I copioni dello spettacolo (PDF) - Roberta Mori
I copioni dello spettacolo (PDF) - Roberta Mori
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Colomba Antonietti Porzi<br />
Colomba Antonietti Porzi<br />
È nata a Basta Umbria il 19 ottobre 1826, figlia dei fornai Michele Antonietti e Diana<br />
Trabalza.<br />
Si trasferisce giovanissima a Foligno, dove vive con la sua numerosa famiglia<br />
impegnata presso il forno municipale nella panificazione e nella produzione<br />
dolciaria.<br />
Accanto al forno è stanziato il Corpo di Guardia della guarnigione pontificia<br />
(all’epoca l’Umbria apparteneva allo Stato Pontificio), dove presta servizio il cadetto<br />
conte Luigi Porzi di Imola. Quanto era bello. Ed era pure conte!<br />
Luigi nota Colomba. Lei però è diffidente perché lui è soldato del Papa Re e il papa<br />
Re a colomba non piace davvero.<br />
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Ma papa o non papa…si innamorano.<br />
Lei è appena diciottenne, alta, snella, denti bianchi e regolari (una rarità per<br />
l’epoca), occhi e capelli nerissimi, tanto ricciuti da essere ribelli a qualsiasi<br />
acconciatura; lui è di poco più grande, tenente delle truppe pontificie e discendente<br />
da una nobile famiglia di Ancona.<br />
Luigi, per poter frequentare la casa dell’amata, cerca di rendersi amico della madre<br />
di Colomba, ma presto i due giovani devono affrontare le resistenze di entrambe le<br />
famiglie che non vedono di buon occhio la relazione tra due persone di classi<br />
sociali così distanti.<br />
Oltre a qualche occhiata furtiva, e qualche parola alla finestra i due erano riusciti<br />
ad avere pochi incontri fugaci. Ma un giorno qualcuno lo va a dire alla famiglia (ma<br />
perché c’è sempre qualcuno che si mette in mezzo?) e Colomba è subito punita<br />
con due schiaffoni, mentre Luigi insegue lo spione fin sul tetto con la sciabola<br />
sguainata. La cosa si viene a sapere al reggimento: lo attendono quindici giorni di<br />
arresto.<br />
I genitori di Colomba riescono ad ottenere che Luigi sia trasferito a Sinigaglia, per<br />
toglierselo dai piedi.<br />
I due però non si arrendono: Luigi (il suo “Gigi”) ha promesso a Colomba (la sua<br />
“Bina”) che l’avrebbe sposata, sprezzante della disparità sociale, e i due continuano<br />
a lungo a scriversi lettere di nascosto.<br />
Luigi infine si procura i documenti necessari e il permesso del suo comandante e<br />
chiede solennemente la mano della ragazza, che gli viene altrettanto solennemente<br />
rifiutata.<br />
Colomba e Luigi riescono a sposarsi all’una di notte in gran segreto nella Chiesa<br />
della Misericordia il 13 dicembre 1846. Sono testimoni il sacrestano e un<br />
conoscente di Luigi; l’unico familiare presente è il fratello di Colomba, Feliciano,<br />
che l’accompagna all’altare. Per più di due lunghi anni hanno atteso questo<br />
momento. E ora sono felici, anche se possono condividere la loro felicità con sole<br />
altre quattro persone, prete compreso.<br />
Naturalmente tutto era stato fatto nell’ombra e Luigi Porzi non aveva chiesto<br />
l’autorizzazione alle superiori autorità militari come invece prevedeva regolamento,<br />
sperando che la notizia non sarebbe trapelata.<br />
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E invece trapela eccome. (Ma perché c’è sempre qualcuno che parla troppo?)<br />
Gli sposini partono per Bologna dove vanno a visitare la madre di Luigi e quando<br />
torna presso la sua guarnigione…Luigi viene arrestato e recluso in Castel<br />
Sant’Angelo, costretto a scontare tre mesi di carcere.<br />
Con l’intercessione di uno zio Decano ottiene che almeno di ricevere l’intero<br />
stipendio e non metà come previsto dalla pena, così può mantenere Colomba.<br />
Colomba lo segue a Roma e fortunatamente - grazie al comandante del forte<br />
Cenci-Bolognetti - le è concesso di stare insieme al marito dall’alba al tramonto,<br />
rendendo meno dura la punizione con lunghe passeggiate.<br />
La prigionia intanto sviluppa nel giovane tenente e in Colomba l’odio per<br />
l’oppressione e i due si avvicinano poco alla volta alla causa dell’indipendenza<br />
nazionale, di cui danno testimonianza le lettere scritte dalla giovane alla famiglia.<br />
Colomba dorme da certi parenti della madre che abitano nel quartiere di<br />
Trastevere.Pio IX aveva da poco fatto marcia indietro sulle promesse riforme , e<br />
tutto il quartiere è percorso da fermenti rivoluzionari. La delusione fa crescere<br />
l’insofferenza. Colomba in quelle strade probabilmente frequenta il rivoluzionario<br />
Angelo Brunetti, più noto come Ciceruacchio, e il cugino Luigi Masi, medico, amico<br />
e segretario del nipote di Napoleone, attivo nell’ambiente patriottico romano. La<br />
ragazza ascolta, domanda, si fa le sue idee.<br />
In autunno, il battaglione di Luigi è trasferito ad Ancona e Colomba segue il marito.<br />
Allo scoppio della prima guerra d’indipendenza nel marzo 1848 anche lo Stato<br />
Pontificio partecipa alle ostilità contro l’Austria formando un corpo di spedizione<br />
diretto al nord. Luigi si arruola volontario alle truppe guidate dal generale Durando<br />
per la liberazione di Venezia.<br />
Colomba fa la sua scelta:, mette mano ad ago e filo, ripara una divisa vecchia del<br />
marito, si taglia i bellissimi capelli neri e adesso anche lei indossa l’uniforme da<br />
bersagliere per combattere in Lombardia e in Veneto a fianco del suo Luigi.<br />
A nulla valsero le voci di chi intendeva dissuaderla, Colomba non aveva paura delle<br />
