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I preadolescenti e la scuola - Università degli Studi della Repubblica ...

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Modulo 3 - Psicologia sociale<br />

Indice<br />

I PREADOLESCENTI E LA SCUOLA<br />

Patrizia Selleri<br />

1 - Introduzione (Scheda 1- L'handicap socio-culturale)<br />

2 - La scuo<strong>la</strong> frequentata: fattore di rischio o di protezione<br />

(Scheda 2 - Il gruppo c<strong>la</strong>sse)<br />

3 - Il ruolo <strong>degli</strong> insegnanti (Scheda 3- Difficoltà di insegnamento<br />

o difficoltà di apprendimento? )<br />

4 - Il ragionamento (Scheda 4 - Il problema assurdo)<br />

5 - Difficoltà e riuscite paradossali (Scheda 5 - Fra casa e scuo<strong>la</strong> )<br />

Guida per <strong>la</strong> lettura<br />

Nel testo troverete i seguenti avvertimenti:<br />

Attenzione! Indica un punto importante su cui riflettere<br />

Collegamento Indica un collegamento ipertestuale<br />

Indica un riferimento ad opere letterarie o una citazione<br />

Indica una scheda che contiene esempi sull’argomento trattato<br />

Suggerisce un film da vedere<br />

1


1. Introduzione<br />

Cosa può significare nel panorama educativo italiano un progetto chiamato<br />

CHANGE?<br />

Al<strong>la</strong> domanda risponde il volume di Marco Rossi-Doria (1999) 1 , insegnante<br />

elementare che, dopo molte esperienze anche all’estero, ha realizzato un progetto<br />

di “maestro di strada” nei quartieri spagnoli di Napoli. La sua è quasi<br />

un’autoriflessione sul tempo e sulle persone incontrate negli anni dentro e fuori le<br />

mura sco<strong>la</strong>stiche, ma diventa subito un atto di accusa per i mali del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>; sono<br />

soprattutto “i bravi insegnanti” ad essere criticati, perché travolti dalle richieste<br />

spesso bizzarre del Ministero ed incapaci di opporsi ad ”un modo di far scuo<strong>la</strong>”<br />

che avvilisce proprio loro, i più capaci, quelli cui non sfugge come “quel modo”<br />

sia sempre più lontano delle esigenze e dal<strong>la</strong> vita dei loro alunni.<br />

“Dare ai ragazzi un’altra possibilità” è proprio <strong>la</strong> filosofia di un progetto<br />

educativo che cerca di avvicinare al<strong>la</strong> cultura cosiddetta "ufficiale" i ragazzi dei<br />

quartieri in cui si è costruita una cultura "diversa", a volte anche contrastante;<br />

ragazzi abili ad apprendere fuori dal<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, ma sempre più rifiutati da essa,<br />

perché incapaci di mostrare interesse per ciò che vi si insegna e, offesa ancor<br />

maggiore, incapaci di fare "autocritica", discutendo pubblicamente dei loro limiti<br />

e delle loro difficoltà.<br />

Spesso <strong>la</strong> domanda “Ma dove sono gli alunni?” resta senza risposta.<br />

A Napoli in molti quartieri i bambini non vanno a scuo<strong>la</strong> perché con il loro <strong>la</strong>voro<br />

contribuiscono al<strong>la</strong> famiglia; non sanno fare niente a scuo<strong>la</strong>, ma montano e<br />

rimontano motori, fanno i letti, accudiscono i fratelli. Cos’è per loro <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong><br />

<strong>degli</strong> insegnanti?<br />

Bel<strong>la</strong> domanda ! E non è facile rispondere!<br />

Oggi più di ieri, visto che l'obbligo sco<strong>la</strong>stico si è spostato ai 16 ani, <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong><br />

rappresenta un'esperienza irrinunciabile per i <strong>preadolescenti</strong>; considerando solo <strong>la</strong><br />

1 Rosi-Doria M. (1999) Di mestiere io faccio il maestro. Napoli, L’ancora.<br />

2


frequenza dei cinque anni di scuo<strong>la</strong> elementare, più i tre di scuo<strong>la</strong> media, più i due<br />

di un qualsiasi biennio, c'è qualcuno che ha voglia di contare quante ore i ragazzi<br />

trascorrono a scuo<strong>la</strong>? Migliaia di ore in cui quotidianamente si incontrano, o si<br />

scontrano, le idee <strong>degli</strong> adulti con quelle dei più giovani.<br />

La frequenza sco<strong>la</strong>stica è parte integrante del<strong>la</strong> vita di tutti, di chi si è trovato<br />

"bene", di chi ha faticato, odiato e rifiutato, di chi "non ha potuto" coltivare un<br />

interesse e poi ha cercato di far nascere il medesimo interesse nei propri figli.<br />

L'esperienza sco<strong>la</strong>stica può trasformarsi in un fattore di rischio o di protezione nei<br />

confronti del disagio giovanile; naturalmente virare in un senso o in un altro è un<br />

evento caratterizzato da molte variabili facilmente identificabili e da molte altre<br />

meno apparenti, implicite in ogni esperienza sociale.<br />

Attenzione!<br />

Vediamo quindi di elencare alcune di queste variabili, definendole ancora una<br />

volta come macro e micro indicatori utili per mettere a fuoco un altro aspetto<br />

del<strong>la</strong> vita quotidiana del preadolescente. 2<br />

Macro indicatori<br />

1) Le scuole frequentate<br />

Come vedremo nei capitoli seguenti le scuole non sono tutte uguali e "fanno <strong>la</strong><br />

differenza"! Usiamo il plurale per suggerire agli operatori una prospettiva<br />

longitudinale, perché soprattutto quando incontriamo un ragazzino di 12 o 13 anni<br />

non possiamo limitarci solo a considerare <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> e <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse frequentata in quel<br />

momento; i vissuti, le rappresentazioni e gli atteggiamenti nei confronti del<strong>la</strong><br />

scuo<strong>la</strong> si sono costruiti nel tempo e quello che noi vediamo in un momento<br />

specifico del percorso è solo <strong>la</strong> tessera di un mosaico molto complesso.<br />

I rapporti fra le tessere di questo mosaico sono molto profondi ed anche difficili<br />

da cogliere nel<strong>la</strong> loro completezza.<br />

2) Le famiglie<br />

2 A questo punto sarebbe molto utile rivedere gli indicatori presenti nel Modulo 2 di<br />

Psicologia sociale " La vita quotidiana dei <strong>preadolescenti</strong>" di Patrizia Selleri<br />

3


Le famiglie, nucleari o al<strong>la</strong>rgate, sono lo sfondo dell'esperienza sco<strong>la</strong>stica del<br />

preadolescente; l'ingresso nelle scuole medie segna un parziale ritiro del<strong>la</strong><br />

famiglia nei confronti <strong>degli</strong> impegni sco<strong>la</strong>stici del figlio, che deve iniziare ad<br />

assumersi <strong>la</strong> responsabilità di organizzare il proprio tempo ed il proprio <strong>la</strong>voro. E<br />

questo rappresenta <strong>la</strong> situazione ideale; poi ci sono famiglie "<strong>la</strong>titanti", per molte<br />

ragioni soggettivamente comprensibili ma che producono questo effetto, famiglie<br />

che ossessionano (è proprio il caso di usare questo termine!) i figli spingendoli<br />

verso risultati sempre migliori, famiglie che, è triste dirlo, non saprebbero dire<br />

velocemente <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse frequentata dal figlio. Abbiamo già detto, e ripetiamo per<br />

l'ennesima volta, un'affermazione valida anche per noi stessi: <strong>la</strong> nostra famiglia,<br />

quel<strong>la</strong> che ci ha cresciuti, è "l'unica possibile" e noi non possiamo assolutamente<br />

cambiar<strong>la</strong>.<br />

Occorre stare molto attenti quando le informazioni che abbiamo sul<strong>la</strong> famiglia di<br />

un ragazzino potrebbero portarci a trovare in queste difficoltà <strong>la</strong> spiegazione e <strong>la</strong><br />

giustificazione per l'insuccesso dei nostri sforzi; fortunatamente nel<strong>la</strong> vita dei<br />

ragazzini non c'è solo <strong>la</strong> famiglia!<br />

3) Il ragazzino figlio-sco<strong>la</strong>ro<br />

I rapporti tra le famiglie e <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> sono spesso complicati da una difficoltà<br />

reciproca di comunicare i propri obiettivi con chiarezza; <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> chiede risultati<br />

sul piano del rendimento e del comportamento, mentre <strong>la</strong> famiglia vuole in primo<br />

luogo il benessere del figlio e le regole…si possono sempre rinegoziare nel<br />

contesto domestico! Prendiamo i compiti a casa: <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> li assegna e li pretende,<br />

<strong>la</strong> famiglia può avere priorità diverse, può essere insofferente alle domeniche<br />

passate in casa a studiare, può consentire ai figli di "assentarsi strategicamente" da<br />

scuo<strong>la</strong> quando non si è pronti per interrogazioni e verifiche. Ogni ragazzino, figlio<br />

e sco<strong>la</strong>ro nello stesso tempo, si trova nel mare fra Scil<strong>la</strong> (<strong>la</strong> casa) e Cariddi (<strong>la</strong><br />

scuo<strong>la</strong>): <strong>la</strong> durata e l'intensità del<strong>la</strong> tempesta non dipende da lui, ma solo dagli<br />

adulti che lo trasformano in un messaggero di comunicazione contraddittore, che<br />

lo riguardano ma rispetto ai quali il ragazzino non ha modo di intervenire.<br />

4


Micro indicatori<br />

1) La riuscita sco<strong>la</strong>stica<br />

Supponiamo di poter collocare tutti gli alunni di una c<strong>la</strong>sse, compreso il<br />

ragazzino che ci interessa, su di una sca<strong>la</strong> che rappresenti l'ordine meritocratico<br />

in una materia specifica: al posto numero uno metteremo il migliore (maglia<br />

rosa!) ed all'ultimo posto il peggiore (maglia gial<strong>la</strong>!); quale posto occupa nel<strong>la</strong><br />

c<strong>la</strong>ssifica il nostro ragazzino? Proviamo a fare <strong>la</strong> stessa cosa in un'altra materia:<br />

scegliamo quelle più importanti (italiano e matematica), poi una caratterizzante<br />

l'indirizzo scelto (per esempio informatica) ed infine <strong>la</strong> materia che il ragazzino<br />

dice di preferire (attenzione a cosa dice: che "gli piace", che "il professore è<br />

simpatico", che "è quel<strong>la</strong> che detesta di meno").<br />

Impariamo a considerare i risultati non in quanto tali, ma in re<strong>la</strong>zione al gruppo<br />

c<strong>la</strong>sse; <strong>la</strong> percezione soggettiva del successo e dell'insuccesso è legata a questa<br />

rappresentazione che coinvolge se stessi e gli altri ed in termini di prevenzione del<br />

disagio legato al fallimento sco<strong>la</strong>stico, ancor prima di intervenire sulle abilità<br />

inadeguate, occorre conoscere "cosa pensa " il soggetto, come si percepisce in<br />

quanto alunno in re<strong>la</strong>zione agli altri, perché occorre <strong>la</strong>vorare anche su questi<br />

aspetti intersoggettivi.<br />

2) Le difficoltà linguistiche<br />

Condividere con altri il codice linguistico, fosse anche solo quello del<strong>la</strong> lingua<br />

madre, è una conquista lunga e faticosa; possedere oggi un vocabo<strong>la</strong>rio ristretto<br />

non può che essere considerato solo uno strumento di "sopravvivenza sociale",<br />

perchè par<strong>la</strong>re e comprendere tutti i risvolti del<strong>la</strong> propria lingua è tutt’altra cosa.<br />

Distinguiamo quindi le abilità linguistiche da quelle comunicative: su questo<br />

secondo versante <strong>la</strong> competenza aumenta con l’età (Hymes, 1984) 3 e quindi più<br />

gli alunni crescono e meno faticano nello stabilire re<strong>la</strong>zioni con adulti e compagni.<br />

3 Hymes J. (1984) Vers <strong>la</strong> competence de communication. Paris, Hatier-<br />

Crédif.<br />

5


Per <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, però, <strong>la</strong> scommessa è un’altra: è possibile insegnare a tutti<br />

l'italiano? Le ricerche nell’ambito del<strong>la</strong> comunicazione referenziale ci direbbero<br />

di sì, ma cerchiamo di capire a quali condizioni (Selleri, 1994) 4 . In primo luogo<br />

l’apprendimento di una lingua si realizza all’interno del più ampio processo di<br />

socializzazione: possiamo quindi par<strong>la</strong>re di socializzazione mediata dal<br />

linguaggio e di socializzazione all’uso del linguaggio stesso; il riferimento<br />

d’obbligo è al<strong>la</strong> riflessione di Vygotskij (1934) 5 sui rapporti fra pensiero e<br />

linguaggio, sul linguaggio del<strong>la</strong> socializzazione che solo in seguito viene<br />

interiorizzato dando origine al pensiero.<br />

Cosa succede quando un ragazzino ha difficoltà linguistiche? E' un "cattivo<br />

lettore", ovviamente, nel senso che fatica a comprendere bene il significato del<br />

testo scritti, quindi farà anche molta fatica a studiare, perché non coglie<br />

collegamenti e riferimenti; le sue difficoltà dovrebbero poi apparire anche in<br />

matematica, per esempio nel<strong>la</strong> soluzione dei problemi, che hanno testi con un<br />

linguaggio molto autoreferenziale nell'ambito del<strong>la</strong> disciplina, infatti nel<strong>la</strong> frase<br />

