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Cantarena - Altervista

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Domineddio l’aveva detto che sua madre avrebbe dovuto patire tanto, già nel metterlo al mondo, ma<br />

il domineddio sbadato s’è dimenticato di aggiungere che anche essere bambini è doloroso. Essere<br />

Ernesto è faticosamente difficile.<br />

Dove andare?<br />

In quale posto c’è un senso, c’è un riparo? E, come si racconta che l’assassino torni sempre sul<br />

luogo del misfatto, così Ernesto vagola nei dintorni della scuola. La corteggia, non troppo da<br />

lontano. Facendo magari finta di nulla. Avanti e indietro. Tirando palle di neve. Indietro e avanti.<br />

Rimettendo i piedi nelle orme di prima. Fuori dal cancello, già bianco e vecchio per i fiocchi, quasi<br />

un cagnastro randagio che cerchi gli ossi nel pattume. Di questa sua via crucis restano i segni. Neve<br />

sporca e scavata. Capricci formali sul candore uniforme. Rabbie fredde.<br />

“Se io fossi una rondine mica me ne starei qui. Volerei giù, dove fa caldo, dove c’è il mare e la<br />

spiaggia, ma che sia lunga, lunga che non si veda la fine e le conchiglie…”. E la rondine pare uscire<br />

dall’occhio destro, quello che lacrima meno, e diritta involarsi verso il sud per portare il segno del<br />

desiderio infantile, la speranza, che la neve copre ma non uccide. E’ un puntolino nero, la rondine,<br />

nel cotone del cielo. Anche i bimbi del doposcuola sembrano aver notato qualcosa di strano. Eccoli<br />

alla finestra, con i nasi schiacciati contro i vetri, e sembrano maialini. Eccoli i ‘10 palle cento lire’,<br />

attenti, insensibili agli scrolloni del maestro. Guardano Ernesto che passeggia sotto le loro finestre<br />

e, forse, nel contempo, seguono il volo della rondine, dentro a quella massa di nuvole poltigliose. Se<br />

avessero saputo le avrebbero affidato una bandiera da portare con sé stretta nel becco, se avessero<br />

saputo che l’Ernesto era il papà d’una rondine d’inverno… Ma intanto il tempo passa. Il maestro<br />

consulta l’orologio. Fra poco scaricherà la ciurma in palestra, che si sfoghino!<br />

Peccato!<br />

Non possono vedere, tutti, gli innocenti ed i cinici, il ritorno trionfale della rondine. Lentamente,<br />

infatti, come una nave ammiraglia, con la prua del becco che taglia il grigio, eccola che arriva, ma,<br />

attaccata, sorpresa delle sorprese!, porta una lunga spiaggia di sabbia finissima e non inquinata, con<br />

noci di cocco sparse un po’ qua e un po’ là, una lunga spiaggia morbida come il pelo di un<br />

coniglietto, che è tenero e dolce passarci sopra la guancia ed è tenero e dolce correre scalzi su<br />

questa sabbia che non punge, non sospende, non tira pugni di nascosto, non ti fa riassumere “con<br />

parole tue” il “settembre, andiamo! È tempo di migrare”… E pensare che l’hanno sospeso dal<br />

doposcuola l’Ernesto! E gli hanno fatto saltare il pranzo! All’Ernesto, che è così in gamba, che ti<br />

spedisce le rondini a procurare un parco-giochi favoloso, senza l’ombra di monitrici, custodi,<br />

maestre, bagnini, senza l’ombra di mutandoni neri ammucchiati nel capanno sul bordo della<br />

spiaggia…<br />

Questo, però, è un altro ricordo, un altro film.<br />

Sulla spiaggia della rondine di Ernesto, innocente come un disegno di quattro anni, non sta scritto<br />

COLONIE INAM, non è Chiavari, quel posto lì. Quel posto lì è qui, vicino alla scuola, e si culla<br />

dolcemente sulle orme delle scarpe di Ernesto, rimane ancorato alle dita arrossate dal freddo del<br />

bambino. Invia, nella sua infinita magnanimità, un olezzo, un profumo, giù, nella palestra, affinché<br />

lo sentano i forzati della cagnara, lo annusino respingendo il moccio, si sentano pizzicare, in questo<br />

mese di gennaio che non si è ancora superata la collina dell’inverno, che si è ancora nel bagnato,<br />

avvolti in sciarpe, impotenti.<br />

Sulla spiaggia di Ernesto anche i Rossotti potrebbero giocare. Non ci sarebbero problemi di<br />

territorio. Non ci sono cartelli. Non ce ne sono da nessuna parte. Mica è Chiavari qui! Non c’è<br />

bisogno del treno per arrivare alla spiaggia del desiderio. Fu il maestro dal cappello di lana rossa,<br />

quello della bici e del Bakunin, che, bambino, fu obbligato a prendere il treno per la Liguria. E’ lui<br />

che ha incubi di spiagge con mucchi di mutandone nere, senza elastico, che il più forte pigliava la<br />

sua misura e gli altri si arrangiavano, è lui che ricorda giornate trascorse tenendosi su mutande che<br />

inesorabilmente, come la ghigliottina, calavano mostrando natiche magre, bianche, parti dove “non<br />

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