marce, della fatica, della battaglia. “Avrei più paura a non sapere dove sei, sono<br />
forte più di tanti uomini, sono convinta, perché non posso fare la mia parte?”<br />
Pio IX però ci ripensa. Intende evitare uno scisma religioso con uno stato cattolico<br />
come l’Austria e si ritira. Alla notizia dell’armistizio che il Papa indice il 29 aprile ,<br />
c’è confusione e disorientamento tra i soldati e la truppa si disperde. Luigi e<br />
Colomba marciano fino a Ferrara dove il cugino medico, il dottor Masi, il cugino, per<br />
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niente entusiasta del travestimento di Colomba, cerca invano di trattenerla.<br />
Luigi e Colomba partono. Tornano a Roma, dove aderiscono alla Repubblica<br />
Romana, proclamata solennemente il 9 febbraio 1949.<br />
I francesi, guidati dal terribile generale Oudinot intendono riportare sul trono il papa.<br />
Il popolo romano resiste. Garibaldi va loro in aiuto. 26 aprile 1849 si forma una<br />
brigata composta da due battaglioni con 300 uomini reduci da Venezia, 400<br />
studenti universitari, 300 doganieri mobilizzati e 300 doganieri semplici per un<br />
totale di 2500 uomini (c’erano anche numerose donne di cui non tiene conto la<br />
numerazione ufficiale). C’era anche il cugino, dottor masi, nel ruolo di generale. E<br />
c’erano anche Luigi e Colomba.<br />
Invano la madre di Colomba le scrive di allontanarsi da Luigi, lei risponde sempre<br />
con decise negazioni.<br />
Vinta la prima battaglia a Roma del 30 aprile, Colomba combatte nel VI battaglione<br />
Bersaglieri dell’esercito Sardo Piemontese comandato da Luciano Manara alla<br />
battaglia di Palestrina il 9 maggio e di Velletri il 18-19 maggio 1849 (1500<br />
garibaldini tengono testa a 20.000 borbonici) contro le truppe borboniche guidate<br />
da Ferdinando II.<br />
Dimostra in queste occasioni grande coraggio, sangue freddo, valore e intelligenza,<br />
meritandosi l’elogio di Giuseppe Garibaldi e lo stupore della moglie di Garibaldi,<br />
che la ammira per la schiettezza del suo coraggio.<br />
Così viene ricordata ne L’assedio di Roma di Francesco Domenico Guerrazzi:<br />
Aperte le brecce ferve l’opera per metterci riparo; un vero<br />
turbine di ferro e di fuoco mulinava su l’area avversa alle<br />
brecce francesi, ed una moltitudine di cannonate la solcava<br />
per seminarvi pur troppo la morte; tu vedevi i Romani brulicare<br />
come formiche portando sacca, sassi, e trainando carretti di<br />
terra, né i romani soli, bensì ancora le Romane, e fra queste<br />
Colomba Antonietti, che non potendo lasciare solo il marito<br />
esposto al pericolo volle ad ogni costo parteciparlo ed in<br />
cotesta vita ella aveva durato due anni, che lo sposo suo<br />
accompagnò in tutte le guerre d’Italia, e a Velletri fu vista,<br />
precorrendo, incorare i soldati: in quel giorno la supplicarono<br />
di là si rimovesse, ed ella sorridendo, “Ma se ci lascio il marito<br />
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morirei di affanno”.<br />
Anche altri scrittori come Giosué Carducci e Alexandre Dumas padre celebrano<br />
l’eroismo eccezionale di Colomba.<br />
In seguito, tornati a Roma, il 3 giugno, si combatte per difendere il quartiere Porta<br />
di San Pancrazio. In una di quelle mattine, Colomba quasi ispirata dice al marito:<br />
“Sai, Gigi? MUSICA Dicono che due persone che si amano<br />
come noi non possono vivere a lungo, perché Dio non<br />
permette sulla terra completa felicità. Uno dei due dunque<br />
deve morire, e io sarò quella.”<br />
Luigi cerca di dissuaderla inutilmente. Dopo circa due anni e mezzo di matrimonio,<br />
a ventitré anni, il 13 giugno 1849 Colomba, mentre porge ai difensori sacchi e<br />
oggetti per riparare la breccia, muore sotto il fuoco dell’artiglieria francese di<br />
Oudinot, colpita di rimbalzo da una palla di cannone. È lo stesso Garibaldi, che la<br />
paragona ad Anita per la fermezza durante il pericolo, a commemorare l’evento<br />
nelle sue Memorie:<br />
“La palla di cannone era andata a battere contro il muro e<br />
ricacciata indietro aveva spezzato le reni di un giovane<br />
soldato. Il giovane soldato posto nella barella aveva incrociato<br />
le mani, alzato gli occhi al cielo e reso l’ultimo respiro. Stavano<br />
per recarlo all’ambulanza quando un ufficiale si era gettato sul<br />
cadavere e l’aveva coperto di baci. Quell’ufficiale era Porzi. Il<br />
giovane soldato era Colomba Antonietti, sua moglie, che lo<br />
aveva seguito a Velletri e combattuto al suo fianco.”<br />
Colomba muore compianta nei giornali dell’epoca e dalle parole di storici e politici.<br />
Le venne infilata un’ampia veste femminile sopra l’uniforme dell’esercito<br />
repubblicano. Le donne e gli uomini del popolo invasero le strade in silenzio per<br />
accompagnare il feretro, coprendolo di rose bianche e seguendolo lungo le vie di<br />
Roma fino alla cappella di Santa Cecilia dell’Accademia Musicale nella Chiesa di<br />
San Carlo ai Catinari, di cui era cappellano il padre barnabita Ugo Bassi,<br />
combattente nella legione garibaldina a Velletri dove aveva conosciuto Colomba.<br />
All’uscita dalla chiesa, a Colomba vennero tributati gli onori militari.<br />
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GIUSEPPA BOLOGNARA CALCAGNO<br />
« Peppa, Peppa ! ». Nemmeno le piaceva quel nome… ma il destino aveva voluto così e c’era<br />
poco da fare.<br />
Giuseppa Bolognara Calcagno è una delle tante trovatelle catanesi del 1826. O 1835. O 1841.<br />
C’è un po’ di confusione sulla sua data di nascita… come del resto c’è confusione per il<br />
