’assalto fosse eseguito, gli<br />
iracheni però si arresero e la campagna<br />
terrestre fu quindi interrotta.<br />
Le azioni, seppur sommariamente<br />
descritte qui sopra, dimostrarono certamente<br />
la validità dell’impiego di unità<br />
aeromobili, anche in operazioni di guerra<br />
condotte in Teatri Operativi lineari,<br />
contro eserciti regolari dotati di equipaggiamenti<br />
moderni e forze corazzate,<br />
anche se la loro efficacia fu sicuramente<br />
incrementata dal fatto che gli alleati avevano<br />
l’assoluta supremazia aerea nella<br />
zona d’operazione. Le procedure d’im-<br />
AH-64 durante un’operazione notturna in Iraq<br />
(foto US Army).<br />
piego attuate, la versatilità e l’aggressività<br />
tipica delle forze aeromobili, nonché<br />
la spaventosa potenza di fuoco degli elicotteri<br />
d’attacco, riuscirono comunque a<br />
ottenere risultati impressionanti, considerando<br />
le distanze coperte in soli tre<br />
giorni con perdite bassissime (un solo<br />
Blackhawk abbattuto). Analizzando questa<br />
manovra di aggiramento verticale,<br />
assimilabile, per ampiezza e forze<br />
schierate, a quelle condotte nella<br />
Seconda Guerra Mondiale, si può anche<br />
osservare un significativo cambiamento,<br />
33
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
nell’impiego di forze aerotrasportate.<br />
Mentre infatti le grandi operazioni avioportate<br />
<strong>della</strong> Seconda Guerra Mondiale<br />
miravano fondamentalmente ad aggirare<br />
la prima linea avversaria, occupare<br />
una posizione chiave e resistere sul<br />
posto fino al ricongiungimento con le<br />
forze corazzate amiche (Seize and<br />
Hold) – a causa delle già discusse limitazioni<br />
di mobilità e armamento delle<br />
unità leggere una volta atterrate – questa<br />
<strong>della</strong> 101 a , nella I Gulf War, aveva<br />
invece il compito di occupare posizioni<br />
chiave nel cuore del territorio nemico,<br />
ma anche di utilizzare le posizioni conquistate<br />
come basi avanzate per gli elicotteri<br />
che potevano essere rapidamente<br />
lanciati per ingaggiare obiettivi d’opportunità<br />
nelle retrovie avversarie.<br />
Cercando quindi, e non aspettando sta-<br />
34<br />
Soldati americani <strong>della</strong> 101 a in azione sul<br />
Tergur Ghal nel 2002 (foto US Army).<br />
ticamente, il contatto col nemico. Ciò<br />
grazie, essenzialmente, alla disponibilità<br />
di un numero adeguato di aeromobili<br />
sempre più sofisticati per il trasporto<br />
delle truppe e il combattimento. In questo<br />
tipo di operazione, si può peraltro<br />
osservare anche una vera e propria<br />
inversione dei ruoli tra la componente di<br />
fanteria e quella degli elicotteri d’attacco<br />
<strong>della</strong> Divisione. Gli elicotteri d’attacco<br />
<strong>della</strong> 101 a , infatti, non sono stati prevalentemente<br />
impiegati per fornire il supporto<br />
di fuoco alle truppe di terra durante<br />
gli assalti aerei. Sono state invece le<br />
unità di fanteria che hanno occupato e<br />
difeso le FOB da cui gli Apache hanno<br />
condotto, autonomamente, devastanti
aid contro mezzi e infrastrutture nemiche,<br />
sconvolgendone così le retrovie.<br />
Per certi versi un’innovazione tecnicotattica<br />
simile a quella con cui, all’inizio<br />
<strong>della</strong> Seconda Guerra Mondiale, la<br />
Wehrmacht travolse Polonia, Francia e<br />
Unione Sovietica, coprendo ragguardevoli<br />
distanze in uno spazio di tempo<br />
relativamente breve (10), con le sue<br />
unità corazzate, all’interno delle quali,<br />
non erano i carri a supportare la fanteria,<br />
bensì la fanteria a supportare la<br />
manovra dei carri che si spingevano<br />
rapidamente in profondità nelle retrovie<br />
nemiche, scardinandone l’organizzazione<br />
difensiva, improvvisando e adattandosi<br />
alla situazione contingente, per colpire<br />
i fianchi o il tergo degli avversari<br />
schierati in prima linea.<br />
In seguito però, non furono talvolta raggiunti<br />
gli stessi sorprendenti risultati. Come<br />
già accaduto in Vietnam infatti, le forze ostili<br />
impararono la lezione <strong>della</strong> I Gulf War e si<br />
adattarono a contrastare le forze che sfruttavano<br />
la manovra nella terza dimensione.<br />
Due classici esempi, in due diversi ambienti<br />
operativi e due diverse tipologie di operazione,<br />
sono i casi dell’assalto aereo americano<br />
(Task Force Rakassan) del 2 marzo<br />
2002 sul massiccio del Tergur Ghal, nell’ambito<br />
dell’Operazione «Anaconda» in<br />
Afghanistan, e quello contro elementi <strong>della</strong><br />
Divisione irachena «Medina» nei pressi di<br />
Karbala, il 24 marzo 2003, durante la II Gulf<br />
War. Nel primo caso, l’eliassalto prevedeva<br />
il trasporto di 2 Battaglioni, <strong>della</strong> 101 a Div.<br />
(Airborne) e 10 a Div. (Mountain), in 2 sortite<br />
di 7 CH-47, protetti da 5 Apache, con il<br />
compito di attivare diverse Blocking<br />
Position (BP), sulle probabili vie di fuga,<br />
che correvano attraverso il Tergur Ghal,<br />
presumibilmente seguite da elementi ostili<br />
di Al Qaeda, sbandati e in ripiegamento<br />
verso il Pakistan. In realtà, invece, i citati<br />
elementi ostili si rivelarono tutt’altro che<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
sbandati e inchiodarono da posizioni fortificate<br />
dominanti, con razzi, mitragliatrici e<br />
mortai, le forze sbarcate, su posizioni difensive<br />
improvvisate. Riuscirono persino a<br />
danneggiare 4 dei 5 Apache impiegati,<br />
costringendoli a rientrare alla base. Due<br />
delle sette Blocking Position pianificate non<br />
furono conquistate e il Btg. che avrebbe<br />
dovuto occuparle, subì poi diverse perdite,<br />
rischiando di essere accerchiato. Esso<br />
venne quindi esfiltrato dopo il tramonto,<br />
lasciando quindi aperta una via di fuga agli<br />
elementi ostili in ritirata. Attorno a Karbala<br />
invece, 34 Apache dell’11° US Army Avn<br />
Rgt. caddero in un’imboscata contraerea<br />
durante un attacco alla Divisione irachena<br />
<strong>della</strong> Guardia Repubblicana «Medina». Di<br />
questi ben 30 furono pesantemente danneggiati<br />
(alcuni in modo definitivo), e uno<br />
finì abbattuto.<br />
A seguito di questi e altri eventi simili, si<br />
tornò a considerare nuovamente superate<br />
le tattiche e le tecniche d’impiego delle<br />
unità aeromobili, ritenendo troppo costose<br />
per queste ultime in termini di costibenefici<br />
le operazioni Deep e Shaping<br />
(11) che per un decennio si erano imposte<br />
come massimo esempio di efficacia<br />
nell’impiego delle forze aeromobili negli<br />
eserciti contemporanei. A seguito dello<br />
scalpore suscitato dopo il fallito attacco<br />
alla «Medina» nel marzo 2003, si arrivò<br />
addirittura a parlare di obsolescenza<br />
degli elicotteri d’attacco sui campi di battaglia<br />
presenti e futuri (12). In realtà si è<br />
di nuovo trattato di un caso riuscito di<br />
adattamento. I potenziali avversari delle<br />
forze aeromobili, avendo imparato le<br />
lezioni delle battaglie del recente passato,<br />
hanno ben compreso che per limitare<br />
i danni è necessario disperdere le proprie<br />
forze nell’area <strong>della</strong> battaglia, per<br />
evitare di fornire obiettivi facilmente individuabili<br />
e attaccabili, nonché sfruttare<br />
al meglio mascheramento e mimetizza-<br />
35
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
zione per sottrarsi all’osservazione<br />
aerea, nascondendosi in caverne, foreste<br />
o centri abitati. Si possono, inoltre,<br />
impiegare sistemi a bassa tecnologia,<br />
come le reti di osservatori con cellulare<br />
usate in Iraq, in alternativa ai radar –<br />
elettronicamente rilevabili e quindi oscurabili<br />
o eliminabili – per avvisare la contraerea<br />
dei movimenti di formazioni<br />
aeromobili. Si possono identificare, infine,<br />
le possibili LZ o le Attack-By-Fire<br />
Position degli elicotteri d’attacco, in<br />
modo da poter organizzare efficaci<br />
imboscate contraeree improvvisate,<br />
sulle rotte di avvicinamento ad esse,<br />
ovvero a ridosso delle stesse. Per sfruttare<br />
infatti al massimo il raggio d’azione<br />
degli aeromobili e mantenere la concentrazione<br />
degli effetti desiderati, siano<br />
essi di aviosbarco o fuoco, nelle Deep<br />
Operation, le suddette formazioni<br />
seguono spesso itinerari poco flessibili e<br />
formazioni compatte per raggiungere le<br />
posizioni pianificate. Sia le rotte, sia le<br />
posizioni, risultano quindi identificabili in<br />
modo relativamente semplice, grazie<br />
anche allo studio accurato del terreno,<br />
delle possibili posizioni di partenza dei<br />
raid o dei FARP, nonché dell’autonomia<br />
e dell’armamento degli aeromobili<br />
disponibili.<br />
Pur senza rinunciare quindi, concettualmente,<br />
all’impiego di Grandi Unità<br />
aeromobili nella manovra in profondità,<br />
sia in Teatri Operativi lineari, sia nonlineari,<br />
i vari Comandi alleati, riconoscendone<br />
i rischi, ne hanno in effetti ridimensionato<br />
scopi e procedure d’impiego. Per<br />
limitare infatti le possibilità di cadere in<br />
imboscate, hanno sostanzialmente ridotto<br />
la profondità d’intervento, disperso le<br />
forze (impiegando unità più piccole e<br />
flessibili), nonché attuato tecniche di<br />
movimento/fuoco più caute, come il<br />
Running Fire (13) o gli sbalzi alternati<br />
36<br />
per assicurarsi il mutuo supporto in caso<br />
di contatto improvviso. Si può dire dunque<br />
che, in un certo senso, si sia riconosciuta<br />
la necessità di operare in modo<br />
indipendente ma restando relativamente<br />
vicini alle unità in prima linea, per poterne<br />
sfruttare l’appoggio di fuoco o manovra,<br />
in caso di necessità.<br />
CONCLUSIONI<br />
A questo punto, ci potremmo chiedere<br />
quali siano le prospettive presenti e future<br />
<strong>della</strong> manovra nella terza dimensione,<br />
ossia se sia ancora attuale, nel contesto<br />
operativo contemporaneo, l’impiego<br />
di Grandi Unità aeromobili per colpire<br />
rapidamente e in profondità l’ipotetico<br />
avversario, scardinandone l’organizzazione<br />
logistico-operativa alle spalle delle<br />
unità schierate in prima linea.<br />
E se tali prospettive sussistono, quali<br />
sono i possibili sviluppi tecnico-tattici<br />
che possono rendere più efficace la<br />
manovra, riducendo le possibili perdite<br />
in uomini e materiali?<br />
Ebbene, ragioni di spazio non consentono<br />
certamente un adeguato approfondimento<br />
<strong>della</strong> questione, ma ritengo che<br />
alcune utili riflessioni si possano comunque<br />
fare. Le più recenti esperienze nei<br />
vari Teatri d’Operazione sono caratterizzate<br />
da un ambiente operativo – verosimilmente<br />
simile a quello del prossimo<br />
futuro – contraddistinto da uno spazio di<br />
manovra non-lineare, spesso non contiguo,<br />
ove le forze ostili tendono ad evitare<br />
scontri diretti e a sottrarsi alla superiore<br />
potenza di fuoco delle Forze<br />
Armate occidentali. L’avversario tende a<br />
disperdersi sul territorio, ovvero a rifugiarsi<br />
tra montagne, foreste o città e ciò<br />
porta ad affermare che l’impiego attuale<br />
e futuro di unità aeromobili resti quanto
mai auspicabile, in quanto la loro intrinseca<br />
mobilità, flessibilità e versatilità,<br />
consente la concentrazione rapida di<br />
forze e/o fuoco dove necessario. Le<br />
Forze Armate alleate operano infatti<br />
spesso in territori vasti, con reti stradali<br />
inadeguate che impediscono<br />
celeri movimenti su rotabile,<br />
e si confrontano con elementi<br />
ostili estremamente sfuggenti,<br />
che risultano difficilmente<br />
agganciabili in combattimento<br />
da forze motorizzate<br />
o meccanizzate. Esempi<br />
come quello già illustrato<br />
<strong>della</strong> Cavalleria Aerea americana<br />
in Vietnam o delle Fire<br />
Forces Rhodesiane (14),<br />
impegnate per diversi anni in<br />
aspre Counter Insurgency<br />
Operations (COIN), mostrano<br />
(al di là del risultato finale<br />
delle campagne belliche)<br />
appunto i vantaggi di poter<br />
disporre di unità in grado di<br />
spostarsi rapidamente, con<br />
scarso preavviso, scavalcando<br />
i possibili ostacoli naturali,<br />
e agganciare il nemico prima che possa<br />
nuovamente disperdersi dopo aver compiuto<br />
atti ostili. Ritengo sarebbe quindi<br />
certamente auspicabile riprendere proprio<br />
le lezioni apprese delle citate esperienze,<br />
per ottimizzare l’impiego delle<br />
unità aeromobili e limitare (eliminarle è<br />
comunque impossibile) tragiche perdite,<br />
di uomini o vettori, come quelle sopra<br />
citate, subite dagli americani durante<br />
«Anaconda» in Afghanistan o nell’attacco<br />
alla «Medina» in Iraq. In particolare,<br />
l’approccio più efficace sembra essere<br />
quello di integrare le forze aeromobili<br />
con altre risorse, come UAV (Unmanned<br />
Aerial Vehicle), aerei e unità blindate,<br />
per massimizzarne l’efficacia negli<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
attuali scenari operativi. Due esempi<br />
recenti possono essere presi in considerazione<br />
per illustrare le potenzialità di<br />
questa integrazione: la Task Force<br />
Hawk, costituita nel 1999 durante la crisi<br />
del Kosovo e la Task Force ODIN<br />
UH-60 e AH-64 <strong>della</strong> TF Hawk in atterraggio<br />
sull’aeroporto di Rinas nel 1999 (foto US<br />
Army).<br />
(Observe Detect Intercept Neutralize),<br />
impiegata nella campagna COIN in Iraq.<br />
Nel primo caso, si tratta dell’integrazione<br />
di elicotteri d’attacco (24 Apache dell’11°<br />
US Army Avn. Rgt.), Multiple Launch<br />
Rocket System (MLRS) (27 M-270),<br />
Ground Sourveillance Radar (1 Q36, 1<br />
Q37) e UAV (4 Hunter <strong>della</strong> Task Force<br />
Hunter schierata in Fyrom), protetti da un<br />
Battaglione meccanizzato e uno paracadutisti,<br />
in una stessa unità spiegata sull’aeroporto<br />
di Rinas dall’<strong>Esercito</strong> americano, con<br />
37
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
il compito di effettuare Deep Operation in<br />
Kosovo contro l’<strong>Esercito</strong> yugoslavo, in supporto<br />
a un’eventuale invasione terrestre<br />
<strong>della</strong> NATO (North Atlantic Treaty<br />
Organization). Il concetto d’azione prevedeva<br />
l’impiego dei radar e degli UAV per<br />
identificare le posizioni delle truppe di terra<br />
di Milosevic trincerate in Kosovo e colpirle<br />
con gli MLRS o gli Apache. L’invasione di<br />
terra non fu poi necessaria e gli obiettivi<br />
identificati dalla Task Force Hawk furono in<br />
realtà ingaggiati dagli aerei alleati e non<br />
dalle proprie forze d’attacco. Ciò non invalida<br />
comunque l’efficacia dell’ipotesi di<br />
impiego e l’utilità dello spiegamento <strong>della</strong><br />
Task Force Hawk, che contribuì a rendere<br />
comunque credibile la minaccia di invasione<br />
terrestre <strong>della</strong> NATO. Cosa che certamente<br />
rappresentò uno dei principali motivi<br />
che spinsero Milosevic ad arrendersi (15).<br />
Nel secondo invece, la Task Force ODIN, è<br />
stata formata a Fort Hood nell’ottobre 2006<br />
e schierata in Iraq dal novembre dello stesso<br />
anno per contrastare la minaccia IED<br />
(Improvised Explosive Device). L’unità<br />
includeva elicotteri d’attacco, veicoli blindati<br />
Stryker e UAV Warrior-A, equipaggiati con<br />
sensori elettro-ottici, radar ad apertura sintetica<br />
e designatori laser. Questa Task<br />
Force, come suggerisce l’acronimo stesso,<br />
aveva il compito di contrastare la minaccia<br />
terroristica e specificatamente quella degli<br />
IED nel Teatro Operativo iracheno, impiegando<br />
gli UAV per trovare, identificare gli<br />
elementi ostili, ovvero monitorarne i movimenti<br />
fino alle loro basi di approvvigionamento,<br />
allo scopo poi di neutralizzarle, a<br />
seconda <strong>della</strong> situazione tattica, con gli elicotteri<br />
d’attacco o l’intervento di unità blindate<br />
di reazione immediata. Grazie alla<br />
sinergia tra le diverse componenti e l’unicità<br />
di comando nella caccia agli IED, questa<br />
nuova unità ha ampiamente dimostrato la<br />
sua validità (16) e costituisce certamente<br />
un esempio innovativo di integrazione<br />
38<br />
aeroterrestre MUM (Manned-Unmanned-<br />
Manned) e di impiego efficace di forze<br />
aeromobili sui campi di battaglia contemporanei.<br />
In conclusione, come le ultime osservazioni<br />
sopra delineate sembrano dunque<br />
suggerire, non si può certo ritenere esaurita<br />
la necessità <strong>della</strong> manovra nella terza<br />
dimensione, sia sui campi di battaglia lineari<br />
ove si confrontano forze convenzionali, sia<br />
su quelli non-lineari, in cui si deve contrastare<br />
la minaccia di forze irregolari che operano<br />
con tattiche di guerriglia. Si tratta piuttosto,<br />
come già accaduto precedentemente<br />
nell’evoluzione <strong>della</strong> manovra in qualsiasi<br />
dimensione, di studiare attentamente i<br />
necessari miglioramenti di macchine, equipaggiamenti<br />
e procedure d’impiego, per<br />
adattare le unità aeromobili contemporanee<br />
alle esigenze del combattimento nell’attuale<br />
e futuro ambiente operativo. Questa è dunque<br />
la sfida. I Comandanti di oggi e di<br />
domani dovranno accoglierla e vincerla,<br />
oppure rassegnarsi alle inevitabili, tragiche<br />
conseguenze.<br />
NOTE<br />
(1) Il Tenente Alessandro Tandura, del Servizio<br />
Informazioni VIII Armata, si lanciò il 9 agosto da<br />
un velivolo Savoia Pompilio 2 con un paracadute<br />
inglese (mod. «Calthrop»). Cfr. Into the<br />
Valley, Col. C. H. Young.<br />
(2) La proposta prevedeva il trasporto dei reparti<br />
di fanteria in gruppi di 10-15 soldati per aereo,<br />
da paracadutare su punti naturalmente forti<br />
dove si sarebbero schierati in difesa, supportati<br />
giorno e notte dall’aviazione che avrebbe dovuto<br />
rifornirli tramite aviolanci e fornire supporto di<br />
fuoco quando necessario. Cfr. Into the Valley,<br />
Col. C. H. Young.<br />
(3) Nel novembre 1927, proprio l’Italia organizzò,<br />
a Cinisello Balsamo, il primo lancio collettivo<br />
di truppe con paracadute vincolati (mod.
