7 - Regione Siciliana
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REGIONE SICILIANA<br />
Assessorato dei Beni Culturali ed Ambientali e P.I.<br />
Dipartimento dei Beni Culturali ed Ambientali<br />
e dell’Educazione Permanente<br />
Soprintendenza del Mare<br />
a<br />
Progetto Scuola-Museo<br />
Archeosub: l’archeologia subacquea nelle scuole<br />
ILMARE<br />
COMEMUSEO<br />
DIFFUSO
Progetto Scuola-Museo. Archeosub: l’archeologia subacquea nelle scuole<br />
ILMARECOMEM
REGIONE SICILIANA<br />
Assessorato dei Beni Culturali ed Ambientali e P.I.<br />
Dipartimento dei Beni Culturali ed Ambientali<br />
e dell’Educazione Permanente<br />
Soprintendenza del Mare<br />
USEODIFFUSO<br />
A cura di Alessandra Nobili
© 2004<br />
<strong>Regione</strong> <strong>Siciliana</strong><br />
Assessorato dei Beni Culturali<br />
ed Ambientali e P.I.<br />
Dipartimento dei Beni Culturali<br />
ed Ambientali e dell’Educazione Permanente<br />
Soprintendenza del Mare<br />
Progetto Scuola-Museo<br />
Archeosub: l’archeologia subacquea nelle scuole.<br />
ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
Responsabile del progetto<br />
Gaetano Lino<br />
Consulente scientifico<br />
Sebastiano Tusa<br />
Coordinamento<br />
Alessandra Nobili<br />
Testi<br />
Francesco Benassi<br />
Nicola Bruno<br />
Ferdinando Lentini<br />
Stefano Medas<br />
Alessandra Nobili<br />
Sebastiano Tusa<br />
Collaborazioni<br />
Floriana Agneto<br />
Vito Carlo Curaci<br />
Salvo Emma<br />
Roberto La Rocca<br />
Pietro Selvaggio<br />
Ignazia Torretta<br />
Referente per la scuola<br />
Nicola Bruno<br />
Stampa e allestimento<br />
Officine Grafiche Riunite SpA<br />
Progetto grafico e impaginazione<br />
Maurizio Accardi<br />
Un ringraziamento particolare<br />
alla dott.ssa Assunta Lupo<br />
Dirigente dell’Unità Operativa XV<br />
Attività di Educazione Permanente<br />
Dipartimento Regionale dei Beni<br />
Culturali e Ambientali ed E.P.<br />
Il mare come museo diffuso : progetto scuola-museo : archeosub: l’archeologia<br />
subacquea nelle scuole / a cura di Alessandra Nobili. - Palermo : <strong>Regione</strong> siciliana,<br />
Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, Dipartimento<br />
dei beni culturali e ambientali e dell’educazione permanente, 2004.<br />
1. Archeologia subacquea. I. Nobili, Alessandra .<br />
930.102804 CDD-20<br />
CIP - Biblioteca centrale della <strong>Regione</strong> siciliana “Alberto Bombace”
6<br />
8<br />
14<br />
20<br />
24<br />
30<br />
36<br />
44<br />
68<br />
Introduzione<br />
1 La navigazione antica<br />
2 Un popolo di navigatori: i Fenici<br />
3 Carte per navigare<br />
4 Anfore e ancore<br />
5 Che cos’è l’archeologia subacquea<br />
6 Metodologia e tecnica della ricerca<br />
archeologica subacquea<br />
7 Le scoperte archeologiche subacquee in Sicilia<br />
8 Come comportarsi se ci si imbatte in reperti<br />
archeologici sommersi
6 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
INTRODUZIONE<br />
di Sebastiano Tusa<br />
Raffigurazione<br />
nave attica - 520 a.C.
“Cinquanta giorni dopo il solstizio, quando volge al colmo l’estate spossante,<br />
questo è per i mortali il tempo per navigare. In questo tempo non infrangerai<br />
la nave, né il mare ucciderà gli uomini, a meno che non voglia perderli<br />
Posidone Scuotiterra o Zeus re degli immortali: che essi hanno in mano il<br />
potere del bene e del male.<br />
Quando i venti sono regolari e il mare sicuro, allora spingi in mare la nave<br />
veloce e affidala pure ai venti. Riponivi tutto il tuo carico e affrettati a<br />
tornare a casa prima che puoi. Non aspettare il vino nuovo, le piogge<br />
d’autunno, né che arrivino le tempeste e i temibili soffi del vento di<br />
mezzogiorno, che agita le onde, compagno della gran pioggia d’autunno che<br />
Zeus manda e rende aspro il mare.”<br />
(Esiodo, Le opere e i giorni)<br />
La prudenza e il timore verso la divinità sono un atteggiamento tipico<br />
nella navigazione antica.<br />
Al contempo, la trasgressione di questi principi costituisce il fulcro ispiratore<br />
di famose pietre miliari della letteratura mediterranea antica, come<br />
l’Odissea, o lo stimolo per quelle incredibili avventurose esplorazioni per<br />
mare che sono state la base di immense possibilità di arricchimento per<br />
l’uomo. Ulisse come Colombo, trasgressori di regole e credenze consolidate,<br />
riescono a sfidare l’impossibile, riuscendoci ed acquisendo in tal modo il<br />
favore soprannaturale e la gloria eterna.<br />
Il mare e la sua storia, il fascino degli abissi, il richiamo di terre lontane, il<br />
fantastico mondo della marineria e l’oggettiva bellezza dell’elemento hanno<br />
da sempre appassionato moltitudini di persone di varia cultura, estrazione<br />
sociale ed età.<br />
L’ARCHEOLOGIA SUBACQUEA trattando proprio dei reperti storici inerenti al<br />
rapporto uomo-mare, deve oggi occuparsi non soltanto della ricerca di<br />
nuovi dati, come fu nella sua fase pionieristica all’indomani della scoperta<br />
dell’autorespiratore ad aria, ma anche della tutela di queste testimonianze<br />
che uno scorretto approccio di massa ha, nel corso degli ultimi decenni,<br />
decimato.<br />
INTRODUZIONE<br />
7
1<br />
8 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
LA NAVIGAZIONE<br />
ANTICA<br />
di Stefano Medas<br />
LE PRIME IMBARCAZIONI<br />
La prime forme di navigazione condotte<br />
dall’uomo hanno origini antichissime e<br />
rimandano all’epoca paleolitica.<br />
Dal Neolitico, tra il VI e il IV millennio,<br />
iniziarono a svilupparsi delle vere e proprie<br />
navigazioni commerciali organizzate su lunghe<br />
distanze, fino ed oltre le 50 miglia in mare aperto,<br />
come testimonia la diffusione, in ambito<br />
mediterraneo, dell’ossidiana, la pietra vulcanica<br />
da cui venivano ricavate lame taglienti come<br />
schegge di vetro.<br />
Non vi è certezza su quali fossero i natanti<br />
impiegati per la navigazione marittima nella<br />
preistoria. Secondo alcune teorie furono le zattere<br />
di canne o di tronchi a rappresentare il primo<br />
passo nell’evoluzione dell’architettura navale,<br />
secondo altre fu fondamentale il ruolo svolto<br />
dalle imbarcazioni monossili, cioè dalle piroghe<br />
ricavate da un unico tronco d’albero.<br />
Dopo aver usato per millenni piroghe e zattere,<br />
l’uomo iniziò a sviluppare la costruzione di vere e<br />
proprie navi, intese come strutture galleggianti<br />
relativamente sicure e capaci di essere governate.<br />
Di fondamentale rilievo fu l’attività che si<br />
sviluppò sulle sponde del Nilo, per le<br />
caratteristiche di navigabilità del fiume, allo scopo<br />
del trasporto di merci e materiali da costruzione.<br />
1
2<br />
3<br />
I VIAGGI PER MARE NELL’ANTICHITÀ CLASSICA<br />
Nell’antichità classica la navigazione raggiunse<br />
uno sviluppo davvero notevole.<br />
Si condussero viaggi esplorativi oltre le Colonne<br />
d’Ercole, nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano,<br />
testimoniati sia dalle fonti scritte che dai<br />
IMPRESE AUDACI<br />
Intorno al 600 a.C. si colloca la presunta<br />
circumnavigazione dell’Africa da oriente (Mar Rosso)<br />
verso occidente (con ingresso nel Mediterraneo<br />
attraverso Gibilterra), che sarebbe stata compiuta da<br />
marinai fenici al servizio del faraone egiziano Nechao.<br />
Sempre le fonti scritte ricordano le due spedizioni<br />
esplorative intraprese dai comandanti cartaginesi<br />
Annone e Imilcone, il primo diretto verso le coste<br />
atlantiche dell’Africa occidentale (forse fino al Golfo di<br />
Guinea), il secondo verso quelle dell’Europa<br />
settentrionale (forse fino alla Cornovaglia o alle Isole<br />
Britanniche). Le imprese dei due cartaginesi si datano<br />
LA NAVIGAZIONE<br />
ANTICA<br />
1<br />
1 Galera attica. VI secolo a.C.<br />
2 Costruzione di un’imbarcazione di papiro in un bassorilievo egizio.<br />
3 Ceramica greca della fine del VI sec. a.C. con raffigurazione di una nave<br />
lunga che naviga con doppia propulsione, a remi e a vela.<br />
rinvenimenti archeologici.<br />
In epoca romana imperiale tutte le sponde e le<br />
isole del Mediterraneo erano regolarmente<br />
collegate da rotte di lungo corso e di cabotaggio.<br />
probabilmente intorno alla metà del V sec. a.C.<br />
Nel IV sec. a.C. il greco Pitea di Marsiglia condusse un<br />
lunghissimo viaggio verso l’estremo Nord, raggiungendo<br />
le Isole Britanniche, spingendosi forse verso le coste<br />
occidentali della Penisola Scandinava e addirittura,<br />
secondo ipotesi non confermate, fino all’Islanda.<br />
Alla fine del II sec. a.C., invece, rimandano le notizie<br />
storiche sulle spedizioni del greco Eudosso di Cizico,<br />
che navigò verso oriente fino a raggiungere l’India e che<br />
tentò, successivamente, una circumnavigazione<br />
dell’Africa da occidente verso oriente, sul cui esito finale<br />
non possediamo informazioni.<br />
9
LE NAVI<br />
LA NAVIGAZIONE<br />
ANTICA<br />
1<br />
10 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
Modellino ricostruttivo della nave di<br />
Yassi Ada, basata sul relitto del VII<br />
sec. d.C. trovato nelle acque di<br />
Yassi Ada (Turchia). Si notano bene<br />
tutti i particolari della vela quadra e<br />
della sua attrezzatura (sia della<br />
maestra, sia della vela di prua), i<br />
timoni laterali e le attrezzature della<br />
coperta.<br />
Le navi da trasporto (le onerarie) greco-romane si<br />
caratterizzavano per lo scafo arrotondato e per un<br />
rapporto lunghezza-larghezza intorno a 4:1.<br />
Quelle romane armavano generalmente un albero<br />
maestro, collocato verso centro nave o<br />
leggermente decentrato verso prua, e un albero<br />
prodiero, inclinato in avanti oltre la prua. Tanto<br />
all’albero maestro quanto all’albero prodiero<br />
erano armate delle vele quadre.<br />
L’organo di governo delle navi antiche era<br />
costituito da due timoni o governali laterali,<br />
posizionati ai lati della poppa.<br />
Il timone centrale incernierato nel dritto di<br />
poppa, cioè l’organo di governo che siamo<br />
abituati a riconoscere in tutte le imbarcazioni dei<br />
nostri giorni, fu introdotto nel Mediterraneo<br />
dall’Europa del Nord in epoca medievale.<br />
Sarcofago romano del III sec. d.C.<br />
in cui sono raffigurate due navi con<br />
vela quadra (ai lati) e una con vela a<br />
tarchia (al centro).<br />
ALTRI TIPI DI VELA<br />
Oltre alla vela quadra,<br />
almeno dall’epoca<br />
greco-ellenistica, sono<br />
note anche altre<br />
tipologie veliche, come<br />
quella a tarchia (vela<br />
assiale inferita<br />
all’albero).<br />
Risulta più difficile,<br />
invece, collocare<br />
cronologicamente<br />
l’introduzione della vela<br />
latina (la caratteristica<br />
vela di forma triangolare),<br />
che secondo alcune<br />
ipotesi risalirebbe<br />
almeno all’epoca romana<br />
imperiale, secondo altre<br />
ad un apporto della<br />
marineria araba in epoca<br />
alto-medievale. È ormai<br />
assodato, comunque,<br />
che la vela quadra<br />
poteva essere<br />
manovrata in modo da<br />
farle assumere una<br />
forma triangolare,<br />
destinata a stringere<br />
meglio il vento e a<br />
navigare bordeggiando,<br />
ed è probabile che da<br />
questo tipo di riduzione<br />
della vela quadra abbia<br />
avuto origine la vela<br />
latina.
IL CARICO<br />
Come è noto, il principale<br />
contenitore da trasporto<br />
utilizzato nell’antichità era<br />
l’anfora.<br />
Le anfore venivano disposte<br />
nella stiva della nave in una o<br />
più file sovrapposte, incastrate<br />
tra loro in modo che la parte<br />
inferiore dell’anfora di una fila<br />
superiore si incastrasse nello<br />
spazio vuoto lasciato dalle<br />
anfore della fila sottostante. Per<br />
evitare i rischi di frattura, tra le<br />
anfore venivano poste delle<br />
ramaglie che avevano la<br />
funzione di ammortizzare gli<br />
urti.<br />
Si deve alla presenza del carico<br />
d’anfore la conservazione della<br />
maggior parte dei relitti navali<br />
sul fondo marino; il carico,<br />
infatti, ha svolto nel tempo una<br />
funzione protettiva che ha<br />
preservato parte delle strutture<br />
lignee e che ha permesso,<br />
inoltre, l’individuazione del<br />
relitto stesso.<br />
Va comunque sottolineato che<br />
quanto si conserva è<br />
generalmente solo una parte<br />
esigua dello scafo, quella<br />
rimasta maggiormente protetta<br />
sotto i sedimenti, mentre la<br />
maggior parte di esso, e<br />
soprattutto le sovrastrutture, è<br />
andata perduta.<br />
Il relitto della Madrague de Giens<br />
(Francia), I sec. a.C., con la prima<br />
fila del carico di anfore ancora nella<br />
posizione originaria.<br />
LA NAVIGAZIONE<br />
ANTICA<br />
1<br />
Ricostruzione parziale della stiva di<br />
una nave oneraria romana con il<br />
carico di anfore, impilate in file<br />
sovrapposte (Museo archeologico<br />
regionale eoliano “Luigi Bernabò<br />
Brea”).<br />
Schema di stivaggio delle anfore.<br />
11
LA NAVIGAZIONE<br />
ANTICA<br />
1<br />
12 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
I delfini sono sempre stati animali<br />
amati dai naviganti; accompagnano<br />
le loro navi durante la navigazione<br />
e, secondo la tradizione, il loro<br />
comportamento può anche fornire<br />
indicazioni sull’evoluzione del<br />
tempo meteorologico. Per i<br />
pescatori, invece, i delfini potevano<br />
essere dei veri e propri nemici,<br />
poiché laceravano le reti in pesca<br />
per mangiare il pesce.<br />
LA NAVIGAZIONE<br />
Il “sapere pratico” e il “senso marino” costituirono<br />
in ogni tempo gli strumenti indispensabili dei<br />
naviganti. La capacità di riconoscere i venti, le<br />
correnti, l’evoluzione del tempo meteorologico e<br />
tutti i possibili segnali provenienti dall’ambiente<br />
marino derivava dalla pratica del mestiere,<br />
dall’esperienza tramandata per generazioni e dalla<br />
continua convivenza con gli elementi naturali.<br />
Non è casuale che la sensibilità dei naviganti<br />
verso questi fattori sia spesso stata interpretata<br />
come un vero e proprio sesto senso.<br />
Le stagioni della navigazione<br />
La navigazione si svolgeva secondo un ritmo<br />
stagionale nel periodo compreso tra la primavera<br />
e l’autunno, con una dilatazione massima che in<br />
epoca romana imperiale andava dalla fine di<br />
marzo agli inizi di novembre. Per il resto<br />
dell’anno, a causa delle sfavorevoli condizioni<br />
meteo-marine, la navigazione d’altura veniva<br />
interrotta (il mare clausum dei Romani), benché il<br />
piccolo cabotaggio non fosse completamente<br />
sospeso. Alla navigazione invernale, invece, erano<br />
talvolta costrette le unità militari.<br />
L’orientamento<br />
Sprovvisti della bussola magnetica, che fu<br />
introdotta nel Mediterraneo solo nel XIII secolo, i<br />
naviganti antichi si orientavano con le stelle di<br />
notte, col sole di giorno e con tutta una serie di<br />
riferimenti ambientali che erano abituati a<br />
riconoscere lungo le rotte percorse abitualmente.<br />
STRUMENTI DI BORDO<br />
Lo scandaglio manuale a sagola era uno strumento indispensabile, sempre<br />
presente a bordo. Composto da un peso di piombo, di forma per lo più<br />
troncoconica, a cui era legata una sagola per calarlo in acqua, serviva per<br />
misurare il fondale, soprattutto durante le manovre di avvicinamento a terra, in<br />
navigazione notturna o con scarsa visibilità atmosferica, o quando si navigava in<br />
zone notoriamente pericolose per la presenza di scogli affioranti, secche e<br />
bassifondi.<br />
Alla base del peso si trovavano una o più cavità destinate a trattenere del sego<br />
che serviva per prelevare un piccolo campione del fondo marino, da cui si<br />
ricavavano preziose indicazioni sulla natura e sulla tipologia del fondo stesso. La<br />
profonda conoscenza del fondo marino rappresentò anche un efficace sistema di<br />
orientamento nelle zone di mare conosciute.<br />
Sonda di scandaglio, rinvenuta nel mare delle isole Egadi.