cognome : Bolognara, dal nome della nutrice pubblica a cui fu affidata, oppure Calcagno, come<br />
una delle balie della Congregazione della Carità di Catania. Forse il nome Giuseppa era dovuto<br />
a una medaglietta di San Giuseppe appoggiata alla cesta in cui l’avevano lasciata... Forse era la<br />
figlia adulterina di un sensale di agrumi di Barcellona Pozzo di Borgo. L’avevano portata a<br />
Catania non si sa a che età… insomma, è un’orfanella di umili origini e l’attende una vita molto<br />
dura.<br />
« Peppa, Peppa ! ». Una suora la sta sgridando per l’ennesimo furto dalle cucine. « Ma io ho<br />
fame, qui non si mangia e io mi devo arrangiare! » Per sopravvivere nell’ambiente sporco,<br />
sovraffollato, degradato del « ricovero dei pericolanti » bisognava farsi svegli e anche un po’<br />
egoisti. La razione giornaliera di cibo – un solo mestolo di minestra e un solo tozzo di pane,<br />
raramente una manciata di legumi – non soddisfaceva certo la fame … in più tutte le ragazze<br />
subiscono punizioni feroci, come lunghi digiuni forzati « per rendere pura l’anima davanti a<br />
Dio », (e…far risparmiare le monache).<br />
Chiaro che le bambine cadevano spesso ammalate. Peppa si prende il vaiolo, (orfana e povera<br />
ci voleva anche il vaiolo…) A differenza di tante altre compagne, morte o impazzite a causa<br />
della malattia, Peppa stringe i denti e si riprende. I segni restano sul viso e sul corpo,<br />
indelebili. Bassa di statura, con la faccina butterata dal vaiolo, magra ma allo stesso tempo<br />
muscolosa, con gli occhi cerchiati e quasi ferini, i capelli tirati sul capo e stretti dietro la nuca<br />
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in una trecciolina che pareva la coda di un topo e poi rasati dopo il vaiolo : ecco questa<br />
ragazzina bruttarella, abituata ai lavori fisici che si aggira annoiata per l’istituto mentre la<br />
pancia brontola, anzi ulula, come sempre. Quando si presentano all’orfanotrofio i signori<br />
aristocratici della città disposti ad assumere servette, lei viene sempre scartata : brutta<br />
com’è ! con la testa rasata ! e i buchi in faccia che vuol vedersela attorno! Se uno si sceglie una<br />
serva giovane si sa che la vuol bella e fresca, come dire, a disposizione per ogni servizio.<br />
« Peppa, Peppa ! ». All’osteria, dove viene assunta a diciannove anni, la chiamano<br />
incessantemente da una parte e dall’altra per servire ai tavoli. E’ lì per merito della corpulenta<br />
moglie dell’oste, che l’aveva conosciuta quando ancora stava al ricovero e l’aveva presa in<br />
simpatia. La ragazza ci sa fare : abituata alla vita dura, temprata nella mente e nel corpo, si<br />
muove con agilità tra i clienti, raccoglie veloce le ordinazioni, sa come cacciar fuori gli<br />
ubriachi, risponde a tono a chi provoca o la offende, sa quanti bicchieri ha bevuto ogni cliente<br />
e tiene gli occhi aperti, che son capaci di rubarti tutto sotto il naso… poco importa che non<br />
sappia nè leggere nè scrivere : i conti li sa tenere. Sveglia, rapida, brusca e diretta, Peppa è la<br />
serva ideale. E che sia brutta va anche meglio così il marito « non cade in tentazione » e i<br />
clienti stanno al loro posto. Peppa si comporta come un uomo, e come un uomo spesso porta i<br />
calzoni, e regge il vino meglio di tanti avventori. Beve con loro, li induce a bere, ma lei non<br />
arriva mai a ubriacarsi…. Molti, dato il suo aspetto e i suoi modi, la trattano da uomo, e alla<br />
fine finirono per trattarla tutti così, anche quelli che la sapevano femmina. Tutti, tranne uno.<br />
MUSICA<br />
« Peppa, Peppa ! ». Lo stalliere Vanni le fa segno di avvicinarsi… ha saputo che da qualche<br />
tempo Peppa ha perso il lavoro in osteria. Forse ha alzato troppo il gomito, forse una<br />
rispostaccia di troppo, forse all’oste l’ambiguità di Peppa ha fatto sangue e l’ostessa l’ha<br />
cacciata, a Vanni lo stalliere poco importa. Ha bisogno di aiuto nelle stalle. Peppa è magra, è<br />
vero, ma è muscolosa. Lui è molto giovane e questa donna fatta, dura ed aspra, è molto più<br />
forte di lui. Peppa non è schizzinosa : un lavoro vale l’altro pur di campare. In poco tempo si<br />
abitua al nuovo mestiere : alle cinque del mattino è già in stalla per togliere strame con la<br />
forca, rimettere paglia, pulire e strigliare i cavalli, prendere l’acqua al pozzo per riempire gli<br />
abbeveratoi, preparare i secchi di avena fresca per le mangiatoie (dopo averle ripulite da<br />
scarafaggi e topi) e reggere la zampa dei cavalli per il maniscalco che li ferra. Lo stalliere è<br />
contento di lei : è obbediente e infaticabile, le piacciono e piace ai cavalli, è butterata dal vaiolo<br />
(e che vuol dire,…è butterato pure lui…) insomma… tra i due, entrambi ruvidi come brusche,<br />
comincia a nascere del tenero.<br />
FINE MUSICA<br />
« Peppa, Peppa ! ». Sussurrando una voce la invita ad entrare in casa senza farsi notare dai<br />
passanti. Nella vita di Peppa ci sono infatti novità: si avvicina agli ambienti rivoluzionari,<br />
frequenta i patrioti che si riuniscono in segreto, la rivolta sembra sempre più vicina. Tra il<br />
popolo serpeggia il malcoltento e nonostante il vivo ricordo delle feroci repressioni dei moti<br />
del ’20‐’21, le aspirazioni di libertà e indipendenza non sono state soffocate. Palermo,<br />
Messina, Agrigento mostrano segni di insofferenza e scoppiano piccoli tumulti, costringendo i<br />
Borboni a combattere su più fronti. Anche Catania si risveglia. La sera dell’8 aprile avvengono<br />
