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Atti 15° Congresso Nazionale - Anpi

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SEDUTA DI<br />

APERTURA<br />

110<br />

SECONDA<br />

SEDUTA<br />

TERZA<br />

SEDUTA<br />

QUARTA<br />

SEDUTA<br />

QUINTA<br />

SEDUTA<br />

SESTA<br />

SEDUTA<br />

re, ma va completato con un comune sentire aggiornato, tenendo conto<br />

di quel passato, delle esigenze del futuro, per rappresentare il cemento<br />

della nuova ANPI. È un’esigenza fondamentale: senza questo “comune<br />

sentire” un’associazione qualsiasi non regge, nemmeno l’ANPI.<br />

Dovremo dare vita a un sentimento comune per cui ci si trova tutti<br />

insieme, “in casa”, ragionando nello stesso modo, ma rispettando alcune<br />

regole. Scusate se mi permetto di richiamare anche questo termine,<br />

ma in qualsiasi associazione – l’ANPI, una associazione venatoria o<br />

una di pescatori – qualche regola ci vuole. Ogni tanto avverto, qua e là,<br />

che l’attrazione per le regole non è sentita abbastanza, anche all’interno<br />

delle nostre Sezioni e dei nostri Comitati provinciali.<br />

L’aspetto dominante della nostra attività, con l’organizzazione, con<br />

parole e idee, dovrà essere la creazione del sentimento comune che ci<br />

renda consapevoli del senso di appartenenza, costantemente e significativamente<br />

unificante. È, secondo me, la grande sfida che dobbiamo<br />

affrontare. Una sfida immediata.<br />

Ho ascoltato parole che francamente mi sembrano un po’ troppo<br />

“anticipatrici”. Non capisco che senso ha discutere di eredità. Si parla<br />

di eredità quando qualcosa è morto e si passa a qualcosa di nuovo.<br />

Diciamo con chiarezza che, nel nostro caso, non c’è nessuna eredità,<br />

c’è semplicemente da tramandare un comune sentire, trasformandolo in<br />

un sentimento comune del presente e del futuro. C’è necessità di trovare<br />

elementi comuni nella nostra azione e nel modo di essere, amalgamando<br />

il nostro passato con il modo di essere, comunicare, vivere,<br />

ragionare del presente. Oggi del presente, domani del futuro.<br />

Voglio introdurre un tema che può sembrare collaterale, ma è già<br />

stato richiamato da qualcuno: quello del linguaggio, con un’altra sfida<br />

da affrontare. Una sfida che anche gran parte della sinistra ha perduto<br />

negli ultimi anni, lasciando passare parole d’ordine sbagliate o non<br />

accettabili, se non chiarite e precisate. Come “globalizzazione”, “flessibilità”,<br />

e tante altre. Oggi si tenta di far passare per federalismo qualcosa<br />

che il federalismo non è mai stato, e che sa tanto di secessione.<br />

Proprio il prof. Zagrebelsky, in un aureo libretto, scriveva recentemente<br />

che l’uso ripetitivo e falsato di certe espressioni è semplicemente una<br />

malattia degenerativa del sistema. Se è così, dobbiamo reagire non solo<br />

combattendo e facendo attenzione all’uso delle parole da parte degli<br />

altri. Ma utilizzandole noi stessi meglio, mettendone in campo “altre”,<br />

nuove e importanti. E su quelle insistere, perché “passino”. Parole<br />

come fraternità, solidarietà ma, soprattutto, dignità. Parola ampiamente<br />

e ripetutamente scritta nella Costituzione, ma raramente richiamata

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