Salvator) da aerei CA-73.<br />
(4) Si consideri, a titolo esemplificativo, che la<br />
Divisione tedesca aerotrasportata perse, per la<br />
cattura di Creta, nel 1941, 5 140 paracadutisti<br />
(di cui 4 000 morti) e 170 dei 600 Ju-52 da trasporto<br />
impiegati. Nel 1944, le truppe aerotrasportate<br />
anglo-americane soffrirono il 50% circa<br />
di perdite, sia in Normandia (Operazione<br />
Overlord), sia in Olanda (Operazione Market<br />
Garden). Il IV Corpo Aerotrasportato sovietico,<br />
perse circa 10 000 dei 14 000 uomini lanciati<br />
nei pressi di Vyaz’ma durante la difesa di<br />
Mosca nel 1942, mentre i 10 000 impiegati nel<br />
contrattacco seguito alla battaglia di Kursk<br />
(1943) furono quasi completamente annientati<br />
(2 delle 3 Brigate avioportate vennero distrutte<br />
in volo o subito dopo l’atterraggio).<br />
(5) In realtà, tutte e tre le Brigate <strong>della</strong> Divisione<br />
si sono alternate, nel mese di novembre 1965,<br />
in battaglia, nell’area. Normalmente però ci si<br />
riferisce alla battaglia dello Ia Drang considerando<br />
i combattimenti del 1°/7° Rgt. Cav. attorno<br />
alla LZ X-RAY e del 2°/ 7° Rgt. Cav. nei pressi<br />
<strong>della</strong> LZ ALBANY.<br />
(6) Lieutenant General H. Hay Jr., Vietnam<br />
Studies: Tactical and Material Innovations,<br />
Department of the Army, Washington D.C,<br />
1989, p. 17.<br />
(7) Lieutenant General H. Hay Jr., Vietnam<br />
Studies: Tactical and Material Innovations,<br />
Department of the Army, Washington D.C,<br />
1989, pp. 18-19.<br />
(8) Ivi, pp. 20-22.<br />
(9) Si prenda ad esempio l’operazione Junction<br />
City del febbraio 1967, in cui ben 9 battaglioni<br />
vennero aerotrasportati e uno, di circa 800<br />
uomini, paracadutato nella zona obiettivi per<br />
costituire, con il loro schieramento, l’incudine<br />
contro cui il martello <strong>della</strong> 1 a e 25 a Divisione fanteria,<br />
avrebbero schiacciato i Viet-Cong presenti<br />
nella zona di combattimento Charlie a Nord-<br />
Ovest di Saigon. Cfr. Lieutenant General<br />
Bernard W. Rogers, Vietnam Studies: Cedar<br />
Falls-Junction City: a turning point, Department<br />
of the Army, Washington D.C, 1989.<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
(10) Da qui il nome suggestivo di Blitzkrieg.<br />
(11) Definite nel Field Manual (FM) 101-5-1<br />
come operazioni contro unità o strutture nemiche<br />
non a contatto <strong>della</strong> Forward Line of Own<br />
Troops (FLOT), <strong>della</strong> Departure Line (DL) o del<br />
perimetro di unità amiche, condotte allo scopo<br />
di scardinare o distruggere le forze avversarie<br />
che supportano quelle in prima schiera o che<br />
potrebbero essere successivamente schierate<br />
in prima schiera.<br />
(12) Maj. Robert M. Cassidy, Renaissance of<br />
the attack helicopter in the close fight, Military<br />
Review, July-August 2003, p.39.<br />
(13) Tecnica di tiro in movimento degli elicotteri,<br />
per evitare di offrire un bersaglio statico alla<br />
contraerea, come accade nel tiro da Hovering<br />
(volo stazionario).<br />
(14) Unità basate sul Selous Regiment formato<br />
nel 1974 come forza specializzata COIN durante<br />
la Guerra di Indipendenza Rhodesia-<br />
Zimbabwe (1966-1980) e disciolto nel marzo<br />
1980. Operavano integrando elicotteri (Alouette<br />
III) e aerei leggeri (O-2 Skymaster) per la ricerca<br />
e l’inseguimento degli ribelli; con cacciabombardieri<br />
leggeri Canberra o Macchi SF-260<br />
per il supporto di fuoco; e unità paracadutiste di<br />
reazione rapida aviolanciate dai C-47 Dakota<br />
(in alcuni casi tre volte al giorno), come forze<br />
aeromobili di manovra. Dimostratesi estremamente<br />
efficaci, sono ritenute responsabili del<br />
68% delle perdite inflitte ai ribelli, con solo 40<br />
uomini persi in azione. Per approfondimenti, cfr.<br />
www.selousscouts.tripod.com.<br />
(15) Wesley K. Clark, Waging Modern War,<br />
Public Affairs, New York, 2001, p. 425.<br />
(16) Il Gen. Simmons, Comandante <strong>della</strong> Task<br />
Force ODIN, ha dichiarato che la sua unità, tra<br />
novembre 2006 e agosto 2007, è stata impegnata<br />
in 148 azioni di combattimento risultate in<br />
233 terroristi uccisi, 48 feriti e 260 catturati.<br />
□<br />
39
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
L’AVVENTO DELL’ARMA<br />
NUCLEARE COME STRUMENTO<br />
DI PRESSIONE INTERNAZIONALE<br />
Il 16 luglio 1945 ad Alamogordo (città<br />
del Nuovo Messico - USA) avvenne il<br />
primo test di un’arma nucleare, con il<br />
nome di Trinity, mentre il neo presidente<br />
americano Harry S. Truman (che subentrò<br />
a F. D. Roosevelt scomparso improvvisamente<br />
il 12 aprile 1945 e che già dal<br />
40<br />
del Tenente Mario MASTANTUONI<br />
in servizio presso il Reggimento «Genova Cavalleria» (4°)<br />
Prima esplosione nucleare in Nuovo Messico.<br />
1942 tanto aveva sostenuto quel progetto<br />
nucleare di cui non vide mai la realizzazione)<br />
si trovava in Germania come<br />
protagonista, assieme a Churchill e
Stalin, alla Conferenza di Potsdam (17<br />
luglio 1945) per decidere sul futuro <strong>della</strong><br />
Germania nazista e sull’eventualità di<br />
una discesa in campo <strong>della</strong> Russia contro<br />
il Giappone.<br />
Il 24 luglio 1945, a seguito di notizie più<br />
complete sull’esperimento, Truman «dopo<br />
un incontro conviviale con Stalin e<br />
Molotov, disse loro con aria grave che gli<br />
americani possedevano un’arma nuova, di<br />
tipo completamente diverso e straordinaria»<br />
(Di Nolfo «Storia delle relazioni internazionali<br />
1918-1992» - pag. 569). Era<br />
nata l’era nucleare e si erano gettate le<br />
basi per un nuovo sistema di relazioni<br />
internazionali. Questa supremazia tecnologica<br />
pose l’America subito al di sopra<br />
del delicato equilibrio di potere che si era<br />
venuto a creare durante la Conferenza di<br />
Teheran (28 novembre – 1° dicembre<br />
1943) tra USA, URSS e Gran Bretagna,<br />
oltre a contribuire rapidamente alla risoluzione<br />
del conflitto in Asia con lo sgancio<br />
dell’atomica su Hiroshima (6 agosto<br />
1945) e Nagasaki (9 agosto 1945) che<br />
Winston Churchill.<br />
Josif Stalin.<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
portò alla capitolazione definitiva del<br />
Giappone.<br />
I russi dal canto loro non erano sorpresi<br />
dell’avvento <strong>della</strong> nuova arma in quanto<br />
i servizi segreti sovietici, ben infiltrati<br />
nei laboratori americani, avevano già<br />
esportato molta di questa tecnologia in<br />
patria. Era solo una questione di tempo.<br />
Successivamente a questi eventi tutti i<br />
principali personaggi politici, così come<br />
molti studiosi, si resero subito conto <strong>della</strong><br />
portata politico-internazionale, non solo<br />
per la contingenza <strong>della</strong> guerra che stava<br />
per finire, ma anche e soprattutto per i<br />
futuri equilibri di potere. Stava nascendo la<br />
diplomazia nucleare. Come riporta sem-<br />
41
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
Franklin D. Roosevelt.<br />
pre Di Nolfo nel suo manuale, la misura di<br />
tale evento già si percepiva confrontando<br />
l’andamento <strong>della</strong> Conferenza di Yalta<br />
(Crimea, febbraio 1945), dove Roosevelt<br />
era molto disponibile al compromesso con<br />
la controparte sovietica e la già citata<br />
Conferenza di Potsdam dove si assistette<br />
ad un Truman sempre più intransigente<br />
mano mano che veniva a sapere degli<br />
esiti positivi dell’esperimento.<br />
Terminata la Seconda guerra mondiale,<br />
che aveva portato con se morte e distruzione,<br />
il mondo pensava che mai si<br />
sarebbe potuto riproporre una tale atrocità<br />
e le nuove élite lavoravano incessantemente<br />
alla costruzione di un nuovo ordine<br />
mondiale fondato sulla pace, la stabilità,<br />
la prosperità economica e la sicurezza,<br />
magari sotto un’istituzione universale<br />
garante di questo ordine. Ma così non fu.<br />
Si assistette subito ad una serie di conflitti<br />
minori che esplosero dopo il 1945 e che<br />
ingeneravano uno stato di insicurezza a<br />
cui porre rimedio, anche con il potenziale<br />
utilizzo del terrore come dissuasione<br />
42<br />
(equilibrio del terrore).<br />
Gli stessi centri di potenza internazionale<br />
si spostarono gradualmente dall’Europa<br />
verso gli Stati Uniti e l’Unione<br />
Sovietica; i due giganti che durante il<br />
conflitto si erano resi protagonisti assoluti<br />
sulla scena mondiale. Ma come abbiamo<br />
detto il possesso dell’ordigno atomico<br />
da parte degli americani era solo un risultato<br />
contingente, perché gli stessi russi<br />
ben presto giunsero alla costruzione di<br />
un ordigno tutto loro. Si poneva ora il problema<br />
di come porre sotto controllo la<br />
proliferazione di un’arma così potente. A<br />
tal fine gli americani avrebbero potuto utilizzare<br />
un certo numero di ordigni come<br />
pressione sui russi al fine di far loro<br />
accettare eventuali linee politiche internazionali,<br />
ingenerando così un vortice<br />
sconsiderato che da lì a poco avrebbe<br />
potuto portare ad una eccessiva risposta<br />
sovietica che sarebbe inevitabilmente<br />
finita in un disastro globale.<br />
Si cominciò allora a pensare all’eventualità<br />
di giungere ad un accordo tra le<br />
Harry S. Truman.
parti affinché il nucleare godesse di un<br />
minimo di regolamentazione e fosse<br />
soprattutto sfruttato sotto il profilo civile e<br />
non militare.<br />
In tal senso iniziarono dei negoziati. Si assistette<br />
così ad una serie di contatti su come<br />
definire la problematica, se dovesse essere<br />
risolta dalla nascente Organizzazione delle<br />
Il fungo atomico su Nagasaki raggiunse i 18<br />
km di altezza.<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Nazioni Unite, come proponevano gli americani<br />
o invece prevedere degli accordi interstatali<br />
come auspicavano i sovietici. Al<br />
momento la soluzione sembrò impossibile e<br />
si perse così l’occasione per evitare la corsa<br />
al riarmo.<br />
Nel frattempo gli statunitensi, tramite il<br />
Piano Marshall (per la ricostruzione post<br />
bellica), tendevano a portare in Europa<br />
una nuova organizzazione delle istituzioni<br />
governative, unitamente ad un nuovo<br />
corso <strong>della</strong> politica economica in senso<br />
capitalistico. A ciò i sovietici<br />
risposero, sentendosi<br />
minacciati da questo<br />
capitalismo dilagante,<br />
mettendo in atto una<br />
serie di iniziative di coinvolgimento<br />
dei partiti<br />
comunisti europei, dando<br />
vita ad una nuova internazionale<br />
comunista<br />
chiamata Cominform.<br />
Dunque, nel 1948 la<br />
divisione dell’Europa era<br />
compiuta e le zone di<br />
influenza ben definite: «la<br />
cortina di ferro» era stata<br />
innalzata. Le due Europe<br />
erano divise da distinti e<br />
separati sistemi di governo<br />
ed economici.<br />
Intanto, il 29 agosto del<br />
1949, con l’Operazione<br />
Prima Luce (Kazakistan)<br />
l’URSS fece cadere il<br />
monopolio nucleare americano<br />
facendo esplodere<br />
il suo primo ordigno atomico.<br />
Gli USA subito risposero<br />
a tale atto mettendo<br />
allo studio la costruzione<br />
di una nuova tipologia di<br />
ordigni: la bomba «H»<br />
(primo esperimento nel<br />
43
STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />
febbraio 1954). I sovietici a loro volta riuscirono<br />
subito a costruirne una tutta loro, sperimentandola<br />
nel novembre 1955.<br />
Ma questo intensificarsi di esperimenti<br />
nucleari iniziava a porre seri problemi<br />
di fall out radioattivo con seri rischi per<br />
la salute umana anche e soprattutto alla<br />
luce delle malattie che gli abitanti di<br />
Hiroshima e Nagasaki iniziavano a<br />
riportare.<br />
Infatti, proprio il diffondersi delle proteste<br />
dell’opinione pubblica occidentale<br />
contro questi effetti nocivi, che sfuggivano<br />
al controllo dei militari, portò nuovamente<br />
alla ribalta la problematica del diffondersi<br />
dei test nucleari e si auspicava<br />
se non uno stop quantomeno un contenimento<br />
degli stessi.<br />
Nel 1957, il delegato USA presso<br />
l’ONU presentò una proposta di trattato<br />
44<br />
Fig. 1<br />
con inserita all’interno una serie di misure<br />
atte ad ispezionare le parti in causa a<br />
seguito di un’eventuale stipula dello stesso.<br />
Ma secca fu la risposta dell’Unione<br />
Sovietica, la quale era sì d’accordo al<br />
contenimento <strong>della</strong> proliferazione, ma<br />
non ai controlli. Successivamente però si<br />
rese anche disponibile ad iniziare a trattare<br />
sulle eventuali modalità ispettive e di<br />
controllo, tanto che l’anno successivo si<br />
ebbe a Ginevra una Conferenza ad hoc.<br />
In concomitanza con questa apertura si<br />
assistette per la prima volta ad una pausa<br />
di due anni (1959-60 come mostrato in<br />
figura 1) degli esperimenti nucleari. Un<br />
primo significativo passo era stato fatto.<br />
In tal senso, nell’agosto del 1963, dopo<br />
una breve discussione, le tre maggiori<br />
potenze nucleari (USA, URSS e Gran<br />
Bretagna) stipularono a Mosca il Partial
Test Ban Treaty (PTBT) per la messa al<br />
bando parziale degli esperimenti nucleari,<br />
i quali dovevano essere condotti<br />
sostanzialmente sottoterra, al fine di contenere<br />
al massimo la nocività. Di fatto<br />
però limitava anche gli stessi esperimenti<br />
in quanto più difficili da riprodurre nel<br />
sottosuolo. Era un ulteriore passo verso<br />
una serie di accordi successivi che<br />
avrebbero contribuito al contenimento ed<br />
al controllo dell’arma nucleare.<br />
Infatti, da lì a pochi anni si tenne una<br />
nuova Conferenza questa volta incentrata<br />
sulla limitazione <strong>della</strong> proliferazione degli<br />
strumenti atomici con la sottoscrizione da<br />
parte di diverse potenze nucleari e non del<br />
«Trattato di non Proliferazione Nucleare»<br />
(TNP), firmato a Londra, Mosca e<br />
Washington il 1° luglio 1968, entrato in<br />
vigore nel marzo del 1970 ed attualmente<br />
valido.<br />
Stipulato nel bel mezzo <strong>della</strong> guerra<br />
fredda, si basa su tre principi fondamentali:<br />
il disarmo, la non proliferazione e<br />
l’uso pacifico del nucleare. Composto da<br />
11 articoli, proibisce agli Stati firmatari<br />
«non-nucleari» di procurarsi tali armamenti<br />
e agli Stati «nucleari» di fornire<br />
loro le tecnologie nucleari belliche.<br />
Inoltre il trasferimento di tecnologie<br />
nucleari per scopi pacifici (ad esempio<br />
per la produzione elettrica) deve avvenire<br />
sotto il controllo dell’Agenzia<br />
Internazionale per l’Energia Atomica<br />
(AIEA).<br />
Di fatto il Trattato limitava il possesso<br />
dell’arma nucleare a quelle potenze che<br />
avessero condotto test atomici prima del<br />
gennaio 1967 ovvero Stati Uniti, Unione<br />
Sovietica, Gran Bretagna, Francia e<br />
Cina. Allo scopo di monitorare l’attuazione<br />
del Trattato sono previste delle riunioni<br />
quinquennali e dopo quasi quarant’anni<br />
dall’entrata in vigore si è dimostrato<br />
uno strumento efficace nel controllo <strong>della</strong><br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
proliferazione.<br />
Ma perché parlare ancora di «cortina di<br />
ferro» ed arma nucleare al giorno d’oggi?<br />
Perché parafrasando S.P. Huntington (Lo<br />
scontro delle civiltà) chi possiede l’ordigno<br />
atomico, leggasi anche armi di<br />
distruzione di massa, è ancora il protagonista<br />
(oggi come allora) <strong>della</strong> scena politica<br />
internazionale. Lo strumento militare<br />
è e continua ad essere la continuazione<br />
<strong>della</strong> politica con altri mezzi, e la politica<br />
nulla è se non la riorganizzazione e la<br />
condotta dei sistemi sociali ed istituzionali,<br />
siano essi nazionali che internazionali.<br />
Questo a dimostrazione del fatto che non<br />
si può attuare una politica estera convincente<br />
ed efficace senza un valido strumento<br />
militare che sorregga e/o imponga<br />
le condizioni; e lo stesso non ha valenza<br />
autoritativa e credibilità senza una tecnologia<br />
ed un armamento che lo supporti<br />
(non necessariamente atomico). Dunque<br />
oggi più che mai visto il clima di limitatezza<br />
di risorse, non si deve perdere di vista<br />
la propria peculiarità nel non investire in<br />
ricerca e tecnologia, l’unica che come in<br />
altri settori dell’economia possa fare la<br />
differenza.<br />
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
Samuel P. Huntington «Lo scontro delle civiltà»,<br />
Garzanti Editore 1997.<br />
Ennio Di Nolfo «Storia delle relazioni internazionali<br />
1918-1992», Edizioni Laterza 1994.<br />
Trattato di non proliferazione nucleare (traduzione<br />
italiana).<br />
Sandro Raffaelli: «Lo stato di attuazione del<br />
TNP. Problematiche e prospettive».<br />
Sito Internet dell’Istituto Affari Internazionali<br />
www.iai.it.<br />
Wikipedia.it.<br />
□<br />
45
ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />
I PROGETTI DI FORMAZIONE<br />
PROFESSIONALE IN AMBITO<br />
DIFESA SVILUPPATI IN CALABRIA<br />
EUROFORMAZIONE E SBOCCHI OCCUPAZIONALI<br />
Durante il periodo trascorso come<br />
«Capo Sezione Collocamento ed<br />
Euroformazione», presso il Comando<br />
Militare <strong>Esercito</strong> «Calabria», ho avuto modo<br />
di approfondire le mie conoscenze riguardo<br />
alle specifiche attività di responsabilità nel<br />
predetto incarico e di maturare una vasta<br />
46<br />
del Tenente Colonnello Andrea GALIANO<br />
in servizio presso il Comando Militare <strong>Esercito</strong> «Calabria»<br />
Consegna degli attestati di Euroformazione.<br />
esperienza delle dinamiche socio-relazionali<br />
con gli Enti regionali e locali, al fine di<br />
dare piena attuazione ai progetti di formazione<br />
professionale, prescritti dalle direttive
ministeriali in vigore, in favore dei militari<br />
volontari in servizio presso gli EDR delle<br />
sedi stanziali <strong>della</strong> Calabria. Con l’auspicio<br />
che siffatto bagaglio tecnico-culturale e professionale<br />
possa essere preso a riferimento<br />
da tutti i colleghi che si occupano di formazione<br />
e di orientamento in ambito<br />
Difesa, e dagli altri addetti ai lavori, illustro il<br />
mio articolo avente lo scopo di accrescere<br />
la preparazione del personale dell’<strong>Esercito</strong><br />
e di far conoscere, anche alla pubblica opinione,<br />
i diversificati argomenti di quotidiana<br />
applicazione nei contesti <strong>della</strong> difesa e <strong>della</strong><br />
sicurezza. Ciò premesso, evidenzio innanzitutto<br />
le responsabilità nell’incarico in qualità<br />
di Capo <strong>della</strong> Sezione Collocamento ed<br />
Euroformazione, organicamente inquadrata<br />
nell’Ufficio Reclutamento e Comunicazione<br />
dei Comandi Militari dell’<strong>Esercito</strong>, attagliando<br />
le attività al proprio operare in ambito<br />
Calabria e alle esperienze acquisite nella<br />
vita di tutti i giorni ed illustrando, conseguentemente,<br />
gli sviluppi e lo svolgimento dei<br />
Corsi di formazione professionalizzante relativi<br />
al «Progetto Euroformazione Difesa» e al<br />
«Progetto Sbocchi Occupazionali».<br />
IL CAPO SEZIONE COLLOCAMENTO<br />
ED EUROFORMAZIONE<br />
È il responsabile degli atti e delle attività <strong>della</strong><br />
Sezione Collocamento ed Euroformazione,<br />
gerarchicamente dipendente dalla propria<br />
linea di comando e avvalendosi di «nulla osta»<br />
funzionali emanati dall’Ufficio Generale per il<br />
Sostegno alla Ricollocazione Professionale<br />
dei Volontari Congedati (PREVIMIL) di Roma.<br />
I compiti pertinenti alla Sezione sono:<br />
• porre in essere ogni iniziativa finalizzata alla<br />
ratifica del Protocollo d’Intesa e delle relative<br />
Convenzioni Operative, stipulati con la<br />
Regione amministrativa/Province <strong>della</strong><br />
Calabria. Tale attività rientra nelle funzioni di<br />
rappresentanza dell’Amministrazione <strong>della</strong><br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Difesa a livello territoriale e viene attuata a<br />
seguito delle disposizioni tecniche emanate<br />
da PREVIMIL;<br />
• nei succitati atti di indirizzo regionale/provinciale,<br />
per quanto riferito al monitoraggio<br />
e al controllo del «Progetto Sbocchi<br />
Occupazionali», è posto in essere il ruolo<br />
del «Comitato di Coordinamento», del<br />
quale il Capo Sezione è «membro» ai<br />
sensi di quanto prescritto al para. 5 lett. a<br />
<strong>della</strong> Direttiva Organizzativa del <strong>Ministero</strong><br />
<strong>della</strong> Difesa – PREVIMIL n. 89628 del<br />
24/04/2008, per il servizio di «informazione,<br />
orientamento e formazione professionale»,<br />
e che, in particolare, ha il compito di<br />
coordinare l’attuazione <strong>della</strong> Convenzione<br />
al fine di definire il programma di avvio<br />