scontri in tutta la città. La maggior parte dell’esercito borbonico, formato da duemila soldati, è<br />
stazionata in piazza degli Studi. I cittadini che scendono in strada sono ben diecimila. Il<br />
generale Tommaso Clary al comando dell’esercito borbonico decide di sospendere la battaglia<br />
durante la notte e ordina la ritirata nelle caserme e nel castello Ursino. Riesce ad ottenere una<br />
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tregua di due giorni, ma il 10 aprile la rivolta esplode di nuovo: uomini che sparano dai tetti,<br />
bambini che lanciano granate, donne che gettano dalle finestre tutto quel che capita<br />
bersagliando i soldati… La guerriglia urbana prende sempre più vigore. Ricevono notizie<br />
confortanti dal fronte esterno. Il colonnello Giuseppe Poulet, alla guida dei patrioti, ha<br />
radunato i propri uomini a Lentini e ha riportato un’importante vittoria a Mascalucia. Ora<br />
converge su Catania : anche se dispone di soli mille uomini e tre cannoni contro i tremila<br />
soldati e i numerosi cannoni del generale Clary, i suoi rinforzi saranno decisivi. Peppa è lì, e<br />
non sta solo a guardare.<br />
MUSICA PRIMA URLO E POI:<br />
« Peppa, Peppa ! ». Nel tumulto della battaglia, qualcuno urla il suo nome. È tutto molto<br />
confuso e concitato : gli insorti hanno costruito ovunque barricate, c’è un gran correre di<br />
gente impegnata a combattere, portare munizioni, trascinar via i feriti, ricostruire le difese. Le<br />
campane delle chiese del Borgo iniziano improvvisamente a suonare tutte insieme e subito a<br />
quelle vanno dietro le campane del Carmine. Clary ha piazzato abilmente i soldati borbonici in<br />
tutta la città : la maggior parte degli uomini tra via del Corso, Piazza San Francesco, piazza San<br />
Placido, piazza del Duomo e dell’Università. I punti più cruenti della battaglia sono in via<br />
Stersicorea, ai Quattro Canti, in via Mancini e in via degli Schioppettieri. Peppa si trova qui.<br />
Lei, ragazzina abbandonata, segnata dal vaiolo, analfabeta e provata da una vita difficile,<br />
combatte come un leone. Poco importa che le cronache la descrivano come una donna « non<br />
molto virtuosa » a causa della relazione con Vanni e critichino la sua « mascolinità » ostentata:<br />
ciò che Peppa compie il giorno del 31 maggio 1860 passa alla storia. Forse l’aver sempre<br />
dovuto badare a se stessa, forse l’enorme forza di volontà grazie a cui era sopravvissuta, forse<br />
l’incoscienza e l’ardore della giovane età, la rendono determinata e lucida, tutti la ascoltano e<br />
quasi intimoriti assistono ai gesti eroici di questa ragazza che dimostra più coraggio di un<br />
uomo.<br />
Al piano dell’Ogninella, Peppa ha la geniale intuizione di chiudere il portone del palazzo<br />
Tornabene fingendo di lasciare al nemico la strada. Nel momento in cui i soldati si avvicinano,<br />
Peppa apre il portone all’improvviso sparando a sorpresa sulle truppe. Gli uomini, disorientati<br />
e spaventati, fuggono in disordine abbandonando in mezzo alla strada un cannone. Per i<br />
rivoltosi è un’occasione incredibile : impossessarsi di quel cannone significa conquistare<br />
un’arma potentissima e molto utile rispetto alle armi improvvisate di cui sono forniti. Cercano<br />
di avvicinarsi per recuperare il prezioso cannone, ma i soldati borbonici sparano su chiunque<br />
cerchi di passare per strada. All’entusiasmo per il colpo di fortuna subentra la delusione e la<br />
rabbia per l’impossibilità di portare via l’arma. Peppa trova una soluzione : come un cow‐boy,<br />
lancia una grossa fune a mo’ di lazo, afferrando il cannone. Il nodo si stringe come un cappio<br />
intorno al pomello del cannone e i patrioti riescono a trascinarlo dalla propria parte senza<br />
esporsi in mezzo alla strada al fuoco nemico, al riparo in casa Mancino. Gli uomini sono<br />
ammirati per la brillante iniziativa di Peppa, ma non c’è tempo di crogiolarsi negli onori :<br />
Peppa è concentrata nei combattimenti e subito accorre in via del Corso. Così racconta di lei<br />
uno storico dell’epoca, Vincenzo Finocchiaro:<br />
"Gl'insorti avevan quasi esaurito le munizioni, sicchè il loro attacco incominciò ad infiacchire.<br />
Di ciò si accorse il generale Clary che cercò con una carica di cavalleria per alla via del Corso di<br />
aggirare la destra dei suoi avversari. Giusto in quel punto un gruppo di insorti, con alla testa<br />
Giuseppa Bolognara, sboccava in piazza San Placido dalla cantonata di casa Mazza,<br />
trascinando il cannone guadagnato ai borbonici per cercare di condurlo nel parterre di casa<br />
Biscari e lanciare qualche palla contro la nave da guerra che già bombardava la città,<br />
coadiuvata dal fuoco dei due mortai posti sui torrioni del castello Ursino. Appena però quei<br />
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popolani sboccarono sulla via del Corso videro, in fondo a piazza Duomo, due squadroni di<br />
lancieri che si apparecchiavano alla carica. Temendo di essere presi, scaricarono<br />
all'improvviso i loro fucili abbandonando il cannone già carico. Ma Giuseppa Bolognara restò<br />
impavida al suo posto e con grande sangue freddo improvvisò uno stratagemma, dando nuova<br />
prova del suo meraviglioso coraggio. Sparse della polvere sulla volata del cannone e attese<br />
tranquilla che la cavalleria caricasse. Appena gli squadroni si mossero, essa diede fuoco alla<br />
polvere e i cavalieri borbonici credettero che il colpo avesse fatto cilecca prendendo fuoco<br />