"il nonno divide le caramelle fra i suoi due nipotini" quel "due" scritto a parole<br />

deve esser trasformato nel numero "2", che consente di trasformare il testo in<br />

operazioni. Ovviamente si tratta di un esempio semplicissimo, riferito ai<br />

bambini di scuo<strong>la</strong> elementare, ma tutte le ricerche in questo ambito mostrano<br />

con chiarezza come le difficoltà linguistiche rendano opaco il testo di un<br />

problema e non solo questo.<br />

Poi le difficoltà linguistiche allontanano dal<strong>la</strong> lettura e dal<strong>la</strong> scritture, riducendo<br />

così quell'esercizio di costante feed-back fra pensiero e linguaggio; lentamente<br />

sono le difficoltà linguistiche che rendono marginali i ragazzini in difficoltà<br />

sco<strong>la</strong>stica rispetto all'apprendimento e più in generale al<strong>la</strong> cultura.<br />

Speso <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> non riesce in questo compito, che invece dovrebbe essere<br />

prioritario; spesso anche perché il problema non è mai stato affrontato seriamente:<br />

quando il preadolescente era "un bambino" si aspettava che con <strong>la</strong> crescita i<br />

4 Selleri P. (1994) La comunicazione in c<strong>la</strong>sse. In: B. Zani, P. Selleri, D.<br />

David La comunicazione. Roma, Carocci<br />

6


problemi si risolvessero in parte da soli, poi quando ciò non è avvenuto è stato<br />

"troppo tardi" per farlo ed ancora può essere chiamata in causa <strong>la</strong> povertà<br />

linguistica dell'ambito familiare. Un fatto è comunque sotto gli occhi di tutti:<br />

vocabo<strong>la</strong>rio ristretto, errori di ortografia, struttura del<strong>la</strong> frase carente…con<br />

ragazzini in queste condizioni è ancora più difficile immaginare interventi<br />

stimo<strong>la</strong>nti, perché non possiedono le abilità di base indispensabili per avvicinarsi,<br />

capire ed apprezzare tutte quelle esperienze (cinema, teatro, viaggi ecc.) di cui<br />

invece avrebbero tanto bisogno.<br />

3) L'origine etnica<br />

Cosa significa per i membri di una famiglia decidere di emigrare? Molte cose,<br />

oltre ad abbandonare il paese in cui sono nati per diventare una minoranza nel<br />

paese di destinazione, nelle cui scuole inseriscono i figli.<br />

Seguendo le indicazioni di Ogbu (1999) 6 esistono vari tipi di minoranze,<br />

determinate dal<strong>la</strong> loro storia e non dal<strong>la</strong> razza o dal<strong>la</strong> appartenenza etnica:<br />

quelle volontarie, costituite in seguito a flussi di immigrazione o da profughi;<br />

quelle autonome, come per esempio le comunità delle valli Ladine; e quelle<br />

involontarie, come nel caso dei b<strong>la</strong>ck-people del Nord America, i cui antenati<br />

furono portati dall’Africa in schiavitù con <strong>la</strong> forza.<br />

Gli immigrati nel nostro paese sono certamente minoranze volontarie, perché<br />

questo è il fenomeno con il quale in quest’ultimo decennio abbiamo dovuto fare<br />

i conti e non solo dentro le mura sco<strong>la</strong>stiche.<br />

Sempre secondo l’autore, tre sono gli aspetti del loro processo di adattamento<br />

che ci possono essere utili prima di affrontare il problema delle esperienze<br />

sco<strong>la</strong>stiche dei bambini che a queste minoranze volontarie appartengono:<br />

- il quadro di riferimento, che comprende il modo in cui una persona o un<br />

gruppo interpreta una situazione a partire dal<strong>la</strong> propria posizione; le minoranze<br />

5 Vygotskij, L.S.(1934) Pensiero e linguaggio (trad.it) a cura di L. Mecacci,<br />

Bari, Laterza, 1990<br />

6 Ogbu J.U. (1999) Una teoria ecologico-culturale sul rendimento sco<strong>la</strong>stico<br />

delle minoranze. Etnosistemi, anno 6, VI, 11-20<br />

7


volontarie hanno quindi a disposizione due quadri di riferimento diversi: il<br />

primo riguarda <strong>la</strong> situazione che avrebbero avuto nel paese d’origine in<br />

re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> posizione sociale che là occupavano, il secondo riguarda <strong>la</strong><br />

situazione attuale e molto dipende da come sono stati accolti nel<strong>la</strong> nuova<br />

società e dal<strong>la</strong> posizione che vi occupano;<br />

- i modelli culturali, quelli attraverso i quali le persone comprendono i<br />

fenomeni del mondo in cui vivono e determinano atteggiamenti, pensieri, azioni<br />

e comportamenti; naturalmente l’adesione a questi modelli culturali varia<br />

moltissimo, anche all’interno del medesimo gruppo famigliare, fra chi ha scelto<br />

di vivere nel nuovo paese (il capo famiglia che emigra da solo ) e chi vi è stato<br />

costretto (mogli, figli...);<br />

- gli aspetti strumentali, re<strong>la</strong>zionali e simbolici, cioè l’insieme dei modi in cui le<br />

minoranze gestiscono le opportunità e le differenze culturali nel<strong>la</strong> nuova società<br />

in cui vivono e vanno intesi come soluzioni collettive ai problemi del gruppo,<br />

poiché in ogni gruppo costruisce <strong>la</strong> propria micro-cultura specifica, attraverso<br />

<strong>la</strong> quale si condividono le informazioni ed i comportamenti più adeguati da<br />

tenere in ognuna di esse.<br />

Inoltre per un alunno straniero l’italiano è una L2, una seconda lingua, ma molto<br />

spesso questo non viene tenuto nel debito conto in c<strong>la</strong>sse; spesso ci si<br />

accontenta anche qui di un padronanza che garantisca <strong>la</strong> possibilità di<br />

comunicare nell'ambito dei bisogni del<strong>la</strong> vita quotidiana, si hanno nei loro<br />

confronti aspettative più basse rispetto ai loro compagni italiani.<br />

Vale quanto già detto per l'ambito delle difficoltà linguistiche, reso ancora più<br />

evidente nell'intreccio con le rappresentazioni del<strong>la</strong> famiglia sul<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> e del<strong>la</strong><br />

scuo<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> famiglia!<br />

----------------<br />

Attenzione!<br />

Siamo arrivati al punto in cui macro e micro indicatori si trovano<br />

inestricabilmente legati fra loro e continuare ad elencare singole variabili non<br />

avrebbe più senso.<br />

8


La scuo<strong>la</strong> è un luogo che funziona da reagente chimico per mettere in luce tutte<br />

queste dinamiche; dobbiamo abituarci a distinguere varie forme di disagio<br />

sco<strong>la</strong>stico, quelle legate solo all'apprendimento, quelle che vi aggiungono<br />

problemi re<strong>la</strong>zionali, quelle che hanno come sfondo culture diverse, anche per<br />

quanto riguarda l'etnia.<br />

Dobbiamo abituarci a ragionare in situazioni diverse, perché i ragazzini dei<br />

quartieri spagnoli napoletani, descritti da Marco Rossi Doria, hanno certamente<br />

molte cose in comune con i loro coetanei di quartieri disagiati di altre città, ma è<br />

solo <strong>la</strong> conoscenza del contesto sociale in cui essi ( e <strong>la</strong> loro scuo<strong>la</strong>!) vivono che<br />

permette di trovare il varco nel quale introdurre il vero "cavallo di Troia":<br />

l'interesse e <strong>la</strong> curiosità.<br />

---------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

SCHEDA N°1<br />

L'handicap socio-culturale<br />

Insegnanti ed operatori sociali tendono a percepire ed a descrivere le difficoltà<br />

sco<strong>la</strong>stiche dei loro alunni in termini di handicap socio-culturale. Queste<br />

rappresentazioni riposano più o meno esplicitamente sull'equivalenza fra povertà<br />

(economica, affettiva, culturale, linguistica) e deficit, sull'equazione semplicistica<br />

secondo <strong>la</strong> quale i bambini dei "poveri" non saprebbero essere che "poveri<br />

bambini. Gli alunni in difficoltà sco<strong>la</strong>stica, provenienti da ambienti sociali<br />

disagiati, sono spesso dipinti come "<strong>la</strong> somma di deficit multiformi", ragazzi<br />

quotidianamente sottoposti a "molteplici tentazioni ed influenze nefaste", come se<br />

non avessero alcun riparo, come se non utilizzassero che un linguaggio molto<br />

povero ed aggressivo, come se non avessero alcuna abilità comunicativa e<br />

re<strong>la</strong>zionale.<br />

Quanto alle loro famiglie, si dice che esse si disinteressano del<strong>la</strong> sco<strong>la</strong>rità dei loro<br />

figli, sui quali non esercitano alcuna autorità o, al contrario, si impongono solo<br />

9


con minacce o con <strong>la</strong> forza. La nozione di handicap socio-culturale non ci deve<br />

comunque portare a dire o a pensare che le difficoltà economiche, sociali o<br />

familiari di certi bambini non hanno alcuna parte nel loro fallimento o nelle loro<br />

difficoltà sco<strong>la</strong>stiche; dobbiamo partire dal presupposto che molte di queste<br />

caratteristiche non si trovano solo in contesti sociali difficili e poi, soprattutto, <strong>la</strong><br />

storia sco<strong>la</strong>stica di un ragazzino non può mai essere interamente giocata fin<br />

dall'inizio. Vi contribuiscono ugualmente, ed in <strong>la</strong>rga parte, i processi caratteristici<br />

del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, <strong>la</strong> sua organizzazione, i suoi programmi, le pratiche educative, le<br />

rappresentazioni, l'universo delle interazioni fra ciò che accade a casa e ciò che<br />

accade a scuo<strong>la</strong>.<br />

Un certo uso del<strong>la</strong> nozione di handicap socio-culturale non è solo pericoloso<br />

perchè deresponsabilizza gli operatori sco<strong>la</strong>stici per quanto attiene <strong>la</strong> costruzione<br />

del fallimento sco<strong>la</strong>stico, ma soprattutto perchè in questo modo costituisce un<br />

vero ostacolo al necessario <strong>la</strong>voro di identificare le difficoltà specifiche nelle<br />

capacità cognitive dell'alunno, nel suo modo di imparare, nel suo rapporto con <strong>la</strong><br />

scuo<strong>la</strong> e con il sapere, mentre non spinge a riflettere sui modelli organizzativi<br />

del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> e sui possibili cambiamenti.<br />

Prendiamo sempre il caso del<strong>la</strong> lingua: nominare, designare, categorizzare,<br />

raccontare, descrivere, spiegare, argomentare, pianificare, organizzare un<br />

discorso, riflettere sul funzionamento del<strong>la</strong> lingua sono certamente abilità che si<br />

possono acquisire anche fuori dal<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, ma per coloro che non hanno questa<br />

fortuna devono essere oggetto di insegnamenti specifici fin a quando non saranno<br />

possedute in modo sufficiente.<br />

Se si pensa che un ragazzino non possieda alcuna forma di sintassi…allora non <strong>la</strong><br />

si cerca; se si pensa che una corretta sintassi sia una meta troppo elevata per<br />

lui… allora ci si ferma prima.<br />

Nei percorsi di prevenzione e riduzione del disagio non bisogna mai separare<br />

genitori, figli ed insegnanti, occorre sviluppare una politica di comunicazione fra<br />

questi interlocutori privilegiati, sfruttare tutte le occasioni, anche le più piccole,<br />

per mostrare percorsi di cambiamento ed alternative e poi…… non arrendersi mai.<br />

-------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

10


……….Approfondimenti bibliografici<br />

Può essere utile al lettore procurarsi i Programmi Ministeriali di scuo<strong>la</strong> elementare<br />

e media inferiore, in attesa che <strong>la</strong> riforma del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> di base venga attuata<br />

completamente e che venga ridisegnata <strong>la</strong> mappa <strong>degli</strong> apprendimenti<br />

fondamentali.<br />

Semeraro A. (1999) Il sistema sco<strong>la</strong>stico italiano: profilo storico. Roma, Carocci.<br />

Manuali di impostazione generale<br />

Carugati F., Selleri P. (1996) Psicologia sociale dell'educazione. Bologna, Il<br />

Mulino.<br />

Pontecorvo C. (1999) Manuale di psicologia dell'educazione. Bologna, Il Mulino.<br />

Carugati F., Selleri P. (2001) Psicologia dell'educazione. Bologna, Il Mulino.<br />

