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Rassegna dell'Esercito 2/2013 - Esercito Italiano - Ministero della ...

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NORME DI COLLABORAZIONE<br />

La <strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> è un periodico on line di informazione e la collaborazione è aperta a tutti i Quadri dell’<strong>Esercito</strong>.<br />

Gli elaborati, che dovranno essere accompagnati da una dichiarazione dell’Autore che espliciti la natura inedita ed esente<br />

da vincoli editoriali dei medesimi, investono la diretta responsabilità dell’Autore stesso, rispecchiandone le idee personali.<br />

Gli articoli (minimo una cartella - massimo sette cartelle in formato word; 2000 battute a cartella) dovranno pervenire<br />

in formato elettronico all’indirizzo di posta elettronica riv.mil@tiscali.it, corredati di foto in alta risoluzione (formato<br />

tif o jpg - dimensione minima 13 x10 cm - definizione di 300dpi) e con relative didascalie esplicative. Gli eventuali acronimi<br />

presenti nell’articolo dovranno essere esplicitati in maniera chiara. La Direzione si riserva il diritto di dare all’articolo<br />

l’impostazione e i tagli ritenuti più opportuni. L’accoglimento degli articoli o proposte di collaborazione non impegnano<br />

questo Centro alla pubblicazione né alla retribuzione: gli stessi non verranno restituiti. L’autore con l’invio dell’articolo si<br />

impegna a cedere alla Redazione, a titolo gratuito, tutti i relativi diritti di esclusività e di utilizzo. Nessuna parte dei testi e<br />

delle illustrazioni può essere riprodotta senza l’autorizzazione scritta <strong>della</strong> Direzione.


RASSEGNA DELL’ESERCITO<br />

ON LINE<br />

di Rivista Militare<br />

NUMERO 2/<strong>2013</strong><br />

(MARZO - APRILE)<br />

Direttore responsabile<br />

Francesco Paolo D’Emilio<br />

Redazione<br />

Via di San Marco, 8 - 00186 Roma<br />

Tel. 06 47357373 - Fax 06 47358139<br />

e-mail: riv.mil@tiscali.it<br />

Coordinamento Editoriale<br />

Luigino Cerbo<br />

Claudio Angelini<br />

Annarita Laurenzi<br />

Grafica<br />

Marcello Ciriminna<br />

Edizione<br />

Centro Pubblicistica dell’<strong>Esercito</strong><br />

© <strong>2013</strong><br />

Proprietà letteraria artistica<br />

E scientifica riservata<br />

Registrazione del Tribunale di<br />

Roma n. 20/<strong>2013</strong> del 15.01.<strong>2013</strong><br />

ISP: www.esercito.difesa.it -<br />

Comando C4 Difesa<br />

SOMMARIO<br />

La rassegna ha lo scopo di estendere e aggiornare la preparazione tecnicoprofessionale<br />

dei Quadri dell’<strong>Esercito</strong>. A tal fine costituisce palestra di studio e<br />

di dibattito<br />

2 STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

Afghanistan: punto di situazione e prospettive<br />

future.<br />

2<br />

(Gianluca Luchena)<br />

Afghanistan: la terra di mezzo.<br />

10<br />

(Marco Paccoj)<br />

La manovra nella terza dimensione.<br />

22<br />

(Gianmarco Di Leo)<br />

L’avvento dell’arma nucleare come strumento<br />

di pressione internazionale.<br />

40<br />

(Mario Mastantuoni)<br />

46 ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />

I progetti di formazione professionale in ambito<br />

Difesa sviluppati in Calabria: Euroformazione e<br />

sbocchi occupazionali.<br />

46<br />

(Andrea Galiano)<br />

UNMISS - United Nations Mission in South<br />

Sudan: il rinnovato impegno per l’ONU e<br />

nuove speranze per un popolo.<br />

56<br />

(Alessio Gronchi)<br />

62 STORIA<br />

Francesco Nullo: un eroe garibaldino caduto in<br />

terra polacca, nel 150° anniversario.<br />

62<br />

(Giovanni Bucciol)<br />

Il primo centenario <strong>della</strong> Guerra italo-turca<br />

1911 - 1912.<br />

(Domenico Interdonato)<br />

Le trincee quali fortificazioni campali durante<br />

la Grande Guerra.<br />

(Stefano Eliseo)<br />

74<br />

84 ASTERISCHI<br />

La Cyberwar come strumento di minaccia<br />

globale.<br />

(Nicola Grammatico)<br />

84<br />

94 RECENSIONI<br />

70


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

AFGHANISTAN: PUNTO DI<br />

SITUAZIONE E PROSPETTIVE<br />

FUTURE<br />

2<br />

del Capitano Gianluca LUCHENA<br />

in servizio presso il Reggimento Lancieri di Montebello (8°)


Agosto del 2012 è stato il mese<br />

del Ramadan nei Paesi musulmani.<br />

Anche in Afghanistan,<br />

come in altre parti del mondo, dopo un<br />

lungo periodo di astinenze, si è respirata<br />

l’aria di festa tipica dell’«Eid ul Fitr».<br />

Si tratta di una grande manifestazione.<br />

Segna la fine di un perido intenso di<br />

digiuno e di preghiera, un periodo in cui<br />

tutti i fedeli sono tenuti ad astenersi dal<br />

peccato, a essere generosi col prossimo,<br />

a perseguire l’umiltà e l’autocontrollo,<br />

imparando ad apprezzare, attraverso<br />

la privazione, i doni quotidiani che<br />

Allah manda sulla terra durante il resto<br />

dell’anno.<br />

È la decima grande festa da quando le<br />

Coalition Forces (CF) <strong>della</strong> NATO hanno<br />

posato per la prima volta gli anfibi su questo<br />

terreno sabbioso e arido, iniziando,<br />

sotto l’egida delle Nazioni Unite, una delle<br />

più insidiose e difficili missioni (1). Il logo<br />

«ISAF» (International Security Assistance<br />

Force), sulle uniformi di uomini e donne di<br />

numerose Nazioni, rimanda immediatamente<br />

a un’idea di grande sforzo umano,<br />

militare ed economico, riporta alla memoria<br />

il ricordo di valorosi soldati scomparsi<br />

nell’adempimento del proprio dovere,<br />

rammenta costantemente a tutti che in<br />

questa remota parte <strong>della</strong> terra si lotta<br />

quotidianamente per sconfiggere un<br />

nemico subdolo, un avversario che usa<br />

tecniche e tattiche deprecabili e ci si adopera<br />

per consentire ad una popolazione<br />

martoriata da anni di guerra, di godere di<br />

uno scampolo di pace.<br />

È una sfida difficile e impegnativa<br />

quella con cui le Forze <strong>della</strong> Coalizione<br />

si confrontano. Da circa dieci anni si<br />

tenta di controllare un territorio aspro,<br />

da sempre dimora di un nutrito gruppo<br />

di terroristi, trafficanti, criminali, ecc.,<br />

accomunati dal desiderio di mantenere<br />

lo status quo, ovvero il non - stato, l’as-<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

senza di un potere centrale costituito<br />

che permetta loro di continuare a curare<br />

i propri interessi. Noti più comunemente<br />

come Insurgents, rappresentano<br />

tutt’altro che un avversario sprovveduto.<br />

Di certo non competitivi con le forze<br />

<strong>della</strong> coalizione dal punto di vista tecnologico,<br />

numerico e logistico, hanno sviluppato<br />

delle precise strategie sia di<br />

guerriglia che comunicative, facendo<br />

dell’Afghanistan uno dei Teatri Operativi<br />

dove è più chiaramente individuabile<br />

l’asimmetria del confronto militare. La<br />

NATO, da parte sua, ha scoperto col<br />

tempo di avere di fronte a sè un avversario<br />

con grandi doti di flessibilità, capace<br />

di modificare le proprie Tactics,<br />

Techniques and Procedures (TTPs) al<br />

variare delle strategie <strong>della</strong> controparte.<br />

Il terreno ceduto alle Forze Armate dei<br />

sei Regional Commands (RCs), solo<br />

per fare un esempio, aveva inizialmente<br />

dato al mondo un ottimistico segnale di<br />

svolta, salvo poi constatare che tale<br />

avvenimento rientrava in una pianificata<br />

e precisa volontà da parte degli insurgents<br />

di sottrarsi alla pressione<br />

dell’Alleanza rifugiandosi in zone più<br />

sicure («safe heavens») appena al di là<br />

del confine col Pakistan e sfruttare la<br />

conoscenza del territorio e la stagione<br />

primaverile/estiva ed autunnale, nota<br />

come fighting season, per minare alle<br />

fondamenta la credibilità delle CF attraverso<br />

uno stillicidio di attacchi attivi e<br />

passivi.<br />

Qualcosa però negli ultimi due anni è<br />

cambiato. Le statistiche e i rapporti<br />

attentamente valutati da COMISAF<br />

(Commander of ISAF) ogni inizio settimana,<br />

raccontano chiaramente che i<br />

modesti risultati in security, governance<br />

and development conseguiti nel corso<br />

del 2010 sono stati consolidati e incrementati<br />

nel 2011 e appaiono sempre più<br />

3


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

confortanti con il passare del tempo (2).<br />

Il 2011 ha visto per la prima volta un<br />

declino nel numero degli EIA (Enemy<br />

Initiated Attacks) consolidato poi nel<br />

2012, a testimonianza che la strategia<br />

adottata dalla Coalizione e il ruolo di primaria<br />

importanza in cui è posta la popolazione<br />

(3), hanno comportato grandi<br />

successi in termini di sicurezza e di stabilità.<br />

In questo periodo storico, poi,<br />

l’Afghanistan affronta un’ulteriore grande<br />

sfida, che è quella <strong>della</strong> transition.<br />

Come tutti sanno, l’impegno delle<br />

Nazioni del Trattato del Nord Atlantico<br />

non può durare per sempre ma deve<br />

4<br />

agire sui drivers del Paese affinché<br />

possa un giorno funzionare autonomamente.<br />

Lo sforzo per essere in un territorio così<br />

lontano dalla maggiorparte delle TCNs<br />

(Troops Contributing Nations), con una<br />

così grossa organizzazione di forze e di<br />

mezzi, è certamente notevole. Se da un<br />

lato, però, c’è la precisa volontà politica di<br />

ridurre il footprint dell’Alleanza su questa<br />

terra, dall’altro vi è la consapevolezza di<br />

non poter abbandonare drasticamente il<br />

Paese alle sue sorti, correndo il rischio di<br />

non aver assestato al terrorismo quel<br />

colpo risolutivo che si cercava e,


soprattutto, alla luce dell’elevato costo<br />

sofferto fin’ora in termini di vite umane.<br />

Questa deve esser stata la riflessione<br />

fatta dai vertici militari e politici nell’ormai<br />

storica «Conferenza Internazionale<br />

di Kabul» del luglio 2010, durante la<br />

quale è stato deciso di dare inizio a un<br />

nuovo processo, quello appunto <strong>della</strong><br />

transition, scrivendo, in questo modo,<br />

una delle più importanti pagine <strong>della</strong><br />

storia di questo Paese.<br />

Il termine transition si traduce operativamente<br />

nell’ambizioso progetto di portare<br />

gradualmente il Governo afghano<br />

alla guida del Paese, riducendo contestualmente<br />

e progressivamente la presenza<br />

<strong>della</strong> NATO sul terreno. Questo è<br />

l’obbiettivo principale e una delle maggiori<br />

priorità nell’agenda del Comandante<br />

di ISAF. Dare cioè corso a un processo<br />

di maturazione che dovrà portare,<br />

col tempo, il Governo afghano (4) ad<br />

assumersi la responsabilità di guidare il<br />

Paese, di difenderlo dagli attacchi interni<br />

ed esterni e di garantire alla popolazione<br />

una vita pacifica.<br />

Gli ingredienti sono, giocoforza, il<br />

tempo, la caparbietà, il convincimento<br />

di poterci riuscire e la volontà <strong>della</strong> classe<br />

dirigente e dei vertici militari del<br />

Paese di fare il grande passo. Aver iniziato<br />

questa nuova fase, comunque,<br />

rappresenta di per sé un positivo segnale<br />

di progressivo rafforzamento<br />

delle Istituzioni afghane e <strong>della</strong> sovranità<br />

del Paese dopo trent’anni di conflitti e<br />

di sacrifici.<br />

Il progetto di transizione, noto anche<br />

come Inteqal (in lingua Dari) poggia le<br />

sue basi, dunque, su una forte partnership<br />

tra GIRoA (Government of the<br />

Islamic Republic of Afghanistan) e CF<br />

(Coalition Forces), prevedendo il progressivo<br />

passaggio <strong>della</strong> responsabilità<br />

<strong>della</strong> sicurezza del Paese dalle forze<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

<strong>della</strong> NATO alla classe dirigente locale,<br />

attraverso cinque fasi (tranches), fino<br />

ad arrivare al completamento del processo<br />

entro la fine del 2014. Le tranches<br />

sono pianificate e dichiarate attraverso<br />

un percorso di tipo bottom – up,<br />

ovvero attraverso una scrupolosa valutazione<br />

delle condizioni a livello locale,<br />

rispetto a precisi e dettagliati indicatori.<br />

L’assessment sulla sicurezza, sulla<br />

governance e sullo sviluppo di una<br />

determinata provincia, viene sottoposto<br />

al vaglio del Joint Afghan – NATO Inteqal<br />

Board (JANIB), al cui tavolo siedono<br />

COMISAF, i rappresentanti del<br />

Governo afghano ed esponenti <strong>della</strong><br />

Comunità Internazionale (CI). Il JANIB<br />

raccomanda determinate aree, ritienute<br />

«pronte» per entrare nel processo di<br />

transizione, al Presidente dell’Afghanistan,<br />

il quale ha poi l’autorità di proclamare<br />

pubblicamente la decisione.<br />

Il tutto, per avere un quadro chiaro <strong>della</strong><br />

situazione, va intrecciato con la cosiddetta<br />

Force Posture delle CF. Procedendo<br />

nelle varie fasi, il ruolo delle NATO cambia.<br />

Man mano che le ANSF (Afghan<br />

National Security Forces) acquistano<br />

capacità e credibilità, divenendo efficaci<br />

nella gestione <strong>della</strong> sicurezza del Paese,<br />

le forze <strong>della</strong> coalizione acquisiscono un<br />

ruolo più marginale, diminuendo notevolmente<br />

in numero e passando da supported<br />

a supporting, ovvero rimodulando la<br />

presenza sul territorio in modo da fornire<br />

un graduale supporto dapprima a livello<br />

tattico, per poi muovere al livello operativo<br />

e strategico (nella fase apicale).<br />

Chiaro è che rimanendo invariato<br />

l’End State (5) <strong>della</strong> missione ISAF e al<br />

fine di non interrompere il momentum<br />

<strong>della</strong> Campagna, ovvero quella serie di<br />

successi in termini di vantaggio acquisito<br />

sugli insurgents nel controllo del territorio<br />

e sulla popolazione in termini di<br />

5


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

fiducia e credibilità, è necessario introdurre<br />

nel quadro generale <strong>della</strong> situazione<br />

operativa corrente del Teatro<br />

afghano un altro concetto, riassumibile<br />

nell’acronimo SFA (Security Force<br />

Assistance).<br />

Lo «SFA Concept» rappresenta la<br />

risposta e lo sforzo <strong>della</strong> Coalizione alla<br />

necessità di continuare con la serie<br />

positiva di successi nella lotta agli insurgents,<br />

diminuendo sensibilmente e contestualmente<br />

il numero di soldati sul terreno,<br />

passando ad un ruolo di regia più<br />

che di attore primario e coordinando<br />

uno dei più grossi e difficoltosi redeployment<br />

mai affrontati fin’ora.<br />

È evidente la complessità del problema<br />

e la difficoltà in termini di coordinamento e<br />

di Comando e Controllo (C2) su un terreno<br />

aspro e compartimentato e con la<br />

pressione del mondo intero che guarda<br />

alle vicende afghane domandandosi se,<br />

dopo il 2014, qualcosa sarà cambiato.<br />

Tuttavia, il concetto di Security Force<br />

Assistance è il frutto di una grande intuizione<br />

e di una profonda consapevolezza<br />

e conoscenza dello scenario in cui si<br />

opera. Man mano che il Governo afghano<br />

assume il ruolo di leader e si procede,<br />

dunque, lungo le fasi <strong>della</strong> transizione,<br />

esso ha sempre più bisogno di Forze<br />

Armate professionali, addestrate e credibili.<br />

E il ruolo degli SFA Teams è proprio<br />

questo. Penetrare nel sistema militare<br />

afghano, affiancare i Kandak (i Battaglioni<br />

Afghani) e le unità di polizia (Afghan<br />

National Police - ANP, Afghan National<br />

Civil Order Police - ANCOP, Afghan<br />

Uniform Police - AUP, Afghan Local<br />

Police - ALP, Afghan Border Police - ABP)<br />

in tutte le attività quotidiane, condividerne<br />

la mentalità, gli usi, le abitudini, guidando<br />

le ANSF verso una migliore preparazione,<br />

verso una più profonda convinzione delle<br />

rispettive capacità e potenzialità e verso<br />

6<br />

un livello addestrativo che consenta loro<br />

di essere indipendenti.<br />

Come in un intricato puzzle, sarà poi<br />

necessario strutturare e ridisegnare la<br />

disposizione delle rimanenti unità <strong>della</strong><br />

CF sul terreno, in modo tale da fornire<br />

un adeguato supporto a questi teams e<br />

garantire all’ANSF di poter contare su<br />

quegli enablers (6) di cui è ancora<br />

carente. E questa è la sfida principale<br />

per il futuro, intuire e cercare di leggere<br />

in maniera adeguata i segnali che vengono<br />

dal CJOA (Combined Joint Area of<br />

Operation), data l’attuale incertezza sul<br />

post-ISAF e volendo evitare di correre<br />

rischi eccessivi nel pianificare con un<br />

elevato numero di assumptions. Si capisce<br />

dunque come non sia facile il lavoro<br />

che in questo periodo stanno facendo<br />

i vertici di ISAF studiando, insieme<br />

con i rappresentanti nazionali, i requisiti<br />

operativi che devono informare il processo<br />

di formazione delle CJSOR<br />

(Combined Joint State of Requirement)<br />

future, disegnando l’organizzazione<br />

delle Forze <strong>della</strong> Colazione per i prossimi<br />

mesi.<br />

Un altro aspetto che mi preme sottolineare<br />

e che è perfettamente in linea<br />

con i concetti di transizione, riduzione<br />

delle forze e Security Force Assistance,<br />

è quello <strong>della</strong> reintegration. Come ho<br />

già avuto modo di ribadire precedentemente,<br />

non ci può essere una vera transizione<br />

senza che il Governo afghano<br />

possa contare su delle Forze Armate<br />

credibili (innanzitutto dal punto di vista<br />

numerico) e prima che la popolazione<br />

prenda coscienza del fatto che un<br />

governo democratico legittimamente<br />

eletto, delle istituzioni sane ed efficienti,<br />

si traducono in un miglioramento generale<br />

<strong>della</strong> condizione di vita, permettendo<br />

di mettere finalmente da parte quelle<br />

percezioni costanti di terrore e di peri-


colo tipiche del regime talebano.<br />

Sulla convergenza comune su queste<br />

considerazioni si innesta il programma,<br />

interamente afghano, di APRP (Afghan<br />

Peace and Reintegration Program), il<br />

cui scopo principale è quello di dare<br />

una seconda opportunità a quegli insurgents<br />

che decidano di rientrare nella<br />

società riacquistando dignità e onore. Il<br />

Comando Operativo di ISAF, IJC (ISAF<br />

Joint Command) ha solo un ruolo di<br />

supporto in questo particolare e delicato<br />

ambito, adoperandosi più che altro<br />

con tipiche operazioni di targeting e con<br />

raccolta di informazioni per agevolare il<br />

lavoro del Governo. Gli insurgents che<br />

decidono di abbandonare la precedente<br />

vita e di aderire al programma, ricevono<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Forze ISAF-ANA e ANP mettono in sicurezza<br />

un villaggio.<br />

immediata assistenza nonché il supporto<br />

necessario per reinserirsi nel tessuto<br />

sociale di cui erano precedentemente<br />

parte. Alcuni di essi, poi, al termine del<br />

processo di recupero, vengono inseriti<br />

nelle fila dell’ANSF mettendo a frutto la<br />

loro esperienza per costruire un Paese<br />

migliore.<br />

L’Afghanistan vive dunque, in questo<br />

momento, una fase molto delicata e<br />

complessa <strong>della</strong> sua storia. Tanti sono i<br />

settori nei quali la Coalizione sta lavorando<br />

e molteplici sono gli sforzi che si<br />

stanno intrecciando per permettere al<br />

7


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

Pattugliamento con veicolo VCC «Dardo» nel<br />

Distretto di Farah.<br />

Paese di fare quel passo che tutti<br />

aspettano. Le difficoltà, però, non mancano<br />

e un esempio estremamente<br />

attuale di quanto l’intero processo sia<br />

messo a dura prova, viene dal c.d. fenomeno<br />

dell’insider threat (minaccia interna).<br />

Si tratta di una problematica molto<br />

delicata e complessa che, in estrema sin-<br />

8<br />

tesi, si può spiegare come il tentativo da<br />

parte di individui non membri di<br />

Organizzazioni NATO/Governative afghane,<br />

ma con accesso ad esse per motivazioni<br />

professionali o di impiego, di condurre<br />

atti di terrorismo, di sabotaggio ecc.<br />

dall’interno delle Istituzioni stesse, causando<br />

spesso danni notevoli sia nelle fila<br />

delle CF che in quelle afghane. Ciò che<br />

rende questo fenomeno di difficile prevenzione<br />

e di grave pericolosità è che non<br />

esiste, in realtà, una precisa connessione


tra gli attentatori e che non sempre tali iniziative<br />

possono essere ricondotte al solo<br />

gruppo degli insurgents. Gli attacchi possono<br />

ad esempio essere il risultato di casi<br />

di frustrazione da parte di militari afghani,<br />

o provenire da personale spinto da<br />

motivazioni personali, come, ovviamente,<br />

possono essere il deliberato tentativo<br />

di insorgenti che riescono a inserirsi<br />

tra le fila delle ANSF per minare alle<br />

fondamenta la loro credibilità. Quel che<br />

è certo, come ha affermato lo stesso<br />

Comandante di ISAF, è che non esiste<br />

una singola soluzione e che la risposta<br />

a questa insidiosa minaccia non può<br />

che provenire, egualmente, sia dalle fila<br />

<strong>della</strong> Coalizione che da quelle del<br />

Governo afghano (7). Proprio per enfatizzare<br />

questo aspetto di comune esposizione<br />

al rischio e per sottolineare il<br />

solidale coinvolgimento nel tentativo di<br />

mitigarlo, oggi non si parla più di «green<br />

on blue», ritenendo questa espressione<br />

non adeguata a classificare un problema<br />

che invece riguarda, in egual misura,<br />

entrambe le parti (8). Ed effettivamente<br />

lo sforzo comune in tal senso è<br />

notevole, come dimostrano una serie di<br />

iniziative che vanno dall’organizzazione di<br />

conferenze che coinvolgono Comandanti<br />

e leader afghani, nell’intento di discutere<br />

e diffondere una spiccata sensibilizzazione<br />

alla problematica, all’aumento del<br />

numero di counterintelligence teams nella<br />

Coalizione e nelle formazioni afghane, al<br />

miglioramento del processo di selezione<br />

delle reclute, all’ideazione di nuove procedure<br />

che realizzino un maggiore controllo<br />

del personale che si reca o torna dalla<br />

licenza.<br />

Si cerca, cioè, di fare il possibile per<br />

essere protetti al meglio, condividendo<br />

contromisure e idee, in un’ottica di<br />

affiancamento più che di supporto.<br />

Il 2014, anno in cui termina ufficial-<br />

mente la missione ISAF, non è poi così<br />

lontano. L’Afghanistan con la sua complessità<br />

e le sue tante sfaccettature è<br />

una scommessa e una sfida in cui bisogna<br />

credere fino in fondo. E forse il<br />

segreto per il successo è proprio questo:<br />

crederci e impegnarsi fino in fondo.<br />

Fino alla fine. Del resto il motto di IJC<br />

ne è testimonianza: «Make it matter! It<br />

will be done!»<br />

NOTE<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

(1) La forza di intervento internazionale denominata<br />

«International Security Assistance<br />

Force» si è schierata originariamente come<br />

Missione Multinazionale nel dicembre del<br />

2001, ma è solo dall’agosto 2003 che il contingente<br />

è passato alle dipendenze <strong>della</strong> NATO.<br />

(2) Report on Progress towards Security and<br />

Stability in Afghanistan, April 2012.<br />

(3) Oggi si parla di POPCOIN ovvero di<br />

Population Counter Insurgency, volendo enfatizzare<br />

il ruolo <strong>della</strong> popolazione, centro di gravità<br />

<strong>della</strong> Campagna.<br />

(4) GIRoA: Government of the Islamic<br />

Republic of Afghanistan.<br />

(5) End State: The political and/or military<br />

situation to be attained at the end of an operation,<br />

which indicates that the objective has<br />

been achieved (AAP-6);<br />

(6) Enablers: assetti quali Intelligence,<br />

PSYOPS e ISR (Intelligence, Surveillance,<br />

Reconnaissance) nonché Human Terrain<br />

Teams ecc.;<br />

(7) «The issue of insider threats is very complex<br />

and requires a comprehensive, integrated,<br />

combined response from International<br />

Security Assistance Force (ISAF) and the<br />

Afghans». (www.ISAF.NATO.int)<br />

(8) Fonte: www.ISAF.NATO.int, Commander’s<br />

corner, «insider threat».<br />

□<br />

9


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

AFGHANISTAN:<br />

LA «TERRA DI MEZZO»<br />

Pochi Paesi come l’Afghanistan vantano<br />

un club assolutamente variegato<br />

di estimatori. In ogni epoca,<br />

infatti, i forestieri di passaggio sul territorio<br />

<strong>della</strong> «terra di mezzo» del «Grande<br />

Gioco», sono sempre rimasti affascinati<br />

10<br />

del Maggiore Marco PACCOJ<br />

in servizio presso il Comando Operativo di Vertice Interforze (COI Difesa)<br />

Fig. 1<br />

La distribuzione etnica nelle province del territorio.<br />

dal paesaggio severo, dalla sua storia<br />

permanentemente guerriera e dal miscu-


Le statue di Buddha di Bamiyan.<br />

Fig. 2<br />

glio di popoli sempre in lite tra loro (1) che<br />

lo caratterizzano (Fig. 1).<br />

Quando ad un viaggiatore del passato<br />

veniva chiesto in quale Paese desiderasse<br />

ritornare, invariabilmente veniva fatto il<br />

nome dell’Afghanistan.<br />

«Ricordo che è un luogo eccitante violento,<br />

stimolante; quasi ogni americano o<br />

europeo che vi lavorò nel passato dice lo<br />

stesso. Da una camera al livello più alto<br />

delle caverne ho potuto contare sessantuno<br />

vette coperte di neve in piena estate,<br />

tutte sopra i 5 000 metri, le sue colossali<br />

statue di Buddha (2), le sue cinquecento<br />

grotte ed i suoi splendidi corridoi» (Fig. 2).<br />

L’autore e viaggiatore inglese James<br />

Morris all’inizio degli anni ‘60 del ‘900 trovava<br />

Kabul pittoresca e funesta allo stesso<br />

tempo. «La sua storia è segnata da<br />

massacri, bigotteria e gelosia e sebbene<br />

la sua gente sia abbastanza gentile, può<br />

dare ancora l’impressione di una città che<br />

terrorizza. La sua gente è così varia da far<br />

venire il mal di testa, dagli occhi a mandorla<br />

e dalle barbe incolte, lisci come<br />

castagne o pieni di rughe come pigne,<br />

massicci, gagliardi uomini di frontiera ed<br />

esili montanari, pathan e uzbeki, persiani<br />

e sikh uomini di ogni livello <strong>della</strong> gerarchia<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

sociale, dall’uomo austero che sembra<br />

venire dal medioevo al progressista in<br />

giacca e cravatta».<br />

Malgrado ciò e nonostante l’amore per il<br />

popolo afghano fosse quasi contagioso<br />

per tutti coloro che si sono, in qualche<br />

modo, con esso relazionati, la dura realtà<br />

geografica del Paese s’impone su di esso<br />

come una maledizione ancestrale. Con<br />

un territorio intercluso e del quindici percento<br />

più vasto di quello francese,<br />

l’Afghanistan presenta delle difficoltà geomorfologiche<br />

straordinarie. Posto immediatamente<br />

a ridosso delle latitudini<br />

dell’Asia centrale, contornato ad ovest da<br />

Iran e Turkmenistan, a nord da Uzbekistan<br />

e Tajikistan, a est ed a sud dal Pakistan,<br />

dominato dal massiccio centrale<br />

dell’Hindu Kush e collegato alla Cina da<br />

una striscia di terra nota col nome di «corridoio<br />

di Wakhan», imposto dai cartografi<br />

imperiali con lo scopo che la Russia e<br />

l’India del Raj britannico non dovessero<br />

avere una frontiera comune, lo Stato<br />

afghano copre l’area dello snodo territoriale<br />

maggiormente strategico del centro<br />

Asia (Fig. 3). Per secoli le carovane cariche<br />

di merci itineranti sulla Via <strong>della</strong> Seta,<br />

sono passate per le malagevoli alture<br />

sismiche, le ripide valli ed i suoi passi che<br />

rallentarono l’avanzata finanche del<br />

potente <strong>Esercito</strong> di Alessandro «il<br />

Grande» di Macedonia. Ciò nonostante, il<br />

fascino di questa terra ha sempre sospinto<br />

ed attirato le genti dell’Occidente:<br />

«Ognuno di noi si fa il proprio Eden, e<br />

usando un’argilla che non conosce» scriveva<br />

nel 1964 l’americana Roseanne<br />

Klass che, appena uscita dall’università<br />

del Wisconsin, venne ad insegnare ed a<br />

vivere in Afghanistan, descrivendo il suo<br />

idilliaco viaggio d’addio in corriera verso il<br />

Khyber Pass.<br />

Non solo ammirazione però. L’Afghanistan<br />

nel corso degli ultimi due secoli si è trovato<br />

11


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

Le impervie caratteristiche geografiche del territorio.<br />

spesso al centro dell’attenzione delle grandi<br />

potenze e, in un periodo relativamente<br />

recente, dell’insorgenza jihadista nell’ambito<br />

dell’Islam centroasiatico del fondamentalismo.<br />

Un fatto obiettivo tuttavia risponde a<br />

verità: nessuna potenza straniera in epoca<br />

moderna è mai riuscita a conquistare e<br />

colonizzare completamente questo Paese<br />

così irritabile. Anche la International<br />

Security Assistance Force (ISAF), la più<br />

grande coalizione multinazionale presente<br />

sul territorio dal 2001, poi a guida NATO dal<br />

2003, (Fig. 4) non ha, a tutt’oggi, raggiunto<br />

la completa stabilizzazione politico–istituzionale<br />

del Paese con la prospettiva di scenari<br />

futuri non propriamente agevoli. Per<br />

provare a rendere un’efficace comparazione<br />

delle caratteristiche del Paese, si può<br />

affermare che l’Afghanistan sta alla guerriglia<br />

in montagna come la Francia all’alta<br />

moda e l’Italia alla storia dell’arte.<br />

Povero di risorse, desolato nei suoi paesaggi<br />

e ricettacolo, come detto, di una<br />

12<br />

Fig. 3<br />

miriade di tribù religiose, l’Afghanistan è<br />

sempre sembrato, a primo impatto, una<br />

facile preda per l’esercito invasore dotato<br />

di armamenti moderni. Kermit Roosevelt<br />

lo riteneva il trampolino per seminare<br />

discordie e malcontento nell’Asia centrale<br />

sovietica e nel Caucaso russo. Tuttavia gli<br />

afghani, non inquadrati in un esercito<br />

regolare e privi perfino di un comando<br />

unificato, hanno per due volte dimostrato<br />

che l’Impero britannico, al culmine <strong>della</strong><br />

sua potenza, non era in grado di estendere<br />

la sua egemonia sul Paese, impresa<br />

che poi è stata ripetuta contro l’invasore<br />

sovietico. Il risultato è che l’Afghanistan<br />

non è mai stato colonizzato, ma ha continuato<br />

ad essere un amalgama di tribù<br />

sottoposte a governi spesso corrotti verso<br />

le generose tangenti degli stranieri che vi<br />

giungevano, con lo scopo di provare a<br />

comprare ovvero imporre la pace sul territorio;<br />

rappresenta, sostanzialmente,<br />

l’essenza del crudo commercio che ha<br />

dato forma alle caratteristiche peculiari di<br />

questo «quasi-Paese».<br />

L’affermazione che è la geografia a<br />

determinare la storia vale per pochi Stati


Suddivisione delle Aree di responsabilità delle<br />

Nazioni che conducono i sei Comandi Regionali<br />

ISAF.<br />

al mondo come per l’Afghanistan; la politica,<br />

la natura di un popolo, la collocazione<br />

geostrategica del Paese, tra Iran,<br />

Mare Arabico e India e tra Asia centrale<br />

e Asia meridionale, hanno conferito<br />

grande importanza al suo territorio ed ai<br />

suoi valichi montani fin dalla prime invasioni<br />

ariane del 2000 a. C..(3) Il terreno<br />

aspro, accidentato, desertico e arido del<br />

Paese ha prodotto combattenti tra i<br />

migliori mai esistiti, mentre gli stupendi<br />

scenari delle sue acri montagne e delle<br />

valli verdeggianti sono stati altresì fonte<br />

di ispirazione letteraria. Strade e piste<br />

sono state vitali per l’Afghanistan fin<br />

dagli albori <strong>della</strong> sua storia; il suo territorio<br />

intercluso fu il crocevia dell’Asia ed il<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Fig. 4<br />

punto di incontro e di<br />

scontro per due grandi<br />

ondate di civilizzazione: i<br />

più urbanizzati imperi<br />

persiani ad occidente e<br />

gli imperi nomadi altaici a<br />

nord dell’Asia centrale.<br />

Per la sopravvivenza di<br />

queste due antiche civiltà,<br />

che crebbero e calarono<br />

in grandezza e conquiste<br />

seguendo l’onda<br />

<strong>della</strong> storia, il controllo<br />

dell’Afghanistan si rivelò<br />

cruciale. In alcune occasioni<br />

fece da ammortizzatore<br />

tra i due imperi<br />

mentre in altre servì da<br />

corridoio per gli eserciti<br />

che intendevano invadere<br />

l’India, in marcia da nord a<br />

sud o da ovest ad est.<br />

L’Afghanistan ha sempre<br />

posseduto caratteristiche di «centro di gravità»<br />

nel «mezzo» dell’Asia centro-meridionale<br />

subito a ridosso del sub-continente<br />

indiano.<br />

Nel XIX secolo gli inglesi in India e la<br />

Russia zarista avevano combattuto una<br />

guerra non dichiarata, recante il nome di<br />

«Grande Gioco», di competizione ed<br />

influenza in Asia centrale e in<br />

Afghanistan. Scriveva l’inglese Lord<br />

Curzon prima di divenire viceré dell’India<br />

nel 1898: «Turkestan, Afghanistan,<br />

Transcaspia e Persia: troppi di questi<br />

nomi suscitano soltanto un senso di<br />

assoluta distanza, o il ricordo di strane<br />

vicissitudini e di atmosfera moribonda.<br />

Per me, confesso, sono caselle di una<br />

scacchiera sulla quale si gioca il dominio<br />

del mondo». L’epicentro di entrambi gli<br />

Imperi presenti in quest’area era dunque<br />

l’Afghanistan. Il Raj britannico temeva<br />

che l’offensiva russa nella regione tur-<br />

13


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

L’Emiro di ferro Abdur Rahman Khan.<br />

kmena ed in particolare su Herat, potesse<br />

minacciare il Beluchistan inglese,<br />

mentre l’oro di Mosca avrebbe potuto far<br />

schierare i governanti di Kabul contro i<br />

delegati di sua maestà. I russi paventavano<br />

invece che la pressione inglese<br />

potesse indebolirli in Asia centrale e, per<br />

arginarla, si accaparrarono le simpatie<br />

delle genti autoctone mettendo a disposizione<br />

il loro supporto alle tribù musulmane<br />

ed ai governanti dei khanati di<br />

Bukhara e Khokand (4). La battaglia più<br />

importante era per le vie di comunicazione<br />

dato che entrambi gli imperi costruirono<br />

tratti ferroviari attraverso l’Asia centrale<br />

sino ai confini con l’Afghanistan, la<br />

Persia, la Cina; mentre gli inglesi costruirono<br />

le loro vie ferrate anche attraverso<br />

l’India sino al loro confine con l’Afghanistan.<br />

La forza dell’influenza inglese sul<br />

Paese si era ancor più delineata a partire<br />

dal 1880 sotto Abdur Rahman Khan<br />

(Fig. 5), scelto ed appoggiato nella sua<br />

ascesa al trono in seguito allo stallo mili-<br />

14<br />

Fig. 5<br />

tare <strong>della</strong> seconda guerra anglo-afghana.<br />

Noto come «l’Emiro di ferro» in<br />

un’autobiografia – ritenuta comunemente<br />

valida dalla letteratura inglese dominante –<br />

si chiese «come poteva una piccola<br />

potenza come l’Afghanistan, come una<br />

capra in mezzo ai due leoni (la Gran<br />

Bretagna e la Russia zarista) oppure<br />

come un chicco di grano tra le macine di<br />

un mulino, restare fra queste due pietre<br />

senza essere macinata o ridotta in polvere?».<br />

La soluzione, a cui lo stesso Emiro<br />

diede risposta, venne individuata nello<br />

sfruttamento, nel modo migliore possibile,<br />

<strong>della</strong> sua posizione di Stato cuscinetto.<br />

Accettò, infatti, la sottrazione di regioni<br />

di confine oggetto di contenzioso con il<br />

Raj britannico (una parte dei territori del<br />

Baluchistan), ingoiò i rospi <strong>della</strong> Durand<br />

line (5) e del corridoio di Whakan (creato<br />

per non far confinare i due imperi - Fig. 6)<br />

e acconsentì di cedere alla Gran<br />

Bretagna la direzione <strong>della</strong> politica estera<br />

afghana divenendone una forma di<br />

protettorato. In cambio l’Emiro riceveva<br />

1,2 milioni di rupie in contributi annuali,<br />

che furono aumentati a 1,85 milioni dopo<br />

che si inchinò all’imposizione dei confini<br />

con ulteriore guadagno di un premio in<br />

armamenti di provenienza inglese.<br />

Grazie a questi aiuti l’Emiro di ferro costituì<br />

un esercito nazionale permanente e<br />

continuò a sfidare i capi delle tribù senza<br />

peraltro riuscire a sottometterli fino alla<br />

sua morte nel 1901. Ma mentre adottava<br />

le armi moderne il satrapo, al tempo<br />

stesso, impediva che nascessero scuole<br />

e ferrovie, interpretabili come le vere ed<br />

autentiche armi per trasformare e far<br />

evolvere le società tradizionali quale<br />

quella afghana di fine XIX secolo.<br />

L’Afghanistan ebbe l’occasione più propizia<br />

per mettersi alla pari con le altre<br />

nazioni dopo la Prima guerra mondiale,<br />

quando il potere giunse nelle mani del


La morfogenesi «retroversa» dell’Afghanistan<br />

alla fine del XIX secolo.<br />

nipote dell’Emiro di ferro: il riformatore<br />

Amanullah Khan. Mostrando la propria<br />

immagine con un’azione di governo tipica<br />

di un re piuttosto che di un anacronistico<br />

emiro, il riformatore costrinse nel<br />

1919 l’Inghilterra al riconoscimento dell’indipendenza<br />

dell’Afghanistan ed a tentare<br />

ogni sforzo per trasformare una<br />

società tribale e di tipo agricolo in uno<br />

Stato – Nazione (6).<br />

Non più sostenuto dai sussidi britannici,<br />

dopo l’indipendenza, Amanullah si<br />

rivolse alla Russia sovietica per ricevere<br />

assistenza in maniera più calibrata<br />

rispetto al passato, dal momento che il<br />

modello di riferimento per questo nuovo<br />

riformatore era la Turchia di Mustafa<br />

Kemal «Atatürk». Trascurò, tuttavia, le<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Fig. 6<br />