soltanto la polvere del focone. Si slanciarono perciò alla carica sicuri di riguadagnare il pezzo<br />
perduto; ma appena avvicinatisi di pochi passi, la coraggiosa donna li attendeva a pie' fermo,<br />
diede fuoco alla carica con grave danno degli assalitori e riuscì a mettersi in salvo".<br />
« Peppa, Peppa… ». I compagni cercano di consolarla : la gloriosa giornata di Peppa si è<br />
conclusa purtroppo male. Nonostante i suoi due atti eroici, i patrioti hanno perso. Mancanza<br />
di uomini e di munizioni. I rinforzi di Nicola Fabrizi hanno tardato ad arrivare. Poco dopo<br />
mezzogiorno, dopo 7 ore di guerriglia, gli insorti non hanno più nemmeno una cartuccia. Il<br />
generale Clary reprime duramente la rivolta, grazie ai rinforzi giunti da Messina e Agrigento. –<br />
si tratta dei soldati borbonici che sono stati cacciati dai garibaldini e che ora sono animati da<br />
rabbia e vendetta. La rappresaglia contro gli insorti è durissima. Incendi, impiccagioni,<br />
fucilazioni immediate sono i segni tangibili della sconfitta dei patrioti… dopo la furia della<br />
battaglia, ora per le strade resta solo la nebbia lasciata dai fumi e dalla polvere da sparo, il<br />
silenzio e un’atmosfera inquietante, come di città fantasma… Peppa sopravvive, ma alla<br />
delusione per l’insuccesso della rivolta si aggiunge un grande dolore. Vanni, lo stalliere, è<br />
morto nella battaglia. Ora è di nuovo completamente sola,.<br />
« Peppa, Peppa ! ». Il popolo l’acclama, con grida di gioia e orgoglio. Qualche giorno dopo la<br />
repressione della rivolta, la situazione cambia rapidamente : arrivano finalmente i garibaldini,<br />
i Borboni si ritirano precipitosamente il 3 giugno. Su tutte le torri, dal castello Ursino al<br />
castello di Aci, dal campanile del Duomo ai balconi del palazzo di città garriscono al vento le<br />
bandiere tricolori. Vien costituita immediatamente la guardia nazionale: suo comandante è<br />
l'intrepido marchese di Casalotto, Domenico Bonaccorsi. Dieci giorni dopo la città ha un nuovo<br />
patrizio, il barone Francesco Pucci. Una volta costituito il governo italiano, a Peppa viene<br />
assegnata una medaglia d’argento al valor militare e una pensione mensile di nove ducati.<br />
Dopo una vita di stenti e fatiche, finalmente potrà permettersi di non spaccarsi la schiena per<br />
guadagnarsi un morso di pane, di non subire le prepotenze dell’ennesimo padrone. E<br />
soprattutto, finalmente le è riconosciuta quella dignità e quell’ammirazione di cui non aveva<br />
mai goduto : con l’Italia, rinasceva anche lei, la ragazza sgraziata e butterata che nessuno<br />
voleva. Ma il momento di gloria e speranza si esaurisce velocemente : appena un anno dopo<br />
l’assegnazione della rendita, il 3 agosto 1861 le giunge una quietanza dal comune di Catania<br />
che trasforma la pensione mensile in una gratifica unica di 216 ducati. Non bastano nemmeno<br />
a campare due anni… Non le è risparmiata neanche l’ennesima umiliazione : la ricevuta la<br />
deve firmare un’altra persona, perché Peppa non sa scrivere… alla gloria del 31 maggio segue<br />
l’oblio e l’indifferenza degli anni successivi. Per Peppa riprende la solita vita e sparisce di<br />
nuovo nell’ombra. Non si sa che fine abbia fatto, qualcuno sostiene che sia stata vivandiera<br />
della Guardia nazionale e abbia preso parte all’espugnazione di Siracusa. Qualcun altro pensa<br />
che sia partita o sia morta a Catania verso il 1885. A ricordarla sono il pittore Giuseppe Sciuti<br />
che le dedica una tela, conservata nel Museo del Risorgimento di Catania, e un’effige scolpita<br />
in gesso nel Museo Nazionale di Palermo.<br />
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MUSICA<br />
Povera era e povera torna, i pochi soldi portati via dagli usurai. A conti fatti, l’unico premio<br />
per Peppa è l’indipendenza, che a quell’epoca corrispondeva all’essere e al vivere come un<br />
uomo : Peppa abbandona definitivamente gli abiti femminili, soddisfatta di poter fumare<br />
spudoratamente la pipa e giocare a tresette nelle bettole, tra un bicchiere e l’altro di vino<br />
paesano. E finalmente, il suo nome è pronunciato con rispetto : adesso, per tutti, lei è<br />
« Peppa… a’ cannunera!!!!! ».<br />
5
Dear Sirs<br />
Mi no son che’ na’ toseta italiana che’ tanti e tanti anni fa l’è sparia<br />
dall’Italia…<br />
Recentemente mi son ritrovà a scartossare no journale ché avevo portà da<br />
Castelnovo nel 91 quando brevemente son n’dà a visitare me fradei, sorele,<br />
le tombe of my mother and my father, lo stesso morto nel june 1991.<br />
Con le man tremando, il cuore sbattendo furiousamente, i oci moii, me<br />
trovo teneramente a sfogliar pagina dopo pagina ricercando la me Italia…<br />
In advanzo domando perdono per averme dismentegà tanto la lingua<br />
italiana, ricordandomi ‘n pocheto de più me dialetto ché da boceta coi<br />
socoliti de legno e la pipeta mora, sciauscavo co me sorele, me fradeliti,<br />
me mama e me popà a Castelnovo in via Ciodo, dove son nata e cressù nei<br />
primi anni 40 e 50.<br />
Grazie per aver sparagnà un po’ de tempo per leger me simple letter…<br />
A volte le me emotioni ri-tornan così strong that I feel il bisogno de correr<br />
a ciapar me typewriter a scarabociar in pressa...<br />
Sincerely yours<br />
Irma Gina Dalle Molle – Reagan<br />
P.S. Mama me diseva:”Tose, quando te sposito, va’n pocheto lontan, cussi<br />
quando viento a trovarme la occasione diventa special par tutti…”<br />
Poareta mama mia…Non sicuramente intendendo che la so toseta Irma<br />
dalle Molle saria finia cussì lontan, in Merica!