Perapprofondire<br />
LA NAVIGAZIONE<br />
ANTICA<br />
1<br />
Medas S., De rebus nauticis. L’arte della navigazione nel mondo<br />
antico, Roma 2004.<br />
Höckmann O., La navigazione nel mondo antico, Milano 1988.<br />
Janni P., Il mare degli Antichi, Bari 1996.<br />
Rougé J., Navi e navigazione nell’antichità, Firenze 1977.<br />
13
2<br />
14 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
UN POPOLO<br />
DI NAVIGATORI<br />
I FENICI<br />
di Sebastiano Tusa<br />
I Fenici furono abilissimi navigatori che<br />
riuscirono a dettare legge sul mare per gran<br />
parte del primo millennio a.C. grazie alla loro<br />
imponente flotta di navi da guerra e commerciali.<br />
Le cause che resero queste popolazioni rivierasche<br />
del Libano le più abili del loro tempo, sul mare,<br />
sono da ricercarsi sia nell’esiguità del loro<br />
territorio, sia nelle continue scorrerie, nelle<br />
devastazioni e nelle gravose imposizioni di tributi<br />
che venivano inflitte alle città-stato dai sovrani<br />
mesopotamici. La loro patria era priva di risorse<br />
minerarie che essi cercarono e trovarono anche<br />
nelle terre più lontane. I Fenici erano anche<br />
ottimi mercanti e associarono questa loro abilità<br />
con la sempre assidua ricerca di nuove vie di<br />
sbocco per i loro traffici.<br />
Bassorilievo assiro. 700 a.C. -<br />
Galera da battaglia fenicia.<br />
Relitto della nave punica.<br />
Fondali di Marsala, metà III sec.a.C.<br />
Resti del fasciame (Museo<br />
Archeologico Baglio Anselmi,<br />
Marsala - Trapani).
Nave fenicia da guerra su moneta proveniente da Biblo, 340 a.C.<br />
LE STAZIONI COMMERCIALI<br />
UN POPOLO<br />
DI NAVIGATORI<br />
I FENICI<br />
2<br />
I naviganti fenici intervallavano la navigazione<br />
con lo scalo in una serie di fondaci che fin dalla<br />
loro origine ebbero la triplice funzione di riparo<br />
per i natanti, di stazione commerciale per<br />
l’esportazione dei loro manufatti verso i mercati<br />
dell’entroterra e, infine, di centro di raccolta dei<br />
prodotti locali destinati alla madrepatria.<br />
Alcuni di questi fondaci nel tempo divennero<br />
vere e proprie città fortemente proiettate sul mare<br />
e rivestirono un grande ruolo nei commerci<br />
mediterranei. Nella crescita e fortuna di questi<br />
centri un ruolo vitale ebbero i rapporti con gli<br />
indigeni, la posizione geografica e la capacità<br />
imprenditoriale degli abitanti.<br />
Tra questi primitivi fondaci assurti al rango di<br />
empori internazionali ricordiamo Mozia in<br />
Sicilia, Cagliari, Sulcis e Tharros in Sardegna,<br />
Pantelleria e Malta e, infine, assurta al rango di<br />
capitale di un immenso impero commerciale,<br />
Cartagine, eretta in posizione strategica a cavallo<br />
tra le due metà del Mediterraneo.<br />
ALLA SCOPERTA DI NUOVE ROTTE<br />
Il successo della marineria fenicia era basato sulla<br />
reale abilità nella navigazione, ma anche sulla<br />
consolidata capacità di interagire<br />
15
UN POPOLO<br />
DI NAVIGATORI<br />
I FENICI<br />
2<br />
16 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
commercialmente anche con genti ostili o<br />
comunque ignote.<br />
A tal proposito è illuminante un passo di Erodoto<br />
(IV, 196):<br />
“I Cartaginesi raccontano anche questo, che vi è una<br />
regione della Libia e uomini che la abitano, al di là delle<br />
colonne d’Ercole. Quando siano giunti tra questi e<br />
abbiano scaricato le mercanzie, dopo averle esposte in<br />
ordine lungo la spiaggia risalgono sulla nave e alzano<br />
una fumata. Allora gli indigeni vedendo il fumo vanno<br />
al mare e poi in sostituzione delle mercanzie depongono<br />
oro e si ritirano lontano dalle merci. E i Cartaginesi<br />
sbarcati osservano e se l’oro sembra loro degno delle<br />
mercanzie lo raccolgono e si allontanano, se invece non<br />
sembra degno, risaliti sulla nave di nuovo attendono; e<br />
quelli, fattisi avanti, depongono altro oro, finché li<br />
soddisfino. E non si fanno torto a vicenda perché né<br />
essi toccano l’oro prima che quelli l’abbiano reso uguale<br />
al valore delle mercanzie, né quelli toccano le merci<br />
prima che gli altri abbiano preso l’oro”.<br />
La storia assegna ai Fenici il primato nella<br />
gestione delle rotte commerciali mediterranee del<br />
tempo, ma in più occasioni andarono oltre le<br />
Colonne d’Ercole.<br />
Si spinsero in Sardegna per il rame e per il<br />
piombo; l’oro e l’argento li attrassero in Spagna e<br />
non esitarono a doppiare la penisola iberica per<br />
raggiungere lo stagno che si trovava in Inghilterra,<br />
nel tentativo di aprire una nuova via commerciale<br />
per questo minerale in alternativa a quella<br />
continentale, attraverso la Francia.<br />
Sempre al fine di scoprire nuove rotte e più<br />
proficue fonti di commercio, i Fenici intrapresero<br />
viaggi lungo le coste dell’Africa che ancora nel<br />
XVI secolo d.C. destavano perplessità e timori nei<br />
più arditi navigatori italiani e portoghesi.<br />
La notizia del presunto arrivo di una nave fenicia<br />
a Parahjba, cittadina brasiliana posta all’estrema<br />
punta orientale del continente sudamericano, è<br />
invece del tutto infondata; la presunta iscrizione<br />
fenicia ivi rinvenuta - nota unicamente attraverso<br />
una copia - è un falso da attribuire ad un erudito<br />
degli ultimi anni dell’Ottocento in vena di<br />
scherzi.<br />
LE NAVI ONERARIE<br />
Le navi onerarie di Cartagine erano lunghe tra i<br />
venti e i trenta metri, con una larghezza compresa<br />
tra i cinque e i sette metri, e un pescaggio di circa<br />
un metro e mezzo.<br />
Tra le navi onerarie ricordiamo quelle chiamate<br />
dai Greci gauloi a causa della rotondità della loro<br />
carena che, con il loro rapporto di 4 a 1 tra<br />
lunghezza e larghezza, garantivano la massima<br />
stabilità nelle intemperie insieme con un’ottima<br />
capacità di carico. La poppa era tondeggiante e<br />
culminava con un fregio a coda di pesce o a<br />
voluta, così come la prua, anch’essa curvilinea,
Bassorilievo da Sidone, II sec. d.C.,<br />
raffigurante una grande nave<br />
oneraria (cioè da trasporto) fenicia,<br />
armata con vele quadre (vela<br />
maestra e vela di prua). Si nota il<br />
timone laterale del fianco sinistro.<br />
Rotte di navigazione fenicia oltre le<br />
Colonne d’Ercole.<br />
terminante con l’aplustre, un fregio zoomorfo<br />
rappresentante la testa di un cavallo. Sullo scafo,<br />
alle spalle della prua, erano raffigurati due occhi<br />
che, nelle intenzioni, dovevano permettere alla<br />
nave di vedere la rotta e dovevano incutere terrore<br />
ai nemici. L’unico mezzo di propulsione di questo<br />
tipo di navi era la vela, fissata ad un unico albero.<br />
Il governo della nave era assicurato dal timone<br />
costituito da un remo con pale asimmetriche<br />
molto ampie, che era fissato sul lato sinistro in<br />
prossimità dalla poppa. Sul ponte della nave,<br />
sempre verso la parte poppiera, sorgeva il castello<br />
che offriva riparo all’equipaggio e conteneva le<br />
attrezzature necessarie per la navigazione tra cui la<br />
cucina di bordo. L’equipaggio di queste navi<br />
raramente superava i venti uomini, poiché la<br />
navigazione a vela non richiedeva un maggior<br />
numero di marinai.<br />
LE NAVI DA GUERRA<br />
UN POPOLO<br />
DI NAVIGATORI<br />
I FENICI<br />
2<br />
Le navi da guerra erano più filanti, con un<br />
rapporto lunghezza-larghezza di circa 7:1. Erano<br />
di diversa dimensione e si passava dagli agili<br />
“avvisi-scorta” alle gigantesche pentere. La carena<br />
era fortemente convessa ed era protetta, per tutta<br />
la superficie dell’opera viva, da una fasciatura di<br />
piombo tenuto insieme con chiodi di rame o di<br />
bronzo; tra questo ed il fasciame era distesa una<br />
coltre bituminosa che contribuiva a rendere<br />
stagna la nave. Sulla prua era fissato il rostro; ai<br />
bordi erano dipinti gli occhi, in prossimità dei<br />
fori per le cime delle ancore. Il castello di prua<br />
proteggeva gli arcieri e le catapulte. A poppa il<br />
cassero era destinato all’alloggio degli ufficiali.<br />
Erano dotate di due timoni e di due alberi dei<br />
quali uno al centro che imprimeva alla nave la<br />
propulsione ed uno a prua per governare con i<br />
17
UN POPOLO<br />
DI NAVIGATORI<br />
I FENICI<br />
TIPOLOGIE DI NAVI<br />
DA GUERRA<br />
Tra le navi da guerra la<br />
pentecontera era lunga<br />
venticinque metri ed aveva<br />
cinquanta uomini ai remi,<br />
divisi sui due lati, e dieci<br />
d’equipaggio. Il ritmo dei<br />
rematori era garantito da un<br />
flautista.<br />
La trireme o triere, in uso<br />
2<br />
18 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
venti al traverso. Durante la battaglia si<br />
abbandonava la propulsione velica, che serviva<br />
soltanto per l’avvicinamento, e si passava<br />
all’azione dei rematori, dopo aver rimosso l’albero<br />
dal suo alloggiamento. E’ interessante ricordare<br />
che l’equipaggio delle navi da guerra non aveva<br />
mercenari.<br />
Le flotte erano costituite da più squadre di dodici<br />
navi. La tattica di combattimento poteva essere di<br />
passaggio rapido attraverso le file nemiche con<br />
successiva virata ed attacco al nemico di poppa<br />
(diecplus), o di attacco ai fianchi con sperone<br />
(periplus).<br />
L’unico esempio di nave non mercantile fenicia<br />
finora conosciuta è la ben nota nave di Marsala<br />
che, per le dimensioni ridotte e per l’assenza del<br />
rostro, può considerarsi una nave di<br />
avvistamento.<br />
tra il VII ed il IV secolo a.C.,<br />
aveva centottanta uomini,<br />
dei quali ottantacinque per<br />
lato ai remi, disposti su tre<br />
file sfalsate, ed il resto<br />
come equipaggio, oltre alla<br />
fanteria imbarcata. La sua<br />
Nave da guerra fenicia bireme. VII<br />
sec. a.C.
lunghezza era di<br />
trentacinque metri.<br />
LA FINE DEL PREDOMINIO SUL MARE<br />
La tetrera venne usata a<br />
partire dal IV secolo a.C.<br />
Aveva duecentoquaranta<br />
rematori su trenta remi<br />
(quattro rematori per remo).<br />
Era lunga quaranta metri,<br />
larga sei e pescava circa<br />
La potenza cartaginese sul mare, che a lungo<br />
aveva resistito con successo nel contrasto con le<br />
varie marinerie greche, dovette soccombere di<br />
due metri, sviluppando una<br />
velocità massima di circa<br />
sei nodi.<br />
La pentera aveva trecento<br />
rematori distribuiti su trenta<br />
remi per lato (cinque<br />
rematori per remo). Era<br />
lunga quaranta metri, larga<br />
sei e pescava due metri,<br />
sviluppando anch’essa<br />
circa sei nodi di velocità.<br />
Perapprofondire<br />
UN POPOLO<br />
DI NAVIGATORI<br />
I FENICI<br />
2<br />
Bartoloni P., Il commercio e l’industria, in I Fenici, a cura di<br />
Sabatino Moscati, 1988, pp.78-85.<br />
Bartoloni P., Le navi e la navigazione, in I Fenici, a cura di<br />
Sabatino Moscati, 1988, pp.72-77.<br />
Casson L., Viaggi e viaggiatori dell’antichità, Milano 1978.<br />
Gianfrotta P., Pomey P., Archeologia subacquea. Storia, tecniche,<br />
scoperte e relitti, Milano 1981.<br />
Janni P., Il mare degli Antichi, Bari 1996.<br />
fronte ad un popolo che, paradossalmente, con il<br />
mare non aveva avuto nulla in comune, almeno<br />
nelle sue origini: i Romani.<br />
I Romani copiarono le navi fenicie, ne studiarono<br />
le tecniche di navigazione ed infine, sintetizzando<br />
meravigliosamente terra e mare, riuscirono a<br />
emergere anche nel conflitto navale decretando,<br />
con la vittoria di Lutezio Catulo su Annone nella<br />
battaglia delle Egadi (241 a.C.), il declino<br />
irreversibile di Cartagine. Da quel momento<br />
Roma divenne anche potenza marinara.<br />
Ricostruzione della battaglia delle Egadi.<br />
Ipotesi sulla dinamica della battaglia.<br />
19
20<br />
3<br />
CARTE<br />
PER NAVIGARE<br />
di Alessandra Nobili<br />
PERIPLI E ITINERARI MARITTIMI<br />
La navigazione antica si avvalse per secoli dei<br />
“Peripli”, narrazioni di viaggi marittimi che<br />
riportavano la descrizione delle regioni<br />
costeggiate, i porti toccati, le distanze percorse e<br />
ogni particolarità rilevata che potesse essere utile<br />
nel prendere il mare.<br />
Di grande suggestione è il periplo di Pitea di<br />
Marsiglia, navigatore greco vissuto nel IV sec.<br />
a.C., che compì un viaggio oltre lo stretto di<br />
Gibilterra, nei mari dell’Europa Settentrionale.<br />
Egli ebbe modo di intuire l’influenza della Luna<br />
sulle maree e di percepire il meccanismo di<br />
alternanza di giorni e notti di sei mesi ai poli.<br />
In età romana si diffusero i cosiddetti “Itinerari”,<br />
vere e proprie guide per conoscere le<br />
caratteristiche del viaggio da intraprendere o<br />
intrapreso, sviluppate sia in forma narrativa, sia in<br />
forma grafica.<br />
Accanto agli itinerari terrestri, nei quali erano<br />
indicati denominazione delle strade da seguire,<br />
Ricostruzione schematica di una rappresentazione della Terra in periodo<br />
ellenistico (Eratostene di Cirene, direttore della Biblioteca di Alessandria, III<br />
sec. a.C.). Le terre abitate sono viste come un unico continente, allungato in<br />
senso orizzontale, circondato dall’Oceano.<br />
fiumi da attraversare, distanze da percorrere,<br />
nome delle località da toccare, venivano realizzati<br />
anche gli itinerari marittimi, che contenevano<br />
notizie utili alla navigazione: rotte, distanze e<br />
descrizioni delle coste e dei porti. Di questi ultimi<br />
però sono giunti sino a noi solo dei frammenti,<br />
ed esclusivamente in forma narrativa.