Forze Armate – elemento essenziale e<br />

amalgamante in un processo di nazionalizzazione<br />

– non potendosi così confrontare<br />

con i Signori <strong>della</strong> Guerra delle singole<br />

province, che affrontava però con<br />

l’esazione delle tasse necessarie a tamponare<br />

la falla lasciata aperta dal mancato<br />

ricevimento del contributo britannico<br />

dopo l’indipendenza. Provò a lanciare un<br />

programma di riforme che «soffriva delle<br />

stesse debolezze che avevano caratterizzato<br />

i molto più limitati programmi dei<br />

suoi predecessori. Intraprese un progetto<br />

di una rapida trasformazione di una<br />

società afghana senza un piano definito,<br />

priva delle necessarie risorse economiche<br />

e sprovvista delle indispensabili<br />

conoscenze tecnologiche e del capitale<br />

umano». Tuttavia una ribellione tribale<br />

depose Amanullah nel 1928.<br />

Negli anni successivi le «relazioni<br />

internazionali» dell’Afghanistan assunse-<br />

15


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

ro una spinta multivettorialità nei confronti<br />

delle potenze occidentali per provare a<br />

dirigersi verso una modellizzazione statuale<br />

moderna, facendo però contestualmente<br />

ristagnare all’interno la presenza<br />

di poteri intermedi di tipo tribale. I governi<br />

di Kabul aprirono alla Germania nazista<br />

permettendo l’instaurazione di collegamenti<br />

aerei Lufthansa per far giungere<br />

nel Paese ingegneri tedeschi come assistenti<br />

ai lavori pubblici. Ancora meno<br />

saggiamente, dopo lo scoppio <strong>della</strong><br />

Seconda guerra mondiale, gli afghani si<br />

aggregarono alla Germania e all’Italia<br />

quando fomentarono una sollevazione<br />

antibritannica alla frontiera di Nord-Ovest<br />

del Raj britannico. Strategia che gli si<br />

rivolse contro quando la Germania nel<br />

1941 invase la Russia. Inchinandosi ad<br />

un’istanza anglo-sovietica, il Paese si<br />

oppose, nell’immediatezza <strong>della</strong> fine del<br />

conflitto, all’ingresso del Pakistan nelle<br />

Nazioni Unite, attaccando la Durand line<br />

come un relitto imperiale illegittimo (7).<br />

«Il conflitto costrinse inevitabilmente il<br />

governo afghano a cercare dei modi per<br />

l’accesso ai mercati internazionali dai<br />

quali dipendevano la liquidità <strong>della</strong> sua<br />

fragile economia e le magre entrate<br />

governative. I trasporti verso l’Iran orientale<br />

erano insufficienti così il solo sbocco<br />

alternativo era l’Asia centrale sovietica».<br />

Nei primi anni ‘50 del ‘900, l’Afghanistan<br />

si trovò sempre più impigliato, sia dal<br />

punto di vista militare che economico, con<br />

il blocco sovietico.<br />

Un episodio legato al rifiuto di<br />

Washington verso il governo di Kabul di<br />

provvedere ad una serie di forniture militari,<br />

costrinse gli afghani a rivolgersi a<br />

Mosca per armi da fuoco e personale<br />

addestratore. Nel frattempo affluivano<br />

nel Paese aiuti esteri di ogni tipo che<br />

trasformarono la struttura politico-economica<br />

dell’Afghanistan in una forma<br />

16<br />

consolidata di Rentier State (8) governato<br />

da leader che cambiavano continuamente<br />

direzione tenendo il Paese «nel<br />

bel mezzo» dei suoi lontani e plurimi<br />

protettori.<br />

Nel decennio 1958-1968 più del 40%<br />

delle risorse dell’Afghanistan derivarono<br />

dall’estero nella forma di aiuti specifici.<br />

Un progetto sovietico di grande importanza<br />

fu l’autostrada che collegò Kabul<br />

all’Asia centrale, una via di comunicazione<br />

ampia e solida per sostenere il peso<br />

dei veicoli militari sovietici. Oltre all’urbanizzazione<br />

anche l’istruzione e l’apparato<br />

dello Stato venivano spartiti tra le potenze<br />

occidentali (Francia, Germania Ovest,<br />

Stati Uniti) lasciando però l’influenza<br />

maggiore, in particolare verso l’addestramento<br />

dei Quadri degli Ufficiali, al blocco<br />

sovietico.<br />

All’inizio degli anni ‘70 del XX secolo<br />

l’Afghanistan conosce l’epilogo <strong>della</strong><br />

monarchia e delle dinastie regnanti (9)<br />

che avevano, fino a quel punto, tenuto le<br />

redini del Paese. Con il sostegno degli<br />

Ufficiali dell’<strong>Esercito</strong> formati da una<br />

sapiente regia sovietica, unitamente al<br />

sostegno dei militanti del piccolo partito<br />

urbano del Parcham, Muhammad Daoud<br />

Khan, già Primo Ministro del Regno, spodestò<br />

il cugino Zahir Khan (inviandolo in<br />

esilio a Roma), abrogò la Monarchia e istituì<br />

una Repubblica <strong>della</strong> quale si auto-proclamò<br />

Presidente. Il cambiamento <strong>della</strong><br />

leadership e <strong>della</strong> forma di Stato, trascinò<br />

ancora una volta il Paese nel bel mezzo<br />

di una contesa nella geopolitica del confronto<br />

bipolare nella regione. Lo scià di<br />

Persia Reza Pahlavi, sostenuto dagli<br />

Usa dell’amministrazione Nixon, aspirava<br />

ad escludere l’influenza sovietica<br />

dagli Stati vicini e, per primo tra tutti, dal<br />

confinante Afghanistan, con lo scopo di<br />

provare ad attirarlo nello schieramento<br />

del blocco occidentale. Un prestito di


quaranta milioni di dollari del 1974 provò<br />

a dare concretezza al progetto degli attori<br />

politici rientranti nell’area di influenza<br />

occidentale. L’approccio di risposta del<br />

Presidente Daoud all’offerta si diresse<br />

verso un generale abbassamento dei<br />

toni di aspirazione a prendere parte alla<br />

volontà di costruire un «Grande<br />

Afghanistan» e si indirizzò nel solco dell’instaurazione<br />

di una politica di compromesso<br />

sulle difficili questioni etniche e di<br />

frontiera con le vicine realtà dell’Iran e<br />

del Pakistan. Daoud, come tutti i suoi<br />

predecessori, non riuscì a consolidare la<br />

modernizzazione delle Istituzioni. Una<br />

struttura venne sovrapposta all’ordine<br />

sociale esistente, contraddistinto da una<br />

eccessiva e dominante polverizzazione<br />

etnica.<br />

I risultati, però, sfociarono in organismi<br />

di rappresentanza pubblica scarsamente<br />

significativi, la cui ragione principale<br />

andava ricercata nell’eccesso di frammentazione<br />

etnico - linguistica sussistente<br />

nel Paese, eccezion fatta per la Loya<br />

Jirga ormai in larga misura nominata a<br />

livello verticistico.<br />

In tale contesto, i Quadri filosovietici ed<br />

i nazionalisti dell’apparato afghano, pur<br />

se distanti su ogni altra materia (erano<br />

nettamente divisi in due filoni: Khalq – «le<br />

masse» e Parcham – «la bandiera») avevano<br />

costituito un sinergico fronte interno<br />

«nel lanciare l’allarme sul nuovo corso di<br />

Daoud, con l’appoggio dei capi tribali il cui<br />

timore principale era individuabile nella<br />

vendita dell’onore del Paese per un po’ di<br />

paccottiglia <strong>della</strong> Guerra Fredda». Dai<br />

bazar alle caserme di Kabul, gli esponenti<br />

del fronte anti-presidenziale si facevano<br />

forza in vista di una nuova lotta. Il 27 aprile<br />

1978, le dimostrazioni di massa sfociarono<br />

in una ribellione con carri armati ed<br />

aerei che attaccarono il palazzo presidenziale.<br />

Il coupe d’État assunse contorni<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

notevolmente sanguinosi e si concluse<br />

con l’uccisione di Muhammad Daoud<br />

Khan e con lo sterminio di 19 membri<br />

<strong>della</strong> sua famiglia. L’errore determinante<br />

del Presidente Daoud sussistette nel non<br />

fermare ed incarcerare Hazifullah Amin –<br />

il militante comunista che aveva organizzato<br />

il golpe e che, nei contorni del nuovo<br />

regime, aveva assunto il ruolo di Ministro<br />

degli Esteri. L’obiettivo principale di Amin<br />

si riscontrava in uno spinto irredentismo<br />

territoriale che avrebbe voluto «l’unità<br />

nazionale degli afghani dall’Oxus all’Indo,<br />

sottolineando che la rivoluzione afghana<br />

e la questione del Pashtunistan erano<br />

strettamente collegate». La disputa<br />

riguardava il popolo Pashtun che, maggioritario<br />

nell’area di confine tra Pakistan<br />

ed Afghanistan, è stato diviso in due proprio<br />

con la Linea Durand.<br />

Il sogno, se mai avesse aspirato a<br />

diventare reale, di un grande Pashtunistan<br />

indipendente è apparso sempre irrealizzabile.<br />

In Afghanistan i Pashtun sono maggioritari,<br />

in Pakistan rappresentano invece<br />

circa il 15% <strong>della</strong> popolazione. Il sentimento<br />

di resistenza di questo popolo sembra<br />

aver guidato l’instabilità cronica <strong>della</strong><br />

regione. Un popolo pronto a tutto.<br />

L’importante era trovare finanziatori disposti<br />

ad investire nella lotta (Fig. 7).<br />

Nella descritta situazione politica, i<br />

Mullah (10) ed i khan lanciarono il jihad<br />

contro gli infedeli comunisti che, a loro<br />

volta, si trovavano invischiati in lotte politiche<br />

intestine. In un siffatto quadro, si costituiva<br />

la nuova Repubblica con a capo Nur<br />

Muhammad Taraki (la guida ed il padre<br />

<strong>della</strong> rivoluzione di aprile) che, nei mesi a<br />

seguire, attuò una spinta repressione del<br />

clero afghano e comminò una serie di purghe<br />

in cui perirono almeno quindicimila<br />

persone tra moderati e tradizionalisti.<br />

L’indignazione tuttavia cominciò ad affiorare<br />

sfociando nei primi germi <strong>della</strong> resisten-<br />

17


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

L’area territoriale di colore grigio rappresenta<br />

l’oggetto <strong>della</strong> contesa irredentista dell’etnia<br />

Pashtun dopo la suddivisione di fine ‘800<br />

imposta con la Durand line.<br />

za. Nel frattempo tuttavia, nell’eterna contesa<br />

del confronto bipolare, riaffiorano gli<br />

interessi di tipo geopolitico nella regione ed<br />

a Washington la linea più decisa e chiara<br />

fu proposta da Zbigniew Brzezinski secondo<br />

il quale il colpo del 1978 sarebbe stato<br />

18<br />

Fig. 7<br />

il preludio al totale assorbimento<br />

dell’Afghanistan nel blocco sovietico, con<br />

relativa reviviscenza del vecchio velleitarismo<br />

zarista legato all’accesso alle calde<br />

acque del Golfo Persico e al dominio<br />

dell’Asia sud–occidentale. La dirigenza<br />

sovietica, dal canto suo, non era propriamente<br />

convinta dell’impronta riformista<br />

socialisteggiante imposta dal governo di<br />

Taraki all’Afghanistan, soprattutto alla luce<br />

dell’evidente infiammazione anti-sistema


propagata dai Mullah locali, nonché dell’appoggio<br />

loro fornito da parte dei soldati<br />

delusi ribelli dell’esercito che, nel marzo<br />

del 1979, presero il controllo di Herat (allora<br />

città di circa 200 000 abitanti a forte<br />

componente etnica pashtun e totalmente<br />

di lingua persiana). Contestualmente, a<br />

livello macro-regionale, si era appena tratteggiato<br />

il trionfo ideologico-religioso<br />

dell’Ayatollah-Ruhollah Khomeini che, a<br />

seguito del consolidamento ottenuto attraverso<br />

la Rivoluzione islamica, riversava,<br />

dalla neo-costituita teocrazia sciita, una<br />

intensa e decisa spinta alla già evidente e<br />

delineata volontà insurrezionale, anti-regime,<br />

<strong>della</strong> resistenza afghana.<br />

Nel rappresentato quadro di crisi, il<br />

presidente Taraki si rivolse a Mosca per<br />

chiedere un immediato intervento armato.<br />

Nei mesi successivi prese corpo una<br />

sostanziale appendice del «torneo d’ombre»<br />

ottocentesco: i sovietici, inizialmente<br />

scettici sull’invio di truppe a supporto<br />

del «regime marxista di Kabul» (11),<br />

decisero di non dispiegare alcun dispositivo<br />

militare preferendogli il supporto<br />

esterno attuato sotto forma di fornitura<br />

d’armamento ed expertise di consiglieri,<br />

dal momento che consideravano<br />

l’<strong>Esercito</strong> afghano instabile e potenzialmente<br />

capace anche di schierarsi contro<br />

il nuovo «invasore-alleato». Dal canto<br />

suo invece, il Presidente statunitense<br />

Jimmy Carter, nel luglio del 1979, aveva<br />

firmato un decreto che autorizzava la<br />

Central Intelligence Agency (Cia) americana<br />

ad intraprendere un programma<br />

segreto per rafforzare i ribelli afghani con<br />

interventi propagandistici e aiuti medici.<br />

In una fase cospirativa di così torbido<br />

tratto (a tutt’oggi non ancora completamente<br />

delineato), che aveva visto anche<br />

il verificarsi di faide interne al regime (12), si<br />

giunse all’invasione Sovietica del 28<br />

dicembre 1979 – formalmente chiesta<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

dal nuovo governo filo-sovietico guidato<br />

da Babrak Kamal - dopo l’eliminazione,<br />

perpetrata ad opera di agenti del KGB<br />

che cooperavano con la polizia segreta<br />

afghana, anche dell’ultimo ostacolo: il<br />

fanatico ultra nazionalista Hazifullah<br />

Amin.<br />

L’invasione sovietica dell’Afghanistan<br />

«mai colonizzato», si rivelò, oltreché un<br />

clamoroso errore di valutazione storicogeografica<br />

e politico-strategica del<br />

Politbjuro, un irrinunciabile assist per<br />

Brzezinski, presenza incessante nella<br />

politica estera statunitense fin dalla crisi<br />

degli ostaggi in Iran nell’aprile 1979, per<br />

colpire quei russi che detestava: «per<br />

regalargli il loro Vietnam e per spargere<br />

.... nel loro cortile» (l’espressione fu resa<br />

popolare da una copertina del Time del<br />

tempo). Il consigliere per la sicurezza<br />

nazionale dell’Amministrazione Carter, in<br />

un viaggio lampo nell’area <strong>della</strong> «Crisis<br />

Crescent» riuscì a persuadere l’Arabia<br />

Saudita ed il Pakistan, rispettivamente, a<br />

finanziare ed a far passare attraverso i<br />

propri servizi segreti (Inter Services<br />

Intelligence - ISI), tutto l’armamento<br />

necessario allo sforzo bellico per la guerriglia<br />

di resistenza afghana all’invasore<br />

sovietico. Per i dieci anni successivi,<br />

infatti, le Forze Armate del Pakistan<br />

riscossero denaro contante ed armamento<br />

da far arrivare ai mujaheddin<br />

afghani, per mezzo proprio dell’ISI, fin<br />

quando le forze sovietiche nel 1989, alla<br />

fine di dieci anni sventurati di intervento<br />

militare, lasciarono l’Afghanistan nelle<br />

maglie di una rete di militanti islamici,<br />

altamente disciplinati, che identificavano<br />

una nuova generazione di terroristi chiamati<br />

«gli arabi afghani o i figli del jihad» (13).<br />

Il Presidente <strong>della</strong> Repubblica democratica<br />

succeduto a Kamal, Mohammad<br />

Najibullah, considerato l’ultimo uomo<br />

forte comunista, rimase aggrappato al<br />

19


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

potere, dopo il ritiro sovietico, per altri tre<br />

anni. La sua sostanziale politica oppositiva<br />

e repressiva nei confronti degli<br />

agguerriti mujaheddin durò fino al 1992<br />

quando una rivolta, scoppiata all’interno<br />

dei suoi stessi ranghi, lo costrinse a farsi<br />

da parte.<br />

La corsa per Kabul venne quindi contesa<br />

tra le forze pashtun dell’estremista Hikmetyar<br />

ed i tagichi di Burahnuddin Rabbani. Le forze<br />

tagiche guidate dal comandante militare<br />

Ahmad Shan Massoud (14), prevalsero sugli<br />

islamisti dell’Hizb-i-Islami di Hikmetyar cosicchè<br />

la capitale cadeva, dopo oltre tre secoli,<br />

nelle mani di un non pashtun. Ne seguì un<br />

difficile negoziato tra le frammentate fazioni<br />

dei mujaheddin, che portò ad un accordo di<br />

governo per cui, il 17 aprile del 1992, veniva<br />

proclamata la Repubblica Islamica<br />

dell’Afghanistan con a capo il presidente<br />

Sigbatullah Mujadeddi (15). Peraltro nel neo<br />

costituito governo emergeva la figura di un<br />

giovane Viceministro per gli Affari Esteri che<br />

in futuro avrebbe inesorabilmente legato il<br />

suo nome al Paese: Hamid Karzai (16).<br />

NOTE<br />

(1) Principalmente Tagiki, Hazara, Pashtun,<br />

Uzbeki, Beluci e Turcomanni.<br />

(2) I Buddha di Bamiyan rappresentavano due<br />

colossali statue del Buddha risalenti al periodo<br />

preislamico dell’Afghanistan; esse sono state<br />

scolpite da una setta nelle pareti di roccia <strong>della</strong><br />

valle di Bamiyan, territorio degli hazara sciiti a<br />

circa 230 chilometri dalla capitale Kabul e ad<br />

un’altezza di circa 2500 metri. La valle di<br />

Bamiyan, infatti, fu al centro del buddhismo<br />

indiano e punto di sosta sulla Via <strong>della</strong> Seta<br />

per i mercanti che, dall’Europa, si dirigevano<br />

verso la Cina e l’India. La valle ha mantenuto<br />

la sua posizione di centro religioso anche<br />

dopo la sua conquista da parte dell’Islam. Le<br />

statue, una alta 38 metri e risalente a 1800<br />

20<br />

anni fa, l’altra alta 53 metri e vecchia di 1500<br />

anni, vennero distrutte il 12 marzo 2001, a<br />

seguito dell’emissione di un fatwa del leader<br />

talebano, il mullah Mohammed Omar, con<br />

chiaro intento di esprimere la volontà di trasformare<br />

l’Afghanistan in uno Stato monoconfessionale<br />

e di lanciare un evidente monito<br />

alle altre confessioni religiose minoritarie del<br />

Paese.<br />

(3) Le prime notizie del periodo pre-islamico<br />

dell’Afghanistan risalgono alle invasioni ariane.<br />

In seguito, nella sua storia, ci furono le fasi persiana,<br />

meda, greca, maurya e bactriana.<br />

(4) I khanati rappresentavano i regni territoriali<br />

in cui venne suddiviso il territorio asiatico<br />

dall’Orda d’oro di Gengis Khan nel XIII secolo.<br />

(5) La «Linea Durand» è il termine utilizzato<br />

per indicare il confine (scarsamente delimitato,<br />

ma riconosciuto ufficialmente dal punto di<br />

vista internazionale) che per 2640 km separa<br />

Afghanistan e Pakistan. La Linea Durand<br />

prese il nome dal Colonnello Sir Mortimer<br />

Durand, Segretario degli Esteri del Raj<br />

Britannico che il 12 novembre 1893 insieme<br />

all’Emiro afghano Abdur Rahman Khan,<br />

negoziò i confini tra lo stesso Raj, di cui il<br />

Pakistan faceva parte, e l’Afghanistan. La<br />

Durand line viene a volte chiamata anche<br />

«Zero Line» o Linea Zero.<br />

(6) Nel 1919 venne promulgata la prima Carta<br />

Costituzionale dell’Afghanistan ed emerse il<br />

consolidamento sociale e politico di una piccola<br />

élite urbanizzata.<br />

(7) Nel 1949 la Loya Jirga afghana dichiarò di<br />

non riconoscere la validità <strong>della</strong> Linea Durand in<br />

quanto nel 1947, con l’indipendenza del<br />

Pakistan, il Raj, visto come la controparte nella<br />

stipula dell’accordo di confine, aveva cessato di<br />

esistere. Questa presa di posizione non provocò<br />

comunque effetti tangibili ed il confine è sempre<br />

rimasto effettivo ed è riconosciuto, ancor oggi,<br />

dalla maggior parte degli Stati.<br />

(8) L’espressione Rentier State (traducibile in italiano<br />

come «stato redditiere») è utilizzata per<br />

classificare gli Stati che traggono tutto ovvero


una ingente porzione sostanziale del loro reddito<br />

nazionale, dalla rendita assicurata dalla vendita<br />

di risorse indigene a clienti esterni.<br />

(9) La dinastia Durrani (radice etimologica nei<br />

lemmi dur-e-durran, perla delle perle) si radicò<br />

nel territorio, che oggi viene chiamato<br />

Afghanistan, nell’anno 1747 con l’incoronazione<br />

di Ahmad Shah Durrani, un comandante<br />

pashtun dell’<strong>Esercito</strong> safavide. Alla dinastia<br />

di Durrani seguì quella di Barakzai, che<br />

governò il Paese fino al 1973, anno <strong>della</strong><br />

creazione <strong>della</strong> Repubblica Afghana.<br />

(10) L’appellativo Mullah è generalmente utilizzato<br />

per riferirsi a un fedele musulmano<br />

educato alla teologia islamica ed alla legge<br />

sacra (Sharia). È inteso nel mondo islamico,<br />

anzitutto, come termine di rispetto per un<br />

uomo colto. L’etimologia del titolo è ricondotta<br />

alla parola araba Mawla, che significa «vicario»,<br />

«custode». In vaste aree del mondo<br />

musulmano, in particolare l’Iran, la Bosnia,<br />

l’Afghanistan, la Turchia, l’Asia centro-meridionale<br />

e la Somalia, è il nominativo comunemente<br />

attribuito al locale leader religioso islamico.<br />

L’appellativo è stato altresì utilizzato in alcune<br />

comunità ebraiche sefardite, con lo scopo di<br />

fare riferimento alla leadership religiosa <strong>della</strong><br />

comunità.<br />

(11) Da verbale reso pubblico nel 1991, durante<br />

i processi che seguirono il fallito colpo di Stato<br />

contro Michail Gorbaciov, emerge la volontà del<br />

Ministro degli Affari Esteri sovietico del tempo<br />

Aleksej Kosygin di «non inviare truppe, ma di<br />

invitare il presidente Taraki e il fanatico nazionalista<br />

Amin a cambiare la loro tattica».<br />

(12) Dalle informazioni di cui si è in possesso<br />

oggi, emerge che gli Ufficiali sovietici si<br />

accordarono in gran segreto con il Presidente<br />

Taraki per estromettere l’ultranazionalista<br />

Amin e costituire un governo a base più larga.<br />

Quest’ultimo tuttavia riuscì ad evitare – grazie<br />

ad una soffiata – un appuntamento fatale e<br />

colpì giustiziando in anticipo Taraki, al punto<br />

tale da far risultare, in un comunicato ufficiale<br />

del regime, che il Presidente era morto a<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

causa di «una seria malattia».<br />

(13) Il partito più estremista dei mujaheddin<br />

afghani - Hizb-i-Islami (Partito dell’Islam) -<br />

venne fondato da Gulbuddin Hikmetyar per<br />

resistere all’invasione sovietica.<br />

(14) Ahmad Shan Massoud è stato un militare<br />

e politico afghano del Fronte Unito<br />

(Alleanza del nord), combattente contro il<br />

regime talebano afghano meritandosi l’appellativo<br />

di «leone del Panjshir». Nato il 9 gennaio<br />

del 1953 a Jangalak, nel nord<br />

dell’Afghanistan, fu il comandante più rispettato<br />

ed amato dei combattenti islamici per la<br />

resistenza afghana contro l’invasione sovietica<br />

prima e contro il regime dei talebani poi. Il<br />

suo sogno era un Afghanistan libero, indipendente<br />

e democratico. Oltre ad essere un<br />

ammirevole uomo di cultura, amante <strong>della</strong><br />

poesia e dei viaggi, si dimostrò un abile stratega<br />

militare. Nel 2002 venne candidato<br />

postumo al Premio Nobel per la pace ed al<br />

Premio Sacharov, istituito dal Parlamento<br />

europeo per coloro che si distinguono nel<br />

campo <strong>della</strong> lotta per i diritti dell’uomo. Nello<br />

stesso anno, il 25 aprile, Ahmad Shah<br />

Massoud è stato proclamato ufficialmente<br />

eroe nazionale.<br />

(15) Sigbatullah Mujadeddi da sempre a capo di<br />

una delle fazioni dei mujaheddin, ha diretto il<br />

Fronte nazionale di liberazione dell’Afghanistan<br />

a cui apparteneva anche Hamid Karzai. È stato<br />

anche un leader spirituale e il capo dell’ordine<br />

sufi del misticismo islamico in Afghanistan. Dopo<br />

il breve mandato presidenziale (28 aprile – 28<br />

giugno 1992), ha diretto la Commissione per la<br />

pace e la riconciliazione, istituita per affrontare il<br />

problema dei talebani.<br />

(16) Hamid Karzai è l’attuale Primo presidente<br />

eletto dell’Afghanistan (dal 7 dicembre<br />

2004). In precedenza, dal dicembre 2001<br />

Karzai aveva ricoperto il ruolo di Capo dell’amministrazione<br />

transitoria afghana e di<br />

Presidente ad interim (dal 2002).<br />

□<br />

21


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

LA MANOVRA NELLA TERZA<br />

DIMENSIONE<br />

ATTRITO E MANOVRA<br />

Gli uomini hanno cominciato fin<br />

dalla preistoria a combattere,<br />

ossia a usare la violenza per raggiungere<br />

i propri scopi, sia contro gli animali<br />

per difendersi o procurarsi il cibo, sia<br />

contro altri uomini per pura difesa ovvero<br />

per appropriarsi di nuovi territori e beni.<br />

Ebbene, già allora, seguendo il proprio<br />

intuito, gli stessi uomini hanno cercato,<br />

prima degli scontri, di muovere verso la<br />

posizione più favorevole per combattere,<br />

22<br />

del Tenente Colonnello Gianmarco DI LEO<br />

in servizio presso lo Stato Maggiore dell’<strong>Esercito</strong> - III RIF-COE<br />

Rappresentazione pittorica del lancio di paracadutisti<br />

in Normandia nel 1944.<br />

incrementando così le proprie possibilità<br />

di sopraffare o non essere sopraffatti dall’avversario.<br />

La manovra è proprio l’arte –<br />

non la scienza – di raggiungere quella<br />

posizione, consentendo di condurre il<br />

combattimento partendo da una situazione<br />

di vantaggio. Essa risulta dunque fondamentale<br />

nella condotta delle operazioni<br />

militari, tanto a livello tattico, quanto a


livello operativo o strategico; in terra,<br />

come in mare, in cielo o nello spazio.<br />

Tutti i più grandi condottieri, da Alessandro<br />

Magno, a Cesare o Napoleone, si sono<br />

appunto distinti in quest’arte riuscendo,<br />

grazie anche ad efficaci manovre delle loro<br />

forze, a sconfiggere eserciti numericamente<br />

molto superiori, in un tempo relativamente<br />

breve e con perdite relativamente contenute.<br />

Come suggeriva infatti, durante la<br />

Guerra di Secessione americana, il<br />

Generale confederato R.E. Lee, il compito<br />

principale dei comandanti in guerra è mettere<br />

le proprie truppe nella migliore posizione<br />

per combattere. Per il resto, la vittoria è<br />

nelle mani di Dio e delle truppe stesse.<br />

Durante il lungo corso <strong>della</strong> Storia si<br />

sono alternati momenti in cui gli eserciti o<br />

le flotte si sono confrontati in modo più<br />

dinamico, attraverso elaborate manovre,<br />

e momenti in cui si sono invece affrontati<br />

in modo quasi statico, basandosi quasi<br />

esclusivamente sull’urto; impegnandosi<br />

quindi in battaglie d’attrito in cui si scambiavano<br />

reciprocamente colpi sempre più<br />

potenti finché uno dei due contendenti<br />

veniva annientato o si arrendeva. La<br />

Prima Guerra Mondiale, combattuta principalmente<br />

dagli Stati europei per quattro<br />

lunghi anni, dando fondo a tutte le loro<br />

risorse umane e materiali, rappresenta<br />

certamente l’esempio più chiaro di guerra<br />

d’attrito. Le due alleanze, su tutti i fronti,<br />

hanno continuato ad ammassare uomini e<br />

artiglierie nel tentativo di realizzare «lo<br />

sfondamento» decisivo in grado di sbaragliare<br />

il nemico. Milioni di soldati sono<br />

quindi morti, o sono rimasti feriti, cercando<br />

di superare i reticolati e le trincee<br />

nemiche, in una serie di scontri frontali<br />

successivi, caratterizzati da un inferno di<br />

fuoco, schegge e, talvolta, gas letali. La<br />

mobilitazione generale <strong>della</strong> popolazione<br />

e delle risorse tecnico-industriali delle<br />

Potenze di allora portò alla costituzione di<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