VIRGINIA MENOTTI PIO<br />
Mi chiamo Virginia, che in etrusco significa fuoco.<br />
MUSICA<br />
Sono nata il 13 maggio del 1800 a Migliarina, presso Carpi, nel Ducato di Modena. Il babbo,<br />
Giuseppe, era un ricco negoziante proprietario di una fabbrica di cappelli di truciolo, con<br />
corrispondenti anche in Francia e in Inghilterra! La mamma, Anna Bonizzi, era buona e<br />
paziente… per forza! Aveva il suo bel da fare con due femmine e quattro maschi da crescere:<br />
Celeste, Virginio, Giovanni Battista, Angelo e Ciro.<br />
Anche io, circondata da maschi, ho presto abbandonato le "svenevolezze femminili", forza e<br />
risolutezza, … altro che "sesso debole"! Mi sono conquistata il rispetto dei miei fratelli, che<br />
compenso mi trattavano come una principessa!<br />
Ero molto legata a CIRO: di soli due anni maggiore, siamo cresciuti insieme nella casa di<br />
campagna, lontani dai fasti dei palazzi e educati ai valori di patria, libertà, indipendenza. Il<br />
mito di Napoleone ci infiammava, ci univano giochi e passione patriottica.<br />
Ciro entra nella Scuola del Genio militare di Modena nel 1813, ma decide di abbandonarla nel<br />
1814, alla caduta del regno d’Italia: non era assolutamente accettabile l’idea di mettersi al<br />
servizio dei despoti che avevano soffocato le nostre aspirazioni di libertà!<br />
PAUSA MUSICA<br />
Ciro si dedica al commercio del babbo con ottimi risultati ampliando l’azienda di famiglia e nel<br />
1819 si sposa con FRANCESCA MOREALI e io divento quattro volte zia.<br />
Nel frattempo anche io ero convolata a nozze… sposando appena diciassettenne il principe<br />
LUIGI DEI PII DI SAVOIA.<br />
Chi l’avrebbe detto ? Una storia da femminucce. La ragazza di campagna e il principe! E non un<br />
principe qualsiasi: molto colto, letterato e oltre modo caritatevole, erede del titolo Savoia,<br />
cugino del futuro re d’Italia! Forse il mio amore per la letteratura, forse la mia bellezza<br />
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semplice e un po’ ruvida avevano attratto il principe e il nostro matrimonio è stato almeno nel<br />
primo periodo tranquillo e felice, allietato dalla nascita di tre bambini.<br />
FINE MUSICA<br />
Ma presto il mio destino è cambiato. La morte del primogenito, la malattia di un altro dei<br />
bimbi schiudono la mia vita al dolore e all’incertezza.<br />
La passione politica era rimasta salda.: sapevo che Ciro si era affiliato alla Carboneria e<br />
indirettamente seguivo gli sviluppi della società segreta. I moti del 1821 avevano incoraggiato<br />
i patrioti italiani, finora nascosti nell’ombra, ad alzare la voce contro i dominatori austriaci e<br />
anche a Modena si respirava profumo di rivolta. Ciro intratteneva contatti con i liberali<br />
francesi, con gli esuli italiani e con i patrioti delle città vicine.<br />
Mio fratello ha ascoltato i consigli di un avvocato, ENRICO MISLEY e ha cercato l’appoggio di un<br />
alleato pericoloso: il DUCA FRANCESCO IV D’ESTE. Per la prima volta nella nostra vita , non mi<br />
sono trovata assolutamente d’accordo con lui: il mio istinto femminile mi suggeriva ciò che<br />
Ciro, come fanno a volte gli uomini appassionati, non vedeva.<br />
Francesco IV soffriva di un male che acceca ogni virtù e lealtà: l’invidia. Era invidioso del fatto<br />
che cugini e zii avessero tutti regni molto più importanti del suo. Teneva una corte sfarzosa da<br />
grande sovrano, e di nascosto si interessava ai movimenti rivoluzionari che agitavano l'Italia,<br />
da un lato li temeva e agiva contro di loro, dall'altro li lusingava nella speranza di poter<br />
sfruttare e volgere la loro azione a suo vantaggio. Ciro conosceva le brame del Duca e aveva<br />
deciso di approfittarne: in cambio del suo sostegno, gli sarebbe stata offerta la corona del<br />
futuro Regno dell’Italia Settentrionale… mossa che voleva essere furba ma era troppo<br />
rischiosa, troppo avventata!<br />
In un primo momento i fatti sembrarono dare ragione a mio fratello: Ciro fu arrestato nel<br />
1820 insieme ad altri quarantasette carbonari, ma incredibilmente venne rilasciato.<br />
Francesco IV lo cullava nelle proprie grazie, promettendogli libertà anche se la rivolta fosse<br />
fallita in cambio del silenzio sul proprio appoggio… ma io sapevo, sentivo, che non ci si poteva<br />
fidare. Aveva liberato mio fratello, ma condannato a morte tutti gli altri, sorridendo alla vista<br />
del corpo di padre Giuseppe Andreoli che penzolava sulla forca.<br />
E infatti …Nel 1831. Luigi Filippo d’Orleans, il re liberale, il re borghese, il re che aveva<br />
suscitato speranze nei patrioti italiani, fece un passo indietro: non sarebbe intervenuto in loro<br />
aiuto. Per noi carbonari era la fine. Non solo avevamo perso uno degli alleati più preziosi, ma<br />
la scacchiera politica era cambiata decisamente a nostro sfavore: gli austriaci si erano<br />
insospettiti e da un momento all’altro – ne ero sicura ‐ anche Francesco IV, per paura delle<br />