Sardegna e Sicilia secondo Tolomeo (II sec. d.C.).<br />
La Sicilia presenta una forma triangolare con la base in basso, modello che<br />
perdurerà sino a tutto il rinascimento, accanto alle rappresentazioni<br />
moderne. La costa settentrionale ha un orientamento NE/SO che sembra<br />
sottolineare la posizione di ponte dell’Isola tra l’Italia e l’Africa<br />
LA FORMA DELLA TERRA<br />
PER GLI ANTICHI<br />
La necessità di<br />
rappresentare il mondo<br />
conosciuto e di fare ipotesi<br />
sulla forma della Terra ha<br />
origini antichissime.<br />
Comune a molte civiltà era<br />
la percezione del cielo<br />
come una calotta che<br />
sovrastava il Mondo, a sua<br />
volta immaginato come un<br />
disco piano costituito da<br />
terre emerse circondate<br />
dall’Oceano.<br />
Questi concetti si<br />
ritrovavano anche nel mito<br />
greco di origine omerica. La<br />
Terra era descritta come un<br />
disco attorniato<br />
dall’Oceano, poderosa<br />
massa d’acqua che dava<br />
vita a tutti i corsi d’acqua e<br />
ai restanti mari. Al centro<br />
del disco erano l’Ellade e il<br />
Monte Olimpo, sede degli<br />
Dei. Dal perimetro del disco<br />
si alzava la volta bronzea<br />
del cielo, con incastonate le<br />
stelle, mentre Luna, Sole e<br />
altri cinque astri, Mercurio,<br />
Venere, Marte, Giove e<br />
Saturno, erano in<br />
movimento sotto di essa, e<br />
perciò venivano detti<br />
“erranti”.<br />
Accanto al mito, sempre nel<br />
mondo greco, si sviluppò la<br />
ricerca di alcuni filosofi e,<br />
più tardi, di matematici,<br />
astronomi e geografi che,<br />
dall’iniziale convinzione che<br />
la Terra fosse un discoide<br />
piatto, passarono all’ipotesi<br />
che la terra avesse forma<br />
sferica. Vennero sviluppati<br />
grandi trattati di geografia,<br />
si fecero ipotesi sulla scorta<br />
di principi astronomici, si<br />
elaborarono rudimentali<br />
reticoli geografici e si<br />
disegnarono mappe della<br />
Terra, ma nessuna di queste<br />
è giunta sino a noi.<br />
In età romana, nel II secolo<br />
d.C., Claudio Tolomeo,<br />
alessandrino, produsse i<br />
primi atlanti nei quali le terre<br />
CARTE<br />
PER NAVIGARE<br />
3<br />
Rappresentazione della Terra<br />
secondo Tolomeo (II sec. d.C.).<br />
L’area territoriale conosciuta è<br />
molto estesa: compaiono notizie sui<br />
paesi dell’Asia orientale e<br />
dell’Africa.<br />
emerse erano delineate in<br />
un reticolo di meridiani e<br />
paralleli, utilizzando nozioni<br />
matematiche per calcolare<br />
le coordinate delle località<br />
da posizionare. La<br />
Geografia tolemaica, della<br />
quale si persero quasi le<br />
tracce durante il Medioevo,<br />
si conobbe in occidente<br />
sostanzialmente a partire<br />
dal rinascimento, e venne<br />
diffusa attraverso numerose<br />
edizioni a stampa. L’opera<br />
di Tolomeo pose le basi per<br />
la moderna cartografia<br />
scientifica e rimase per<br />
secoli il modello di<br />
riferimento, così come la<br />
sua teoria che la Terra è il<br />
centro dell’Universo, teoria<br />
che restò indiscussa sino al<br />
XVI secolo, quando venne<br />
scalzata dall’avvento della<br />
rivoluzione copernicana.<br />
21
22<br />
CARTE<br />
PER NAVIGARE<br />
3<br />
Tabula Peutingeriana particolare dell’Itinerario con la città<br />
di Roma (a destra in centro) - Biblioteca Nazionale di Vienna.<br />
ITINERARI TERRESTRI<br />
Degli itinerari romani terrestri in forma<br />
grafica, nel rinascimento è stata rinvenuta la<br />
cosiddetta Tabula Peutingeriana, dal nome<br />
dell’antiquario Konrad Peutinger che ne venne in<br />
possesso. La carta, considerata uno dei monumenti<br />
cartografici dell’antichità, rappresenta l’intero mondo<br />
conosciuto al tempo degli antichi romani: Europa, Africa<br />
ed Asia, sino alla Cina. Mostra strade, distanze, città e<br />
varie immagini allegoriche. La sua forma stretta e lunga,<br />
che nasce dall’unione di più pergamene, dà una<br />
raffigurazione dei territori deformata, poiché scopo del<br />
disegno non è la rappresentazione dei luoghi, bensì la<br />
loro descrizione.<br />
PORTOLANI E CARTE NAUTICHE<br />
A partire dal XIII secolo, iniziò la redazione delle<br />
carte nautiche. Si trattava di carte manoscritte,<br />
realizzate su pergamena, accompagnate<br />
generalmente da una parte narrativa chiamata<br />
“portolano” con notazioni su approdi, distanze,<br />
secche, rotte e caratteristiche delle coste.<br />
Diffusesi a seguito dell’ampliamento dei<br />
commerci, rispondevano ad esigenze pratiche ben<br />
precise e facevano capo ad un bagaglio di<br />
conoscenze che si tramandava da secoli nell’andar<br />
per mare.<br />
Erano carte complementari alle carte terrestri.<br />
Così come le mappe fatte per i viandanti<br />
dovevano recare indicazioni di strade, paesi,<br />
fiumi, guadi, rilievi, tralasciando le notazioni che<br />
riguardassero il mare, le carte nautiche, al<br />
contrario, si presentavano scarne di informazioni<br />
riguardanti la terraferma, mentre erano affollate<br />
di segni nello spazio dei mari.<br />
Raffiguravano le coste in maniera dettagliata,<br />
mettendo in evidenza porti, approdi, capi, baie,<br />
golfi e tutte le notazioni utili alla navigazione.<br />
Tale genere di carte nautiche fu diffusamente<br />
utilizzato sino al XVI secolo, quando iniziò ad<br />
essere soppiantato dalle carte moderne.
IL DISEGNO DEI MARI<br />
Oltre a porti, capi, baie, golfi, nelle carte nautiche<br />
simboli particolari evidenziavano scogli pericolosi,<br />
bassifondi e secche. I toponimi trovavano posto tutto intorno al<br />
perimetro costiero, con andamento perpendicolare alla linea di<br />
costa, verso l’interno, per lasciare maggiore leggibilità alla<br />
carta. Facevano spesso eccezione le isole, dove la ridotta<br />
dimensione obbligava a posizionare i toponimi all’esterno. Dei<br />
fiumi, dei quali interessavano soprattutto le caratteristiche della<br />
foce, veniva delineata solo<br />
l’asta terminale. Disegni di varia<br />
natura e cartigli corredavano<br />
spesso la mappa.<br />
Le carte nautiche erano fatte<br />
per la navigazione a vista, e<br />
non erano adatte per la<br />
navigazione astronomica.<br />
L’uso della bussola, diffusosi<br />
dopo le Crociate, rese<br />
determinante nelle rotte<br />
l’utilizzo della rosa dei venti che<br />
trovò sulle carte delle<br />
applicazioni complesse, con<br />
Carta nautica degli inizi del XVIII<br />
secolo. Particolare (Biblioteca rose dei venti principali e<br />
centrale della <strong>Regione</strong> <strong>Siciliana</strong>).<br />
repliche secondarie a formare<br />
dei reticoli di linee corrispondenti alle direzioni dei venti e dei<br />
relativi punti cardinali.<br />
Ne derivava un sistema di navigazione “piana”, cioè un sistema<br />
che non teneva conto della forma sferica della terra.<br />
L’Italia e le coste del Mediterraneo<br />
in una carta nautica del XVII secolo<br />
(Biblioteca centrale della <strong>Regione</strong><br />
<strong>Siciliana</strong>).<br />
In basso<br />
Mappamondo medievale.<br />
È evidente la funzione didascalicoreligiosa<br />
della rappresentazione,<br />
con elementi allegorici ed<br />
enfatizzazione dei luoghi sacri della<br />
chiesa cristiana (Biblioteca<br />
Nazionale di Torino).<br />
Perapprofondire<br />
CARTE<br />
PER NAVIGARE<br />
3<br />
Iachello E. (a cura di), L’Isola a tre punte, Palermo 2001<br />
La Duca R., Cartografia del Mezzogiorno, Napoli 1972<br />
Dufour L. - La Gumina A., Imago Siciliae, Catania 1998<br />
Quaini M., L’Italia dei cartografi, in “Storia d’Italia”, VI, Atlante,<br />
Torino, Einaudi, 1976, pp. 5-52<br />
Milanesi M. (a cura di), L’Europa delle carte, Milano 1990.<br />
I MAPPAMONDI<br />
MEDIEVALI<br />
Con il declino del mondo<br />
antico e la diffusione del<br />
cristianesimo si entrò in un<br />
periodo di regressione delle<br />
conoscenze scientifiche che<br />
in vario modo<br />
contraddistinse tutto il<br />
medioevo dell’occidente. La<br />
geografia e la cartografia,<br />
abbandonate le speculazioni<br />
matematiche e<br />
astronomiche, divennero<br />
mezzi per divulgare i<br />
messaggi religiosi della<br />
chiesa cattolica.<br />
Si diffuse la produzione dei<br />
mappamondi, carte della<br />
Terra eseguite per lo più da<br />
monaci, e non da cartografi,<br />
di forma spesso circolare.<br />
Le raffigurazioni<br />
comprendevano il solo<br />
mondo abitato, l’ecumene,<br />
rappresentato secondo i<br />
vecchi schemi della Terra<br />
piatta, attorniata<br />
dall’Oceano. L’oriente era<br />
situato in alto, per<br />
l’identificazione del sorgere<br />
del sole con l’origine della<br />
luce divina. Tra i tipi più<br />
caratteristici si annoverano i<br />
cosiddetti mappamondi a T,<br />
nei quali la terra è<br />
rappresentata da Asia, in<br />
alto, ed Europa e Africa a<br />
sinistra e a destra in basso;<br />
linee di demarcazione sono i<br />
fiumi Don e Nilo, che insieme<br />
costituiscono la fascia<br />
superiore, e il Mare<br />
Mediterraneo, che forma<br />
l’asta verticale.<br />
Le carte nautiche si<br />
svilupparono parallelamente<br />
ai mappamondi ma,<br />
dovendo rispondere alle<br />
necessità pratiche della<br />
navigazione, seguirono criteri<br />
evoluti di rappresentazione e<br />
costituirono di fatto l’anello<br />
di congiunzione tra la<br />
cartografia antica e quella<br />
rinascimentale.<br />
23
4<br />
24 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
ANFORE<br />
E ANCORE<br />
di Nicola Bruno<br />
L’ANFORA<br />
L’anfora è forse il più emblematico fra i reperti<br />
che si rinvengono in fondo al mare.<br />
La parola anfora deriva dal greco antico e<br />
letteralmente significa “portare da entrambe le<br />
parti”.<br />
Questi particolari contenitori in terracotta<br />
possono essere infatti presi con le due mani grazie<br />
alla presenza di due manici, che più<br />
correttamente chiameremo anse.<br />
L’esigenza nell’antichità di far circolare via mare<br />
per uso commerciale derrate alimentari ha fatto sì<br />
che l’uomo inventasse un recipiente dai costi<br />
contenuti, maneggiabile e con una forma tale da<br />
poter essere facilmente stivato e trasportato.<br />
Attualmente le conoscenze archeologiche non ci<br />
permettono di tracciare un quadro completo<br />
sull’utilizzo dell’anfora da trasporto, specialmente<br />
per le epoche più antiche.<br />
La prima documentazione, relativa al suo utilizzo,<br />
è di tipo epigrafico e risale alla fine del III<br />
millennio a.C.: nel Mediterraneo orientale (Siria)<br />
e in Mesopotamia sono state rinvenute infatti<br />
delle iscrizioni su tavolette di terracotta, che<br />
3<br />
1<br />
1 Anse dell’anfora. Disegno del<br />
profilo e della sezione.<br />
2 Anfore provenienti dal sito<br />
archeologico subacqueo di Cala di<br />
Gadir (Pantelleria).<br />
3 Anfora cananea dal relitto di Ulu<br />
Burun (Turchia).<br />
testimoniano il suo uso come contenitore di vino.<br />
Una serie di scoperte in scavi terrestri e marini nel<br />
Mediterraneo orientale e nelle regioni bagnate da<br />
esso, inerenti al II millennio, ha permesso invece di<br />
individuare il primo tipo di anfora usata<br />
nell’antichità: quest’ultima, chiamata dagli studiosi<br />
“cananea”, dall’antica regione di produzione<br />
(attuali Siria, Libano e Israele),<br />
possiede già tutte le caratteristiche<br />
espresse prima, che andranno<br />
sempre più perfezionandosi nel<br />
corso dei secoli.<br />
Nell’ambito del I millennio a.C.,<br />
con i Greci, gli Etruschi e i Fenici,<br />
l’anfora diviene il contenitore più utilizzato, con<br />
forme, caratteristiche e capacità diverse, pur<br />
mantenendo le varie parti che ne hanno fatto la<br />
sua fortuna.<br />
Ne sono testimonianza sia una serie di relitti<br />
scoperti e indagati in tutto il Mediterraneo con<br />
carichi di anfore, sia gli scavi condotti in tutte le<br />
città del mondo antico che hanno restituito<br />
grandi quantità di frammenti ceramici,<br />
riconducibili ad anfore da trasporto, provenienti<br />
da tutto il bacino del Mediterraneo.<br />
2
Parti dell’anfora:<br />
A) Ansa<br />
B) Orlo<br />
C) Collo<br />
D) Raccordo<br />
E) Pancia<br />
F) Piede<br />
Rilievo del carico del relitto di Ulu Burun (Turchia).<br />
I relitti più numerosi indagati in fondo al mare<br />
Mediterraneo sono però di periodo romano, dal II<br />
sec. a.C. fino al V sec. d.C, quando l’anfora fu<br />
utilizzata in grandissima quantità e la sua diffusione<br />
fu capillare. Un’eclatante testimonianza di utilizzo e<br />
di diffusione delle anfore da trasporto durante<br />
l’impero romano è costituita dal cosiddetto “monte<br />
dei cocci” (Monte Testaccio) a Roma, estesa collina<br />
artificiale alta più di m 30, formata dagli scarti di<br />
anfore che arrivavano nel vicino porto del Tevere.<br />
Marocco<br />
VIII Sec. a.C.<br />
Baleari<br />
V Sec. a.C.<br />
Esempi di anfore fenicie d’occidente.<br />
Cartagine<br />
Fine VIII - inizi VII Sec. a.C.<br />
Cartagine<br />
IV Sec. a.C.<br />
ANFORE<br />
E ANCORE<br />
4<br />
Sardegna<br />
VI Sec. a.C.<br />
Cartagine<br />
III Sec. a.C.<br />
Con i Romani, e con la loro organizzazione<br />
politica e amministrativa, la cantieristica navale e<br />
il sistema di stivaggio delle navi sono andati via<br />
via perfezionandosi: attraverso lo studio dei resti<br />
di un relitto scoperto nel litorale ligure si è potuto<br />
ipotizzare l’alloggiamento nella stiva delle<br />
presunte 11.000 anfore di vino che dovevano<br />
comporre il carico, disposte su almeno cinque<br />
filari sovrapposti.<br />
Questi particolari recipienti servivano a<br />
trasportare qualsiasi tipo di mercanzia, in generale<br />
vino (per trasportare il quale l’anfora veniva<br />
impermeabilizzata con resina spalmata a caldo su<br />
tutta la superficie interna), olio e grano, ma anche<br />
miele, aceto, formaggio, frutta fresca e frutta<br />
secca, pesce salato e sott’olio, “garum” (salsa di<br />
25
26<br />
ANFORE<br />
E ANCORE<br />
4<br />
Tavola tipologica del Dressel,<br />
studioso che catalogò le anfore<br />
del Monte Testaccio.<br />
Filari di sovrapposizione delle anfore nello stivaggio.<br />
pesce macerato al sole), monete, lumache,<br />
incenso, come ci testimoniano le fonti antiche.<br />
Ritrovamenti subacquei e terrestri ci testimoniano<br />
il sistema di chiusura delle anfore, costituito da<br />
tappi in terracotta, pozzolana o sughero; in alcuni<br />
casi veniva utilizzata una semplice pigna incassata<br />
all’interno del collo; per una maggiore tenuta,<br />
sopra i tappi venivano fatte colare sostanze di<br />
varia natura (resine, pece) per preservare meglio il<br />
contenuto.<br />
Spesso nelle anfore possiamo trovare stampigliato<br />