eserciti enormi, schierati pressoché staticamente<br />

su impenetrabili fronti continui<br />

dove non esistevano fianchi da aggirare o<br />

retrovie che si potessero colpire rapidamente<br />

per far collassare l’avversario.<br />

Nessuna brillante manovra per linee<br />

esterne o interne fu in grado di scompaginare<br />

la coesione del fronte opposto e nessuno<br />

sfondamento risultò decisivo. In ultima<br />

analisi il solo attrito determinò la sconfitta<br />

degli Imperi centrali, che esaurirono<br />

prima dei loro avversari la capacità e la<br />

volontà di combattere.<br />

AMPLIAMENTO DELLA MANOVRA<br />

NELLA TERZA DIMENSIONE<br />

Verso la fine <strong>della</strong> guerra però, vennero<br />

gettati i semi in grado di rivoluzionare<br />

nuovamente le operazioni militari, consentendo<br />

finalmente agli eserciti di tornare<br />

a manovrare sui campi di battaglia. La<br />

nascita e il rapido perfezionamento del<br />

carro armato, così come dell’aereo, costituirono<br />

la premessa necessaria alla ideazione<br />

<strong>della</strong> Blitzkrieg sviluppata negli anni<br />

successivi alla Prima Guerra Mondiale e<br />

maturata poi durante la Seconda Guerra<br />

Mondiale.<br />

Nell’intervallo tra le due guerre, in tutti<br />

gli eserciti, iniziò infatti il processo di<br />

motorizzazione prima, e meccanizzazione<br />

poi, che portò alla formazione delle<br />

prime vere unità corazzate.<br />

Parimenti, le innovazioni tecnologiche<br />

in campo aeronautico, permisero la<br />

costruzione di velivoli sempre più grandi<br />

ed efficienti, in grado di trasportare a<br />

distanze sempre maggiori carichi paganti<br />

sempre più elevati. Ciò portò a una specializzazione<br />

sempre più accentuata dei<br />

Corpi Aerei di allora, che, nel giro di qualche<br />

decennio, divennero, in molti casi,<br />

autonome Forze Armate, con una propria<br />

23


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

dottrina d’impiego che prometteva addirittura<br />

di vincere le guerre del futuro con il<br />

solo utilizzo di massa dei nuovi bombardieri<br />

in costruzione. Verso la fine <strong>della</strong><br />

Prima Guerra Mondiale, oltre all’uso dell’aereo<br />

per colpire in profondità il nemico<br />

sul proprio territorio, scavalcando le linee<br />

avversarie, si iniziò a teorizzarne anche<br />

l’impiego per trasportare truppe che<br />

potessero essere lanciate col paracadute<br />

nelle retrovie nemiche, aggirandone le<br />

insuperabili posizioni trincerate. Proprio<br />

l’Italia effettuò, nell’agosto del 1918, il<br />

primo lancio di guerra noto, dietro le linee<br />

austriache, nei pressi di Vittorio Veneto, a<br />

scopo di ricognizione (1). Nello stesso<br />

anno anche sul fronte francese i paracadute<br />

furono usati per l’aviolancio di alcuni<br />

team di sabotatori dietro le linee tedesche,<br />

ma anche di materiali per il rifornimento<br />

di truppe alleate. Il Colonnello<br />

americano Billy Mitchell, arrivò addirittura<br />

a proporre al Gen. Pershing (2), per il<br />

1919, di paracadutare dai nuovi bombardieri<br />

in costruzione l’intera 1 a Divisione<br />

fanteria dietro le linee nemiche nella zona<br />

di Metz, per impedirne il ripiegamento e la<br />

Rappresentazione pittorica dello sbarco dei<br />

«Red Devils» (508 th PIR) in Normandia nel<br />

1944.<br />

24<br />

successiva riorganizzazione difensiva, in<br />

concomitanza con l’ennesima offensiva<br />

pianificata sul fronte occidentale per quell’anno.<br />

La guerra finì nel 1918 e l’idea rimase<br />

tale, ma in tutti i principali Paesi (3) cominciò<br />

negli anni successivi il reclutamento,<br />

la formazione e l’addestramento di unità<br />

aerotrasportate o paracadutisti in grado di<br />

manovrare sfruttando la terza dimensione,<br />

per aggirare la massa dei reparti<br />

avversari, colpendoli di sorpresa sui fianchi<br />

o sul tergo.<br />

Il Generale Gavin, Comandante <strong>della</strong><br />

82 a Divisione paracadutisti americana,<br />

nella Seconda Guerra Mondiale, sintetizza<br />

bene lo spirito di queste nuove unità<br />

nel suo libro di memorie On to Berlin: «[Si<br />

tratta di] individui [i paracadutisti] che<br />

devono essere in grado di affrontare<br />

immediatamente qualsiasi opposizione<br />

possano incontrare dopo l’atterraggio.<br />

Nonostante [quindi] si debba fare ogni<br />

sforzo per sviluppare sistemi di comunicazione<br />

e tecniche che consentano rapidamente,<br />

a battaglioni, compagnie e plotoni,<br />

di riordinarsi, noi dobbiamo addestrare i<br />

singoli a combattere per ore e giorni, se<br />

necessario, senza essere parte di unità<br />

organiche. L’equipaggiamento deve essere<br />

leggero e prontamente trasportabile…<br />

Dall’inizio <strong>della</strong> Storia, i soldati<br />

sono stati addestrati in modo<br />

ripetitivo per cancellarne i tratti<br />

individualistici, forzandoli così<br />

ad adattarsi al combattimento in<br />

grandi formazioni. Gli eserciti di<br />

Federico il Grande hanno,<br />

forse, dimostrato la massima<br />

efficienza nel trasformare singoli,<br />

squadre, plotoni e unità<br />

superiori, in perfetti meccanismi<br />

di una macchina più grande.<br />

Anche se l’avvento di armi sempre<br />

più letali ha cambiato la


necessità di costruire queste grandi formazioni<br />

addestrate a combattere in ordine<br />

chiuso, tra la Prima e la Seconda<br />

Guerra Mondiale, infinite ore sono state<br />

spese, in addestramento, per insegnare<br />

conversioni e spostamenti di squadre da<br />

destra a sinistra, come se si stessero preparando<br />

a combattere guerre del secolo<br />

passato (traduzione a cura dell’autore)».<br />

Uniformandosi a questo spirito, la dottrina<br />

seguita dalle unità aerotrasportate<br />

durante la Seconda Guerra Mondiale si<br />

basava essenzialmente sulla sorpresa,<br />

l’aggressività e la flessibilità per occupare<br />

e tenere posizioni chiave alle spalle del<br />

nemico fino all’arrivo di eventuali rinforzi,<br />

costringendolo così a ripiegare abbandonando<br />

le proprie posizioni difensive. Ciò<br />

minimizzava l’intrinseca debolezza delle<br />

stesse unità aerotrasportate, dovuta alle<br />

limitazioni causate dall’impossibilità di<br />

dotare questi reparti leggeri di artiglierie,<br />

mezzi protetti e supporto logistico sufficienti<br />

a metterli in condizione di sviluppare<br />

sforzi prolungati, specialmente contro<br />

unità blindate o corazzate. Tali limitazioni<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Rappresentazione pittorica dell’approntamento<br />

di reparti del 505° PIR (settembre 1943).<br />

erano principalmente dovute alla capacità<br />

di carico di aerei e alianti, che non erano<br />

certamente in grado di aviotrasportare<br />

artiglierie o mezzi pesanti. Altre limitazioni<br />

all’impiego erano dovute anche alla<br />

necessità di sufficienti aerei o alianti da<br />

trasporto per evitare un numero eccessivo<br />

di sortite nello spiegamento delle truppe<br />

aerotrasportate, così come all’assoluta<br />

necessità di avere la superiorità, se non la<br />

supremazia aerea, sul cielo dell’operazione.<br />

Un’ultima limitazione era infine intrinsecamente<br />

dovuta al metodo di spiegamento<br />

delle unità aerotrasportate, ossia il<br />

paracadute o l’aliante. Le auspicabili<br />

caratteristiche fisiche idonee per le zone<br />

d’atterraggio non erano sempre facilmente<br />

disponibili, costringendo quindi spesso<br />

le truppe a un pericoloso diradamento<br />

nella fase di atterraggio, anche distanti<br />

dalle Landing Zone (LZ) pianificate, che<br />

portava altrettanto spesso a notevoli pro-<br />

25


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

blemi nel riordino delle forze. Durante<br />

l’avvicinamento al suolo poi, sia gli alianti,<br />

sia i paracadutisti, erano estremamente<br />

vulnerabili al fuoco <strong>della</strong> contraerea o<br />

anche delle armi leggere eventualmente<br />

appostate nei pressi delle LZ stesse.<br />

Le gravi perdite subite, ad esempio, da<br />

unità aerotrasportate tedesche a Creta,<br />

anglo-americane in Normandia e Olanda,<br />

o russe a Vyaz’ma come a Kursk, sembrarono<br />

confermare, su tutti i fronti <strong>della</strong><br />

Seconda Guerra Mondiale, la sostanziale<br />

inefficacia, in termini di costi-benefici,<br />

nella condotta di significative operazioni<br />

aerotrasportate di livello superiore al tattico<br />

(4). La guerra finì, quindi, con l’impiego<br />

dei reparti aviotrasportati, sostanzialmente,<br />

come fanteria di élite.<br />

NUOVI MEZZI PER LA MANOVRA<br />

NELLA TERZA DIMENSIONE<br />

Già dal 1946 però, il perfezionamento di<br />

un nuovo aeromobile in grado di atterrare<br />

e decollare verticalmente – l’elicottero –<br />

consentì l’ideazione e la sperimentazione<br />

di un metodo alternativo al paracadute, o<br />

all’aliante, per trasportare rapidamente i<br />

reparti aerotrasportati alle spalle del nemico.<br />

Il Generale Geiger dei Marines americani,<br />

riflettendo appunto sulle possibilità<br />

offerte dal nuovo mezzo che, proprio grazie<br />

alle sue caratteristiche, poteva essere<br />

imbarcato sulle portaerei e sfruttato, quindi,<br />

per attaccare dall’alto le spiagge nemiche<br />

aggirandone le difese, raccomandò lo<br />

studio del possibile impiego dell’elicottero<br />

per la manovra aeromobile al fine di limitare,<br />

in futuro, le altissime perdite subite,<br />

nel recente passato, dai suoi Marines<br />

durante la condotta delle varie operazioni<br />

anfibie sul fronte del Pacifico. Nel 1948, a<br />

seguito <strong>della</strong> formazione del primo reparto<br />

sperimentale da trasporto aereo<br />

26<br />

dell’USMC (HMX-1), che metteva in linea<br />

i Sikorsky HO3S-1s, nacque il primo<br />

manuale per le operazioni aeromobili eliportate<br />

(Phib-31). Nel 1949 poi, il reparto<br />

neocostituito, sperimentò la nuova dottrina<br />

in esercitazione e, decollando da una<br />

portaerei, condusse la prima manovra di<br />

avvolgimento verticale <strong>della</strong> Storia condotta<br />

con elicotteri.<br />

L’occasione di validare sul campo l’utilità<br />

degli elisbarchi, si ebbe già qualche<br />

anno dopo durante la guerra di Corea.<br />

Nel settembre 1951 infatti, gli elicotteri del<br />

HMR-161 trasportarono oltre 200 Marines<br />

alle spalle del nemico, lanciando l’operazione<br />

Summit, e nell’ottobre successivo,<br />

con l’operazione Bumblebee, l’intero 3°<br />

Battaglione del 7° Rgt. Marines condusse<br />

il primo assalto aereo di massa su elicotteri<br />

Sikorsky HRS-1s.<br />

I successi ottenuti e le grandi potenzialità<br />

che già si intravedevano, spinsero<br />

anche l’<strong>Esercito</strong> americano a esplorare le<br />

possibilità di impiego del nuovo aeromobile.<br />

Gli elicotteri infatti, non avendo bisogno,<br />

per operare, di lunghe piste e permettendo<br />

di rilasciare le truppe d’assalto<br />

già concentrate sulle zone di riordino,<br />

senza peraltro il necessario specifico<br />

addestramento per l’uso del paracadute,<br />

si candidavano ad essere il nuovo ideale<br />

mezzo di trasporto per tutte le truppe<br />

aviotrasportate, in grado di ridurre i problemi<br />

di dispersione, perdite all’atterraggio<br />

e limitazioni nella scelta di idonee LZ,<br />

sperimentati durante le operazioni aerotrasportate<br />

sui fronti <strong>della</strong> Seconda<br />

Guerra Mondiale.<br />

Nel 1954, il celebre Generale Gavin, excomandante<br />

dell’82 a scriveva sulla rivista<br />

Harper’s: «Dov’era la cavalleria?... E non<br />

intendo a cavallo. Intendo a bordo di elicotteri<br />

e aerei leggeri, in grado di trasportare<br />

soldati armati con armi automatiche e<br />

contro-carro portatili, ma anche veicoli


leggeri da ricognizione dotati di armamento<br />

contro-carro capace di eguagliare o<br />

superare quello dei T-34… Se mai nella<br />

storia delle nostre Forze Armate c’è stato<br />

un momento in cui c’è stato bisogno <strong>della</strong><br />

cavalleria – trasportata per via aerea con<br />

elicotteri e aerei leggeri d’assalto –, questo<br />

momento è oggi…Solo sfruttando al<br />

massimo il grande potenziale offerto dagli<br />

aeromobili contemporanei possiamo<br />

combinare la completa dispersione nella<br />

difesa con la capacità di ammassare le<br />

forze rapidamente per il contrattacco che<br />

l’<strong>Esercito</strong> di oggi e di domani deve possedere<br />

(traduzione a cura dell’autore)».<br />

In queste poche righe, il Generale<br />

Gavin, sintetizzò efficacemente le caratteristiche<br />

<strong>della</strong> futura cavalleria aerea, che,<br />

entro pochi anni, sui campi di battaglia del<br />

Vietnam, dimostrò le enormi potenzialità<br />

<strong>della</strong> combinazione elicottero-fanteria leggera<br />

aeromobile.<br />

Nell’agosto del 1962, il Generale<br />

Hamilton Howze, guidò infatti un gruppo<br />

di studio (Tactical Mobility Requirement<br />

Board) che in soli 90 giorni analizzò le<br />

potenzialità <strong>della</strong> manovra nella terza<br />

dimensione e propose addirittura la trasformazione<br />

dell’intero <strong>Esercito</strong> americano<br />

in chiave aeromobile. Il piano prevedeva<br />

cinque possibili alternative, la terza<br />

delle quali fu suggerita come preferibile al<br />

Ministro <strong>della</strong> Difesa di allora Robert Mc<br />

Namara. L’US Army, poteva essere riorganizzato,<br />

entro sei anni, su undici nuove<br />

Divisioni, di cui cinque Air Assault, più tre<br />

Brigate Air Cavalry e tre Air transport. Le<br />

principali innovazioni tattiche di questo<br />

programma di ristrutturazione erano proprio<br />

le creazioni delle Divisioni Air<br />

Assault, che avrebbero dovuto schierare<br />

459 aeromobili – anziché i 100 delle<br />

Divisioni standard – e 1 100 veicoli – anziché<br />

3 452 –, riducendone così il «peso»,<br />

per una più spiccata aeromobilità e un<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

minore onere per il trasporto aereo.<br />

Anche l’artiglieria sarebbe stata infatti<br />

ridotta ai soli obici da 105 mm e ai razzi<br />

Little John (aerotrasportabili dai Chinook),<br />

potendo però contare sul supporto di<br />

fuoco divisionale di 24 aerei leggeri<br />

Mohawks e 36 elicotteri Huey armati con<br />

razzi e mitragliatrici pesanti. La nuova<br />

Divisione, così costituita, sarebbe stata<br />

poi composta da tre Brigate, di cui una<br />

aerotrasportabile nella stessa sortita con i<br />

propri mezzi aerei. Le Brigate Air Cavalry<br />

dovevano essere invece composte da<br />

316 elicotteri, di cui 144 da attacco<br />

(all’epoca non ancora in servizio), ed<br />

essere completamente aerotrasportata<br />

nella stessa sortita (compresa la organica<br />

componente controcarri). Un’ulteriore<br />

novità, per entrambi i tipi di unità, era l’assegnazione<br />

permanente di sufficienti<br />

aeromobili (aerei Caribou ed elicotteri<br />

Chinook) per fornire il supporto logistico,<br />

via aerea, direttamente alle unità sul<br />

campo di battaglia. Il compito delle<br />

Divisioni d’assalto aereo sarebbe stato<br />

quello di manovrare nella terza dimensione<br />

per colpire il nemico direttamente sui<br />

fianchi o sul tergo, aggirandolo o avvolgendolo,<br />

e scavalcandone così le difese<br />

preparate più solide. Quello delle Brigate<br />

di cavalleria aerea, sarebbe stato invece<br />

quello di fornire le unità destinate<br />

all’esplorazione, allo schermo delle forze<br />

principali, alla protezione dei loro fianchi,<br />

nonché alle azioni ritardatrici. La conclusione<br />

del Generale Howze fu che:<br />

«L’adozione del principio di aeromobilità<br />

da parte dell’<strong>Esercito</strong>, per quanto possa<br />

essere giustificato in modo imperfetto, nel<br />

mio rapporto, è comunque necessario e<br />

desiderabile. Per certi aspetti si tratta di<br />

una transizione inevitabile, come quella<br />

del passaggio dalla mobilità basata su<br />

mezzi animali a quella basata su mezzi a<br />

motore (traduzione a cura dell’autore)».<br />

27


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

Aviosbarco di truppe americane in Vietnam<br />

protetto da cortina fumogena (foto US Army).<br />

A seguito dell’opposizione feroce di<br />

membri del Congresso, Ufficiali dell’US<br />

Air Force ed elementi tradizionalisti dello<br />

stesso US Army, il provvedimento di<br />

ristrutturazione non venne adottato, ma lo<br />

studio di Howze, servì comunque a gettare<br />

le basi per la creazione <strong>della</strong> 1a Divisione Cavalleria Aerea, costituita l’11<br />

febbraio 1963 in Fort Benning, dall’integrazione<br />

dell’11a Divisione Assalto Aereo<br />

con la 2a Divisione Fanteria, riprendendo<br />

però le tradizioni <strong>della</strong> 1 a<br />

Divisione<br />

Cavalleria. Successivamente, la nuova<br />

Grande Unità venne inviata in Vietnam e<br />

ricevette il battesimo del fuoco nei pressi<br />

del massiccio Chu Pong, al confine con la<br />

Cambogia, nel novembre 1965, dove<br />

diverse sue unità vennero coinvolte nella<br />

battaglia <strong>della</strong> Valle dello Ia Drang (5).<br />

28<br />

Proprio la guerra in Vietnam dimostrò,<br />

dopo i primi successi, alcuni problemi<br />

delle operazioni aeromobili, anche se eliportate,<br />

e il possibile alto tasso di perdite<br />

causato anche solo da forze leggere scarsamente<br />

equipaggiate, come quelle NVA<br />

(North Vietnamese Army) o Viet-Cong.<br />

Grazie, infatti, allo sviluppo rapido di efficaci<br />

tecniche contro-atterraggio, questi<br />

ultimi riuscirono in molti casi a infliggere<br />

parecchi danni alle forze aerotrasportate.<br />

Ad esempio, durante un assalto aereo ad<br />

AP Bac, nel gennaio 1963, 13 dei 15 elicotteri<br />

impiegati furono colpiti e 4 vennero<br />

abbattuti. Anche durante l’operazione<br />

Sure Wind 202, nell’aprile 1964, ben 17<br />

dei 21 elicotteri impiegati furono colpiti e 3<br />

finirono abbattuti. Anche a causa, infatti,<br />

dell’estesa e fitta vegetazione vietnamita,<br />

relativamente poche radure erano adatte<br />

come zone d’atterraggio, rendendo quindi<br />

possibili agguati con razzi e mitragliatrici<br />

pesanti posizionate a ridosso delle zone


stesse, nonché imboscate immediate alle<br />

unità appena sbarcate, come appunto<br />

nella citata battaglia dello Ia Drang. Tra il<br />

14 e il 18 novembre 1965, gli americani<br />

persero infatti in azione, tra morti e feriti,<br />

200 dei quasi 500 (1°/ 7° Cav.) impegnati<br />

sulla LZ X-RAY, e 279 dei 500 (2°/ 7°<br />

Cav.), circa, attaccati nei pressi <strong>della</strong> LZ<br />

ALBANY.<br />

Nuove procedure tecnico-tattiche vennero<br />

quindi sperimentate per limitare i<br />

danni possibili in caso di imboscata, a<br />

uomini o mezzi, in prossimità delle LZ e<br />

nuovi aeromobili, come l’OV-1A Mohawks<br />

o l’UH-1B Gunship (sostituito dai più<br />

potenti AH-1G Cobra, dal 1968) furono<br />

integrati nei pacchetti aerotrasportati per<br />

migliorarne la capacità di individuazione<br />

precoce del nemico e la potenza di fuoco.<br />

I nuovi Squadroni di Cavalleria Aerea<br />

costituiti erano formati da 1 Plotone da<br />

ricognizione, su Observation Helicopter<br />

(OH), 1 Plotone d’attacco, su Attack<br />

Helicopter (AH) e uno di fanteria aeromobile,<br />

su Utility Helicopter (UH). Ogni<br />

Gruppo Squadroni di Cavalleria<br />

Corazzata, organici alle Divisioni di fanteria,<br />

aveva uno di questi Squadroni; mentre<br />

i Gruppi Squadroni delle Divisioni<br />

Aeromobili ne avevano tre. Le varie minori<br />

unità a disposizione potevano essere<br />

diversamente combinate, a seconda delle<br />

missioni loro assegnate e divise in Team<br />

(Tab. 1). Nella condotta di assalti aerei, i<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Team WHITE, ricognivano gli itinerari di<br />

infiltrazione del pacchetto aeromobile e<br />

verificavano la situazione sulla LZ prescelta.<br />

I Team RED, intervenivano per eliminare<br />

le forze nemiche eventualmente<br />

presenti nei pressi <strong>della</strong> LZ (che in questo<br />

caso veniva denominata «HOT»), e i<br />

Team BLUE, provvedevano infine al trasporto<br />

delle truppe d’assalto incaricate di<br />

eseguire la missione tattica terrestre. I<br />

Team PINK, erano invece un misto di OH<br />

e AH, destinati a individuare e distruggere<br />

il nemico direttamente, senza l’intervento<br />

di forze a terra, tramite il loro stesso fuoco<br />

o guidando quello dei mortai, dell’artiglieria<br />

o delle Close Air Support (CAS) dell’Air<br />

Force. Esempi tipici di impiego dei PINK<br />

Team erano ad esempio quelli destinati a<br />

incrementare la protezione dei perimetri<br />

difensivi delle unità terrestri, nei periodi in<br />

cui era più probabile un attacco nemico,<br />

ossia intorno all’alba e al tramonto. A<br />

seconda poi del numero di truppe impegnate<br />

nell’operazione e <strong>della</strong> resistenza<br />

supposta sulla LZ, altri elementi potevano<br />

essere integrati. Alcuni esempi erano i<br />

velivoli per l’osservazione e il supporto<br />

aereo di fuoco ravvicinato, come i già citati<br />

OV-1A; gli aerei leggeri, come gli O-1<br />

Bird Dog, per guidare dall’alto il tiro delle<br />

artiglierie o le CAS dell’aeronautica; gli<br />

elicotteri con il compito di stendere cortine<br />

fumogene ai bordi delle LZ; le sezioni o le<br />

batterie da 105 mm, dislocate nei pressi<br />

Tab. 1<br />

29


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

delle LZ stesse, a supporto degli aviosbarchi;<br />

oppure gli elicotteri con compiti<br />

di comando e controllo, nel caso di operazioni<br />

complesse (6).<br />

Gran parte delle missioni assegnate<br />

alle nuove unità di Cavalleria Aerea<br />

erano di tre tipologie:<br />

• intelligence aeroterrestre;<br />

• sicurezza;<br />

• economia delle forze.<br />

Nella prima tipologia di missioni rientravano<br />

le ricognizioni di aree, itinerari e<br />

obiettivi specifici; la valutazione dei<br />

danni successiva a bombardamenti; la<br />

selezione e ricognizione delle LZ; l’acquisizione<br />

obiettivi, la cattura di prigionieri<br />

(body snatch); ovvero le operazioni<br />

Sistema di illuminazione Bug-Firefly installato<br />

su UH-1 in Vietnam (foto US Army).<br />

30<br />

speciali in supporto di Ranger e Special<br />

Force (SF). Nella seconda, rientravano<br />

invece le operazioni di schermo, protezione<br />

e scorta delle forze amiche durante<br />

movimenti o stazionamenti, così come<br />

quelle di sorveglianza e protezione dei siti<br />

dove si erano verificati abbattimenti,<br />

seguite poi da quelle successive di evacuazione<br />

delle perdite e dei relitti. Nella<br />

terza e ultima tipologia, rientravano infine<br />

i raid d’artiglieria, gli assalti aerei, le<br />

imboscate, le azioni ritardatrici e le operazioni<br />

di protezione durante la costruzione<br />

delle basi di fuoco avanzate, nonché<br />

di reazione agli attacchi contro basi<br />

amiche (7). Dal 1966, per ridurre le perdite<br />

proprie durante gli aviosbarchi, e<br />

incrementare l’effetto sorpresa sul nemico,<br />

le unità di Cavalleria Aerea cominciarono<br />

peraltro ad operare anche di<br />

notte e diventarono sempre più efficaci


grazie alla successiva introduzione di<br />

nuove tecnologie, come i ground controlled<br />

approach radar, i primi sistemi<br />

per la visione notturna (AN/TVS-4), i<br />

sistemi di illuminazione in luce visibile<br />

(Lightning Bug-Firefly), TV e IR (8).<br />

Le esperienze fatte in Vietnam dagli<br />

americani mostrarono comunque molti<br />

dei limiti già sperimentati dalle forze<br />

aerotrasportate nella Seconda Guerra<br />

Mondiale nel manovrare nella terza<br />

dimensione, nonostante tutte le citate<br />

innovazioni tecnico-tattiche e l’introduzione<br />

di aeromobili sempre più avanzati,<br />

in grado anche di decollare/atterrare<br />

verticalmente, nonché volare e combattere<br />

efficacemente anche di notte.<br />

Anche le nuove unità di Cavalleria Aerea<br />

infatti, come i paracadutisti, una volta a<br />

terra, diventavano pura fanteria leggera,<br />

senza protezione, senza artiglieria<br />

pesante, senza sufficiente autonomia<br />

logistica, e in grado di muovere solo a<br />

piedi. Ciò le rendeva ovviamente dipendenti<br />

dalla componente aerea, sia per il<br />

movimento, sia per il supporto di fuoco,<br />

sia per il sostegno logistico, e fortemente<br />

vincolate, dunque, alle LZ dove venivano<br />

sbarcate. Le LZ, essendo quindi<br />

vitali, dovevano essere ben protette<br />

(sottraendo così truppe alle forze di<br />

manovra, per la difesa del perimetro) e<br />

difficilmente le unità aeromobili se ne<br />

potevano allontanare troppo in termini di<br />

spazio o tempo (potendo trasportare i<br />

rifornimenti solo nei propri zaini), limitandone<br />

quindi il raggio d’azione tattico.<br />

Alcuni punti critici <strong>della</strong> manovra aeromobile<br />

si ritrovarono anche in un<br />

manuale Viet-Cong ritrovato nel 1962.<br />

Nel documento, si valutavano giustamente<br />

come debolezze, la capacità di trasportare<br />

nella stessa sortita solo piccole unità<br />

facilmente contrattaccabili; la scarsa<br />

conoscenza del terreno da parte dei<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

reparti aeroportati in zone poco conosciute<br />

e studiate solo sulla carta; nonché la<br />

necessità di operare da LZ rapidamente<br />

accerchiabili, ove si potevano, altrettanto<br />

facilmente, improvvisare imboscate contro-forze<br />

e/o contro-elicotteri.<br />

Nonostante, comunque, i possibili svantaggi<br />

sperimentati nel manovrare nella<br />

terza dimensione, le operazioni aeromobili<br />

furono comunque estensivamente<br />

impiegate in Vietnam, anche a livello<br />

superiore al tattico (9). Questo perchè la<br />

capacità dimostrata, sfruttando le potenzialità<br />

di elicotteri e aerei leggeri, di cercare,<br />

trovare il nemico, sempre estremamente<br />

elusivo, che si nascondeva tra<br />

montagne e foreste, nonché di ingaggiarlo<br />

rapidamente, impedendone la fuga, si<br />

rivelò estremamente preziosa, soprattutto<br />

in un teatro di operazione non-lineare<br />

come quello del Vietnam.<br />

Anche negli anni successivi quindi, seppure<br />

parecchie critiche furono mosse<br />

all’impiego massiccio di unità aerotrasportate<br />

su larga scala, diverse volte furono<br />

lanciate operazioni di assalto aereo,<br />

sia eliportato – sia avioportato – da tutti i<br />

Paesi che ne avevano la capacità. Un<br />

esempio è fornito, dal lancio di unità paracadutiste<br />

indiane, che conquistarono<br />

quasi tutto il ghiacciaio Siachen nella<br />

regione del Kashmir, nell’aprile del 1984,<br />

con un attacco preventivo sul campo di<br />

battaglia più alto del mondo (operazione<br />

Meghdoot).<br />

Un altro esempio è fornito dai sovietici<br />

che, nel dicembre 1979, aviotrasportarono<br />

a Bagram l’intera 103 a Divisione<br />

(Airborne) <strong>della</strong> Guardia «Vitebsk» come<br />

mossa d’apertura dell’invasione in Afghanistan.<br />

Altre operazioni furono condotte<br />

dagli americani a Grenada nel 1983, a<br />

Panama nel 1989 e, più recentemente, in<br />

Afghanistan nel 2001 e Iraq, sia nel 1990-<br />

91, sia nel 2003.<br />

31


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

CASE STUDIES RECENTI<br />

Particolarmente interessante è il caso<br />

<strong>della</strong> 101 a Divisione aerotrasportata, che<br />

alla fine del 1990 raggiunse l’Arabia<br />

Saudita, assieme alle altre forze del<br />

XVIII Corpo (Airborne) americano, come<br />

prima risposta all’invasione irachena del<br />

Kuwait, cominciando così l’operazione<br />

Desert Shield. Questo caso dimostra<br />

infatti la grande flessibilità e potenzialità<br />

di grandi unità aeromobili, come la 101 a ,<br />

anche nelle più classiche operazioni<br />

War. In agosto, le Screaming Eagle<br />

rischierarono, in soli 13 giorni, le loro<br />

prime unità, da Fort Cambpell (USA) a<br />

Camp Eagle II (Arabia Saudita), nei<br />

pressi del King Fahd International<br />

Airport (KFIA), con 56 sortite di C-141 e<br />

49 di C-5B, e assumendo la responsabilità<br />

di difendere un settore di 4 600 Km 2<br />

(AO Normandy), con un totale di 2 742<br />

uomini, 487 veicoli e 117 elicotteri (<strong>della</strong><br />

2 a Brigata e <strong>della</strong> organica Brigata<br />

32<br />

Aviazione dell’<strong>Esercito</strong>). Di questi ultimi,<br />

ben 96 erano d’attacco (42 AH-1 Cobra,<br />

ognuno armato con 8 missili TOW (Tube<br />

Launched Optically Tracked); 54 Apache,<br />

ognuno armato con 16 missili Hellfire), e<br />

rappresentavano quindi l’arma migliore<br />

per fermare l’eventuale ulteriore avanzata<br />

dei carri di Saddam Hussein nel<br />

Golfo. Nel giro di tre mesi, il Comando<br />

<strong>della</strong> coalizione anti-irachena formatasi<br />

nel frattempo, ordinò poi alla 101 a<br />

abbandonare la propria postura difensiva<br />

e di spostarsi dall’estrema destra<br />

all’estrema sinistra dello schieramento<br />

AH-64 in atterraggio presso un FARP in Iraq<br />

(foto US Army).<br />

alleato (un movimento di circa 1000<br />

Km), preparandosi ad attaccare, nell’ambito<br />

dell’operazione Desert Storm,<br />

partendo dalla nuova Tactical Assembly<br />

Area Campbell. Proprio gli elicotteri d’attacco<br />

<strong>della</strong> 101 a , nella notte del 17 gen-<br />

di


naio, condussero il primo raid alleato<br />

dell’offensiva, con 2 Sezioni (denominate<br />

White e Red) di 4 AH-64 e 2 MH-53J<br />

Pave Low, che, volando a bassissima<br />

quota, distrussero due radar <strong>della</strong> difesa<br />

aerea irachena in pieno territorio nemico,<br />

aprendo così un varco nella rete<br />

<strong>della</strong> difesa aerea stessa. Questo varco<br />

venne sfruttato poi, sempre nella notte<br />

del 17, dai primi caccia-bombardieri<br />

<strong>della</strong> coalizione, per colpire di sorpresa<br />

gli obiettivi strategici situati a Baghdad,<br />

riuscendo quindi, non essendo avvistati,<br />

a massimizzare gli effetti dei bombardamenti.<br />

All’inizio poi <strong>della</strong> campagna terrestre,<br />

il 24 febbraio (G-Day), tramite<br />

assalto aereo, la 101 a occupò una posizione<br />

151 Km a nord del confine iracheno<br />

FOB Cobra (Forward Operating Base<br />

“Cobra”), scavalcando le unità nemiche<br />

schierate sul confine stesso, e lì costituì<br />

diversi Forward Arming and Refueling<br />

Point (FARP) (alimentati anche con 100<br />

sortite di CH-47) necessari per rifornire<br />

gli elicotteri che dovevano proseguire<br />

l’assalto in profondità. Il giorno successivo<br />

infatti (G+1), la 101 a si spinse altri<br />

100 Km nel cuore del territorio nemico<br />

(60 sortite di CH-47 e 125 di UH-60),<br />

raggiungendo la valle dell’Eufrate, riuscendo<br />

così a tagliare la principale linea<br />

di comunicazione delle forze irachene<br />

schierate in Kuwait (Highway 8, attorno<br />

a As Samawah), a bloccarne l’eventuale<br />

via di ritirata, verso nord, e a minacciare<br />

anche direttamente Baghdad, posta solo<br />

233 Km a Nord-Ovest. Nel G+2, la<br />

Divisione rinforzò le posizioni raggiunte,<br />

e il G+3 lanciò, da una nuova FOB<br />

(VIPER), costituita 150 Km più a Est (55<br />

sortite di CH-47 e 120 di UH-60), i suoi<br />

elicotteri d’attacco (4 battaglioni) contro<br />

le unità nemiche in ripiegamento da<br />

Bassora (EA Thomas), pianificando poi<br />

un nuovo assalto aereo per il G+4.<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Prima che l’assalto fosse eseguito, gli<br />

iracheni però si arresero e la campagna<br />

terrestre fu quindi interrotta.<br />

Le azioni, seppur sommariamente<br />

descritte qui sopra, dimostrarono certamente<br />

la validità dell’impiego di unità<br />

aeromobili, anche in operazioni di guerra<br />

condotte in Teatri Operativi lineari,<br />

contro eserciti regolari dotati di equipaggiamenti<br />

moderni e forze corazzate,<br />

anche se la loro efficacia fu sicuramente<br />

incrementata dal fatto che gli alleati avevano<br />

l’assoluta supremazia aerea nella<br />

zona d’operazione. Le procedure d’im-<br />

AH-64 durante un’operazione notturna in Iraq<br />

(foto US Army).<br />

piego attuate, la versatilità e l’aggressività<br />

tipica delle forze aeromobili, nonché<br />

la spaventosa potenza di fuoco degli elicotteri<br />

d’attacco, riuscirono comunque a<br />

ottenere risultati impressionanti, considerando<br />

le distanze coperte in soli tre<br />

giorni con perdite bassissime (un solo<br />

Blackhawk abbattuto). Analizzando questa<br />

manovra di aggiramento verticale,<br />

assimilabile, per ampiezza e forze<br />

schierate, a quelle condotte nella<br />

Seconda Guerra Mondiale, si può anche<br />

osservare un significativo cambiamento,<br />

33


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

nell’impiego di forze aerotrasportate.<br />

Mentre infatti le grandi operazioni avioportate<br />

<strong>della</strong> Seconda Guerra Mondiale<br />

miravano fondamentalmente ad aggirare<br />

la prima linea avversaria, occupare<br />

una posizione chiave e resistere sul<br />

posto fino al ricongiungimento con le<br />

forze corazzate amiche (Seize and<br />

Hold) – a causa delle già discusse limitazioni<br />

di mobilità e armamento delle<br />

unità leggere una volta atterrate – questa<br />

<strong>della</strong> 101 a , nella I Gulf War, aveva<br />

invece il compito di occupare posizioni<br />

chiave nel cuore del territorio nemico,<br />

ma anche di utilizzare le posizioni conquistate<br />

come basi avanzate per gli elicotteri<br />

che potevano essere rapidamente<br />

lanciati per ingaggiare obiettivi d’opportunità<br />

nelle retrovie avversarie.<br />

Cercando quindi, e non aspettando sta-<br />

34<br />

Soldati americani <strong>della</strong> 101 a in azione sul<br />

Tergur Ghal nel 2002 (foto US Army).<br />

ticamente, il contatto col nemico. Ciò<br />

grazie, essenzialmente, alla disponibilità<br />

di un numero adeguato di aeromobili<br />

sempre più sofisticati per il trasporto<br />

delle truppe e il combattimento. In questo<br />

tipo di operazione, si può peraltro<br />

osservare anche una vera e propria<br />

inversione dei ruoli tra la componente di<br />

fanteria e quella degli elicotteri d’attacco<br />

<strong>della</strong> Divisione. Gli elicotteri d’attacco<br />

<strong>della</strong> 101 a , infatti, non sono stati prevalentemente<br />

impiegati per fornire il supporto<br />

di fuoco alle truppe di terra durante<br />

gli assalti aerei. Sono state invece le<br />

unità di fanteria che hanno occupato e<br />

difeso le FOB da cui gli Apache hanno<br />

condotto, autonomamente, devastanti


aid contro mezzi e infrastrutture nemiche,<br />

sconvolgendone così le retrovie.<br />

Per certi versi un’innovazione tecnicotattica<br />

simile a quella con cui, all’inizio<br />

<strong>della</strong> Seconda Guerra Mondiale, la<br />

Wehrmacht travolse Polonia, Francia e<br />

Unione Sovietica, coprendo ragguardevoli<br />

distanze in uno spazio di tempo<br />

relativamente breve (10), con le sue<br />

unità corazzate, all’interno delle quali,<br />

non erano i carri a supportare la fanteria,<br />

bensì la fanteria a supportare la<br />

manovra dei carri che si spingevano<br />

rapidamente in profondità nelle retrovie<br />

nemiche, scardinandone l’organizzazione<br />

difensiva, improvvisando e adattandosi<br />

alla situazione contingente, per colpire<br />

i fianchi o il tergo degli avversari<br />

schierati in prima linea.<br />

In seguito però, non furono talvolta raggiunti<br />

gli stessi sorprendenti risultati. Come<br />

già accaduto in Vietnam infatti, le forze ostili<br />

impararono la lezione <strong>della</strong> I Gulf War e si<br />

adattarono a contrastare le forze che sfruttavano<br />

la manovra nella terza dimensione.<br />

Due classici esempi, in due diversi ambienti<br />

operativi e due diverse tipologie di operazione,<br />

sono i casi dell’assalto aereo americano<br />

(Task Force Rakassan) del 2 marzo<br />

2002 sul massiccio del Tergur Ghal, nell’ambito<br />

dell’Operazione «Anaconda» in<br />

Afghanistan, e quello contro elementi <strong>della</strong><br />

Divisione irachena «Medina» nei pressi di<br />

Karbala, il 24 marzo 2003, durante la II Gulf<br />

War. Nel primo caso, l’eliassalto prevedeva<br />

il trasporto di 2 Battaglioni, <strong>della</strong> 101 a Div.<br />

(Airborne) e 10 a Div. (Mountain), in 2 sortite<br />

di 7 CH-47, protetti da 5 Apache, con il<br />

compito di attivare diverse Blocking<br />

Position (BP), sulle probabili vie di fuga,<br />

che correvano attraverso il Tergur Ghal,<br />

presumibilmente seguite da elementi ostili<br />

di Al Qaeda, sbandati e in ripiegamento<br />

verso il Pakistan. In realtà, invece, i citati<br />

elementi ostili si rivelarono tutt’altro che<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