altre potenze straniere, avrebbe ritirato il proprio sostegno ai cospiratori. Anche Ciro<br />
finalmente si era accorto di quanto fosse pericoloso quel doppiogiochista senza scrupoli da<br />
sempre geloso del carisma di mio fratello.<br />
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L’unica carta che ci restava da giocare era l’effetto sorpresa: mentre Misley era in viaggio a<br />
Parigi in cerca di aiuti, Ciro affrettò i tempi e anticipò la data della congiura al 3 febbraio.<br />
Allontanata la famiglia a Spazzano per sicurezza, riunì nella propria casa di Modena<br />
all’insaputa del Duca i compagni, per definire gli ultimi dettagli dell’insurrezione. Tutto era<br />
pronto… e tutto si svolse in gran segreto.<br />
Ma non fu sufficiente: il Duca aveva subodorato il complotto e una soffiata traditrice gli aveva<br />
rivelato luogo e ora. La casa di Ciro fu circondata e in pochi attimi si è consumata la tragedia:<br />
Ciro cerca di fuggire, da una finestra, ma nel salto cade e subito lo arrestano, con tutti gli altri.<br />
Quella caduta è la metafora di tutto ; crollati tutti i nostri progetti. La rivolta fallita prima<br />
ancora di avere inizio.<br />
I tumulti dilagano a Bologna e in altre città emiliane. Francesco IV teme per la propria<br />
incolumità e si rifugia a Mantova, trascinando con sé in ostaggio Ciro, che rinchiude nelle<br />
carceri di San Giorgio. Là mio fratello apprende della repressione feroce con cui gli austriaci<br />
soffocano le rivolte. Per lui inizia una lenta agonia spirituale prima che fisica…<br />
Noi eravamo confusi, smarriti.<br />
Le notizie arrivavano incerte. A un certo punto si vociferò che gli austriaci avevano occupato<br />
Carpi, ma nessuno ne era sicuro e tutti temevano di andare a controllare. Il rischio di essere<br />
catturati era altissimo… ma Carpi era la mia città, la città dove ero cresciuta insieme ai miei<br />
fratelli. Senza esitazioni, indifferente alle proteste dei miei amici, sono partita.<br />
Arrivai fin sotto le mura di Carpi per vedere cosa stesse accadendo. Avrei preferito essere<br />
cieca… era terribile. Carpi era stata occupata da quattromila tedeschi, armati di molti cannoni,<br />
in attesa di altri quattromila uomini da Novi e del battaglione estense. Il ponte alto sul Secchia<br />
era stato distrutto dagli invasori durante la notte, poco dopo che vi ero passata, per cui dovetti<br />
tornare sui miei passi e percorrere la strada da Rubiera. Ovunque trovavo i segni della<br />
battaglia, della morte e della sconfitta…<br />
MUSICA<br />
Eravamo sempre più preoccupati per Ciro. Francesco IV, forte della propria vittoria, non<br />
avrebbe esitato a farne un caso esemplare e imputargli la condanna a morte.<br />
Non c’era tempo da perdere: partimmo immediatamente alla volta di Mantova e tutta la notte<br />
la passai a correre di casa in casa, svegliando amici e parenti, per chiedere aiuto e raccogliere<br />
dei soldi con cui corrompere il carceriere.<br />
Riuscii a ottenere ben mille doppie di Spagna. “Con questi danari posso far fuggire Ciro e<br />
anche il carceriere, che potrà mettersi al sicuro dalle vendette del Duca!”<br />
La trattativa fu condotta a volto coperto da Attilio Partesotti, caro nostro amico, che aveva il<br />
dono di essere ventriloquo e non si sarebbe fatto riconoscere dalla voce. L’ansia per l’attesa<br />
del suo ritorno fu infinita, ma infine Attilio tornò raggiante: il carceriere aveva accettato, a<br />
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patto che un individuo per una notte rimanesse nella cella del carcerato indossandone gli abiti<br />
per fingere la presenza durante la visita notturna.<br />
Io ero come ubriaca di speranza: subito mi proposi per la sostituzione, senza un attimo di<br />
ripensamento o un cenno di paura. Non mi fidavo di nessun altro. Non potevo sopportare<br />
l’idea di un’altra attesa.<br />
Gli altri, c’era da aspettarselo, si opposero: « Troppo rischioso, …una donna, avevo già fatto<br />
abbastanza …. ora dovevo mettermi da parte… »<br />
Ma perché! Una donna non può agire ? Una sorella non può rischiare la propria vita per<br />
salvare il fratello tanto amato? Non sarebbero riusciti a fermarmi… continuai a insistere<br />
finché non si decise di estrarre a sorte. Ebbene, il mio legnetto risultò quello più lungo…<br />
spettava a me il compito di trascorrere la notte in cella, travestita da uomo, sola e senza aiuti.<br />
L’avrei fatto, il mio desiderio era stato esaudito…<br />
Ma in realtà si trattava dell’ennesimo scherzo crudele del destino. Soffocata la rivolta qui a<br />
Modena il Duca torna trionfante portando con sé Ciro: anticipa di un giorno, un giorno ! Il<br />
piano era andato a monte. Anche stavolta, una questione di tempi sbagliati.<br />
Subito dovetti organizzare la fuga con mia cognata. Se fossimo rimaste a Modena Francesco IV<br />
avrebbe certamente allungato i suoi artigli rapaci su tutta la famiglia di Ciro…<br />