delle attività formative, di verificare e valutare<br />
periodicamente lo stato di avanzamento<br />
delle attività ed il rispetto dei tempi,<br />
di inviare a PREVIMIL la documentazione<br />
attinente alle suddette attività;<br />
• interfacciarsi a livello territoriale, e<br />
secondo gli indirizzi di PREVIMIL, con<br />
tutti gli «attori» del «Progetto Sbocchi<br />
Occupazionali» (Regione/Province,<br />
Associazioni imprenditoriali, Aziende<br />
private, Enti di formazione, Centri di<br />
Euroformazione, Enti locali);<br />
• interfacciarsi a livello territoriale, e<br />
secondo gli indirizzi di Stato Maggiore<br />
dell’<strong>Esercito</strong> - Dipartimento Impiego del<br />
Personale dell’<strong>Esercito</strong> (Dipe)-Euroformazione,<br />
con tutti gli «attori» del «Progetto<br />
Euroformazione Difesa» (Regione<br />
amministrativa, Enti di formazione, Centri<br />
di Euroformazione), per il quale il<br />
Capo Sezione è «membro» del «Comitato<br />
di Coordinamento» presso la<br />
Regione Calabria, ai sensi di quanto<br />
prescritto al para. 4 lett. g <strong>della</strong> Direttiva<br />
dello Stato Maggiore dell’<strong>Esercito</strong> n.<br />
95/166/8.5/1 del 15/04/2005, per lo sviluppo<br />
delle attività di Euroformazione;<br />
• curare il mantenimento dei contatti con il<br />
47
ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />
Frontespizio del Protocollo d'Intesa con la<br />
Regione Calabria.<br />
personale interessato alle varie procedure<br />
informative;<br />
• curare la compilazione dei periodici da inoltrare<br />
a PREVIMIL e allo SME, relazionando<br />
in merito alle attività svolte in attuazione<br />
del «Progetto Sbocchi Occupazionali» e<br />
del «Progetto Euroformazione Difesa»;<br />
• contribuire all’attività di promozione del<br />
«Progetto Sbocchi Occupazionali» e del<br />
«Progetto Euroformazione Difesa» presso<br />
gli EDR delle sedi stanziali <strong>della</strong> Calabria;<br />
• avvalendosi del Sottufficiale Addetto alla<br />
Sezione qualificato «Operatore SILD»,<br />
curare l’inserimento nella banca dati ministeriale<br />
del Sistema Informativo Lavoro<br />
Difesa (SILD), decentrata a livello regionale<br />
da effettuarsi, per il personale militare volontario<br />
in servizio, a cura del Comando<br />
Militare <strong>Esercito</strong> (CME) territorialmente<br />
48<br />
competente rispetto all’ubicazione dell’Ente<br />
di servizio mentre, per il personale in congedo,<br />
dal CME territorialmente competente<br />
rispetto alla residenza anagrafica;<br />
• avvalendosi dell’Ufficiale qualificato<br />
«Perito Orientatore Professionale <strong>della</strong><br />
Difesa» (qualora l’Orientatore non ricopra<br />
anche l’incarico di Capo Sezione), curare<br />
l’effettuazione del colloquio individuale di<br />
orientamento e la compilazione del quaderno<br />
di orientamento professionale, con<br />
il fine di orientare i militari volontari, congedandi/congedati<br />
«senza demerito» e<br />
iscritti al SILD, verso le scelte occupazionali<br />
che siano adatte alle loro peculiari<br />
attitudini ed abilità e che, messe in relazione<br />
con le esigenze del «mercato del<br />
lavoro», siano idonee a garantirgli la<br />
massima possibilità di collocazione;<br />
• provvedere, al termine dell’orientamento,<br />
avvalendosi dell’operatore SILD, a far caricare<br />
i dati relativi alle aspettative occupazionali<br />
individuali nella banca dati del<br />
SILD, integrando le informazioni che sono<br />
emerse durante il colloquio stesso e non<br />
inserite dall’operatore al momento dell’iscrizione<br />
del militare volontario nella<br />
banca dati;<br />
• instaurare proficui rapporti con organismi,<br />
pubblici e privati, che operano nel settore<br />
<strong>della</strong> formazione e dell’occupazione nell’ambito<br />
regionale al fine di acquisire conoscenze<br />
concrete e reali sulle varie opportunità<br />
formative o lavorative esistenti sul<br />
relativo territorio e allo scopo di creare quei<br />
contatti che possano condurre ad un inserimento<br />
agevolato al lavoro dei militari<br />
volontari congedati «senza demerito»;<br />
• effettuare l’attività, decentrata da PREVI-<br />
MIL, di monitoraggio e controllo sulla<br />
riserva dei posti nei concorsi pubblici (ex<br />
art. 18 comma 6 D.Lgs. 215/01 e artt. 678<br />
e 1014 D.Lgs. 66/2010), banditi dagli Enti<br />
pubblici insistenti sul territorio <strong>della</strong><br />
Calabria, e cioè 1 Regione, 5 Province,
Frontespizio <strong>della</strong> Convenzione Operativa<br />
Eurodifesa.<br />
409 Comuni, 22 Centri per l’Impiego,<br />
Camere di Commercio, Aziende Sanitarie<br />
e Università, in applicazione alla Circolare<br />
di PREVIMIL n. 237936 del 16/12/2010.<br />
IL PROGETTO EUROFORMAZIONE<br />
DIFESA<br />
Il Progetto «Euroformazione Difesa» è un<br />
progetto che, a carattere nazionale, ha coinvolto<br />
il <strong>Ministero</strong> <strong>della</strong> Difesa, il <strong>Ministero</strong> del<br />
Lavoro e delle Politiche Sociali, le Regioni<br />
amministrative, le Province Autonome ed<br />
altre Amministrazioni Centrali dello Stato.<br />
L’obiettivo principale è quello di mettere a<br />
disposizione dei giovani militari Volontari<br />
alle armi validi strumenti di elevazione culturale<br />
e sociale, tesi a fornire una formazione<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
professionalizzante utile per l’assolvimento<br />
dei compiti istituzionali durante il servizio e<br />
per favorire l’inserimento degli interessati<br />
nel mondo del lavoro al termine del periodo<br />
di impiego. In Calabria, sin dal 2007, sono<br />
stati avviati contatti istruttori con l’omologa<br />
Regione amministrativa, in particolare con il<br />
Dipartimento n. 10 – Lavoro, Politiche <strong>della</strong><br />
Famiglia, Formazione Professionale,<br />
Cooperazione e Volontariato. A seguito <strong>della</strong><br />
stipulazione del «Protocollo d’Intesa» e <strong>della</strong><br />
conseguente ratifica <strong>della</strong> «Convenzione<br />
Operativa», la Regione Calabria ha finanziato<br />
complessivamente ad oggi, con la somma<br />
di € 521 000,00 e senza oneri di spesa a<br />
carico dell’Amministrazione Difesa, il<br />
Progetto Euroformazione Difesa, messo a<br />
punto dal Comando Militare <strong>Esercito</strong><br />
«Calabria», conformemente ai programmi<br />
prescritti dalle direttive ministeriali in vigore.<br />
Il Progetto, realizzato con i finanziamenti del<br />
Fondo Sociale Europeo (F.S.E.), per il comparto<br />
settennio POR 2000 – 2006 e POR<br />
2007 – <strong>2013</strong>, ha permesso lo svolgimento,<br />
nel corso del periodo intercorso tra il 2008 e<br />
il 2011, di 28 corsi di formazione professionalizzante<br />
(16 d’informatica, 8 di lingua<br />
inglese e 4 di imprenditoria giovanile) le cui<br />
lezioni didattiche sono state impartite presso<br />
i due Centri di Euroformazione Difesa,<br />
ubicati presso il 1° Rgt. Bersaglieri di<br />
Cosenza e il 2° Rgt. AVES «Sirio» di<br />
Lamezia Terme (CZ). Destinatari dei corsi di<br />
formazione sono stati, nello specifico, i militari<br />
Volontari in ferma breve, in ferma prefissata<br />
annuale e quadriennale (VFB, VFP1 e<br />
VFP4, ovvero militari Volontari non in servizio<br />
permanente) in forza presso tutti gli Enti,<br />
i Distaccamenti e i Reparti delle sedi stanziali<br />
<strong>della</strong> Calabria. L’avviso pubblico per la<br />
presentazione dei progetti di formazione<br />
professionale è stato pubblicato sul<br />
Bollettino Ufficiale <strong>della</strong> Regione Calabria<br />
(BURC) – Parte III – a seguito del quale<br />
sono stati dichiarati vincitori, rispettivamente<br />
49
ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />
per la disciplina dell’informatica, dell’inglese<br />
e dell’imprenditoria giovanile, l’Ente di formazione<br />
CISEF di Reggio Calabria, il<br />
Dipartimento di Linguistica dell’Università<br />
<strong>della</strong> Calabria (UNICAL) di Cosenza e la<br />
Cooperativa Sociale PROMIDEA di Rende<br />
(CS). Attraverso i corsi sono stati formati<br />
complessivamente 336 militari volontari frequentatori<br />
ai quali sono stati rilasciati, previo<br />
superamento degli esami di fine corso, gli<br />
attestati di formazione e la certificazione<br />
delle competenze per il conseguente e rapido<br />
ottimale utilizzo dei contenuti formativi<br />
appresi. In particolare, come valore aggiunto<br />
alla formazione professionalizzante,<br />
l’Università <strong>della</strong> Calabria ha consentito, ai<br />
corsisti che hanno raggiunto risultati elevati<br />
nell’apprendimento <strong>della</strong> lingua inglese, di<br />
sostenere gratuitamente l’esame per il conseguimento,<br />
oltre all’attestato di Euroformazione,<br />
anche del Diploma Cambridge PET che,<br />
come noto, costituisce certificazione universi-<br />
50<br />
taria riconosciuta a livello mondiale. Le aule<br />
destinate al Progetto Euroformazione<br />
Difesa sono state realizzate utilizzando le<br />
risorse economiche provenienti dal bilancio<br />
dello Stato e dal Fondo Sociale Europeo,<br />
attraverso flussi istituzionali. Tutti gli interventi<br />
formativi sono conformi a quanto stabilito<br />
nel Protocollo d’Intesa, siglato tra il<br />
Comando Militare <strong>Esercito</strong> «Calabria» e la<br />
Regione Calabria in data 13/05/2008, e<br />
nella Delibera di Giunta Regionale, n° 395<br />
del 07/05/2008, che approva la<br />
Convenzione Operativa del progetto<br />
«Euroformazione Difesa» tra il Comando<br />
Militare <strong>Esercito</strong> «Calabria» e la Regione<br />
Calabria. L’insieme di tutte le attività formative,<br />
sino agli esami di fine corso, è stato<br />
effettuato in stretto raccordo con il<br />
«Comitato di Coordinamento», costituito a<br />
livello regionale, secondo quanto prescritto<br />
dalle norme ministeriali in vigore.<br />
IL PROGETTO SBOCCHI<br />
OCCUPAZIONALI<br />
La misura per agevolare l’inserimento nel<br />
mondo del lavoro dei militari congedandi/congedati<br />
«senza demerito» si concretizza nel<br />
«Progetto Sbocchi Occupazionali», affidato<br />
all’Ufficio Generale per il sostegno alla ricollocazione<br />
professionale dei volontari congedati<br />
(PREVIMIL) e diramato con apposite direttive<br />
ai Comandi Militari dell’<strong>Esercito</strong> e agli EDR,<br />
con l’intento di realizzare una serie di attività<br />
d’intervento individuale, tra cui il colloquio di<br />
orientamento e la formazione professionale in<br />
favore delle varie categorie di militari volontari<br />
(AUFP, VFB, VFP1, VFP4 ed anche VSP)<br />
che vi aderiscono attraverso la sottoscrizione<br />
di un apposito modulo. Con il succitato progetto<br />
ministeriale sono stati messi a<br />
disposizione delle aziende accreditate i<br />
curricula professionali dei militari volontari<br />
congedati in cerca di occupazione, al
Frontespizio <strong>della</strong> Convenzione Operativa<br />
Progetto Sbocchi Occupazionali con la<br />
Regione Calabria.<br />
fine di favorire l’incontro domanda-offerta<br />
di lavoro e, in ambito locale, avviare un’intensa<br />
attività comunicativa, per finalità<br />
occupazionali, con i Centri Pubblici per<br />
l’Impiego provinciali (C.P.I.), per definire il<br />
sistema di riconoscimento del «pregresso<br />
formativo», ossia delle competenze<br />
acquisite in ambito militare riguardo alla<br />
trasferibilità delle medesime nel mondo<br />
dell’impresa, attraverso l’implementazione<br />
di modalità di raccordo tra professionalità<br />
acquisite ed esigenze del mondo<br />
del lavoro. All’uopo è stata attivata la<br />
Banca Dati del Sistema Informativo<br />
Lavoro Difesa (SILD) per le finalità occupazionali<br />
sin qui espresse, in favore dei<br />
militari volontari congedandi/congedati<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
«senza demerito», la cui fondamentale<br />
importanza è data dall’acquisizione e<br />
registrazione delle adesioni nel citato<br />
«data-base», che costituisce l’archivio<br />
elettronico dell’offerta di lavoro espressa<br />
dai curricula vitae dei militari volontari. In<br />
Calabria, sono state stipulate le<br />
Convenzioni Operative con le Province di<br />
Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio<br />
Calabria e Vibo Valentia per l’iscrizione<br />
dei militari Volontari, congedati «senza<br />
demerito», nelle liste di collocamento dei<br />
summenzionati C.P.I., con il profilo tabellare<br />
ISTAT riconducibile all’incarico militare<br />
svolto. La Sezione Collocamento eroga<br />
anche l’attività di orientamento al lavoro in<br />
favore dei militari Volontari congedandi,<br />
presso gli EDR <strong>della</strong> Calabria, e congedati<br />
dal momento che il Capo Sezione deve<br />
essere in possesso <strong>della</strong> qualifica di<br />
«Orientatore professionale». A livello<br />
nazionale i corsi per «Orientatore professionale»<br />
abilitano a svolgere l’attività di<br />
orientamento Ufficiali, Sottufficiali e personale<br />
civile, a cui viene fornito un «Manuale<br />
ad uso esclusivo degli Orientatori del<br />
<strong>Ministero</strong> <strong>della</strong> Difesa per la realizzazione<br />
di colloqui di orientamento», realizzato da<br />
PREVIMIL unitamente ad altro materiale<br />
di supporto. In sostanza, il colloquio individuale<br />
di orientamento professionale è<br />
finalizzato alla emersione di abilità e competenze,<br />
codificazione delle esperienze<br />
pregresse e del know-how acquisito<br />
durante il servizio militare, aspirazioni<br />
professionali, gradimento predittivo per le<br />
sedi di lavoro e alla compilazione del quaderno<br />
personale di orientamento. Tutti i<br />
dati forniti dal militare volontario sono<br />
immessi poi nel SILD che fornirà, in output,<br />
le referenze professionali di ogni<br />
iscritto e la visibilità delle stesse alle<br />
aziende accreditate presso il <strong>Ministero</strong><br />
<strong>della</strong> Difesa e, anche, quali possono essere<br />
i percorsi formativi cui indirizzare il<br />
51
ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />
52
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
53
ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />
Corso di Euroformazione svolto in un’aula<br />
didattica di Lamezia Terme.<br />
volontario. In tal senso, il 26 gennaio 2011<br />
è stata stipulata a Catanzaro la<br />
Convenzione Operativa del «Progetto<br />
Sbocchi Occupazionali» con la Regione<br />
Calabria, per l’attivazione di 14 nuovi corsi<br />
di formazione professionale, finanziati<br />
con i fondi comunitari europei per un<br />
importo di € 241 600,00, finalizzati all’inserimento<br />
nel mondo del lavoro dei militari<br />
volontari al termine del periodo di impiego,<br />
così ripartiti: 4 corsi per «addetti ai<br />
servizi di controllo (ex “buttafuori”)» (90<br />
ore); 4 corsi di «imprenditoria giovanile»<br />
(90 ore); 4 corsi per «addetti al servizio<br />
antincendio medio-alto e basic life support»<br />
(60 ore); 2 corsi per il conseguimen-<br />
54<br />
to <strong>della</strong> qualifica di «operatore turistico<br />
alberghiero e <strong>della</strong> gestione aziendale»<br />
(400 ore). Inoltre, a valere sulla formazione<br />
dei percorsi per «Addetto ai servizi di<br />
controllo (ex “buttafuori”)», visto l’Accordo<br />
Conferenza Stato-Regioni, di cui al<br />
Repertorio Atti n. 29/CSR del 29/04/2010 e<br />
recependo le indicazioni di PREVIMIL del<br />
tavolo tecnico ministeriale del 1° marzo<br />
2011 sono stati aggiunti dalla Regione<br />
Calabria nel finanziamento ulteriori 2 corsi<br />
di formazione professionalizzante nei quali<br />
sono stati riconosciuti i «crediti formativi»<br />
derivanti dalla validazione formativa del 3°<br />
Modulo <strong>della</strong> «Formazione Basica», effettuata<br />
per un periodo di 30 ore presso i<br />
Reggimenti Addestramento Volontari<br />
(RAV) da tutto il personale militare VFP1,<br />
arruolato a decorrere da settembre 2009,<br />
ai sensi delle direttive addestrative in
vigore. Ciò in quanto la suddivisione in<br />
aree tematiche del citato 3° Modulo (giuridica,<br />
ordine pubblico, sicurezza, psicologico-sociale),<br />
è sovrapponibile alle aree<br />
costituenti il corso, come indicate nel D.M.<br />
06/10/09. Pertanto, solo i militari Volontari<br />
in ferma prefissata annuale (VFP1) svolgeranno<br />
moduli da 60 ore che andranno<br />
ad aggiungersi al percorso di 30 ore già<br />
effettuato nella formazione basica. Con i<br />
succitati corsi, in fase di svolgimento dal<br />
20 marzo 2012 e per tutto il biennio 2012-<br />
<strong>2013</strong>, saranno complessivamente formati<br />
192 militari volontari in ferma prefissata<br />
AUFP/VFP1/VFB/VFP4/VSP presso i<br />
Centri Euroformazione del 1° Reggimento<br />
Bersaglieri Cosenza e del 2° rgt. AVES<br />
«Sirio» in Lamezia Terme (CZ).<br />
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE/<br />
SCOPI<br />
Il reclutamento del personale militare di<br />
truppa volontario risulta particolarmente<br />
connesso con la prospettiva di una futura<br />
possibilità occupazionale degli interessati,<br />
come si evince anche dalle esperienze<br />
maturate in tale ambito nei principali Paesi<br />
dell’Unione Europea. Contestualmente si<br />
è assistito, nel corso dell’ultimo decennio,<br />
ad un incremento del numero di adesioni<br />
alle tipologie di ferma volontaria, in conseguenza<br />
del processo di professionalizzazione<br />
<strong>della</strong> Forza Armata e <strong>della</strong> prospettiva<br />
di un rapporto di impiego con<br />
l’Amministrazione statale. Tuttavia, l’eccedenza<br />
del personale militare volontario in<br />
ferma prefissata, senza alcuna possibilità<br />
di uno sbocco occupazionale interno alla<br />
Forza Armata, è stata prevista dal legislatore<br />
con l’applicazione <strong>della</strong> ex legge n.<br />
331/2000, abrogata e trasfusa nel D. Lgs.<br />
n. 66/2010, al fine di agevolare il collocamento<br />
nel mondo del lavoro di quei milita-<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
ri volontari che non trovano un utile sbocco<br />
occupazionale in Forza Armata o nelle<br />
Forze di Polizia o altre amministrazioni. In<br />
tale ambito risulta strategico lo sviluppo<br />
del «Progetto Sbocchi Occupazionali», il<br />
cui scopo è quello di agevolare il collocamento<br />
nel mondo dell’imprenditoria giovanile<br />
di quei volontari che hanno prestato<br />
servizio «senza demerito» ed hanno<br />
volontariamente aderito al progetto.<br />
L’Istituzione ha, in sostanza, offerto la<br />
possibilità ai militari volontari prossimi al<br />
congedo, che ne facciano specifica richiesta,<br />
di seguire corsi di formazione per il<br />
conseguimento di qualifiche professionali<br />
correlate all’effettiva domanda delle<br />
imprese, su scala regionale e nazionale,<br />
al fine di massimizzare la probabilità dell’inserimento<br />
lavorativo e, al tempo stesso,<br />
ha posto in essere che gli stessi risultino<br />
orientati al ritorno nella vita civile. La<br />
formazione professionale ha assunto,<br />
pertanto, un’importanza strategica all’interno<br />
<strong>della</strong> Forza Armata e del mondo del<br />
lavoro, sempre più caratterizzato da esigenze<br />
di flessibilità e mobilità con continui<br />
aggiornamenti professionali volti all’ampliamento<br />
delle competenze e all’approfondimento<br />
delle conoscenze. Nel contempo,<br />
un ulteriore contributo è stato dato<br />
dal Progetto «Euroformazione Difesa»,<br />
quale attività formativa propedeutica ai<br />
corsi professionalizzanti richiesti dal mercato<br />
del lavoro. Non a caso, nel linguaggio<br />
tra gli addetti ai lavori, è sempre in<br />
auge il concetto di «lifelong learning», o<br />
formazione continua, lungo l’intero arco<br />
<strong>della</strong> vita lavorativa. A ciò si aggiunga<br />
anche il rispetto degli standard formativi,<br />
essenziali al conseguimento di qualifiche<br />
professionali, e il riconoscimento dei «crediti<br />
formativi» per assicurare il raggiungimento<br />
degli obiettivi sin qui esposti.<br />
□<br />
55
ADDESTAMENTO E OPERAZIONI<br />
UNMISS - UNITED NATIONS<br />
MISSION IN SOUTH SUDAN<br />
IL RINNOVATO IMPEGNO PER L’ONU<br />
E NUOVE SPERANZE PER UN POPOLO<br />
Il 9 luglio 2011, la comunità internazionale<br />
e le Nazioni Unite hanno accolto la<br />
nascita di un nuovo Stato africano: il<br />
Sudan del Sud, frutto <strong>della</strong> secessione dal<br />
preesistente Sudan. La guerra civile tra il<br />
Nord ed il Sud di questo Paese, iniziata nell’agosto<br />
del 1955, prima ancora dell’indipendenza<br />
dall’Egitto (avvenuta il 1° genna-<br />
56<br />
del Maggiore Alessio GRONCHI<br />
in servizio presso lo Stato Maggiore dell’<strong>Esercito</strong> - IV Reparto Logistico<br />
Militari del Sudan People's Liberation Army<br />
(SPLA).<br />
io 1956), è una delle più lunghe nella storia<br />
dell’Africa e le ragioni a monte <strong>della</strong> guerra<br />
sono complesse e interconnesse, alimentate<br />
da fattori esterni ed interni.