sbandati e inchiodarono da posizioni fortificate<br />

dominanti, con razzi, mitragliatrici e<br />

mortai, le forze sbarcate, su posizioni difensive<br />

improvvisate. Riuscirono persino a<br />

danneggiare 4 dei 5 Apache impiegati,<br />

costringendoli a rientrare alla base. Due<br />

delle sette Blocking Position pianificate non<br />

furono conquistate e il Btg. che avrebbe<br />

dovuto occuparle, subì poi diverse perdite,<br />

rischiando di essere accerchiato. Esso<br />

venne quindi esfiltrato dopo il tramonto,<br />

lasciando quindi aperta una via di fuga agli<br />

elementi ostili in ritirata. Attorno a Karbala<br />

invece, 34 Apache dell’11° US Army Avn<br />

Rgt. caddero in un’imboscata contraerea<br />

durante un attacco alla Divisione irachena<br />

<strong>della</strong> Guardia Repubblicana «Medina». Di<br />

questi ben 30 furono pesantemente danneggiati<br />

(alcuni in modo definitivo), e uno<br />

finì abbattuto.<br />

A seguito di questi e altri eventi simili, si<br />

tornò a considerare nuovamente superate<br />

le tattiche e le tecniche d’impiego delle<br />

unità aeromobili, ritenendo troppo costose<br />

per queste ultime in termini di costibenefici<br />

le operazioni Deep e Shaping<br />

(11) che per un decennio si erano imposte<br />

come massimo esempio di efficacia<br />

nell’impiego delle forze aeromobili negli<br />

eserciti contemporanei. A seguito dello<br />

scalpore suscitato dopo il fallito attacco<br />

alla «Medina» nel marzo 2003, si arrivò<br />

addirittura a parlare di obsolescenza<br />

degli elicotteri d’attacco sui campi di battaglia<br />

presenti e futuri (12). In realtà si è<br />

di nuovo trattato di un caso riuscito di<br />

adattamento. I potenziali avversari delle<br />

forze aeromobili, avendo imparato le<br />

lezioni delle battaglie del recente passato,<br />

hanno ben compreso che per limitare<br />

i danni è necessario disperdere le proprie<br />

forze nell’area <strong>della</strong> battaglia, per<br />

evitare di fornire obiettivi facilmente individuabili<br />

e attaccabili, nonché sfruttare<br />

al meglio mascheramento e mimetizza-<br />

35


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

zione per sottrarsi all’osservazione<br />

aerea, nascondendosi in caverne, foreste<br />

o centri abitati. Si possono, inoltre,<br />

impiegare sistemi a bassa tecnologia,<br />

come le reti di osservatori con cellulare<br />

usate in Iraq, in alternativa ai radar –<br />

elettronicamente rilevabili e quindi oscurabili<br />

o eliminabili – per avvisare la contraerea<br />

dei movimenti di formazioni<br />

aeromobili. Si possono identificare, infine,<br />

le possibili LZ o le Attack-By-Fire<br />

Position degli elicotteri d’attacco, in<br />

modo da poter organizzare efficaci<br />

imboscate contraeree improvvisate,<br />

sulle rotte di avvicinamento ad esse,<br />

ovvero a ridosso delle stesse. Per sfruttare<br />

infatti al massimo il raggio d’azione<br />

degli aeromobili e mantenere la concentrazione<br />

degli effetti desiderati, siano<br />

essi di aviosbarco o fuoco, nelle Deep<br />

Operation, le suddette formazioni<br />

seguono spesso itinerari poco flessibili e<br />

formazioni compatte per raggiungere le<br />

posizioni pianificate. Sia le rotte, sia le<br />

posizioni, risultano quindi identificabili in<br />

modo relativamente semplice, grazie<br />

anche allo studio accurato del terreno,<br />

delle possibili posizioni di partenza dei<br />

raid o dei FARP, nonché dell’autonomia<br />

e dell’armamento degli aeromobili<br />

disponibili.<br />

Pur senza rinunciare quindi, concettualmente,<br />

all’impiego di Grandi Unità<br />

aeromobili nella manovra in profondità,<br />

sia in Teatri Operativi lineari, sia nonlineari,<br />

i vari Comandi alleati, riconoscendone<br />

i rischi, ne hanno in effetti ridimensionato<br />

scopi e procedure d’impiego. Per<br />

limitare infatti le possibilità di cadere in<br />

imboscate, hanno sostanzialmente ridotto<br />

la profondità d’intervento, disperso le<br />

forze (impiegando unità più piccole e<br />

flessibili), nonché attuato tecniche di<br />

movimento/fuoco più caute, come il<br />

Running Fire (13) o gli sbalzi alternati<br />

36<br />

per assicurarsi il mutuo supporto in caso<br />

di contatto improvviso. Si può dire dunque<br />

che, in un certo senso, si sia riconosciuta<br />

la necessità di operare in modo<br />

indipendente ma restando relativamente<br />

vicini alle unità in prima linea, per poterne<br />

sfruttare l’appoggio di fuoco o manovra,<br />

in caso di necessità.<br />

CONCLUSIONI<br />

A questo punto, ci potremmo chiedere<br />

quali siano le prospettive presenti e future<br />

<strong>della</strong> manovra nella terza dimensione,<br />

ossia se sia ancora attuale, nel contesto<br />

operativo contemporaneo, l’impiego<br />

di Grandi Unità aeromobili per colpire<br />

rapidamente e in profondità l’ipotetico<br />

avversario, scardinandone l’organizzazione<br />

logistico-operativa alle spalle delle<br />

unità schierate in prima linea.<br />

E se tali prospettive sussistono, quali<br />

sono i possibili sviluppi tecnico-tattici<br />

che possono rendere più efficace la<br />

manovra, riducendo le possibili perdite<br />

in uomini e materiali?<br />

Ebbene, ragioni di spazio non consentono<br />

certamente un adeguato approfondimento<br />

<strong>della</strong> questione, ma ritengo che<br />

alcune utili riflessioni si possano comunque<br />

fare. Le più recenti esperienze nei<br />

vari Teatri d’Operazione sono caratterizzate<br />

da un ambiente operativo – verosimilmente<br />

simile a quello del prossimo<br />

futuro – contraddistinto da uno spazio di<br />

manovra non-lineare, spesso non contiguo,<br />

ove le forze ostili tendono ad evitare<br />

scontri diretti e a sottrarsi alla superiore<br />

potenza di fuoco delle Forze<br />

Armate occidentali. L’avversario tende a<br />

disperdersi sul territorio, ovvero a rifugiarsi<br />

tra montagne, foreste o città e ciò<br />

porta ad affermare che l’impiego attuale<br />

e futuro di unità aeromobili resti quanto


mai auspicabile, in quanto la loro intrinseca<br />

mobilità, flessibilità e versatilità,<br />

consente la concentrazione rapida di<br />

forze e/o fuoco dove necessario. Le<br />

Forze Armate alleate operano infatti<br />

spesso in territori vasti, con reti stradali<br />

inadeguate che impediscono<br />

celeri movimenti su rotabile,<br />

e si confrontano con elementi<br />

ostili estremamente sfuggenti,<br />

che risultano difficilmente<br />

agganciabili in combattimento<br />

da forze motorizzate<br />

o meccanizzate. Esempi<br />

come quello già illustrato<br />

<strong>della</strong> Cavalleria Aerea americana<br />

in Vietnam o delle Fire<br />

Forces Rhodesiane (14),<br />

impegnate per diversi anni in<br />

aspre Counter Insurgency<br />

Operations (COIN), mostrano<br />

(al di là del risultato finale<br />

delle campagne belliche)<br />

appunto i vantaggi di poter<br />

disporre di unità in grado di<br />

spostarsi rapidamente, con<br />

scarso preavviso, scavalcando<br />

i possibili ostacoli naturali,<br />

e agganciare il nemico prima che possa<br />

nuovamente disperdersi dopo aver compiuto<br />

atti ostili. Ritengo sarebbe quindi<br />

certamente auspicabile riprendere proprio<br />

le lezioni apprese delle citate esperienze,<br />

per ottimizzare l’impiego delle<br />

unità aeromobili e limitare (eliminarle è<br />

comunque impossibile) tragiche perdite,<br />

di uomini o vettori, come quelle sopra<br />

citate, subite dagli americani durante<br />

«Anaconda» in Afghanistan o nell’attacco<br />

alla «Medina» in Iraq. In particolare,<br />

l’approccio più efficace sembra essere<br />

quello di integrare le forze aeromobili<br />

con altre risorse, come UAV (Unmanned<br />

Aerial Vehicle), aerei e unità blindate,<br />

per massimizzarne l’efficacia negli<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

attuali scenari operativi. Due esempi<br />

recenti possono essere presi in considerazione<br />

per illustrare le potenzialità di<br />

questa integrazione: la Task Force<br />

Hawk, costituita nel 1999 durante la crisi<br />

del Kosovo e la Task Force ODIN<br />

UH-60 e AH-64 <strong>della</strong> TF Hawk in atterraggio<br />

sull’aeroporto di Rinas nel 1999 (foto US<br />

Army).<br />

(Observe Detect Intercept Neutralize),<br />

impiegata nella campagna COIN in Iraq.<br />

Nel primo caso, si tratta dell’integrazione<br />

di elicotteri d’attacco (24 Apache dell’11°<br />

US Army Avn. Rgt.), Multiple Launch<br />

Rocket System (MLRS) (27 M-270),<br />

Ground Sourveillance Radar (1 Q36, 1<br />

Q37) e UAV (4 Hunter <strong>della</strong> Task Force<br />

Hunter schierata in Fyrom), protetti da un<br />

Battaglione meccanizzato e uno paracadutisti,<br />

in una stessa unità spiegata sull’aeroporto<br />

di Rinas dall’<strong>Esercito</strong> americano, con<br />

37


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

il compito di effettuare Deep Operation in<br />

Kosovo contro l’<strong>Esercito</strong> yugoslavo, in supporto<br />

a un’eventuale invasione terrestre<br />

<strong>della</strong> NATO (North Atlantic Treaty<br />

Organization). Il concetto d’azione prevedeva<br />

l’impiego dei radar e degli UAV per<br />

identificare le posizioni delle truppe di terra<br />

di Milosevic trincerate in Kosovo e colpirle<br />

con gli MLRS o gli Apache. L’invasione di<br />

terra non fu poi necessaria e gli obiettivi<br />

identificati dalla Task Force Hawk furono in<br />

realtà ingaggiati dagli aerei alleati e non<br />

dalle proprie forze d’attacco. Ciò non invalida<br />

comunque l’efficacia dell’ipotesi di<br />

impiego e l’utilità dello spiegamento <strong>della</strong><br />

Task Force Hawk, che contribuì a rendere<br />

comunque credibile la minaccia di invasione<br />

terrestre <strong>della</strong> NATO. Cosa che certamente<br />

rappresentò uno dei principali motivi<br />

che spinsero Milosevic ad arrendersi (15).<br />

Nel secondo invece, la Task Force ODIN, è<br />

stata formata a Fort Hood nell’ottobre 2006<br />

e schierata in Iraq dal novembre dello stesso<br />

anno per contrastare la minaccia IED<br />

(Improvised Explosive Device). L’unità<br />

includeva elicotteri d’attacco, veicoli blindati<br />

Stryker e UAV Warrior-A, equipaggiati con<br />

sensori elettro-ottici, radar ad apertura sintetica<br />

e designatori laser. Questa Task<br />

Force, come suggerisce l’acronimo stesso,<br />

aveva il compito di contrastare la minaccia<br />

terroristica e specificatamente quella degli<br />

IED nel Teatro Operativo iracheno, impiegando<br />

gli UAV per trovare, identificare gli<br />

elementi ostili, ovvero monitorarne i movimenti<br />

fino alle loro basi di approvvigionamento,<br />

allo scopo poi di neutralizzarle, a<br />

seconda <strong>della</strong> situazione tattica, con gli elicotteri<br />

d’attacco o l’intervento di unità blindate<br />

di reazione immediata. Grazie alla<br />

sinergia tra le diverse componenti e l’unicità<br />

di comando nella caccia agli IED, questa<br />

nuova unità ha ampiamente dimostrato la<br />

sua validità (16) e costituisce certamente<br />

un esempio innovativo di integrazione<br />

38<br />

aeroterrestre MUM (Manned-Unmanned-<br />

Manned) e di impiego efficace di forze<br />

aeromobili sui campi di battaglia contemporanei.<br />

In conclusione, come le ultime osservazioni<br />

sopra delineate sembrano dunque<br />

suggerire, non si può certo ritenere esaurita<br />

la necessità <strong>della</strong> manovra nella terza<br />

dimensione, sia sui campi di battaglia lineari<br />

ove si confrontano forze convenzionali, sia<br />

su quelli non-lineari, in cui si deve contrastare<br />

la minaccia di forze irregolari che operano<br />

con tattiche di guerriglia. Si tratta piuttosto,<br />

come già accaduto precedentemente<br />

nell’evoluzione <strong>della</strong> manovra in qualsiasi<br />

dimensione, di studiare attentamente i<br />

necessari miglioramenti di macchine, equipaggiamenti<br />

e procedure d’impiego, per<br />

adattare le unità aeromobili contemporanee<br />

alle esigenze del combattimento nell’attuale<br />

e futuro ambiente operativo. Questa è dunque<br />

la sfida. I Comandanti di oggi e di<br />

domani dovranno accoglierla e vincerla,<br />

oppure rassegnarsi alle inevitabili, tragiche<br />

conseguenze.<br />

NOTE<br />

(1) Il Tenente Alessandro Tandura, del Servizio<br />

Informazioni VIII Armata, si lanciò il 9 agosto da<br />

un velivolo Savoia Pompilio 2 con un paracadute<br />

inglese (mod. «Calthrop»). Cfr. Into the<br />

Valley, Col. C. H. Young.<br />

(2) La proposta prevedeva il trasporto dei reparti<br />

di fanteria in gruppi di 10-15 soldati per aereo,<br />

da paracadutare su punti naturalmente forti<br />

dove si sarebbero schierati in difesa, supportati<br />

giorno e notte dall’aviazione che avrebbe dovuto<br />

rifornirli tramite aviolanci e fornire supporto di<br />

fuoco quando necessario. Cfr. Into the Valley,<br />

Col. C. H. Young.<br />

(3) Nel novembre 1927, proprio l’Italia organizzò,<br />

a Cinisello Balsamo, il primo lancio collettivo<br />

di truppe con paracadute vincolati (mod.


Salvator) da aerei CA-73.<br />

(4) Si consideri, a titolo esemplificativo, che la<br />

Divisione tedesca aerotrasportata perse, per la<br />

cattura di Creta, nel 1941, 5 140 paracadutisti<br />

(di cui 4 000 morti) e 170 dei 600 Ju-52 da trasporto<br />

impiegati. Nel 1944, le truppe aerotrasportate<br />

anglo-americane soffrirono il 50% circa<br />

di perdite, sia in Normandia (Operazione<br />

Overlord), sia in Olanda (Operazione Market<br />

Garden). Il IV Corpo Aerotrasportato sovietico,<br />

perse circa 10 000 dei 14 000 uomini lanciati<br />

nei pressi di Vyaz’ma durante la difesa di<br />

Mosca nel 1942, mentre i 10 000 impiegati nel<br />

contrattacco seguito alla battaglia di Kursk<br />

(1943) furono quasi completamente annientati<br />

(2 delle 3 Brigate avioportate vennero distrutte<br />

in volo o subito dopo l’atterraggio).<br />

(5) In realtà, tutte e tre le Brigate <strong>della</strong> Divisione<br />

si sono alternate, nel mese di novembre 1965,<br />

in battaglia, nell’area. Normalmente però ci si<br />

riferisce alla battaglia dello Ia Drang considerando<br />

i combattimenti del 1°/7° Rgt. Cav. attorno<br />

alla LZ X-RAY e del 2°/ 7° Rgt. Cav. nei pressi<br />

<strong>della</strong> LZ ALBANY.<br />

(6) Lieutenant General H. Hay Jr., Vietnam<br />

Studies: Tactical and Material Innovations,<br />

Department of the Army, Washington D.C,<br />

1989, p. 17.<br />

(7) Lieutenant General H. Hay Jr., Vietnam<br />

Studies: Tactical and Material Innovations,<br />

Department of the Army, Washington D.C,<br />

1989, pp. 18-19.<br />

(8) Ivi, pp. 20-22.<br />

(9) Si prenda ad esempio l’operazione Junction<br />

City del febbraio 1967, in cui ben 9 battaglioni<br />

vennero aerotrasportati e uno, di circa 800<br />

uomini, paracadutato nella zona obiettivi per<br />

costituire, con il loro schieramento, l’incudine<br />

contro cui il martello <strong>della</strong> 1 a e 25 a Divisione fanteria,<br />

avrebbero schiacciato i Viet-Cong presenti<br />

nella zona di combattimento Charlie a Nord-<br />

Ovest di Saigon. Cfr. Lieutenant General<br />

Bernard W. Rogers, Vietnam Studies: Cedar<br />

Falls-Junction City: a turning point, Department<br />

of the Army, Washington D.C, 1989.<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

(10) Da qui il nome suggestivo di Blitzkrieg.<br />

(11) Definite nel Field Manual (FM) 101-5-1<br />

come operazioni contro unità o strutture nemiche<br />

non a contatto <strong>della</strong> Forward Line of Own<br />

Troops (FLOT), <strong>della</strong> Departure Line (DL) o del<br />

perimetro di unità amiche, condotte allo scopo<br />

di scardinare o distruggere le forze avversarie<br />

che supportano quelle in prima schiera o che<br />

potrebbero essere successivamente schierate<br />

in prima schiera.<br />

(12) Maj. Robert M. Cassidy, Renaissance of<br />

the attack helicopter in the close fight, Military<br />

Review, July-August 2003, p.39.<br />

(13) Tecnica di tiro in movimento degli elicotteri,<br />

per evitare di offrire un bersaglio statico alla<br />

contraerea, come accade nel tiro da Hovering<br />

(volo stazionario).<br />

(14) Unità basate sul Selous Regiment formato<br />

nel 1974 come forza specializzata COIN durante<br />

la Guerra di Indipendenza Rhodesia-<br />

Zimbabwe (1966-1980) e disciolto nel marzo<br />

1980. Operavano integrando elicotteri (Alouette<br />

III) e aerei leggeri (O-2 Skymaster) per la ricerca<br />

e l’inseguimento degli ribelli; con cacciabombardieri<br />

leggeri Canberra o Macchi SF-260<br />

per il supporto di fuoco; e unità paracadutiste di<br />

reazione rapida aviolanciate dai C-47 Dakota<br />

(in alcuni casi tre volte al giorno), come forze<br />

aeromobili di manovra. Dimostratesi estremamente<br />

efficaci, sono ritenute responsabili del<br />

68% delle perdite inflitte ai ribelli, con solo 40<br />

uomini persi in azione. Per approfondimenti, cfr.<br />

www.selousscouts.tripod.com.<br />

(15) Wesley K. Clark, Waging Modern War,<br />

Public Affairs, New York, 2001, p. 425.<br />

(16) Il Gen. Simmons, Comandante <strong>della</strong> Task<br />

Force ODIN, ha dichiarato che la sua unità, tra<br />

novembre 2006 e agosto 2007, è stata impegnata<br />

in 148 azioni di combattimento risultate in<br />

233 terroristi uccisi, 48 feriti e 260 catturati.<br />

□<br />

39


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

L’AVVENTO DELL’ARMA<br />

NUCLEARE COME STRUMENTO<br />

DI PRESSIONE INTERNAZIONALE<br />

Il 16 luglio 1945 ad Alamogordo (città<br />

del Nuovo Messico - USA) avvenne il<br />

primo test di un’arma nucleare, con il<br />

nome di Trinity, mentre il neo presidente<br />

americano Harry S. Truman (che subentrò<br />

a F. D. Roosevelt scomparso improvvisamente<br />

il 12 aprile 1945 e che già dal<br />

40<br />

del Tenente Mario MASTANTUONI<br />

in servizio presso il Reggimento «Genova Cavalleria» (4°)<br />

Prima esplosione nucleare in Nuovo Messico.<br />

1942 tanto aveva sostenuto quel progetto<br />

nucleare di cui non vide mai la realizzazione)<br />

si trovava in Germania come<br />

protagonista, assieme a Churchill e


Stalin, alla Conferenza di Potsdam (17<br />

luglio 1945) per decidere sul futuro <strong>della</strong><br />

Germania nazista e sull’eventualità di<br />

una discesa in campo <strong>della</strong> Russia contro<br />

il Giappone.<br />

Il 24 luglio 1945, a seguito di notizie più<br />

complete sull’esperimento, Truman «dopo<br />

un incontro conviviale con Stalin e<br />

Molotov, disse loro con aria grave che gli<br />

americani possedevano un’arma nuova, di<br />

tipo completamente diverso e straordinaria»<br />

(Di Nolfo «Storia delle relazioni internazionali<br />

1918-1992» - pag. 569). Era<br />

nata l’era nucleare e si erano gettate le<br />

basi per un nuovo sistema di relazioni<br />

internazionali. Questa supremazia tecnologica<br />

pose l’America subito al di sopra<br />

del delicato equilibrio di potere che si era<br />

venuto a creare durante la Conferenza di<br />

Teheran (28 novembre – 1° dicembre<br />

1943) tra USA, URSS e Gran Bretagna,<br />

oltre a contribuire rapidamente alla risoluzione<br />

del conflitto in Asia con lo sgancio<br />

dell’atomica su Hiroshima (6 agosto<br />

1945) e Nagasaki (9 agosto 1945) che<br />

Winston Churchill.<br />

Josif Stalin.<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

portò alla capitolazione definitiva del<br />

Giappone.<br />

I russi dal canto loro non erano sorpresi<br />

dell’avvento <strong>della</strong> nuova arma in quanto<br />

i servizi segreti sovietici, ben infiltrati<br />

nei laboratori americani, avevano già<br />

esportato molta di questa tecnologia in<br />

patria. Era solo una questione di tempo.<br />

Successivamente a questi eventi tutti i<br />

principali personaggi politici, così come<br />

molti studiosi, si resero subito conto <strong>della</strong><br />

portata politico-internazionale, non solo<br />

per la contingenza <strong>della</strong> guerra che stava<br />

per finire, ma anche e soprattutto per i<br />

futuri equilibri di potere. Stava nascendo la<br />

diplomazia nucleare. Come riporta sem-<br />

41


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

Franklin D. Roosevelt.<br />

pre Di Nolfo nel suo manuale, la misura di<br />

tale evento già si percepiva confrontando<br />

l’andamento <strong>della</strong> Conferenza di Yalta<br />

(Crimea, febbraio 1945), dove Roosevelt<br />

era molto disponibile al compromesso con<br />

la controparte sovietica e la già citata<br />

Conferenza di Potsdam dove si assistette<br />

ad un Truman sempre più intransigente<br />

mano mano che veniva a sapere degli<br />

esiti positivi dell’esperimento.<br />

Terminata la Seconda guerra mondiale,<br />

che aveva portato con se morte e distruzione,<br />

il mondo pensava che mai si<br />

sarebbe potuto riproporre una tale atrocità<br />

e le nuove élite lavoravano incessantemente<br />

alla costruzione di un nuovo ordine<br />

mondiale fondato sulla pace, la stabilità,<br />

la prosperità economica e la sicurezza,<br />

magari sotto un’istituzione universale<br />

garante di questo ordine. Ma così non fu.<br />

Si assistette subito ad una serie di conflitti<br />

minori che esplosero dopo il 1945 e che<br />

ingeneravano uno stato di insicurezza a<br />

cui porre rimedio, anche con il potenziale<br />

utilizzo del terrore come dissuasione<br />

42<br />

(equilibrio del terrore).<br />

Gli stessi centri di potenza internazionale<br />

si spostarono gradualmente dall’Europa<br />

verso gli Stati Uniti e l’Unione<br />

Sovietica; i due giganti che durante il<br />

conflitto si erano resi protagonisti assoluti<br />

sulla scena mondiale. Ma come abbiamo<br />

detto il possesso dell’ordigno atomico<br />

da parte degli americani era solo un risultato<br />

contingente, perché gli stessi russi<br />

ben presto giunsero alla costruzione di<br />

un ordigno tutto loro. Si poneva ora il problema<br />

di come porre sotto controllo la<br />

proliferazione di un’arma così potente. A<br />

tal fine gli americani avrebbero potuto utilizzare<br />

un certo numero di ordigni come<br />

pressione sui russi al fine di far loro<br />

accettare eventuali linee politiche internazionali,<br />

ingenerando così un vortice<br />

sconsiderato che da lì a poco avrebbe<br />

potuto portare ad una eccessiva risposta<br />

sovietica che sarebbe inevitabilmente<br />

finita in un disastro globale.<br />

Si cominciò allora a pensare all’eventualità<br />

di giungere ad un accordo tra le<br />

Harry S. Truman.


parti affinché il nucleare godesse di un<br />

minimo di regolamentazione e fosse<br />

soprattutto sfruttato sotto il profilo civile e<br />

non militare.<br />

In tal senso iniziarono dei negoziati. Si assistette<br />

così ad una serie di contatti su come<br />

definire la problematica, se dovesse essere<br />

risolta dalla nascente Organizzazione delle<br />

Il fungo atomico su Nagasaki raggiunse i 18<br />

km di altezza.<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Nazioni Unite, come proponevano gli americani<br />

o invece prevedere degli accordi interstatali<br />

come auspicavano i sovietici. Al<br />

momento la soluzione sembrò impossibile e<br />

si perse così l’occasione per evitare la corsa<br />

al riarmo.<br />

Nel frattempo gli statunitensi, tramite il<br />

Piano Marshall (per la ricostruzione post<br />

bellica), tendevano a portare in Europa<br />

una nuova organizzazione delle istituzioni<br />

governative, unitamente ad un nuovo<br />

corso <strong>della</strong> politica economica in senso<br />

capitalistico. A ciò i sovietici<br />

risposero, sentendosi<br />

minacciati da questo<br />

capitalismo dilagante,<br />

mettendo in atto una<br />

serie di iniziative di coinvolgimento<br />

dei partiti<br />

comunisti europei, dando<br />

vita ad una nuova internazionale<br />

comunista<br />

chiamata Cominform.<br />

Dunque, nel 1948 la<br />

divisione dell’Europa era<br />

compiuta e le zone di<br />

influenza ben definite: «la<br />

cortina di ferro» era stata<br />

innalzata. Le due Europe<br />

erano divise da distinti e<br />

separati sistemi di governo<br />

ed economici.<br />

Intanto, il 29 agosto del<br />

1949, con l’Operazione<br />

Prima Luce (Kazakistan)<br />

l’URSS fece cadere il<br />

monopolio nucleare americano<br />

facendo esplodere<br />

il suo primo ordigno atomico.<br />

Gli USA subito risposero<br />

a tale atto mettendo<br />

allo studio la costruzione<br />

di una nuova tipologia di<br />

ordigni: la bomba «H»<br />

(primo esperimento nel<br />

43


STUDI, DOTTRINA E FORMAZIONE<br />

febbraio 1954). I sovietici a loro volta riuscirono<br />

subito a costruirne una tutta loro, sperimentandola<br />

nel novembre 1955.<br />

Ma questo intensificarsi di esperimenti<br />

nucleari iniziava a porre seri problemi<br />

di fall out radioattivo con seri rischi per<br />

la salute umana anche e soprattutto alla<br />

luce delle malattie che gli abitanti di<br />

Hiroshima e Nagasaki iniziavano a<br />

riportare.<br />

Infatti, proprio il diffondersi delle proteste<br />

dell’opinione pubblica occidentale<br />

contro questi effetti nocivi, che sfuggivano<br />

al controllo dei militari, portò nuovamente<br />

alla ribalta la problematica del diffondersi<br />

dei test nucleari e si auspicava<br />

se non uno stop quantomeno un contenimento<br />

degli stessi.<br />

Nel 1957, il delegato USA presso<br />

l’ONU presentò una proposta di trattato<br />

44<br />

Fig. 1<br />

con inserita all’interno una serie di misure<br />

atte ad ispezionare le parti in causa a<br />

seguito di un’eventuale stipula dello stesso.<br />

Ma secca fu la risposta dell’Unione<br />

Sovietica, la quale era sì d’accordo al<br />

contenimento <strong>della</strong> proliferazione, ma<br />

non ai controlli. Successivamente però si<br />

rese anche disponibile ad iniziare a trattare<br />

sulle eventuali modalità ispettive e di<br />

controllo, tanto che l’anno successivo si<br />

ebbe a Ginevra una Conferenza ad hoc.<br />

In concomitanza con questa apertura si<br />

assistette per la prima volta ad una pausa<br />

di due anni (1959-60 come mostrato in<br />

figura 1) degli esperimenti nucleari. Un<br />

primo significativo passo era stato fatto.<br />

In tal senso, nell’agosto del 1963, dopo<br />

una breve discussione, le tre maggiori<br />

potenze nucleari (USA, URSS e Gran<br />

Bretagna) stipularono a Mosca il Partial


Test Ban Treaty (PTBT) per la messa al<br />

bando parziale degli esperimenti nucleari,<br />

i quali dovevano essere condotti<br />

sostanzialmente sottoterra, al fine di contenere<br />

al massimo la nocività. Di fatto<br />

però limitava anche gli stessi esperimenti<br />

in quanto più difficili da riprodurre nel<br />

sottosuolo. Era un ulteriore passo verso<br />

una serie di accordi successivi che<br />

avrebbero contribuito al contenimento ed<br />

al controllo dell’arma nucleare.<br />

Infatti, da lì a pochi anni si tenne una<br />

nuova Conferenza questa volta incentrata<br />

sulla limitazione <strong>della</strong> proliferazione degli<br />

strumenti atomici con la sottoscrizione da<br />

parte di diverse potenze nucleari e non del<br />

«Trattato di non Proliferazione Nucleare»<br />

(TNP), firmato a Londra, Mosca e<br />

Washington il 1° luglio 1968, entrato in<br />

vigore nel marzo del 1970 ed attualmente<br />

valido.<br />

Stipulato nel bel mezzo <strong>della</strong> guerra<br />

fredda, si basa su tre principi fondamentali:<br />

il disarmo, la non proliferazione e<br />

l’uso pacifico del nucleare. Composto da<br />

11 articoli, proibisce agli Stati firmatari<br />

«non-nucleari» di procurarsi tali armamenti<br />

e agli Stati «nucleari» di fornire<br />

loro le tecnologie nucleari belliche.<br />

Inoltre il trasferimento di tecnologie<br />

nucleari per scopi pacifici (ad esempio<br />

per la produzione elettrica) deve avvenire<br />

sotto il controllo dell’Agenzia<br />

Internazionale per l’Energia Atomica<br />

(AIEA).<br />

Di fatto il Trattato limitava il possesso<br />

dell’arma nucleare a quelle potenze che<br />

avessero condotto test atomici prima del<br />

gennaio 1967 ovvero Stati Uniti, Unione<br />

Sovietica, Gran Bretagna, Francia e<br />

Cina. Allo scopo di monitorare l’attuazione<br />

del Trattato sono previste delle riunioni<br />

quinquennali e dopo quasi quarant’anni<br />

dall’entrata in vigore si è dimostrato<br />

uno strumento efficace nel controllo <strong>della</strong><br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

proliferazione.<br />

Ma perché parlare ancora di «cortina di<br />

ferro» ed arma nucleare al giorno d’oggi?<br />

Perché parafrasando S.P. Huntington (Lo<br />

scontro delle civiltà) chi possiede l’ordigno<br />

atomico, leggasi anche armi di<br />

distruzione di massa, è ancora il protagonista<br />

(oggi come allora) <strong>della</strong> scena politica<br />

internazionale. Lo strumento militare<br />

è e continua ad essere la continuazione<br />

<strong>della</strong> politica con altri mezzi, e la politica<br />

nulla è se non la riorganizzazione e la<br />

condotta dei sistemi sociali ed istituzionali,<br />

siano essi nazionali che internazionali.<br />

Questo a dimostrazione del fatto che non<br />

si può attuare una politica estera convincente<br />

ed efficace senza un valido strumento<br />

militare che sorregga e/o imponga<br />

le condizioni; e lo stesso non ha valenza<br />

autoritativa e credibilità senza una tecnologia<br />

ed un armamento che lo supporti<br />

(non necessariamente atomico). Dunque<br />

oggi più che mai visto il clima di limitatezza<br />

di risorse, non si deve perdere di vista<br />

la propria peculiarità nel non investire in<br />

ricerca e tecnologia, l’unica che come in<br />

altri settori dell’economia possa fare la<br />

differenza.<br />

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />

Samuel P. Huntington «Lo scontro delle civiltà»,<br />

Garzanti Editore 1997.<br />

Ennio Di Nolfo «Storia delle relazioni internazionali<br />

1918-1992», Edizioni Laterza 1994.<br />

Trattato di non proliferazione nucleare (traduzione<br />

italiana).<br />

Sandro Raffaelli: «Lo stato di attuazione del<br />

TNP. Problematiche e prospettive».<br />

Sito Internet dell’Istituto Affari Internazionali<br />

www.iai.it.<br />

Wikipedia.it.<br />

□<br />

45


ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />

I PROGETTI DI FORMAZIONE<br />

PROFESSIONALE IN AMBITO<br />

DIFESA SVILUPPATI IN CALABRIA<br />

EUROFORMAZIONE E SBOCCHI OCCUPAZIONALI<br />

Durante il periodo trascorso come<br />

«Capo Sezione Collocamento ed<br />

Euroformazione», presso il Comando<br />

Militare <strong>Esercito</strong> «Calabria», ho avuto modo<br />

di approfondire le mie conoscenze riguardo<br />

alle specifiche attività di responsabilità nel<br />

predetto incarico e di maturare una vasta<br />

46<br />

del Tenente Colonnello Andrea GALIANO<br />

in servizio presso il Comando Militare <strong>Esercito</strong> «Calabria»<br />

