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Inventario dell'Archivio.pdf (10,53 MB) - carlo romussi

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A fianco della grande storia, scorre una fitta rete di personaggi e fatti che le furono complementari e<br />

che contribuiscono a farci riflettere sulla complessità degli anni postunitari.<br />

Perchè Romussi visse in pieno quella che Croce definì la crisi del periodo eroico del Risorgimento cui<br />

subentrava l’età della prosa.<br />

L’Italia doveva confrontarsi con gli altri Stati europei molto più avanzati socialmente ed economicamente<br />

e avviare una politica estera che cercasse uno spazio al fianco delle altre potenze e uscisse dall’isolamento<br />

in cui era venuta a trovarsi. Nel 1882 quindi fu firmato dal Governo di Agostino Depretis, il Trattato<br />

della Triplice Alleanza con Austria e Prussia.<br />

“Occorreva sacrificare i sentimenti agli interessi”, come veniva giustificato l’accordo con il vecchio<br />

nemico, l’Austria. Da parte sua la Prussia, dopo avere affrontato come l’Italia il processo di unificazione<br />

sotto la guida di Bismarck e la guerra vittoriosa sulla Francia nel 1870-71, stava imponendosi come la<br />

maggiore potenza europea, in grado anche di assicurare all’Italia un qualche sbocco coloniale in Africa.<br />

“Il Secolo” già in polemica con il Trasformismo come metodo che le sinistre al potere stavano praticando,<br />

assunse un atteggiamento critico, fino a diventare un atto di accusa verso il Governo. Di fatto l’Alleanza fu<br />

periodicamente rinnovata fino al 1912, e la mutata situazione internazionale farà gradualmente allontanare<br />

l’Italia dall’Austria conducendoci alla prima guerra mondiale, ma in quel momento Romussi si fece<br />

portavoce del malcontento popolare che interpretava quell’Alleanza come un taglio netto con tutto il<br />

Risorgimento e una chiara presa di posizione contro la Francia repubblicana.<br />

La politica interna doveva fare i conti con una società per la maggior parte basata sull’agricoltura.<br />

L’inchiesta di Stefano Jacini aveva denunciato le misere condizioni in cui si trovavano i contadini: il tasso<br />

di analfabetismo altissimo, le malattie diffuse della tisi e della malaria, l’alta mortalità infantile. Ciò provocava,<br />

nella speranza di miglioramenti tangibili, il fenomeno della emigrazione che a ondate si ripeteva<br />

negliultimi20annidelsecolo.<br />

Si trattava di un malessere diffuso cui la politica tentava di dare qualche risposta proponendo le<br />

guerre in Africa, avventure che con Crispi segnarono il fallimento della politica coloniale, mentre all’interno<br />

il Paese era scosso dalla corruzione della classe dirigente travolta dagli scandali come fu quello della<br />

Banca Romana o della Regia Cointeressata dei Tabacchi.<br />

Attraverso le pagine del “ Secolo”, Romussi teneva alta l’attenzione e indirizzava l’opinione pubblica,<br />

ne esprimeva gli umori e ne suscitava gli sdegni, subendo anche la censura quando affrontò con coraggio<br />

la Questione Morale avviata dall’opposizione anticrispina, e sostenuta anche della forza trainante dell’amico<br />

Felice Cavallotti.<br />

“La concezione che egli aveva del lavoro giornalistico, somigliava un po’ a quel suo enorme tavolo su<br />

cui erano accatastati in grande confusione giornali, libri, opuscoli, riviste, circolari, lettere, foglietti volanti,<br />

carta scritta e carta bianca -una montagna di roba che era vietato toccare e su cui cresceva la polvere. C’era<br />

appena un piccolo spazio libero per lui,dove scriveva con foga febbrile” così lo ricorda nelle “Memorie” il<br />

suo collaboratore Mario Borsa.<br />

Entrato al “Secolo” come critico letterario, nel giornale egli aveva trovato il modo di sviluppare ancor<br />

più i suoi interessi e i collegamenti tra i vari ambiti della società, dovendo gradualmente occuparsi dalla<br />

politica all’arte alla cronaca.<br />

Ma l’amore per la sua città, sospinse Romussi a dedicarsi anche alla storia dei monumenti di Milano,<br />

pronto a tutelarne le bellezze artistiche che egli fissò mirabilmente in “Milano ne’ suoi monumenti” e a<br />

descrivercele con passione. Era in lui la consapevolezza del tempo che stava scorrendo cancellando forse<br />

le memorie e la stessa identità della città che negli ultimi decenni dell’‘800 stava subendo profonde trasformazioni<br />

sociali e urbanistiche.<br />

Come annota il suo coetaneo Emilio De Marchi nell’opera “Milano e i suoi dintorni”, “anche il vecchio<br />

Manzoni un po’ curvo, le mani di dietro, vestito di nero, pulito come un suo periodo, si confondeva<br />

con i sopravvissuti a un’età passata”.<br />

VIII

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