il nome del proprietario dei vigneti o<br />
dell’esportatore o del fabbricante delle anfore o<br />
degli schiavi che le realizzavano o del proprietario<br />
della nave. Segni graffiti e dipinti potevano invece<br />
riferirsi al carico e al tipo di qualità.<br />
Il “ciclo vitale” delle anfore era molto lungo; ma,<br />
una volta esaurito il loro uso primario, venivano<br />
riutilizzate nei modi più svariati: come tomba per<br />
contenere le ceneri dei defunti o per inumare al<br />
suo interno il cadavere; tagliate a metà potevano<br />
essere utilizzate da famiglie povere come culla<br />
sospesa con corde. Erano inoltre molto usate<br />
nell’edilizia: grossi frammenti di anfore sono stati<br />
trovati dagli archeologi nei muri antichi, come<br />
isolanti per il freddo e per il caldo, e nei tetti di<br />
chiese bizantine e medievali, per alleggerire la
1 Chiusura con tappo in terracotta.<br />
2 Anfora chiusa con pigna.<br />
3 Chiusura con anforisco.<br />
Esempi di bolli d’anfora.<br />
1 2 3<br />
struttura; inoltre, frantumate e mescolate con la<br />
calce, servivano a rendere gli impasti più resistenti.<br />
L’evidente funzionalità di trasporto e di<br />
immagazzinaggio, la studiata forma di ogni<br />
singola parte, il rapporto ponderale contenitorecontenuto,<br />
sufficientemente equilibrato, e il basso<br />
costo dell’oggetto hanno fatto la sua fortuna<br />
nell’antichità.<br />
L’importanza che rivestiva l’anfora da trasporto<br />
nella vita quotidiana di un tempo risulta evidente<br />
dalla messe di dati che può scaturire dal suo studio;<br />
negli ultimi decenni si è infatti assistito ad un<br />
maggiore impulso verso una più attenta e mirata<br />
ricerca. L’indagine subacquea più generalizzata, lo<br />
studio delle tipologie, ormai di prassi in tutti i<br />
contesti archeologici terrestri, e l’individuazione di<br />
nuovi centri di produzione stanno restituendo oggi<br />
un quadro sempre più complesso sulle società del<br />
mondo antico e sulla loro storia economica.<br />
L’ANCORA<br />
ANFORE<br />
E ANCORE<br />
4<br />
Insieme all’anfora, l’ancora è oggetto simbolo<br />
dell’archeologia subacquea. Ma se l’indagine<br />
archeologica a terra e a mare ha permesso una<br />
conoscenza approfondita delle anfore, delle loro<br />
tipologie e delle loro datazioni, anche se tuttora<br />
moltissime questioni devono essere risolte, per le<br />
ancore antiche non abbiamo delle cronologie certe.<br />
Allo stato attuale delle ricerche, infatti, non<br />
disponiamo di una classificazione attendibile,<br />
poiché la maggior parte delle ancore è stata trovata<br />
sott’acqua isolata, e non in associazione con un<br />
relitto e con il suo carico ben databile. Tuttavia è<br />
possibile tracciare per grandi linee la sua evoluzione.<br />
Ancora in sasso monolitico.<br />
27
ANFORE<br />
E ANCORE<br />
4<br />
28 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
Ancore litiche<br />
elementari.<br />
Le ancore più antiche sono sicuramente in pietra<br />
(ancore litiche). Alcune in realtà non sono vere e<br />
proprie ancore: classificate generalmente come<br />
tali, dovrebbero invece essere considerate oggetti<br />
con funzione di peso morto. Fra queste<br />
annoveriamo semplici pietre o pietre con solchi o<br />
con un foro per legare meglio l’oggetto ad una<br />
“corda”.<br />
Un tipo più evoluto è quello di forma<br />
trapezoidale con un foro, presente anch’esso in<br />
tutto il Mediterraneo; la scoperta di raffigurazioni<br />
di ancore di questa forma all’interno di tombe<br />
egiziane del III millennio a.C. ha dato la<br />
possibilità di ipotizzare, almeno a partire da<br />
questo periodo, l’utilizzo di questo tipo di<br />
manufatto nei nostri mari. Ma non sempre<br />
questo ragionamento è valido in archeologia,<br />
trattandosi di aree geografiche distanti fra loro.<br />
Fra l’altro, a rendere più difficoltosa la loro<br />
datazione è l’utilizzo che a tutto oggi si fa di<br />
oggetti simili, costruiti in pratica alla stessa<br />
stregua di quelli più antichi.<br />
Nell’ambito del II millennio a.C., e fino ai primi<br />
secoli del successivo, si sarebbero invece utilizzati<br />
degli strumenti litici provvisti sia di foro per la<br />
corda, sia di uno o più fori per l’alloggiamento di<br />
pioli in legno per artigliare il fondale.<br />
L’ideazione dell’ancora vera e propria,<br />
C<br />
B<br />
Ancora in legno e piombo.<br />
Questo tipo può essere considerato<br />
il progenitore delle attuali ancore di<br />
tipo “ammiragliato”.<br />
A Ceppo<br />
B Fusto<br />
C Marre<br />
D Contromarra<br />
progenitrice di quella moderna, fu un grande<br />
evento nell’antichità, ricordato nelle fonti greche<br />
(il termine ancora, infatti, deriva dal greco e ha il<br />
significato di “curvatura”): la sua invenzione si<br />
data almeno al VII sec. a.C., epoca alla quale si<br />
fanno risalire pendagli a forma di ancore con due<br />
“uncini”, chiamati marre. In un primo momento<br />
il ceppo, che manteneva con il suo peso l’attrezzo<br />
al fondo e garantiva il posizionamento delle marre<br />
per la presa sul fondale, doveva essere in pietra,<br />
con il resto costruito in legno. Ben presto il ceppo<br />
litico fu sostituito dal ceppo in piombo che, per il<br />
suo basso grado di fusione, risultò molto<br />
funzionale. L’introduzione della contromarra,<br />
generalmente con tre incassi (per le due marre e<br />
per il fusto), servì per rinforzare, quando erano in<br />
A<br />
C<br />
D
Ceppi d’ancora in piombo.<br />
Ancore litiche con pioli per<br />
l’ancoraggio al fondale.<br />
Perapprofondire<br />
ANFORE<br />
E ANCORE<br />
4<br />
Joncheray J.-P., Nouvelle classification des amphores, découvertes<br />
lors de fouilles sous-marine, Saint Raphaël, 1976 II ed.<br />
Gianfrotta P. A. - Pomey P., Archeologia subacquea. Storia,<br />
tecniche, scoperte e relitti, Milano 1981.<br />
Perrone Mercanti M., Ancorae antiquae. Per una cronologia<br />
preliminare delle ancore del Mediterraneo, Roma 1979.<br />
trazione, le marre in legno, anch’esse rivestite di<br />
metallo in punta.<br />
I rinvenimenti sottomarini di ancore di questo<br />
tipo ci consentono di datare il loro uso dal VI al<br />
II sec. a.C.<br />
Da quest’ultimo secolo in poi cominciarono a<br />
comparire le prime ancore totalmente in ferro,<br />
spesso ritrovate in relitti in associazione ad ancore<br />
in piombo e legno; certamente l’ancora in ferro<br />
subì una graduale evoluzione a tal punto che, dai<br />
dati emersi dalla ricerca, si può affermare che<br />
questa, dal II sec. d.C., sostituì del tutto la ormai<br />
superata ancora in legno e piombo, continuando<br />
a svilupparsi fino ad epoca bizantina.<br />
Purtroppo la maggior parte di ancore ritrovate<br />
sott’acqua e giacenti in tutti i musei sono frutto<br />
di recuperi ad opera di non addetti che, pur<br />
pensando di preservare il bene, consegnandolo<br />
alle autorità preposte alla tutela, hanno<br />
irrimediabilmente sottratto un documento<br />
archeologico da un contesto storico databile, nel<br />
quale probabilmente si trovava.<br />
I sempre più frequenti ritrovamenti di relitti, gli<br />
scavi condotti con metodo scientifico e una<br />
crescente sensibilizzazione dei subacquei a non<br />
decontestualizzare oggetti e dati riscontrati<br />
sott’acqua, contribuiranno certamente a chiarire<br />
molti aspetti tuttora irrisolti di questo<br />
importantissimo attrezzo che, per la sicurezza dei<br />
marinai, doveva assolutamente trovarsi a bordo di<br />
ogni imbarcazione per far presa sul fondale e<br />
tenerla ormeggiata.<br />
29
5<br />
30 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
1<br />
CHE COS’È<br />
L’ARCHEOLOGIA<br />
SUBACQUEA<br />
di Stefano Medas<br />
archeologia subacquea non rappresenta una<br />
L’ disciplina autonoma, ma soltanto un aspetto<br />
particolare, un settore di applicazione,<br />
dell’archeologia.<br />
La moderna archeologia, condotta secondo i<br />
metodi e le tecniche che ancora oggi utilizziamo,<br />
ebbe origine alla fine dell’Ottocento.<br />
Precedentemente, ma in diversi casi ancora nella<br />
prima metà del Novecento, la ricerca archeologica<br />
era finalizzata principalmente al recupero di quei<br />
materiali e di quegli oggetti che avessero un<br />
particolare significato artistico, collezionistico e<br />
antiquario.<br />
“Dopotutto, l’uomo è l’unico animale che<br />
sappia di avere un passato e di poterlo studiare<br />
consapevolmente. E uno dei modi principali<br />
con cui possiamo penetrare nel passato è lo<br />
scavo, lo studio diretto dell’evidenza materiale.<br />
[…] Possiamo risalire agli uomini del passato<br />
solo attraverso ciò che hanno lasciato, in primo<br />
luogo le macerie delle loro costruzioni, i loro<br />
rifiuti domestici e talora, in maniera più<br />
diretta, attraverso i loro resti scheletrici.<br />
Trascorriamo così settimane a pulire<br />
acciottolati che, quando erano in uso, erano<br />
normalmente coperti di fango, o<br />
coscienziosamente raccogliamo e registriamo<br />
frammenti di ceramica che i loro proprietari<br />
scartavano senza pensarci due volte. […]<br />
Eppure, l’insieme di tutte queste attività<br />
apparentemente ridicole, integrato attraverso il<br />
convergere delle diverse esperienze e tecniche di<br />
analisi e di sintesi che riusciamo a mettere<br />
insieme, ci dà, fintanto che non perdiamo la<br />
testa e non ci impantaniamo in astrazioni<br />
matematiche o linguistiche, un panorama del<br />
passato che non si potrebbe ottenere in nessun<br />
altro modo.” (P. Barker)
1 Sorbonatura in un sito<br />
archeologico subacqueo.<br />
2 Raffigurazione di una battaglia<br />
navale nel tempio di Isis a Pompei.<br />
Il patrimonio archeologico<br />
sommerso costituisce un valore<br />
collettivo da tutelare nella sua<br />
integrità, come nel caso delle<br />
testimonianze che l’uomo ha<br />
lasciato nel corso dei millenni sui<br />
fondali marini durante il suo<br />
passaggio o in occasione di<br />
battaglie.<br />
LO SCAVO ARCHEOLOGICO<br />
CHE COS’È<br />
L’ARCHEOLOGIA<br />
SUBACQUEA<br />
5<br />
Il lavoro dell’archeologo è mirato a rilevare<br />
“l’evidenza archeologica”, cioè tutte quelle<br />
informazioni (stratigrafiche, cronologiche,<br />
tipologiche, connessioni tra strati, strutture e<br />
materiali, etc.) che si possono ricavare durante lo<br />
scavo. Queste vengono rilevate così come<br />
vengono scoperte, cioè senza alterarne l’evidenza.<br />
La successiva analisi a tavolino, condotta sulla<br />
base della documentazione raccolta, permetterà di<br />
individuare concordanze e discordanze, coerenze<br />
e incoerenze, anche alla luce di altri dati forniti,<br />
eventualmente, da precedenti scavi e fonti di altro<br />
genere (paleoambientale, storico, epigrafico, etc.).<br />
Sott’acqua e in superficie la metodologia di scavo<br />
è una sola.<br />
Lo scavo procede dall’alto verso il basso<br />
intervenendo sistematicamente sui diversi strati<br />
2<br />
31
CHE COS’È<br />
L’ARCHEOLOGIA<br />
SUBACQUEA<br />
che si incontrano, i quali riceveranno un numero<br />
progressivo che identifica l’unità stratigrafica,<br />
convenzionalmente definita US. Questa<br />
numerazione è indipendente dalla sequenza<br />
cronologica di formazione degli strati e viene<br />
applicata alle diverse US man mano che queste<br />
vengono incontrate.<br />
Ciascuna US viene rilevata tramite un’apposita<br />
scheda (scheda di US), in cui sono specificate tutte<br />
le caratteristiche dello strato: la sua posizione<br />
stratigrafica, i riferimenti che la ricollegano alla<br />
documentazione generale (grafica, fotografica,<br />
campioni, materiali, etc.), la tipologia, il colore e la<br />
consistenza del terreno, la presenza di materiali litici,<br />
resti di ossa, legni, carboni, la datazione relativa e, se<br />
possibile, assoluta, l’interpretazione dello strato e<br />
altri elementi ancora.<br />
UN LAVORO D’ÉQUIPE<br />
Esempio di sezione stratigrafica.<br />
5<br />
32 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
Il moderno scavo archeologico, secondo le modalità<br />
d’intervento e la tipologia del sito, implica la<br />
collaborazione di un certo numero di specialisti<br />
diversi, che intervengono nel proprio campo<br />
specifico sotto la direzione generale dell’archeologo e<br />
compongono l’équipe di ricerca, al fine di raccogliere<br />
la maggior quantità possibile d’informazioni sul sito.<br />
Tra questi specialisti ricordiamo il geologo, il<br />
paleobotanico, il paleozoologo, l’antropologo e,<br />
secondo le necessità, altre figure specializzate<br />
nell’indagine di strutture particolari.<br />
L’équipe, inoltre, si completa con altri esperti che operano<br />
in laboratorio e affiancano il lavoro di quelli citati, nelle<br />
indagini di carattere fisico e chimico, nell’analisi dei<br />
legni, dei tessuti, dei pollini, dei sedimenti, dei resti<br />
malacologici (di conchiglie) e così via.<br />
IL PRINCIPIO STRATIGRAFICO<br />
Il principio fondamentale su cui si basa lo sviluppo<br />
dell’archeologia come vera e propria disciplina<br />
scientifica proviene dalla geologia: si tratta del<br />
principio stratigrafico, di cui riassumeremo<br />
brevemente i contenuti. La formazione degli strati<br />
geologici avviene per fasi successive nel corso del<br />
tempo, attraverso il deposito di strati di terreno uno<br />
sull’altro, dunque, progressivamente dal basso verso<br />
l’alto (con questa considerazione intendiamo solo<br />
fornire un riferimento esplicativo e semplificato<br />
poiché, in realtà, le casistiche di formazione di una<br />
stratigrafia sono molto complesse e articolate). Per<br />
tale motivo, all’interno di una sezione stratigrafica gli<br />
strati più bassi sono cronologicamente anteriori a<br />
quelli più alti.<br />
Lo stesso fenomeno avviene anche nei contesti<br />
antropizzati, cioè nelle aree che hanno conosciuto<br />
una frequentazione umana. L’attività dell’uomo ha<br />
sempre lasciato dei segni sul terreno, che possono<br />
apparire più o meno evidenti secondo l’intensità, le<br />
modalità e la continuità con cui essa si è verificata.<br />
Per questo motivo, la sequenza stratigrafica di un<br />
contesto archeologico può presentarsi molto<br />
complessa. Accanto alla deposizione di strati uno<br />
sull’altro, infatti, nel terreno possono verificarsi dei<br />
tagli e dei rimescolamenti che possono arrivare<br />
perfino ad invertire la sequenza cronologica. Gli<br />
strati, inoltre, possono avere un andamento più o<br />
meno orizzontale, ma anche un andamento obliquo,<br />
secondo le modalità della loro formazione, la<br />
pendenza naturale del terreno e, più in generale, la<br />
topografia del luogo.