Consegna degli attestati di Euroformazione.<br />

esperienza delle dinamiche socio-relazionali<br />

con gli Enti regionali e locali, al fine di<br />

dare piena attuazione ai progetti di formazione<br />

professionale, prescritti dalle direttive


ministeriali in vigore, in favore dei militari<br />

volontari in servizio presso gli EDR delle<br />

sedi stanziali <strong>della</strong> Calabria. Con l’auspicio<br />

che siffatto bagaglio tecnico-culturale e professionale<br />

possa essere preso a riferimento<br />

da tutti i colleghi che si occupano di formazione<br />

e di orientamento in ambito<br />

Difesa, e dagli altri addetti ai lavori, illustro il<br />

mio articolo avente lo scopo di accrescere<br />

la preparazione del personale dell’<strong>Esercito</strong><br />

e di far conoscere, anche alla pubblica opinione,<br />

i diversificati argomenti di quotidiana<br />

applicazione nei contesti <strong>della</strong> difesa e <strong>della</strong><br />

sicurezza. Ciò premesso, evidenzio innanzitutto<br />

le responsabilità nell’incarico in qualità<br />

di Capo <strong>della</strong> Sezione Collocamento ed<br />

Euroformazione, organicamente inquadrata<br />

nell’Ufficio Reclutamento e Comunicazione<br />

dei Comandi Militari dell’<strong>Esercito</strong>, attagliando<br />

le attività al proprio operare in ambito<br />

Calabria e alle esperienze acquisite nella<br />

vita di tutti i giorni ed illustrando, conseguentemente,<br />

gli sviluppi e lo svolgimento dei<br />

Corsi di formazione professionalizzante relativi<br />

al «Progetto Euroformazione Difesa» e al<br />

«Progetto Sbocchi Occupazionali».<br />

IL CAPO SEZIONE COLLOCAMENTO<br />

ED EUROFORMAZIONE<br />

È il responsabile degli atti e delle attività <strong>della</strong><br />

Sezione Collocamento ed Euroformazione,<br />

gerarchicamente dipendente dalla propria<br />

linea di comando e avvalendosi di «nulla osta»<br />

funzionali emanati dall’Ufficio Generale per il<br />

Sostegno alla Ricollocazione Professionale<br />

dei Volontari Congedati (PREVIMIL) di Roma.<br />

I compiti pertinenti alla Sezione sono:<br />

• porre in essere ogni iniziativa finalizzata alla<br />

ratifica del Protocollo d’Intesa e delle relative<br />

Convenzioni Operative, stipulati con la<br />

Regione amministrativa/Province <strong>della</strong><br />

Calabria. Tale attività rientra nelle funzioni di<br />

rappresentanza dell’Amministrazione <strong>della</strong><br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Difesa a livello territoriale e viene attuata a<br />

seguito delle disposizioni tecniche emanate<br />

da PREVIMIL;<br />

• nei succitati atti di indirizzo regionale/provinciale,<br />

per quanto riferito al monitoraggio<br />

e al controllo del «Progetto Sbocchi<br />

Occupazionali», è posto in essere il ruolo<br />

del «Comitato di Coordinamento», del<br />

quale il Capo Sezione è «membro» ai<br />

sensi di quanto prescritto al para. 5 lett. a<br />

<strong>della</strong> Direttiva Organizzativa del <strong>Ministero</strong><br />

<strong>della</strong> Difesa – PREVIMIL n. 89628 del<br />

24/04/2008, per il servizio di «informazione,<br />

orientamento e formazione professionale»,<br />

e che, in particolare, ha il compito di<br />

coordinare l’attuazione <strong>della</strong> Convenzione<br />

al fine di definire il programma di avvio<br />

delle attività formative, di verificare e valutare<br />

periodicamente lo stato di avanzamento<br />

delle attività ed il rispetto dei tempi,<br />

di inviare a PREVIMIL la documentazione<br />

attinente alle suddette attività;<br />

• interfacciarsi a livello territoriale, e<br />

secondo gli indirizzi di PREVIMIL, con<br />

tutti gli «attori» del «Progetto Sbocchi<br />

Occupazionali» (Regione/Province,<br />

Associazioni imprenditoriali, Aziende<br />

private, Enti di formazione, Centri di<br />

Euroformazione, Enti locali);<br />

• interfacciarsi a livello territoriale, e<br />

secondo gli indirizzi di Stato Maggiore<br />

dell’<strong>Esercito</strong> - Dipartimento Impiego del<br />

Personale dell’<strong>Esercito</strong> (Dipe)-Euroformazione,<br />

con tutti gli «attori» del «Progetto<br />

Euroformazione Difesa» (Regione<br />

amministrativa, Enti di formazione, Centri<br />

di Euroformazione), per il quale il<br />

Capo Sezione è «membro» del «Comitato<br />

di Coordinamento» presso la<br />

Regione Calabria, ai sensi di quanto<br />

prescritto al para. 4 lett. g <strong>della</strong> Direttiva<br />

dello Stato Maggiore dell’<strong>Esercito</strong> n.<br />

95/166/8.5/1 del 15/04/2005, per lo sviluppo<br />

delle attività di Euroformazione;<br />

• curare il mantenimento dei contatti con il<br />

47


ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />

Frontespizio del Protocollo d'Intesa con la<br />

Regione Calabria.<br />

personale interessato alle varie procedure<br />

informative;<br />

• curare la compilazione dei periodici da inoltrare<br />

a PREVIMIL e allo SME, relazionando<br />

in merito alle attività svolte in attuazione<br />

del «Progetto Sbocchi Occupazionali» e<br />

del «Progetto Euroformazione Difesa»;<br />

• contribuire all’attività di promozione del<br />

«Progetto Sbocchi Occupazionali» e del<br />

«Progetto Euroformazione Difesa» presso<br />

gli EDR delle sedi stanziali <strong>della</strong> Calabria;<br />

• avvalendosi del Sottufficiale Addetto alla<br />

Sezione qualificato «Operatore SILD»,<br />

curare l’inserimento nella banca dati ministeriale<br />

del Sistema Informativo Lavoro<br />

Difesa (SILD), decentrata a livello regionale<br />

da effettuarsi, per il personale militare volontario<br />

in servizio, a cura del Comando<br />

Militare <strong>Esercito</strong> (CME) territorialmente<br />

48<br />

competente rispetto all’ubicazione dell’Ente<br />

di servizio mentre, per il personale in congedo,<br />

dal CME territorialmente competente<br />

rispetto alla residenza anagrafica;<br />

• avvalendosi dell’Ufficiale qualificato<br />

«Perito Orientatore Professionale <strong>della</strong><br />

Difesa» (qualora l’Orientatore non ricopra<br />

anche l’incarico di Capo Sezione), curare<br />

l’effettuazione del colloquio individuale di<br />

orientamento e la compilazione del quaderno<br />

di orientamento professionale, con<br />

il fine di orientare i militari volontari, congedandi/congedati<br />

«senza demerito» e<br />

iscritti al SILD, verso le scelte occupazionali<br />

che siano adatte alle loro peculiari<br />

attitudini ed abilità e che, messe in relazione<br />

con le esigenze del «mercato del<br />

lavoro», siano idonee a garantirgli la<br />

massima possibilità di collocazione;<br />

• provvedere, al termine dell’orientamento,<br />

avvalendosi dell’operatore SILD, a far caricare<br />

i dati relativi alle aspettative occupazionali<br />

individuali nella banca dati del<br />

SILD, integrando le informazioni che sono<br />

emerse durante il colloquio stesso e non<br />

inserite dall’operatore al momento dell’iscrizione<br />

del militare volontario nella<br />

banca dati;<br />

• instaurare proficui rapporti con organismi,<br />

pubblici e privati, che operano nel settore<br />

<strong>della</strong> formazione e dell’occupazione nell’ambito<br />

regionale al fine di acquisire conoscenze<br />

concrete e reali sulle varie opportunità<br />

formative o lavorative esistenti sul<br />

relativo territorio e allo scopo di creare quei<br />

contatti che possano condurre ad un inserimento<br />

agevolato al lavoro dei militari<br />

volontari congedati «senza demerito»;<br />

• effettuare l’attività, decentrata da PREVI-<br />

MIL, di monitoraggio e controllo sulla<br />

riserva dei posti nei concorsi pubblici (ex<br />

art. 18 comma 6 D.Lgs. 215/01 e artt. 678<br />

e 1014 D.Lgs. 66/2010), banditi dagli Enti<br />

pubblici insistenti sul territorio <strong>della</strong><br />

Calabria, e cioè 1 Regione, 5 Province,


Frontespizio <strong>della</strong> Convenzione Operativa<br />

Eurodifesa.<br />

409 Comuni, 22 Centri per l’Impiego,<br />

Camere di Commercio, Aziende Sanitarie<br />

e Università, in applicazione alla Circolare<br />

di PREVIMIL n. 237936 del 16/12/2010.<br />

IL PROGETTO EUROFORMAZIONE<br />

DIFESA<br />

Il Progetto «Euroformazione Difesa» è un<br />

progetto che, a carattere nazionale, ha coinvolto<br />

il <strong>Ministero</strong> <strong>della</strong> Difesa, il <strong>Ministero</strong> del<br />

Lavoro e delle Politiche Sociali, le Regioni<br />

amministrative, le Province Autonome ed<br />

altre Amministrazioni Centrali dello Stato.<br />

L’obiettivo principale è quello di mettere a<br />

disposizione dei giovani militari Volontari<br />

alle armi validi strumenti di elevazione culturale<br />

e sociale, tesi a fornire una formazione<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

professionalizzante utile per l’assolvimento<br />

dei compiti istituzionali durante il servizio e<br />

per favorire l’inserimento degli interessati<br />

nel mondo del lavoro al termine del periodo<br />

di impiego. In Calabria, sin dal 2007, sono<br />

stati avviati contatti istruttori con l’omologa<br />

Regione amministrativa, in particolare con il<br />

Dipartimento n. 10 – Lavoro, Politiche <strong>della</strong><br />

Famiglia, Formazione Professionale,<br />

Cooperazione e Volontariato. A seguito <strong>della</strong><br />

stipulazione del «Protocollo d’Intesa» e <strong>della</strong><br />

conseguente ratifica <strong>della</strong> «Convenzione<br />

Operativa», la Regione Calabria ha finanziato<br />

complessivamente ad oggi, con la somma<br />

di € 521 000,00 e senza oneri di spesa a<br />

carico dell’Amministrazione Difesa, il<br />

Progetto Euroformazione Difesa, messo a<br />

punto dal Comando Militare <strong>Esercito</strong><br />

«Calabria», conformemente ai programmi<br />

prescritti dalle direttive ministeriali in vigore.<br />

Il Progetto, realizzato con i finanziamenti del<br />

Fondo Sociale Europeo (F.S.E.), per il comparto<br />

settennio POR 2000 – 2006 e POR<br />

2007 – <strong>2013</strong>, ha permesso lo svolgimento,<br />

nel corso del periodo intercorso tra il 2008 e<br />

il 2011, di 28 corsi di formazione professionalizzante<br />

(16 d’informatica, 8 di lingua<br />

inglese e 4 di imprenditoria giovanile) le cui<br />

lezioni didattiche sono state impartite presso<br />

i due Centri di Euroformazione Difesa,<br />

ubicati presso il 1° Rgt. Bersaglieri di<br />

Cosenza e il 2° Rgt. AVES «Sirio» di<br />

Lamezia Terme (CZ). Destinatari dei corsi di<br />

formazione sono stati, nello specifico, i militari<br />

Volontari in ferma breve, in ferma prefissata<br />

annuale e quadriennale (VFB, VFP1 e<br />

VFP4, ovvero militari Volontari non in servizio<br />

permanente) in forza presso tutti gli Enti,<br />

i Distaccamenti e i Reparti delle sedi stanziali<br />

<strong>della</strong> Calabria. L’avviso pubblico per la<br />

presentazione dei progetti di formazione<br />

professionale è stato pubblicato sul<br />

Bollettino Ufficiale <strong>della</strong> Regione Calabria<br />

(BURC) – Parte III – a seguito del quale<br />

sono stati dichiarati vincitori, rispettivamente<br />

49


ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />

per la disciplina dell’informatica, dell’inglese<br />

e dell’imprenditoria giovanile, l’Ente di formazione<br />

CISEF di Reggio Calabria, il<br />

Dipartimento di Linguistica dell’Università<br />

<strong>della</strong> Calabria (UNICAL) di Cosenza e la<br />

Cooperativa Sociale PROMIDEA di Rende<br />

(CS). Attraverso i corsi sono stati formati<br />

complessivamente 336 militari volontari frequentatori<br />

ai quali sono stati rilasciati, previo<br />

superamento degli esami di fine corso, gli<br />

attestati di formazione e la certificazione<br />

delle competenze per il conseguente e rapido<br />

ottimale utilizzo dei contenuti formativi<br />

appresi. In particolare, come valore aggiunto<br />

alla formazione professionalizzante,<br />

l’Università <strong>della</strong> Calabria ha consentito, ai<br />

corsisti che hanno raggiunto risultati elevati<br />

nell’apprendimento <strong>della</strong> lingua inglese, di<br />

sostenere gratuitamente l’esame per il conseguimento,<br />

oltre all’attestato di Euroformazione,<br />

anche del Diploma Cambridge PET che,<br />

come noto, costituisce certificazione universi-<br />

50<br />

taria riconosciuta a livello mondiale. Le aule<br />

destinate al Progetto Euroformazione<br />

Difesa sono state realizzate utilizzando le<br />

risorse economiche provenienti dal bilancio<br />

dello Stato e dal Fondo Sociale Europeo,<br />

attraverso flussi istituzionali. Tutti gli interventi<br />

formativi sono conformi a quanto stabilito<br />

nel Protocollo d’Intesa, siglato tra il<br />

Comando Militare <strong>Esercito</strong> «Calabria» e la<br />

Regione Calabria in data 13/05/2008, e<br />

nella Delibera di Giunta Regionale, n° 395<br />

del 07/05/2008, che approva la<br />

Convenzione Operativa del progetto<br />

«Euroformazione Difesa» tra il Comando<br />

Militare <strong>Esercito</strong> «Calabria» e la Regione<br />

Calabria. L’insieme di tutte le attività formative,<br />

sino agli esami di fine corso, è stato<br />

effettuato in stretto raccordo con il<br />

«Comitato di Coordinamento», costituito a<br />

livello regionale, secondo quanto prescritto<br />

dalle norme ministeriali in vigore.<br />

IL PROGETTO SBOCCHI<br />

OCCUPAZIONALI<br />

La misura per agevolare l’inserimento nel<br />

mondo del lavoro dei militari congedandi/congedati<br />

«senza demerito» si concretizza nel<br />

«Progetto Sbocchi Occupazionali», affidato<br />

all’Ufficio Generale per il sostegno alla ricollocazione<br />

professionale dei volontari congedati<br />

(PREVIMIL) e diramato con apposite direttive<br />

ai Comandi Militari dell’<strong>Esercito</strong> e agli EDR,<br />

con l’intento di realizzare una serie di attività<br />

d’intervento individuale, tra cui il colloquio di<br />

orientamento e la formazione professionale in<br />

favore delle varie categorie di militari volontari<br />

(AUFP, VFB, VFP1, VFP4 ed anche VSP)<br />

che vi aderiscono attraverso la sottoscrizione<br />

di un apposito modulo. Con il succitato progetto<br />

ministeriale sono stati messi a<br />

disposizione delle aziende accreditate i<br />

curricula professionali dei militari volontari<br />

congedati in cerca di occupazione, al


Frontespizio <strong>della</strong> Convenzione Operativa<br />

Progetto Sbocchi Occupazionali con la<br />

Regione Calabria.<br />

fine di favorire l’incontro domanda-offerta<br />

di lavoro e, in ambito locale, avviare un’intensa<br />

attività comunicativa, per finalità<br />

occupazionali, con i Centri Pubblici per<br />

l’Impiego provinciali (C.P.I.), per definire il<br />

sistema di riconoscimento del «pregresso<br />

formativo», ossia delle competenze<br />

acquisite in ambito militare riguardo alla<br />

trasferibilità delle medesime nel mondo<br />

dell’impresa, attraverso l’implementazione<br />

di modalità di raccordo tra professionalità<br />

acquisite ed esigenze del mondo<br />

del lavoro. All’uopo è stata attivata la<br />

Banca Dati del Sistema Informativo<br />

Lavoro Difesa (SILD) per le finalità occupazionali<br />

sin qui espresse, in favore dei<br />

militari volontari congedandi/congedati<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

«senza demerito», la cui fondamentale<br />

importanza è data dall’acquisizione e<br />

registrazione delle adesioni nel citato<br />

«data-base», che costituisce l’archivio<br />

elettronico dell’offerta di lavoro espressa<br />

dai curricula vitae dei militari volontari. In<br />

Calabria, sono state stipulate le<br />

Convenzioni Operative con le Province di<br />

Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio<br />

Calabria e Vibo Valentia per l’iscrizione<br />

dei militari Volontari, congedati «senza<br />

demerito», nelle liste di collocamento dei<br />

summenzionati C.P.I., con il profilo tabellare<br />

ISTAT riconducibile all’incarico militare<br />

svolto. La Sezione Collocamento eroga<br />

anche l’attività di orientamento al lavoro in<br />

favore dei militari Volontari congedandi,<br />

presso gli EDR <strong>della</strong> Calabria, e congedati<br />

dal momento che il Capo Sezione deve<br />

essere in possesso <strong>della</strong> qualifica di<br />

«Orientatore professionale». A livello<br />

nazionale i corsi per «Orientatore professionale»<br />

abilitano a svolgere l’attività di<br />

orientamento Ufficiali, Sottufficiali e personale<br />

civile, a cui viene fornito un «Manuale<br />

ad uso esclusivo degli Orientatori del<br />

<strong>Ministero</strong> <strong>della</strong> Difesa per la realizzazione<br />

di colloqui di orientamento», realizzato da<br />

PREVIMIL unitamente ad altro materiale<br />

di supporto. In sostanza, il colloquio individuale<br />

di orientamento professionale è<br />

finalizzato alla emersione di abilità e competenze,<br />

codificazione delle esperienze<br />

pregresse e del know-how acquisito<br />

durante il servizio militare, aspirazioni<br />

professionali, gradimento predittivo per le<br />

sedi di lavoro e alla compilazione del quaderno<br />

personale di orientamento. Tutti i<br />

dati forniti dal militare volontario sono<br />

immessi poi nel SILD che fornirà, in output,<br />

le referenze professionali di ogni<br />

iscritto e la visibilità delle stesse alle<br />

aziende accreditate presso il <strong>Ministero</strong><br />

<strong>della</strong> Difesa e, anche, quali possono essere<br />

i percorsi formativi cui indirizzare il<br />

51


ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />

52


<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

53


ADDESTRAMENTO E OPERAZIONI<br />

Corso di Euroformazione svolto in un’aula<br />

didattica di Lamezia Terme.<br />

volontario. In tal senso, il 26 gennaio 2011<br />

è stata stipulata a Catanzaro la<br />

Convenzione Operativa del «Progetto<br />

Sbocchi Occupazionali» con la Regione<br />

Calabria, per l’attivazione di 14 nuovi corsi<br />

di formazione professionale, finanziati<br />

con i fondi comunitari europei per un<br />

importo di € 241 600,00, finalizzati all’inserimento<br />

nel mondo del lavoro dei militari<br />

volontari al termine del periodo di impiego,<br />

così ripartiti: 4 corsi per «addetti ai<br />

servizi di controllo (ex “buttafuori”)» (90<br />

ore); 4 corsi di «imprenditoria giovanile»<br />

(90 ore); 4 corsi per «addetti al servizio<br />

antincendio medio-alto e basic life support»<br />

(60 ore); 2 corsi per il conseguimen-<br />

54<br />

to <strong>della</strong> qualifica di «operatore turistico<br />

alberghiero e <strong>della</strong> gestione aziendale»<br />

(400 ore). Inoltre, a valere sulla formazione<br />

dei percorsi per «Addetto ai servizi di<br />

controllo (ex “buttafuori”)», visto l’Accordo<br />

Conferenza Stato-Regioni, di cui al<br />

Repertorio Atti n. 29/CSR del 29/04/2010 e<br />

recependo le indicazioni di PREVIMIL del<br />

tavolo tecnico ministeriale del 1° marzo<br />

2011 sono stati aggiunti dalla Regione<br />

Calabria nel finanziamento ulteriori 2 corsi<br />

di formazione professionalizzante nei quali<br />

sono stati riconosciuti i «crediti formativi»<br />

derivanti dalla validazione formativa del 3°<br />

Modulo <strong>della</strong> «Formazione Basica», effettuata<br />

per un periodo di 30 ore presso i<br />

Reggimenti Addestramento Volontari<br />

(RAV) da tutto il personale militare VFP1,<br />

arruolato a decorrere da settembre 2009,<br />

ai sensi delle direttive addestrative in


vigore. Ciò in quanto la suddivisione in<br />

aree tematiche del citato 3° Modulo (giuridica,<br />

ordine pubblico, sicurezza, psicologico-sociale),<br />

è sovrapponibile alle aree<br />

costituenti il corso, come indicate nel D.M.<br />

06/10/09. Pertanto, solo i militari Volontari<br />

in ferma prefissata annuale (VFP1) svolgeranno<br />

moduli da 60 ore che andranno<br />

ad aggiungersi al percorso di 30 ore già<br />

effettuato nella formazione basica. Con i<br />

succitati corsi, in fase di svolgimento dal<br />

20 marzo 2012 e per tutto il biennio 2012-<br />

<strong>2013</strong>, saranno complessivamente formati<br />

192 militari volontari in ferma prefissata<br />

AUFP/VFP1/VFB/VFP4/VSP presso i<br />

Centri Euroformazione del 1° Reggimento<br />

Bersaglieri Cosenza e del 2° rgt. AVES<br />

«Sirio» in Lamezia Terme (CZ).<br />

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE/<br />

SCOPI<br />

Il reclutamento del personale militare di<br />

truppa volontario risulta particolarmente<br />

connesso con la prospettiva di una futura<br />

possibilità occupazionale degli interessati,<br />

come si evince anche dalle esperienze<br />

maturate in tale ambito nei principali Paesi<br />

dell’Unione Europea. Contestualmente si<br />

è assistito, nel corso dell’ultimo decennio,<br />

ad un incremento del numero di adesioni<br />

alle tipologie di ferma volontaria, in conseguenza<br />

del processo di professionalizzazione<br />

<strong>della</strong> Forza Armata e <strong>della</strong> prospettiva<br />

di un rapporto di impiego con<br />

l’Amministrazione statale. Tuttavia, l’eccedenza<br />

del personale militare volontario in<br />

ferma prefissata, senza alcuna possibilità<br />

di uno sbocco occupazionale interno alla<br />

Forza Armata, è stata prevista dal legislatore<br />

con l’applicazione <strong>della</strong> ex legge n.<br />

331/2000, abrogata e trasfusa nel D. Lgs.<br />

n. 66/2010, al fine di agevolare il collocamento<br />

nel mondo del lavoro di quei milita-<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

ri volontari che non trovano un utile sbocco<br />

occupazionale in Forza Armata o nelle<br />

Forze di Polizia o altre amministrazioni. In<br />

tale ambito risulta strategico lo sviluppo<br />

del «Progetto Sbocchi Occupazionali», il<br />

cui scopo è quello di agevolare il collocamento<br />

nel mondo dell’imprenditoria giovanile<br />

di quei volontari che hanno prestato<br />

servizio «senza demerito» ed hanno<br />

volontariamente aderito al progetto.<br />

L’Istituzione ha, in sostanza, offerto la<br />

possibilità ai militari volontari prossimi al<br />

congedo, che ne facciano specifica richiesta,<br />

di seguire corsi di formazione per il<br />

conseguimento di qualifiche professionali<br />

correlate all’effettiva domanda delle<br />

imprese, su scala regionale e nazionale,<br />

al fine di massimizzare la probabilità dell’inserimento<br />

lavorativo e, al tempo stesso,<br />

ha posto in essere che gli stessi risultino<br />

orientati al ritorno nella vita civile. La<br />

formazione professionale ha assunto,<br />

pertanto, un’importanza strategica all’interno<br />

<strong>della</strong> Forza Armata e del mondo del<br />

lavoro, sempre più caratterizzato da esigenze<br />

di flessibilità e mobilità con continui<br />

aggiornamenti professionali volti all’ampliamento<br />

delle competenze e all’approfondimento<br />

delle conoscenze. Nel contempo,<br />

un ulteriore contributo è stato dato<br />

dal Progetto «Euroformazione Difesa»,<br />

quale attività formativa propedeutica ai<br />

corsi professionalizzanti richiesti dal mercato<br />

del lavoro. Non a caso, nel linguaggio<br />

tra gli addetti ai lavori, è sempre in<br />

auge il concetto di «lifelong learning», o<br />

formazione continua, lungo l’intero arco<br />

<strong>della</strong> vita lavorativa. A ciò si aggiunga<br />

anche il rispetto degli standard formativi,<br />

essenziali al conseguimento di qualifiche<br />

professionali, e il riconoscimento dei «crediti<br />

formativi» per assicurare il raggiungimento<br />

degli obiettivi sin qui esposti.<br />

□<br />

55


ADDESTAMENTO E OPERAZIONI<br />

UNMISS - UNITED NATIONS<br />

MISSION IN SOUTH SUDAN<br />

IL RINNOVATO IMPEGNO PER L’ONU<br />

E NUOVE SPERANZE PER UN POPOLO<br />

Il 9 luglio 2011, la comunità internazionale<br />

e le Nazioni Unite hanno accolto la<br />

nascita di un nuovo Stato africano: il<br />

Sudan del Sud, frutto <strong>della</strong> secessione dal<br />

preesistente Sudan. La guerra civile tra il<br />

Nord ed il Sud di questo Paese, iniziata nell’agosto<br />

del 1955, prima ancora dell’indipendenza<br />

dall’Egitto (avvenuta il 1° genna-<br />

56<br />

del Maggiore Alessio GRONCHI<br />

in servizio presso lo Stato Maggiore dell’<strong>Esercito</strong> - IV Reparto Logistico<br />

Militari del Sudan People's Liberation Army<br />

(SPLA).<br />

io 1956), è una delle più lunghe nella storia<br />

dell’Africa e le ragioni a monte <strong>della</strong> guerra<br />

sono complesse e interconnesse, alimentate<br />

da fattori esterni ed interni.


Il Sudan del Sud presenta una situazione di<br />

estrema povertà, condizioni igienico-sanitarie<br />

insufficienti e scarsità di infrastrutture basilari.<br />

La divisione è giunta a coronamento di<br />

azioni sia militari – con truppe sotto egida<br />

ONU schierate in Sudan – che diplomatiche,<br />

effetto dell’attuazione del Comprehensive<br />

Peace Agreement (CPA). L’accordo, siglato<br />

nel gennaio 2005, aveva posto le basi per la<br />

separazione delle due anime del Sudan,<br />

islamica al nord e cristiana al sud. Per favorire<br />

il rispetto e l’evoluzione del CPA, nel<br />

gennaio dello stesso anno il Consiglio di<br />

Sicurezza dell’ONU aveva emesso la<br />

Risoluzione n. 1547 con la quale si dava<br />

avvio alla United Nations Mission in Sudan<br />

(UNMIS). Gli sviluppi diplomatici si sono<br />

concretizzati, nel gennaio 2011, nello svolgimento<br />

di un referendum teso a vagliare la<br />

volontà popolare circa la separazione del<br />

Sudan del Sud dallo Stato del Sudan. Il referendum<br />

fu vinto, con ampia maggioranza,<br />

dai favorevoli all’indipendenza. L’8 luglio<br />

2011, l’ONU ha approvato la Risoluzione<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

1996 con la quale si è posto fine alla<br />

UNMIS per dar vita alla United Nations<br />

Mission in South Sudan (UNMISS), missione<br />

a cui l’Italia, dall’aprile del 2012, contribuisce<br />

fornendo, al momento, un Ufficiale<br />

dell’<strong>Esercito</strong> impiegato quale Military<br />

Liaison Officer.<br />

Il nuovo Paese non ha sbocco sul mare<br />

ed è incastonato tra Sudan, Etiopia, Kenya,<br />

Uganda, Repubblica Democratica del<br />

Congo e Repubblica Centroafricana. Dal<br />

punto di vista amministrativo, la Repubblica<br />

Federale del Sudan del Sud è composta da<br />

10 Stati suddivisi, a loro volta, in Contee<br />

(Counties).<br />

Il governo del neonato Stato è chiamato<br />

ad affrontare numerose minacce alla stabilità<br />

del Paese, provenienti sia dall’esterno<br />

che dall’interno del proprio territorio, in un<br />

quadro di estrema povertà, di condizioni<br />

igienico-sanitarie del tutto insufficienti e di<br />

scarsità di infrastrutture considerate basilari.<br />

La quasi totalità delle rotabili sono sterrate<br />

e non sottoposte ad alcun tipo di<br />

manutenzione; basti pensare che, su un<br />

territorio avente un’estensione poco supe-<br />

57


ADDESTAMENTO E OPERAZIONI<br />

I mezzi dell'ONU si trovano ad affrontare le difficoltà<br />

derivanti da spostamenti su rotabili non<br />

sempre percorribili a seconda delle condimeteo.<br />

riore a quella <strong>della</strong> Francia, solamente 100<br />

km di strade sono asfaltate. Ciò implica<br />

una generale difficoltà e lentezza negli<br />

spostamenti, in particolar modo nei mesi<br />

<strong>della</strong> stagione delle piogge. Gli ospedali e i<br />

centri medici, molti dei quali operanti solo<br />

grazie al lavoro delle numerose ONG (nongovernmental<br />

organization) presenti sul<br />

territorio, non riescono a sopperire alle esigenze<br />

<strong>della</strong> popolazione. Una rete fognaria<br />

moderna esiste solo in limitate aree <strong>della</strong><br />

capitale, Juba; nel resto delle città o villaggi,<br />

le acque di scarico vengono incanalate<br />

in alvei che si riversano in aree periferiche<br />

comunque abitate e spesso, nei torrenti o<br />

nelle pozze createsi, i ragazzi e gli adulti si<br />

tuffano per lavarsi o per contrastare la<br />

canicola.<br />

Condizioni di vita molto dure, quali generale<br />

povertà, scarsa conoscenza delle basilari<br />

norme igienico-sanitarie, numerose<br />

58<br />

malattie endemiche (malaria, febbre gialla,<br />

AIDS), malnutrizione, presenza di insetti e<br />

rettili estremamente velenosi, contribuiscono<br />

a rendere impietosamente bassa<br />

l’aspettativa di vita.<br />

L’EREDITÀ DI 25 ANNI DI GUERRA,<br />

SCONTRI PER IL PETROLIO E CON-<br />

TROVERSIE TERRITORIALI<br />

Il Sudan del Sud ha ottenuto l’indipendenza<br />

con l’aspettativa che questa potesse<br />

costituire il kick-off per un forte sviluppo,<br />

reso possibile grazie ai proventi dell’estrazione<br />

e vendita del petrolio. Il nuovo Paese,<br />

infatti, ha acquisito i ¾ del complessivo<br />

output petrolifero del preesistente Stato<br />

sudanese unificato, ovvero 490 000 barili al<br />

giorno.<br />

Molte delle risorse derivate dalla vendita<br />

del petrolio, tuttavia, sono state dilapidate<br />

a causa di una dilagante corruzione; a ciò<br />

si è aggiunta, dal gennaio del 2012, l’interruzione<br />

delle estrazioni di greggio sancita<br />

dal governo di Juba. La decisione è scatu-


ita dal drastico aumento dei costi di transito<br />

(36 dollari al barile) imposto dal Sudan<br />

che si è visto decurtare dei ¾ delle entrate<br />

derivanti dal petrolio; dopo una controfferta<br />

del Sudan del Sud (rimasta ignorata) di 1<br />

dollaro al barile al governo di Juba non è<br />

rimasta altra alternativa che fermare le<br />

estrazioni.<br />

Nel frattempo, al fine di liberarsi dal ricatto<br />

economico di Khartoum, il Sudan del Sud ha<br />

annunciato la volontà di costruire nuovi oleodotti<br />

per far arrivare il greggio fino in Kenya<br />

e Gibuti passando dall’Etiopia. Poiché la<br />

costruzione delle nuove infrastrutture richiede<br />

anni, nel breve periodo la ripresa <strong>della</strong><br />

produzione e vendita del petrolio dipende<br />

solamente dalla stipula di nuovi accordi economici<br />

con il Sudan.<br />

I territori del nord, ricchi di petrolio, restano<br />

contesi e la linea di confine tra i due<br />

Stati non è ancora chiaramente definita e<br />

riconosciuta. Ciò ha determinato tensioni<br />

militari che, nell’aprile del 2012, sono sfociate<br />

in scontri tra il Sudan People’s<br />

Liberation Army (SPLA) e le Sudan Armed<br />

Forces (SAF). Per salvarsi dalle violenze<br />

e dai bombardamenti, centinaia di migliaia<br />

di sudanesi sono fuggiti verso sud:<br />

circa 560 000 persone sono state raggruppate<br />

in due campi profughi nel nord<br />

del Paese. Tuttavia le strutture a disposizione<br />

delle persone ospitate risultano<br />

insufficienti e le condizioni di vita molto<br />

dure. Le organizzazioni non governative in<br />

azione continuano a lanciare frequenti<br />

allarmi circa le condizioni igienico-sanitarie<br />

ed alimentari, sollecitando un maggior<br />

sostegno economico.<br />

Oltre alle controversie ancora in atto con<br />

il Sudan, il nuovo Stato africano deve fronteggiare<br />

anche dissidi prettamente interni,<br />

quali scontri etnici (sul territorio del Sudan<br />

del Sud si contano più di cento etnie, di cui<br />

40 sono quelle numericamente considerevoli)<br />

e la presenza di milizie armate che non<br />

riconoscono il governo centrale (i Rebel<br />

Militia Groups e il Lord’s Resistance Army).<br />

Inoltre, un’ulteriore minaccia per la sicurezza<br />

di chi opera in Sudan del Sud è rappresentata<br />

dai campi minati non bonificati e<br />

Unexploded Ordnance (UXO). Come conseguenza<br />

dei precedenti 20 anni di guerra<br />

civile, infatti, il Sudan del Sud risulta essere<br />

una delle aree maggiormente minate al<br />

mondo.<br />

COMPITI DELL’ONU<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Tra i compiti degli MLOs, vi sono frequenti<br />