(il volume è ancora in stampa, sarà disponibile nell'autunno del 2001)<br />

Da rileggere:<br />

Pennac D. (1992) Come un romanzo, Feltrinelli, 1993.<br />

Da vedere:<br />

Come te nessuno mai<br />

di Gabriele Muccino, 1999<br />

Sono ragazzi ai primi anni di liceo, ma… attenzione a come<br />

par<strong>la</strong>no di loro stessi e del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>…!<br />

11


2 - La scuo<strong>la</strong> frequentata: fattore di rischio o di protezione<br />

Ferenc Molnàr (1952) "I ragazzi del<strong>la</strong> via Paal"<br />

(Tr.it. De Agostini, 1990, pag.86)<br />

Prima del<strong>la</strong> battaglia decisiva per <strong>la</strong> conquista del campo da gioco dietro <strong>la</strong><br />

segheria, questi sono i pensieri dei ragazzi:<br />

"..Le camicie rosse frequentavano l'istituto tecnico sicchè il ginnasio e il<br />

liceo si augurarono che <strong>la</strong> vittoria spettasse ai ragazzi del<strong>la</strong> Via Paal.<br />

Alcuni legarono al<strong>la</strong> vittoria addirittura l'onore del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>".<br />

Quando si dice il sentimento di appartenenza!<br />

-------------------------<br />

Abbiamo già detto, in poche battute, come le scuole frequentate siano un macro<br />

indicatore per quanto riguarda il disagio del preadolescente; vediamo ora in<br />

dettaglio come e perchè. scuo<strong>la</strong><br />

Partiamo facendo riferimento a tre ricerche (scusate il gioco di parole…"che<br />

hanno fatto scuo<strong>la</strong>"!) condotte in gran Bretagna tra gli anni '70 ed '80 con lo scopo<br />

di verificare gli effetti del<strong>la</strong> frequenza sco<strong>la</strong>stica sui risultati sco<strong>la</strong>stici <strong>degli</strong><br />

alunni 7<br />

--------<br />

Attenzione!<br />

Proponiamo ricerche condotte in altri paesi non per gusto di "esterofilia", ma solo<br />

perchè in Italia non esiste una tradizione di ricerca in contesti pscico-sociali che<br />

sia in grado di realizzare indagini longitudinali, con campioni estesi e con<br />

l'integrazione di metodi qualitativi (interviste, osservazioni..) e quantitativi<br />

(questionati, test..).<br />

Peccato.<br />

7 Le ricerche sono dettagliatamente descritte in: Carugati F., Selleri P. (1996)<br />

Psicologia sociale dell'educazione. Bologna, Il Mulino, Cap.2<br />

12


Nel<strong>la</strong> prima ricerca, pubblicata da Rutter e da un gruppo di col<strong>la</strong>boratori nel<br />

1979, 8 sono stati studiati gli alunni iscritti in 12 scuole secondarie londinesi ( età<br />

<strong>degli</strong> alunni da 10 a 14 anni), adottando una prospettiva longitudinale che ha<br />

permesso di seguire questa coorte fino al compimento del 18° anno di età, quindi<br />

due anni oltre il completamento dell'obbligo sco<strong>la</strong>stico. Ogni anno sono stati<br />

registrati i risultati avuti dai ragazzi ai test di valutazione nazionale per quanto<br />

riguarda le materie più importanti ( inglese e matematica) e contemporaneamente<br />

sono state condotte molte osservazioni nelle scuole, interviste con capi d'istituto<br />

ed insegnanti; dal sedicesimo al diciottesimo anno di età sono state individuate<br />

alcune misure di successo/insuccesso, come l'iscrizione al college, il tempo<br />

impiegato per trovare il primo impiego, il numero di impieghi cambiati nel<br />

periodo dei due anni, il numero di volte in cui il nome del ragazzo è stato scritto<br />

nei registri del<strong>la</strong> polizia per reati più o meno gravi, come guida senza patente o in<br />

stato di ebbrezza.<br />

Da questa enorme mole di dati i ricercatori giungono al<strong>la</strong> conclusione che "le<br />

scuole fanno <strong>la</strong> differenza", nel senso che a parità di risultati iniziali (potevano<br />

essere anche "scarsi risultati") i ragazzini che avevano frequentato alcune scuole<br />

ottenevano poi al termine del percorso punteggi maggiori nei test e negli anni<br />

successivi dimostravano di avere meno problemi di inserimento.<br />

Rutter introduce il concetto di ethos per descrivere le caratteristiche di alcune<br />

scuole rispetto ad altre; regole, valori, standard di comportamento accettato fanno<br />

di un'organizzazione un po' speciale come <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> un luogo che sviluppa una<br />

propria cultura, che poi comprende certi approcci didattici e uno stile di<br />

comportamento che non è disciplina, ma solo rispetto delle norme di reciprocità<br />

sociale. Dal punto di vista dell'autore l'ethos è l'insieme dei valori, delle<br />

spiegazioni, delle valutazione, dei giudizi che caratterizzano <strong>la</strong> comunicazione<br />

educativa nelle scuole; dove esiste e viene condiviso <strong>la</strong> frequenza sco<strong>la</strong>stica<br />

produce effetti positivi sul percorso individuale <strong>degli</strong> alunni.<br />

8 Rutter M., Maugham B., Mortimore P., Ouston J. (1979) Fifteen thousand hours,<br />

Londra, Open Book Publishing<br />

13


Dopo questo risultato iniziale, un col<strong>la</strong>boratore del<strong>la</strong> ricerca precedente,<br />

unitamente ad altri colleghi ( Mortimore e coll., 1988 9 ) ha condotto un <strong>la</strong>voro in<br />

50 primary school inglesi, equivalenti alle nostre scuole elementari (età 5-11<br />

anni), soprattutto per cercare le cause del<strong>la</strong> grande disparità notata da Rutter nei<br />

risultati <strong>degli</strong> alunni alle prove d'ingresso; già da queste misure si notava una<br />

grande differenza fra i soggetti, per cui poteva essere utile cercare nell'ordine di<br />

scuo<strong>la</strong> precedente le spiegazioni di questi parziali successi, se non addirittura<br />

insuccessi.<br />

In questa seconda ricerca l'individuazione delle caratteristiche delle varie scuole<br />

diventa più analitica ed accanto alle misure d'ingresso ed a quelle re<strong>la</strong>tive ai<br />

risultati sco<strong>la</strong>stici appaiono indicatori legati al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse frequentata.<br />

Gli autori usano <strong>la</strong> nozione di "clima di c<strong>la</strong>sse" per esprimere l'insieme delle<br />

caratteristiche che indirizzano "l'umore" del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse, una variabile<br />

importantissima in qualsiasi studio che riguarda <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> ed i processi in essa<br />

attivati.<br />

Il clima di c<strong>la</strong>sse è creato dal modo in cui l'insegnate entra in c<strong>la</strong>sse e dal modo in<br />

cui ne esce, dal modo di condurre <strong>la</strong> lezione, da come conversa e discute, dalle<br />

re<strong>la</strong>zioni con i colleghi, con gli alunni e con i genitori; un clima positivo è<br />

strettamente legato con <strong>la</strong> quantità di tempo-scuo<strong>la</strong> dedicata a par<strong>la</strong>re con gli<br />

alunni a proposito del <strong>la</strong>voro sco<strong>la</strong>stico, delle regole da rispettare, a fornire<br />

indicazioni sul comportamento da tenere.<br />

Un'altra dimensione riguarda i simboli di identità propri di una c<strong>la</strong>sse o di una<br />

scuo<strong>la</strong>, dei suoi insegnanti e dei suoi alunni. E' possibile riconoscere l'identità di<br />

una c<strong>la</strong>sse e i valori a cui essa si riferisce? Già nel <strong>la</strong>voro di Rutter e altri (1979) è<br />

ben documentato che nelle scuole più efficaci nel produrre risultati sco<strong>la</strong>stici<br />

positivi, i dirigenti e i membri dello staff insegnante più influenti sui colleghi<br />

esprimono <strong>la</strong> convinzione che <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> "significa qualcosa" per loro, ha un senso<br />

importante nel<strong>la</strong> loro attività professionale, per <strong>la</strong> quale vale <strong>la</strong> pena di<br />

impegnarsi. Essi producono iniziative tese a costituire uno spirito di<br />

9 Mortimore P., Sammons P., Stoll L., Lewis D., Ecob R. (1988). School Matters. The<br />

14


col<strong>la</strong>borazione e coinvolgimento emotivo fra tutti i membri del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> e<br />

sottolineano l'importanza del loro impegno diretto nel governo del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>.<br />

La terza ricerca, condotta da Tizard e col<strong>la</strong>boratori 10 (1988), pur occupandosi di<br />

alunni di scuo<strong>la</strong> materna (quindi non si tratta di <strong>preadolescenti</strong>!) vale <strong>la</strong> pena di<br />

essere menzionata perché da un <strong>la</strong>to completa a ritroso questo percorso di ricerca<br />

delle cause che possono creare disagio a scuo<strong>la</strong> e dall'altro utilizza indicatori<br />

sempre più raffinati, introducendo anche l'analisi del contesto familiare, da quello<br />

di famiglie numerose a quello di famiglie con un unico genitore (di solito <strong>la</strong><br />

madre) famiglia.<br />

Un altro suggerimento interessante che si coglie da quest'ultimo <strong>la</strong>voro è<br />

l'attenzione metodologica al contesto dell'intervista; infatti, poiché sono state<br />

intervistate le madri dei bambini e molte di loro appartengono ad etnie diverse, si<br />

è avuta l'accortezza di farle intervistare da un'intervistatrice del<strong>la</strong> medesima etnia,<br />

questo per rendere molto più rassicurante il fluire di domande e risposte, per<br />

ridurre i rischi di una "chiusura" nei confronti dell'intervista, che poteva essere<br />

vista erroneamente come "un'indagine" di polizia o dell'assistenza sociale.etnia<br />

A questi aspetti legati alle rappresentazioni "dell'altro" forse non pensiamo a<br />

sufficienza nel<strong>la</strong> nostra attività quotidiana.<br />

-----------<br />

Attenzione!<br />

Non sempre gli altri condividono le nostre intenzione, i nostri scopi, i nostri<br />

significati. Quello appena visto è un esempio di come, al contrario, una sensibilità<br />

sul tema del modo in cui "L'altro" definisce a sua volta le situazioni sociali sia da<br />

incoraggiare e da aumentare negli operatori sociali.<br />

Pensiamo ai nostri <strong>preadolescenti</strong>: forse quelli che hanno già avuto esperienze di<br />

assistenza sociale e di tribunale dei minori di fronte ad una nuova figura (un<br />

junior years. Wells, Open Book.<br />

10 Tizard B., B<strong>la</strong>tchford P., Burk J., Farquahar C., Plewis I. (1988) Young children at<br />

school in the inner city, Londra, Erlbaum.<br />

15


operatore, un educatore…) possono diffidare, evitare di dire ciò che pensano,<br />

adottare una posizione difensiva, perché possono pensare che si tratti<br />

dell'ennesima "trappo<strong>la</strong>" tesa per carpire loro segreti che coinvolgono altre<br />

persone e che per questo non si possono confidare a nessuno.<br />

Spesso sono proprio questi ragazzini ad avere più bisogno di interventi per<br />

prevenire o ridurre il disagio, ma se non si ha ben presente questo costante gioco<br />

di immagini reciproche i soggetti si comportano come dei "ricci" ed ogni tentativo<br />

diretto di "far abbassare <strong>la</strong> guardia" è destinato a non avere successo.<br />

Spesso un silenzio carico di offerte inespresse ed un comportamento di<br />

accoglienza funzionano dove <strong>la</strong> parole falliscono.<br />

--------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

Il gruppo c<strong>la</strong>sse<br />

SCHEDA N°2<br />

Come abbiamo visto, non solo le scuole "fanno <strong>la</strong> differenza", ma questo principio<br />

vale anche per le diverse c<strong>la</strong>ssi di una medesima scuo<strong>la</strong>.<br />

D'altro canto non ci pare di dire niente che non sia sotto gli occhi di tutti e ben<br />

documentabile al<strong>la</strong> luce del sole; basta chiedere un po' in giro, soprattutto agli<br />

insegnanti che, esperti e "del mestiere", di solito non sbagliano nel formu<strong>la</strong>re i<br />

loro giudizi su scuole e colleghi.<br />

Poi, magari per timore o rispetto, non lo direbbero mai, ma questo è un altro<br />

discorso!<br />

Vediamo cosa scrive Gustavo Pietropolli Charmet a proposito del gruppo-c<strong>la</strong>sse:<br />

"..è un gruppo formale, non spontaneo ,istituzionale, fortemente egemonizzato<br />

dal<strong>la</strong> cultura <strong>degli</strong> adulti. Apparentemente l'insegnamento avviene in gruppo, ma<br />

16


in molte scuole è difficile capire se <strong>la</strong> dimensione di gruppo venga usata a scopi<br />

didattici per favorire l'apprendimento o se <strong>la</strong> trasmissione delle conoscenze<br />

avvenga attraverso un insegnamernto individuale in un gruppo che considera <strong>la</strong><br />

dimensione gruppale più un ostacolo da rimontare che una risorsa da utilizzare.<br />