Il Sudan del Sud presenta una situazione di<br />
estrema povertà, condizioni igienico-sanitarie<br />
insufficienti e scarsità di infrastrutture basilari.<br />
La divisione è giunta a coronamento di<br />
azioni sia militari – con truppe sotto egida<br />
ONU schierate in Sudan – che diplomatiche,<br />
effetto dell’attuazione del Comprehensive<br />
Peace Agreement (CPA). L’accordo, siglato<br />
nel gennaio 2005, aveva posto le basi per la<br />
separazione delle due anime del Sudan,<br />
islamica al nord e cristiana al sud. Per favorire<br />
il rispetto e l’evoluzione del CPA, nel<br />
gennaio dello stesso anno il Consiglio di<br />
Sicurezza dell’ONU aveva emesso la<br />
Risoluzione n. 1547 con la quale si dava<br />
avvio alla United Nations Mission in Sudan<br />
(UNMIS). Gli sviluppi diplomatici si sono<br />
concretizzati, nel gennaio 2011, nello svolgimento<br />
di un referendum teso a vagliare la<br />
volontà popolare circa la separazione del<br />
Sudan del Sud dallo Stato del Sudan. Il referendum<br />
fu vinto, con ampia maggioranza,<br />
dai favorevoli all’indipendenza. L’8 luglio<br />
2011, l’ONU ha approvato la Risoluzione<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
1996 con la quale si è posto fine alla<br />
UNMIS per dar vita alla United Nations<br />
Mission in South Sudan (UNMISS), missione<br />
a cui l’Italia, dall’aprile del 2012, contribuisce<br />
fornendo, al momento, un Ufficiale<br />
dell’<strong>Esercito</strong> impiegato quale Military<br />
Liaison Officer.<br />
Il nuovo Paese non ha sbocco sul mare<br />
ed è incastonato tra Sudan, Etiopia, Kenya,<br />
Uganda, Repubblica Democratica del<br />
Congo e Repubblica Centroafricana. Dal<br />
punto di vista amministrativo, la Repubblica<br />
Federale del Sudan del Sud è composta da<br />
10 Stati suddivisi, a loro volta, in Contee<br />
(Counties).<br />
Il governo del neonato Stato è chiamato<br />
ad affrontare numerose minacce alla stabilità<br />
del Paese, provenienti sia dall’esterno<br />
che dall’interno del proprio territorio, in un<br />
quadro di estrema povertà, di condizioni<br />
igienico-sanitarie del tutto insufficienti e di<br />
scarsità di infrastrutture considerate basilari.<br />
La quasi totalità delle rotabili sono sterrate<br />
e non sottoposte ad alcun tipo di<br />
manutenzione; basti pensare che, su un<br />
territorio avente un’estensione poco supe-<br />
57
ADDESTAMENTO E OPERAZIONI<br />
I mezzi dell'ONU si trovano ad affrontare le difficoltà<br />
derivanti da spostamenti su rotabili non<br />
sempre percorribili a seconda delle condimeteo.<br />
riore a quella <strong>della</strong> Francia, solamente 100<br />
km di strade sono asfaltate. Ciò implica<br />
una generale difficoltà e lentezza negli<br />
spostamenti, in particolar modo nei mesi<br />
<strong>della</strong> stagione delle piogge. Gli ospedali e i<br />
centri medici, molti dei quali operanti solo<br />
grazie al lavoro delle numerose ONG (nongovernmental<br />
organization) presenti sul<br />
territorio, non riescono a sopperire alle esigenze<br />
<strong>della</strong> popolazione. Una rete fognaria<br />
moderna esiste solo in limitate aree <strong>della</strong><br />
capitale, Juba; nel resto delle città o villaggi,<br />
le acque di scarico vengono incanalate<br />
in alvei che si riversano in aree periferiche<br />
comunque abitate e spesso, nei torrenti o<br />
nelle pozze createsi, i ragazzi e gli adulti si<br />
tuffano per lavarsi o per contrastare la<br />
canicola.<br />
Condizioni di vita molto dure, quali generale<br />
povertà, scarsa conoscenza delle basilari<br />
norme igienico-sanitarie, numerose<br />
58<br />
malattie endemiche (malaria, febbre gialla,<br />
AIDS), malnutrizione, presenza di insetti e<br />
rettili estremamente velenosi, contribuiscono<br />
a rendere impietosamente bassa<br />
l’aspettativa di vita.<br />
L’EREDITÀ DI 25 ANNI DI GUERRA,<br />
SCONTRI PER IL PETROLIO E CON-<br />
TROVERSIE TERRITORIALI<br />
Il Sudan del Sud ha ottenuto l’indipendenza<br />
con l’aspettativa che questa potesse<br />
costituire il kick-off per un forte sviluppo,<br />
reso possibile grazie ai proventi dell’estrazione<br />
e vendita del petrolio. Il nuovo Paese,<br />
infatti, ha acquisito i ¾ del complessivo<br />
output petrolifero del preesistente Stato<br />
sudanese unificato, ovvero 490 000 barili al<br />
giorno.<br />
Molte delle risorse derivate dalla vendita<br />
del petrolio, tuttavia, sono state dilapidate<br />
a causa di una dilagante corruzione; a ciò<br />
si è aggiunta, dal gennaio del 2012, l’interruzione<br />
delle estrazioni di greggio sancita<br />
dal governo di Juba. La decisione è scatu-
ita dal drastico aumento dei costi di transito<br />
(36 dollari al barile) imposto dal Sudan<br />
che si è visto decurtare dei ¾ delle entrate<br />
derivanti dal petrolio; dopo una controfferta<br />
del Sudan del Sud (rimasta ignorata) di 1<br />
dollaro al barile al governo di Juba non è<br />
rimasta altra alternativa che fermare le<br />
estrazioni.<br />
Nel frattempo, al fine di liberarsi dal ricatto<br />
economico di Khartoum, il Sudan del Sud ha<br />
annunciato la volontà di costruire nuovi oleodotti<br />
per far arrivare il greggio fino in Kenya<br />
e Gibuti passando dall’Etiopia. Poiché la<br />
costruzione delle nuove infrastrutture richiede<br />
anni, nel breve periodo la ripresa <strong>della</strong><br />
produzione e vendita del petrolio dipende<br />
solamente dalla stipula di nuovi accordi economici<br />
con il Sudan.<br />
I territori del nord, ricchi di petrolio, restano<br />
contesi e la linea di confine tra i due<br />
Stati non è ancora chiaramente definita e<br />
riconosciuta. Ciò ha determinato tensioni<br />
militari che, nell’aprile del 2012, sono sfociate<br />
in scontri tra il Sudan People’s<br />
Liberation Army (SPLA) e le Sudan Armed<br />
Forces (SAF). Per salvarsi dalle violenze<br />
e dai bombardamenti, centinaia di migliaia<br />
di sudanesi sono fuggiti verso sud:<br />
circa 560 000 persone sono state raggruppate<br />
in due campi profughi nel nord<br />
del Paese. Tuttavia le strutture a disposizione<br />
delle persone ospitate risultano<br />
insufficienti e le condizioni di vita molto<br />
dure. Le organizzazioni non governative in<br />
azione continuano a lanciare frequenti<br />
allarmi circa le condizioni igienico-sanitarie<br />
ed alimentari, sollecitando un maggior<br />
sostegno economico.<br />
Oltre alle controversie ancora in atto con<br />
il Sudan, il nuovo Stato africano deve fronteggiare<br />
anche dissidi prettamente interni,<br />
quali scontri etnici (sul territorio del Sudan<br />
del Sud si contano più di cento etnie, di cui<br />
40 sono quelle numericamente considerevoli)<br />
e la presenza di milizie armate che non<br />
riconoscono il governo centrale (i Rebel<br />
Militia Groups e il Lord’s Resistance Army).<br />
Inoltre, un’ulteriore minaccia per la sicurezza<br />
di chi opera in Sudan del Sud è rappresentata<br />
dai campi minati non bonificati e<br />
Unexploded Ordnance (UXO). Come conseguenza<br />
dei precedenti 20 anni di guerra<br />
civile, infatti, il Sudan del Sud risulta essere<br />
una delle aree maggiormente minate al<br />
mondo.<br />
COMPITI DELL’ONU<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Tra i compiti degli MLOs, vi sono frequenti<br />
contatti e attività di pattuglia allo scopo di<br />
sostenere le locali autorità militari e civili.<br />
Con la Risoluzione 2057, il 5 luglio 2012<br />
il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite<br />
ha rinnovato la UNMISS, centrando il mandato<br />
sulla protezione dei civili e sull’innalzamento<br />
del livello di sicurezza nel Paese.<br />
Nell’adozione <strong>della</strong> Risoluzione, il Consiglio<br />
ha sottolineato l’esigenza di concentrarsi<br />
sulla effettiva capacità dell’ONU (<strong>della</strong> componente<br />
militare e di quella civile) di conseguire<br />
risultati tangibili per la ricostruzione e<br />
crescita del Paese.<br />
Nel 2005 l’Italia aveva contribuito alla<br />
59
ADDESTAMENTO E OPERAZIONI<br />
missione UNMIS con un contingente<br />
nazionale a livello di Battaglione: la Task<br />
Force «Leone»; il mandato del 2005 si<br />
focalizzava sull’implementazione del<br />
Comprehensive Peace Agreement e quindi<br />
il controllo del rispetto del «cessate il<br />
fuoco», assistenza alle parti nello sviluppo<br />
dell’accordo e supporto alla preparazione<br />
e la conduzione del referendum per<br />
l’indipendenza (svoltosi nel 2011).<br />
Il nuovo mandato, ovviamente frutto <strong>della</strong><br />
nuova condizione di indipendenza <strong>della</strong><br />
regione (sempre in aderenza al Capitolo VII<br />
<strong>della</strong> Carta delle Nazioni Unite), verte sulla<br />
protezione dei civili sotto imminente minaccia<br />
o violenza fisica; protezione del personale,<br />
basi ed equipaggiamento ONU; deterrenza<br />
verso possibili attori ostili e mitigazione<br />
di conflitti in atto; supporto alla fase di<br />
disarmo e reinserimento – Disarmament,<br />
Demobilisation and Reintegration – degli ex<br />
combattenti non rientrati nei regolari ranghi<br />
dell’<strong>Esercito</strong> sud-sudanese.<br />
Le attività di protezione dei civili e il rafforzamento<br />
<strong>della</strong> sicurezza vengono<br />
La religione prevalente nel Sudan del Sud è<br />
quella cristiana anche se molto diffuso è<br />
anche l'Islam.<br />
60<br />
garantiti dall’ONU mediante lo schieramento<br />
di circa 5 200 militari messi a<br />
disposizione, al momento, da Kenia,<br />
Mongolia, India e Ruanda. Il numero di<br />
truppe impiegate nella UNMISS risulta,<br />
tuttavia, di molto inferiore rispetto alle esigenze:<br />
a fronte dei 7 000 militari necessari,<br />
la percentuale di quelli impiegati supera<br />
di poco il 70% di quanto preventivato<br />
dall’ORBAT.<br />
FUNZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI<br />
MILITARY LIAISON OFFICERS (MLOS)<br />
Come precedentemente accennato,<br />
anche l’Italia, dall’aprile del 2012 mette a<br />
disposizione delle Nazioni Unite i suoi<br />
Ufficiali che vanno ad inserirsi nella struttura<br />
militare costituita dai Military Liaison<br />
Officers – MLOs – figura subentrata<br />
all’Osservatore Militare. Al di là del cambio<br />
di denominazione, le linee guida che sottendono<br />
le attività dei MLOs sono identificabili<br />
nella creazione e nel mantenimento di<br />
relazioni professionali e trasparenti con<br />
l’<strong>Esercito</strong> del Sudan del Sud (Sudan’s<br />
People Liberation Army – SPLA) e con gli<br />
organi impegnati nel settore <strong>della</strong> sicurezza<br />
(South Sudanese Police<br />
Service - SSPS). Al fine di<br />
facilitare l’implementazione<br />
<strong>della</strong> Risoluzione ONU<br />
1996, tali collegamenti vengono<br />
ricercati ed attuati<br />
mediante la creazione di<br />
Integrated Mission Teams<br />
(IMTs), composti da rappresentanti<br />
civili e militari ONU<br />
che lavorano in modo integrato<br />
per l’assolvimento dei<br />
compiti assegnati. Gli IMTs<br />
sono attivati sui 3 livelli politico/amministrativi:<br />
Federale<br />
(presso la Capitale Juba),
Statale (presso ciascuna capitale di Stato) e<br />
di Contea (County Support Bases – CSBs),<br />
queste ultime avviate, ad oggi, solamente<br />
presso i capoluoghi considerati strategici.<br />
In generale, i compiti per gli Ufficiali di collegamento<br />
sono riassumibili nella creazione<br />
di rapporti di collaborazione e scambio<br />
d’informazioni con l’<strong>Esercito</strong> locale e con gli<br />
organi operanti nel settore <strong>della</strong> sicurezza,<br />
fornendo, qualora richiesto, assistenza e<br />
pareri professionali su tematiche militari e di<br />
sicurezza.<br />
Per quanto riguarda l’<strong>Esercito</strong> del Sudan<br />
del Sud, obiettivo primario ma non esclusivo<br />
dell’azione dei MLO, occorre sottolineare<br />
come lo SPLA costituisca, di per sé, un<br />
problema per il governo di Juba, in quanto<br />
risulta fortemente sovradimensionato<br />
rispetto all’effettiva sostenibilità consentita<br />
dalla ancor fragile economia dello Stato.<br />
Ulteriore preoccupazione per l’apparato<br />
governativo, lo SPLA nasce come <strong>Esercito</strong><br />
di ribelli, portandone ancora i tratti caratteristici<br />
che si concretizzano nella fedeltà alla<br />
propria tribù prima ancora che allo Stato.<br />
Per completare il quadro, l’<strong>Esercito</strong> appare<br />
malamente equipaggiato, scarsamente<br />
addestrato e la disciplina non può essere<br />
definita ferrea, anche se, tuttavia, negli<br />
Ufficiali traspare entusiasmo e la volontà di<br />
raggiungere un adeguato livello di professionalizzazione.<br />
La componente militare<br />
<strong>della</strong> UNMISS, nelle regioni ove i rapporti<br />
con lo SPLA sono giunti a livelli di fiducia<br />
reciproca e adeguata collaborazione, ha<br />
iniziato un programma di training su materie<br />
militari per la crescita professionale che<br />
si affianca alle attività intraprese dalla componente<br />
civile <strong>della</strong> missione.<br />
CONCLUSIONI<br />
Il problema dei due Sudan non è unico in<br />
Africa ma sicuramente rappresenta uno dei<br />
più complicati a causa di fattori esterni ed<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
interni e di una lunga storia di conflitti non<br />
ancora completamente risolti. Una definitiva<br />
e pacifica risoluzione delle controversie<br />
potrebbe costituire un esempio per gli altri<br />
Paesi africani attraversati da feroci contrasti<br />
interni; in caso contrario le conseguenze<br />
per questa parte d’Africa e per gli Stati confinanti<br />
potrebbero essere devastanti. I due<br />
Sudan non sono in grado di risolvere da soli<br />
i propri problemi, come hanno dimostrato i<br />
fatti. La comunità internazionale deve intervenire,<br />
agendo in modo attento e neutrale<br />
per consentire il conseguimento di una<br />
pace sostenibile e di una cooperazione fra<br />
le due parti. La crisi economica che attanaglia<br />
i due Paesi può costituire un’opportunità<br />
per l’Occidente per far convergere i due<br />
Paesi verso un medesimo obiettivo di cooperazione,<br />
in cambio di concreti aiuti finanziari.<br />
Il Sudan del Sud, nonostante le numerose<br />
difficoltà che lo affliggono e le molte<br />
contraddizioni interne, è un Paese affascinante<br />
e carico dell’entusiasmo tipico di<br />
colui che, per la prima volta nella sua storia,<br />
sente di poter essere l’artefice del proprio<br />
futuro dal momento in cui si è affrancato<br />
dallo stretto giogo da cui si sentiva oppresso.<br />
La fase per il consolidamento <strong>della</strong><br />
nuova società sud sudanese deve ancora<br />
cominciare, stadio al termine del quale la<br />
democrazia sarà percepita come l’unica<br />
alternativa politica praticabile – the only<br />
game in town – parte integrante <strong>della</strong> vita<br />
sociale, istituzionale e perfino psicologica di<br />
una popolazione le cui due ultime generazioni<br />
sono cresciute nella guerra. Le potenzialità<br />
per uno sviluppo florido e rapido<br />
sono evidenti: con il suo fertile terreno, irrigato<br />
dall’acqua che scorre in abbondanza<br />
nella stagione delle piogge e con la nota ricchezza<br />
di materie prime del suo sottosuolo,<br />
la nuova Repubblica africana ha tutti i<br />
numeri per costruirsi un futuro sereno e prospero.<br />
□<br />
61
STORIA<br />
FRANCESCO NULLO:<br />
UN EROE GARIBALDINO<br />
CADUTO IN TERRA POLACCA,<br />
NEL 150° ANNIVERSARIO<br />
Da qualche anno è trascorso il duecentesimo<br />
anniversario <strong>della</strong><br />
nascita di Giuseppe Garibaldi, ma<br />
non si può non rammentare la gran parte<br />
che il Generale ha avuto anche nella<br />
vicenda dell’eroe bergamasco, di cui ricorre<br />
il centocinquantennale del sacrificio in<br />
62<br />
del Generale di Divisione (c.a.) Giovanni BUCCIOL<br />
Francesco Nullo (immagini concesse da: Fondazione<br />
Bergamo nella storia onlus - Archivio<br />
fotografico Sestini).<br />
terra polacca.<br />
Se la Marina Militare ha dedicato<br />
all’Eroe dei Due Mondi il nome di un
Incrociatore, essa ha dedicato a<br />
Francesco Nullo il nome di un più modesto<br />
Cacciatorpediniere (1). Ciò non significa<br />
che la differenza tra i due condottieri sia<br />
così grande come quella esistente tra le<br />
due navi. Se il primo è un valoroso, il<br />
secondo è un impavido; se il primo un fortunato<br />
genio militare, meticoloso fino alla<br />
pignoleria, il secondo è un razionale figlio<br />
generoso del Risorgimento, pronto a<br />
sacrificare la propria vita in ringraziamento<br />
dell’aiuto ricevuto dall’Italia dal 1848 al<br />
1860 dai figli di una sfortunata terra, quale<br />
la Polonia. Tuttavia, tutto ciò non fa molta<br />
differenza. In un aspetto, però, Garibaldi<br />
differisce da Nullo: nell’ingenuità, tipica<br />
dell’eroe, teso al sacrificio estremo, che<br />
non fa molta attenzione agli aspetti <strong>della</strong><br />
normale convivenza umana.<br />
Il 24 gennaio 1860, infatti, egli sposa la<br />
Marchesina Giuseppina Raimondi, figlia<br />
adottiva del fervente garibaldino Marchese<br />
Giorgio, nella Chiesa di Fino Mornasco.<br />
Egli se ne invaghisce quando a fine ‘59 la<br />
diciottenne, accompagnata da un prete, gli<br />
porta a Varese alcuni documenti interessanti<br />
lo schieramento austriaco. La giovane,<br />
non sapendo resistere al fascino di<br />
divenire sposa del Generale e temendo<br />
che il padre putativo la diseredasse, accetta<br />
di sposare l’anziano vedovo. Ma l’Eroe<br />
dei due Mondi non sa che la ragazza è<br />
incinta del giovane Luigi Caroli, bergamasco,<br />
anch’egli fervente garibaldino. Lo<br />
viene a sapere all’uscita dalla Chiesa,<br />
dopo la cerimonia, quando dal fondo <strong>della</strong><br />
piazza un cavaliere - si dice fosse lo stesso<br />
Caroli – «ventre à terre» velocissimo si<br />
avvicina al gruppo di persone, lancia un<br />
biglietto – contenente la triste notizia -, che<br />
colpisce il Generale sul petto, e sparisce.<br />
Il Garibaldi legge, furibondo insulta la giovane<br />
moglie, senza salutare nessuno se<br />
ne va e non fa più ritorno alla villa di cui è<br />
ospite. Il matrimonio sarà sciolto dopo<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
vent’anni, nel gennaio 1880, dalla Corte<br />
d’Appello del Tribunale di Roma.<br />
Da quel momento, il Caroli viene sempre<br />
depennato dal Generale stesso dagli elenchi<br />
di persone proposte alla partecipazione<br />
delle varie imprese. Ma Francesco Nullo<br />
non ne può fare a meno, poichè il ricco<br />
bergamasco si assume tutte le spese<br />
<strong>della</strong> spedizione, che il Nullo, contro il<br />
parere di Garibaldi, con una manciata di<br />
giovani effettua in aiuto alla rivolta polacca,<br />
arrogandosi un diritto che non ha,<br />
senza «forse» e senza «ma». Non valuta<br />
fattori di potenza e condizioni di vulnerabilità<br />
propri e dell’avversario. Con Caroli<br />
come Aiutante Maggiore, parte e muore<br />
colpito da una palla russa il 5 maggio<br />
1863 (2).<br />
VISIONE STORICA DEL MOMENTO<br />
Tre Grandi Potenze di allora si spartiscono<br />
in 3 successive date la Polonia<br />
nella seconda metà del diciottesimo<br />
secolo: la Russia, la Prussia e l’Austria.<br />
Anche Napoleone ci mette mano, creando,<br />
nel 1807, il Granducato di Varsavia.<br />
La ripartizione è confermata, eccetto il<br />
suddetto Granducato, nel 1815 dal<br />
Congresso di Vienna. La zona russa è<br />
dichiarata Regno di Polonia, solo formalmente<br />
indipendente. Ha un proprio esercito<br />
ed un proprio re, l’Imperatore di<br />
Russia, che ha il fratello come<br />
Luogotenente. In Polonia sono stanziate<br />
truppe russe, quando nel 1830 scoppia la<br />
prima insurrezione di novembre, che si<br />
conclude dopo un anno con la sconfitta<br />
dei polacchi e la liquidazione del Regno.<br />
In quest’occasione, i polacchi sotto<br />
Prussia ed Austria accorrono in soccorso<br />
degli insorti, in modo del tutto inefficace.<br />
Il vecchio Regno diviene provincia russa<br />
e la vita scorre tra scosse e singulti loca-<br />
63
STORIA<br />
Il Cacciatorpediniere «Francesco Nullo».<br />
li fino al 1863. All’inizio di quell’anno, il<br />
governatore Wielopolskj, eseguendo gli<br />
ordini sulla leva generale emanati dallo<br />
Zar Alessandro II, effettua un feroce<br />
reclutamento di tutti i maschi, abili o no al<br />
servizio militare. Promulga, inoltre, la<br />
legge marziale contro le bande rivoluzionarie<br />
-ai primi di aprile ben 150- che sorgono<br />
spontaneamente ovunque agli ordini<br />
di Mariano Langiewiks. Questi, che<br />
conosce bene la tattica militare appresa<br />
da Garibaldi durante la frequentazione<br />
del nostro Risorgimento, viene eletto dittatore<br />
il 1° marzo dal Governo provvisorio<br />
di Varsavia. In Italia, l’insurrezione ha<br />
un’eco immediata. A Milano, Genova,<br />
Bergamo ed in altre città <strong>della</strong> Lombardia<br />
e <strong>della</strong> Romagna si costituiscono delle<br />
giunte che ricevono le domande di volontari<br />
per la Polonia. Tra questi, i primi ad<br />
64<br />
aderire sono una trentina di garibaldini,<br />
che, capeggiati dal Nullo, intendono partire,<br />
delusi dalle «inutili» schermaglie parlamentari<br />
e dalle indecisioni del Garibaldi<br />
stesso. Infatti, presso il Parlamento italiano<br />
l’insurrezione polacca, il 26 e 27<br />
marzo, è oggetto di animata discussione.<br />
Alcuni parlamentari vorrebbero allineare<br />
l’insurrezione a quella veneta. Anche il<br />
Crispi auspica un’insurrezione nel Veneto<br />
ed il Mazzini sostiene che i polacchi<br />
avrebbero dovuto sollevarsi con una<br />
diversione nel Veneto. Il Visconti<br />
Venosta, Ministro degli Esteri, afferma<br />
l’impossibilità di far sortire dall’insurrezione<br />
polacca il completamento dell’unità<br />
nazionale, sia perchè sarebbe difficile<br />
farvi penetrare grossi contingenti, sia<br />
perchè Napoleone III avrebbe considerato<br />
ogni nostra mossa, specie perchè<br />
alleato <strong>della</strong> Russia, un atto indipendente<br />
ed isolato. Le conclusioni del dibattito<br />
sono favorevoli alla tesi governativa,
secondo cui un tale atto avrebbe portato<br />
guerra alla Russia, alla Prussia ed<br />
all’Austria, compromettendo l’appoggio<br />
internazionale alla nostra agognata unità<br />
(3).<br />
IL COMPORTAMENTO DI GARIBALDI<br />
A Mariano Langiewiks il Generale scrive:<br />
«Che, Dio vi benedica, tra qualche<br />
giorno saremo tra voi!». Ma il dittatore<br />
polacco gli fa intendere che la sua presenza,<br />
data la notorietà internazionale,<br />
avrebbe arrecato imbarazzo alla causa.<br />
La Russia, in effetti, non è nemica<br />
dell’Italia. Lo è l’Austria, la quale, tuttavia,<br />
arresta il Langiewiks per fare un plateale<br />
atto di amicizia verso la Russia, ma sotto<br />
sotto appoggia l’insurrezione polacca. E<br />
così Garibaldi scrive a Nullo: «Io vi consiglierei<br />
di non partire per la Polonia; però,<br />
se la vostra coscienza vi dice di andare,<br />