contatti e attività di pattuglia allo scopo di<br />

sostenere le locali autorità militari e civili.<br />

Con la Risoluzione 2057, il 5 luglio 2012<br />

il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite<br />

ha rinnovato la UNMISS, centrando il mandato<br />

sulla protezione dei civili e sull’innalzamento<br />

del livello di sicurezza nel Paese.<br />

Nell’adozione <strong>della</strong> Risoluzione, il Consiglio<br />

ha sottolineato l’esigenza di concentrarsi<br />

sulla effettiva capacità dell’ONU (<strong>della</strong> componente<br />

militare e di quella civile) di conseguire<br />

risultati tangibili per la ricostruzione e<br />

crescita del Paese.<br />

Nel 2005 l’Italia aveva contribuito alla<br />

59


ADDESTAMENTO E OPERAZIONI<br />

missione UNMIS con un contingente<br />

nazionale a livello di Battaglione: la Task<br />

Force «Leone»; il mandato del 2005 si<br />

focalizzava sull’implementazione del<br />

Comprehensive Peace Agreement e quindi<br />

il controllo del rispetto del «cessate il<br />

fuoco», assistenza alle parti nello sviluppo<br />

dell’accordo e supporto alla preparazione<br />

e la conduzione del referendum per<br />

l’indipendenza (svoltosi nel 2011).<br />

Il nuovo mandato, ovviamente frutto <strong>della</strong><br />

nuova condizione di indipendenza <strong>della</strong><br />

regione (sempre in aderenza al Capitolo VII<br />

<strong>della</strong> Carta delle Nazioni Unite), verte sulla<br />

protezione dei civili sotto imminente minaccia<br />

o violenza fisica; protezione del personale,<br />

basi ed equipaggiamento ONU; deterrenza<br />

verso possibili attori ostili e mitigazione<br />

di conflitti in atto; supporto alla fase di<br />

disarmo e reinserimento – Disarmament,<br />

Demobilisation and Reintegration – degli ex<br />

combattenti non rientrati nei regolari ranghi<br />

dell’<strong>Esercito</strong> sud-sudanese.<br />

Le attività di protezione dei civili e il rafforzamento<br />

<strong>della</strong> sicurezza vengono<br />

La religione prevalente nel Sudan del Sud è<br />

quella cristiana anche se molto diffuso è<br />

anche l'Islam.<br />

60<br />

garantiti dall’ONU mediante lo schieramento<br />

di circa 5 200 militari messi a<br />

disposizione, al momento, da Kenia,<br />

Mongolia, India e Ruanda. Il numero di<br />

truppe impiegate nella UNMISS risulta,<br />

tuttavia, di molto inferiore rispetto alle esigenze:<br />

a fronte dei 7 000 militari necessari,<br />

la percentuale di quelli impiegati supera<br />

di poco il 70% di quanto preventivato<br />

dall’ORBAT.<br />

FUNZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI<br />

MILITARY LIAISON OFFICERS (MLOS)<br />

Come precedentemente accennato,<br />

anche l’Italia, dall’aprile del 2012 mette a<br />

disposizione delle Nazioni Unite i suoi<br />

Ufficiali che vanno ad inserirsi nella struttura<br />

militare costituita dai Military Liaison<br />

Officers – MLOs – figura subentrata<br />

all’Osservatore Militare. Al di là del cambio<br />

di denominazione, le linee guida che sottendono<br />

le attività dei MLOs sono identificabili<br />

nella creazione e nel mantenimento di<br />

relazioni professionali e trasparenti con<br />

l’<strong>Esercito</strong> del Sudan del Sud (Sudan’s<br />

People Liberation Army – SPLA) e con gli<br />

organi impegnati nel settore <strong>della</strong> sicurezza<br />

(South Sudanese Police<br />

Service - SSPS). Al fine di<br />

facilitare l’implementazione<br />

<strong>della</strong> Risoluzione ONU<br />

1996, tali collegamenti vengono<br />

ricercati ed attuati<br />

mediante la creazione di<br />

Integrated Mission Teams<br />

(IMTs), composti da rappresentanti<br />

civili e militari ONU<br />

che lavorano in modo integrato<br />

per l’assolvimento dei<br />

compiti assegnati. Gli IMTs<br />

sono attivati sui 3 livelli politico/amministrativi:<br />

Federale<br />

(presso la Capitale Juba),


Statale (presso ciascuna capitale di Stato) e<br />

di Contea (County Support Bases – CSBs),<br />

queste ultime avviate, ad oggi, solamente<br />

presso i capoluoghi considerati strategici.<br />

In generale, i compiti per gli Ufficiali di collegamento<br />

sono riassumibili nella creazione<br />

di rapporti di collaborazione e scambio<br />

d’informazioni con l’<strong>Esercito</strong> locale e con gli<br />

organi operanti nel settore <strong>della</strong> sicurezza,<br />

fornendo, qualora richiesto, assistenza e<br />

pareri professionali su tematiche militari e di<br />

sicurezza.<br />

Per quanto riguarda l’<strong>Esercito</strong> del Sudan<br />

del Sud, obiettivo primario ma non esclusivo<br />

dell’azione dei MLO, occorre sottolineare<br />

come lo SPLA costituisca, di per sé, un<br />

problema per il governo di Juba, in quanto<br />

risulta fortemente sovradimensionato<br />

rispetto all’effettiva sostenibilità consentita<br />

dalla ancor fragile economia dello Stato.<br />

Ulteriore preoccupazione per l’apparato<br />

governativo, lo SPLA nasce come <strong>Esercito</strong><br />

di ribelli, portandone ancora i tratti caratteristici<br />

che si concretizzano nella fedeltà alla<br />

propria tribù prima ancora che allo Stato.<br />

Per completare il quadro, l’<strong>Esercito</strong> appare<br />

malamente equipaggiato, scarsamente<br />

addestrato e la disciplina non può essere<br />

definita ferrea, anche se, tuttavia, negli<br />

Ufficiali traspare entusiasmo e la volontà di<br />

raggiungere un adeguato livello di professionalizzazione.<br />

La componente militare<br />

<strong>della</strong> UNMISS, nelle regioni ove i rapporti<br />

con lo SPLA sono giunti a livelli di fiducia<br />

reciproca e adeguata collaborazione, ha<br />

iniziato un programma di training su materie<br />

militari per la crescita professionale che<br />

si affianca alle attività intraprese dalla componente<br />

civile <strong>della</strong> missione.<br />

CONCLUSIONI<br />

Il problema dei due Sudan non è unico in<br />

Africa ma sicuramente rappresenta uno dei<br />

più complicati a causa di fattori esterni ed<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

interni e di una lunga storia di conflitti non<br />

ancora completamente risolti. Una definitiva<br />

e pacifica risoluzione delle controversie<br />

potrebbe costituire un esempio per gli altri<br />

Paesi africani attraversati da feroci contrasti<br />

interni; in caso contrario le conseguenze<br />

per questa parte d’Africa e per gli Stati confinanti<br />

potrebbero essere devastanti. I due<br />

Sudan non sono in grado di risolvere da soli<br />

i propri problemi, come hanno dimostrato i<br />

fatti. La comunità internazionale deve intervenire,<br />

agendo in modo attento e neutrale<br />

per consentire il conseguimento di una<br />

pace sostenibile e di una cooperazione fra<br />

le due parti. La crisi economica che attanaglia<br />

i due Paesi può costituire un’opportunità<br />

per l’Occidente per far convergere i due<br />

Paesi verso un medesimo obiettivo di cooperazione,<br />

in cambio di concreti aiuti finanziari.<br />

Il Sudan del Sud, nonostante le numerose<br />

difficoltà che lo affliggono e le molte<br />

contraddizioni interne, è un Paese affascinante<br />

e carico dell’entusiasmo tipico di<br />

colui che, per la prima volta nella sua storia,<br />

sente di poter essere l’artefice del proprio<br />

futuro dal momento in cui si è affrancato<br />

dallo stretto giogo da cui si sentiva oppresso.<br />

La fase per il consolidamento <strong>della</strong><br />

nuova società sud sudanese deve ancora<br />

cominciare, stadio al termine del quale la<br />

democrazia sarà percepita come l’unica<br />

alternativa politica praticabile – the only<br />

game in town – parte integrante <strong>della</strong> vita<br />

sociale, istituzionale e perfino psicologica di<br />

una popolazione le cui due ultime generazioni<br />

sono cresciute nella guerra. Le potenzialità<br />

per uno sviluppo florido e rapido<br />

sono evidenti: con il suo fertile terreno, irrigato<br />

dall’acqua che scorre in abbondanza<br />

nella stagione delle piogge e con la nota ricchezza<br />

di materie prime del suo sottosuolo,<br />

la nuova Repubblica africana ha tutti i<br />

numeri per costruirsi un futuro sereno e prospero.<br />

□<br />

61


STORIA<br />

FRANCESCO NULLO:<br />

UN EROE GARIBALDINO<br />

CADUTO IN TERRA POLACCA,<br />

NEL 150° ANNIVERSARIO<br />

Da qualche anno è trascorso il duecentesimo<br />

anniversario <strong>della</strong><br />

nascita di Giuseppe Garibaldi, ma<br />

non si può non rammentare la gran parte<br />

che il Generale ha avuto anche nella<br />

vicenda dell’eroe bergamasco, di cui ricorre<br />

il centocinquantennale del sacrificio in<br />

62<br />

del Generale di Divisione (c.a.) Giovanni BUCCIOL<br />

Francesco Nullo (immagini concesse da: Fondazione<br />

Bergamo nella storia onlus - Archivio<br />

fotografico Sestini).<br />

terra polacca.<br />

Se la Marina Militare ha dedicato<br />

all’Eroe dei Due Mondi il nome di un


Incrociatore, essa ha dedicato a<br />

Francesco Nullo il nome di un più modesto<br />

Cacciatorpediniere (1). Ciò non significa<br />

che la differenza tra i due condottieri sia<br />

così grande come quella esistente tra le<br />

due navi. Se il primo è un valoroso, il<br />

secondo è un impavido; se il primo un fortunato<br />

genio militare, meticoloso fino alla<br />

pignoleria, il secondo è un razionale figlio<br />

generoso del Risorgimento, pronto a<br />

sacrificare la propria vita in ringraziamento<br />

dell’aiuto ricevuto dall’Italia dal 1848 al<br />

1860 dai figli di una sfortunata terra, quale<br />

la Polonia. Tuttavia, tutto ciò non fa molta<br />

differenza. In un aspetto, però, Garibaldi<br />

differisce da Nullo: nell’ingenuità, tipica<br />

dell’eroe, teso al sacrificio estremo, che<br />

non fa molta attenzione agli aspetti <strong>della</strong><br />

normale convivenza umana.<br />

Il 24 gennaio 1860, infatti, egli sposa la<br />

Marchesina Giuseppina Raimondi, figlia<br />

adottiva del fervente garibaldino Marchese<br />

Giorgio, nella Chiesa di Fino Mornasco.<br />

Egli se ne invaghisce quando a fine ‘59 la<br />

diciottenne, accompagnata da un prete, gli<br />

porta a Varese alcuni documenti interessanti<br />

lo schieramento austriaco. La giovane,<br />

non sapendo resistere al fascino di<br />

divenire sposa del Generale e temendo<br />

che il padre putativo la diseredasse, accetta<br />

di sposare l’anziano vedovo. Ma l’Eroe<br />

dei due Mondi non sa che la ragazza è<br />

incinta del giovane Luigi Caroli, bergamasco,<br />

anch’egli fervente garibaldino. Lo<br />

viene a sapere all’uscita dalla Chiesa,<br />

dopo la cerimonia, quando dal fondo <strong>della</strong><br />

piazza un cavaliere - si dice fosse lo stesso<br />

Caroli – «ventre à terre» velocissimo si<br />

avvicina al gruppo di persone, lancia un<br />

biglietto – contenente la triste notizia -, che<br />

colpisce il Generale sul petto, e sparisce.<br />

Il Garibaldi legge, furibondo insulta la giovane<br />

moglie, senza salutare nessuno se<br />

ne va e non fa più ritorno alla villa di cui è<br />

ospite. Il matrimonio sarà sciolto dopo<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

vent’anni, nel gennaio 1880, dalla Corte<br />

d’Appello del Tribunale di Roma.<br />

Da quel momento, il Caroli viene sempre<br />

depennato dal Generale stesso dagli elenchi<br />

di persone proposte alla partecipazione<br />

delle varie imprese. Ma Francesco Nullo<br />

non ne può fare a meno, poichè il ricco<br />

bergamasco si assume tutte le spese<br />

<strong>della</strong> spedizione, che il Nullo, contro il<br />

parere di Garibaldi, con una manciata di<br />

giovani effettua in aiuto alla rivolta polacca,<br />

arrogandosi un diritto che non ha,<br />

senza «forse» e senza «ma». Non valuta<br />

fattori di potenza e condizioni di vulnerabilità<br />

propri e dell’avversario. Con Caroli<br />

come Aiutante Maggiore, parte e muore<br />

colpito da una palla russa il 5 maggio<br />

1863 (2).<br />

VISIONE STORICA DEL MOMENTO<br />

Tre Grandi Potenze di allora si spartiscono<br />

in 3 successive date la Polonia<br />

nella seconda metà del diciottesimo<br />

secolo: la Russia, la Prussia e l’Austria.<br />

Anche Napoleone ci mette mano, creando,<br />

nel 1807, il Granducato di Varsavia.<br />

La ripartizione è confermata, eccetto il<br />

suddetto Granducato, nel 1815 dal<br />

Congresso di Vienna. La zona russa è<br />

dichiarata Regno di Polonia, solo formalmente<br />

indipendente. Ha un proprio esercito<br />

ed un proprio re, l’Imperatore di<br />

Russia, che ha il fratello come<br />

Luogotenente. In Polonia sono stanziate<br />

truppe russe, quando nel 1830 scoppia la<br />

prima insurrezione di novembre, che si<br />

conclude dopo un anno con la sconfitta<br />

dei polacchi e la liquidazione del Regno.<br />

In quest’occasione, i polacchi sotto<br />

Prussia ed Austria accorrono in soccorso<br />

degli insorti, in modo del tutto inefficace.<br />

Il vecchio Regno diviene provincia russa<br />

e la vita scorre tra scosse e singulti loca-<br />

63


STORIA<br />

Il Cacciatorpediniere «Francesco Nullo».<br />

li fino al 1863. All’inizio di quell’anno, il<br />

governatore Wielopolskj, eseguendo gli<br />

ordini sulla leva generale emanati dallo<br />

Zar Alessandro II, effettua un feroce<br />

reclutamento di tutti i maschi, abili o no al<br />

servizio militare. Promulga, inoltre, la<br />

legge marziale contro le bande rivoluzionarie<br />

-ai primi di aprile ben 150- che sorgono<br />

spontaneamente ovunque agli ordini<br />

di Mariano Langiewiks. Questi, che<br />

conosce bene la tattica militare appresa<br />

da Garibaldi durante la frequentazione<br />

del nostro Risorgimento, viene eletto dittatore<br />

il 1° marzo dal Governo provvisorio<br />

di Varsavia. In Italia, l’insurrezione ha<br />

un’eco immediata. A Milano, Genova,<br />

Bergamo ed in altre città <strong>della</strong> Lombardia<br />

e <strong>della</strong> Romagna si costituiscono delle<br />

giunte che ricevono le domande di volontari<br />

per la Polonia. Tra questi, i primi ad<br />

64<br />

aderire sono una trentina di garibaldini,<br />

che, capeggiati dal Nullo, intendono partire,<br />

delusi dalle «inutili» schermaglie parlamentari<br />

e dalle indecisioni del Garibaldi<br />

stesso. Infatti, presso il Parlamento italiano<br />

l’insurrezione polacca, il 26 e 27<br />

marzo, è oggetto di animata discussione.<br />

Alcuni parlamentari vorrebbero allineare<br />

l’insurrezione a quella veneta. Anche il<br />

Crispi auspica un’insurrezione nel Veneto<br />

ed il Mazzini sostiene che i polacchi<br />

avrebbero dovuto sollevarsi con una<br />

diversione nel Veneto. Il Visconti<br />

Venosta, Ministro degli Esteri, afferma<br />

l’impossibilità di far sortire dall’insurrezione<br />

polacca il completamento dell’unità<br />

nazionale, sia perchè sarebbe difficile<br />

farvi penetrare grossi contingenti, sia<br />

perchè Napoleone III avrebbe considerato<br />

ogni nostra mossa, specie perchè<br />

alleato <strong>della</strong> Russia, un atto indipendente<br />

ed isolato. Le conclusioni del dibattito<br />

sono favorevoli alla tesi governativa,


secondo cui un tale atto avrebbe portato<br />

guerra alla Russia, alla Prussia ed<br />

all’Austria, compromettendo l’appoggio<br />

internazionale alla nostra agognata unità<br />

(3).<br />

IL COMPORTAMENTO DI GARIBALDI<br />

A Mariano Langiewiks il Generale scrive:<br />

«Che, Dio vi benedica, tra qualche<br />

giorno saremo tra voi!». Ma il dittatore<br />

polacco gli fa intendere che la sua presenza,<br />

data la notorietà internazionale,<br />

avrebbe arrecato imbarazzo alla causa.<br />

La Russia, in effetti, non è nemica<br />

dell’Italia. Lo è l’Austria, la quale, tuttavia,<br />

arresta il Langiewiks per fare un plateale<br />

atto di amicizia verso la Russia, ma sotto<br />

sotto appoggia l’insurrezione polacca. E<br />

così Garibaldi scrive a Nullo: «Io vi consiglierei<br />

di non partire per la Polonia; però,<br />

se la vostra coscienza vi dice di andare,<br />

andate, ma in pochi, mi racccomando,<br />

perchè un più sacro dovere impone alla<br />

nostra gioventù di attendere le ultime non<br />

lontane prove per la completa unificazione<br />

dell’Italia».<br />

Nello stesso periodo, addirittura due<br />

emissari, in evidente disaccordo con il<br />

governo provvisorio di Varsavia, si recano<br />

a Caprera per convincere Garibaldi a<br />

concentrare le sue forze in Turchia,<br />

«sommuovere la Rumenia, penetrare in<br />

Bessarabia e di là, per la Podolia e la<br />

Galizia, dare mano agli insorti».<br />

A Garibaldi sta a cuore la necessità di<br />

organizzare attività antiaustriache.<br />

Prende contatti con fuorusciti polacchi,<br />

ma spera sugli ungheresi, la cui marea<br />

rivoluzionaria vorrebbe affogare l’Impero<br />

asburgico. Visconti Venosta guarda a<br />

Napoleone III, del cui appoggio non è<br />

sicuro e pensa che l’insurrezione ungherese<br />

sia una chimera. Afferma: «Il<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Garibaldi rendesse concreta questa presunta<br />

insurrezione ungherese in contemporaneità<br />

con quella polacca ed il governo<br />

italiano gli avrebbe espresso sostegno<br />

in via definitiva» (4).<br />

FORMAZIONE GARIBALDINA DEL NULLO<br />

Non si può comprendere appieno le<br />

ragioni di una spedizione così ridotta, in un<br />

periodo congiunturalmente sfavorevole,<br />

con gente raccogliticcia, se non si conosce<br />

la vita, la formazione culturale ed il<br />

temperamento di Francesco Nullo. Nasce<br />

a Bergamo nel 1826 da una famiglia agiata,<br />

che lo fa studiare prima a Bergamo, poi<br />

a Milano, ove frequenta con «distinti»<br />

risultati le secondarie commerciali.<br />

Apprende la lingua francese e parla con<br />

eleganza la tedesca.<br />

Impiegato in una industria tessile di<br />

Bergamo, appena ventenne vi acquista<br />

una posizione di primo piano, inventando<br />

un premiato congegno per tessere. Nel<br />

marzo del 1848 scoppia «il 48» in Milano,<br />

in Italia ed in Europa. Il nostro è subito con<br />

una colonna di 200 bergamaschi, condotta<br />

da un frate cappuccino, con due suoi<br />

fratelli. È da questo momento che comincia<br />

quella vita piena di esaltazioni e di<br />

depressioni, di entusiasmi e di ripiegamenti,<br />

che faranno di lui una delle più fulgide<br />

figure del nostro Risorgimento.<br />

Costretto a ripiegare su Peschiera, Nullo è<br />

nominato portabandiera del Corpo di spedizione,<br />

si porta verso Trento per tagliare<br />

la via di rifornimento austriaca, occupando<br />

Castel Tubino ed arriva al Tonale. Rimasto<br />

isolato con i volontari, quando i piemontesi<br />

si ritirano in Piemonte dopo Custoza,<br />

anche Nullo ripara nello stesso Piemonte,<br />

rinuncia al grado, si arruola nei «Lancieri<br />

di Masina» e parte per la difesa di Roma.<br />

Da maggio a giugno 1849, combatte a<br />

65


STORIA<br />

66


Valmontone ed assieme ai legionari di<br />

Garibaldi si scontra coi francesi e coi bersaglieri<br />

italiani. Sconfitto dai fucili<br />

«Chassepot» del Generale Audinot, Nullo<br />

segue Garibaldi nella ritirata per Terni, Todi,<br />

Orvieto, San Marino, dove parlamenta in<br />

favore di Garibaldi senza successo.<br />

Volendo soccorrere Venezia, s’imbarca con<br />

i garibaldini a Cesenatico su 13 bragozzi,<br />

inseguito e cannoneggiato dagli austriaci.<br />

La spedizione fallisce. Sbarcano nel delta<br />

del Po e si sciolgono, abbracciati da<br />

Garibaldi, che porterà Anita a morire nella<br />

pineta di Ravenna. Nullo, vestito da contadino,<br />

giunge a Bergamo, ma viene arrestato<br />

dagli Austriaci ed incarcerato a Caprino.<br />

È giusto in questo disgraziato periodo<br />

<strong>della</strong> nostra storia risorgimentale, tra il<br />

marzo ‘48 ed il giugno ‘49, che conosce ed<br />

apprezza l’impegno dei polacchi in Italia,<br />

che ci danno una mano anche nel ‘59 e nel<br />

‘60.<br />

Tornato in Bergamo dopo un mese di<br />

carcere, egli vi resta sino al ‘59, riprendendo<br />

le sue attività commerciali. Saputo che<br />

Garibaldi è in Piemonte per formare un<br />

Corpo di volontari, in tutto segreto parte e<br />

si arruola come Tenente nelle «Guide».<br />

Combatte a Varese, a Como ed il 7 maggio<br />

da Ponte San Pietro, periferia di Bergamo,<br />

entra in città con Garibaldi e partecipa alle<br />

battaglie di Rezzato e Treponti. Il patto di<br />

Villafranca indigna Nullo, che torna ai suoi<br />

commerci sino al 3 maggio 1860, quando<br />

con 264 garibaldini bergamaschi parte per<br />

Quarto Genova, facendo felice Garibaldi.<br />

Si dice che, grazie alla sua attività nel<br />

campo dei tessuti, abbia fornito le camicie<br />

rosse a tutti i partecipanti alla spedizione<br />

navale. Qui comincia la sua fulgida carriera<br />

militare. Da Tenente a 34 anni, è<br />

Capitano per la conquista di Palermo, dove<br />

è il primo ad entrare; è Maggiore il 21 agosto<br />

per aver agevolato lo sbarco a Reggio<br />

Calabria; è Tenente Colonnello al Volturno,<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

dove ottiene la resa del Generale Briganti,<br />

«soggiogato dall’accento energico, dall’occhio<br />

fiero e dai baffi magiari di Nullo»,<br />

come scrive Cesare Abba. Subito dopo,<br />

viene inviato da Garibaldi stesso in Isernia<br />

per sedare una rivolta, e vi trasforma «la<br />

ritirata in assalto e la morte certa in trionfo»,<br />

come si esprime sempre lo stesso<br />

Abba (5). Con l’Eroe dei due Mondi è a<br />

Teano ed il 7 novembre parte per Caprera<br />

in sua compagnia. Dopo un po’ torna a<br />

Bergamo, rinuncia al grado di Tenente<br />

Colonnello per ragioni politiche e si dedica<br />

al consueto commercio. Ma agli inizi del<br />

‘62 Garibaldi è a Trescore per curarsi l’artrite,<br />

Nullo si offre volontario per partecipare<br />

all’impresa nel Trentino, che si sta preparando.<br />

Viene arrestato e condotto in carcere<br />

a Brescia, dove il popolo si solleva e<br />

lo libera. Ricatturato, viene recluso in<br />

Alessandria sino al 10 giugno. Liberato per<br />

assoluzione, Nullo raggiunge Garibaldi a<br />

Palermo, procede per Catania, combatte in<br />

Aspromonte ed «accoglie tra le sue braccia<br />

l’Eroe dei due Mondi, quando cade colpito<br />

al piede da palla italiana». Garibaldi va<br />

a morire a Caprera e Nullo viene tradotto<br />

alle prigioni del Forte di Bard in Val<br />

d’Aosta, dove uscirà dopo qualche mese<br />

per amnistia, per tornare a mercanteggiare<br />

in tessuti (6).<br />

FINALMENTE LA SPEDIZIONE<br />

I preparativi avvengono in casa Caroli a<br />

Bergamo, perchè Luigi - che è la prima<br />

volta che può partecipare ad una spedizione<br />

garibaldina - si assume tutte le spese,<br />

riveste il grado di Tenente delle guide, ed<br />

è, come detto, Aiutante Maggiore del Nullo.<br />

Centro di smistamento volontari è<br />

Cracovia, ma il suo raggiungimento subisce<br />

il filtro delle autorità austriache. Infatti,<br />

i 30 partiti da Bergamo sono 27 a Udine,<br />

67


STORIA<br />

19 a Vienna e 17 a Cracovia. L’Austria si<br />

oppone, ma non troppo, anche perchè<br />

pensa che gli insorti italiani è meglio che<br />

vadano a morire contro i russi in Polonia<br />

che contro gli austriaci al Mincio.<br />

A Cracovia il Nullo incontra Miniewski,<br />

giovane di 22 anni autonominatosi<br />

Generale per aver messo tutte le sue<br />

sostanze a disposizione <strong>della</strong> causa. Gli<br />

consegna tutti i suoi volontari, studenti, contadini,<br />

vagabondi, che hanno per la prima<br />

volta l’occasione di ricevere un vestito ed<br />

una ciotola di minestra. Con i 17 di<br />

Bergamo e con 8 francesi si forma una<br />

colonna di circa 600 uomini al comando di<br />

Nullo, a sua volta nominato dal Miniewski<br />

Generale. Il bergamasco spera di avere il<br />

tempo per creare un certo amalgama addestrativo<br />

prima dell’incontro col nemico, ma<br />

ciò non avverrà. L’armamento è buono:<br />

carabine ad anima rigata e fucili corti ma<br />

precisi, tre cannoni senza cavalli da traino,<br />

perchè requisiti dall’Austria, contradditoria<br />

e blanda verso la Russia. Il<br />

confine è a 15-20 chilometri a<br />

nord di Cracovia. Oltre, vi sono<br />

paludi e vallate e bisogna sorprendere<br />

il nemico di notte o<br />

all’alba. Obiettivo del Nullo è<br />

Olkusz, sede di una guarnigione<br />

russa. Ma, accompagnato<br />

dal Miniewski, gli si presenta<br />

un Ufficiale austriaco, che gli<br />

intima di arrendersi perchè prigioniero.<br />

Il Caroli racconta<br />

all’austriaco la barzelletta del<br />

soldato prussiano e del granatiere<br />

francese (7), che diverte<br />

l’Ufficiale, il quale dichiara:<br />

«Non sono vostro nemico, per<br />

voi la strada è libera!».<br />

Alle prime ore del 4 maggio<br />

si supera il confine, in coda i<br />

bergamaschi per evitare eventuali<br />

diserzioni. Una pattuglia<br />

68<br />

di cosacchi a cavallo irrompe dal buio di un<br />

bosco, spacca la testa alla guida alloglotta<br />

<strong>della</strong> colonna e sparisce nel bosco stesso.<br />

I volontari sono sempre seguiti e fiancheggiati<br />

dai russi ed alle ore 14 una scarica di<br />

fucili provoca alcuni feriti, che vengono<br />

messi su un carro e si riprende la marcia.<br />

Verso mezzanotte si acquista un po’ di<br />

pane in un villaggio e si marcia sino alle 6<br />

del 5 maggio. Quando qualcuno accende<br />

un po’ di fuoco per scaldare dell’acqua,<br />

arriva una scarica di fucileria. Nullo si<br />

appresta alla difensiva lungo un sentiero<br />

infossato e protetto da un terrapieno. Il<br />

bosco è a un centinaio di metri e Nullo ordina<br />

di non sparare. Ma i volontari sparano lo<br />

stesso, emozionati ed impauriti. Miniewski,<br />

cercato per farli smettere, perchè non capiscono<br />

la lingua italiana, non si trova.<br />

Esaurite le munizioni, finalmente non si<br />

spara più. Per far vedere che non dovevano<br />

aver paura, Nullo, sigaro in bocca e a<br />

cavallo, percorre velocemente il terrapie-


no, sordo agli incitamenti a ripararsi. «Le<br />

palle mi conoscono», risponde, ma una<br />

palla che non conosceva il suo cavallo lo fa<br />

stramazzare a terra ed un’altra lo centra al<br />

cinturone e al cuore. «Madonna, Nullo!»,<br />

urla Caroli. «So mort!» sussurra Nullo e<br />

spira. Il suo corpo viene abbandonato e la<br />

colonna si spezza in due tronconi: uno riesce<br />

a guadagnare la frontiera, l’altro raggiunge<br />

Slowkow e, inseguito dai russi del<br />

Generale Principe Szaskowskoj, viene catturato.<br />

È il Principe stesso che salva i garibaldini<br />

bergamaschi dal massacro; egli<br />

invita il Caroli a riconoscere la salma del<br />

Nullo, «gli fa funerali e gli rende onori militari<br />

come a generali pari suo». Nelle tasche<br />

del valoroso deceduto si trova questo messaggio<br />

per gli italiani: «Se io morrò, ricordatevi<br />

per quale causa sono morto, ed il<br />

mio ultimo grido anche in Polonia sarà:<br />

viva l’Italia!».<br />

I prigionieri saranno poi inviati ai lager in<br />

Siberia. Il Caroli vi morirà nel maggio del<br />

1865, felice di aver ricevuto la visita, oltre<br />

che del fratello, anche di Giuseppina<br />

Raimondi (8).<br />

CONCLUSIONI<br />

In merito agli avvenimenti in Polonia, il<br />

compianto Senatore Giovanni Spadolini<br />

ebbe a scrivere: «Caduto da valoroso per<br />

una causa santa, in nome di libertà, virtù ed<br />

eroismo, come scrisse Garibaldi alla madre<br />

per esprimerle il suo affetto e la sua simpatia,<br />

Francesco Nullo col suo sacrificio ribadì<br />

il legame esistente fra i due Risorgimenti,<br />

quello italiano e quello polacco, in nome<br />

<strong>della</strong> costante e strenua rivendicazione dell’identità<br />

nazionale». Ricordando, poi, che<br />

nel 1833 l’Austria soppresse l’Antologia di<br />

Vieusseux, il Senatore così continua, «Fu<br />

la prima rivista italiana a battersi per i diritti<br />

del popolo polacco oppresso dall’auto-<br />

crazia russa e per questo obbligata a<br />

sospendere le pubblicazioni». «Dall’idea di<br />

nazione», conclude Spadolini, «che può<br />

vivere e progredire solo nella democrazia,<br />

si sale verso un’idea dell’Europa,<br />

che resta per tutti noi l’ideale attorno a<br />

cui lavorare, in questi anni di grandi inquietudini,<br />

di grandi conflitti, ma anche<br />

di grandi speranze».<br />

NOTE<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

(1) Il Cacciatorpediniere viene impostato nel cantiere<br />

Quarnaro di Fiume nel 1924, varato nel ‘25,<br />

completato nel ‘26 e perso nel 1940. Dislocava a<br />

pieno carico 1 580 t, era armato di 4 pezzi 76/40 e<br />

4 da 76/30 e di 4 tubi lanciasiluri da 450 mm. Aveva<br />

un equipaggio di 69 uomini.<br />

(2) Bortolo Belotti: «Storia di Bergamo e dei bergamaschi»<br />

- Bergamo-Bolis 1989.<br />

(3) L’opposizione <strong>della</strong> sinistra di De Pretis denuncia<br />

l’agonia di ogni fede nel nostro Paese, incapace<br />

d’interventi generosi verso uno Stato, «le cui<br />

ossa dei figli biancheggiano in tutti i campi di battaglia<br />

europei, non esclusi quelli italiani». È scritto da<br />

Alfonso Vajana in «Francesco Nullo, la sua<br />

Bergamo, i suoi tempi» Milano, - Quaderni di poesie<br />

-, I939.<br />

(4) Queste ed altre notizie «tra virgolette» sono tratte<br />

da alcuni documenti raccolti da Adriana Bortolotti<br />

nell’Archivio del Museo Storico di Bergamo.<br />

(5) Nelle sue memorie, Abba scrive: «Par loro<br />

d’aver ancora intorno l’orgia di villani, di soldati, di<br />

frati che uccidevano al grido di viva Francesco II e<br />

viva Maria»,<br />

(6) Giuliana Donati Petténi: «Francesco Nullo,<br />

cavaliere <strong>della</strong> libertà» Bergamo, - Bolis, - 1963.<br />

(7) «Caporale, ho fatto un prigioniero», dice il soldato,<br />

«Portalo qui», gli intima il superiore. «Non<br />

posso, mi tien saldo» replica il soldatino.<br />

(8) Giuseppe Locatelli Milesi: «La spedizione di<br />

Francesco Nullo in Polonia. Nella Siberia orrenda»<br />

- Milano, - A. Vallardi 1933.<br />

□<br />

69


STORIA<br />

IL PRIMO CENTENARIO DELLA<br />

GUERRA ITALO - TURCA<br />

1911 - 1912<br />

Un secolo è trascorso dalla firma<br />

del Trattato di pace di Losanna;<br />

era il 18 ottobre del 1912 e con la<br />

fine delle ostilità l’Italia guadagnava quel<br />

prestigio internazionale, che era stato<br />

offuscato dalla prima impresa coloniale<br />

in Africa orientale, culminata con la<br />

70<br />

del 1° Maresciallo Luogotenente Domenico INTERDONATO<br />

in servizio presso il Comando Brigata meccanizzata «Aosta»<br />

Guerra italo - turca: i soldati sostituiscono le<br />

tende con baracche provvisorie, a Bengasi.<br />

sconfitta <strong>della</strong> battaglia di Adua del 1°<br />

marzo 1986. La guerra contro l’Impero<br />

Ottomano per la conquista <strong>della</strong>


Tripolitania e <strong>della</strong> Cirenaica era stata<br />

pianificata segretamente con le diplomazie<br />

occidentali; il Ministro degli Esteri<br />

Marchese Antonino di San Giuliano stipulò<br />

accordi segreti che aprirono la strada<br />

all’azione militare.<br />

Secondo gli studi degli Stati Maggiori<br />

di allora, la guerra si sarebbe conclusa<br />

in breve tempo e con dei costi economici<br />

e umani limitati. La campagna militare<br />

venne studiata e preparata con una<br />

certa cura dal premier Giovanni Giolitti,<br />

per cui in pochi mesi di sforzo bellico si<br />

realizzò l’occupazione militare <strong>della</strong><br />

Libia, con le sue due grandi regioni: la<br />

Tripolitania e la Cirenaica.<br />

La guerra contro l’Impero Ottomano,<br />

innescò negli anni successivi un effetto<br />

devastante, che provocò il crollo <strong>della</strong><br />

«Sublime porta», con le rivolte nei<br />

Balcani e in Grecia. In Italia, tutti cantavano<br />

«Tripoli bel sol d’amore»; in effetti<br />

la Guerra italo - turca è rimasta nell’immaginario<br />

collettivo come un momento<br />

felice <strong>della</strong> giovane Italia, che portò il<br />

Regno Sabaudo nel contesto delle grandi<br />

potenze europee.<br />

Nel percorso storico <strong>della</strong> Nazione<br />

Italia, la guerra incise profondamente e<br />

creò un’eccellente base su cui poi si svilupparono<br />

gli eventi successivi, a cominciare<br />

da quelli bellici <strong>della</strong> Prima guerra<br />

mondiale. Non è appropriato parlare di<br />

guerra perché è stato un conflitto coloniale<br />

e d’invasione, ma oggi noi possiamo<br />

analizzarlo con il dovuto distacco e obiettività,<br />

cercando di analizzare con cautela<br />

le vicende che ci portarono a conquistare<br />

quella assolata terra nordafricana, strappandola<br />

alla Turchia.<br />

La preparazione del conflitto è stata<br />

una felice sinergia delle Forze Armate,<br />

l’intervento militare venne preparato con<br />

largo anticipo e con l’impiego di un’armata<br />

composta inizialmente da 35 000<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

militari per poi arrivare a 100 000, che<br />

nel breve tempo riuscì ad impadronirsi di<br />

quasi tutta la fascia costiera libica.<br />

Con il pretesto di violenze subite da<br />

cittadini italiani nella Cirenaica e in<br />

Tripolitania, il 29 settembre del 1911,<br />

l’Italia dichiara guerra all’Impero<br />

Ottomano e la Regia Marina si mosse<br />

per sorprendere le navi da guerra turche<br />

ancora all’ancora nelle basi navali.<br />

L’effetto sorpresa riuscì e gran parte del<br />

potenziale bellico ottomano venne affondato<br />

negli attacchi lanciati al porto di<br />

Beirut e nel Mar Rosso.<br />

L’operazione Libia iniziò nel mese di<br />

ottobre. La perfetta sinergia Regia<br />

Marina - <strong>Esercito</strong> permise lo sbarco delle<br />

truppe con limitatissime perdite. L’azione<br />

militare iniziava sempre con il bombardamento<br />

dal mare delle fortificazioni<br />

costiere; il maggiore calibro delle possenti<br />

navi italiane riduceva al silenzio la<br />

fragile risposta ottomana. Le truppe ottomane<br />

e indigene, dopo una composta<br />

reazione avevano l’ordine di ritirarsi nell’entroterra,<br />

per poi colpire gli italiani con<br />

rapide azioni di disturbo, che continuarono<br />

anche dopo il Trattato di pace firmato<br />

a Losanna.<br />

Durante il breve conflitto bisogna ricordare<br />

l’impiego di nove aeroplani, inizialmente<br />

usati per l’osservazione e poi<br />

anche per le fotografie aeree e a seguire<br />

i primi bombardamenti azionati manualmente.<br />

Nasceva la prima Aviazione<br />

militare italiana. Da ricordare che non<br />

tutti erano dei piloti con le stellette, alcuni<br />

erano dei volontari che si prestarono<br />

alla causa coloniale. Si videro anche i<br />

primi camion adibiti al trasporto <strong>della</strong><br />

truppa e dei materiali che, non sopportando<br />

la polvere del deserto, vennero<br />

inizialmente accantonati per poi essere<br />

riutilizzati con opportuni accorgimenti<br />

tecnici.<br />

71


STORIA<br />

Guerra italo - turca: Derna, sbarco di legname.<br />

Le truppe coloniali diedero un importante<br />

contributo, con i battaglioni cammellati<br />

degli Ascari eritrei addestrati e<br />

comandati da Ufficiali italiani, che risultarono<br />

determinanti nell’inseguire e<br />

annientare il nemico in fuga dopo le battaglie.<br />

La guerra si spinse fino ad arrivare a<br />

Costantinopoli. Una squadriglia navale<br />

riuscì a superare tutti gli sbarramenti<br />

dello Stretto dei Dardanelli, bombardare<br />

alcuni forti e ritornare quasi indenne alla<br />

base.<br />

Per piegare la resistenza ottomana,<br />

l’Italia spostò la guerra nel Mar Egeo<br />

occupando l’isola di Rodi e altre undici<br />

72<br />

Il sultano Abdul Hamid II.<br />

isolette strategicamente importanti: il<br />

cosiddetto Dodecaneso. L’azione mirata<br />

italiana servì a far capitolare le resistenze<br />

del sultano Abdul Hamid II, che accet-


Il Generale Armando Vittorio Diaz.<br />

tò il Trattato di pace.<br />

A volere la guerra di Libia furono dei<br />

gruppi di potere, che portarono o meglio<br />

spinsero l’Italia e gli italiani verso un<br />

colonialismo non sentito dalla popolazione.<br />

Allora lo scetticismo era forte e nella<br />

Nazione era ancora aperta la ferita <strong>della</strong><br />

disfatta di Adua.<br />

Un grosso contributo lo diedero i<br />

media quasi tutti favorevoli alla guerra. I<br />

corrispondenti dalla Cirenaica e<br />

Tripolitania, poi chiamata Libia, raccontavano<br />

«le bugie d’oltremare» di una<br />

terra molto vicina alla madre patria, lussureggiante<br />

e piena di risorse minerarie<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

da sfruttare. Si suggeriva una colonizzazione<br />

di massa delle terre fertili vicine<br />

alla fascia costiera, per dirottare l’esodo<br />

dei migranti che preferivano l’America.<br />

Purtroppo, allora, non si capì che il<br />

deserto libico galleggiava su un mare di<br />

«oro nero» e gas naturale.<br />

La conquista <strong>della</strong> Libia negli anni si<br />

rivelò un pesante fardello per l’economia<br />

statale; i costi <strong>della</strong> guerra lievitati notevolmente,<br />

sommati alle perdite umane e<br />

al costo delle enormi infrastrutture create<br />

nella giovane colonia furono enormi e<br />

la Libia in cambio non ci diede nulla.<br />

L’effetto immigrazione non produsse lo<br />

spostamento di massa, malgrado le agevolazioni<br />

che il governo di allora offriva<br />

agli emigranti, che si trasformavano in<br />

colonizzatori, e malgrado tutto gli italiani<br />

continuarono a preferire l’America.<br />

Oggi possiamo affermare, che la guerra<br />

contro l’Impero Ottomano servì a preparare<br />

e forgiare le Forze Armate italiane<br />

con tutti gli Stati Maggiori, che dopo<br />

questa parentesi coloniale si prepararono<br />

ad entrare in guerra nel 1915, con il<br />

primo conflitto mondiale, e a vincere.<br />

Il Generale Armando Vittorio Diaz, che<br />

nell’autunno del 1918 guidò alla vittoria<br />

le truppe italiane, fu un chiaro esempio:<br />

nel 1910, durante la Guerra italo - turca,<br />

comandò il 21º Reggimento fanteria e<br />

l’anno dopo il 93º Reggimento fanteria in<br />

Libia, che era rimasto improvvisamente<br />

senza comando.<br />

Sempre in Libia, a Zanzur, fu ferito nel<br />

1912, per arrivare fino al 4 novembre<br />

1918 quando l’Austria capitolò, e per la<br />

storica occasione Diaz stilò il famoso<br />

«Bollettino <strong>della</strong> Vittoria», in cui comunicava<br />

la rotta dell’<strong>Esercito</strong> nemico ed il<br />

successo italiano.<br />

□<br />

73


STORIA<br />

LE TRINCEE QUALI<br />

FORTIFICAZIONI CAMPALI<br />

DURANTE LA GRANDE GUERRA<br />

Il primo conflitto mondiale ha inciso<br />

notevolmente nella storia dell’Italia e<br />

più in generale in Europa, sancendo la<br />

fine degli Imperi e la nascita degli Stati<br />

Nazionali.<br />

Nel 1914 il clima culturale europeo era<br />

74<br />

del Maggiore Stefano ELISEO<br />

in servizio presso il Comando Militare <strong>Esercito</strong> Friuli Venezia Giulia<br />

animato da grande fervore soprattutto nei<br />

circoli intellettuali di Austria e Germania,<br />

mentre il panorama politico vedeva le<br />

grandi potenze europee schierate in blocchi<br />

contrapposti e in alleanze che rendevano<br />

l’equilibrio quanto mai precario.