(..)<br />

Spesso i componenti del gruppo c<strong>la</strong>sse si dichiarano insoddisfatti del<strong>la</strong><br />

composizione del<strong>la</strong> loro c<strong>la</strong>sse proprio perché non riescono a diventare tutti amici;<br />

i ragazzi spesso <strong>la</strong>mentano come <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse non abbia un'anima comune, ma sia<br />

attraversata da gravi conflitti gestiti da gruppi contrapposti.<br />

Il gruppo c<strong>la</strong>sse in certi momenti fortunati, quasi acrobatici, riconosce come<br />

propri i compiti posti dall'adulto e innesca un processo di e<strong>la</strong>borazione collettiva<br />

che consente di metabolizzare gli stimoli provenienti dalle istituzioni e li fa<br />

diventare il proprio compito.<br />

Quando il gruppo c<strong>la</strong>sse si istituisce come gruppo di <strong>la</strong>voro, rappresenta una<br />

soluzione intermedia fra il gruppo spontaneo e il gruppo formale. Il gruppo c<strong>la</strong>sse<br />

ha un compito di <strong>la</strong>voro e prefigura quel tipo di esperienza re<strong>la</strong>zionale che si<br />

realizzerà nell'età adulta quando l'appartenere ad un buon team di <strong>la</strong>voro, riuscire<br />

a dar vita ad una sinergia con i propri colleghi, costituisce uno <strong>degli</strong> elementi di<br />

soddisfazione del proprio <strong>la</strong>voro. (..) La scuo<strong>la</strong> propone esplicitamente ai ragazzi<br />

di indossare il ruolo sociale di studente, che oltre tutto è l'unico che <strong>la</strong> cultura<br />

<strong>degli</strong> adulti propone loro.(..) L'adolescente è invitato a giungere a scuo<strong>la</strong><br />

indossando il ruolo di studente di modo che, condividendo le finalità, i valori, le<br />

aspettative esplicite ed implicite del proprio ruolo sociale, esso dovrebbe aiutarlo<br />

a mettere a regime i suoi affetti facendo in modo che le sue speranze, timori<br />

soddisfazione, autostima, tristezza e noia siano da esso fortemente organizzate<br />

(…)<br />

Uno dei motivi più seri di crisi dell'attuale sistema sco<strong>la</strong>stico dipende proprio<br />

dal<strong>la</strong> scissione frequente fra il ruolo affettivo di adolescente e il ruolo sociale di<br />

studente (…) In molti casi l'adolescente arriva a scuo<strong>la</strong> non come studente ma<br />

come adolescente e non può partecipare al <strong>la</strong>voro poiché per poterlo fare bisogna<br />

adottare un linguaggio di ruolo e le sue tradizioni. Gli adolescenti privi del ruolo<br />

17


di studente, sono destinati all'insuccesso sco<strong>la</strong>stico.<br />

NOTA: i brani sono tratti da Pietropolli Charmet G. (2000) I nuovi adolescenti.<br />

Mi<strong>la</strong>no, Cortina, pag.257-259.<br />

---------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

………….Approfondimenti bibliografici<br />

Se volete confrontare <strong>la</strong> giornata sco<strong>la</strong>stica di un ragazzo negli USA con quel<strong>la</strong> di<br />

un ragazzo in Italia, potete leggere:<br />

Sc<strong>la</strong>vi M. (1994) A una spanna da terra. Mi<strong>la</strong>no, Feltrinelli.<br />

Da leggere.. e per pensare:<br />

Starnone D. (1995) Solo se interrogato: appunti sul<strong>la</strong><br />

maleducazione di un insegnante volenteroso.<br />

Mi<strong>la</strong>no, Feltrinelli.<br />

Starnone D. (1989) Ex cattedra. Mi<strong>la</strong>no, Feltrinelli<br />

Da rivedere con senso critico e tanta ….autocritica:<br />

"La scuo<strong>la</strong>" di Daniele Luchetti, Italia, 1995<br />

18


3. Il ruolo <strong>degli</strong> insegnanti<br />

Uno <strong>degli</strong> interrogativi in sospeso rispetto ai <strong>la</strong>vori di Rutter e colleghi (cfr. cap2)<br />

si risolve nel seguente dilemma:<br />

"Sono efficaci le scuole o sono bravi gli insegnanti"?<br />

In altre parole, qual è il rapporto fra un'organizzazione sco<strong>la</strong>stica che favorisca <strong>la</strong><br />

condivisione di scopi ed obiettivi ed il corpo docente che vi <strong>la</strong>vora? Ovvero<br />

quanto sarebbe l'efficacia di una scuo<strong>la</strong> ben organizzata in cui <strong>la</strong>vorano docenti<br />

disinteressati, demotivati ed al contrario quanto un gruppo di docenti attivo<br />

riuscirebbe a "rimettere in sesto" un'organizzazione sco<strong>la</strong>stica scadente?<br />

A ben vedere molte delle critiche che si possono rivolgere agli studenti<br />

(demotivati, distratti, apatici….) si potrebbero rivolgere anche a molti dei loro<br />

insegnanti!<br />

----------------<br />

Attenzione!<br />

Il ruolo <strong>degli</strong> insegnanti è molto importante nel<strong>la</strong> vita del preadolescente, perché:<br />

- da un <strong>la</strong>to può rappresentare una figura di riferimento autorevole, che potrebbe<br />

funzionare come elemento di protezione;<br />

- dall'altro può diventare una fonte di giudizi sco<strong>la</strong>stici e sociali molto radicali e<br />

quindi rappresentare un elemento di rischio.<br />

----------------<br />

Infatti non sono tanto le discipline a fare differenza, così come non fanno una<br />

grande differenza le modalità didattiche, purchè l'insegnante le utilizzi in modo<br />

sicuro ed esperto; più in generale le risorse ed i limiti che caratterizzano<br />

l'insegnamento sono costituiti dall'insieme di idee e concezioni generali circa<br />

l'educazione e i suoi obiettivi e, più specificatamente, da quelli riguardanti alcuni<br />

temi inevitabilmente centrali e rilevanti per l'attività di ogni insegnante: i processi<br />

di sviluppo, apprendimento e insegnamento, l'intelligenza, le origini del successo<br />

e dell'insuccesso sco<strong>la</strong>stico. Si tratta di temi che impongono ai soggetti di<br />

19


possedere spiegazioni per i fenomeni che li caratterizzano, giustificazioni di fronte<br />

alle difficoltà incontrate nel corso del<strong>la</strong> propria attività professionale, attività che<br />

esige quotidianamente molte prese di decisione su questioni solo apparentemente<br />

spicciole (come governare l'ordine o <strong>la</strong> disciplina) e che invece hanno<br />

ripercussioni non soltanto sul singolo alunno, ma anche sui suoi compagni.<br />

In secondo luogo, ovviamente non per importanza, sono da indicare come risorse<br />

e limiti dell'insegnamento i livelli di formazione, di abilità e di impegno<br />

professionali <strong>degli</strong> insegnanti, nonché le caratteristiche di personalità e le diverse<br />

trasformazioni che questi elementi subiscono nel corso del<strong>la</strong> carriera<br />

professionale; anche gli insegnanti, oltre che gli alunni, seguono dei percorsi di<br />

vita professionale all'interno dell'organizzazione sco<strong>la</strong>stica; anch'essi partecipano<br />

in maniera diversamente creativa o conformista alle sue dinamiche; in altre parole,<br />

come gli alunni costruiscono il proprio mestiere di alunni, gli insegnanti<br />

costruiscono <strong>la</strong> propria professione.<br />

Gli insegnanti devono acquisire maggiore consapevolezza <strong>degli</strong> effetti che il loro<br />

<strong>la</strong>voro ha sugli alunni e sul<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> in generale; devono essere consapevoli che<br />

quando insegnano prendono decisioni senza aspettare di conoscere tutte le<br />

informazioni sugli alunni e senza aver valutato tutte le alternative, cioè che nel<strong>la</strong><br />

pratica quotidiana "prima si decide e poi si cercano le informazioni per avvalorare<br />

<strong>la</strong> scelta fatta".<br />

D'altra parte comprendere in modo approfondito <strong>la</strong> realtà soggettiva <strong>degli</strong><br />

insegnanti non è un lusso, ma un requisito essenziale per intraprendere <strong>degli</strong><br />

interventi innovativi. Ad esempio, i rapidi cambiamenti tecnologici e i tagli alle<br />

spese per l'istruzione nei bi<strong>la</strong>nci di molti paesi europei hanno provocato una<br />

grande sfida al<strong>la</strong> tenuta dei sistemi sco<strong>la</strong>stici; ciò ha comportato negli insegnanti,<br />

non solo italiani, un drastico abbassamento del<strong>la</strong> fiducia nei cambiamenti<br />

organizzativi (cioè proprio verso gli interventi introdotti dalle politiche<br />

sco<strong>la</strong>stiche!), un aumento di mobilità, stress e pensionamenti, nonché condotte di<br />

ritiro nell'individualizzazione del <strong>la</strong>voro quotidiano e di ritorno a pratiche di<br />

insegnamento tradizionali .<br />

20


Si tratta di condotte "regressive", che coinvolgono interi gruppi sociali e non<br />

singoli individui: già Lewin 11 aveva descritto queste condotte e sottolineato il<br />

loro carattere di risposta a variazioni nelle proprietà del campo sociale e non di<br />

fenomeni ad origine intraindividuale. Recentemente, e in un contesto concettuale<br />

diverso, è stato messo in luce come queste condotte siano corre<strong>la</strong>te al grado di<br />

autonomia nel <strong>la</strong>voro (possibilità di prendere decisioni, di intervenire direttamente<br />

nel governo delle scuole) di soddisfazione nel <strong>la</strong>voro, di assunzione di<br />

responsabilità concrete e personali. Ma il senso di queste corre<strong>la</strong>zioni è diverso in<br />

funzione delle modalità organizzative e di funzionamento dei diversi sistemi<br />

sco<strong>la</strong>stici: ad esempio, in Gran Bretagna e USA gli insegnanti pongono molta<br />

enfasi sull'autonomia come fonte di soddisfazione, di possibilità di prendere<br />

decisioni e di responsabilità, ma in altri sistemi sco<strong>la</strong>stici l'autonomia e<br />

l'assunzione di responsabilità di gestione, di autogoverno e di valutazione del<br />

<strong>la</strong>voro sco<strong>la</strong>stico è considerata dagli insegnanti con molta preoccupazione: un<br />

vero e proprio rischio professionale.<br />

----------<br />

Attenzione!<br />

Sarà il caso di seguire con attenzione i cambiamenti in atto nel<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> italiana,<br />

documentandosi attraverso le fonti ufficiali ma anche seguendo i vari dibattiti su<br />

riviste specializzate e quotidiani.<br />

----------------<br />

La contraddizione generale che segna <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> è caratterizzata da un <strong>la</strong>to dal<br />

discorso ideologico egualitaristico, che propugna il diritto ad una istruzione di<br />

base per tutti e alle pari opportunità educative e, d'altro <strong>la</strong>to, da un funzionamento<br />

che produce disuguaglianze nei risultati e nei percorsi sco<strong>la</strong>stici successivi<br />

all'obbligo. successo<br />

Come affrontare allora questa contraddizione fondamentale se non attraverso <strong>la</strong><br />

costruzione di un sistema di rappresentazioni che permetta di giustificare e<br />

11 A questo punto sarebbe utile rivedere il Modulo1, " I <strong>preadolescenti</strong> come<br />

oggetto di studio del<strong>la</strong> psicologia sociale" di P. Selleri; cap.2.<br />

21


legittimare il funzionamento produttore di disuguaglianze, senza mettere in<br />

discussione l'ideologia ugualitaria? Utilizzando strumentalmente, a seconda dei<br />

periodi storici, i discorsi prodotti dalle diverse scienze umane, <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> potrà<br />

essere dichiarata egualitaria e quindi in grado di offrire a tutti le medesime<br />

opportunità spiegando (anzi legittimando) le differenze sociali nel successo<br />

sco<strong>la</strong>stico attraverso differenze imputabili agli alunni: differenze nell'intelligenza<br />

(concepita come dono distribuito in maniera disuguale fra gli alunni), differenze<br />

nelle attitudini, negli interessi, nelle predisposizioni, nelle motivazioni.<br />

Le differenze individuali, certo un fenomeno incontrovertibile e sotto gli occhi di<br />

tutti, diventano un criterio di spiegazione generale ed universale, piuttosto che un<br />

fenomeno da comprendere e spiegare nelle sue complesse determinanti.<br />

L'insuccesso e <strong>la</strong> selezione sco<strong>la</strong>stica vengono spiegati (o per meglio dire,<br />

legittimati) attraverso teorie individuali del soggetto umano e dell'alunno in<br />

partico<strong>la</strong>re. Costruire una legittimazione del funzionamento sco<strong>la</strong>stico e dei suoi<br />

effetti grazie ad una teoria individuale <strong>degli</strong> alunni diversamente dotati di<br />

strumenti intellettivi (intelligenza), sociali (socievolezza, disciplina, rispetto delle<br />

regole sociali) ed emotivo-volitivi (motivazione ad apprendere, interessi,<br />

attitudini) presenta il grande vantaggio di artico<strong>la</strong>re in un sistema coerente il<br />

discorso egualitario sul<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> con il suo funzionamento discriminante.<br />