Durante lo scavo ha un ruolo di primaria<br />
importanza la fase di documentazione, che viene<br />
condotta col rilevamento grafico e fotografico delle<br />
piante e delle sezioni, con la compilazione delle<br />
schede di US, dell’elenco dei reperti, del giornale e<br />
del diario di scavo e con altri strumenti ancora.<br />
E’ importante sottolineare che col suo intervento<br />
l’archeologo indaga un contesto e, in particolare,<br />
una stratigrafia che automaticamente vengono<br />
distrutti con lo scavo e che non potranno più essere<br />
verificati sul terreno. La documentazione, dunque,<br />
insieme ai materiali e ai campioni raccolti, resta<br />
l’unico elemento che permetterà di ricostruire<br />
virtualmente il luogo così come si presentava prima<br />
dello scavo, di ripercorrere il lavoro eseguito e di<br />
condurre a tavolino lo studio del sito.<br />
L’ARCHEOLOGIA SUBACQUEA<br />
1 Il relitto di Kyrenia (Cipro), IV sec.<br />
a.C.<br />
2 Intervento archeologico<br />
subacqueo/umido in un canale della<br />
laguna di Venezia, in condizioni<br />
estreme durante una gelata<br />
invernale.<br />
1 2<br />
Lo sviluppo dell’archeologia subacquea è un fatto<br />
relativamente recente. Escludendo le operazioni<br />
di recupero avvenute agli inizi del Novecento<br />
grazie all’opera dei pescatori di spugne e dei<br />
palombari, i primi veri e propri interventi<br />
archeologici subacquei iniziarono poco dopo la<br />
metà del secolo, tra la fine degli anni ‘50 e gli<br />
anni ‘60. In poco più di quarant’anni questo<br />
nuovo settore dell’archeologia ha contribuito in<br />
modo fondamentale ad approfondire la<br />
conoscenza del più ampio rapporto uomo-acqua,<br />
nei diversi contesti ambientali e nelle diverse<br />
forme in cui questo si è sviluppato.<br />
L’applicazione dell’archeologia subacquea si<br />
articola in diversi settori specifici: quello marino e<br />
quello lagunare, quello lacustre e quello fluviale,<br />
quello delle canalizzazioni artificiali, delle cisterne,<br />
dei pozzi. Gli interventi di prospezione e di scavo<br />
vengono condotti non solo sui relitti navali, ma<br />
CHE COS’È<br />
L’ARCHEOLOGIA<br />
SUBACQUEA<br />
5<br />
DIFFICOLTÀ, MA ANCHE VANTAGGI<br />
Lo scavo archeologico subacqueo<br />
procede secondo gli stessi princìpi di<br />
quello terrestre, ma naturalmente, con l’impiego di<br />
mezzi diversi e molte difficoltà di carattere tecnico e<br />
logistico.<br />
Ogni immersione rappresenta una piccola missione,<br />
limitata nel tempo, e deve svolgersi secondo un<br />
programma preciso per ottimizzare i risultati. I turni di<br />
lavoro e le diverse mansioni svolte dagli operatori in<br />
superficie e sott’acqua devono seguire un ordine<br />
prestabilito; nello stesso tempo, è necessario che tutti i<br />
componenti del gruppo operativo siano sempre pronti<br />
ad intervenire per risolvere quei problemi, grandi e<br />
piccoli, che inevitabilmente si presentano sul cantiere.<br />
L’aspetto della sicurezza, naturalmente, è in primissimo<br />
piano e, quando le condizioni operative lo rendono<br />
necessario, sul cantiere devono essere sempre presenti<br />
la camera di decompressione e il medico iperbarico.<br />
Un problema non indifferente nello svolgimento dei<br />
lavori subacquei è rappresentato dalla scarsa visibilità<br />
che può incontrarsi in mare, ma che riguarda soprattutto<br />
i contesti lagunari, lacustri e fluviali, a causa della<br />
naturale torbidezza dell’acqua o per il sollevamento<br />
della sospensione generato dai movimenti dei<br />
sommozzatori sul fondale. Inoltre, per le immersioni in<br />
acque inquinate è necessario l’impiego di attrezzature<br />
specifiche che impediscano qualunque contatto diretto<br />
dell’acqua con la persona.<br />
L’ambiente subacqueo, però, offre anche alcuni<br />
vantaggi, come quelli che si possono ottenere<br />
sfruttando il principio fisico del galleggiamento (il<br />
principio di Archimede) e la differenza di pressione<br />
rispetto alla superficie. Sott’acqua, ad esempio, con un<br />
semplice pallone di sollevamento e pochi litri d’aria,<br />
immessi al suo interno dallo stesso erogatore attraverso<br />
cui respira il subacqueo, è possibile sollevare e spostare<br />
oggetti anche molto pesanti, il cui movimento a terra<br />
richiederebbe l’intervento di mezzi meccanici.<br />
33
CHE COS’È<br />
L’ARCHEOLOGIA<br />
SUBACQUEA<br />
5<br />
34 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
anche sulle strutture sommerse, come quelle dei<br />
porti, dei ponti, delle peschiere, degli insediamenti<br />
palafitticoli, delle abitazioni e altri edifici che per<br />
vari motivi (come l’arretramento della linea di<br />
costa, l’innalzamento del livello delle acque o la<br />
subsidenza) sono venute a trovarsi in ambiente<br />
subacqueo. Ampliando il raggio d’interesse e della<br />
ricerca all’indagine delle aree umide, alle bonifiche<br />
e, in generale, allo sfruttamento delle risorse<br />
idriche (come nel caso degli acquedotti e dei<br />
mulini), che solo in qualche caso implica<br />
un’operatività di tipo subacqueo, si può parlare di<br />
una vera e propria “archeologia delle acque”.<br />
LE RICERCHE IN ALTO FONDALE<br />
Una nuova frontiera per la ricerca è rappresentata<br />
dall’archeologia subacquea degli alti fondali, che<br />
permette d’individuare relitti e materiali<br />
conservati particolarmente bene. Questa<br />
situazione favorevole è determinata da diversi<br />
fattori: la riduzione della vita batteriologica,<br />
dovuta all’abbassamento della temperatura<br />
dell’acqua, e la diminuzione della crescita delle<br />
alghe, dovuta alla scarsità o all’assenza di luce (la<br />
formazione d’incrostazioni diventa molto scarsa o<br />
quasi nulla a profondità molto alte);<br />
l’annullamento degli effetti d’erosione generati<br />
dal moto ondoso; la difficoltà di raggiungimento<br />
da parte di ricercatori clandestini e da parte dei<br />
pescatori (cioè, delle loro reti).<br />
L’archeologia subacquea in questo contesto<br />
specifico deve avvalersi di mezzi ad alta<br />
tecnologia, come le videocamere filoguidate e,<br />
naturalmente, i batiscafi, che permettono di<br />
condurre le operazioni di prospezione.<br />
Elaborazione in 3D della morfologia<br />
di una porzione di fondo marino.<br />
ALTOFONDALISTI E<br />
SOMMERGIBILI<br />
L’intervento dell’uomo diventa<br />
complesso al di sotto delle profondità che possono<br />
essere raggiunte con l’autorespiratore ad aria, cioè<br />
al di sotto dei 50-60 metri, ma già a queste quote<br />
richiede un impegno tecnico e logistico davvero<br />
notevole. Il tempo di permanenza sul fondale si<br />
riduce notevolmente e aumenta quello della risalita,<br />
durante la quale si devono necessariamente<br />
rispettare le tappe per la decompressione; inoltre, il<br />
costo di simili operazioni è molto alto e può essere<br />
giustificato solo dall’intervento su siti archeologici di<br />
grande importanza. Per scendere a profondità<br />
superiori diventa necessaria una specifica<br />
professionalità subacquea, quella dell’altofondalista.<br />
L’alternativa all’intervento diretto dell’uomo è<br />
rappresentata dall’impiego di sistemi robotizzati in<br />
grado di muoversi e di operare agevolmente su un<br />
sito archeologico ad alta profondità. In un prossimo<br />
futuro, probabilmente non lontano, sarà possibile<br />
disporre di mezzi di questo tipo, che permetteranno<br />
d’indagare relitti a 2000 o 3000 metri di profondità;<br />
relitti di cui ora possediamo solo spettacolari<br />
immagini prese dai batiscafi, come quelle riprese dal<br />
mezzo con cui è stato condotto il recupero del DC 9<br />
caduto nelle acque di Ustica nel 1980, dove, intorno<br />
alla carcassa dell’aereo, sono stati identificati a 3200<br />
metri di profondità due relitti, uno tardo-romano e<br />
uno moderno. Con l’impiego di questi piccoli<br />
sommergibili è già possibile intervenire su relitti<br />
d’alto fondale, eseguire dei rilevamenti fotografici e<br />
video, nonché procedere al recupero dei materiali<br />
per mezzo dei bracci meccanici.
Scavo archeologico dei relitti<br />
medievali di San Marco in<br />
Boccalama, laguna di Venezia,<br />
estate-autunno 2001: fasi operative<br />
di rilievo dei relitti dopo la messa in<br />
secco dell’area, seguita alla fase di<br />
scavo subacqueo. La messa in<br />
secco è stata possibile grazie alla<br />
bassa profondità di questo settore<br />
della laguna (tra m -2 e -3). Il<br />
procedimento esemplifica come<br />
l’archeologia navale possa avvalersi<br />
tanto dell’archeologia subacquea<br />
(fase di scavo subacquea,<br />
preliminare), quanto dell’archeologia<br />
di superficie (fase di analisi e di<br />
rilievo a secco).<br />
Perapprofondire<br />
Barker P., Tecniche dello scavo archeologico, Milano 1981.<br />
Archeologia subacquea. Come opera l’archeologo sott’acqua. Storie<br />
dalle acque, Firenze 1998.<br />
Atlante di archeologia subacquea. La storia raccontata dal mare,<br />
Novara 1988.<br />
Atti del Convegno nazionale di archeologia subacquea, AIASub,<br />
Anzio, 30-31 maggio e 1° giugno 1996, Bari 1997.<br />
Atti del II Convegno nazionale di archeologia subacquea,<br />
Castiglioncello, 7-9 settembre 2001, Bari 2003.<br />
Blot J.-Y., Archeologia sottomarina, Milano 1991.<br />
Felici E., Archeologia subacquea. Metodi, tecniche e strumenti,<br />
Roma 2002.<br />
Gianfrotta P. A. - Pomey P., Archeologia subacquea. Storia,<br />
tecniche, scoperte e relitti, Milano 1981.<br />
Riccardi E., Tecniche di lavoro subacqueo per l’archeologia. Mare<br />
ed ipogei, Savona 1988.<br />
L’ARCHEOLOGIA NAVALE<br />
CHE COS’È<br />
L’ARCHEOLOGIA<br />
SUBACQUEA<br />
5<br />
Infine è importante sottolineare la definizione di<br />
archeologia navale, che talvolta, in modo<br />
improprio, viene considerata come parte<br />
dell’archeologia subacquea. In realtà le cose non<br />
stanno proprio così.<br />
L’archeologia navale si colloca come disciplina<br />
autonoma che ha per oggetto di studio le<br />
imbarcazioni, e gli aspetti tecnici e culturali ad<br />
esse connessi, avvalendosi oggi tanto<br />
dell’archeologia subacquea, quanto<br />
dell’archeologia terrestre. È il caso dei relitti che<br />
hanno subito un processo d’insabbiamento o<br />
d’interrimento, dunque di quei relitti che oggi si<br />
trovano in giacitura di superficie, a terra o in<br />
ambiente umido.<br />
35
6<br />
36 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
METODOLOGIA<br />
E TECNICA<br />
DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA<br />
SUBACQUEA<br />
di Francesco Benassi<br />
I RELITTI<br />
I relitti costituiscono il caso classico da indagare<br />
in archeologia subacquea.<br />
L’aspetto dei relitti risulta strettamente legato alle<br />
cause che hanno determinato il naufragio.<br />
Esse vanno dall’impatto contro gli scogli<br />
semiaffioranti, all’accidentale spostamento del<br />
carico trasportato, alla collisione tra imbarcazioni,<br />
al cedimento strutturale, all’incendio, ecc.<br />
Giocano un ruolo importante altresì la velocità di<br />
affondamento e le modalità dell’impatto sul<br />
fondo, fattori che possono aver determinato la<br />
parziale o totale rottura dell’imbarcazione e<br />
conseguentemente la dispersione del carico su<br />
un’area più o meno estesa del fondale.<br />
Fino alla profondità di 40 metri il maggior<br />
responsabile della progressiva distruzione di un<br />
relitto è il moto ondoso. Le sovrastrutture<br />
dell’imbarcazione si deteriorano rapidamente.<br />
Gli alberi, a causa della resistenza offerta dalle<br />
vele, sono tra i primi ad essere disgregati.<br />
Generalmente si conserva invece lo scafo<br />
dell’imbarcazione (formato dalla chiglia, dal<br />
paramezzale, dalle ordinate e dalle tavole di<br />
fasciame), chiamato “opera viva”. La superficie<br />
esterna del legno dello scafo viene generalmente<br />
aggredita ed alterata da funghi e batteri.<br />
Più in profondità può agire la Teredo navalis, un<br />
mollusco in grado di vivere fino a circa 200 metri<br />
di profondità, che rappresenta il più comune e<br />
1<br />
L’INFLUENZA DEL TIPO<br />
DI FONDALE NELLA<br />
CONSERVAZIONE DEI<br />
RELITTI<br />
La conservazione del relitto<br />
dipende in gran parte dal<br />
tipo di fondale in cui<br />
l’imbarcazione si è<br />
adagiata.<br />
Il fondale roccioso, che si<br />
presenta prevalentemente<br />
sotto costa (fino alla<br />
profondità di 30/40 metri),<br />
rappresenta il luogo meno<br />
adatto alla conservazione<br />
del relitto. Essendo privo di<br />
sedimenti sabbiosi, non<br />
offre all’imbarcazione<br />
alcuna possibilità di<br />
protezione dall’energia del<br />
moto ondoso.<br />
In breve tempo lo scafo<br />
viene distrutto ed il carico<br />
veloce distruttore di legno. Scava gallerie<br />
all’interno del legno, come un vorace tarlo,<br />
lasciandone spesso intatta la superficie esterna.<br />
LO SCAVO ARCHEOLOGICO SUBACQUEO<br />
disperso su un’area assai<br />
più vasta rispetto a quella<br />
occupata subito dopo<br />
l’affondamento. Inoltre i<br />
manufatti del carico (in<br />
particolare quelli ceramici),<br />
che spesso si incastrano tra<br />
gli anfratti degli scogli o si<br />
raccolgono nelle<br />
depressioni naturali,<br />
subiscono l’aggressione dei<br />
microrganismi marini che<br />
popolano l’ambiente<br />
roccioso e vengono<br />
tenacemente concrezionati,<br />
cioè “cementati” al fondale.<br />
Il fondale piatto e sabbioso<br />
rappresenta il caso più<br />
propizio che un archeologo<br />
possa trovare, in quanto<br />
maggiormente favorevole<br />
alla conservazione della<br />
struttura lignea dei relitti. Lo<br />
L’archeologo è uno scopritore di eventi, ovvero di<br />
storie che si sono svolte in un passato più o meno<br />
lontano e che hanno lasciato traccia<br />
nell’ambiente, sopra o sotto il mare. Lo scavo<br />
dell’archeologo potrebbe essere definito una<br />
distruzione a fin di bene, in quanto risulta<br />
finalizzato a comprendere la storia che la terra o il<br />
mare hanno celato. Ma fare uno scavo
2<br />
3<br />
Fondale roccioso<br />
Fondale misto<br />
Fondale piatto<br />
scafo, adagiato sulla chiglia<br />
e su una fiancata sopra un<br />
morbido fondale sabbioso,<br />
viene pian piano<br />
incorporato dal sedimento.<br />
Questo lento processo di<br />
accumulo ricopre sia il<br />
carico, sia la struttura lignea<br />
dello scafo, creando una<br />
protezione efficace ed<br />
evitando che le correnti<br />
sottomarine disperdano gli<br />
elementi del carico o<br />
distruggano rapidamente il<br />
legno. Dopo un determinato<br />
periodo tuttavia per lo scafo<br />
inizia un’inevitabile fase di<br />
decadimento che, sotto la<br />
spinta interna del carico,<br />
porta al cedimento delle<br />
fiancate, indebolite dagli<br />
attacchi dei microrganismi<br />
marini. La fuoriuscita del<br />
carico, insieme al<br />
sedimento trasportato dalle<br />
correnti, contribuisce<br />
grandemente alla<br />
protezione del relitto, che<br />
finisce per assumere la<br />
fisionomia di un cumulo.<br />
1 Operazioni di quotatura di uno<br />
strato di un relitto messo in luce.<br />
2 Principali tipi di fondale.<br />
3 Allestimento quadrettatura<br />
sull’area di scavo.<br />
METODOLOGIA<br />
E TECNICA<br />
DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA<br />
SUBACQUEA<br />
6<br />
archeologico è come leggere un libro strappando<br />
man mano le pagine che si leggono. Se qualche<br />
dato non si tiene bene a mente sarà dunque<br />
impossibile recuperarlo in seguito.<br />
La memoria dell’archeologo è la sua<br />
documentazione, e per ottenere una buona<br />
documentazione egli deve applicare una<br />
metodologia di scavo che gli permetta di<br />
raccogliere il maggior numero di informazioni<br />
utili per la comprensione degli eventi che lo scavo<br />
racconta.<br />
Come negli scavi archeologici di terra, anche in<br />
quelli subacquei si è ormai adottato il sistema di<br />
scavo basato sul principio dell’unità stratigrafica<br />
(US).<br />
Gli strati individuabili sul fondale possono essere<br />
determinati da spostamenti di parte del carico del<br />
37
METODOLOGIA<br />
E TECNICA<br />
DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA<br />
SUBACQUEA<br />
relitto, o dai diversi elementi costituenti il carico<br />
stesso (vasellame ceramico, laterizi e tegole,<br />
lingotti metallici, pietre di zavorra, ecc.), che<br />
erano originariamente stipati su vari livelli<br />
all’interno dell’imbarcazione.<br />
L’organizzazione del cantiere di scavo si differenzia<br />
notevolmente se l’area da indagare si trova nelle<br />
immediate vicinanze della riva, o in mare aperto.<br />
Nel primo caso infatti è possibile posizionare<br />
direttamente a terra tutte le attrezzature subacquee<br />
e di lavoro, nonché i supporti logistici.<br />
Diversamente l’organizzazione risulta assai più<br />
complicata ed onerosa, e comporta<br />
necessariamente l’utilizzo di un’apposita<br />
imbarcazione di appoggio assai capiente.<br />
In ogni caso la zona interessata dalle operazioni di<br />
scavo viene delimitata per impedire l’accesso ad<br />
estranei: ogni attività di transito, immersione,<br />
ancoraggio o pesca è vietata da ordinanze emesse<br />
dalla locale Capitaneria di Porto.<br />
Base di tutte le fasi dello scavo subacqueo è la<br />
quadrettatura del sito. Si tratta di suddividere<br />
l’area di lavoro in una serie di quadrati uguali<br />
(identificabili con lettere o numeri), entro i quali<br />
condurre le indagini. Il reticolo, realizzato in tubi<br />
di plastica o alluminio, rappresenta un<br />
fondamentale elemento di riferimento per<br />
l’organizzazione del lavoro, per il controllo della<br />
provenienza dei materiali e per la redazione della<br />
documentazione grafica e fotografica.<br />
STRUMENTI DI SCAVO<br />
Utilizzo di una sorbona ad aria in un<br />
cantiere di scavo subacqueo.<br />
6<br />
38 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
Per lo scavo vero e proprio, non potendo<br />
ovviamente avvalersi di cazzuole, pale, picconi e<br />
secchi, si usano alcuni strumenti appositamente<br />
creati per l’ambiente subacqueo.<br />
La sorbona è una tra le apparecchiature di scavo<br />
più utili e serve per aspirare il sedimento in modo<br />
da mettere in luce lo strato archeologico.<br />
Funziona come un vero e proprio aspirapolvere<br />
subacqueo, dotato di un lungo tubo flessibile di<br />
diametro indeformabile attraverso il quale<br />
vengono aspirati la sabbia, il fango o i piccoli<br />
sassolini del fondale che ricoprono i reperti<br />
archeologici. I materiali aspirati vengono raccolti<br />
dentro un setaccio (o vaglio) a maglia metallica,<br />
atta a lasciar uscire la sabbia e il deposito sottile e<br />
a trattenere invece piccoli reperti eventualmente<br />
sfuggiti agli operatori (frammenti di vetro,<br />
ceramica, ecc.).<br />
Uno strumento molto in auge nel periodo<br />
pionieristico dell’archeologia subacquea, ma<br />
ormai caduto in disuso con il progredire della<br />
scientificità degli scavi archeologici subacquei, era<br />
la lancia ad acqua. Si tratta di un particolare<br />
ugello regolabile che espelle acqua a pressione. Il<br />
suo getto è in grado di tagliare zolle del fondale,<br />
ma è anche in grado di arrecare danni notevoli<br />
alla stratigrafia, se non usato sapientemente.