L’attentato di Sarajevo rappresentò quel<br />

«casus belli», che condusse l’Europa<br />

verso un conflitto di proporzioni sicuramente<br />

superiori a quanto l’evento stesso<br />

avesse lasciato prevedere. Non a caso<br />

quel conflitto venne definito mondiale.<br />

In un clima così drammatico si misero in<br />

evidenza le correnti degli intellettuali italiani<br />

che affollarono le piazze reclamando<br />

l’entrata in guerra e sopraffacendo una<br />

maggioranza parlamentare e sociale che,<br />

invece, non la voleva. Il nostro intervento<br />

in guerra provocò nel Paese profonde<br />

lacerazioni di cui è prova, ad esempio,<br />

l’oltre mezzo milione di richiamati alle<br />

armi che preferirono disertare. Vi era,<br />

peraltro, una diffusa convinzione che la<br />

guerra sarebbe stata breve e soprattutto,<br />

che l’intervento italiano sarebbe stato<br />

decisivo. In realtà, a dispetto delle aspettative,<br />

il conflitto assunse fin dall’inizio<br />

proporzioni enormi e si trasformò in una<br />

vera e propria guerra di posizione durante<br />

la quale i contendenti si ancorarono al<br />

terreno che quindi, oltre ad essere campo<br />

di battaglia, divenne «la casa» per oltre<br />

un milione di combattenti.<br />

La situazione risultò molto diversa<br />

rispetto ai conflitti precedenti quando cioè<br />

le tecniche richiedevano manovre in ordine<br />

chiuso sul campo di battaglia prima di<br />

giungere allo scontro fisico e prevedevano<br />

l’esecuzione di tutta una serie di formalità<br />

e gesti di origine cavalleresca.<br />

La guerra del ‘14 – ’18 si trasformò sin<br />

da subito in guerra di posizione sanguinosa<br />

e strettamente correlata allo sviluppo<br />

A sinistra: trincea parzialmente affondata nel<br />

terreno il cui spalto è stato costruito con la tecnica<br />

del muro a secco coronato da sacchetti di<br />

terra. Sul Carso questo era spesso una scelta<br />

obbligata, soprattutto nella prima fase <strong>della</strong><br />

guerra, quando i mezzi tecnici erano inferiori<br />

alle necessità.<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

di nuove tecnologie. I Paesi coinvolti nella<br />

guerra impegnarono così tutte le forze<br />

morali e materiali di cui erano capaci.<br />

Elemento caratteristico <strong>della</strong> guerra di<br />

posizione fu la trincea e, in questo quadro,<br />

la trincea nemica divenne l’obbiettivo<br />

vicino di tutti i combattenti. Gli eserciti<br />

ricorsero al «trinceramento», preferendo<br />

una guerra di logoramento agli scontri in<br />

campo aperto, per tutta una serie di molteplici<br />

cause riconducibili all’aumentato<br />

volume di fuoco degli eserciti.<br />

Si pensi solo alla precisione ed alla<br />

celerità di tiro acquisita dai nuovi fucili,<br />

anche a ripetizione, si pensi, ancora agli<br />

aumentati calibri delle artiglierie e alle loro<br />

aumentate gittate oltrechè alla loro mobilità<br />

e celerità del tiro. La trincea, dunque,<br />

venne ritenuta la soluzione più idonea in<br />

grado di dare un accettabile grado di<br />

copertura alle truppe.<br />

Peraltro, la trincea, mentre costituiva un<br />

serio ostacolo per gli attaccanti (soprattutto<br />

se questa era protetta da una serie di<br />

ostacoli passivi che ne esaltavano le<br />

potenzialità) rappresentava anche la base<br />

di partenza per azioni contro le postazioni<br />

avversarie. E così, tutti i belligeranti, realizzarono<br />

sul terreno una vera e propria<br />

ragnatela di scavi che, intersecandosi tra<br />

loro, avevano il compito di nascondere<br />

all’osservazione e al tiro diretto <strong>della</strong> fucileria<br />

nemica, le fanterie amiche.<br />

L’uso del trinceramento vanificò, di<br />

colpo, la dottrina esistente, frutto di concetti<br />

tattici antichi di secoli, attribuendo al<br />

combattimento una nuova fisionomia.<br />

Piero Pieri, storico <strong>della</strong> Grande<br />

Guerra, vedeva nella trincea una difesa<br />

che «…poneva l’intero popolo belligerante<br />

in condizioni di irrigidirsi davanti ad<br />

un’unica ben difesa postazione nella<br />

quale tutto l’esercito si annidava, che<br />

copriva tutto il suolo patrio, che non poteva<br />

essere aggirata, che sembrava poter<br />

75


STORIA<br />

Postazioni di alta montagna, dove gli elementi<br />

dell’organizzazione difensiva si adattano al<br />

terreno e la natura è spesso il primo avversario<br />

da combattere. La linea del fronte italoaustriaco<br />

correva in larga parte ad alta quota,<br />

in regioni dove nessuno aveva ma immaginato<br />

che gli uomini potessero vivere e combattere<br />

indifferenti al volgere delle stagioni.<br />

essere superata solo attraverso una<br />

gigantesca azione risolutiva….» (1).<br />

TIPOLOGIA DI TRINCEA E CARATTE-<br />

RISTICHE COSTRUTTIVE<br />

Origini storiche<br />

La costruzione delle trincee rientra in un<br />

ramo specifico dell’arte militare chiamata<br />

in particolare «fortificazione campale»,<br />

del capitolo relativo ai così detti «lavori sul<br />

76<br />

campo di battaglia». Non solo durante la<br />

Grande Guerra vennero realizzati lavori di<br />

fortificazione campale ma si conoscono<br />

esempi di trincee realizzate sin dai tempi<br />

dei persiani di Ciro e di Dario: si sa infatti<br />

che a Gaugamela il campo di battaglia<br />

venne preparato eseguendo lavori di<br />

scavo e innalzando fortificazioni. Con<br />

Cesare la fortificazione campale acquistò<br />

grande importanza per la creazione di<br />

posizioni fortificate.<br />

L’introduzione delle armi da fuoco e la<br />

loro continua evoluzione tecnica rese<br />

pressoché indispensabile il ricorso alla<br />

fortificazione campale e la concezione di<br />

lotta in campo aperto si ridusse ad<br />

un’area attorno alle fortezze riducendo<br />

così l’ampiezza del campo di battaglia. Il<br />

Vauban (2), creando e modificando molte<br />

piazzeforti, adattandole al terreno, diede<br />

origine alla tecnica per l’espugnazione


progressiva delle fortezze eseguita con<br />

l’impiego <strong>della</strong> zappa e del cannone.<br />

Conseguentemente alla Rivoluzione<br />

Francese e alla costituzione degli Eserciti<br />

nazionali, le tecniche del combattimento<br />

fuori dalle fortezze subirono ulteriori modifiche<br />

in funzione dell’aumentato numero<br />

dei combattenti.<br />

Fu con Napoleone che i «lavori sul<br />

campo di battaglia» e lo sfruttamento<br />

delle possibilità offerte dalla fortificazione<br />

campale assunsero un ruolo fondamentale<br />

proprio in ragione delle grosse masse<br />

di combattenti che si affrontavano. Le tecniche<br />

<strong>della</strong> fortificazione campale vennero<br />

ulteriormente perfezionate nel corso<br />

La siepe di filo spinato antistante alla trincea in<br />

un’immagine emblematica <strong>della</strong> situazione di<br />

stallo che si determinò ben presto anche sul<br />

fronte italiano, non appena l’avanzata oltre<br />

frontiera andò a urtare contro l’organizzazione<br />

difensiva predisposta dall’avversario.<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

<strong>della</strong> guerra d’oriente del 1853 e nel corso<br />

<strong>della</strong> guerra civile americana. A partire<br />

dalla seconda metà dell’ottocento, la realizzazione<br />

di armi dotate di sempre maggiore<br />

cadenza di tiro e potenza di fuoco<br />

resero necessario il ricorso a fortificazioni<br />

interrate che avevano lo scopo di dare<br />

una maggiore protezione ai combattenti.<br />

Si cercò, così, di conciliare due esigenze:<br />

la prima era quella di sfruttare le nuove<br />

armi da fuoco, la seconda era quella di<br />

ottenere, il più possibile, una ottimale<br />

copertura dal tiro nemico, tutto ciò rimanendo<br />

ancorati al terreno per sfruttarne le<br />

caratteristiche morfologiche (3). Per realizzare<br />

ciò era necessario soddisfare due<br />

principi costruttivi: il primo era quello di<br />

ottenere una buona postazione che consentisse<br />

l’osservazione del nemico, il<br />

secondo era connesso con la necessità di<br />

mantenere un'adeguata copertura dal<br />

fuoco avversario. Era necessario, dunque,<br />

defilare le proprie posizioni dalla<br />

77


STORIA<br />

vista del nemico mantenendo, comunque,<br />

adeguate possibilità di comunicazione e<br />

circolazione delle proprie truppe anche<br />

sotto il fuoco nemico. Era necessario,<br />

però, creare degli ostacoli, che impedissero,<br />

intralciassero e ritardassero i movimenti<br />

dell’avversario (4).<br />

Quando nel 1914 esplose il conflitto,<br />

l’Europa venne attraversata da nord a sud<br />

da due interminabili ordini di trincee: la<br />

prima correva, ininterrotta, dal Belgio alla<br />

Svizzera e costituiva il così detto fronte<br />

occidentale o fronte franco-britannico-germanico<br />

mentre la seconda trincea, a<br />

oriente <strong>della</strong> prima, era il fronte austrorusso-serbo-rumeno.<br />

Il 24 maggio 1915,<br />

per effetto dell’entrata in guerra dell’Italia<br />

si aprì un altro fronte, quello italo-austriaco,<br />

che si sviluppava per oltre 600 chilometri,<br />

dallo Stelvio al mare.<br />

Questo fronte, prevalentemente montano,<br />

in alcuni tratti raggiungeva i 3 000<br />

metri e solo negli ultimi 90 chilometri (da<br />

Gorizia al mare) si presentava semi pianeggiante<br />

e parzialmente sopraelevato<br />

rispetto alla bassa pianura friulana.<br />

Su questi quasi 90 chilometri finali di<br />

fronte, tra il 1915 e 1917, vennero combattute<br />

11 tra le battaglie più sanguinose<br />

<strong>della</strong> guerra sul fronte italiano.<br />

Costruzione e dimensione manufatto<br />

Da punto di vista costruttivo, le trincee<br />

erano realizzate come fossati profondi<br />

circa due metri, di larghezza variabile,<br />

con la fronte rivolta in direzione delle<br />

postazioni nemiche e che seguiva l’andamento<br />

del terreno.<br />

Teoricamente la sponda fronteggiante il<br />

nemico avrebbe dovuto avere alla base<br />

un gradino lungo tutta la lunghezza dello<br />

scavo avente la funzione di consentire<br />

alle vedette l’osservazione <strong>della</strong> linea<br />

nemica, per eseguire un tiro mirato contro<br />

78<br />

gli elementi attaccanti e un’azione di fucileria<br />

contro la trincea nemica.<br />

Peculiare era la situazione degli scavi in<br />

montagna dove le caratteristiche del terreno<br />

rendevano le opere di scavo particolarmente<br />

difficoltose e complesse. Si preferì<br />

quindi sfruttare tutte le pieghe del terreno<br />

per ottenere un appoggio per la linea<br />

difensiva e un riparo dal tiro nemico.<br />

Allo scopo di proteggere le pareti delle<br />

trincee dagli effetti delle piogge (allagamento)<br />

e per evitare il franamento delle<br />

pareti si ricorse, ove possibile, al loro rivestimento<br />

con legnami e graticci. Per<br />

aumentare l’impenetrabilità del trinceramento<br />

venivano posti sul ciglio dello<br />

scavo ostacoli passivi come reticolati di<br />

filo spinato o cavalli di frisia che avevano<br />

il compito di arrestare gli attaccanti fatti<br />

poi oggetto al fuoco dei difensori.<br />

Sarebbe stata infatti necessaria una<br />

forte concentrazione di fuoco di artiglieria,<br />

soprattutto di grosso calibro, per ottenerne<br />

la parziale distruzione o quanto meno<br />

l’apertura di varchi. Si usò inoltre l’accortezza<br />

di costruire la linea non con andamento<br />

rettilineo ma a zig zag allo scopo di<br />

assicurare alle truppe una migliore protezione<br />

dal tiro di artiglieria e rendendo difficoltosa<br />

l’osservazione all’avversario.<br />

Questo accorgimento dava ai difensori<br />

un’ulteriore possibilità e cioè quella di<br />

effettuare un tiro incrociato di fucileria e<br />

armi automatiche che aveva lo scopo di<br />

disorientare l’avversario.<br />

Mentre il concentramento del fuoco<br />

d’artiglieria sulle prime linee nemiche era<br />

una tecnica impiegata per manovre in<br />

campo aperto, per offensive eseguite in<br />

spazi limitati si preferiva impiegare tubi di<br />

gelatina esplosiva posti direttamente<br />

sotto il reticolato. Ciò esponeva ovviamente<br />

i soldati al duplice rischio di essere<br />

individuati durante l’avvicinamento al reticolato<br />

e, soprattutto, di notte durante


Dalla pubblicazione del Comando del Corpo di<br />

Stato Maggiore - Ufficio Difesa dello Stato,<br />

Norme complementari all’istruzione sui lavori<br />

del campo di battaglia, circolare n. 250 in data<br />

10 febbraio 1915.<br />

l’operazione di accensione <strong>della</strong> miccia.<br />

Infatti, di notte il bagliore dello «zolfanello»,<br />

utilizzato per l’accensione <strong>della</strong> miccia,<br />

produceva un bagliore in grado di permettere<br />

alla sentinella nemica di individuare i<br />

posatubi, di puntare e di fare fuoco.<br />

«…I sardi <strong>della</strong> Brigata Sassari ovviarono<br />

a quest’ultimo inconveniente muovendo<br />

dalla trincea con un sigaretto acceso e<br />

con la brace all’interno del cavo<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

orale…Questo sistema era detto “fogu a<br />

intro”...» (5).<br />

Dietro la trincea di prima linea ne venivano<br />

realizzate, se possibile, altre due<br />

poste a distanza variabile dalla prima in<br />

relazione alla morfologia del terreno.<br />

Queste due linee avevano lo scopo di<br />

conferire profondità allo schieramento<br />

garantendone la tenuta.<br />

Dei «camminamenti» collegavano tra<br />

loro le linee successive. In particolare,<br />

avevano il compito di consentire alle truppe<br />

quei movimenti tattici e logistici necessari<br />

alla vita <strong>della</strong> trincea mantenendo il<br />

personale al riparo dal fuoco e dalla<br />

osservazione del nemico.<br />

79


STORIA<br />

In terreno roccioso si compensava con i sacchi<br />

a terra la diffoltà di scavo.<br />

Allo scopo di consentire ai soldati in<br />

linea, ma non impegnati nella vigilanza,<br />

il riparo dalle intemperie e il riposo,<br />

all’interno delle trincee vennero realizzati<br />

dei ricoveri costruiti come nicchie.<br />

Questi venivano attrezzati con materiali<br />

di fortuna che avevano il duplice scopo<br />

di renderli, se possibile, più vivibili e,<br />

nello stesso tempo, più resistenti alle<br />

esplosioni.<br />

Dopo la 4 a battaglia dell’Isonzo, con l’arrivo<br />

<strong>della</strong> stagione invernale l’attività operativa<br />

giunse ad una fase di stallo. Fu in<br />

questo periodo che, sia da parte italiana<br />

che da parte austriaca, si procedette a<br />

lavori di rafforzamento delle prime linee.<br />

80<br />

Erano differenti i presupposti sui quali ci si<br />

basò per eseguire i lavori di rafforzamento.<br />

Era implicito, infatti, che agli italiani<br />

spettasse l’onere dell’offensiva in quanto<br />

la guerra era stata dichiarata da noi e a<br />

tale scopo le nostre trincee più che opere<br />

di ingegneria dovevano essere opere<br />

speditive che servivano da «testa di<br />

ponte» per l’assalto alla linea nemica.<br />

Come scrisse Luigi Barzini (6), ... «Il<br />

campo di battaglia italiano fu certamente il<br />

più aspro tra i campi di battaglia europei e<br />

il continuo incessante scavo di trincee fu<br />

terribilmente faticoso quanto necessario.<br />

A questo impegno le truppe non si sottrassero<br />

mai perché compresero, sin da<br />

subito, che la trincea era l’unico salvacondotto<br />

che poteva, in parte, garantire l’incolumità<br />

e quindi il ritorno a casa…».<br />

Dal canto loro gli austriaci avvertivano


la necessità di rafforzare le proprie linee<br />

allo scopo di migliorare le difese dalle<br />

offensive italiane.<br />

Tuttavia nell’inverno del 1915-1916<br />

anche gli italiani furono costretti, durante<br />

la stasi delle operazioni, a rafforzare le<br />

proprie linee difensive allo scopo di fornire<br />

riparo alle truppe.<br />

Fu in questo periodo che centinaia di<br />

chilometri di trincee vennero trasformate<br />

Trincee di seconda linea costruite al limitare<br />

dell’altopiano carsico nell’inverno 1916-1917,<br />

ricalcando in parte il tracciato delle vecchie<br />

linee di difesa austro-ungariche. L’allestimento<br />

di posizioni come queste in un terreno come<br />

quello del Carso richiedeva l’intervento di consistenti<br />

mezzi tecnici e di una forza lavoro specializzata,<br />

il che non era certo possibile a diretto<br />

contatto con l’avversario, dove le soluzioni<br />

costruttive erano ben più improvvisate.<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

in poderosi campi trincerati realizzati con<br />

abbondanza di materiali di rafforzamento,<br />

cemento armato compreso. Ciò comportò<br />

la realizzazione di nuovi elementi costruttivi<br />

quali ad esempio postazioni per mitragliatrici<br />

scavate nella roccia ma anche<br />

depositi di munizioni e di materiali vari e<br />

ricoveri per le truppe.<br />

La sicurezza di queste opere era affidata<br />

oltre che alle vedette a tutto un intricato<br />

sistema di filo spinato ancorato al terreno<br />

in mille modi diversi.<br />

A tal proposito, il piccone e il badile<br />

divennero, assieme al fucile, attrezzi cari<br />

al combattente. Ciò comportava lavori di<br />

scavo nella roccia che diventarono parte<br />

integrante dell’attività dei combattenti.<br />

Le trincee italiane, come già detto, si<br />

estendevano dallo Stelvio al mare<br />

seguendo in parte l’andamento del confi-<br />

81


STORIA<br />

Una trincea di Monte Valbella, importante<br />

punto di forza sull’Altopiano d’Asiago, il 26 febbraio<br />

1918, un mese dopo la sua riconquista<br />

nel corso <strong>della</strong> cosiddetta Battaglia dei Tre<br />

Monti che dimostrò la ritrovata capacità offensiva<br />

dell’<strong>Esercito</strong> e segnò l’inizio <strong>della</strong> ripresa.<br />

ne politico e disegnando sul terreno due<br />

profonde anse all’altezza del saliente<br />

82<br />

trentino e di quello carnico. Sicuramente<br />

più difficoltoso fu lo sviluppo delle linee<br />

nei territori montani: furono i reparti del<br />

genio a realizzarne la costruzione in<br />

maniera tale da rendere le fortificazioni<br />

sufficientemente resistenti e tali da impedire<br />

che l’avversario potesse avvolgere o<br />

aggirare le posizioni.<br />

Altri nemici durante il periodo invernale


erano il freddo e le piogge che trasformavano<br />

le trincee in autentici acquitrini: in tali<br />

condizioni le truppe erano esposte anche<br />

all’insorgenza e alle diffusione di gravi epidemie<br />

e malattie da raffreddamento.<br />

Spesso le trincee di prima linea correvano<br />

parallelamente e a non più di cinquanta<br />

metri da quelle austriache: la necessità di<br />

costruire tali linee su terreni caratterizzati<br />

da forte contro pendenza creava degli<br />

«angoli morti» per l’artiglieria nemica; per<br />

contro tale caratteristica consentiva ai<br />

nemici il lancio di grossi sassi a mo’ di<br />

valanga.<br />

All’interno delle trincee trovavano sistemazione<br />

anche comandi a livello compagnia<br />

e battaglione, collegati, telefonicamente,<br />

con i comandi sovraordinati e con gli<br />

schieramenti delle artiglierie orientate a<br />

favore.<br />

Oltre ai danni provocati ai collegamenti<br />

telefonici dalle granate, soprattutto in montagna,<br />

vi era il problema dei danni causati ai<br />

cavi telefonici dai fulmini che essi stessi attiravano.<br />

Tutto ciò creava continue interruzioni<br />

nelle comunicazioni complicando ulteriormente<br />

lo svolgimento delle operazioni<br />

belliche e rendendo necessarie continue<br />

opere di riparazione e ripristino delle linee.<br />

Vita da Trincea<br />

Teatro delle operazioni per il primo anno<br />

di guerra furono gli ultimi novanta chilometri<br />

di fronte che correvano da Gorizia al<br />

mare e che assorbivano, proporzionalmente,<br />

il maggior numero di forze.<br />

Il servizio in prima linea non consisteva<br />

in un continuo susseguirsi di fucilate intercalate<br />

da salve d’artiglieria e soprattutto<br />

non vi erano combattimenti giornalieri a<br />

cui sottostare e men che meno offensive<br />

o difensive periodiche da preparare o<br />

subire.<br />

La vita da trincea era una snervante<br />

ripetitività, giorni tutti uguali durante i quali<br />

venivano compiuti gesti sempre uguali<br />

che si susseguivano con estenuante<br />

monotonia. Gli assalti o il momento dell’avvicendamento<br />

per il riordino in seconda<br />

linea interrompevano questa monotonia.<br />

La ripetitività quotidiana divenne<br />

quindi modello di vita per il fante che, a<br />

causa di questa monotonia cominciò ad<br />

ammalarsi di depressione.<br />

Il mondo dei combattenti, per lo più giovani,<br />

era limitato allo spazio tra le trincee,<br />

quindi il ritmo di vita veniva scandito dalla<br />

ripetitività dei gesti interrotta dalle azioni<br />

di offensiva e dal continuo rischio di morire.<br />

L’unico desiderio, allora diventava<br />

quello di sperare in una morte rapida e<br />

senza sofferenze.<br />

NOTE<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

(1) P. Pieri: «La Prima Guerra Mondiale 1914-<br />

1918» Roma, Stato Maggiore <strong>Esercito</strong> 1986,<br />

p.22.<br />

(2) Sebastian Le Preste De Vauban: militare<br />

francese, uno dei più grandi ingegneri militari<br />

di tutti i tempi.<br />

(3) Capitano G. Del Giudice: «Fortificazione.<br />

Cenno storico, evoluzione <strong>della</strong> fortificazione<br />

durante la guerra mondiale, la fortificazione<br />

nell’avvenire», «Rivista di artiglieria e genio»<br />

del 1926.<br />

(4) Tenente Colonnello G. Forni: «Sviluppi Della<br />

Fortificazione Campale nella presente Guerra»,<br />

«Rivista di artiglieria e genio del 1917».<br />

(5) L. Cadeddu: «Sa Vida Pro Sa Patria -<br />

Storia <strong>della</strong> Brigata Sassari nella guerra del<br />

1915» Ed. Gaspari, Udine, 2008.<br />

(6) Luigi Barzini, l’inviato di guerra più noto del<br />

secolo scorso che nel 1915-18 fu corrispondente<br />

da diversi fronti del primo conflitto mondiale.<br />

□<br />

83


ASTERISCHI<br />

LA CYBERWAR COME<br />

STRUMENTO DI MINACCIA<br />

GLOBALE<br />

L’enorme diffusione e utilizzo dei<br />

sistemi informatici nella realtà<br />

quotidiana, in ambito militare,<br />

economico ecc., ha aperto nuovi scenari<br />

e generato nuovi strumenti per compromettere<br />

la globalità delle attività<br />

mondiali. A tal proposito si sono svilup-<br />

84<br />

del Maggiore Nicola GRAMMATICO<br />

in servizio presso lo Stato Maggiore <strong>della</strong> Difesa - III Reparto<br />

pate delle vere e proprie cellule sparse<br />

nei Paesi a «rischio terroristico elevato»<br />

che studiano, creano, testano e attaccano<br />

quotidianamente i siti e le reti informatiche<br />

mondiali civili e <strong>della</strong> difesa. Il<br />

loro scopo è quello di creare delle inefficienze,<br />

di carpire informazioni che pos-


sano minacciare il normale andamento<br />

delle attività nonché costituire una severa<br />

minaccia per il Paese attaccato. La<br />

minaccia informatica oggi si può suddividere<br />

in due categorie, come di seguito<br />

specificato:<br />

• la prima correlata ai «personal computer»,<br />

consistente in software e programmi<br />

dannosi;<br />

• la seconda correlata agli utilizzatori<br />

«users», ovvero particolari tecniche<br />

che manipolano gli utenti e li inducono<br />

a compiere intenzionalmente azioni<br />

(che di solito non fanno) tese a far rilasciare<br />

informazioni sensibili.<br />

Alla prima categoria appartengono i<br />

cosiddetti malware, alla seconda i social<br />

engineering e i phishing. Il malware,<br />

ovvero MAL-icious soft-WARE, è un programma<br />

creato o modificato deliberata-<br />

mente per generare un’azione non autorizzata,<br />

spesso dannosa all’interno del<br />

computer.<br />

TIPI DI MALWARE<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Fanno parte dei malware: Virus, Worm,<br />

Trojan, Rootkit, Spyware, Adware e<br />

Polymorphic malware. Ormai sono talmente<br />

diffusi che è difficilissimo distinguerli<br />

se non solo per i differenti scopi che<br />

ognuno di questi si propone. Il termine<br />

virus spesso è usato erroneamente per<br />

descrivere tutto ciò che danneggia il<br />

nostro personal computer, ma in realtà si<br />

tratta di una piccola applicazione o una<br />

stringa di un codice il cui scopo fondamentale<br />

è trovare un «computer ospitante» per<br />

riprodursi e diffondersi in rete all’insaputa<br />

85


ASTERISCHI<br />

dell’utente. Di norma esso si attacca ad<br />

un file e si diffonde tramite «hard disk»<br />

rimovibili (chiavi usb, cd, floppy) o tramite<br />

e-mail via internet. Ovviamente<br />

anche i virus hanno delle categorizzazioni<br />

in base alle loro caratteristiche,<br />

esistono i «boot-sector virus» cioè virus<br />

che si nascondono e si diffondono nei<br />

boot-sector (partizioni che contengono il<br />

sistema operativo) di un hard disk, i file<br />

virus che si nascondono nei file e si<br />

generano tramite copie e, infine, i macro<br />

virus (macro perchè infettano i codici<br />

macro delle applicazioni del pacchetto<br />

Office) che infettano documenti e templates<br />

dei programmi più diffusi quali<br />

Word e Excel. I worm (letteralmente<br />

«verme») si differenziano dai virus perchè<br />

si auto replicano e si diffondono<br />

senza bisogno di legarsi ad un computer<br />

o ad un programma. I mezzi di propagazione<br />

sono i soliti, e-mail, siti internet<br />

e dischi rimovibili. Essi si diffondono<br />

maggiormente via rete in pochi minuti<br />

sfruttando dei bug (dei buchi) diffusi.<br />

I trojan devono il loro nome al fatto<br />

che sono nascosti in programmi che non<br />

si auto replicano e che sembrano appa-<br />

86<br />

rentemente utili ma in realtà<br />

contengono dei software dannosi,<br />

ad esempio arriva una email<br />

con allegato uno screensaver,<br />

lo si apre e mentre<br />

apprezziamo il nuovo screen<br />

saver in realtà il trojan silenziosamente<br />

si è installato sul<br />

nostro pc, ma a differenza dei<br />

virus esso non istalla codici<br />

ma manda informazioni silenziosamente<br />

al proprio originatore<br />

usando la nostra connessione.<br />

Il rootkit è una tecnica che<br />

serve a tenere nascosto il<br />

malware dal sistema operativo,<br />

dagli users, e dai software di sicurezza.<br />

In sostanza è un software creato<br />

per avere il controllo completo del sistema<br />

all’insaputa degli utenti. L’utente<br />

vede una normale utility, ma in realtà<br />

nel sistema si stanno replicando files e<br />

librerie da inviare all’originatore attraverso<br />

le «backdoor» (porte di servizio<br />

create dal software che aggirano tutti i<br />

sistemi di sicurezza e consentono il<br />

controllo diretto sul sistema da parte<br />

dell’originatore del rootkit). Ma i rootkit<br />

sono anche usati per alcuni software di<br />

copyright come la Sony, che installa di<br />

nascosto un software per evitare che il<br />

cd venga copiato con alcuni programmi,<br />

in modo da dover usare solo un determinato<br />

software specifico per poter riprodurre<br />

quel cd.<br />

Gli spyware sono programmi che si<br />

installano di nascosto su un pc per intercettare<br />

varie informazioni (password,<br />

numeri di carte di credito, username),<br />

ovvero tutte le attività compiute on-line<br />

da un utente senza il suo consenso trasmettendole<br />

tramite internet a delle<br />

organizzazioni che le useranno per tranne<br />

profitto. Può essere installato su un


computer di un ignaro utente attraverso<br />

le attività di «ingegneria sociale» di cui<br />

parleremo più avanti.<br />

L’adware è un programma creato per<br />

lanciare annunci e per reindirizzare la<br />

pagina web verso siti promozionali,<br />

spesso si trovano in software freeware o<br />

shareware. Di solito non sono una<br />

minaccia.<br />

Infine, rientra nella categoria il polymorphic<br />

malware, il malware più pericoloso<br />

perchè muta costantemente passando<br />

da worm a trojan a malware risultando<br />

difficile da eliminare e soprattutto<br />

da individuare per i moderni sistemi di<br />

sicurezza.<br />

Il social engineering, ovvero lo studio<br />

del comportamento individuale abituale<br />

di una persona per carpirne delle informazioni,<br />

in informatica è l’unica possibilità<br />

che un individuo ha di trovare un<br />

bug, una crepa, per poter attaccare un<br />

sistema quando questo è inattaccabile<br />

dal punto di vista tecnico. Così, attraverso<br />

l’inganno si cerca di carpire password,<br />

accessi e dati sensibili. Rientra<br />

in questa categoria il cosiddetto phishing<br />

ovvero un sistema di e-mail finte<br />

dove vengono chiesti dei dati con l’inganno,<br />

di solito per ricevere un premio o<br />

per controllare un’anomalia.<br />

CAUSE DEI MALWARE<br />

Le motivazioni che portano a creare e<br />

diffondere i malware sono molteplici.<br />

Occorre innanzitutto partire dal fatto che<br />

chi genera un malware è uno specialista<br />

informatico, che molto spesso lo diffonde<br />

per testare il suo livello, per far sapere<br />

che è in grado di colpire il sistema,<br />

per migliorare la sua reputazione o<br />

dimostrare il suo prestigio agli altri hacker,<br />

a volte anche per uno scherzo e<br />

non ultimo per danaro. Infatti internet<br />

risulta essere un’enorme miniera.<br />

Recentemente una nota rivista di informatica<br />

ha pubblicato le tariffe degli hacker<br />

trovate su un forum specialistico in<br />

internet di seguito riportate:<br />

Typical prices in hacker forums :<br />

• $ 1,000 a $ 5,000: per un Trojan che trasferisce<br />

fondi attraverso conti on-line.<br />

• $ 500: per ogni programma di clonazione<br />

carte di credito con PIN.<br />

• $ 80 a $ 300: per un programma che<br />

modifichi i dati di fatturazione,<br />

account, indirizzi, data di nascita.<br />

• $ 7 a $ 25: per ogni numero di carta<br />

credito con il codice di sicurezza e<br />

data di scadenza carpite.<br />

• $ 7: per ogni PayPal o eBay account<br />

con password carpito.<br />

METODI DI DIFESA<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

I metodi per contrastare queste minacce<br />

sono limitati all’installazione di<br />

antivirus e di software di sicurezza che<br />

ultimamente riescono a monitorare,<br />

scansionare, proteggere e disinfettare il<br />

sistema dai virus, dai worms e dai malware,<br />

a bloccare gli adware e gli spyware<br />

ma non riescono a rimuovere i rootkit<br />

già precedentemente installati, né riescono<br />

a proteggere dal social engineering.<br />

L’antivirus in un sistema è essenziale<br />

e aiuta a mantenere elevata la<br />

sicurezza ma non la garantisce al<br />

100%. Pertanto per ottenere una cornice<br />

di sicurezza elevata occorre mantenerlo<br />

sempre aggiornato e essere sempre<br />

attenti alle e-mail di social engineering.<br />

Infatti, oltre agli antivirus il primo<br />

metodo di sicurezza essenziale è l’educazione<br />

e l’attenzione dell’utilizzatore<br />

che deve essere sempre pronto a<br />

respingere il social engineering.<br />

87


ASTERISCHI<br />

Sala operativa allestita in occasione dell’operazione<br />

«Gran Sasso» - Sisma Abruzzo 2009.<br />

DISTRIBUTED DENIAL OF SERVICES<br />

Molti virus sono passati alla storia per<br />

l’enorme diffusione e il maggior numero<br />

di PC messi fuori uso all’interno di una<br />

rete e non. Ma oggi il mondo informatico<br />

è sempre più in evoluzione così come lo<br />

sono le tecniche di difesa, tanto che gli<br />

hacker «professionisti» hanno sviluppato<br />

e perfezionato delle azioni improvvise<br />

sempre più efficienti e difficili da contrastare,<br />

in una parola il cosiddetto DDOS<br />

(Distributed Denial Of Services) letteralmente<br />

negazione distribuita dei servizi.<br />

Si tratta di un attacco informatico che<br />

cerca di portare il funzionamento di un<br />

sistema informatico che fornisce un<br />

determinato servizio, ad esempio un sito<br />

88<br />

web o una rete, al limite delle prestazioni,<br />

lavorando su uno dei parametri d’ingresso,<br />

fino a renderlo non più in grado<br />

di erogare il servizio. In pratica è un<br />

genere di attacco nel quale i cosiddetti<br />

pirati (crackers) attivano un numero elevatissimo<br />

di false richieste da più macchine<br />

allo stesso server, in questo modo<br />

il provider «affoga» letteralmente sotto<br />

le richieste e non è più in grado di erogare<br />

i propri servizi, risultando quindi<br />

irraggiungibile. Per rendere più efficace<br />

l’attacco in genere vengono utilizzati<br />

molti computer inconsapevoli (zombie)<br />

da svariate parti del mondo sui quali<br />

precedentemente è stato inoculato un<br />

programma appositamente creato per<br />

questi attacchi e che si attiva ad un<br />

comando proveniente dal pc (master)<br />

del cracker creatore. Quindi, migliaia di<br />

PC violati da un cracker, producono<br />

inconsapevolmente e nello stesso istan-


te un flusso incontenibile di dati che travolgono<br />

come una valanga anche i link più<br />

capienti del sito attaccato. Inizialmente<br />

questi attacchi avevano matrici di dissenso<br />

etico, invece negli ultimi tempi hanno<br />

assunto una matrice criminale volta a recare<br />

danni agli utenti di quel sistema e al<br />

sistema stesso. Il primo grande DDOS si<br />

ebbe nel 2000 quando i siti Yahoo, ebay<br />

e CNN vennero messi fuori uso per<br />

molte ore a causa delle elevate richieste<br />

arrivate contemporaneamente. I computer<br />

«zombie» usati in quell’occasione si<br />

scoprì essere quelli di un college <strong>della</strong><br />

California ovviamente inconsapevoli<br />

<strong>della</strong> loro attività. Uno dei più recenti ed<br />

eclatanti DDOS, che ci mostra quanto<br />

importante sia al giorno d’oggi la sicurezza<br />

informatica, anche e soprattutto in<br />

ambito militare, è il «cyber attack» sferrato<br />

il 27 aprile del 2007 in Estonia,<br />

dove vennero colpiti pesantemente e<br />

contemporaneamente tutti i siti delle istituzioni,<br />

del governo, dei giornali e delle<br />

banche aventi dominio EE, ovvero<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Estonia. Ovviamente i provider estoni<br />