Una tale rappresentazione deresponsabilizza l'intero sistema, i suoi funzionari e<br />

tutto il corpo insegnante in quanto non coinvolge le loro modalità dell'agire<br />

quotidiano e mantiene all'esterno del sistema e dell'insegnamento le cause<br />

dell'insuccesso.<br />

-----------------<br />

Attenzione!<br />

Il tema del<strong>la</strong> responsabilità è ormai diventato centrale nel dibattito sul<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>: tra<br />

un ragazzino che si comporta in modo maleducato ed un insegnante che "<strong>la</strong>scia<br />

correre" o peggio che usa un linguaggio simile a quello del suo alunno, chi ha<br />

maggiore responsabilità sugli effetti prodotti a breve e lungo termine da tale<br />

situazione?<br />

22


------------------<br />

Una conferma del<strong>la</strong> funzione legittimante delle rappresentazioni condivise dagli<br />

insegnanti è offerta da un contributo di Gilly (1980) 12 che riguarda insegnanti<br />

francesi di scuo<strong>la</strong> elementare. Per quanto riguarda i giudizi che essi esprimono sui<br />

propri alunni, l'autore ipotizza che gli insegnanti li producano facendo riferimento<br />

a tre diversi livelli di informazione. L'ambito più generale è quello delle influenze<br />

sociali normative, che comprende i valori morali del<strong>la</strong> società e le idee sull'uomo<br />

moderno e sul<strong>la</strong> condizione <strong>degli</strong> alunni, senza tra<strong>la</strong>sciare l'importanza delle<br />

ideologie condivise nel gruppo di appartenenza, unitamente alle caratteristiche<br />

istituzionali del tipo di scuo<strong>la</strong> in cui gli insegnanti <strong>la</strong>vorano (obiettivi, regole di<br />

funzionamento). Esiste inoltre un insieme di temi più specifico, comprendente gli<br />

atteggiamenti verso <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, i comportamenti tipici e le attese di ruolo,<br />

argomenti soggetti a cambiamenti dovuti al<strong>la</strong> necessità di far fronte alle numerose<br />

contraddizioni ed ai compromessi che gli insegnanti affrontano nel corso del<strong>la</strong><br />

carriera. E' il caso di quei docenti che, posti di fronte al<strong>la</strong> necessità di operare<br />

delle scelte in un contesto sco<strong>la</strong>stico in cui spesso le certezze si possono ritrovare<br />

solo in leggi, rego<strong>la</strong>menti e circo<strong>la</strong>ri, finiscono con il dare a questi aspetti<br />

normativi un maggior peso nel<strong>la</strong> valutazione delle situazioni didattiche. I criteri di<br />

giudizio veri e propri emergono in modo ancora più specifico dall'ambito delle<br />

esperienze quotidiane, caratterizzato dalle diverse situazioni didattiche, dai<br />

compiti proposti agli alunni e dal comportamento di questi ultimi, sia nei confronti<br />

di insegnanti e compagni, sia nei confronti dello studio vero e proprio. Il singolo<br />

alunno viene caratterizzato come tale proprio in termini di rappresentazioni,<br />

poiché l'insegnante raccoglie le informazioni dal<strong>la</strong> situazione reale, ma<br />

ricostruisce l'alunno sul<strong>la</strong> base delle idee evocate, che diventano una sorta di<br />

paradigma generale per <strong>la</strong> definizione dell'alunno, comprendente elementi di<br />

carattere selettivo, nel<strong>la</strong> misura in cui sarà valutata <strong>la</strong> distanza dell'alunno dal<br />

modello ideale; elementi di carattere organizzativo, poiché viene prodotto un<br />

sistema di categorizzazione, schematico e semplificato, da utilizzare per<br />

analizzare le situazioni sco<strong>la</strong>stiche e non sco<strong>la</strong>stiche; elementi di carattere<br />

23


interpretativo, influenzati dalle aspettative dell'insegnante, per cui l'obiettività di<br />

un giudizio può entrare in contrasto con il significato che l'insegnante attribuisce<br />

ai successi ed ai fallimenti sco<strong>la</strong>stici dell'alunno.<br />

L'Autore, per descrivere il comportamento valutativo <strong>degli</strong> insegnanti, ha<br />

sottoposto un questionario ad un campione di essi, chiedendo loro di descrivere<br />

ognuno dei propri alunni, utilizzando una lista di aggettivi scelti sul<strong>la</strong> base di un<br />

sondaggio precedente. I risultati mostrano l'esistenza di un fattore di impressione<br />

generale, connesso con gli aspetti più macroscopici del<strong>la</strong> funzione insegnante,<br />

quel<strong>la</strong> di impartire una adeguata istruzione agli alunni. Esso è caratterizzato dal<strong>la</strong><br />

esistenza di giudizi sugli alunni basati su pochi elementi, come il metodo di<br />

studio, <strong>la</strong> perseveranza e gli aspetti cognitivi, riconducibili ad un'idea generale di<br />

intelligenza. E' partendo dal<strong>la</strong> opinione posseduta su queste caratteristiche con un<br />

alto grado di desiderabilità socio-professionale, oltre a tratti come <strong>la</strong> bellezza, <strong>la</strong><br />

simpatia e l'ordine, che gli insegnanti tendono a percepire gli alunni in modo<br />

positivo o negativo. Un secondo fattore, riconducibile a ciò che nei compiti<br />

dell'insegnante riguarda <strong>la</strong> gestione del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse, concerne gli aspetti sociali del<br />

comportamento <strong>degli</strong> alunni, intendendo con ciò <strong>la</strong> conoscenza e l'adeguamento<br />

alle regole sociali e morali del<strong>la</strong> vita sco<strong>la</strong>stica. Oggetto del<strong>la</strong> valutazione è qui il<br />

tipo di rapporti esistenti tra gli alunni e tra alunni ed insegnante, e cioè il genere di<br />

re<strong>la</strong>zioni che permettono di creare in c<strong>la</strong>sse un clima favorevole al<strong>la</strong> acquisizione<br />

del sapere, fermo restando un contesto pedagogico-didattico imperniato sul<strong>la</strong><br />

centralità e sull'autorità dell'adulto.<br />

Risulta così che gli insegnanti considerano come tratti distintivi <strong>degli</strong> alunni, su<br />

cui esprimere giudizi e valutazioni, tutte quelle caratteristiche ritenute da loro<br />

necessarie per potere insegnare e per fare in modo che gli alunni imparino.<br />

---------<br />

Attenzione!<br />

Non c'è alcuna ma<strong>la</strong>fede in questi insegnanti, poiché stiamo par<strong>la</strong>ndo del livello<br />

delle loro rappresentazioni. Certo è che esiste un legame più o meno esplicito fra<br />

idee ed azioni e quindi viene da chiedersi quanto sia obiettivo il giudizio di un<br />

12 Gilly M. (1980) Maître-èlève. Rôles istitutionnels et représentation.Parigi, PUF.<br />

24


insegnante a proposito dei suoi alunni, non tanto perché egli faccia delle<br />

differenze a partire dai risultati nelle prove di verifica, quanto piuttosto perché<br />

seleziona, senza volere, solo alcuni aspetti dei risultati sco<strong>la</strong>stici, quelli che più si<br />

connettono con l'attività svolta da lui stesso.<br />

----------<br />

Infatti <strong>la</strong> scelta delle situazioni in cui osservare gli alunni per trarre le<br />

informazioni necessarie per <strong>la</strong> valutazione è fortemente influenzata dalle<br />

caratteristiche del<strong>la</strong> professione di insegnante.<br />

Ad un gruppo di insegnanti dell'ultimo anno di scuo<strong>la</strong> materna francese,<br />

(ripetiamo quanto già detto a proposito del<strong>la</strong> ricerca di Barbara Tizard nel cap.2:<br />

ci interessano il metodo ed i risultati, non l'età dei bambini!) è stato chiesto di<br />

esprimere un giudizio sulle abilità mostrate dai propri alunni, utilizzando una<br />

semplice griglia di rilevazione dei tempi di <strong>la</strong>voro, del modo in cui si alternano le<br />

attività scelte dal bambino, del comportamento motorio. Le osservazioni sullo<br />

stesso bambino venivano però condotte nel corso di due attività a diversa valenza<br />

sco<strong>la</strong>stica: avviamento al<strong>la</strong> scrittura e pittura. I risultati mostrano che, partendo<br />

dalle osservazioni prodotte dagli stessi insegnanti, non esistono legami tra le due<br />

attività: caratteristiche come l'attenzione, l'impegno o l'ordine sono in funzione<br />

dell'attività proposta dall'adulto e non sono, al contrario, una caratteristica costante<br />

del bambino. Ma le cose cambiano quando si arriva al<strong>la</strong> formu<strong>la</strong>zione del<br />

giudizio. In questo caso, gli insegnanti hanno formu<strong>la</strong>to il loro giudizio partendo<br />

prevalentemente dalle osservazioni raccolte durante le attività di preparazione al<strong>la</strong><br />

scrittura, quelle a valenza socio-istituzionale maggiore, perché pongono le basi<br />

(sempre secondo gli insegnanti) per gli apprendimenti specifici dell'ordine di<br />

scuo<strong>la</strong> successivo, mostrando così che l'informazione, raccolta solo in una delle<br />

due situazioni proposte, viene assunta e trasformata in una caratteristica generale<br />

dell'alunno.<br />

-------------<br />

Attenzione!<br />

Ciò che lega in maniera indissolubile insegnanti ed alunni è il contratto didattico,<br />

che implica una serie di regole a proposito dei rispettivi ruoli e del<strong>la</strong> materia<br />

25


insegnata. Questo contratto è costruito socialmente nelle c<strong>la</strong>ssi, è conosciuto da<br />

insegnati ed alunni e rinegoziato giorno dopo giorno. Tutte le attività educativo-<br />

didattiche trovano <strong>la</strong> loro ragione in questo contratto, che serve anche per mettere<br />

in luce le caratteristiche del "buon alunno", attraverso <strong>la</strong> sottolineatura pubblica,<br />

fatta ad un singolo alunno ma diretta al gruppo-c<strong>la</strong>sse, di ciò che non deve essere<br />

fatto.<br />

-------------<br />

E qui possiamo trovare l'acutizzarsi dei sintomi di disagio negli alunni, perché<br />

spesso il disagio dentro e fuori <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> porta ad avere "<strong>la</strong> testa altrove", così<br />

comportamento e risultati ne risentono; se il ragazzino in difficoltà psico-sociale si<br />

trova inserito in una c<strong>la</strong>sse dove questa regole del<strong>la</strong> "pubblicità" viene adottata<br />

molto frequentemente ed altrettanto frequentemente sempre a suo discapito è<br />

facile immaginarne le conseguenze e l'aumento del rischio individuale.<br />

--------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

SCHEDA 3<br />

Difficoltà di apprendimento o difficoltà di insegnamento?<br />

Riflessioni sul<strong>la</strong> formazione <strong>degli</strong> insegnati elementari italiani.<br />

Mentre si discute animatamente sul<strong>la</strong> formazione dei futuri insegnanti,<br />

probabilmente quelli del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> "di base", è forse il caso di indirizzare<br />

l’attenzione anche sul<strong>la</strong> formazione <strong>degli</strong> insegnanti già in servizio, senza contare<br />

che l’anno sco<strong>la</strong>stico 2000-2001 vedrà l’ingresso in ruolo di moltissimi nuovi<br />

docenti, per l’effetto <strong>degli</strong> ultimi concorsi appena conclusi, non senza molte<br />

polemiche sul<strong>la</strong> loro affidabilità.<br />

Limitandoci al solo caso del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> elementare, tutti i docenti in servizio<br />

nell'anno 2000 possono essere divisi in due grandi categorie: quelli assunti prima<br />

del 1990 e quelli entrati dopo questa data, che rappresenta <strong>la</strong> conclusione<br />

26


dell’ultima azione formativa nazionale destinata a tutti i docenti italiani. La storia<br />

è breve; nel 1985 entrano in vigore i Nuovi Programmi del<strong>la</strong> Scuo<strong>la</strong> Elementare, a<br />

cui fa seguito il Piano Poliennale di Aggiornamento gestito dagli IRRSAE<br />

regionali sul<strong>la</strong> base di uno schema ministeriale; si tratta di un modello formativo<br />

di impianto disciplinare che negli anni consente a tutti i docenti un aggiornamento<br />

nelle aree previste dai programmi e cioè linguistico-espressiva, logico-<br />

matematica, socio-antropologia oltre all’educazione musicale, all’immagine e<br />

motoria. Per alcuni docenti di ogni regione (almeno questo è quanto avvenuto in<br />