LA COSTRUZIONE<br />
DI UN FOTOMOSAICO<br />
Le fotografie per un fotomosaico devono<br />
essere scattate in modo zenitale, cioè mantenendo<br />
la fotocamera esattamente perpendicolare al<br />
fondale, e “raddrizzate”, una volta importate sul<br />
computer. Il raddrizzamento dell’immagine è<br />
necessario perché ogni foto, soprattutto lungo i<br />
bordi, reca delle inevitabili deformazioni prodotte<br />
dall’obiettivo della fotocamera.<br />
Con le immagini “raddrizzate” è possibile comporre<br />
un fotomosaico digitale, che offre una planimetria in<br />
scala dello scavo in grado di sostituire la tradizionale<br />
documentazione su carta millimetrata, frutto di<br />
misurazioni condotte manualmente.<br />
Sul fotomosaico digitale l’archeologo riporta tutti i<br />
dati utili, creando una mappa dettagliata o pianta<br />
tematica: le quote metriche (per evidenziare<br />
l’accumulo dei materiali del carico, gli eventuali<br />
innalzamenti o abbassamenti del fondale, ecc.), i<br />
limiti delle unità stratigrafiche ed i reperti presenti (le<br />
anfore e i vari tipi di ceramica, i laterizi, i frammenti<br />
di pietra riconducibili alla zavorra di carico, i resti di<br />
legno pertinenti allo scafo del relitto, ecc.),<br />
opportunamente caratterizzati con colori diversi.<br />
Con il procedere dello scavo la mappa si compone<br />
progressivamente di vari quadrati.<br />
Mappa tematica dell’area di scavo,<br />
con la caratterizzazione cromatica<br />
di varie tipologie di reperti.<br />
METODOLOGIA<br />
E TECNICA<br />
DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA<br />
SUBACQUEA<br />
6<br />
Fotografia di un quadrato (m 1 x 1) dell’area di scavo. Fotomosaico di un settore (m 4 x 4) dell’area di scavo. Si noti al centro lo<br />
stesso tegame della foto a lato.<br />
RILIEVO FOTOGRAFICO E FOTOMOSAICO<br />
Trovandosi nella necessità di documentare un’area<br />
molto ampia come quella di uno scavo<br />
archeologico, senza rinunciare alla precisione dei<br />
particolari, si ricorre alla costruzione dei<br />
cosiddetti “mosaici” fotografici. Essi consistono<br />
nel montaggio di varie fotografie che abbracciano<br />
le zone contigue della medesima area.<br />
Oltre a realizzare il fotomosaico dell’intera area di<br />
scavo, con riprese di dettaglio si documentano i<br />
particolari significativi portati in luce nel corso<br />
dello scavo (reperti singoli, situazioni di scavo<br />
particolarmente interessanti, ecc.).<br />
39
6<br />
40 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
1<br />
METODOLOGIA<br />
E TECNICA<br />
DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA<br />
SUBACQUEA<br />
SIGLATURA E RILIEVO DEI MATERIALI<br />
Dopo aver eseguito il rilievo fotografico e le<br />
riprese video, si può procedere alla siglatura dei<br />
materiali. Si tratta di apporre ai reperti targhette<br />
in plastica con un numero di identificazione.<br />
Il numero rimarrà ad identificare il reperto anche<br />
dopo il recupero (numero di reperto), in modo<br />
che nel corso degli studi successivi ogni reperto<br />
sia costantemente identificabile.<br />
Per riconoscere con sicurezza dalla<br />
documentazione fotografica, eseguita in<br />
1 Etichettatura dei reperti dello<br />
strato messo in luce.<br />
2 Posizionamento dei reperti sullo<br />
schizzo dell’area di scavo.<br />
3-4 Operatori eseguono la raccolta<br />
dei materiali dello strato.<br />
precedenza, i reperti siglati sullo scavo, un operatore<br />
provvede a fissarne la posizione disegnando sulla<br />
“lavagnetta” la sagoma dei vari materiali posti<br />
all’interno dei quadrati numerati (la cosiddetta<br />
lavagnetta è in realtà un foglio di poliestere, sul quale<br />
si può scrivere con matite a punta morbida, fissato<br />
su un apposito supporto in plastica indeformabile e<br />
non galleggiante).<br />
Prima di procedere al recupero, ultimo atto<br />
dell’operazione di scavo, devono essere eseguiti i<br />
rilievi di quota dello strato archeologico messo in<br />
luce, misurando con un’asta metrica la distanza tra il<br />
piano orizzontale determinato dalla quadrettatura di<br />
riferimento e lo strato.
2<br />
IL RECUPERO<br />
Il recupero di tutti i reperti dello strato<br />
rappresenta la fine del lavoro in acqua<br />
dell’archeologo.<br />
La maggior parte del lavoro dell’archeologo inizia<br />
però una volta giunti a terra. Generalmente i<br />
reperti rinvenuti nel corso degli scavi vengono<br />
portati in superficie, a meno che particolari<br />
circostanze logistiche (l’impossibilità di garantire<br />
ricovero adeguato) o la qualità stessa di taluni<br />
reperti (la fragilità, l’estrema concrezionatura,<br />
ecc.) rendano sconsigliabile l’operazione, e si<br />
preferisca lasciarli sul fondale, dopo un’accurata<br />
documentazione, ricoprendoli.<br />
Per ricostruire l’originaria disposizione del carico<br />
all’interno dell’imbarcazione, è necessario<br />
mantenere separati, quadrato per quadrato, i<br />
materiali rinvenuti. Squadre di operatori hanno il<br />
compito di raccogliere i materiali all’interno di<br />
sacche numerate.<br />
In laboratorio, dopo le necessarie operazioni di<br />
lavaggio e dissalazione in acqua dolce, tutti i<br />
reperti raccolti verranno deposti in cassette<br />
METODOLOGIA<br />
E TECNICA<br />
DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA<br />
SUBACQUEA<br />
6<br />
3<br />
4<br />
41
6<br />
42 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
1<br />
METODOLOGIA<br />
E TECNICA<br />
DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA<br />
SUBACQUEA<br />
recanti il numero del quadrato di scavo e il<br />
numero di US. Di tutto il materiale sarà quindi<br />
eseguita la schedatura, che comprende la<br />
descrizione dettagliata dei reperti, la<br />
classificazione tipologica e la loro datazione, in<br />
base alla tipologia ed al confronto con altri siti.<br />
MODALITÀ DI<br />
RECUPERO DEI<br />
MATERIALI<br />
Le modalità di recupero si<br />
differenziano in base alla<br />
natura dei reperti stessi.<br />
Il vasellame in ceramica, in<br />
condizioni normali, non<br />
richiede particolari<br />
accorgimenti. Per le anfore<br />
integre, una volta chiusa<br />
l’imboccatura con un<br />
sacchetto per proteggerne<br />
il contenuto, si può ricorrere<br />
ad una rete.<br />
I reperti lignei di piccole e<br />
medie dimensioni vengono<br />
trasportati in superficie<br />
grazie ad un letto di rete<br />
rigida o ad un involucro<br />
protettivo a tenuta stagna in<br />
UN’ALTERNATIVA ALLO SCAVO:<br />
I PARCHI ARCHEOLOGICI SUBACQUEI<br />
Risulta chiaro a questo punto quanto incida nella<br />
ricerca archeologica, ed in particolare<br />
nell’archeologia subacquea, lo sviluppo delle<br />
tecnologie. Tuttavia se da una parte la ricerca<br />
metodologica a mano a mano procede, dall’altra<br />
la conservazione dei rinvenimenti pone ancora<br />
gravi problemi.<br />
Recupero dal mare, trasporto ad un laboratorio<br />
specializzato, trattamenti di consolidamento,<br />
strumentazione tecnologica, personale tecnico<br />
specialistico, sede opportuna per la<br />
musealizzazione a clima controllato, pongono<br />
problematiche di grande complessità.<br />
Gli archeologi subacquei si sono resi conto che<br />
sovente, piuttosto che ricorrere alla<br />
musealizzazione, è più opportuno optare per la<br />
conservazione dei reperti in fondo al mare, nel<br />
luogo dove giacciono.<br />
A volte dunque la soluzione più appropriata è<br />
documentare il sito archeologico e poi ricoprirlo,<br />
essendo la conservazione di un relitto sulla terra<br />
materialmente e scientificamente assai dispendiosa.<br />
grado di conservare<br />
l’acqua, con rivestimento<br />
interno anti-urto. In<br />
laboratorio saranno poi<br />
mantenuti in acqua dolce<br />
fino al termine del lungo<br />
processo di dissalazione.<br />
Per i reperti in osso e i<br />
piccoli oggetti metallici<br />
concrezionati, spesso<br />
fragilissimi, che necessitano<br />
di un immediato intervento<br />
conservativo, sono indicati<br />
contenitori che consentano<br />
di portarli in superficie<br />
mantenendoli in acqua.<br />
Ancore e grossi elementi<br />
metallici, se non sussistono<br />
particolari problemi di<br />
conservazione, vengono<br />
generalmente imbracate e<br />
portate in superficie<br />
mediante il pallone di<br />
sollevamento.<br />
2
3<br />
1 Recupero di un’anfora con una<br />
rete.<br />
2 Preparazione di un apposito<br />
involucro per il recupero di un<br />
reperto ligneo.<br />
3 Ancora litica imbracata al pallone<br />
di sollevamento.<br />
Perapprofondire<br />
METODOLOGIA<br />
E TECNICA<br />
DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA<br />
SUBACQUEA<br />
6<br />
Forte M., Professione archeologo, Toledo1999.<br />
Volpe G. (a cura di), Archeologia subacquea. Come opera<br />
l’archeologo sott’acqua. Storie dalle acque, VIII Ciclo di Lezioni<br />
sulla Ricerca applicata in Archeologia, Siena 1996, Firenze<br />
1998.<br />
Carandini A., Storie dalla terra, Torino1991.<br />
Riccardi E., Tecniche di lavoro subacqueo per l’archeologia. Mare e<br />
ipogei, Savona 1988.<br />
Gianfrotta P. A. - Pomey P., Archeologia subacquea. Storia,<br />
tecniche, scoperte e relitti, Milano 1981.<br />
Ancor meglio è rendere visitabile il sito, dopo gli<br />
studi, e costituire un parco archeologico<br />
subacqueo aperto al pubblico.<br />
Per fare ciò occorre però una diffusa coscienza<br />
della tutela archeologica e la consapevolezza che<br />
ciò che la storia ci ha tramandato, sott’acqua o<br />
sotto terra, è patrimonio dell’umanità e che tutti<br />
devono adoperarsi per custodire la propria<br />
storia.<br />
43
7<br />
44 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
di Ferdinando Lentini<br />
La posizione della Sicilia al centro del<br />
Mediterrano da tempo immemorabile ha<br />
determinato il transito di imbarcazioni che hanno<br />
collegato per motivi commerciali o eventi bellici le<br />
opposte sponde di questo mare.<br />
La breve storia di ricerche e scoperte fortuite nelle<br />
acque siciliane ne costituisce una chiara riprova.<br />
Il nostro excursus ci introdurrà alla conoscenza di<br />
alcune delle più importanti scoperte archeologiche<br />
subacquee siciliane, seguendo un arco cronologico<br />
che dalla preistoria giunge sino all’età postmedievale.<br />
UN GIACIMENTO TRA I PIÙ ANTICHI<br />
DEL MEDITERRANEO<br />
L’insediamento dell’età del bronzo<br />
a Pignataro di Fuori (Lipari)<br />
Sui fondali della baia di Lipari antistanti il Monte<br />
Rosa, nel 1975, fu individuato un giacimento fra<br />
i più antichi del Mediterraneo, situato ad una<br />
profondità variabile dai 20 ai 42 metri, costituito<br />
da ceramiche databili nella prima età del bronzo<br />
(fine del III-inizi del II millennio a.C.).<br />
I resti di ceramica grezza rinvenuti sono<br />
distribuiti su un’ampia superficie del fondale, ed<br />
erano presumibilmente realizzati sull’isola.<br />
Inizialmente si è ipotizzato che si trattasse di un<br />
relitto, ma recentemente si è giunti a ritenere che<br />
tali ritrovamenti siano il prodotto di un<br />
bradisismo o di una frana che abbia condotto<br />
1<br />
2
3<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
1 Principali siti archeologici<br />
subacquei in Sicilia.<br />
2 Profilo delle forme ceramiche più<br />
diffuse del ritrovamento di Lipari.<br />
3 Fondo di coppa con decorazione<br />
incisa.<br />
Ciabatti E., Note conclusive concernenti lo scavo di un relitto<br />
dell’età del bronzo nella baia di Lipari, in Atti del VI Congresso<br />
Internacional de Arqueologia Submarina, Cartagena 1982, pp.<br />
303-311.<br />
Ciabatti E., Relitto dell’età del bronzo rinvenuto nell’isola di<br />
Lipari: relazione sulla prima e seconda campagna di scavi, in<br />
Sicilia Archeologica II, n. 36, 1978, pp. 7-35.<br />
all’affondamento di una porzione dell’entroterra e<br />
del relativo abitato.<br />
La ceramica era destinata probabilmente anche<br />
alla vendita nelle isole minori, come attestano<br />
alcuni scavi a Filicudi dove si rinvengono<br />
ceramiche con caratteristiche uguali a quelle<br />
dell’insediamento lipariota.<br />
45
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
46 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
LA NAVE CUCITA<br />
La nave greca di Gela<br />
Il ritrovamento di un relitto greco, nel tratto di<br />
mare antistante la costa di Gela, ha contribuito<br />
senza dubbio ad arricchire il quadro delle<br />
conoscenze sulle relazioni commerciali della città<br />
greca e sulla ubicazione delle sue strutture<br />
portuali.<br />
Il relitto venne segnalato alla fine del 1988, e<br />
l’anno dopo hanno avuto inizio le operazioni di<br />
scavo.<br />
I resti dello scafo giacciono su un fondale di 4-5<br />
metri, a circa 800 metri dalla costa. II fondale è<br />
costituito da strati di argilla e sabbia. Tali<br />
materiali, presenti anche all’interno del relitto,<br />
hanno favorito una buona conservazione di alcuni<br />
reperti, quali quelli in fibre vegetali, e hanno<br />
protetto le strutture lignee dall’azione distruttrice<br />
del mare.<br />
Al momento dello scavo il relitto si presentava<br />
coperto da uno strato di grosse pietre informi e<br />
irregolari, disposte su tutto lo scafo. Il pietrame è<br />
da identificare come zavorra, caricata in diversi<br />
tempi nei porti toccati durante la rotta, in<br />
sostituzione del carico commerciale. Sotto lo<br />
strato di pietre si sono individuati resti lignei della<br />
poppa dell’imbarcazione.<br />
Particolare è la tecnica costruttiva della nave di<br />
Gela, con il sistema delle cuciture delle tavole. Si<br />
tratta di una tecnica molto antica attestata già<br />
nella nave egiziana di Cheope. L’esemplare di<br />
Gela, insieme a pochi altri relitti simili rinvenuti<br />
nel Mediterraneo, è il più rappresentativo per<br />
una tecnica di costruzione utilizzata in un’epoca<br />
così antica.<br />
Nelle zone di poppa e centro-prua è stata<br />
Askoi attici a figure rosse.<br />
ritrovata una stuoia in fibre vegetali,<br />
probabilmente in origine stesa per poggiare gli<br />
oggetti e la merce su una base costituita da legni<br />
affiancati.<br />
Il carico era costituito da numerose anfore<br />
provenienti da varie zone del Mediterraneo. Non<br />
tutte le anfore erano rivestite internamente di<br />
resina, sostanza impiegata comunemente per
Oinochoe attica a figure nere con<br />
scena di Gigantomachia.<br />
Uno dei cestini al momento del<br />
ritrovamento.<br />
consentire il trasporto del vino, e ciò farebbe<br />
supporre che sulla nave oltre al vino venivano<br />
imbarcati altri prodotti alimentari, come ad<br />
esempio l’olio. Per il trasporto di prodotti<br />
Sistema di assemblaggio delle tavole nelle “barche cucite”.<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Freschi A., Note tecniche sul relitto greco arcaico di Gela, in Atti<br />
della IV rassegna di Archeologia subacquea, Giardini Naxos<br />
1989, pp. 201 sgg.<br />
Panvini R., La nave greca arcaica di Gela, Caltanissetta 2001.<br />
alimentari furono utilizzati anche canestri in fibre<br />
vegetali chiusi con bordo di legno cucito a sacco e<br />
ricoperti di pece all’interno.<br />
Tra i materiali recuperati si segnalano anche<br />
suppellettili di cambusa per l’uso quotidiano<br />
dell’equipaggio, cioè pentole, brocche, lucerne,<br />
ciotole, piatti, ami e attrezzature di bordo, tra cui<br />
uno scandaglio in piombo.<br />
Si sono rinvenute anche le carcasse di animali<br />
trasportati come viveri per i membri<br />
dell’equipaggio.<br />
Tra la merce pregiata vi erano vasi a vernice nera<br />
e a figure nere. Di notevole interesse è il<br />
ritrovamento di quattro piccoli vasi provenienti<br />
dalla zona di Atene, due a vernice nera e due rari<br />
esemplari a figure rosse, con coppia di figure<br />
sulla fascia superiore del vaso. Sul primo di<br />
questi ultimi sono raffigurati due giovani<br />
banchettanti e un’iscrizione in greco che indica<br />
il nome di chi lo fabbricò: Kalo epoisen (trad.: lo<br />
fece Kalo). Sul secondo due sileni (figure<br />
mitiche) in libagione.<br />
L’analisi dei materiali rinvenuti permette di<br />
identificare nel bacino dell’Egeo il luogo di<br />
provenienza della nave. Essa dovette toccare i<br />
porti dei litorali prossimi alla città di Atene (data<br />
la presenza di materiale a vernice nera e figurato<br />