non erano preparati ne pronti per quest’attacco<br />

che causò molte inefficienze e<br />

molti danni anche economici, al Paese.<br />

Il governo identificò l’attacco come una<br />

protesta, dell’etnia russa presente in<br />

Estonia, alla rimozione dal cimitero di un<br />

monumento di guerra sovietico simbolo<br />

dei caduti in guerra, ma per gli estoni<br />

visto come un odiato simbolo dell’occupazione<br />

straniera. Circa 1 milione di<br />

zombie da tutto il mondo vennero usati<br />

con tecniche informatiche avanzate,<br />

all’insaputa degli utenti e i siti web coinvolti<br />

rimasero inutilizzabili per molte ore.<br />

ATTORI DEGLI ATTACCHI INFORMATICI<br />

Chi sono i responsabili degli attacchi<br />

informatici? Il <strong>Ministero</strong> <strong>della</strong> Difesa<br />

Traccia globale degli attacchi informatici -<br />

anno 2010.<br />

89


ASTERISCHI<br />

SCRIPT KIDDIE<br />

RECREATIONAL HACKER<br />

CYBER ACTIVIST<br />

degli Stati Uniti ha elaborato una classificazione<br />

in merito stabilendo attori e<br />

scopo.<br />

Si riconoscono:<br />

• Script kiddie: ovvero hacker che si<br />

limitano ad utilizzare sistemi, tecniche,<br />

codici e programmi ideati da altri, e<br />

che si dilettano a seguire pedissequamente<br />

le istruzioni, copiando/modificando<br />

leggermente gli script, facendo<br />

intendere di essere grandi guru dell’informatica.<br />

Di solito piccoli gruppi o singoli<br />

hacker alle prime armi.<br />

• Recreational Hacker: hacker che<br />

posseggono un alto livello informatico,<br />

90<br />

CRIMINALITÀ<br />

ORGANIZZATA<br />

Schema d’intensità <strong>della</strong> minaccia informatica.<br />

• Verde: minaccia di bassa intensità;<br />

• Giallo: minaccia di media intensità;<br />

• Rosso: minaccia di alta intensità.<br />

ORGANIZZAZIONI<br />

TERRORISTICHE<br />

STATI<br />

NAZIONI<br />

MINACCIA<br />

INTERNA - USER<br />

di solito motivati da curiosità di testare<br />

il proprio livello o la propria invenzione<br />

per poi vantarsene nel mondo <strong>della</strong><br />

pirateria, di solito singoli o piccoli<br />

gruppi.<br />

• Cyber Activist: attivisti professionali<br />

che posseggono un’alta esperienza e un<br />

alto livello informatico usati per attacchi<br />

DDOS o per schernire alcuni siti.<br />

• Criminalità organizzata: hacker di<br />

medio-alto livello che in cambio di<br />

moderni sistemi e di protezione lavorano<br />

per una grande organizzazione criminale<br />

per la cifratura di sistemi, per carpire<br />

codici e clonare carte di credito.


• Organizzazioni terroristiche: singoli<br />

hacker o gruppi che lavorano direttamente<br />

per organizzazioni terroristiche o<br />

in loro supporto per motivazioni terroristiche.<br />

• Stati - Nazioni: gruppi di hacker selezionati<br />

e tecnologicamente avanzati<br />

sponsorizzati dagli Stati per raccogliere<br />

dati e informazioni di proprietà di<br />

altri governi. Inseriti in vere e proprie<br />

cyber-cellule in supporto ad attività di<br />

spionaggio.<br />

• Minaccia interna: comune user, è l’attore<br />

più pericoloso perchè ha l’accesso<br />

fisico diretto alla rete e a volte inconsapevolmente<br />

crea disservizi direttamente<br />

dall’interno.<br />

Negli ultimi anni si è rilevato un crescente<br />

aumento degli attacchi informatici<br />

diretti ai siti di interesse strategicomilitare.<br />

Alcuni gruppi terroristici<br />

infatti, adottando<br />

tecniche avanzate e<br />

arruolando abili hacker<br />

possono condurre delle<br />

cyber-guerre «asimmetriche<br />

e asincrone». È sufficiente<br />

un singolo individuo<br />

per poter attaccare<br />

un grande e sproporzionato<br />

numero di servizi, di<br />

sistemi e di persone. Egli<br />

può selezionare anche<br />

l’ora e il luogo dell’attacco.<br />

Ovviamente le Nazioni<br />

non stanno a guardare;<br />

alcune stanno sviluppando<br />

le capacità per condurre<br />

delle cyber-warfare<br />

offensive e con le risorse che ogni Stato<br />

ha a disposizione e i vantaggi che si<br />

hanno conducendo una cyber guerra<br />

asimmetrica e asincrona, la minaccia da<br />

queste fonti non può che aumentare e<br />

diventare sempre più credibile.<br />

CYBER WARFARE<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Nel 2003 il governo USA, ad una serie<br />

di attacchi informatici condotti contemporaneamente<br />

da attori stranieri ai computers<br />

<strong>della</strong> propria Difesa, delle imprese<br />

collegate ad essa e ai suoi siti governativi<br />

(senza un obiettivo definito ma<br />

solo carpire il massimo delle informazioni<br />

possibile) assegnò il nome in codice<br />

di «Titan Rain». La loro precisa natura<br />

era: spionaggio sponsorizzato da altri<br />

Stati, da altre aziende, attacchi da singoli<br />

hackers. Intorno al dicembre del<br />

2005, il direttore del SANS (SysAdmin,<br />

Audit, Networking, and Security)<br />

Institute, un Istituto di sicurezza degli<br />

U.S. comunicò che gli attacchi furono<br />

per la maggior parte riconducibili al<br />

corpo militare cinese e finalizzati ad<br />

ottenere informazioni sui sistemi informatici<br />

USA. I Titan Rain hackers riuscirono<br />

ad ottenere l’accesso a molte reti<br />

informatiche USA, incluse quelle delle<br />

più grandi industrie militari come<br />

Lockheed Martin, Sandia National<br />

91


ASTERISCHI<br />

Laboratories, Redstone Arsenal e <strong>della</strong><br />

NASA.<br />

Precedentemente, nel 1999, il governo<br />

USA diede il nome in codice «Moon-<br />

Light Maze» ad una serie di attacchi<br />

coordinati ai computer del Dipartimento<br />

di Difesa, delle più importanti università<br />

e di alcuni imprenditori militari. Gli attacchi<br />

furono ricondotti ad un computer di<br />

Mosca, ma non è chiaro se da lì avessero<br />

avuto origine o fosse stato usato<br />

semplicemente come snodo. Gli hacker<br />

riuscirono ad ottenere ingenti quantità di<br />

92<br />

dati, come codici navali classificati o<br />

informazioni sui sistemi di guida dei missili,<br />

anche se non è mai stato confermato<br />

che tali informazioni furono di fatto<br />

compromesse. Gli attacchi sarebbero<br />

cominciati a bassa frequenza nel gennaio<br />

1999, contrastati quasi immediatamente<br />

ne fu rintracciata la loro sede a<br />

Mosca; questo non fermò gli intrusi che<br />

continuarono ad accedere quasi silenziosamente<br />

per un anno, lasciando però<br />

qua e là tracce informatiche. Alcune<br />

cariche del Dipartimento <strong>della</strong> Difesa


dichiararono che l’attacco fosse un’opera<br />

dell’intelligence russa finanziata dal<br />

proprio Stato per mettere le mani sulla<br />

tecnologia degli USA.<br />

In seguito a ciò, il Dipartimento <strong>della</strong><br />

Difesa degli Stati Uniti stilò un programma<br />

classificato di emergenza denominato<br />

«Byzantine Foothold», all’interno di<br />

un quadro più ampio di iniziative cyber<br />

difensive volto a ridurre e a prevenire le<br />

intrusioni straniere nelle reti delle agenzie<br />

federali degli Stati Uniti. I venti più<br />

grandi imprenditori militari-industriali<br />

americani furono invitati a partecipare al<br />

programma, dopo che un altro attacco<br />

hacker molto potente fu rilevato alla<br />

Booz Allen Corporation, compagnia che<br />

fornisce sistemi di sicurezza e di difesa<br />

al Governo USA. La fonte di questi<br />

attacchi fu la Cina, anche se la<br />

Repubblica Cinese ha sempre negato il<br />

suo coinvolgimento.<br />

Volendo stilare una graduatoria, i siti<br />

più colpiti dagli hacker risultano essere<br />

del settore pubblico istituzionale, seguiti<br />

dai siti di elettronica, di avionica, di commercio<br />

e poi a seguire i siti militari, di<br />

comunicazione e di finanza.<br />

LA MINACCIA FUTURA<br />

Ultimamente internet ha assistito alla<br />

proliferazione di migliaia di siti estremisti<br />

realizzati negli ultimi anni per colpire le<br />

strutture occidentali, usando tecnologia<br />

avanzata, sistemi di crittografia sofisticata<br />

e apparati di comunicazione. I<br />

Cinesi hanno sviluppato un perfezionato<br />

sistema capace di attaccare e penetrare<br />

i nostri sistemi informatici e internet. La<br />

Cina, negli ultimi anni sta investendo<br />

molto nella cyber war, che ha assunto<br />

un ruolo di primaria importanza nelle<br />

strategie globali. Infatti, riuscire a carpi-<br />

re informazioni protette penetrando nei<br />

sistemi, così come sviluppare programmi<br />

che possano permettere di danneggiare<br />

e bloccare i sistemi stranieri in<br />

caso di emergenza, genera un enorme<br />

vantaggio. Le minacce stanno diventando<br />

sempre più complesse, (website<br />

spoofing, falsi siti simili agli originali,<br />

metodi di phishing) sempre più difficili<br />

da rilevare, (comunicazioni via internet<br />

nascoste) più remunerative (tecniche di<br />

hacking avanzate, canali internet usati<br />

come moderno strumento di comunicazione<br />

per reclutare terroristi pro/Jihad e<br />

per acquisire moderni sistemi tecnologici,<br />

proliferazione di informazioni false<br />

contro i Governi Occidentali e NATO) e<br />

più pervasive (incremento di strumenti<br />

portatili (GSM, GPS, PDA) che nascondono<br />

e trasmettono informazioni difficilmente<br />

rilevabili e abilità tecniche nell’usare<br />

questi dispositivi spesso associate<br />

ad elementi vicini a governi ostili o<br />

a servizi di intelligence).<br />

CONCLUSIONI<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Cosa fare? Le contromisure principali<br />

da adottare sono di due tipologie: tecnologiche<br />

e umane (mantenendo la riservatezza<br />

limitando gli accessi, e garantendo<br />

l’integrità controllando i dati). Si<br />

può possedere il miglior sistema di sicurezza,<br />

ma non serve se poi si perde o si<br />

rivela la propria password d’accesso al<br />

sistema.<br />

È quindi una continua rincorsa tra il<br />

bene ed il male, sempre più ricca di<br />

ostacoli ed imprevedibilità che vede<br />

comunque l’inventiva dell’uomo come<br />

perno centrale del sistema.<br />

□<br />

93


RECENSIONI<br />

Giancarla Tiralongo: «Forse Armate -<br />

Manuale di sopravvivenza per chi ama<br />

un militare», Edizioni ETS, 2012, pp. 95,<br />

euro 14,00.<br />

Armata (senza forse) di tanta ironia,<br />

spesso confinante col sarcasmo,<br />

Giancarla Tiralongo, protagonista di<br />

fortunati spettacoli di cabaret, ci regala<br />

il ritratto di un’inedita categoria di<br />

donna: la moglie di militare. Il suo godibile<br />

libro offre uno spaccato <strong>della</strong> vita<br />

di coppia da un’angolazione particolare,<br />

quella di single a intermittenza, per<br />

le frequenti e prolungate assenze dell’altro<br />

elemento <strong>della</strong> coppia: il nostro<br />

soldato, spesso in giro per il mondo a<br />

94<br />

tenere alto l’onore <strong>della</strong> Patria.<br />

Racconta quindi di ansie, fatiche e<br />

stress toccando tutte le corde delle<br />

emozioni e dei sentimenti. L’innocente<br />

visita di un amico carabiniere mentre il<br />

marito è in Iraq la getta in un terrore<br />

convulso di ricevere la fatale notizia e<br />

la fa piangere e vomitare per due giorni<br />

perchè, tra l’altro, è incinta. Al rientro<br />

dalle missioni lei e sua figlia vengono<br />

sistematicamente aggredite da<br />

«un disordine verde. Zaini, divise,<br />

accessori vari». Facendo una vita<br />

così fuori dal comune, anche i normali<br />

problemi di comunicazione tra i<br />

sessi si aggravano: «Mio marito è un<br />

uomo colto, parla tutte le lingue tranne<br />

la mia». E lo stress, ovviamente, la<br />

porta ad ingrassare e fumare innescando<br />

il circolo vizioso: «fumo per<br />

non mangiare e mangio per non fumare».<br />

La vita <strong>della</strong> nostra «eroina»<br />

ondeggia tra la solitudine e l’attesa da<br />

una parte e il caos e lo stress dall’altra,<br />

tra l’assenza del marito e mancanza<br />

<strong>della</strong> famiglia d’origine, tra traslochi<br />

e ricerca di appartamenti in<br />

affitto. Ad un certo punto ci viene il<br />

sospetto che, fosse stata informata<br />

per tempo, avrebbe soffocato Cupido<br />

nella culla. Ma è una falsa impressione,<br />

perché la spiritosa Tiralongo non<br />

nasconde più di tanto un onesto orgoglio<br />

per la sua condizione di «moglie<br />

con le stellette»: con l’anima anche lei<br />

è in quei posti lontani, accanto al suo<br />

soldato, a render servigi al suo<br />

Paese, non foss’altro come reparto<br />

salmerie, di vitale supporto agli operativi.<br />

La decisione di scrivere il libro<br />

nasce perché «ancora oggi non mi<br />

abituo al lutto di quelle famiglie, ma la<br />

cosa peggiore è incontrare persone<br />

che dicono cose orribili sui nostri<br />

ragazzi, tanto sono solo unità volonta-


ie e prendono un sacco di soldi».<br />

Infatti, «dopo una litigata degna di un<br />

abitante del Bronx sostenuta in un bar<br />

all’ennesimo commento all’ennesimo<br />

lutto, ho deciso che la buffa vita familiare<br />

e coniugale di un soldato qualsiasi<br />

con tutte le sue banali difficoltà<br />

dovesse essere raccontata. Perché si<br />

sappia che questi soldati hanno un<br />

nome, una vita, una famiglia e un<br />

impegno più grande del comprensibile<br />

a molti».<br />

Anche in assenza di tragedie, comunque,<br />

il prezzo da pagare è sempre<br />

molto alto. Già al ritorno dalla prima<br />

missione, dopo quattro mesi di stressante<br />

attesa, la moglie non ritrova più<br />

l’uomo che era partito: «Lo sguardo di<br />

quattro mesi prima, il suo sguardo,<br />

non è più tornato e conoscersi di<br />

nuovo è stato uno degli sforzi più<br />

grandi che abbiamo fatto per amore<br />

nostro e <strong>della</strong> nostra piccola». Non si<br />

tratta quindi solo di fare fronte con<br />

stile alle «cinque sfumature di bianco»<br />

derivanti da un matrimonio «a<br />

part-time verticale», ma di sopportare<br />

una condizione molto particolare che,<br />

se accettata con umiltà e coraggio, si<br />

trasforma in una grande lezione di<br />

vita. Questa consiste nel riuscire a<br />

non prendere sul personale e a non<br />

portare il broncio ai disagi, ma a prenderli<br />

con ironia, anzi con autoironia.<br />

Così, chiedendosi da dove tutto ciò<br />

sia mai cominciato, la Tiralongo risale<br />

fino ad Adamo: «in effetti, anche lui<br />

era un soldato a modo suo, combatteva<br />

contro l’esercito di cavolate che<br />

diceva Eva». Ed infine riconosce che,<br />

inspiegabilmente ma innegabilmente,<br />

«il masochismo è una delle doti delle<br />

mogli dei militari!».<br />

Lia Nar<strong>della</strong><br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

Robert Fisk: «Il martirio di una nazione.<br />

Il Libano in guerra», il Saggiatore S.P.A.,<br />

2010, pp. 848, euro 35,00.<br />

Il Libano, secondo il corrispondente del<br />

Times, Robert Fisk, è la descrizione storicogiornalistica<br />

<strong>della</strong> guerra civile in Libano e<br />

<strong>della</strong> storia travagliata del «Paese dei Cedri»<br />

fino allo scontro tra Hezbollah ed Israele del<br />

2006.<br />

Tra le descrizioni e le ricostruzioni dei<br />

drammatici avvenimenti, il corrispondente<br />

britannico del Times intervista i principali<br />

protagonisti del complesso mondo libanese,<br />

Yasser Arafat, Bashir, Gemayel, Abbas<br />

al – Mussawi, il Generale Aoun, Nabih<br />

Berri, Rafiq Hariri e Hassan Nasrallah.<br />

Il giornalista britannico però va oltre la rico-<br />

95


RECENSIONI<br />

struzione di quella che fu la guerra civile del<br />

Libano e si addentra in un’antropologica analisi<br />

<strong>della</strong> società e <strong>della</strong> politica libanese, fatta<br />

di complotti e repentini cambi di alleanze.<br />

Una società e un popolo accogliente che<br />

nel giro di trent’anni di guerra ha accolto e<br />

poi respinto, e in certi casi umiliato, i numerosi<br />

eserciti e contingenti multinazionali<br />

che hanno cercato di portare la pace e<br />

garantire stabilità al Libano.<br />

Fisk è spettatore diretto e duro critico del<br />

drammatico intervento americano e di<br />

quello francese a Beirut nel 1983 così<br />

come dei continui e indiscriminati attacchi<br />

israeliani che fanno da filo conduttore sia<br />

nell’invasione del 1982 sia nel drammatico<br />

bombardamento di civili avvenuto a Qana<br />

nel 1996.<br />

Raccapriccianti le descrizioni dell’autore nel<br />

tentare di raccontare le scene di disperazione<br />

dei sopravvissuti al massacro perpetrato<br />

dalle milizie falangiste con il tacito assenso<br />

dell’<strong>Esercito</strong> israeliano nel campo profughi<br />

palestinese di Sabra e Shatila nel 1982.<br />

Particolarmente duri i giudizi dell’autore<br />

nell’analizzare la condotta bellica e la politica<br />

delle cannoniere portate avanti dagli<br />

Stati Uniti nel vano tentativo di sostenere il<br />

sempre più debole Amin Gemayel assediato<br />

dai drusi e dal nascente movimento<br />

di guerriglia composto da sciiti libanesi che<br />

costituirà l’ossatura di Hezbollah.<br />

Di segno nettamente opposto il giudizio di<br />

Fisk sul contingente italiano sotto il comando<br />

del Generale Angioni che ben si contraddistinse<br />

nel cercare di comprendere le<br />

sfumature <strong>della</strong> società libanese.<br />

Al riguardo, l’autore ci tiene a precisare<br />

come il Generale Angioni avesse distribuito<br />

a tutti i militari impegnati in Libano un<br />

opuscolo che riassumeva la storia del<br />

«Paese dei Cedri» e analizzava le sue<br />

confessioni religiose.<br />

L’autore inoltre è testimone diretto dei<br />

sequestri che colpirono giornalisti occiden-<br />

96<br />

tali e personale di ambasciata dalla metà<br />

degli anni ‘80 fino ai primi anni ‘90.<br />

Fisk vive in prima persona il sequestro dell’amico<br />

e direttore Associated Press, Terry<br />

Anderson, protrattosi dal marzo del 1985 al<br />

dicembre del 1991.<br />

Quasi tangibile anche per i lettori il clima di<br />

terrore che si respirava nella Beirut di quegli<br />

anni, in cui ogni vettura con a bordo<br />

uomini con barbe lunghe poteva far pensare<br />

a potenziali sequestratori.<br />

Il lavoro di Fisk si conclude cronologicamente<br />

con la guerra del 2006 in cui<br />

l’<strong>Esercito</strong> israeliano si vide sbarrata la strada<br />

dalle organizzatissime milizie sciite di<br />

Hezbollah e il conseguente intervento<br />

dell’ONU ancora oggi presente in Libano.<br />

Forte il messaggio che l’autore vuole trasmettere<br />

nel contestare l’utilizzo del termine<br />

terrorista adottato a senso unico e in<br />

particolare da Israele nel definire i suoi<br />

nemici. Per Fisk, infatti, l’uso del termine<br />

terrorista andrebbe utilizzato per tutte le<br />

milizie e per tutti gli attori che presero parte<br />

alla guerra civile libanese e ai più recenti<br />

scontri del 2006.<br />

Allo stesso tempo contesta l’alternanza<br />

del termine guerrigliero/terrorista a<br />

seconda delle convenienze e delle latitudini.<br />

Eguale condanna meritano per<br />

l’autore gli attacchi suicidi contro le<br />

Ambasciate americane e francesi da<br />

parte delle milizie sciite così come il<br />

bombardamento indiscriminato condotto<br />

dalle Forze Armate israeliane contro i<br />

civili palestinesi e libanesi presenti in<br />

una Base delle Nazioni Unite.<br />

Gli spunti e le riflessioni di Fisk su questa<br />

complessa e dibattuta tematica, così<br />

come il protrarsi dell’instabilità <strong>della</strong> politica<br />

libanese, sono dei drammatici ricorsi<br />

storici ai quali gli uomini non hanno<br />

ancora saputo dare una soluzione.<br />

Luigino Cerbo


Matteo Bressan: «Hezbollah. Tra integrazione<br />

politica e lotta armata»,<br />

Datanews Editrice Srl, Roma, 2012, pp.<br />

181, euro 16,00.<br />

Ricerca storica e analisi politica sono le<br />

chiavi con le quali Matteo Bressan, l’autore<br />

di «Hezbollah. Tra integrazione politica<br />

e lotta armata», edito da Datanews e disponibile<br />

in libreria, affronta le questioni relative<br />

ad uno dei più importanti soggetti<br />

politici del Medio Oriente.<br />

Guidato dal carismatico leader Hassan<br />

Nasrallah il movimento sciita libanese è<br />

oggi sotto la lente di ingrandimento per il<br />

presunto coinvolgimento nell’attentato<br />

che nello scorso luglio, in Bulgaria, costò<br />

la vita a cinque turisti israeliani.<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

L’attività e la natura di Hezbollah sono<br />

però, non da oggi, oggetto di divisione<br />

all’interno <strong>della</strong> comunità internazionale<br />

con gli Stati Uniti e con Israele che lo considerano<br />

un movimento terroristico, e con<br />

l’Unione Europea che preferisce un atteggiamento<br />

più prudente, distinguendo l’ala<br />

militare del partito da quella politica.<br />

È sull’azione politica di Hezbollah che si<br />

concentra l’analisi dell’autore che, formatosi<br />

presso il Centro Alti Studi per la<br />

Difesa, decide di ricostruire il funzionamento<br />

e le Istituzioni libanesi per poi<br />

affrontare la nascita e le strutture di<br />

Hezbollah fino alla guerra del 2006 con<br />

Israele.<br />

Vengono quindi illustrate le strutture con<br />

le quali Hezbollah genera il suo consenso,<br />

ovvero scuole, ospedali, fondazioni e<br />

canali televisivi. Particolarmente interessante<br />

e curiosa la descrizione del Museo<br />

<strong>della</strong> resistenza di Hezbollah, luogo aperto<br />

al pubblico, che rievoca la lunga lotta<br />

del Partito di Dio contro l’<strong>Esercito</strong> israeliano.<br />

Terminata questa descrizione storica,<br />

vengono ricostruite le diverse fasi <strong>della</strong><br />

lunga crisi del Governo Hariri (2011), le<br />

indagini del Tribunale internazionale, la<br />

nascita del Governo Mikait, il ruolo e i<br />

rischi <strong>della</strong> missione UNIFIL e il contagio<br />

che la crisi siriana determina nella vita<br />

politica libanese.<br />

In questa operazione, Bressan si confronta<br />

con una serie di esponenti politici provenienti<br />

da differenti schieramenti, cercando<br />

di far parlare, dove possibile, i<br />

diretti interessati.<br />

La contrapposizione politica dei due blocchi,<br />

la coalizione del 14 marzo di cui<br />

fanno parte Hariri, Gemayel e Geagea e<br />

quella dell’8 marzo con il Generale Aoun,<br />

Berri e Nasrallah, risente dell’escalation<br />

del programma nucleare iraniano, dell’inasprirsi<br />

<strong>della</strong> crisi siriana e delle indagini<br />

del Tribunale speciale che identificano<br />

97


RECENSIONI<br />

alcuni membri di Hezbollah tra gli esecutori<br />

dell’attentato di Hariri.<br />

Gli stessi eventi <strong>della</strong> Primavera araba<br />

investono indirettamente Hezbollah, che<br />

si schiera a favore delle rivolte in Libia e<br />

in Egitto ma in Siria sostiene l’alleato<br />

Assad, atteggiamento questo che crea<br />

non pochi problemi alla credibilità del<br />

movimento sciita in tutto il Medio Oriente.<br />

La duttilità e la capacità di adattarsi ai<br />

mutevoli scenari politici ed internazionali<br />

non sono però una novità per Hezbollah,<br />

come dimostrato in diverse occasioni.<br />

Inizialmente, infatti, il Partito di Dio, nato<br />

durante la guerra civile libanese (iniziata<br />

alla metà degli anni ‘70 e terminata alla<br />

fine degli anni ‘80) e in risposta all’intervento<br />

israeliano nel «Paese dei Cedri»,<br />

non aveva assunto i tratti di partito politico<br />

e non si era confrontato con la politica<br />

libanese.<br />

Dalla prima metà degli anni ‘90, però,<br />

Hezbollah ha iniziato progressivamente a<br />

partecipare alle elezioni politiche, accettando<br />

le regole del gioco.<br />

Anche i proclami e gli obiettivi iniziali,<br />

come quello di riproporre in Libano una<br />

rivoluzione islamica, sono nel tempo sfumati<br />

tanto che Hezbollah, nel corso degli<br />

anni, si è alleato con il partito guidato del<br />

cristiano maronita Aoun.<br />

Se è vero che le minacce e gli intenti di<br />

distruggere Israele non sono mai svaniti è<br />

altrettanto vero che sul fronte interno<br />

Hezbollah ha saputo costruirsi una credibilità<br />

ed un consenso nazionale che lo<br />

rendono un rilevante soggetto politico<br />

libanese ben diverso da un semplice<br />

braccio armato <strong>della</strong> Siria e dell’Iran.<br />

Per queste ed altre ragioni Hezbollah è un<br />

movimento ben più complesso da come lo<br />

si può immaginare e difficilmente etichettabile<br />

all’interno di tradizionali categorie.<br />

98<br />

Stefano Felician<br />

Giuliano Ferrari, Maria Maddalena<br />

Ferrari: «Bestie da guerra», Gruppo<br />

Albatros il Filo, Roma, 2012, pp. 406,<br />

euro 18,00.<br />

Una lunga e accurata ricerca per rendere<br />

il giusto e meritato riconoscimento a<br />

tutti gli animali che a qualsiasi titolo<br />

sono stati impiegati nel corso dei conflitti<br />

umani. Proprio ad essi è dedicato<br />

questo interessante saggio, che propone<br />

un argomento militare con un<br />

approccio diverso dai soliti, scritto dal<br />

Generale di Corpo d’Armata, ora in congedo,<br />

Giuliano Ferrari, già Comandante<br />

<strong>della</strong> Brigata «Julia», nonché autore di<br />

saggi di argomento storico, sociologico<br />

e militare, insieme alla figlia Maria


Maddalena Ferrari, esperta in psicologia<br />

del lavoro e docente universitaria.<br />

Sono loro gli autori di questo curioso<br />

volume dal titolo «Bestie da guerra»,<br />

titolo che allude a quei rappresentanti<br />

del mondo animale di cui l’uomo si è da<br />

sempre servito nelle più svariate circostanze<br />

tra cui anche la guerra.<br />

In particolare sono analizzate le varie<br />

specie animali usate con la descrizione<br />

delle relative prestazioni e caratteristiche,<br />

come anche compiti e funzioni nel combattimento.<br />

Non mancano episodi storici,<br />

riferimenti agli aspetti sacri, l’importanza<br />

degli animali nella mitologia come anche<br />

argomenti diversi riguardanti l’aspetto<br />

etico, l’addestramento, leggi italiane e<br />

diritto bellico internazionale.<br />

Il tutto in un excursus storico che dal<br />

passato arriva al presente, con lo<br />

sguardo però rivolto al futuro, alla ricerca<br />

di possibili impieghi e ipotizzando<br />

dei sostituti non senzienti. Si tratta di<br />

tecnologie e ricerche in vertiginosa evoluzione,<br />

come anche sottolineano gli<br />

autori, sulle quali è difficile mantenersi<br />

aggiornati, anche per la segretezza ai<br />

fini militari o commerciali. Parliamo di<br />

robot militari, di nanorobotica, in cui<br />

spesso ci si ispira al mondo animale per<br />

somiglianza o funzioni.<br />

La cosa interessante è che quando si<br />

parla dell’uso di questi esseri viventi<br />

non ci si riferisce solo ai più noti «combattenti»<br />

come il cane, il cavallo, il caro<br />

mulo «amico» degli alpini, il cammello,<br />

l’elefante (come si può dimenticare il<br />

suo ruolo nella sconfitta dei romani ad<br />

opera di Pirro), il colombo - abile messaggero<br />

alato ormai soppiantato dalla<br />

radio, dai drone e dai computer - ,<br />

come anche i soldati del mare: i cetacei.<br />

Si descrivono anche altri animali il<br />

cui uso in guerra è meno conosciuto<br />

come serpenti, vespe, api, scorpioni<br />

<strong>Rassegna</strong> dell’<strong>Esercito</strong> on line n. 2/<strong>2013</strong><br />

che erano utilizzati per sorprendere o<br />

terrorizzare il nemico. Oppure maiali,<br />

gatti (come dimenticare che per secoli il<br />

loro compito era di tener liberi dai topi i<br />

magazzini, contribuendo anche loro al<br />

buon esito dello scontro) e per finire i<br />

combattenti invisibili rappresentati da<br />

quei piccoli esseri microscopici che<br />

possono incidere grandemente, oltre<br />

che sugli aspetti <strong>della</strong> nostra vita,<br />

anche su quelli delle operazioni militari<br />

andando a colpire le Forze Armate<br />

nemiche.<br />

In sostanza, a tutti questi animali l’uomo<br />

ha chiesto qualcosa: incutere paura<br />

o affrontarla al suo posto; li ha utilizzati<br />

«perché sapevano fare meglio certe<br />

cose, anche in luoghi e ambienti per lui<br />

irraggiungibili. E, ovviamente, perché<br />

costavano meno e potevano essere<br />

«spesi» con minor rimpianto: riusciva<br />

cioè più facile mandare a morire una<br />

bestia che un essere umano. Anche se<br />

non sempre…».<br />

Questo libro non è un trattato di zoologia<br />

e neanche un testo di storia militare,<br />

ma si segnala ai lettori per la sua<br />

accuratezza e densità di informazioni<br />

contenute, oltre che per la sua capacità<br />

di soddisfare non poche curiosità del<br />

passato, presente e futuro dei nostri<br />

amici animali che, come recita la scritta<br />

su un monumento eretto a Londra per<br />

ricordare gli eroici colombi viaggiatori<br />

tanto utili durante lo sbarco in<br />

Normandia nella Seconda guerra mondiale,<br />

«They had no choise». Non ebbero<br />

scelta...<br />

Il testo si avvale altresì dell’apporto di<br />

una interessante appendice sugli animali<br />

nella nomenclatura militare e di<br />

una ricca bibliografia che contribuiscono<br />

ad accrescere il pregio dell’opera.<br />

Annarita Laurenzi<br />

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