Per mesi non ho notizie di mio fratello. Le sue lettere non mi sono recapitate, lui è solo e<br />
abbandonato da tutti. Poi il processo sommario, una farsa. Accusa di tradimento. Ciro, che era<br />
sempre stato integerrimo, leale, fedele ai suoi compagni e alla causa, veniva ucciso con l’<br />
imputazione più ripugnante.<br />
Lo impiccano in una bella giornata di maggio, c’era il sole sui bastioni della città .<br />
Ha 33 anni, Gli stessi che aveva Cristo in croce.<br />
“Giuro di non tornare mai più in questa casa finché non sarà liberata dalla peste della<br />
tirannide. Lo giuro sull’onore di mio fratello.”<br />
Da quel momento inizia il lungo volontario e inevitabile esilio, in cui viaggiai instancabile su e<br />
giù per l’Italia, a lungo a Bologna, poi a Marsiglia, a Parigi, incontrai Giuditta Sidoli, così simile<br />
a me per aver dovuto abbandonare marito e figli per la causa. Incontrai Mazzini, che da allora<br />
contò su di me: Andavo dovunque, in cerca di aiuti e assistendo i patrioti in difficoltà, nel<br />
ricordo bruciante di mio fratello che era rimasto a languire in carcere ed era morto solo, senza<br />
conforto e compagnia .<br />
“Non basta piangerli, bisogna vendicarli”.<br />
Altri lutti si abbatterono su di me: morì il mio caro marito lontano, che anziché condurre una<br />
vita da principe, si era visto strappare dagli eventi la moglie, i figli, la pace…<br />
Morì mio padre, senza che potessi prima rivederlo. Persi ogni interesse alla vita, persi la voglia<br />
di alzarmi dal letto, persi l’anima, come se mai l’avessi avuta, solo un rumore come di gorgo in<br />
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fondo alla coscienza mi teneva in vita, il gorgo dell’odio verso il Duca Francesco e tutta la sua<br />
schiatta infame.<br />
“Non basta piangerli, bisogna vendicarli”.<br />
Alla fine anche l’infido Duca morì, e ciò che più mi rammaricava era che fosse morto prima di<br />
assaggiare l’amaro gusto della sconfitta.<br />
E finalmente arrivò il momento della lotta.<br />
Gli eroi delle Cinque Giornate di Milano avevano rotto gli indugi e guidando una rivolta senza<br />
precedenti si erano liberati dei dominatori austriaci.<br />
Mi sentivo scoppiare il cuore. Il mio sogno, il sogno di Ciro si era realizzato.<br />
MUSICA<br />
Immediatamente partii per Modena da cui un altro Francesco, il V, il nuovo Duca, era fuggito.<br />
La mia gente non si era dimenticata di me: fui accolta dalla Guardia Civica, dalla banda<br />
musicale e da tante persone che all’ombra della bandiera tricolore esultavano e festeggiavano<br />
la libertà. Le mie sofferenze non erano state vane…<br />
Il primo aprile rendemmo solenni onori funebri alle ceneri di Ciro.<br />
Potevo finalmente sciogliere il voto che diciassette anni prima avevo fatto alla memoria di<br />
Ciro.<br />
«Quel giorno in cui morivi, assassinato da un tiranno, io giuravo di non più rivedere la Patria,<br />
che quando libera fosse dai manigoldi. Dopo diciassette anni di lacrimevole esilio piacque a<br />
Dio onnipotente esaudire il mio voto, e qui sulla tomba ove tu dormi, dai buoni compianto,<br />
godo finalmente inalberato lo stendardo, che ti costò la vita; ho adempiuto un sacro dovere se<br />
non paga, gradisci, o mio Ciro, il tributo dell’infelicissima donna, che, prima del martirio, ti<br />
ebbe caramente diletto e dopo fu orgogliosa di esserti sorella.»<br />
FINE MUSICA<br />
La gioia fu breve. Tornarono gli austriaci. Tornò Francesco V.<br />
Si ripeterono le rivendicazioni e le punizioni. Tirai fuori dalla cassa l’abito nero, ripartii di<br />
nuovo, esule, vestita di gramaglie.<br />
Questa volta mi rifugiai nella villetta fiorentina. Non soffrivo però la solitudine: la mia casa<br />
era frequentata da numerosi amici, uomini liberali nemici della tirannide, ed io ero spesso<br />
occupata in opere di beneficenza per i poveri e i malati.<br />
Mostravo loro le reliquie della mia famiglia: la lettera che Ciro mi aveva scritto prima di<br />
morire, una ciocca dei suoi capelli, un braccialetto con incise le parole «non basta il piangerti».<br />
MUSICA<br />
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Potrebbe essere considerato un gesto sentimentale e stucchevole ma, è importante la<br />
memoria di ciò che è avvenuto. Dimenticare è ingiusto. E anche pericoloso.<br />
Se si lasciano sguarnite le porte della tirannia prima o poi un nuovo tiranno trova le chiavi per<br />
entrare. La memoria è la catena che unisce i morti ai vivi, è la catena che sbarra il passo ai<br />
nuovi assassini.<br />
E adesso che mi si chiudono per l’ultima volta gli occhi, non sono infelice: sto per<br />
ricongiungermi a voi, carissimi al mio bambino perduto, a Ciro, al mio dolce Luigi e al babbo..<br />
Per sessantuno anni con passione ho dedicato la mia vita alla realizzazione di un sogno, E in<br />
quest’anno benedetto, 1858, me ne vado e so che io parto, ma la stella d’Italia ritorna».<br />
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