recuperato), e successivamente alcuni porti della<br />
costa siciliana, come attesterebbero i campioni già<br />
analizzati di pietre pertinenti alla zavorra.<br />
Un’improvvisa tempesta impedì alla nave di<br />
raggiungere il porto di Gela.<br />
47
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
48 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
IL RELITTO MALEDETTO<br />
Il relitto della Secca di Capistello (Lipari)<br />
Si tratta dei resti di una nave naufragata intorno<br />
al 300 a.C. sul versante orientale dell’isola di<br />
Lipari con un carico di anfore e di ceramiche a<br />
vernice nera. Il relitto si trovava su di un fondale<br />
fortemente inclinato, degradante fino ad una<br />
profondità esplorata di 102 metri.<br />
La nave, dopo aver urtato sulla sommità della<br />
Secca di Capistello, affondò rovesciando il suo<br />
carico, che appariva disperso su di un’area vasta<br />
più di 1200 metri quadrati.<br />
Il relitto è stato rinvenuto nel 1966. Una serie di<br />
tentativi di saccheggio in più di un caso, per l’elevata<br />
profondità, si conclusero tragicamente, al punto che<br />
il sito fu denominato il “relitto maledetto”.<br />
Le indagini archeologiche vennero iniziate dai<br />
tedeschi, ma furono sospese quasi subito in<br />
seguito a un tragico incidente in cui persero la<br />
vita due archeologi.<br />
2<br />
Dieci anni più tardi, nel 1976, il lavoro fu ripreso<br />
con l’intervento americano dell’Institute of<br />
Nautical Archaeology (AINA) e della Sub Sea Oil<br />
Services, avvalendosi di adeguati mezzi tecnici, tra<br />
i quali una campana batiscopica, una camera di<br />
decompressione, telefono e televisione a circuito<br />
chiuso e addirittura un minisommergibile.<br />
L’utilizzo delle nuove tecnologie permise<br />
l’esplorazione completa del relitto, che si concluse<br />
nel 1978.<br />
Il sito, oltre a conservare le strutture lignee dello<br />
scafo, custodisce ancora numerosi reperti, e<br />
l’indagine appare ben lungi dall’essersi conclusa<br />
del tutto.<br />
Il fasciame appariva semplice e non aveva nessun<br />
1
1 Sezione del luogo del naufragio.<br />
2 Rilievo dell’area di scavo,<br />
campagna 1977.<br />
3 Lo scavo delle anfore.<br />
4 Anfora con il tappo in sughero.<br />
5 Anfora greco-italica e particolare<br />
del bollo alla base dell’ansa.<br />
6 Coppe e piatti a vernice nera.<br />
7 Lucerne e coppe a vernice nera.<br />
rivestimento protettivo in piombo; i madieri e le<br />
ordinate risultavano alternate. Alcune parti del<br />
carico conservavano la posizione di stivaggio, con<br />
gruppi di anfore disposte verticalmente e pile di<br />
ceramica a vernice nera riposte negli interstizi.<br />
Il carico risultava formato essenzialmente da<br />
anfore del tipo cosiddetto greco-italico per il<br />
trasporto del vino, contrassegnate da bolli e<br />
trattate internamente con resina. Molte delle<br />
anfore erano ancora chiuse da un tappo di sughero<br />
sigillato con resina. I bolli impressi sulle anfore<br />
riportano nomi greci come Eúxenos e Díon.<br />
Diverse centinaia i vasi a vernice nera di varie<br />
forme. Per lo più si tratta di piatti, coppe decorate<br />
e lucerne su alto piede.<br />
Perapprofondire<br />
6<br />
7<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Cavalier M., Albore Livadie C., Van Der Mersch C., Bollettino<br />
d’Arte, Suppl. al n. 29, Archeologia subacquea 2, Roma 1985,<br />
pp. 53-64.<br />
3 4<br />
5<br />
49
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
50 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
LA NAVE PUNICA DA COMBATTIMENTO<br />
Il relitto punico di Marsala<br />
In occasione di operazioni di aspirazione della<br />
sabbia da utilizzarsi in una locale vetreria, si<br />
notarono resti lignei e frammenti ceramici nella<br />
sabbia imbarcata. L’importanza dei<br />
rinvenimenti fu del tutto trascurata fino al<br />
1969.<br />
Nel 1970 venne esplorata una zona a bassa<br />
profondità, tra i 2 e i 5 metri, dove si sapeva vi<br />
fossero diversi relitti, dinanzi al versante nord<br />
dell’Isola Lunga nello Stagnone di Marsala.<br />
Uno di questi appariva particolarmente<br />
interessante, presentando ampi tratti del<br />
fasciame in buone condizioni e numerosi<br />
frammenti ceramici databili al III secolo a.C.<br />
Si notavano poche anfore commerciali integre e<br />
molte pietre di zavorra, e questa circostanza<br />
induceva a pensare che si trattasse dei resti di<br />
una nave non mercantile, ma da guerra.<br />
Del relitto oggetto dello scavo, si conservava<br />
solo la parte posteriore e una fiancata.<br />
Il giacimento ha restituito materiale assai scarso:<br />
frammenti di anfore puniche, del tipo grecoitalico<br />
e romane, di ceramiche comuni da<br />
mensa e a vernice nera. Alla dotazione di bordo<br />
si riferivano alcuni frammenti di cordame, una<br />
ramazza di frasche e dei canestri di canapa.<br />
Le pietre di zavorra erano di origine vulcanica.<br />
La struttura della carena appare assai simile a<br />
quella delle navi greche e romane.<br />
Si compone di un fasciame semplice con<br />
rivestimento protettivo in piombo e di<br />
un’ossatura costituita da madieri e ordinate in<br />
alternanza regolare. La linea fortemente<br />
slanciata dell’imbarcazione, quale si ricava da<br />
1<br />
ipotesi di ricostruzione (lunga circa m 35 e<br />
larga m 4,80) conferma trattarsi di una nave da<br />
combattimento a remi, costruita con la<br />
preoccupazione principale di garantire una<br />
notevole velocità.<br />
Il legname che fu utilizzato per la costruzione<br />
della nave è costituito da essenze diverse, quali<br />
l’acero, il pino nero e la quercia.<br />
La cucina doveva essere ubicata al centro dello<br />
scafo e non nella parte poppiera, come in tutte<br />
le imbarcazioni di commercio note. In quella<br />
zona si concentravano infatti resti di pasti, forse<br />
relativi a cibi arrostiti (ossa di bue, maiale,<br />
agnello, cervo, asino, olive, noccioli; pressoché<br />
assenti i semi di frutta varia), consumati in
2<br />
1 La nave punica ricostruita nel<br />
Museo Archeologico di Baglio<br />
Anselmi.<br />
2 Ipotesi ricostruttiva della nave.<br />
3 Segni dell’alfabeto punico dipinti<br />
sullo scafo del relitto.<br />
3<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Dell’Orco P., Il relitto punico di Marsala, in Archeologia, XXI, n.<br />
32-33, 1982, pp. 9 ss.<br />
Frost H., Segreti dello Stagnone: canali e relitti perduti intorno a<br />
Mozia, in Sicilia Archeologica, n. 13, 1971, pp. 5-12.<br />
Frost H., E’ punica la nave dello Stagnone, in Sicilia Archeologica,<br />
suppl. al n. 56, 1984, p. 58.<br />
Kapitän G., Relitti antichi davanti all’Isola Lunga, in Sicilia<br />
Archeologica, n. 9, 1970, pp. 34-36.<br />
vasellame comune di buona fattura. Sono state<br />
ritrovate altresì ossa umane di almeno due<br />
uomini e di un cane, e alcune armi.<br />
Su alcuni dei legni degli scafi furono tracciati<br />
segni che avrebbero consentito un’accentuata<br />
rapidità di assemblaggio di parti prefabbricate.<br />
Alcuni di essi appartengono all’alfabeto feniciopunico<br />
e costituiscono la prova più convincente<br />
che le navi di Marsala siano puniche.<br />
51
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
52 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
ANFORE PIENE DI PRODOTTI ITTICI<br />
Il relitto di Porto Palo (Menfi)<br />
Nel 1997 veniva segnalata la presenza di un<br />
cospicuo numero di frammenti ceramici in<br />
prossimità del porto di Porto Palo. Si trattava di<br />
parte di un carico navale punico-romano<br />
costituito da anfore, databile tra la fine del II e gli<br />
inizi del I sec. a.C., situato a circa m 80 dalla riva,<br />
tra i 2,50 e i 4 metri di profondità.<br />
Le anfore si riscontrano piene di prodotti ittici.<br />
Si tratta probabilmente di resti di allex, il<br />
prodotto ultimo derivante dal filtraggio del<br />
garum, salsa di pesce che veniva prodotta con le<br />
interiora di pesce di vario tipo: di tonno, di sarde,<br />
di crostacei. Una conteneva tritumi di murice, il<br />
mollusco utilizzato per la preparazione della<br />
porpora, ma anche per intonaci parietali.<br />
Tra i reperti figurano un vaso di piombo, relativo<br />
alla dotazione della cambusa di bordo, ed alcuni<br />
vasi a vernice nera. Pochi i resti lignei della nave<br />
naufragata.<br />
Evidentemente, nonostante la bassa profondità,<br />
subito dopo il naufragio per il recupero delle<br />
anfore non furono impiegati gli urinatores, antichi<br />
sommozzatori romani che venivano chiamati<br />
quando si dovevano ripescare oggetti finiti in<br />
fondo al mare.<br />
1-2 Anfore del carico, di<br />
produzione romana e feniciopunica.<br />
3 Particolare di bollo di anfora.<br />
4 Reperti del carico in situ.<br />
1
3 4<br />
2<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Recenti indagini a Porto Palo di Menfi, in Atti XII Rassegna di<br />
Archeologia Sottomarina di Giardini Naxos, 10-12 Ottobre<br />
1997.<br />
53
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
54 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
LA NAVE CON IL TRICLINIO<br />
Il relitto di Camarina (Ragusa)<br />
Una nave arredata come una ricca casa romana<br />
naufragò fra il I e il II secolo d.C. sui bassi fondali<br />
del tratto di costa nei pressi di Camarina.<br />
Nell’estate del 1994, il particolare gioco delle<br />
correnti e delle mareggiate che in questa zona<br />
spazzano i fondali rese visibile il prezioso carico. I<br />
rinvenimenti sono stati effettuati in un’area non<br />
molto vasta in acque poco profonde, su fondale<br />
sabbioso, a poche decine di metri dalla spiaggia.<br />
Si sono rinvenuti alcuni vasi e oggetti figurati in<br />
bronzo, tra i quali va segnalata una pregevole<br />
statuetta (alt. cm 30 circa) di Afrodite.<br />
Per quanto riguarda il vasellame, la quantità e la<br />
varietà dei contenitori fanno pensare a prodotti<br />
trasportati per essere commercializzati, e quindi<br />
destinati all’arredamento e alla mensa. Dal relitto<br />
provengono anche oggetti di ornamento<br />
personale, quali un anello in oro con castone<br />
piatto decorato a incisione con un gallo e un<br />
coccodrillo.<br />
Non si conosce ancora l’esatta provenienza del<br />
carico, anche se il vasellame da mensa trasportato<br />
potrebbe fare pensare ad un’origine campana o<br />
africana. L’unico dato certo è che il vascello<br />
commerciale naufragato con il suo carico<br />
composito e lussuoso trasportava tutto il<br />
necessario per l’arredamento del triclinio di una<br />
casa romana.<br />
1
3<br />
1 Reperti dal carico.<br />
2 Sostegno di mobile in bronzo a<br />
forma di zampa leonina.<br />
3 Anello d’oro con incise le<br />
immagini di un gallo e di un<br />
coccodrillo.<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Di Stefano G., Un triclinio per Afrodite, in Archeologia Viva, n.<br />
52, luglio/agosto 1995.<br />
2<br />
55
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
56 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
LO SCAFO CHE TRASPORTAVA COLONNE<br />
Il relitto di Marzamemi I (Siracusa)<br />
A circa 800 m dalla riva, a sud-est della Punta<br />
del Bue Marino e ad una profondità di circa m<br />
7, nel 1960 si individuarono i resti del carico di<br />
una nave che trasportava colonne di notevoli<br />
dimensioni. I reperti sono prevalentemente<br />
concentrati in una zona del fondale,<br />
probabilmente nel punto dove la nave fece<br />
naufragio. Il marmo di tutti gli elementi<br />
architettonici appare bianco, leggermente<br />
venato di azzurro. A prima vista sembra un<br />
marmo proveniente da una zona dell’odierna<br />
Turchia. Il giacimento è stato assegnato al III<br />
secolo d.C. in base alla presenza di alcuni<br />
frammenti di anfore databili a questo periodo.<br />
Si è ipotizzato che le colonne fossero destinate<br />
alla costruzione di un edificio monumentale. Il<br />
diametro della colonna più grande è di circa<br />
1,78 metri. La lunghezza è di circa 6,20 metri.<br />
Il blocco maggiore pesa circa 40 tonnellate.<br />
Originariamente essi dovevano essere disposti in<br />
file parallele su di una imbarcazione della<br />
larghezza di m 7-8 e della lunghezza di oltre 30.<br />
In base a queste misure, la nave avrebbe avuto<br />
una stazza complessiva di circa 200 tonnellate,<br />
collocandosi tra gli scafi medio-grandi finora<br />
identificati.<br />
Veduta del carico del relitto.
Particolare di una colonna.<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Gianfrotta P.A. - Pomey P., Archeologia subacquea. Storia,<br />
tecniche, scoperte e relitti, Milano 1981, pp. 217 ss.<br />
Kapitän G., Esplorazioni su alcuni carichi di marmo e pezzi<br />
architettonici davanti alle coste della Sicilia Orientale, in Atti del<br />
III Congresso di Archeologia Sottomarina, Barcellona 1961,<br />
pp. 296 ss.<br />
57
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
58 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
UNA NAVE PIENA DI PENTOLE<br />
Il relitto del porto di Scauri (Pantelleria)<br />
A partire dal 1997 sono state condotte una serie di<br />
campagne di scavo che hanno permesso di<br />
identificare, nelle acque antistanti il piccolo porto<br />
di Scauri, ad una profondità compresa tra gli 8 e i<br />
9 metri, una vasta concentrazione di materiale<br />
ceramico.<br />
Si trattava principalmente di ceramiche da cucina<br />
(pentole, scodelle e coperchi), prodotte a<br />
Pantelleria e diffuse in tutto il Mediterraneo in<br />
epoca tardoromana.<br />
Lo scavo ha consentito il recupero di una notevole<br />
quantità di ceramiche, anche integre, poste quasi<br />
sempre capovolte. Tra i reperti recuperati si possono<br />
osservare almeno tre diverse tipologie di<br />
contenitori: pentole cilindriche a fondo arrotondato<br />
con prese ad orecchio, scodelle troncoconiche con<br />
base piatta ed orlo rivoltato e coperchi con presa a<br />
disco. Assai scarsi i resti di anfore.<br />
Tra i reperti particolari si segnala un piccolo anello<br />
d’argento con castone di corniola decorato da<br />
freccia incisa ed un vago di collana in vetro verde.<br />
I dati raccolti inducono a ritenere certa<br />
l’attribuzione del contesto indagato ad un relitto di<br />
imbarcazione colata a picco intorno alla fine del V<br />
secolo d.C.<br />
Probabilmente si trattava di una grossa<br />
imbarcazione che doveva aver caricato, o stava<br />
caricando, le ceramiche da cucina sopra descritte,<br />
probabilmente prodotte nelle vicine installazioni<br />
artigianali. Per cause oggi imprecisabili<br />
l’imbarcazione dovette incendiarsi e, per tale<br />
motivo, affondare. L’ipotesi dell’incendio è stata<br />
avanzata poiché le ceramiche sono state trovate a<br />
gruppi con presenza di tracce di bruciato.<br />
1
1 Pentola a fondo piatto con prese<br />
ad orecchio.<br />
2 Quadrato di scavo del relitto.<br />
3 Disegno di un piatto.<br />
2<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
AA. VV., Pantellerian ware. Archeologia subacquea e ceramiche da<br />
fuoco a Pantelleria, Palermo 2004.<br />
3<br />
59
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
60 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
UNA BASILICA IN VIAGGIO<br />
Il relitto di Marzamemi II<br />
A metà dei passati anni ’60, a circa un miglio al<br />
largo di Marzamemi, nel comune di Pachino<br />
(SR), ad una profondità di circa 10 metri, fu<br />
rinvenuto un singolare carico di nave. Esso era<br />
composto di basi di colonne, capitelli, colonne<br />
monolitiche di marmo, parti di un altare e lastre<br />
già lavorate per il rivestimento di un pulpito, in<br />
marmo cosiddetto “verde antico” (proveniente<br />
dalle cave greche di Larissa in Tessaglia), elementi<br />
tutti destinati alla costruzione di una basilica da<br />
erigere con ogni probabilità in occidente intorno<br />
al VI secolo d.C.<br />
Gli studiosi tedeschi e inglesi che presero parte<br />
alla missione si trovarono davanti ad un carico<br />
che ancora adesso si rivela unico nel suo genere e<br />
che doveva comporre tutta la parte architettonica<br />
marmorea necessaria alla costruzione di una<br />
chiesa, di misure evidentemente rispondenti a<br />
una precisa ordinazione.<br />
Causa del naufragio sembrano poter essere stati<br />
alcuni scogli sommersi posti a breve distanza dal<br />
ritrovamento.