Emilia Romagna) viene anche predisposto un percorso formativo di più anni<br />

all’interno di una disciplina elettiva, con l’idea di creare un nucleo di “formatori<br />

dei formatori”. Nel 1990 si chiude quasi ovunque questo intenso quinquennio,<br />

dopo aver raggiunto l’obiettivo di un aggiornamento di base per tutti gli<br />

insegnanti di ruolo.<br />

Negli stessi anni è andata a regime l’organizzazione modu<strong>la</strong>re delle c<strong>la</strong>ssi, mentre<br />

sul fronte dell’aggiornamento il contratto dei primi anni ’90 ed anche il seguente<br />

hanno ampliato le possibilità formative consentendo ai docenti <strong>la</strong> frequenza di<br />

corsi “riconosciuti” dai provveditorati ma rispetto ai quali l’unico parametro è<br />

stato di tipo quantitativo, nel senso che occorreva dimostrare un certo numero di<br />

ore di aggiornamento in due anni per poter avere forme di aumenti sa<strong>la</strong>riali; in<br />

questo modo è stato indebolito il controllo indiretto del collegio docenti sul piano<br />

annuale di aggiornamento, che il più delle volte risultava dall’insieme delle scelte<br />

individuali, rinunciando ad essere una proposta formativa omogenea nel circolo.<br />

Poi c’è stato il “fuoco di paglia” dell’informatica; i progetti ministeriali 1A ed 1B<br />

assegnavano fondi alle scuole per acquistare attrezzature e realizzare corsi di<br />

alfabetizzazione per gli insegnanti; girando per le scuole si vedono ancora pochi<br />

computer e in molti casi <strong>la</strong> ricopiatura dei testi per creare un file è ancora un<br />

“compito per casa”!<br />

Più recentemente <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> è stata travolta dalle vicende legate all’attuazione<br />

dell’Autonomia (L. 59 del 15 marzo 1977, art.21), che hanno nuovamente<br />

allontanato il problema del<strong>la</strong> ripresa di un aggiornamento didattico-disciplinare.<br />

27


Mentre sarebbe interessante sapere quanti <strong>degli</strong> insegnanti che 10 anni fa<br />

parteciparono al Piano Poliennale di Aggiornamento siano ancora in sevizio<br />

(ricordiamo l’ondata di pensionamenti di qualche anno fa!), altrettanto utile<br />

sarebbe conoscere che tipo di formazione disciplinare abbiano ricevuto gli<br />

insegnanti entrati in ruolo negli ultimi dieci anni; il rischio è quello di centrare<br />

tutta l’attenzione e le risorse finanziarie disponibili sul<strong>la</strong> progettazione e<br />

realizzazione dei percorsi formativi per i “futuri” insegnanti, dimenticando chi già<br />

opera nel<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, spesso senza un bagaglio professionale adeguato per il<br />

compito che deve svolgere.<br />

Due potrebbero essere gli argomenti su cui organizzare questo progetto.<br />

In primo luogo occorre richiedere a gran voce un intervento formativo mirato al<strong>la</strong><br />

riqualificazione dei docenti in servizio attraverso l’approfondimento delle<br />

didattiche disciplinari; in secondo luogo l’aspetto formativo disciplinare deve<br />

essere collegato con gli aspetti organizzativi che danno vita a contesti più o meno<br />

favorevoli all’apprendimento, perché appare con sempre maggiore evidenza<br />

quanto ormai le caratteristiche di un “buon insegnante” comprendano anche <strong>la</strong><br />

capacità di resistere al<strong>la</strong> pressione organizzativa esterna, facendo proposte che<br />

abbiano come obiettivo finale il benessere <strong>degli</strong> alunni ed il loro apprendimento.<br />

Marco Rossi-Doria, nel suo <strong>la</strong>voro intito<strong>la</strong>to Di mestiere io faccio il maestro, fa<br />

l’esempio del<strong>la</strong> realizzazione di un orario sco<strong>la</strong>stico, che può essere fatto per i<br />

docenti ( e quindi essere “di cattedra”) oppure per i bisogni dei ragazzi (e quindi<br />

“di insegnamento”); nel<strong>la</strong> riflessione dell’autore sulle condizioni educative di<br />

alcune scuole, ma anche di fronte a molti adempimenti diventati ormai dei “riti<br />

istituzionali” (il primo collegio docenti, <strong>la</strong> presentazione del<strong>la</strong> programmazione<br />

annuale..) <strong>la</strong> domanda “Dove sono gli alunni in tutto questo?” rimane spesso<br />

senza risposa.<br />

Per esempio è il concetto stesso di programmazione settimanale (solitamente due<br />

ore) che deve essere modificato; teoricamente <strong>la</strong> programmazione potrebbe<br />

riguardare solo le scelte didattiche e <strong>la</strong> loro organizzazione, ma questo non è più<br />

sufficiente, perché un modulo funziona nel modo migliore quando gli insegnanti<br />

sono in grado di stabilire alcune priorità fra gli obiettivi del<strong>la</strong> programmazione,<br />

28


quando per esempio l’introduzione del Sistema Metrico Decimale (obiettivo di<br />

c<strong>la</strong>sse 3°, area logico-matematica) non avviene mentre nelle altre ore si passa ad<br />

un approccio più formale al<strong>la</strong> riflessione linguistica (analisi grammaticale, c<strong>la</strong>sse<br />

3°, area linguistico-espressiva), sovraccaricando gli alunni di nuovi concetti e<br />

nozioni. E’ sicuramente vero che esistono molti moduli che già funzionano<br />

egregiamente in questo modo, ma <strong>la</strong> riflessione deve essere fatta a monte e<br />

riguarda proprio <strong>la</strong> formazione dei docenti: questa capacità didattica-organizzativa<br />

che molti team utilizzano quotidianamente è stata oggetto di una formazione<br />

mirata o è stata <strong>la</strong>sciata all’intuito, al<strong>la</strong> riflessione dei singoli? Questo problema<br />

del<strong>la</strong> mancata formazione si intreccia in maniera insolubile con il problema del<strong>la</strong><br />

valutazione dei docenti: è possibile utilizzare come indicatori di efficacia delle<br />

c<strong>la</strong>ssi, e quindi anche del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, elementi che non sono stati oggetto di<br />

formazione specifica sempre e per tutti? Poiché nel passato non sono stati chiari i<br />

pre-requisiti necessari per poter accedere al<strong>la</strong> professione di insegnante, poiché in<br />

margine ad accordi di categoria i docenti hanno potuto seguire corsi di<br />

aggiornamento sul<strong>la</strong> base dei loro interessi personali e senza che <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong><br />

richiedesse sistematicamente un ritorno didattico di questa crescita professionale,<br />

ora, di fronte ad un team che funziona poco o male, come si può distinguere fra<br />

mancate conoscenze, mancato impegno o scarsa motivazione?<br />

Drammaticamente tutto il discorso fatto fino ad ora ha una rilevanza diretta<br />

sull’attività di c<strong>la</strong>sse; insegnanti in primo luogo e dirigenti sco<strong>la</strong>stici sanno, anche<br />

se comprensibilmente faticano ad ammetterlo, che gli alunni imparano di più e<br />

meglio in funzione del<strong>la</strong> qualità dell’insegnamento impartito o , per dir<strong>la</strong> in altre<br />

parole, gli insegnati migliori hanno alunni migliori. Un docente abile, capace e<br />

preparato posto in una condizione difficile, con alunni che hanno bisogni<br />

educativi molti differenziati, ha le risorse per reinventare quotidianamente il<br />

proprio “mestiere”, per fare in modo che il processo di apprendimento non si<br />

arresti ma trovi nel singolo e nel gruppo il proprio flusso; nelle medesime<br />

condizioni un docente “senza mestiere” può incidere pesantemente trascinando <strong>la</strong><br />

situazione verso il basso.<br />

29


E’ sempre possibile misurare in un alunno ciò che non è in grado di fare, più<br />

difficile è individuare le cause di questo insuccesso; se nell’insegnamento<br />

impartito ci sono gravi errori di fondo varrebbe <strong>la</strong> pena di domandarsi come<br />

hanno fatto a capire bene gli alunni che non sbagliano! Comunque<br />

quell’apprendimento non è avvenuto a scuo<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> base di quanto è stato<br />

insegnato; questo vuol dire che ancora una volta l’apprendimento <strong>degli</strong> alunni<br />

avviene indipendentemente dall’insegnamento, sfruttando risorse extra-sco<strong>la</strong>stiche<br />

che non tutti possiedono, al<strong>la</strong>rgando le differenze esistenti e creandone delle<br />

nuove.figlio<br />

Un buon suggerimento per un operatore psico-sociale impegnato con i ragazzini<br />

fuori o dentro <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>: non prendere mai i risultati <strong>degli</strong> alunni, a maggior<br />

ragione se raccolti a scuo<strong>la</strong>, semplicemente come lo specchio delle loro capacità,<br />

ma imparare a considerarli come una variabile dipendente dal contesto di<br />

apprendimento realizzato in quel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse fra insegnanti ed alunni; spesso le<br />

soluzioni sono più a portata di mano di quanto non si creda.<br />

--------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

Da leggere:<br />

Tavel<strong>la</strong> P. (2000) Gli ultimi del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse: un anno con i ragazzi e i<br />

maestri in una scuo<strong>la</strong> di strada a Napoli. Mi<strong>la</strong>no, Mondadori.<br />

Da vedere o rivedere:<br />

"La scuo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> violenza", di James C<strong>la</strong>vell, Gran Bretagna, 1967<br />

"Scuo<strong>la</strong> elementare" di Jan Triska, Cecoslovacchia, 1991<br />

30


4- Il ragionamento<br />

Come ragionano i ragazzini? Sono maturi? Sono ancora infantili? Fanno fatica a<br />

risolvere i problemi? Non hanno logica?<br />

Sono tute domande alle quali <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> è chiamata, se non a dare risposte<br />

definitive, ad individuare livelli, cause, spiegazioni.<br />

-----------------<br />

Attenzione!<br />

Secondo <strong>la</strong> teoria di Piaget, dopo il periodo operatorio concreto, che va dai 7-8<br />

anni fin circa agli 11-12 anni, ha inizio il periodo chiamato delle "operazioni<br />

formali", che sfrutta le abilità legate al pensiero ipotetico-eduttivo, attraverso le<br />

quali è possibile partire da premesse ipotetiche e giungere a conclusioni logiche. 13<br />

In questo periodo i ragazzi acquisiscono le strutture di pensiero che permettono<br />

loro di coordinare operazioni senza bisogno di vedere concretamente l'esecuzione<br />

dell'operazione, ragionando solo sul risultato ottenuto, come nel caso del<strong>la</strong><br />

chimica, dove spesso è necessario partire dal<strong>la</strong> combinazione di due agenti<br />

chimici per ottenerne un terzo.<br />

-------------------<br />

Ciò che ci interessa discutere ora è il modo in cui queste abilità di ragionamento<br />

vengono utilizzate a scuo<strong>la</strong> e come da esse derivino elementi di giudizio nei<br />

confronti <strong>degli</strong> alunni.<br />

Il tema del ragionamento chiama in causa il concetto di intelligenza; nel<strong>la</strong> nostra<br />

società il prototipo dell'individuo intelligente è quello che ragiona bene ed in<br />

fretta, che risolve con successo problemi spesso astrusi, che ha fatto studi<br />

scientifici, insomma che "usa bene <strong>la</strong> testa". Ovviamente tutti coloro che non si<br />

riconoscono in questo ritratto (siamo molti, state sicuri!) potranno ribattere che<br />

13 Da leggere: Carugati F. (1993) Sviluppo cognitivo e ragionamento. In: A.<br />

Palmonari ( a cura di) Psicologia dell'adolescenza. Bologna, Il Mulino.<br />

31


questo è solo un "certo tipo" di intelligenza, che ci sono altri aspetti da<br />

considerare, come le abilità sociali, <strong>la</strong> sensibilità emotiva, le doti artistiche.<br />

Il fatto è che non esiste una definizione univoca del concetto di intelligenza,<br />

quanto piuttosto una serie di rappresentazioni sull'argomento; parliamo in questo<br />

caso di Rappresentazioni Sociali in quanto i medesimi contenuti si trovano in<br />

categorie o gruppi di persone ben definite. 14<br />

Prendiamo per esempio le madri, intese come una categoria psico-sociale<br />

caratterizzata dal loro ruolo nei confronti dei figli; scegliamole appartenenti a<br />

categorie professionali diverse (casalinghe, insegnanti, operaie) ed<br />

interroghiamole su argomenti connessi con lo sviluppo di caratteristiche<br />

(intelligenza, ordine, obbedienza, autonomia) dei bambini in generale, <strong>degli</strong> alunni<br />

di scuo<strong>la</strong> elementare e dei propri figli. figlio<br />

Le madri insegnanti affermano che lo sviluppo dei bambini è in gran parte frutto<br />

delle re<strong>la</strong>zioni (soprattutto nei primi anni di vita) che le madri stabiliscono con il<br />

bambino, mentre le madri casalinghe si presentano come più 'innatiste'; ma<br />

quando viene chiesto di spiegare lo sviluppo dei propri figli, le posizioni si<br />

invertono: sono le madri insegnanti a dichiarare più frequentemente che il proprio<br />

figlio (si tratta di bambini fra i 4 e i 6 anni di età) "era così fin da piccolo", mentre<br />

le madri casalinghe organizzano un discorso in cui le ragioni dello sviluppo sono<br />

centrate sull'importanza dell'interazione con il figlio: cure prestate, pazienza,<br />

attenzione al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione affettiva. Quando poi a queste due categorie di madri<br />

viene chiesto di spiegare le origini dell'intelligenza pensando ad un alunno<br />

all'inizio del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> elementare, le madri insegnanti ricorrono ad ogni tipo di<br />

spiegazione, mentre le madri casalinghe ribadiscono l'importanza delle re<strong>la</strong>zioni<br />

affettive.<br />

Come si vede le differenze evidenti da queste risposte non sono tanto legate alle<br />

caratteristiche dei bambini, quanto piuttosto al punto di vista delle madri, al<strong>la</strong> loro<br />