andate, ma in pochi, mi racccomando,<br />
perchè un più sacro dovere impone alla<br />
nostra gioventù di attendere le ultime non<br />
lontane prove per la completa unificazione<br />
dell’Italia».<br />
Nello stesso periodo, addirittura due<br />
emissari, in evidente disaccordo con il<br />
governo provvisorio di Varsavia, si recano<br />
a Caprera per convincere Garibaldi a<br />
concentrare le sue forze in Turchia,<br />
«sommuovere la Rumenia, penetrare in<br />
Bessarabia e di là, per la Podolia e la<br />
Galizia, dare mano agli insorti».<br />
A Garibaldi sta a cuore la necessità di<br />
organizzare attività antiaustriache.<br />
Prende contatti con fuorusciti polacchi,<br />
ma spera sugli ungheresi, la cui marea<br />
rivoluzionaria vorrebbe affogare l’Impero<br />
asburgico. Visconti Venosta guarda a<br />
Napoleone III, del cui appoggio non è<br />
sicuro e pensa che l’insurrezione ungherese<br />
sia una chimera. Afferma: «Il<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Garibaldi rendesse concreta questa presunta<br />
insurrezione ungherese in contemporaneità<br />
con quella polacca ed il governo<br />
italiano gli avrebbe espresso sostegno<br />
in via definitiva» (4).<br />
FORMAZIONE GARIBALDINA DEL NULLO<br />
Non si può comprendere appieno le<br />
ragioni di una spedizione così ridotta, in un<br />
periodo congiunturalmente sfavorevole,<br />
con gente raccogliticcia, se non si conosce<br />
la vita, la formazione culturale ed il<br />
temperamento di Francesco Nullo. Nasce<br />
a Bergamo nel 1826 da una famiglia agiata,<br />
che lo fa studiare prima a Bergamo, poi<br />
a Milano, ove frequenta con «distinti»<br />
risultati le secondarie commerciali.<br />
Apprende la lingua francese e parla con<br />
eleganza la tedesca.<br />
Impiegato in una industria tessile di<br />
Bergamo, appena ventenne vi acquista<br />
una posizione di primo piano, inventando<br />
un premiato congegno per tessere. Nel<br />
marzo del 1848 scoppia «il 48» in Milano,<br />
in Italia ed in Europa. Il nostro è subito con<br />
una colonna di 200 bergamaschi, condotta<br />
da un frate cappuccino, con due suoi<br />
fratelli. È da questo momento che comincia<br />
quella vita piena di esaltazioni e di<br />
depressioni, di entusiasmi e di ripiegamenti,<br />
che faranno di lui una delle più fulgide<br />
figure del nostro Risorgimento.<br />
Costretto a ripiegare su Peschiera, Nullo è<br />
nominato portabandiera del Corpo di spedizione,<br />
si porta verso Trento per tagliare<br />
la via di rifornimento austriaca, occupando<br />
Castel Tubino ed arriva al Tonale. Rimasto<br />
isolato con i volontari, quando i piemontesi<br />
si ritirano in Piemonte dopo Custoza,<br />
anche Nullo ripara nello stesso Piemonte,<br />
rinuncia al grado, si arruola nei «Lancieri<br />
di Masina» e parte per la difesa di Roma.<br />
Da maggio a giugno 1849, combatte a<br />
65
STORIA<br />
66
Valmontone ed assieme ai legionari di<br />
Garibaldi si scontra coi francesi e coi bersaglieri<br />
italiani. Sconfitto dai fucili<br />
«Chassepot» del Generale Audinot, Nullo<br />
segue Garibaldi nella ritirata per Terni, Todi,<br />
Orvieto, San Marino, dove parlamenta in<br />
favore di Garibaldi senza successo.<br />
Volendo soccorrere Venezia, s’imbarca con<br />
i garibaldini a Cesenatico su 13 bragozzi,<br />
inseguito e cannoneggiato dagli austriaci.<br />
La spedizione fallisce. Sbarcano nel delta<br />
del Po e si sciolgono, abbracciati da<br />
Garibaldi, che porterà Anita a morire nella<br />
pineta di Ravenna. Nullo, vestito da contadino,<br />
giunge a Bergamo, ma viene arrestato<br />
dagli Austriaci ed incarcerato a Caprino.<br />
È giusto in questo disgraziato periodo<br />
<strong>della</strong> nostra storia risorgimentale, tra il<br />
marzo ‘48 ed il giugno ‘49, che conosce ed<br />
apprezza l’impegno dei polacchi in Italia,<br />
che ci danno una mano anche nel ‘59 e nel<br />
‘60.<br />
Tornato in Bergamo dopo un mese di<br />
carcere, egli vi resta sino al ‘59, riprendendo<br />
le sue attività commerciali. Saputo che<br />
Garibaldi è in Piemonte per formare un<br />
Corpo di volontari, in tutto segreto parte e<br />
si arruola come Tenente nelle «Guide».<br />
Combatte a Varese, a Como ed il 7 maggio<br />
da Ponte San Pietro, periferia di Bergamo,<br />
entra in città con Garibaldi e partecipa alle<br />
battaglie di Rezzato e Treponti. Il patto di<br />
Villafranca indigna Nullo, che torna ai suoi<br />
commerci sino al 3 maggio 1860, quando<br />
con 264 garibaldini bergamaschi parte per<br />
Quarto Genova, facendo felice Garibaldi.<br />
Si dice che, grazie alla sua attività nel<br />
campo dei tessuti, abbia fornito le camicie<br />
rosse a tutti i partecipanti alla spedizione<br />
navale. Qui comincia la sua fulgida carriera<br />
militare. Da Tenente a 34 anni, è<br />
Capitano per la conquista di Palermo, dove<br />
è il primo ad entrare; è Maggiore il 21 agosto<br />
per aver agevolato lo sbarco a Reggio<br />
Calabria; è Tenente Colonnello al Volturno,<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
dove ottiene la resa del Generale Briganti,<br />
«soggiogato dall’accento energico, dall’occhio<br />
fiero e dai baffi magiari di Nullo»,<br />
come scrive Cesare Abba. Subito dopo,<br />
viene inviato da Garibaldi stesso in Isernia<br />
per sedare una rivolta, e vi trasforma «la<br />
ritirata in assalto e la morte certa in trionfo»,<br />
come si esprime sempre lo stesso<br />
Abba (5). Con l’Eroe dei due Mondi è a<br />
Teano ed il 7 novembre parte per Caprera<br />
in sua compagnia. Dopo un po’ torna a<br />
Bergamo, rinuncia al grado di Tenente<br />
Colonnello per ragioni politiche e si dedica<br />
al consueto commercio. Ma agli inizi del<br />
‘62 Garibaldi è a Trescore per curarsi l’artrite,<br />
Nullo si offre volontario per partecipare<br />
all’impresa nel Trentino, che si sta preparando.<br />
Viene arrestato e condotto in carcere<br />
a Brescia, dove il popolo si solleva e<br />
lo libera. Ricatturato, viene recluso in<br />
Alessandria sino al 10 giugno. Liberato per<br />
assoluzione, Nullo raggiunge Garibaldi a<br />
Palermo, procede per Catania, combatte in<br />
Aspromonte ed «accoglie tra le sue braccia<br />
l’Eroe dei due Mondi, quando cade colpito<br />
al piede da palla italiana». Garibaldi va<br />
a morire a Caprera e Nullo viene tradotto<br />
alle prigioni del Forte di Bard in Val<br />
d’Aosta, dove uscirà dopo qualche mese<br />
per amnistia, per tornare a mercanteggiare<br />
in tessuti (6).<br />
FINALMENTE LA SPEDIZIONE<br />
I preparativi avvengono in casa Caroli a<br />
Bergamo, perchè Luigi - che è la prima<br />
volta che può partecipare ad una spedizione<br />
garibaldina - si assume tutte le spese,<br />
riveste il grado di Tenente delle guide, ed<br />
è, come detto, Aiutante Maggiore del Nullo.<br />
Centro di smistamento volontari è<br />
Cracovia, ma il suo raggiungimento subisce<br />
il filtro delle autorità austriache. Infatti,<br />
i 30 partiti da Bergamo sono 27 a Udine,<br />
67
STORIA<br />
19 a Vienna e 17 a Cracovia. L’Austria si<br />
oppone, ma non troppo, anche perchè<br />
pensa che gli insorti italiani è meglio che<br />
vadano a morire contro i russi in Polonia<br />
che contro gli austriaci al Mincio.<br />
A Cracovia il Nullo incontra Miniewski,<br />
giovane di 22 anni autonominatosi<br />
Generale per aver messo tutte le sue<br />
sostanze a disposizione <strong>della</strong> causa. Gli<br />
consegna tutti i suoi volontari, studenti, contadini,<br />
vagabondi, che hanno per la prima<br />
volta l’occasione di ricevere un vestito ed<br />
una ciotola di minestra. Con i 17 di<br />
Bergamo e con 8 francesi si forma una<br />
colonna di circa 600 uomini al comando di<br />
Nullo, a sua volta nominato dal Miniewski<br />
Generale. Il bergamasco spera di avere il<br />
tempo per creare un certo amalgama addestrativo<br />
prima dell’incontro col nemico, ma<br />
ciò non avverrà. L’armamento è buono:<br />
carabine ad anima rigata e fucili corti ma<br />
precisi, tre cannoni senza cavalli da traino,<br />
perchè requisiti dall’Austria, contradditoria<br />
e blanda verso la Russia. Il<br />
confine è a 15-20 chilometri a<br />
nord di Cracovia. Oltre, vi sono<br />
paludi e vallate e bisogna sorprendere<br />
il nemico di notte o<br />
all’alba. Obiettivo del Nullo è<br />
Olkusz, sede di una guarnigione<br />
russa. Ma, accompagnato<br />
dal Miniewski, gli si presenta<br />
un Ufficiale austriaco, che gli<br />
intima di arrendersi perchè prigioniero.<br />
Il Caroli racconta<br />
all’austriaco la barzelletta del<br />
soldato prussiano e del granatiere<br />
francese (7), che diverte<br />
l’Ufficiale, il quale dichiara:<br />
«Non sono vostro nemico, per<br />
voi la strada è libera!».<br />
Alle prime ore del 4 maggio<br />
si supera il confine, in coda i<br />
bergamaschi per evitare eventuali<br />
diserzioni. Una pattuglia<br />
68<br />
di cosacchi a cavallo irrompe dal buio di un<br />
bosco, spacca la testa alla guida alloglotta<br />
<strong>della</strong> colonna e sparisce nel bosco stesso.<br />
I volontari sono sempre seguiti e fiancheggiati<br />
dai russi ed alle ore 14 una scarica di<br />
fucili provoca alcuni feriti, che vengono<br />
messi su un carro e si riprende la marcia.<br />
Verso mezzanotte si acquista un po’ di<br />
pane in un villaggio e si marcia sino alle 6<br />
del 5 maggio. Quando qualcuno accende<br />
un po’ di fuoco per scaldare dell’acqua,<br />
arriva una scarica di fucileria. Nullo si<br />
appresta alla difensiva lungo un sentiero<br />
infossato e protetto da un terrapieno. Il<br />
bosco è a un centinaio di metri e Nullo ordina<br />
di non sparare. Ma i volontari sparano lo<br />
stesso, emozionati ed impauriti. Miniewski,<br />
cercato per farli smettere, perchè non capiscono<br />
la lingua italiana, non si trova.<br />
Esaurite le munizioni, finalmente non si<br />
spara più. Per far vedere che non dovevano<br />
aver paura, Nullo, sigaro in bocca e a<br />
cavallo, percorre velocemente il terrapie-
no, sordo agli incitamenti a ripararsi. «Le<br />
palle mi conoscono», risponde, ma una<br />
palla che non conosceva il suo cavallo lo fa<br />
stramazzare a terra ed un’altra lo centra al<br />
cinturone e al cuore. «Madonna, Nullo!»,<br />
urla Caroli. «So mort!» sussurra Nullo e<br />
spira. Il suo corpo viene abbandonato e la<br />
colonna si spezza in due tronconi: uno riesce<br />
a guadagnare la frontiera, l’altro raggiunge<br />
Slowkow e, inseguito dai russi del<br />
Generale Principe Szaskowskoj, viene catturato.<br />
È il Principe stesso che salva i garibaldini<br />
bergamaschi dal massacro; egli<br />
invita il Caroli a riconoscere la salma del<br />
Nullo, «gli fa funerali e gli rende onori militari<br />
come a generali pari suo». Nelle tasche<br />
del valoroso deceduto si trova questo messaggio<br />
per gli italiani: «Se io morrò, ricordatevi<br />
per quale causa sono morto, ed il<br />
mio ultimo grido anche in Polonia sarà:<br />
viva l’Italia!».<br />
I prigionieri saranno poi inviati ai lager in<br />
Siberia. Il Caroli vi morirà nel maggio del<br />
1865, felice di aver ricevuto la visita, oltre<br />
che del fratello, anche di Giuseppina<br />
Raimondi (8).<br />
CONCLUSIONI<br />
In merito agli avvenimenti in Polonia, il<br />
compianto Senatore Giovanni Spadolini<br />
ebbe a scrivere: «Caduto da valoroso per<br />
una causa santa, in nome di libertà, virtù ed<br />
eroismo, come scrisse Garibaldi alla madre<br />
per esprimerle il suo affetto e la sua simpatia,<br />
Francesco Nullo col suo sacrificio ribadì<br />
il legame esistente fra i due Risorgimenti,<br />
quello italiano e quello polacco, in nome<br />
<strong>della</strong> costante e strenua rivendicazione dell’identità<br />
nazionale». Ricordando, poi, che<br />
nel 1833 l’Austria soppresse l’Antologia di<br />
Vieusseux, il Senatore così continua, «Fu<br />
la prima rivista italiana a battersi per i diritti<br />
del popolo polacco oppresso dall’auto-<br />
crazia russa e per questo obbligata a<br />
sospendere le pubblicazioni». «Dall’idea di<br />
nazione», conclude Spadolini, «che può<br />
vivere e progredire solo nella democrazia,<br />
si sale verso un’idea dell’Europa,<br />
che resta per tutti noi l’ideale attorno a<br />
cui lavorare, in questi anni di grandi inquietudini,<br />
di grandi conflitti, ma anche<br />
di grandi speranze».<br />
NOTE<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
(1) Il Cacciatorpediniere viene impostato nel cantiere<br />
Quarnaro di Fiume nel 1924, varato nel ‘25,<br />
completato nel ‘26 e perso nel 1940. Dislocava a<br />
pieno carico 1 580 t, era armato di 4 pezzi 76/40 e<br />
4 da 76/30 e di 4 tubi lanciasiluri da 450 mm. Aveva<br />
un equipaggio di 69 uomini.<br />
(2) Bortolo Belotti: «Storia di Bergamo e dei bergamaschi»<br />
- Bergamo-Bolis 1989.<br />
(3) L’opposizione <strong>della</strong> sinistra di De Pretis denuncia<br />
l’agonia di ogni fede nel nostro Paese, incapace<br />
d’interventi generosi verso uno Stato, «le cui<br />
ossa dei figli biancheggiano in tutti i campi di battaglia<br />
europei, non esclusi quelli italiani». È scritto da<br />
Alfonso Vajana in «Francesco Nullo, la sua<br />
Bergamo, i suoi tempi» Milano, - Quaderni di poesie<br />
-, I939.<br />
(4) Queste ed altre notizie «tra virgolette» sono tratte<br />
da alcuni documenti raccolti da Adriana Bortolotti<br />
nell’Archivio del Museo Storico di Bergamo.<br />
(5) Nelle sue memorie, Abba scrive: «Par loro<br />
d’aver ancora intorno l’orgia di villani, di soldati, di<br />
frati che uccidevano al grido di viva Francesco II e<br />
viva Maria»,<br />
(6) Giuliana Donati Petténi: «Francesco Nullo,<br />
cavaliere <strong>della</strong> libertà» Bergamo, - Bolis, - 1963.<br />
(7) «Caporale, ho fatto un prigioniero», dice il soldato,<br />
«Portalo qui», gli intima il superiore. «Non<br />
posso, mi tien saldo» replica il soldatino.<br />
(8) Giuseppe Locatelli Milesi: «La spedizione di<br />
Francesco Nullo in Polonia. Nella Siberia orrenda»<br />
- Milano, - A. Vallardi 1933.<br />
□<br />
69
STORIA<br />
IL PRIMO CENTENARIO DELLA<br />
GUERRA ITALO - TURCA<br />
1911 - 1912<br />
Un secolo è trascorso dalla firma<br />
del Trattato di pace di Losanna;<br />
era il 18 ottobre del 1912 e con la<br />
fine delle ostilità l’Italia guadagnava quel<br />
prestigio internazionale, che era stato<br />
offuscato dalla prima impresa coloniale<br />
in Africa orientale, culminata con la<br />
70<br />
del 1° Maresciallo Luogotenente Domenico INTERDONATO<br />
in servizio presso il Comando Brigata meccanizzata «Aosta»<br />
Guerra italo - turca: i soldati sostituiscono le<br />
tende con baracche provvisorie, a Bengasi.<br />
sconfitta <strong>della</strong> battaglia di Adua del 1°<br />
marzo 1986. La guerra contro l’Impero<br />
Ottomano per la conquista <strong>della</strong>
Tripolitania e <strong>della</strong> Cirenaica era stata<br />
pianificata segretamente con le diplomazie<br />
occidentali; il Ministro degli Esteri<br />
Marchese Antonino di San Giuliano stipulò<br />
accordi segreti che aprirono la strada<br />
all’azione militare.<br />
Secondo gli studi degli Stati Maggiori<br />
di allora, la guerra si sarebbe conclusa<br />
in breve tempo e con dei costi economici<br />
e umani limitati. La campagna militare<br />
venne studiata e preparata con una<br />
certa cura dal premier Giovanni Giolitti,<br />
per cui in pochi mesi di sforzo bellico si<br />
realizzò l’occupazione militare <strong>della</strong><br />
Libia, con le sue due grandi regioni: la<br />
Tripolitania e la Cirenaica.<br />
La guerra contro l’Impero Ottomano,<br />
innescò negli anni successivi un effetto<br />
devastante, che provocò il crollo <strong>della</strong><br />
«Sublime porta», con le rivolte nei<br />
Balcani e in Grecia. In Italia, tutti cantavano<br />
«Tripoli bel sol d’amore»; in effetti<br />
la Guerra italo - turca è rimasta nell’immaginario<br />
collettivo come un momento<br />
felice <strong>della</strong> giovane Italia, che portò il<br />
Regno Sabaudo nel contesto delle grandi<br />
potenze europee.<br />
Nel percorso storico <strong>della</strong> Nazione<br />
Italia, la guerra incise profondamente e<br />
creò un’eccellente base su cui poi si svilupparono<br />
gli eventi successivi, a cominciare<br />
da quelli bellici <strong>della</strong> Prima guerra<br />
mondiale. Non è appropriato parlare di<br />
guerra perché è stato un conflitto coloniale<br />
e d’invasione, ma oggi noi possiamo<br />
analizzarlo con il dovuto distacco e obiettività,<br />
cercando di analizzare con cautela<br />
le vicende che ci portarono a conquistare<br />
quella assolata terra nordafricana, strappandola<br />
alla Turchia.<br />
La preparazione del conflitto è stata<br />
una felice sinergia delle Forze Armate,<br />
l’intervento militare venne preparato con<br />
largo anticipo e con l’impiego di un’armata<br />
composta inizialmente da 35 000<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
militari per poi arrivare a 100 000, che<br />
nel breve tempo riuscì ad impadronirsi di<br />
quasi tutta la fascia costiera libica.<br />
Con il pretesto di violenze subite da<br />
cittadini italiani nella Cirenaica e in<br />
Tripolitania, il 29 settembre del 1911,<br />
l’Italia dichiara guerra all’Impero<br />
Ottomano e la Regia Marina si mosse<br />
per sorprendere le navi da guerra turche<br />
ancora all’ancora nelle basi navali.<br />
L’effetto sorpresa riuscì e gran parte del<br />
potenziale bellico ottomano venne affondato<br />
negli attacchi lanciati al porto di<br />
Beirut e nel Mar Rosso.<br />
L’operazione Libia iniziò nel mese di<br />
ottobre. La perfetta sinergia Regia<br />
Marina - <strong>Esercito</strong> permise lo sbarco delle<br />
truppe con limitatissime perdite. L’azione<br />
militare iniziava sempre con il bombardamento<br />
dal mare delle fortificazioni<br />
costiere; il maggiore calibro delle possenti<br />
navi italiane riduceva al silenzio la<br />
fragile risposta ottomana. Le truppe ottomane<br />
e indigene, dopo una composta<br />
reazione avevano l’ordine di ritirarsi nell’entroterra,<br />
per poi colpire gli italiani con<br />
rapide azioni di disturbo, che continuarono<br />
anche dopo il Trattato di pace firmato<br />
a Losanna.<br />
Durante il breve conflitto bisogna ricordare<br />
l’impiego di nove aeroplani, inizialmente<br />
usati per l’osservazione e poi<br />
anche per le fotografie aeree e a seguire<br />
i primi bombardamenti azionati manualmente.<br />
Nasceva la prima Aviazione<br />
militare italiana. Da ricordare che non<br />
tutti erano dei piloti con le stellette, alcuni<br />
erano dei volontari che si prestarono<br />
alla causa coloniale. Si videro anche i<br />
primi camion adibiti al trasporto <strong>della</strong><br />
truppa e dei materiali che, non sopportando<br />
la polvere del deserto, vennero<br />
inizialmente accantonati per poi essere<br />
riutilizzati con opportuni accorgimenti<br />
tecnici.<br />
71
STORIA<br />
Guerra italo - turca: Derna, sbarco di legname.<br />
Le truppe coloniali diedero un importante<br />
contributo, con i battaglioni cammellati<br />
degli Ascari eritrei addestrati e<br />
comandati da Ufficiali italiani, che risultarono<br />
determinanti nell’inseguire e<br />
annientare il nemico in fuga dopo le battaglie.<br />
La guerra si spinse fino ad arrivare a<br />
Costantinopoli. Una squadriglia navale<br />
riuscì a superare tutti gli sbarramenti<br />
dello Stretto dei Dardanelli, bombardare<br />
alcuni forti e ritornare quasi indenne alla<br />
base.<br />
Per piegare la resistenza ottomana,<br />
l’Italia spostò la guerra nel Mar Egeo<br />
occupando l’isola di Rodi e altre undici<br />
72<br />
Il sultano Abdul Hamid II.<br />
isolette strategicamente importanti: il<br />
cosiddetto Dodecaneso. L’azione mirata<br />
italiana servì a far capitolare le resistenze<br />
del sultano Abdul Hamid II, che accet-
Il Generale Armando Vittorio Diaz.<br />
tò il Trattato di pace.<br />
A volere la guerra di Libia furono dei<br />
gruppi di potere, che portarono o meglio<br />
spinsero l’Italia e gli italiani verso un<br />
colonialismo non sentito dalla popolazione.<br />
Allora lo scetticismo era forte e nella<br />
Nazione era ancora aperta la ferita <strong>della</strong><br />
disfatta di Adua.<br />
Un grosso contributo lo diedero i<br />
media quasi tutti favorevoli alla guerra. I<br />
corrispondenti dalla Cirenaica e<br />
Tripolitania, poi chiamata Libia, raccontavano<br />
«le bugie d’oltremare» di una<br />
terra molto vicina alla madre patria, lussureggiante<br />
e piena di risorse minerarie<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
da sfruttare. Si suggeriva una colonizzazione<br />
di massa delle terre fertili vicine<br />
alla fascia costiera, per dirottare l’esodo<br />
dei migranti che preferivano l’America.<br />
Purtroppo, allora, non si capì che il<br />
deserto libico galleggiava su un mare di<br />
«oro nero» e gas naturale.<br />
La conquista <strong>della</strong> Libia negli anni si<br />
rivelò un pesante fardello per l’economia<br />
statale; i costi <strong>della</strong> guerra lievitati notevolmente,<br />
sommati alle perdite umane e<br />
al costo delle enormi infrastrutture create<br />
nella giovane colonia furono enormi e<br />
la Libia in cambio non ci diede nulla.<br />
L’effetto immigrazione non produsse lo<br />
spostamento di massa, malgrado le agevolazioni<br />
che il governo di allora offriva<br />
agli emigranti, che si trasformavano in<br />
colonizzatori, e malgrado tutto gli italiani<br />
continuarono a preferire l’America.<br />
Oggi possiamo affermare, che la guerra<br />
contro l’Impero Ottomano servì a preparare<br />
e forgiare le Forze Armate italiane<br />
con tutti gli Stati Maggiori, che dopo<br />
questa parentesi coloniale si prepararono<br />
ad entrare in guerra nel 1915, con il<br />
primo conflitto mondiale, e a vincere.<br />
Il Generale Armando Vittorio Diaz, che<br />
nell’autunno del 1918 guidò alla vittoria<br />
le truppe italiane, fu un chiaro esempio:<br />
nel 1910, durante la Guerra italo - turca,<br />
comandò il 21º Reggimento fanteria e<br />
l’anno dopo il 93º Reggimento fanteria in<br />
Libia, che era rimasto improvvisamente<br />
senza comando.<br />
Sempre in Libia, a Zanzur, fu ferito nel<br />
1912, per arrivare fino al 4 novembre<br />
1918 quando l’Austria capitolò, e per la<br />
storica occasione Diaz stilò il famoso<br />
«Bollettino <strong>della</strong> Vittoria», in cui comunicava<br />
la rotta dell’<strong>Esercito</strong> nemico ed il<br />
successo italiano.<br />
□<br />
73
STORIA<br />
LE TRINCEE QUALI<br />
FORTIFICAZIONI CAMPALI<br />
DURANTE LA GRANDE GUERRA<br />
Il primo conflitto mondiale ha inciso<br />
notevolmente nella storia dell’Italia e<br />
più in generale in Europa, sancendo la<br />
fine degli Imperi e la nascita degli Stati<br />
Nazionali.<br />
Nel 1914 il clima culturale europeo era<br />
74<br />
del Maggiore Stefano ELISEO<br />
in servizio presso il Comando Militare <strong>Esercito</strong> Friuli Venezia Giulia<br />
animato da grande fervore soprattutto nei<br />
circoli intellettuali di Austria e Germania,<br />
mentre il panorama politico vedeva le<br />
grandi potenze europee schierate in blocchi<br />
contrapposti e in alleanze che rendevano<br />
l’equilibrio quanto mai precario.