Ricostruzione grafica degli elementi<br />
del pulpito recuperati.<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Gianfrotta P., Pomey P., Archeologia subacquea. Storia, tecniche,<br />
scoperte e relitti, pp. 217 ss., Milano 1981.<br />
Kapitän G., Esplorazioni su alcuni carichi di marmo e pezzi<br />
architettonici davanti alle coste della Sicilia Orientale, in Atti del<br />
III Congresso di Archeologia Sottomarina, pp. 296 ss.,<br />
Barcellona 1961.<br />
61
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
62 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
IL MOLO BIZANTINO<br />
I ritrovamenti bizantini di Cefalù<br />
Il ritrovamento è del finire degli anni ’80 dello<br />
scorso secolo, ed è stato possibile grazie<br />
all’osservazione di un grande tumulo che si<br />
innalzava dal fondale sabbioso e da cui<br />
fuoriuscivano a distanza regolare dei tronchi di<br />
legno con corteccia.<br />
Diversi frammenti ceramici circondano il tumulo,<br />
tra cui un frammento di lucerna con vistose<br />
tracce d’uso e un grande piatto in terra sigillata<br />
africana all’interno del quale è raffigurato il volto<br />
di un personaggio a sinistra di una croce e una<br />
colomba, che possono ben datarsi intorno alla<br />
metà del VI secolo d.C.<br />
Frequenti sulle anfore le iscrizioni greche e latine,<br />
prevalentemente di nomi propri [Iereus, Aimes,<br />
vinu(m) Silvani]. Sono presenti anche palle di<br />
pietra e un enigmatico reperto litico che potrebbe<br />
essere stata la ghiera di tenuta delle molle di<br />
torsione di un’antica catapulta.<br />
Nel giacimento è presente anche della zavorra di<br />
un’imbarcazione, formata da pietre di varie<br />
tipologie (granito rosa, pietre micacee, marmo<br />
bianco), ma anche elementi architettonici di<br />
pregio, forse resti dello spoglio di edifici diruti:<br />
parte di una colonnina, un capitello, la cornice di<br />
un pulpito intarsiata con pietre colorate,<br />
frammenti di lastre di marmo proconnesio, un<br />
frammento di statua.<br />
Si è consolidata l’idea che il luogo sia interessato<br />
da un molo bizantino realizzato sulla scorta delle<br />
tradizioni costruttive romane.<br />
1
2<br />
1 Schizzo planimetrico con<br />
ubicazione dei rinvenimenti.<br />
2 Frammenti di terra sigillata<br />
africana decorata a stampo.<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Purpura G., Il relitto bizantino di Cefalù, in Sicilia Archeologica,<br />
n. 51, 1983, pp. 93-105.<br />
Purpura G., Nuovi rinvenimenti sottomarini nella Sicilia<br />
occidentale (Quadriennio 1986-1989), in Archeologia<br />
subacquea. Studi, ricerche e documenti, I, Roma 1993, pp.<br />
163-184.<br />
63
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
64 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
IL CONVOGLIO NORMANNO<br />
I relitti medievali di Marsala<br />
Su una spiaggia lungo il litorale meridionale di<br />
Marsala, in località La Bambina, nel giugno del<br />
1983 la Guardia di Finanza di Marsala<br />
sequestrava alcune piccole anfore dette a<br />
cannelures (scanalature presenti sul corpo delle<br />
anfore), recuperate dai resti di una imbarcazione<br />
affondata a circa m 40 dalla riva, alla profondità<br />
di soli 2 metri.<br />
Sul fondo sabbioso interrotto da zone di ciottoli e<br />
detriti, si osservavano i resti lignei<br />
dell’imbarcazione. Era evidente la linea del<br />
paramezzale, assai robusta, che appariva spezzata<br />
in due punti nella parte centrale dello scafo.<br />
Probabilmente, in seguito all’urto con il<br />
bassofondo sabbioso, lo scafo si ruppe in tre parti,<br />
conservando le due estremità in asse.<br />
Il sito era di particolare rilievo, poiché custodiva i<br />
resti del primo relitto di età normanna rinvenuto<br />
nella Sicilia occidentale. Successivamente sono<br />
stati ritrovati altri giacimenti simili, tra i quali<br />
quelli di S. Vito Lo Capo e di Mondello.<br />
A breve distanza dalla chiglia del relitto di età<br />
normanna a Marsala, giaceva un’ancora litica con<br />
un foro; più lontana, verso meridione, si trovava<br />
una grande ancora di ferro. Ciò lascia intuire che<br />
l’ancora di ferro fosse stata utilizzata nel vano<br />
tentativo di frenare l’impatto con la costa della<br />
nave sospinta da un forte vento, mentre l’ancora<br />
di pietra si può supporre che si trovasse ancora a<br />
bordo al momento dell’affondamento.<br />
Un aspetto interessante del rinvenimento di<br />
Marsala è stata la scoperta, a qualche diecina di<br />
metri dal primo scafo, di un secondo relitto di<br />
dimensioni più modeste.<br />
1<br />
2<br />
Pur non disponendo di elementi relativi alla<br />
struttura degli scafi, osservando la coerenza ed<br />
omogeneità dei reperti ceramici si potrebbe<br />
avanzare l’ipotesi che riconduce alla pratica<br />
araba del qarib, cioè della navigazione in<br />
convoglio, diffusa in età araba e normanna al<br />
fine di una migliore difesa e manovrabilità,<br />
nonché di una maggiore possibilità di<br />
trasporto e sbarco delle mercanzie in bassi<br />
fondali.<br />
Non è un caso che nel sito di alcuni relitti<br />
ascrivibili al medesimo ambiente culturale ed alla<br />
medesima epoca, di solito si ritrovi, nei pressi del<br />
primo, un secondo scafo più piccolo, poiché il<br />
naufragio dell’imbarcazione principale talvolta
1 Particolare del carico di anfore al<br />
fondo.<br />
2 Reperti recuperati dal relitto.<br />
3 Anfore dal carico.<br />
trascinava sul fondo anche la secondaria ad essa<br />
vincolata.<br />
Le numerose anfore che costituivano parte del<br />
carico di Marsala presentavano all’interno<br />
consistenti residui cremosi di color rosso ruggine.<br />
L’ipotesi che si trattasse di vino è stata esclusa.<br />
Tra gli oggetti recuperati vi è un curioso cono di<br />
terracotta, forse un imbuto. Questo contenitore<br />
serviva per raffinare il succo estratto dalla<br />
cannamela, che si condensava nel cono lasciando<br />
cadere le impurità in un vaso sottostante.<br />
L’introduzione della coltivazione della canna da<br />
zucchero in Sicilia è tradizionalmente attribuita<br />
agli arabi, anche se le notizie a tal proposito sono<br />
molto scarse.<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Purpura G., Arabi e Normanni nel mare di Sicilia, in Archeologia<br />
Viva, n. 47, 1994, pp. 66-77<br />
Purpura G., Un relitto di età normanna a Marsala, in Archeologia<br />
Subacquea 2, Suppl. Bollettino d’Arte n. 29, 1985, pp. 129-<br />
136.<br />
3<br />
65
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
66 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
I CANNONI CON LA SALAMANDRA<br />
Il relitto postmedievale di Sciacca<br />
A Sciacca, nella zona di Coda di Volpe, furono<br />
rinvenuti nel 1992 i resti di una nave da guerra,<br />
naufragata a circa 80 metri dalla riva in soli 5<br />
metri d’acqua.<br />
I ritrovamenti indicavano con certezza che nella<br />
zona c’era qualcosa di più importante di singoli<br />
reperti sporadici. Si rinvennero cannoni in<br />
bronzo lunghi più di 3 metri, tortili come<br />
colonne, vistosamente dorati e decorati con<br />
stemmi e iscrizioni, frammisti a palle di cannone<br />
di vario calibro, in ferro, pietra e piombo. Non<br />
mancavano pallottole per moschetti o archibugi e<br />
cunei utilizzati per bloccare i mascoli<br />
(contenitori mobili delle cariche) delle petriere<br />
(piccoli affusti su forcella facilmente<br />
brandeggiabili). Sul fondale si individuarono<br />
anche parti dello scafo.<br />
In un punto del fondale un gran numero di<br />
concrezioni ferrose, inglobanti chiodi, anelli e<br />
qualche attrezzo, lascia ipotizzare la presenza di<br />
una cassetta da carpentiere, ormai disgregatasi.<br />
Un altro indizio della presenza a bordo di un<br />
carpentiere è costituito da un grande rotolo di<br />
lamina di piombo, utilizzata per foderare la<br />
carena dello scafo.<br />
Fra i cannoni di bronzo recuperati, il più<br />
interessante è lungo 3,10 metri. Esso poteva<br />
scagliare palle del diametro di 10 centimetri ad<br />
una notevole distanza. Il pomolo della culatta,<br />
che reca ancora tracce dell’originaria doratura,<br />
raffigura un tulipano. Di grande rilievo la<br />
presenza dello stemma della salamandra che<br />
estingue le fiamme, rappresentante la dignità del<br />
corpo politico del re che non muore mai.<br />
1<br />
Lo stemma della salamandra era stato adottato agli<br />
inizi del ’500 da Francesco I di Francia come<br />
“impresa d’anima”, cioè emblema personale del re.<br />
La sua presenza su uno dei cannoni di Sciacca,<br />
insieme alla sigla (F) di Francesco I, suggerisce<br />
una datazione cinquecentesca del giacimento e,<br />
conseguentemente, una collocazione del relitto<br />
nell’ambito delle vicende storiche che videro<br />
l’intervento del sostegno francese ai Turchi e ai<br />
barbareschi in occasione delle reiterate incursioni<br />
cinquecentesche.<br />
Due cannoni erano pronti al tiro, così come un<br />
altro ripescato in precedenza, dal momento che<br />
all’interno della canna si trovava la palla e resti<br />
della carica di polvere da sparo. Questi<br />
particolari lasciano immaginare che lo scafo<br />
francese di Sciacca sia affondato nell’ambito di<br />
uno scontro navale. Lo confermerebbe anche il<br />
rinvenimento di alcune grosse palle di pietra<br />
spezzate. Si ipotizza che lo scafo, danneggiato in<br />
uno scontro a fuoco, sia andato lentamente alla<br />
deriva fino ad affondare in prossimità della<br />
spiaggia.
2<br />
1 Stemma su uno dei cannoni.<br />
2 Veduta generale di cannoni.<br />
3 Particolare dello stemma con la<br />
Salamandra.<br />
Perapprofondire<br />
LE SCOPERTE<br />
ARCHEOLOGICHE<br />
SUBACQUEE<br />
IN SICILIA<br />
7<br />
Purpura G., Cannoni francesi nel mare di Sciacca, in Archeologia<br />
Viva, n. 64, luglio/agosto 1997.<br />
3<br />
67
8<br />
68 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
COME<br />
COMPORTARSI<br />
SE CI SI IMBATTE<br />
IN REPERTI<br />
ARCHEOLOGICI<br />
SOMMERSI<br />
di Francesco Benassi<br />
Il reperto archeologico ha spesso un assai<br />
modesto valore economico; viceversa, ogni<br />
reperto archeologico ha sempre un enorme valore<br />
documentale.<br />
Perché l’archeologo possa effettuare una<br />
ricostruzione storica è importante che il maggior<br />
numero possibile dei reperti di un sito giungano a<br />
lui. Sottrarre da un contesto archeologico intatto<br />
anche solo un reperto è come cancellare un<br />
prezioso indizio dalla scena di un delitto. Ciascun<br />
indizio risulta fondamentale nelle indagini per il<br />
valore testimoniale che fornisce alla ricostruzione<br />
del crimine e, allo stesso modo, ogni reperto,<br />
anche piccolo o poco significativo di per sé,<br />
diventa prezioso in associazione agli altri oggetti<br />
che costituiscono il contesto archeologico.<br />
Ci sono casi non rari in cui il singolo reperto, per<br />
quanto piccolo e apparentemente insignificante,<br />
risulta prezioso e significativo per il semplice fatto<br />
di essere presente in quel sito. Un frammento di<br />
lucerna ad esempio, o una moneta, possono far<br />
abbassare o alzare di molto la datazione di un<br />
contesto archeologico.<br />
Dunque, se ci si imbatte in un contesto<br />
archeologico, non si deve portare via nulla!<br />
COSA DICE LA LEGGE<br />
I beni archeologici immobili (edifici e strutture<br />
edilizie, aree archeologiche, ecc.) e mobili (cioè gli<br />
oggetti) costituiscono, insieme ai beni di interesse<br />
artistico, storico, etno-antropologico, archivistico<br />
e bibliografico, i beni culturali.<br />
Beni culturali e beni paesaggistici formano il<br />
patrimonio culturale del nostro paese. Esso è<br />
disciplinato dal recente “Codice dei beni culturali<br />
e del paesaggio”, entrato in vigore il 1 maggio<br />
2004.
La caratteristica fondamentale del patrimonio<br />
culturale è quella di essere destinata alla fruizione<br />
della collettività, cioè di tutti i cittadini, e per<br />
questo lo Stato ne garantisce la protezione e la<br />
conservazione, impegnandosi a promuoverne la<br />
conoscenza.<br />
Per quanto riguarda l’archeologia, la legge<br />
stabilisce che gli immobili e le aree di interesse<br />
archeologico (beni culturali demaniali) sono<br />
inalienabili, cioè che non possono essere ceduti o<br />
venduti, e che i beni mobili di interesse<br />
archeologico, rinvenuti nel sottosuolo o sui<br />
fondali marini, fanno parte del patrimonio<br />
indisponibile dello Stato.<br />
Quanto al patrimonio culturale sommerso, lo<br />
Stato esercita la piena potestà di governo sui beni<br />
archeologici e storici giacenti nelle acque interne<br />
o territoriali (fino ad un massimo di 12 miglia<br />
marine).<br />
Il bene culturale è, come detto, un bene<br />
collettivo, e l’accesso pubblico al patrimonio<br />
culturale che si trova sui fondali è perciò<br />
consentito, purché non arrechi danno o risulti<br />
incompatibile con la sua conservazione.<br />
Le ricerche archeologiche, in qualunque parte del<br />
territorio nazionale, sono riservate<br />
all’Amministrazione dei Beni Culturali.<br />
A chiunque però può capitare di fare scoperte<br />
fortuite di beni mobili o immobili di interesse<br />
archeologico. In tal caso lo scopritore deve farne<br />
denuncia entro 24 ore al Soprintendente per i<br />
Beni Archeologici, al Sindaco, ovvero all’autorità<br />
di pubblica sicurezza ed è tenuto a provvedere alla<br />
conservazione temporanea dei beni lasciandoli<br />
nelle condizioni e nel luogo in cui sono stati<br />
rinvenuti. Solo nel caso si tratti di beni mobili dei<br />
quali non si possa assicurare altrimenti la<br />
custodia, lo scopritore, sino alla visita dell’autorità<br />
competente, può provvedere alla loro rimozione,<br />
COME<br />
COMPORTARSI<br />
SE CI SI IMBATTE<br />
IN REPERTI<br />
ARCHEOLOGICI<br />
SOMMERSI<br />
8<br />
per meglio garantirne la sicurezza e la<br />
conservazione.<br />
Ai fini delle successive ricerche sarà certamente<br />
utile che colui che per primo ha individuato i<br />
reperti scatti alcune fotografie. A tale proposito<br />
bisogna ricordare che la fotografia di un reperto<br />
archeologico risulta utile se eseguita con l’impiego<br />
di un riferimento metrico (metro, stadia, palina,<br />
ecc.) posto orizzontalmente, vicino ed in basso<br />
rispetto al soggetto; in mancanza di esso è<br />
sufficiente porre accanto al reperto un oggetto di<br />
dimensioni note, come una moneta.<br />
I beni appartengono dunque allo Stato, ma<br />
l’Amministrazione dei Beni Culturali corrisponde<br />
per i ritrovamenti un premio. Il premio, non<br />
superiore ad un quarto del valore delle cose<br />
ritrovate, generalmente viene corrisposto in<br />
denaro.<br />
Per i ritrovamenti su terraferma tale compenso<br />
spetta non solo allo scopritore, ma anche al<br />
proprietario del terreno dove è avvenuto il<br />
ritrovamento; è ovvio che nel caso di ritrovamenti<br />
in mare il premio spetta solo allo scopritore.<br />
Per chiunque si impossessi illecitamente di beni<br />
culturali appartenenti allo Stato, o ne faccia uso<br />
illecito o ne pregiudichi la conservazione o<br />
l’integrità, sono previste sanzioni penali e<br />
multe.<br />
69
70 ILMARECOMEMUSEODIFFUSO<br />
REFERENZE FOTOGRAFICHE E ICONOGRAFICHE<br />
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