14 Mugny G., Carugati F. (1985) L'intelligence au pluriel. Cousset: Delval (trad.<br />

it. L'intelligenza al plurale. Bologna: CLEUB, 1988)<br />

32


condizione professionale, al tempo che dedicano ai figli. In altre parole <strong>la</strong><br />

definizione di concetti ad alto gradimento sociale, almeno nel<strong>la</strong> nostra epoca,<br />

richiede all'adulto di "mettersi in gioco", poiché i giovani sono, in misura<br />

maggiore o minore, lo specchio di noi stessi, delle nostre idde e dei nostri<br />

comportamenti.<br />

Pensiamo ora agli insegnanti.<br />

Possiamo chiederci quali siano le caratteristiche da loro attribuite agli alunni: chi è<br />

un alunno bril<strong>la</strong>nte? chi è un alunno mediocre? In che rapporto stanno queste<br />

immagini con le materie sco<strong>la</strong>stiche e quali sono i rapporti fra queste immagini e<br />

<strong>la</strong> teoria dell'intelligenza come dono? Dal <strong>la</strong>voro sperimentale di Mugny e<br />

Carugati (1985) emerge un modello di alunno bril<strong>la</strong>nte in matematica che è più<br />

dotato sul versante delle abilità cognitive (attivo, con capacità di sintesi) di quanto<br />

non lo sia in quelle comunicative (poco socievole); inoltre è disciplinato e rispetta<br />

le regole. Invece l'alunno bril<strong>la</strong>nte in lingua unisce alle capacità logiche quelle<br />

espressive, mediando il tutto con buone doti di socialità, che ne fanno un vero<br />

alunno modello, mentre chi è bril<strong>la</strong>nte in disegno viene descritto come<br />

indisciplinato, non meno intelligente di altri, ma certamente con meno successo<br />

sco<strong>la</strong>stico.<br />

Per quanto riguarda l'alunno mediocre in matematica e in lingua, si riscontrano<br />

immagini pressoché specu<strong>la</strong>ri rispetto a quelle emerse per gli alunni bril<strong>la</strong>nti, fatta<br />

eccezione per il mediocre in disegno, che si caratterizza in modo autonomo, come<br />

socievole, poco presuntuoso e capace di agire con saggezza, senza chiamare in<br />

causa altre spiegazioni legate al rendimento generale. Verrebbe quasi da pensare<br />

che, par<strong>la</strong>ndo dell'insuccesso in una materia a debole valenza sco<strong>la</strong>stica quale il<br />

disegno, sia meno pressante <strong>la</strong> necessità di trovare spiegazioni all'insuccesso.<br />

Attenzione!<br />

Ricordiamo che si tratta di descrizioni che emergono da <strong>la</strong>vori sperimentali, nel<br />

senso che nessun soggetto implicato nel<strong>la</strong> ricerca ha dovuto par<strong>la</strong>re<br />

33


specificatamente del proprio figlio o di un alunno in partico<strong>la</strong>re; ciò che qui ci<br />

interessa è l'esistenza di una struttura coerente nelle risposte date dai soggetti, da<br />

cui si rileva che:<br />

- lo sviluppo dell'intelligenza nei ragazzi è un fatto misterioso, soprattutto per<br />

gli insegnanti che quotidianamente sono posti di fronte alle differenze<br />

interindividuali;<br />

- le materie sco<strong>la</strong>stiche non hanno tutte lo stesso peso nel definire chi sia più o<br />

meno intelligente;<br />

- successo e insuccesso sco<strong>la</strong>stico funzionano da catalizzatori di molte altre<br />

caratteristiche individuali;<br />

- le Rappresentazioni Sociali dell'intelligenza e del suo sviluppo sono soggette a<br />

variazioni dovute all'essere genitori o insegnanti.<br />

----------------<br />

A questo punto sarebbe interessante leggere le schede di valutazione che negli<br />

anni hanno accompagnato i ragazzini; spesso, nonostante i costanti richiami<br />

ministeriali a non utilizzare indicatori che non siano stati oggetto di insegnamento<br />

intenzionale da parte del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, gli insegnanti "si <strong>la</strong>sciano andare" a giudizi<br />

sul<strong>la</strong> personalità, sull'impegno e su molte altre caratteristiche che, come abbiamo<br />

visto in precedenza, si coagu<strong>la</strong>no attorno al successo o all'insuccesso sco<strong>la</strong>stico.<br />

Poi le schede seguono il ragazzino anno dopo anno, il giudizio diventa lentamente<br />

una statua di gesso che, come un Giano bifronte, rappresenta l'alunno.<br />

Ancora una volta diventa difficile uscirne, soprattutto perchè per aprire qualche<br />

crepa nel<strong>la</strong> statua di gesso l'insegnante si aspetta che l'alunno mostri un<br />

cambiamento proprio nei risultati sco<strong>la</strong>stici, costruiti in un contesto re<strong>la</strong>zionale<br />

che risente inevitabilmente delle definizioni reciproche.<br />

--------------<br />

Attenzione!<br />

Rivedere il Modulo 1 di Psicologia Sociale, " I <strong>preadolescenti</strong> come<br />

oggetto di studio del<strong>la</strong> psicologia sociale" di P. Selleri; cap. 4<br />

---------------<br />

34


------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

SCHEDA 4<br />

Il problema assurdo: strumento di studio fra struttura e condizioni di<br />

presentazione di un compito<br />

Nati quasi per caso, i problemi assurdi sono diventati uno strumento di analisi dei<br />

comportamenti che si verificano all’interno del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse, utilizzati da alcuni autori<br />

come rive<strong>la</strong>tori dei processi mentali dell’alunno, da altri come indicatori delle<br />

re<strong>la</strong>zioni tra insegnante, alunno e sapere (Giosuè, Selleri, 1993).<br />

Il contesto sco<strong>la</strong>stico, retto dalle norme del contratto didattico (Schubauer-<br />

Leoni,1986) attraverso le quali insegnanti ed allievi si sono accordati in modo più<br />

o meno esplicito sul<strong>la</strong> gestione dei saperi disciplinari, implica che ad ogni<br />

problema proposto sia necessario dare una risposta utilizzando i dati presenti nel<br />

testo attraverso una strategia di soluzione conforme agli apprendimenti sco<strong>la</strong>stici.<br />

L’alunno al quale viene assegnato un problema assurdo si trova sempre di fronte<br />

ad un quesito («qual è <strong>la</strong> risposta adeguata?») <strong>la</strong> cui risoluzione («non c’è<br />

risposta») genera un potenziale conflitto tra alunno ed insegnante («l’insegnante si<br />

aspetta da me una risposta»).<br />

Le risposte dei bambini potrebbero quindi non essere errori in senso stretto,<br />

quanto piuttosto risposte derivanti da un conflitto pregnante per quanto riguarda le<br />

implicazioni sociali, poiché nel<strong>la</strong> «messa in scena» quotidiana dei processi di<br />

insegnamento-apprendimento esistono reciproche attribuzioni di ruolo che non<br />

possono essere disattese.<br />

Mentre <strong>la</strong> letteratura precedente ha studiato il comportamento di risoluzione ai<br />

problemi assurdi in c<strong>la</strong>ssi ad insegnante unico, questa ricerca ha considerato c<strong>la</strong>ssi<br />

a modulo, in cui si alternano più insegnanti, ognuno responsabile di un diverso<br />

ambito disciplinare. Come influirà <strong>la</strong> nuova organizzazione sco<strong>la</strong>stica sui risultati<br />

dei bambini?<br />

35


Sono state messe a confronto due condizioni sperimentali:<br />

- <strong>la</strong> condizione «MATEMATICA», nel<strong>la</strong> quale è l’insegnante di matematica a<br />

proporre i problemi assurdi nel<strong>la</strong> propria c<strong>la</strong>sse;<br />

- <strong>la</strong> condizione «LINGUA», nel<strong>la</strong> quale è l’insegnante di lingua a proporre i<br />

problemi assurdi nel<strong>la</strong> propria c<strong>la</strong>sse.<br />

Al<strong>la</strong> ricerca hanno preso parte 87 alunni di scuo<strong>la</strong> elementare, frequentati c<strong>la</strong>ssi<br />

che funzionano secondo un modulo orizzontale «3 su 2», cioè con 3 insegnanti su<br />

due c<strong>la</strong>ssi parallele.<br />

Il protocollo è costituito da quattro pagine a quadretti, in ognuna delle quali, sotto<br />

l’intestazione generica di «Problema», viene proposto il testo di un problema;<br />

nelle pagine i problemi si alternano fra “assurdi” e risolvibili (due per ogni tipo).<br />

I testi dei problemi risolvibili sono:<br />

Piero ha 19 biglie rosse e 13 blu. Quante biglie ha Piero in tutto?<br />

In un album si possono incol<strong>la</strong>re 6 figurine in ogni pagina. Marco ha riempito 5<br />

pagine. Quante figurine ha incol<strong>la</strong>to Marco in tutto?<br />

I testi dei problemi assurdi sono:<br />

In una c<strong>la</strong>sse ci sono 4 porte e 8 finestre. Quanti bambini ci sono in c<strong>la</strong>sse?<br />

Su una nave ci sono 7 mucche e 10 vitelli. Quanti anni ha il capitano del<strong>la</strong> nave?<br />

Il primo problema assurdo permette l’ottenimento di un numero p<strong>la</strong>usibile di bambini<br />

attraverso l’addizione delle cifre (4+8=12); l’alunno può anche essere portato ad<br />

eseguire una moltiplicazione (4?8=32), ottenendo però un numero meno p<strong>la</strong>usibile (<strong>la</strong><br />

c<strong>la</strong>sse sarebbe troppo numerosa). Nel secondo problema assurdo il bambino può<br />

essere portato a compiere due tipi di operazione: una moltiplicazione (7?10=70)<br />

oppure un’addizione (7+10=17), anche se meno p<strong>la</strong>usibile (non s’è mai visto un<br />

capitano di una nave di 17 anni!).<br />

I risultati mostrano che l’appartenenza di c<strong>la</strong>sse è una variabile significativa nel<br />

determinare il comportamento <strong>degli</strong> alunni (N.B.= effetto c<strong>la</strong>sse!); ci sono infatti<br />

c<strong>la</strong>ssi in cui <strong>la</strong> risposta al problema assurdo si equivale rispetto al rifiuto (cioè al<strong>la</strong><br />

risposta corretta!), una c<strong>la</strong>sse in cui è maggiore il rifiuto, un’altra in cui è<br />

maggiore <strong>la</strong> risposta al problema assurdo rispetto al rifiuto.<br />

Ma soprattutto i risultati mostrano che esiste un rapporto diretto tra<br />

comportamento di risoluzione e giudizio sul problema; infatti gli alunni che non<br />

rispondono al problema assurdo ( risposta corretta) sono più frequentemente in<br />

36


grado di esplicitare l’impossibilità di soluzione; al contrario chi risponde definisce<br />

il problema assurdo come “facile”, “strano” o “difficile”.<br />

Comunque non si è verificata una differenza significativa tra le c<strong>la</strong>ssi in cui era<br />

presente l’insegnante di lingua e quelle in cui era presente l’insegnante di<br />

matematica e questo ci porta a dire che il contratto didattico legato al tipo di<br />

compito assegnato ed al<strong>la</strong> materia sia stato l'elemento più influente nel<br />

determinare il comportamento di risoluzione.<br />

Riferimenti Bibliografici<br />

Giosuè F., Selleri P. (1993) La soluzione dei problemi assurdi: da errore<br />

individuale a costruzione psico-sociale. <strong>Studi</strong> di Psicologia dell’Educazione, XII,<br />

1-2, 122-140, 1993.<br />

Schubauer-Leoni M. L. (1986) Le contrat didactique: une cadre interpretatif pour<br />

comprendre les savoir manifestés par les élèves en mathématiques. European<br />

Journal of Psycology of Education, vol. 1, 2, 139-153.<br />

Selleri P., Stizzoli M. (1999) Il problema assurdo come indicatore di<br />

funzionamento delle c<strong>la</strong>ssi. Re<strong>la</strong>zione presentata al Congresso AIP di Psicologia<br />

dello Sviluppo e dell'educazione, Parma, ottobre 1999.<br />

---------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

Da leggere o rileggere:<br />

Boy, di Roal Dahl, Mi<strong>la</strong>no, Feltrinelli<br />

Un libro per ragazzi, ma anche per adulti, che è un po' <strong>la</strong><br />

sua storia<br />

Da rivedere:<br />

L'attimo fuggente, di Petr Weir, USA 1989<br />

37


5 - Difficoltà e riuscite paradossali<br />

I giudizi <strong>degli</strong> insegnanti non esprimono solo un'informazione sui livelli di<br />

apprendimento raggiunti dagli alunni, perchè in c<strong>la</strong>sse ogni valutazione<br />

comprende anche un giudizio più complessivo, su quanto e come il<br />

comportamento dell'alunno sia funzionale al raggiungimento <strong>degli</strong> obiettivi<br />

educativi individuati per l’intera c<strong>la</strong>sse, sul fatto che l’alunno presenti già<br />

problemi di apprendimento oppure che, almeno per il momento, non siano emersi<br />

elementi tali da far presagire un totale fallimento sco<strong>la</strong>stico.<br />