L’attentato di Sarajevo rappresentò quel<br />
«casus belli», che condusse l’Europa<br />
verso un conflitto di proporzioni sicuramente<br />
superiori a quanto l’evento stesso<br />
avesse lasciato prevedere. Non a caso<br />
quel conflitto venne definito mondiale.<br />
In un clima così drammatico si misero in<br />
evidenza le correnti degli intellettuali italiani<br />
che affollarono le piazze reclamando<br />
l’entrata in guerra e sopraffacendo una<br />
maggioranza parlamentare e sociale che,<br />
invece, non la voleva. Il nostro intervento<br />
in guerra provocò nel Paese profonde<br />
lacerazioni di cui è prova, ad esempio,<br />
l’oltre mezzo milione di richiamati alle<br />
armi che preferirono disertare. Vi era,<br />
peraltro, una diffusa convinzione che la<br />
guerra sarebbe stata breve e soprattutto,<br />
che l’intervento italiano sarebbe stato<br />
decisivo. In realtà, a dispetto delle aspettative,<br />
il conflitto assunse fin dall’inizio<br />
proporzioni enormi e si trasformò in una<br />
vera e propria guerra di posizione durante<br />
la quale i contendenti si ancorarono al<br />
terreno che quindi, oltre ad essere campo<br />
di battaglia, divenne «la casa» per oltre<br />
un milione di combattenti.<br />
La situazione risultò molto diversa<br />
rispetto ai conflitti precedenti quando cioè<br />
le tecniche richiedevano manovre in ordine<br />
chiuso sul campo di battaglia prima di<br />
giungere allo scontro fisico e prevedevano<br />
l’esecuzione di tutta una serie di formalità<br />
e gesti di origine cavalleresca.<br />
La guerra del ‘14 – ’18 si trasformò sin<br />
da subito in guerra di posizione sanguinosa<br />
e strettamente correlata allo sviluppo<br />
A sinistra: trincea parzialmente affondata nel<br />
terreno il cui spalto è stato costruito con la tecnica<br />
del muro a secco coronato da sacchetti di<br />
terra. Sul Carso questo era spesso una scelta<br />
obbligata, soprattutto nella prima fase <strong>della</strong><br />
guerra, quando i mezzi tecnici erano inferiori<br />
alle necessità.<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
di nuove tecnologie. I Paesi coinvolti nella<br />
guerra impegnarono così tutte le forze<br />
morali e materiali di cui erano capaci.<br />
Elemento caratteristico <strong>della</strong> guerra di<br />
posizione fu la trincea e, in questo quadro,<br />
la trincea nemica divenne l’obbiettivo<br />
vicino di tutti i combattenti. Gli eserciti<br />
ricorsero al «trinceramento», preferendo<br />
una guerra di logoramento agli scontri in<br />
campo aperto, per tutta una serie di molteplici<br />
cause riconducibili all’aumentato<br />
volume di fuoco degli eserciti.<br />
Si pensi solo alla precisione ed alla<br />
celerità di tiro acquisita dai nuovi fucili,<br />
anche a ripetizione, si pensi, ancora agli<br />
aumentati calibri delle artiglierie e alle loro<br />
aumentate gittate oltrechè alla loro mobilità<br />
e celerità del tiro. La trincea, dunque,<br />
venne ritenuta la soluzione più idonea in<br />
grado di dare un accettabile grado di<br />
copertura alle truppe.<br />
Peraltro, la trincea, mentre costituiva un<br />
serio ostacolo per gli attaccanti (soprattutto<br />
se questa era protetta da una serie di<br />
ostacoli passivi che ne esaltavano le<br />
potenzialità) rappresentava anche la base<br />
di partenza per azioni contro le postazioni<br />
avversarie. E così, tutti i belligeranti, realizzarono<br />
sul terreno una vera e propria<br />
ragnatela di scavi che, intersecandosi tra<br />
loro, avevano il compito di nascondere<br />
all’osservazione e al tiro diretto <strong>della</strong> fucileria<br />
nemica, le fanterie amiche.<br />
L’uso del trinceramento vanificò, di<br />
colpo, la dottrina esistente, frutto di concetti<br />
tattici antichi di secoli, attribuendo al<br />
combattimento una nuova fisionomia.<br />
Piero Pieri, storico <strong>della</strong> Grande<br />
Guerra, vedeva nella trincea una difesa<br />
che «…poneva l’intero popolo belligerante<br />
in condizioni di irrigidirsi davanti ad<br />
un’unica ben difesa postazione nella<br />
quale tutto l’esercito si annidava, che<br />
copriva tutto il suolo patrio, che non poteva<br />
essere aggirata, che sembrava poter<br />
75
STORIA<br />
Postazioni di alta montagna, dove gli elementi<br />
dell’organizzazione difensiva si adattano al<br />
terreno e la natura è spesso il primo avversario<br />
da combattere. La linea del fronte italoaustriaco<br />
correva in larga parte ad alta quota,<br />
in regioni dove nessuno aveva ma immaginato<br />
che gli uomini potessero vivere e combattere<br />
indifferenti al volgere delle stagioni.<br />
essere superata solo attraverso una<br />
gigantesca azione risolutiva….» (1).<br />
TIPOLOGIA DI TRINCEA E CARATTE-<br />
RISTICHE COSTRUTTIVE<br />
Origini storiche<br />
La costruzione delle trincee rientra in un<br />
ramo specifico dell’arte militare chiamata<br />
in particolare «fortificazione campale»,<br />
del capitolo relativo ai così detti «lavori sul<br />
76<br />
campo di battaglia». Non solo durante la<br />
Grande Guerra vennero realizzati lavori di<br />
fortificazione campale ma si conoscono<br />
esempi di trincee realizzate sin dai tempi<br />
dei persiani di Ciro e di Dario: si sa infatti<br />
che a Gaugamela il campo di battaglia<br />
venne preparato eseguendo lavori di<br />
scavo e innalzando fortificazioni. Con<br />
Cesare la fortificazione campale acquistò<br />
grande importanza per la creazione di<br />
posizioni fortificate.<br />
L’introduzione delle armi da fuoco e la<br />
loro continua evoluzione tecnica rese<br />
pressoché indispensabile il ricorso alla<br />
fortificazione campale e la concezione di<br />
lotta in campo aperto si ridusse ad<br />
un’area attorno alle fortezze riducendo<br />
così l’ampiezza del campo di battaglia. Il<br />
Vauban (2), creando e modificando molte<br />
piazzeforti, adattandole al terreno, diede<br />
origine alla tecnica per l’espugnazione
progressiva delle fortezze eseguita con<br />
l’impiego <strong>della</strong> zappa e del cannone.<br />
Conseguentemente alla Rivoluzione<br />
Francese e alla costituzione degli Eserciti<br />
nazionali, le tecniche del combattimento<br />
fuori dalle fortezze subirono ulteriori modifiche<br />
in funzione dell’aumentato numero<br />
dei combattenti.<br />
Fu con Napoleone che i «lavori sul<br />
campo di battaglia» e lo sfruttamento<br />
delle possibilità offerte dalla fortificazione<br />
campale assunsero un ruolo fondamentale<br />
proprio in ragione delle grosse masse<br />
di combattenti che si affrontavano. Le tecniche<br />
<strong>della</strong> fortificazione campale vennero<br />
ulteriormente perfezionate nel corso<br />
La siepe di filo spinato antistante alla trincea in<br />
un’immagine emblematica <strong>della</strong> situazione di<br />
stallo che si determinò ben presto anche sul<br />
fronte italiano, non appena l’avanzata oltre<br />
frontiera andò a urtare contro l’organizzazione<br />
difensiva predisposta dall’avversario.<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
<strong>della</strong> guerra d’oriente del 1853 e nel corso<br />
<strong>della</strong> guerra civile americana. A partire<br />
dalla seconda metà dell’ottocento, la realizzazione<br />
di armi dotate di sempre maggiore<br />
cadenza di tiro e potenza di fuoco<br />
resero necessario il ricorso a fortificazioni<br />
interrate che avevano lo scopo di dare<br />
una maggiore protezione ai combattenti.<br />
Si cercò, così, di conciliare due esigenze:<br />
la prima era quella di sfruttare le nuove<br />
armi da fuoco, la seconda era quella di<br />
ottenere, il più possibile, una ottimale<br />
copertura dal tiro nemico, tutto ciò rimanendo<br />
ancorati al terreno per sfruttarne le<br />
caratteristiche morfologiche (3). Per realizzare<br />
ciò era necessario soddisfare due<br />
principi costruttivi: il primo era quello di<br />
ottenere una buona postazione che consentisse<br />
l’osservazione del nemico, il<br />
secondo era connesso con la necessità di<br />
mantenere un'adeguata copertura dal<br />
fuoco avversario. Era necessario, dunque,<br />
defilare le proprie posizioni dalla<br />
77
STORIA<br />
vista del nemico mantenendo, comunque,<br />
adeguate possibilità di comunicazione e<br />
circolazione delle proprie truppe anche<br />
sotto il fuoco nemico. Era necessario,<br />
però, creare degli ostacoli, che impedissero,<br />
intralciassero e ritardassero i movimenti<br />
dell’avversario (4).<br />
Quando nel 1914 esplose il conflitto,<br />
l’Europa venne attraversata da nord a sud<br />
da due interminabili ordini di trincee: la<br />
prima correva, ininterrotta, dal Belgio alla<br />
Svizzera e costituiva il così detto fronte<br />
occidentale o fronte franco-britannico-germanico<br />
mentre la seconda trincea, a<br />
oriente <strong>della</strong> prima, era il fronte austrorusso-serbo-rumeno.<br />
Il 24 maggio 1915,<br />
per effetto dell’entrata in guerra dell’Italia<br />
si aprì un altro fronte, quello italo-austriaco,<br />
che si sviluppava per oltre 600 chilometri,<br />
dallo Stelvio al mare.<br />
Questo fronte, prevalentemente montano,<br />
in alcuni tratti raggiungeva i 3 000<br />
metri e solo negli ultimi 90 chilometri (da<br />
Gorizia al mare) si presentava semi pianeggiante<br />
e parzialmente sopraelevato<br />
rispetto alla bassa pianura friulana.<br />
Su questi quasi 90 chilometri finali di<br />
fronte, tra il 1915 e 1917, vennero combattute<br />
11 tra le battaglie più sanguinose<br />
<strong>della</strong> guerra sul fronte italiano.<br />
Costruzione e dimensione manufatto<br />
Da punto di vista costruttivo, le trincee<br />
erano realizzate come fossati profondi<br />
circa due metri, di larghezza variabile,<br />
con la fronte rivolta in direzione delle<br />
postazioni nemiche e che seguiva l’andamento<br />
del terreno.<br />
Teoricamente la sponda fronteggiante il<br />
nemico avrebbe dovuto avere alla base<br />
un gradino lungo tutta la lunghezza dello<br />
scavo avente la funzione di consentire<br />
alle vedette l’osservazione <strong>della</strong> linea<br />
nemica, per eseguire un tiro mirato contro<br />
78<br />
gli elementi attaccanti e un’azione di fucileria<br />
contro la trincea nemica.<br />
Peculiare era la situazione degli scavi in<br />
montagna dove le caratteristiche del terreno<br />
rendevano le opere di scavo particolarmente<br />
difficoltose e complesse. Si preferì<br />
quindi sfruttare tutte le pieghe del terreno<br />
per ottenere un appoggio per la linea<br />
difensiva e un riparo dal tiro nemico.<br />
Allo scopo di proteggere le pareti delle<br />
trincee dagli effetti delle piogge (allagamento)<br />
e per evitare il franamento delle<br />
pareti si ricorse, ove possibile, al loro rivestimento<br />
con legnami e graticci. Per<br />
aumentare l’impenetrabilità del trinceramento<br />
venivano posti sul ciglio dello<br />
scavo ostacoli passivi come reticolati di<br />
filo spinato o cavalli di frisia che avevano<br />
il compito di arrestare gli attaccanti fatti<br />
poi oggetto al fuoco dei difensori.<br />
Sarebbe stata infatti necessaria una<br />
forte concentrazione di fuoco di artiglieria,<br />
soprattutto di grosso calibro, per ottenerne<br />
la parziale distruzione o quanto meno<br />
l’apertura di varchi. Si usò inoltre l’accortezza<br />
di costruire la linea non con andamento<br />
rettilineo ma a zig zag allo scopo di<br />
assicurare alle truppe una migliore protezione<br />
dal tiro di artiglieria e rendendo difficoltosa<br />
l’osservazione all’avversario.<br />
Questo accorgimento dava ai difensori<br />
un’ulteriore possibilità e cioè quella di<br />
effettuare un tiro incrociato di fucileria e<br />
armi automatiche che aveva lo scopo di<br />
disorientare l’avversario.<br />
Mentre il concentramento del fuoco<br />
d’artiglieria sulle prime linee nemiche era<br />
una tecnica impiegata per manovre in<br />
campo aperto, per offensive eseguite in<br />
spazi limitati si preferiva impiegare tubi di<br />
gelatina esplosiva posti direttamente<br />
sotto il reticolato. Ciò esponeva ovviamente<br />
i soldati al duplice rischio di essere<br />
individuati durante l’avvicinamento al reticolato<br />
e, soprattutto, di notte durante
Dalla pubblicazione del Comando del Corpo di<br />
Stato Maggiore - Ufficio Difesa dello Stato,<br />
Norme complementari all’istruzione sui lavori<br />
del campo di battaglia, circolare n. 250 in data<br />
10 febbraio 1915.<br />
l’operazione di accensione <strong>della</strong> miccia.<br />
Infatti, di notte il bagliore dello «zolfanello»,<br />
utilizzato per l’accensione <strong>della</strong> miccia,<br />
produceva un bagliore in grado di permettere<br />
alla sentinella nemica di individuare i<br />
posatubi, di puntare e di fare fuoco.<br />
«…I sardi <strong>della</strong> Brigata Sassari ovviarono<br />
a quest’ultimo inconveniente muovendo<br />
dalla trincea con un sigaretto acceso e<br />
con la brace all’interno del cavo<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
orale…Questo sistema era detto “fogu a<br />
intro”...» (5).<br />
Dietro la trincea di prima linea ne venivano<br />
realizzate, se possibile, altre due<br />
poste a distanza variabile dalla prima in<br />
relazione alla morfologia del terreno.<br />
Queste due linee avevano lo scopo di<br />
conferire profondità allo schieramento<br />
garantendone la tenuta.<br />
Dei «camminamenti» collegavano tra<br />
loro le linee successive. In particolare,<br />
avevano il compito di consentire alle truppe<br />
quei movimenti tattici e logistici necessari<br />
alla vita <strong>della</strong> trincea mantenendo il<br />
personale al riparo dal fuoco e dalla<br />
osservazione del nemico.<br />
79
STORIA<br />
In terreno roccioso si compensava con i sacchi<br />
a terra la diffoltà di scavo.<br />
Allo scopo di consentire ai soldati in<br />
linea, ma non impegnati nella vigilanza,<br />
il riparo dalle intemperie e il riposo,<br />
all’interno delle trincee vennero realizzati<br />
dei ricoveri costruiti come nicchie.<br />
Questi venivano attrezzati con materiali<br />
di fortuna che avevano il duplice scopo<br />
di renderli, se possibile, più vivibili e,<br />
nello stesso tempo, più resistenti alle<br />
esplosioni.<br />
Dopo la 4 a battaglia dell’Isonzo, con l’arrivo<br />
<strong>della</strong> stagione invernale l’attività operativa<br />
giunse ad una fase di stallo. Fu in<br />
questo periodo che, sia da parte italiana<br />
che da parte austriaca, si procedette a<br />
lavori di rafforzamento delle prime linee.<br />
80<br />
Erano differenti i presupposti sui quali ci si<br />
basò per eseguire i lavori di rafforzamento.<br />
Era implicito, infatti, che agli italiani<br />
spettasse l’onere dell’offensiva in quanto<br />
la guerra era stata dichiarata da noi e a<br />
tale scopo le nostre trincee più che opere<br />
di ingegneria dovevano essere opere<br />
speditive che servivano da «testa di<br />
ponte» per l’assalto alla linea nemica.<br />
Come scrisse Luigi Barzini (6), ... «Il<br />
campo di battaglia italiano fu certamente il<br />
più aspro tra i campi di battaglia europei e<br />
il continuo incessante scavo di trincee fu<br />
terribilmente faticoso quanto necessario.<br />
A questo impegno le truppe non si sottrassero<br />
mai perché compresero, sin da<br />
subito, che la trincea era l’unico salvacondotto<br />
che poteva, in parte, garantire l’incolumità<br />
e quindi il ritorno a casa…».<br />
Dal canto loro gli austriaci avvertivano
la necessità di rafforzare le proprie linee<br />
allo scopo di migliorare le difese dalle<br />
offensive italiane.<br />
Tuttavia nell’inverno del 1915-1916<br />
anche gli italiani furono costretti, durante<br />
la stasi delle operazioni, a rafforzare le<br />
proprie linee difensive allo scopo di fornire<br />
riparo alle truppe.<br />
Fu in questo periodo che centinaia di<br />
chilometri di trincee vennero trasformate<br />
Trincee di seconda linea costruite al limitare<br />
dell’altopiano carsico nell’inverno 1916-1917,<br />
ricalcando in parte il tracciato delle vecchie<br />
linee di difesa austro-ungariche. L’allestimento<br />
di posizioni come queste in un terreno come<br />
quello del Carso richiedeva l’intervento di consistenti<br />
mezzi tecnici e di una forza lavoro specializzata,<br />
il che non era certo possibile a diretto<br />
contatto con l’avversario, dove le soluzioni<br />
costruttive erano ben più improvvisate.<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
in poderosi campi trincerati realizzati con<br />
abbondanza di materiali di rafforzamento,<br />
cemento armato compreso. Ciò comportò<br />
la realizzazione di nuovi elementi costruttivi<br />
quali ad esempio postazioni per mitragliatrici<br />
scavate nella roccia ma anche<br />
depositi di munizioni e di materiali vari e<br />
ricoveri per le truppe.<br />
La sicurezza di queste opere era affidata<br />
oltre che alle vedette a tutto un intricato<br />
sistema di filo spinato ancorato al terreno<br />
in mille modi diversi.<br />
A tal proposito, il piccone e il badile<br />
divennero, assieme al fucile, attrezzi cari<br />
al combattente. Ciò comportava lavori di<br />
scavo nella roccia che diventarono parte<br />
integrante dell’attività dei combattenti.<br />
Le trincee italiane, come già detto, si<br />
estendevano dallo Stelvio al mare<br />
seguendo in parte l’andamento del confi-<br />
81
STORIA<br />
Una trincea di Monte Valbella, importante<br />
punto di forza sull’Altopiano d’Asiago, il 26 febbraio<br />
1918, un mese dopo la sua riconquista<br />
nel corso <strong>della</strong> cosiddetta Battaglia dei Tre<br />
Monti che dimostrò la ritrovata capacità offensiva<br />
dell’<strong>Esercito</strong> e segnò l’inizio <strong>della</strong> ripresa.<br />
ne politico e disegnando sul terreno due<br />
profonde anse all’altezza del saliente<br />
82<br />
trentino e di quello carnico. Sicuramente<br />
più difficoltoso fu lo sviluppo delle linee<br />
nei territori montani: furono i reparti del<br />
genio a realizzarne la costruzione in<br />
maniera tale da rendere le fortificazioni<br />
sufficientemente resistenti e tali da impedire<br />
che l’avversario potesse avvolgere o<br />
aggirare le posizioni.<br />
Altri nemici durante il periodo invernale
erano il freddo e le piogge che trasformavano<br />
le trincee in autentici acquitrini: in tali<br />
condizioni le truppe erano esposte anche<br />
all’insorgenza e alle diffusione di gravi epidemie<br />
e malattie da raffreddamento.<br />
Spesso le trincee di prima linea correvano<br />
parallelamente e a non più di cinquanta<br />
metri da quelle austriache: la necessità di<br />
costruire tali linee su terreni caratterizzati<br />
da forte contro pendenza creava degli<br />
«angoli morti» per l’artiglieria nemica; per<br />
contro tale caratteristica consentiva ai<br />
nemici il lancio di grossi sassi a mo’ di<br />
valanga.<br />
All’interno delle trincee trovavano sistemazione<br />
anche comandi a livello compagnia<br />
e battaglione, collegati, telefonicamente,<br />
con i comandi sovraordinati e con gli<br />
schieramenti delle artiglierie orientate a<br />
favore.<br />
Oltre ai danni provocati ai collegamenti<br />
telefonici dalle granate, soprattutto in montagna,<br />
vi era il problema dei danni causati ai<br />
cavi telefonici dai fulmini che essi stessi attiravano.<br />
Tutto ciò creava continue interruzioni<br />
nelle comunicazioni complicando ulteriormente<br />
lo svolgimento delle operazioni<br />
belliche e rendendo necessarie continue<br />
opere di riparazione e ripristino delle linee.<br />
Vita da Trincea<br />
Teatro delle operazioni per il primo anno<br />
di guerra furono gli ultimi novanta chilometri<br />
di fronte che correvano da Gorizia al<br />
mare e che assorbivano, proporzionalmente,<br />
il maggior numero di forze.<br />
Il servizio in prima linea non consisteva<br />
in un continuo susseguirsi di fucilate intercalate<br />
da salve d’artiglieria e soprattutto<br />
non vi erano combattimenti giornalieri a<br />
cui sottostare e men che meno offensive<br />
o difensive periodiche da preparare o<br />
subire.<br />
La vita da trincea era una snervante<br />
ripetitività, giorni tutti uguali durante i quali<br />
venivano compiuti gesti sempre uguali<br />
che si susseguivano con estenuante<br />
monotonia. Gli assalti o il momento dell’avvicendamento<br />
per il riordino in seconda<br />
linea interrompevano questa monotonia.<br />
La ripetitività quotidiana divenne<br />
quindi modello di vita per il fante che, a<br />
causa di questa monotonia cominciò ad<br />
ammalarsi di depressione.<br />
Il mondo dei combattenti, per lo più giovani,<br />
era limitato allo spazio tra le trincee,<br />
quindi il ritmo di vita veniva scandito dalla<br />
ripetitività dei gesti interrotta dalle azioni<br />
di offensiva e dal continuo rischio di morire.<br />
L’unico desiderio, allora diventava<br />
quello di sperare in una morte rapida e<br />
senza sofferenze.<br />
NOTE<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
(1) P. Pieri: «La Prima Guerra Mondiale 1914-<br />
1918» Roma, Stato Maggiore <strong>Esercito</strong> 1986,<br />
p.22.<br />
(2) Sebastian Le Preste De Vauban: militare<br />
francese, uno dei più grandi ingegneri militari<br />
di tutti i tempi.<br />
(3) Capitano G. Del Giudice: «Fortificazione.<br />
Cenno storico, evoluzione <strong>della</strong> fortificazione<br />
durante la guerra mondiale, la fortificazione<br />
nell’avvenire», «Rivista di artiglieria e genio»<br />
del 1926.<br />
(4) Tenente Colonnello G. Forni: «Sviluppi Della<br />
Fortificazione Campale nella presente Guerra»,<br />
«Rivista di artiglieria e genio del 1917».<br />
(5) L. Cadeddu: «Sa Vida Pro Sa Patria -<br />
Storia <strong>della</strong> Brigata Sassari nella guerra del<br />
1915» Ed. Gaspari, Udine, 2008.<br />
(6) Luigi Barzini, l’inviato di guerra più noto del<br />
secolo scorso che nel 1915-18 fu corrispondente<br />
da diversi fronti del primo conflitto mondiale.<br />
□<br />
83
ASTERISCHI<br />
LA CYBERWAR COME<br />
STRUMENTO DI MINACCIA<br />
GLOBALE<br />
L’enorme diffusione e utilizzo dei<br />
sistemi informatici nella realtà<br />
quotidiana, in ambito militare,<br />
economico ecc., ha aperto nuovi scenari<br />
e generato nuovi strumenti per compromettere<br />
la globalità delle attività<br />
mondiali. A tal proposito si sono svilup-<br />
84<br />
del Maggiore Nicola GRAMMATICO<br />
in servizio presso lo Stato Maggiore <strong>della</strong> Difesa - III Reparto<br />
pate delle vere e proprie cellule sparse<br />
nei Paesi a «rischio terroristico elevato»<br />
che studiano, creano, testano e attaccano<br />
quotidianamente i siti e le reti informatiche<br />
mondiali civili e <strong>della</strong> difesa. Il<br />
loro scopo è quello di creare delle inefficienze,<br />
di carpire informazioni che pos-
sano minacciare il normale andamento<br />
delle attività nonché costituire una severa<br />
minaccia per il Paese attaccato. La<br />
minaccia informatica oggi si può suddividere<br />
in due categorie, come di seguito<br />
specificato:<br />
• la prima correlata ai «personal computer»,<br />
consistente in software e programmi<br />
dannosi;<br />
• la seconda correlata agli utilizzatori<br />
«users», ovvero particolari tecniche<br />
che manipolano gli utenti e li inducono<br />
a compiere intenzionalmente azioni<br />
(che di solito non fanno) tese a far rilasciare<br />
informazioni sensibili.<br />
Alla prima categoria appartengono i<br />
cosiddetti malware, alla seconda i social<br />
engineering e i phishing. Il malware,<br />
ovvero MAL-icious soft-WARE, è un programma<br />
creato o modificato deliberata-<br />
mente per generare un’azione non autorizzata,<br />
spesso dannosa all’interno del<br />
computer.<br />
TIPI DI MALWARE<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Fanno parte dei malware: Virus, Worm,<br />
Trojan, Rootkit, Spyware, Adware e<br />
Polymorphic malware. Ormai sono talmente<br />
diffusi che è difficilissimo distinguerli<br />
se non solo per i differenti scopi che<br />
ognuno di questi si propone. Il termine<br />
virus spesso è usato erroneamente per<br />
descrivere tutto ciò che danneggia il<br />
nostro personal computer, ma in realtà si<br />
tratta di una piccola applicazione o una<br />
stringa di un codice il cui scopo fondamentale<br />
è trovare un «computer ospitante» per<br />
riprodursi e diffondersi in rete all’insaputa<br />
85
ASTERISCHI<br />
dell’utente. Di norma esso si attacca ad<br />
un file e si diffonde tramite «hard disk»<br />
rimovibili (chiavi usb, cd, floppy) o tramite<br />
e-mail via internet. Ovviamente<br />
anche i virus hanno delle categorizzazioni<br />
in base alle loro caratteristiche,<br />
esistono i «boot-sector virus» cioè virus<br />
che si nascondono e si diffondono nei<br />
boot-sector (partizioni che contengono il<br />
sistema operativo) di un hard disk, i file<br />
virus che si nascondono nei file e si<br />
generano tramite copie e, infine, i macro<br />
virus (macro perchè infettano i codici<br />
macro delle applicazioni del pacchetto<br />
Office) che infettano documenti e templates<br />
dei programmi più diffusi quali<br />
Word e Excel. I worm (letteralmente<br />
«verme») si differenziano dai virus perchè<br />
si auto replicano e si diffondono<br />
senza bisogno di legarsi ad un computer<br />
o ad un programma. I mezzi di propagazione<br />
sono i soliti, e-mail, siti internet<br />
e dischi rimovibili. Essi si diffondono<br />
maggiormente via rete in pochi minuti<br />
sfruttando dei bug (dei buchi) diffusi.<br />
I trojan devono il loro nome al fatto<br />
che sono nascosti in programmi che non<br />
si auto replicano e che sembrano appa-<br />
86<br />
rentemente utili ma in realtà<br />
contengono dei software dannosi,<br />
ad esempio arriva una email<br />
con allegato uno screensaver,<br />
lo si apre e mentre<br />
apprezziamo il nuovo screen<br />
saver in realtà il trojan silenziosamente<br />
si è installato sul<br />
nostro pc, ma a differenza dei<br />
virus esso non istalla codici<br />
ma manda informazioni silenziosamente<br />
al proprio originatore<br />
usando la nostra connessione.<br />
Il rootkit è una tecnica che<br />
serve a tenere nascosto il<br />
malware dal sistema operativo,<br />
dagli users, e dai software di sicurezza.<br />
In sostanza è un software creato<br />
per avere il controllo completo del sistema<br />
all’insaputa degli utenti. L’utente<br />
vede una normale utility, ma in realtà<br />
nel sistema si stanno replicando files e<br />
librerie da inviare all’originatore attraverso<br />
le «backdoor» (porte di servizio<br />
create dal software che aggirano tutti i<br />
sistemi di sicurezza e consentono il<br />
controllo diretto sul sistema da parte<br />
dell’originatore del rootkit). Ma i rootkit<br />
sono anche usati per alcuni software di<br />
copyright come la Sony, che installa di<br />
nascosto un software per evitare che il<br />
cd venga copiato con alcuni programmi,<br />
in modo da dover usare solo un determinato<br />
software specifico per poter riprodurre<br />
quel cd.<br />
Gli spyware sono programmi che si<br />
installano di nascosto su un pc per intercettare<br />
varie informazioni (password,<br />
numeri di carte di credito, username),<br />
ovvero tutte le attività compiute on-line<br />
da un utente senza il suo consenso trasmettendole<br />
tramite internet a delle<br />
organizzazioni che le useranno per tranne<br />
profitto. Può essere installato su un
computer di un ignaro utente attraverso<br />
le attività di «ingegneria sociale» di cui<br />
parleremo più avanti.<br />
L’adware è un programma creato per<br />
lanciare annunci e per reindirizzare la<br />
pagina web verso siti promozionali,<br />
spesso si trovano in software freeware o<br />
shareware. Di solito non sono una<br />
minaccia.<br />
Infine, rientra nella categoria il polymorphic<br />
malware, il malware più pericoloso<br />
perchè muta costantemente passando<br />
da worm a trojan a malware risultando<br />
difficile da eliminare e soprattutto<br />
da individuare per i moderni sistemi di<br />
sicurezza.<br />
Il social engineering, ovvero lo studio<br />
del comportamento individuale abituale<br />
di una persona per carpirne delle informazioni,<br />
in informatica è l’unica possibilità<br />
che un individuo ha di trovare un<br />
bug, una crepa, per poter attaccare un<br />
sistema quando questo è inattaccabile<br />
dal punto di vista tecnico. Così, attraverso<br />
l’inganno si cerca di carpire password,<br />
accessi e dati sensibili. Rientra<br />
in questa categoria il cosiddetto phishing<br />
ovvero un sistema di e-mail finte<br />
dove vengono chiesti dei dati con l’inganno,<br />
di solito per ricevere un premio o<br />
per controllare un’anomalia.<br />
CAUSE DEI MALWARE<br />
Le motivazioni che portano a creare e<br />
diffondere i malware sono molteplici.<br />
Occorre innanzitutto partire dal fatto che<br />
chi genera un malware è uno specialista<br />
informatico, che molto spesso lo diffonde<br />
per testare il suo livello, per far sapere<br />
che è in grado di colpire il sistema,<br />
per migliorare la sua reputazione o<br />
dimostrare il suo prestigio agli altri hacker,<br />
a volte anche per uno scherzo e<br />
non ultimo per danaro. Infatti internet<br />
risulta essere un’enorme miniera.<br />
Recentemente una nota rivista di informatica<br />
ha pubblicato le tariffe degli hacker<br />
trovate su un forum specialistico in<br />
internet di seguito riportate:<br />
Typical prices in hacker forums :<br />
• $ 1,000 a $ 5,000: per un Trojan che trasferisce<br />
fondi attraverso conti on-line.<br />
• $ 500: per ogni programma di clonazione<br />
carte di credito con PIN.<br />
• $ 80 a $ 300: per un programma che<br />
modifichi i dati di fatturazione,<br />
account, indirizzi, data di nascita.<br />
• $ 7 a $ 25: per ogni numero di carta<br />
credito con il codice di sicurezza e<br />
data di scadenza carpite.<br />
• $ 7: per ogni PayPal o eBay account<br />
con password carpito.<br />
METODI DI DIFESA<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
I metodi per contrastare queste minacce<br />
sono limitati all’installazione di<br />
antivirus e di software di sicurezza che<br />
ultimamente riescono a monitorare,<br />
scansionare, proteggere e disinfettare il<br />
sistema dai virus, dai worms e dai malware,<br />
a bloccare gli adware e gli spyware<br />
ma non riescono a rimuovere i rootkit<br />
già precedentemente installati, né riescono<br />
a proteggere dal social engineering.<br />
L’antivirus in un sistema è essenziale<br />
e aiuta a mantenere elevata la<br />
sicurezza ma non la garantisce al<br />
100%. Pertanto per ottenere una cornice<br />
di sicurezza elevata occorre mantenerlo<br />
sempre aggiornato e essere sempre<br />
attenti alle e-mail di social engineering.<br />
Infatti, oltre agli antivirus il primo<br />
metodo di sicurezza essenziale è l’educazione<br />
e l’attenzione dell’utilizzatore<br />
che deve essere sempre pronto a<br />
respingere il social engineering.<br />
87
ASTERISCHI<br />
Sala operativa allestita in occasione dell’operazione<br />
«Gran Sasso» - Sisma Abruzzo 2009.<br />
DISTRIBUTED DENIAL OF SERVICES<br />
Molti virus sono passati alla storia per<br />
l’enorme diffusione e il maggior numero<br />
di PC messi fuori uso all’interno di una<br />
rete e non. Ma oggi il mondo informatico<br />
è sempre più in evoluzione così come lo<br />
sono le tecniche di difesa, tanto che gli<br />
hacker «professionisti» hanno sviluppato<br />
e perfezionato delle azioni improvvise<br />
sempre più efficienti e difficili da contrastare,<br />
in una parola il cosiddetto DDOS<br />
(Distributed Denial Of Services) letteralmente<br />
negazione distribuita dei servizi.<br />
Si tratta di un attacco informatico che<br />
cerca di portare il funzionamento di un<br />
sistema informatico che fornisce un<br />
determinato servizio, ad esempio un sito<br />
88<br />
web o una rete, al limite delle prestazioni,<br />
lavorando su uno dei parametri d’ingresso,<br />
fino a renderlo non più in grado<br />
di erogare il servizio. In pratica è un<br />
genere di attacco nel quale i cosiddetti<br />
pirati (crackers) attivano un numero elevatissimo<br />
di false richieste da più macchine<br />
allo stesso server, in questo modo<br />
il provider «affoga» letteralmente sotto<br />
le richieste e non è più in grado di erogare<br />
i propri servizi, risultando quindi<br />
irraggiungibile. Per rendere più efficace<br />
l’attacco in genere vengono utilizzati<br />
molti computer inconsapevoli (zombie)<br />
da svariate parti del mondo sui quali<br />
precedentemente è stato inoculato un<br />
programma appositamente creato per<br />
questi attacchi e che si attiva ad un<br />
comando proveniente dal pc (master)<br />
del cracker creatore. Quindi, migliaia di<br />
PC violati da un cracker, producono<br />
inconsapevolmente e nello stesso istan-
te un flusso incontenibile di dati che travolgono<br />
come una valanga anche i link più<br />
capienti del sito attaccato. Inizialmente<br />
questi attacchi avevano matrici di dissenso<br />
etico, invece negli ultimi tempi hanno<br />
assunto una matrice criminale volta a recare<br />
danni agli utenti di quel sistema e al<br />
sistema stesso. Il primo grande DDOS si<br />
ebbe nel 2000 quando i siti Yahoo, ebay<br />
e CNN vennero messi fuori uso per<br />
molte ore a causa delle elevate richieste<br />
arrivate contemporaneamente. I computer<br />
«zombie» usati in quell’occasione si<br />
scoprì essere quelli di un college <strong>della</strong><br />
California ovviamente inconsapevoli<br />
<strong>della</strong> loro attività. Uno dei più recenti ed<br />
eclatanti DDOS, che ci mostra quanto<br />
importante sia al giorno d’oggi la sicurezza<br />
informatica, anche e soprattutto in<br />
ambito militare, è il «cyber attack» sferrato<br />
il 27 aprile del 2007 in Estonia,<br />
dove vennero colpiti pesantemente e<br />
contemporaneamente tutti i siti delle istituzioni,<br />
del governo, dei giornali e delle<br />
banche aventi dominio EE, ovvero<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Estonia. Ovviamente i provider estoni<br />
non erano preparati ne pronti per quest’attacco<br />
che causò molte inefficienze e<br />
molti danni anche economici, al Paese.<br />
Il governo identificò l’attacco come una<br />
protesta, dell’etnia russa presente in<br />
Estonia, alla rimozione dal cimitero di un<br />
monumento di guerra sovietico simbolo<br />
dei caduti in guerra, ma per gli estoni<br />
visto come un odiato simbolo dell’occupazione<br />
straniera. Circa 1 milione di<br />
zombie da tutto il mondo vennero usati<br />
con tecniche informatiche avanzate,<br />
all’insaputa degli utenti e i siti web coinvolti<br />
rimasero inutilizzabili per molte ore.<br />
ATTORI DEGLI ATTACCHI INFORMATICI<br />
Chi sono i responsabili degli attacchi<br />
informatici? Il <strong>Ministero</strong> <strong>della</strong> Difesa<br />
Traccia globale degli attacchi informatici -<br />
anno 2010.<br />
89
ASTERISCHI<br />
SCRIPT KIDDIE<br />
RECREATIONAL HACKER<br />
CYBER ACTIVIST<br />
degli Stati Uniti ha elaborato una classificazione<br />
in merito stabilendo attori e<br />
scopo.<br />
Si riconoscono:<br />
• Script kiddie: ovvero hacker che si<br />
limitano ad utilizzare sistemi, tecniche,<br />
codici e programmi ideati da altri, e<br />
che si dilettano a seguire pedissequamente<br />
le istruzioni, copiando/modificando<br />
leggermente gli script, facendo<br />
intendere di essere grandi guru dell’informatica.<br />
Di solito piccoli gruppi o singoli<br />
hacker alle prime armi.<br />
• Recreational Hacker: hacker che<br />
posseggono un alto livello informatico,<br />
90<br />
CRIMINALITÀ<br />
ORGANIZZATA<br />
Schema d’intensità <strong>della</strong> minaccia informatica.<br />
• Verde: minaccia di bassa intensità;<br />
• Giallo: minaccia di media intensità;<br />
• Rosso: minaccia di alta intensità.<br />
ORGANIZZAZIONI<br />
TERRORISTICHE<br />
STATI<br />
NAZIONI<br />
MINACCIA<br />
INTERNA - USER<br />
di solito motivati da curiosità di testare<br />
il proprio livello o la propria invenzione<br />
per poi vantarsene nel mondo <strong>della</strong><br />
pirateria, di solito singoli o piccoli<br />
gruppi.<br />
• Cyber Activist: attivisti professionali<br />
che posseggono un’alta esperienza e un<br />
alto livello informatico usati per attacchi<br />
DDOS o per schernire alcuni siti.<br />
• Criminalità organizzata: hacker di<br />
medio-alto livello che in cambio di<br />
moderni sistemi e di protezione lavorano<br />
per una grande organizzazione criminale<br />
per la cifratura di sistemi, per carpire<br />
codici e clonare carte di credito.