Infatti l'organizzazione dei giudizi si fonda su tre nuclei tematici, che si ritrovano<br />

stabilmente in ogni anno sco<strong>la</strong>stico:<br />

- materie forti: si tratta dei giudizi espressi sul<strong>la</strong> matematica, sul<strong>la</strong> lettura, sul<strong>la</strong><br />

espressione orale e scritta;<br />

- formazione: giudizi espressi sull'educazione morale e civile e sull'educazione<br />

fisica.<br />

- metodo: giudizi espressi sul<strong>la</strong> partecipazione al<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> e sul metodo<br />

di <strong>la</strong>voro.<br />

La costruzione dei nuclei tematici parte dai risultati quotidiani <strong>degli</strong> alunni, dai<br />

punteggi ottenuti nelle prove di verifica, dalle interrogazioni, dai compiti in<br />

c<strong>la</strong>sse; infatti a questo livello ci sono variazioni negli anni per quanto riguarda i<br />

giudizi nelle varie materie ( cioè un alunno può avere "buono " in italiano in terza<br />

elementare e "sufficiente" in c<strong>la</strong>sse quinta).<br />

Esiste però un secondo livello nell'organizzazione dei giudizi, che può essere<br />

inteso come una teoria generale del<strong>la</strong> valutazione condivisa dagli insegnanti a<br />

proposito delle pratiche utilizzate per valutare gli alunni; a questo secondo livello<br />

negli anni non ci sono variazioni nel giudizio complessivo dato ad un alunno.<br />

Questo consente agli insegnanti di valutare un medesimo risultato sco<strong>la</strong>stico (per<br />

esempio, lo stesso errore in un compito di matematica), facendo ricorso a<br />

spiegazioni diverse da alunno ad alunno; un "alunno bravo in matematica" può<br />

aver sbagliato il problema così come ha fatto "un alunno mediocre", solo che<br />

38


mentre per il secondo si tratta di una conferma di un andamento conosciuto, per il<br />

primo si potrà dire che "quel giorno non stava bene", che "si è distratto" e così<br />

via.<br />

--------------<br />

Attenzione!<br />

Ora dovrebbe essere più chiaro perchè per un ragazzino è difficile uscire dal<strong>la</strong><br />

condizione di insuccesso sco<strong>la</strong>stico!<br />

------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

Brano tratto da:<br />

R. Doyle (1993) Paddy C<strong>la</strong>rke ah! Ah! Ah!, Mi<strong>la</strong>no, CDE 1994<br />

"…ci stava interrogando sul<strong>la</strong> divisione in sil<strong>la</strong>be: sul<strong>la</strong> cattedra aveva il<br />

registro aperto. Ci segnava sopra tutti i voti che prendevamo, e le note, poi<br />

il venerdì chiudeva i conti e in base ai risultati ci faceva cambiare posto.<br />

Quelli con i voti migliori sedevano nei banchi davanti, dal <strong>la</strong>to delle<br />

finestre; quelli con i voti peggiori finivano giù infondo, vicino agli<br />

attaccapanni con i cappotti. Io di solito era a metà strada e qualche rara<br />

volta arrivavo a un banco o due dal<strong>la</strong> prima fi<strong>la</strong>. Il guaio è che a quelli<br />

seduti in fondo gli toccavano le domande più difficili. Così per esempio,<br />

invece di fargli sil<strong>la</strong>bare undici parole di tre sil<strong>la</strong>be, Henno [il<br />

maestro]gliene chiedeva undici di sei sil<strong>la</strong>be, o anche dodici. Insomma, se<br />

finivi nelle ultime file era difficilissimo uscirne e il tuo destino era<br />

segnato."<br />

(R. Doyle, 1994, pag.70).<br />

-------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

Poi ci sono quelli che….ce <strong>la</strong> fanno!<br />

39


Un <strong>la</strong>voro molto interessante è quello condotto da Cesari (1997) 15 sui risultati<br />

sco<strong>la</strong>stici di immigrati di seconda generazione nel<strong>la</strong> comunità italiana in<br />

Svizzera, nel quale vengono presi in considerazione quattro elementi di analisi:<br />

il contesto del<strong>la</strong> comunità italiana (istituzioni religiose, educative, associative),<br />

il contesto familiare, quello delle re<strong>la</strong>zioni con l’Italia e le condizioni di vita<br />

<strong>degli</strong> immigrati. In questa prospettiva a molti livelli, il processo d’integrazione<br />

si trasforma per i giovani figli di immigrati in una sfida costante, all’interno<br />

del<strong>la</strong> quale l’individuo è chiamato a risolvere i conflitti derivati dal modo in cui<br />

<strong>la</strong> propria matrice culturale è confrontata con le opportunità e le risorse offerte<br />

dal paese in cui vive, in un equilibrio dinamico che si evidenzia nel processo di<br />

socializzazione e di sviluppo. La nozione di sfida implica quindi mettere in<br />

gioco se stessi, prendere decisioni, ridefinire <strong>la</strong> propria identità sul<strong>la</strong> base delle<br />

esperienze di vita. L’autore suggerisce di affrontare il problema del<strong>la</strong> “seconda<br />

generazione” considerandone tre aspetti importanti: il primo riguarda <strong>la</strong><br />

migrazione, di solito verso aree geografiche più promettenti per <strong>la</strong> vita futura,<br />

intesa come “svolta significativa” nel<strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> famiglia, cioè un punto di<br />

riferimento per tutti; il secondo riguarda <strong>la</strong> condizione socio-economica del<strong>la</strong><br />

famiglia stessa, che si accompagna ad una generica rappresentazione<br />

dell’immigrato come di un soggetto devalorizzato, anche dal punto di vista<br />

sco<strong>la</strong>stico e professionale, da cui deriva un vissuto personale di “passata<br />

povertà” ed un disagio nel ricevere l’appel<strong>la</strong>tivo di “immigrato”; il terzo<br />

riguarda <strong>la</strong> mediazione culturale fra padri e figli, nel senso che i legami con il<br />

paese d’origine sono trasmessi soprattutto attraverso le idee, i valori ed i ricordi<br />

orali dei genitori, mentre i figli sono inevitabilmente portatori, in modo più o<br />

meno diretto, delle idee, dei valori e delle pratiche con cui sono entrati in<br />

contatto nel corso delle esperienze sociali, sco<strong>la</strong>stiche e professionali del paese<br />

che li ha accolti.<br />

15 Cesari V. (1997) Quando <strong>la</strong> sfida viene chiamata integrazione. Roma, <strong>la</strong><br />

Nuova Italia Scientifica.<br />

40


Le implicazioni di questi tre aspetti sono molto importanti per lo sviluppo, in<br />

quanto “<strong>la</strong> seconda generazione” deve trovare un punto d’accordo sul piano<br />

morale fra famiglia e società, si trova a dover far fronte agli stereotipi che hanno<br />

accompagnato <strong>la</strong> vita dei genitori, a doversi collocare nei fenomeni di<br />

categorizzazione fra gruppi che amplificano somiglianze e differenze, a vivere<br />

spesso <strong>la</strong> condizione difficile di chi, invertendo i ruoli, deve aiutare i più<br />

anziani, cioè i genitori, nel superare le difficoltà legate al<strong>la</strong> lingua lingua, alle<br />

norme, agli usi e costumi di una terra che li ha accolti, ma spesso non ha<br />

facilitato <strong>la</strong> loro integrazione.<br />

--------------<br />

Attenzione!<br />

Abbiamo scelto l'esempio <strong>degli</strong> italiani immigrati in Svizzera per ricordare che il<br />

disagio di molti ragazzini ( e probabilmente il numero è destinato ad aumentare!)<br />

ha origini nei percorsi di integrazione fra etnie diverse.<br />

---------------<br />

I <strong>la</strong>vori più recenti, condotti nei paesi in cui esistono già "seconde generazioni<br />

adolescenti o adulte" di immigrati, mostrano il fenomeno conosciuto come<br />

"riuscite paradossali", cioè percorsi di sviluppo e di apprendimento che hanno<br />

potuto beneficiare del sostegno di alcuni personaggi (molto spesso fratelli o<br />

sorelle più grandi) o del<strong>la</strong> condivisione, in famiglia, di una rappresentazione del<strong>la</strong><br />

scuo<strong>la</strong> come strumento di avanzamento sociale e di miglioramento economico.<br />

Questo per dire che anche nelle situazioni più difficili, quelle che sembrano ormai<br />

completamente bruciate, non bisogna mai stancarsi di cercare qualcuno o qualcosa<br />

che abbia <strong>la</strong> funzione di fattore di protezione nello sviluppo; quando poi, per<br />

molte ragioni, non si riesce a trovare quest'ancora di salvataggio, allora l'operatore<br />

sociale può ragionare sul proprio ruolo e sul proprio <strong>la</strong>voro, scegliendo per sé<br />

proprio il percorso più difficile, cioè quello di tendere una mano a chi spesso né<br />

<strong>la</strong> chiede né <strong>la</strong> vuole.<br />

41


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SCHEDA 5<br />

Fra casa e scuo<strong>la</strong> figlio<br />

"…comunque per diventare alunni non è sufficiente frequentare <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>; occorre<br />

che l'assunzione di questo ruolo venga accettata, condivisa e sostenuta anche<br />

all'interno delle mura domestiche; naturalmente questo processo, che riguarda tutti<br />

i membri di una famiglia, sfocia raramente in un'aperta contrapposizione con <strong>la</strong><br />

scuo<strong>la</strong>, mentre è sempre più frequente, da parte dei genitori, o <strong>la</strong> messa in<br />

discussione del<strong>la</strong> gestione quotidiana del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse criticando apertamente con il<br />

figlio l'operato dell'insegnante, o un disinteresse mascherato da una delega<br />

complessiva alle funzioni delle istituzioni educative. (…) Ciò che vogliamo<br />

ribadire è che al difficile compito di essere un alunno, meglio se "bravo", non si<br />

può non aggiungere il compito di essere il "messaggero" dei punti di vista <strong>degli</strong><br />

adulti. Genitori ed insegnati hanno inevitabilmente un dialogo implicito attraverso<br />

il comportamento tenuto a scuo<strong>la</strong> dal figlio-alunno, ma non dovrebbero mai<br />

utilizzare questo canale per inviarsi messaggi di sfiducia reciproca, per<br />

sottovalutare le scelte <strong>degli</strong> uni e <strong>degli</strong> altri, per mettere in discussione modelli<br />

culturali diversi perché il prezzo lo pagherebbero inevitabilmente gli alunni. In<br />

questo caso potremmo par<strong>la</strong>re di un vero e proprio conflitto culturale, poiché<br />

l'alunno si troverebbe ad essere il bersaglio del conflitto fra i valori ed i modelli<br />

educativi familiari e quelli sostenuti dagli insegnati e dal<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>.<br />

Carugati F., Selleri P. (1998) Quelli che <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>… Il mestiere di alunno nelle<br />

culture delle scuole, Archivio di Psicologia Neurologia e Psichiatria, Anno LIX,<br />

settembre-ottobre, 582-597, pag.594.<br />

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42


………..Approfondimenti bibliografici<br />

Rispetto a quest'ultimo capito, il discorso meriterebbe di essere al<strong>la</strong>rgato:<br />

A.A.V.V.(1998) Dizionario del<strong>la</strong> diversità: le parole<br />

dell’immigrazione, del razzismo, del<strong>la</strong> xenofobia. Firenze, Edizioni<br />

Liberal Libri.<br />

Boekaerts M. (1999) Costruzione del Sé e percezione del controllo<br />

sull'apprendimento: le differenze culturali, Psicologia dell'Educazione e del<strong>la</strong><br />

Formazione, 1,2,155-192.<br />

Gomes A.M. (1998) “Vegna che ta fago scriver”. Etnografia del<strong>la</strong><br />

sco<strong>la</strong>rizzazione in una comunità di Sinti. Roma, CISU.<br />

Pallotti G.(1999) Socializzazione e apprendimento del<strong>la</strong> seconda lingua,<br />

Etnosistemi, 1.<br />

Henriot-van Zanten (1996) Re<strong>la</strong>zioni fra scuo<strong>la</strong> e comunità, in F.<br />

Gobbo (a cura di) Antropologia dell’educazione. Scuo<strong>la</strong>, cultura,<br />

educazione nel<strong>la</strong> società multiculturale. Mi<strong>la</strong>no, Unicopli.<br />

Da leggere o rileggere:<br />

Høeg P. (1993) I quasi adatti. Mi<strong>la</strong>no, Mondadori,1996<br />

Corsa di primavera, di Giacomo Campiotti, Italia, 1989<br />

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