• Organizzazioni terroristiche: singoli<br />
hacker o gruppi che lavorano direttamente<br />
per organizzazioni terroristiche o<br />
in loro supporto per motivazioni terroristiche.<br />
• Stati - Nazioni: gruppi di hacker selezionati<br />
e tecnologicamente avanzati<br />
sponsorizzati dagli Stati per raccogliere<br />
dati e informazioni di proprietà di<br />
altri governi. Inseriti in vere e proprie<br />
cyber-cellule in supporto ad attività di<br />
spionaggio.<br />
• Minaccia interna: comune user, è l’attore<br />
più pericoloso perchè ha l’accesso<br />
fisico diretto alla rete e a volte inconsapevolmente<br />
crea disservizi direttamente<br />
dall’interno.<br />
Negli ultimi anni si è rilevato un crescente<br />
aumento degli attacchi informatici<br />
diretti ai siti di interesse strategicomilitare.<br />
Alcuni gruppi terroristici<br />
infatti, adottando<br />
tecniche avanzate e<br />
arruolando abili hacker<br />
possono condurre delle<br />
cyber-guerre «asimmetriche<br />
e asincrone». È sufficiente<br />
un singolo individuo<br />
per poter attaccare<br />
un grande e sproporzionato<br />
numero di servizi, di<br />
sistemi e di persone. Egli<br />
può selezionare anche<br />
l’ora e il luogo dell’attacco.<br />
Ovviamente le Nazioni<br />
non stanno a guardare;<br />
alcune stanno sviluppando<br />
le capacità per condurre<br />
delle cyber-warfare<br />
offensive e con le risorse che ogni Stato<br />
ha a disposizione e i vantaggi che si<br />
hanno conducendo una cyber guerra<br />
asimmetrica e asincrona, la minaccia da<br />
queste fonti non può che aumentare e<br />
diventare sempre più credibile.<br />
CYBER WARFARE<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Nel 2003 il governo USA, ad una serie<br />
di attacchi informatici condotti contemporaneamente<br />
da attori stranieri ai computers<br />
<strong>della</strong> propria Difesa, delle imprese<br />
collegate ad essa e ai suoi siti governativi<br />
(senza un obiettivo definito ma<br />
solo carpire il massimo delle informazioni<br />
possibile) assegnò il nome in codice<br />
di «Titan Rain». La loro precisa natura<br />
era: spionaggio sponsorizzato da altri<br />
Stati, da altre aziende, attacchi da singoli<br />
hackers. Intorno al dicembre del<br />
2005, il direttore del SANS (SysAdmin,<br />
Audit, Networking, and Security)<br />
Institute, un Istituto di sicurezza degli<br />
U.S. comunicò che gli attacchi furono<br />
per la maggior parte riconducibili al<br />
corpo militare cinese e finalizzati ad<br />
ottenere informazioni sui sistemi informatici<br />
USA. I Titan Rain hackers riuscirono<br />
ad ottenere l’accesso a molte reti<br />
informatiche USA, incluse quelle delle<br />
più grandi industrie militari come<br />
Lockheed Martin, Sandia National<br />
91
ASTERISCHI<br />
Laboratories, Redstone Arsenal e <strong>della</strong><br />
NASA.<br />
Precedentemente, nel 1999, il governo<br />
USA diede il nome in codice «Moon-<br />
Light Maze» ad una serie di attacchi<br />
coordinati ai computer del Dipartimento<br />
di Difesa, delle più importanti università<br />
e di alcuni imprenditori militari. Gli attacchi<br />
furono ricondotti ad un computer di<br />
Mosca, ma non è chiaro se da lì avessero<br />
avuto origine o fosse stato usato<br />
semplicemente come snodo. Gli hacker<br />
riuscirono ad ottenere ingenti quantità di<br />
92<br />
dati, come codici navali classificati o<br />
informazioni sui sistemi di guida dei missili,<br />
anche se non è mai stato confermato<br />
che tali informazioni furono di fatto<br />
compromesse. Gli attacchi sarebbero<br />
cominciati a bassa frequenza nel gennaio<br />
1999, contrastati quasi immediatamente<br />
ne fu rintracciata la loro sede a<br />
Mosca; questo non fermò gli intrusi che<br />
continuarono ad accedere quasi silenziosamente<br />
per un anno, lasciando però<br />
qua e là tracce informatiche. Alcune<br />
cariche del Dipartimento <strong>della</strong> Difesa
dichiararono che l’attacco fosse un’opera<br />
dell’intelligence russa finanziata dal<br />
proprio Stato per mettere le mani sulla<br />
tecnologia degli USA.<br />
In seguito a ciò, il Dipartimento <strong>della</strong><br />
Difesa degli Stati Uniti stilò un programma<br />
classificato di emergenza denominato<br />
«Byzantine Foothold», all’interno di<br />
un quadro più ampio di iniziative cyber<br />
difensive volto a ridurre e a prevenire le<br />
intrusioni straniere nelle reti delle agenzie<br />
federali degli Stati Uniti. I venti più<br />
grandi imprenditori militari-industriali<br />
americani furono invitati a partecipare al<br />
programma, dopo che un altro attacco<br />
hacker molto potente fu rilevato alla<br />
Booz Allen Corporation, compagnia che<br />
fornisce sistemi di sicurezza e di difesa<br />
al Governo USA. La fonte di questi<br />
attacchi fu la Cina, anche se la<br />
Repubblica Cinese ha sempre negato il<br />
suo coinvolgimento.<br />
Volendo stilare una graduatoria, i siti<br />
più colpiti dagli hacker risultano essere<br />
del settore pubblico istituzionale, seguiti<br />
dai siti di elettronica, di avionica, di commercio<br />
e poi a seguire i siti militari, di<br />
comunicazione e di finanza.<br />
LA MINACCIA FUTURA<br />
Ultimamente internet ha assistito alla<br />
proliferazione di migliaia di siti estremisti<br />
realizzati negli ultimi anni per colpire le<br />
strutture occidentali, usando tecnologia<br />
avanzata, sistemi di crittografia sofisticata<br />
e apparati di comunicazione. I<br />
Cinesi hanno sviluppato un perfezionato<br />
sistema capace di attaccare e penetrare<br />
i nostri sistemi informatici e internet. La<br />
Cina, negli ultimi anni sta investendo<br />
molto nella cyber war, che ha assunto<br />
un ruolo di primaria importanza nelle<br />
strategie globali. Infatti, riuscire a carpi-<br />
re informazioni protette penetrando nei<br />
sistemi, così come sviluppare programmi<br />
che possano permettere di danneggiare<br />
e bloccare i sistemi stranieri in<br />
caso di emergenza, genera un enorme<br />
vantaggio. Le minacce stanno diventando<br />
sempre più complesse, (website<br />
spoofing, falsi siti simili agli originali,<br />
metodi di phishing) sempre più difficili<br />
da rilevare, (comunicazioni via internet<br />
nascoste) più remunerative (tecniche di<br />
hacking avanzate, canali internet usati<br />
come moderno strumento di comunicazione<br />
per reclutare terroristi pro/Jihad e<br />
per acquisire moderni sistemi tecnologici,<br />
proliferazione di informazioni false<br />
contro i Governi Occidentali e NATO) e<br />
più pervasive (incremento di strumenti<br />
portatili (GSM, GPS, PDA) che nascondono<br />
e trasmettono informazioni difficilmente<br />
rilevabili e abilità tecniche nell’usare<br />
questi dispositivi spesso associate<br />
ad elementi vicini a governi ostili o<br />
a servizi di intelligence).<br />
CONCLUSIONI<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Cosa fare? Le contromisure principali<br />
da adottare sono di due tipologie: tecnologiche<br />
e umane (mantenendo la riservatezza<br />
limitando gli accessi, e garantendo<br />
l’integrità controllando i dati). Si<br />
può possedere il miglior sistema di sicurezza,<br />
ma non serve se poi si perde o si<br />
rivela la propria password d’accesso al<br />
sistema.<br />
È quindi una continua rincorsa tra il<br />
bene ed il male, sempre più ricca di<br />
ostacoli ed imprevedibilità che vede<br />
comunque l’inventiva dell’uomo come<br />
perno centrale del sistema.<br />
□<br />
93
RECENSIONI<br />
Giancarla Tiralongo: «Forse Armate -<br />
Manuale di sopravvivenza per chi ama<br />
un militare», Edizioni ETS, 2012, pp. 95,<br />
euro 14,00.<br />
Armata (senza forse) di tanta ironia,<br />
spesso confinante col sarcasmo,<br />
Giancarla Tiralongo, protagonista di<br />
fortunati spettacoli di cabaret, ci regala<br />
il ritratto di un’inedita categoria di<br />
donna: la moglie di militare. Il suo godibile<br />
libro offre uno spaccato <strong>della</strong> vita<br />
di coppia da un’angolazione particolare,<br />
quella di single a intermittenza, per<br />
le frequenti e prolungate assenze dell’altro<br />
elemento <strong>della</strong> coppia: il nostro<br />
soldato, spesso in giro per il mondo a<br />
94<br />
tenere alto l’onore <strong>della</strong> Patria.<br />
Racconta quindi di ansie, fatiche e<br />
stress toccando tutte le corde delle<br />
emozioni e dei sentimenti. L’innocente<br />
visita di un amico carabiniere mentre il<br />
marito è in Iraq la getta in un terrore<br />
convulso di ricevere la fatale notizia e<br />
la fa piangere e vomitare per due giorni<br />
perchè, tra l’altro, è incinta. Al rientro<br />
dalle missioni lei e sua figlia vengono<br />
sistematicamente aggredite da<br />
«un disordine verde. Zaini, divise,<br />
accessori vari». Facendo una vita<br />
così fuori dal comune, anche i normali<br />
problemi di comunicazione tra i<br />
sessi si aggravano: «Mio marito è un<br />
uomo colto, parla tutte le lingue tranne<br />
la mia». E lo stress, ovviamente, la<br />
porta ad ingrassare e fumare innescando<br />
il circolo vizioso: «fumo per<br />
non mangiare e mangio per non fumare».<br />
La vita <strong>della</strong> nostra «eroina»<br />
ondeggia tra la solitudine e l’attesa da<br />
una parte e il caos e lo stress dall’altra,<br />
tra l’assenza del marito e mancanza<br />
<strong>della</strong> famiglia d’origine, tra traslochi<br />
e ricerca di appartamenti in<br />
affitto. Ad un certo punto ci viene il<br />
sospetto che, fosse stata informata<br />
per tempo, avrebbe soffocato Cupido<br />
nella culla. Ma è una falsa impressione,<br />
perché la spiritosa Tiralongo non<br />
nasconde più di tanto un onesto orgoglio<br />
per la sua condizione di «moglie<br />
con le stellette»: con l’anima anche lei<br />
è in quei posti lontani, accanto al suo<br />
soldato, a render servigi al suo<br />
Paese, non foss’altro come reparto<br />
salmerie, di vitale supporto agli operativi.<br />
La decisione di scrivere il libro<br />
nasce perché «ancora oggi non mi<br />
abituo al lutto di quelle famiglie, ma la<br />
cosa peggiore è incontrare persone<br />
che dicono cose orribili sui nostri<br />
ragazzi, tanto sono solo unità volonta-
ie e prendono un sacco di soldi».<br />
Infatti, «dopo una litigata degna di un<br />
abitante del Bronx sostenuta in un bar<br />
all’ennesimo commento all’ennesimo<br />
lutto, ho deciso che la buffa vita familiare<br />
e coniugale di un soldato qualsiasi<br />
con tutte le sue banali difficoltà<br />
dovesse essere raccontata. Perché si<br />
sappia che questi soldati hanno un<br />
nome, una vita, una famiglia e un<br />
impegno più grande del comprensibile<br />
a molti».<br />
Anche in assenza di tragedie, comunque,<br />
il prezzo da pagare è sempre<br />
molto alto. Già al ritorno dalla prima<br />
missione, dopo quattro mesi di stressante<br />
attesa, la moglie non ritrova più<br />
l’uomo che era partito: «Lo sguardo di<br />
quattro mesi prima, il suo sguardo,<br />
non è più tornato e conoscersi di<br />
nuovo è stato uno degli sforzi più<br />
grandi che abbiamo fatto per amore<br />
nostro e <strong>della</strong> nostra piccola». Non si<br />
tratta quindi solo di fare fronte con<br />
stile alle «cinque sfumature di bianco»<br />
derivanti da un matrimonio «a<br />
part-time verticale», ma di sopportare<br />
una condizione molto particolare che,<br />
se accettata con umiltà e coraggio, si<br />
trasforma in una grande lezione di<br />
vita. Questa consiste nel riuscire a<br />
non prendere sul personale e a non<br />
portare il broncio ai disagi, ma a prenderli<br />
con ironia, anzi con autoironia.<br />
Così, chiedendosi da dove tutto ciò<br />
sia mai cominciato, la Tiralongo risale<br />
fino ad Adamo: «in effetti, anche lui<br />
era un soldato a modo suo, combatteva<br />
contro l’esercito di cavolate che<br />
diceva Eva». Ed infine riconosce che,<br />
inspiegabilmente ma innegabilmente,<br />
«il masochismo è una delle doti delle<br />
mogli dei militari!».<br />
Lia Nar<strong>della</strong><br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
Robert Fisk: «Il martirio di una nazione.<br />
Il Libano in guerra», il Saggiatore S.P.A.,<br />
2010, pp. 848, euro 35,00.<br />
Il Libano, secondo il corrispondente del<br />
Times, Robert Fisk, è la descrizione storicogiornalistica<br />
<strong>della</strong> guerra civile in Libano e<br />
<strong>della</strong> storia travagliata del «Paese dei Cedri»<br />
fino allo scontro tra Hezbollah ed Israele del<br />
2006.<br />
Tra le descrizioni e le ricostruzioni dei<br />
drammatici avvenimenti, il corrispondente<br />
britannico del Times intervista i principali<br />
protagonisti del complesso mondo libanese,<br />
Yasser Arafat, Bashir, Gemayel, Abbas<br />
al – Mussawi, il Generale Aoun, Nabih<br />
Berri, Rafiq Hariri e Hassan Nasrallah.<br />
Il giornalista britannico però va oltre la rico-<br />
95
RECENSIONI<br />
struzione di quella che fu la guerra civile del<br />
Libano e si addentra in un’antropologica analisi<br />
<strong>della</strong> società e <strong>della</strong> politica libanese, fatta<br />
di complotti e repentini cambi di alleanze.<br />
Una società e un popolo accogliente che<br />
nel giro di trent’anni di guerra ha accolto e<br />
poi respinto, e in certi casi umiliato, i numerosi<br />
eserciti e contingenti multinazionali<br />
che hanno cercato di portare la pace e<br />
garantire stabilità al Libano.<br />
Fisk è spettatore diretto e duro critico del<br />
drammatico intervento americano e di<br />
quello francese a Beirut nel 1983 così<br />
come dei continui e indiscriminati attacchi<br />
israeliani che fanno da filo conduttore sia<br />
nell’invasione del 1982 sia nel drammatico<br />
bombardamento di civili avvenuto a Qana<br />
nel 1996.<br />
Raccapriccianti le descrizioni dell’autore nel<br />
tentare di raccontare le scene di disperazione<br />
dei sopravvissuti al massacro perpetrato<br />
dalle milizie falangiste con il tacito assenso<br />
dell’<strong>Esercito</strong> israeliano nel campo profughi<br />
palestinese di Sabra e Shatila nel 1982.<br />
Particolarmente duri i giudizi dell’autore<br />
nell’analizzare la condotta bellica e la politica<br />
delle cannoniere portate avanti dagli<br />
Stati Uniti nel vano tentativo di sostenere il<br />
sempre più debole Amin Gemayel assediato<br />
dai drusi e dal nascente movimento<br />
di guerriglia composto da sciiti libanesi che<br />
costituirà l’ossatura di Hezbollah.<br />
Di segno nettamente opposto il giudizio di<br />
Fisk sul contingente italiano sotto il comando<br />
del Generale Angioni che ben si contraddistinse<br />
nel cercare di comprendere le<br />
sfumature <strong>della</strong> società libanese.<br />
Al riguardo, l’autore ci tiene a precisare<br />
come il Generale Angioni avesse distribuito<br />
a tutti i militari impegnati in Libano un<br />
opuscolo che riassumeva la storia del<br />
«Paese dei Cedri» e analizzava le sue<br />
confessioni religiose.<br />
L’autore inoltre è testimone diretto dei<br />
sequestri che colpirono giornalisti occiden-<br />
96<br />
tali e personale di ambasciata dalla metà<br />
degli anni ‘80 fino ai primi anni ‘90.<br />
Fisk vive in prima persona il sequestro dell’amico<br />
e direttore Associated Press, Terry<br />
Anderson, protrattosi dal marzo del 1985 al<br />
dicembre del 1991.<br />
Quasi tangibile anche per i lettori il clima di<br />
terrore che si respirava nella Beirut di quegli<br />
anni, in cui ogni vettura con a bordo<br />
uomini con barbe lunghe poteva far pensare<br />
a potenziali sequestratori.<br />
Il lavoro di Fisk si conclude cronologicamente<br />
con la guerra del 2006 in cui<br />
l’<strong>Esercito</strong> israeliano si vide sbarrata la strada<br />
dalle organizzatissime milizie sciite di<br />
Hezbollah e il conseguente intervento<br />
dell’ONU ancora oggi presente in Libano.<br />
Forte il messaggio che l’autore vuole trasmettere<br />
nel contestare l’utilizzo del termine<br />
terrorista adottato a senso unico e in<br />
particolare da Israele nel definire i suoi<br />
nemici. Per Fisk, infatti, l’uso del termine<br />
terrorista andrebbe utilizzato per tutte le<br />
milizie e per tutti gli attori che presero parte<br />
alla guerra civile libanese e ai più recenti<br />
scontri del 2006.<br />
Allo stesso tempo contesta l’alternanza<br />
del termine guerrigliero/terrorista a<br />
seconda delle convenienze e delle latitudini.<br />
Eguale condanna meritano per<br />
l’autore gli attacchi suicidi contro le<br />
Ambasciate americane e francesi da<br />
parte delle milizie sciite così come il<br />
bombardamento indiscriminato condotto<br />
dalle Forze Armate israeliane contro i<br />
civili palestinesi e libanesi presenti in<br />
una Base delle Nazioni Unite.<br />
Gli spunti e le riflessioni di Fisk su questa<br />
complessa e dibattuta tematica, così<br />
come il protrarsi dell’instabilità <strong>della</strong> politica<br />
libanese, sono dei drammatici ricorsi<br />
storici ai quali gli uomini non hanno<br />
ancora saputo dare una soluzione.<br />
Luigino Cerbo
Matteo Bressan: «Hezbollah. Tra integrazione<br />
politica e lotta armata»,<br />
Datanews Editrice Srl, Roma, 2012, pp.<br />
181, euro 16,00.<br />
Ricerca storica e analisi politica sono le<br />
chiavi con le quali Matteo Bressan, l’autore<br />
di «Hezbollah. Tra integrazione politica<br />
e lotta armata», edito da Datanews e disponibile<br />
in libreria, affronta le questioni relative<br />
ad uno dei più importanti soggetti<br />
politici del Medio Oriente.<br />
Guidato dal carismatico leader Hassan<br />
Nasrallah il movimento sciita libanese è<br />
oggi sotto la lente di ingrandimento per il<br />
presunto coinvolgimento nell’attentato<br />
che nello scorso luglio, in Bulgaria, costò<br />
la vita a cinque turisti israeliani.<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
L’attività e la natura di Hezbollah sono<br />
però, non da oggi, oggetto di divisione<br />
all’interno <strong>della</strong> comunità internazionale<br />
con gli Stati Uniti e con Israele che lo considerano<br />
un movimento terroristico, e con<br />
l’Unione Europea che preferisce un atteggiamento<br />
più prudente, distinguendo l’ala<br />
militare del partito da quella politica.<br />
È sull’azione politica di Hezbollah che si<br />
concentra l’analisi dell’autore che, formatosi<br />
presso il Centro Alti Studi per la<br />
Difesa, decide di ricostruire il funzionamento<br />
e le Istituzioni libanesi per poi<br />
affrontare la nascita e le strutture di<br />
Hezbollah fino alla guerra del 2006 con<br />
Israele.<br />
Vengono quindi illustrate le strutture con<br />
le quali Hezbollah genera il suo consenso,<br />
ovvero scuole, ospedali, fondazioni e<br />
canali televisivi. Particolarmente interessante<br />
e curiosa la descrizione del Museo<br />
<strong>della</strong> resistenza di Hezbollah, luogo aperto<br />
al pubblico, che rievoca la lunga lotta<br />
del Partito di Dio contro l’<strong>Esercito</strong> israeliano.<br />
Terminata questa descrizione storica,<br />
vengono ricostruite le diverse fasi <strong>della</strong><br />
lunga crisi del Governo Hariri (2011), le<br />
indagini del Tribunale internazionale, la<br />
nascita del Governo Mikait, il ruolo e i<br />
rischi <strong>della</strong> missione UNIFIL e il contagio<br />
che la crisi siriana determina nella vita<br />
politica libanese.<br />
In questa operazione, Bressan si confronta<br />
con una serie di esponenti politici provenienti<br />
da differenti schieramenti, cercando<br />
di far parlare, dove possibile, i<br />
diretti interessati.<br />
La contrapposizione politica dei due blocchi,<br />
la coalizione del 14 marzo di cui<br />
fanno parte Hariri, Gemayel e Geagea e<br />
quella dell’8 marzo con il Generale Aoun,<br />
Berri e Nasrallah, risente dell’escalation<br />
del programma nucleare iraniano, dell’inasprirsi<br />
<strong>della</strong> crisi siriana e delle indagini<br />
del Tribunale speciale che identificano<br />
97
RECENSIONI<br />
alcuni membri di Hezbollah tra gli esecutori<br />
dell’attentato di Hariri.<br />
Gli stessi eventi <strong>della</strong> Primavera araba<br />
investono indirettamente Hezbollah, che<br />
si schiera a favore delle rivolte in Libia e<br />
in Egitto ma in Siria sostiene l’alleato<br />
Assad, atteggiamento questo che crea<br />
non pochi problemi alla credibilità del<br />
movimento sciita in tutto il Medio Oriente.<br />
La duttilità e la capacità di adattarsi ai<br />
mutevoli scenari politici ed internazionali<br />
non sono però una novità per Hezbollah,<br />
come dimostrato in diverse occasioni.<br />
Inizialmente, infatti, il Partito di Dio, nato<br />
durante la guerra civile libanese (iniziata<br />
alla metà degli anni ‘70 e terminata alla<br />
fine degli anni ‘80) e in risposta all’intervento<br />
israeliano nel «Paese dei Cedri»,<br />
non aveva assunto i tratti di partito politico<br />
e non si era confrontato con la politica<br />
libanese.<br />
Dalla prima metà degli anni ‘90, però,<br />
Hezbollah ha iniziato progressivamente a<br />
partecipare alle elezioni politiche, accettando<br />
le regole del gioco.<br />
Anche i proclami e gli obiettivi iniziali,<br />
come quello di riproporre in Libano una<br />
rivoluzione islamica, sono nel tempo sfumati<br />
tanto che Hezbollah, nel corso degli<br />
anni, si è alleato con il partito guidato del<br />
cristiano maronita Aoun.<br />
Se è vero che le minacce e gli intenti di<br />
distruggere Israele non sono mai svaniti è<br />
altrettanto vero che sul fronte interno<br />
Hezbollah ha saputo costruirsi una credibilità<br />
ed un consenso nazionale che lo<br />
rendono un rilevante soggetto politico<br />
libanese ben diverso da un semplice<br />
braccio armato <strong>della</strong> Siria e dell’Iran.<br />
Per queste ed altre ragioni Hezbollah è un<br />
movimento ben più complesso da come lo<br />
si può immaginare e difficilmente etichettabile<br />
all’interno di tradizionali categorie.<br />
98<br />
Stefano Felician<br />
Giuliano Ferrari, Maria Maddalena<br />
Ferrari: «Bestie da guerra», Gruppo<br />
Albatros il Filo, Roma, 2012, pp. 406,<br />
euro 18,00.<br />
Una lunga e accurata ricerca per rendere<br />
il giusto e meritato riconoscimento a<br />
tutti gli animali che a qualsiasi titolo<br />
sono stati impiegati nel corso dei conflitti<br />
umani. Proprio ad essi è dedicato<br />
questo interessante saggio, che propone<br />
un argomento militare con un<br />
approccio diverso dai soliti, scritto dal<br />
Generale di Corpo d’Armata, ora in congedo,<br />
Giuliano Ferrari, già Comandante<br />
<strong>della</strong> Brigata «Julia», nonché autore di<br />
saggi di argomento storico, sociologico<br />
e militare, insieme alla figlia Maria
Maddalena Ferrari, esperta in psicologia<br />
del lavoro e docente universitaria.<br />
Sono loro gli autori di questo curioso<br />
volume dal titolo «Bestie da guerra»,<br />
titolo che allude a quei rappresentanti<br />
del mondo animale di cui l’uomo si è da<br />
sempre servito nelle più svariate circostanze<br />
tra cui anche la guerra.<br />
In particolare sono analizzate le varie<br />
specie animali usate con la descrizione<br />
delle relative prestazioni e caratteristiche,<br />
come anche compiti e funzioni nel combattimento.<br />
Non mancano episodi storici,<br />
riferimenti agli aspetti sacri, l’importanza<br />
degli animali nella mitologia come anche<br />
argomenti diversi riguardanti l’aspetto<br />
etico, l’addestramento, leggi italiane e<br />
diritto bellico internazionale.<br />
Il tutto in un excursus storico che dal<br />
passato arriva al presente, con lo<br />
sguardo però rivolto al futuro, alla ricerca<br />
di possibili impieghi e ipotizzando<br />
dei sostituti non senzienti. Si tratta di<br />
tecnologie e ricerche in vertiginosa evoluzione,<br />
come anche sottolineano gli<br />
autori, sulle quali è difficile mantenersi<br />
aggiornati, anche per la segretezza ai<br />
fini militari o commerciali. Parliamo di<br />
robot militari, di nanorobotica, in cui<br />
spesso ci si ispira al mondo animale per<br />
somiglianza o funzioni.<br />
La cosa interessante è che quando si<br />
parla dell’uso di questi esseri viventi<br />
non ci si riferisce solo ai più noti «combattenti»<br />
come il cane, il cavallo, il caro<br />
mulo «amico» degli alpini, il cammello,<br />
l’elefante (come si può dimenticare il<br />
suo ruolo nella sconfitta dei romani ad<br />
opera di Pirro), il colombo - abile messaggero<br />
alato ormai soppiantato dalla<br />
radio, dai drone e dai computer - ,<br />
come anche i soldati del mare: i cetacei.<br />
Si descrivono anche altri animali il<br />
cui uso in guerra è meno conosciuto<br />
come serpenti, vespe, api, scorpioni<br />
<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />
che erano utilizzati per sorprendere o<br />
terrorizzare il nemico. Oppure maiali,<br />
gatti (come dimenticare che per secoli il<br />
loro compito era di tener liberi dai topi i<br />
magazzini, contribuendo anche loro al<br />
buon esito dello scontro) e per finire i<br />
combattenti invisibili rappresentati da<br />
quei piccoli esseri microscopici che<br />
possono incidere grandemente, oltre<br />
che sugli aspetti <strong>della</strong> nostra vita,<br />
anche su quelli delle operazioni militari<br />
andando a colpire le Forze Armate<br />
nemiche.<br />
In sostanza, a tutti questi animali l’uomo<br />
ha chiesto qualcosa: incutere paura<br />
o affrontarla al suo posto; li ha utilizzati<br />
«perché sapevano fare meglio certe<br />
cose, anche in luoghi e ambienti per lui<br />
irraggiungibili. E, ovviamente, perché<br />
costavano meno e potevano essere<br />
«spesi» con minor rimpianto: riusciva<br />
cioè più facile mandare a morire una<br />
bestia che un essere umano. Anche se<br />
non sempre…».<br />
Questo libro non è un trattato di zoologia<br />
e neanche un testo di storia militare,<br />
ma si segnala ai lettori per la sua<br />
accuratezza e densità di informazioni<br />
contenute, oltre che per la sua capacità<br />
di soddisfare non poche curiosità del<br />
passato, presente e futuro dei nostri<br />
amici animali che, come recita la scritta<br />
su un monumento eretto a Londra per<br />
ricordare gli eroici colombi viaggiatori<br />
tanto utili durante lo sbarco in<br />
Normandia nella Seconda guerra mondiale,<br />
«They had no choise». Non ebbero<br />
scelta...<br />
Il testo si avvale altresì dell’apporto di<br />
una interessante appendice sugli animali<br />
nella nomenclatura militare e di<br />
una ricca bibliografia che contribuiscono<br />
ad accrescere il pregio dell’opera.<br />
Annarita Laurenzi<br />
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