14.06.2013 Views

Scarica l'articolo: pagina 3.pdf - Genetica e Immunologia Pediatrica

Scarica l'articolo: pagina 3.pdf - Genetica e Immunologia Pediatrica

Scarica l'articolo: pagina 3.pdf - Genetica e Immunologia Pediatrica

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Rivista Italiana di <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology<br />

Anno III numero 1 - gennaio 2010 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali<br />

Home page Norme editoriali | Stampa <strong>l'articolo</strong> Motore di ricerca<br />

Numeri precedenti 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 ◀ Indietro <strong>pagina</strong> 3 Avanti ►<br />

Screening trombofilico: aspetti clinici e genetici<br />

Thrombophilia screening: clinical and genetic aspects<br />

Valeria Ferraù, Elisa Ferro, Chiara Barone, Rosy Civa, Piera Vicchio, Italia Loddo, Marzia Sturiale, Maria Angela La Rosa<br />

Dipartimento di Scienze Pediatriche, UOC di <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> Università di Messina<br />

Abstract<br />

Thrombophilia describes a tendency to develop thrombosis on the basis of<br />

inherited or acquired disorders of blood coagulation or fibrinolysis leading to a<br />

prothrombotic state. The thrombotic event being the result of gene-gene and<br />

gene-environment interactions. All patients with venous thromboembolism are<br />

potentials candidates for screening, regardless of the age at wich the event<br />

occurs, the circumstances of thrombosis, and the severity of the clinical<br />

manifestations. Potential candidates for screening are also women who have<br />

suffered from complications of pregnancy, other than venous<br />

thromboembolism. Screening should be limited to those traits that are more<br />

frequent or carry a higher thrombotic risk. For the rarity of these defects is<br />

indispensable the collaboration of multiple specialistics center for the bearing<br />

patients in the diagnostics and therapeutics choice.<br />

Riassunto<br />

Gli stati trombofilici sono difetti della coagulazione in cui l'equilibrio fra le<br />

forze emostatiche è spostato a favore di quelle protrombotiche. Questi<br />

possono essere distinti in congeniti o acquisiti. I soggetti candidati a<br />

effettuare lo screening per trombofilia appartengono a diverse categorie. Sono<br />

da indagare pazienti con tromboembolismo venoso ricorrente o idiopatico,<br />

familiari di 1° grado di pazienti portatori di difetti trombofilici, donne in età<br />

fertile candidate alla terapia con estroprogestinici o in corso di<br />

gravidanza/puerperio e pazienti che in età giovanile hanno manifestato un<br />

evento trombotico arterioso da causa ignota. Non esistono al momento test<br />

globali che consentano una diagnosi semplice di trombofilia, per cui è<br />

necessario eseguire più indagini secondo un protocollo ben standardizzato.<br />

Per la relativa rarità dei difetti trombofilici è necessaria la collaborazione tra<br />

centri specialistici al fine di supportare i pazienti e adottare scelte<br />

diagnostiche e terapeutiche efficaci.<br />

Introduzione<br />

Il termine “trombofilia” identifica una tendenza a sviluppare trombosi venosa e/o<br />

arteriosa sulla base di difetti ereditari o acquisiti dell’emostasi o della fibrinolisi in<br />

senso protrombotico. Tale fenomeno rappresenta, per il versante arterioso, la<br />

principale causa di morte nelle società sviluppate, mentre per quello venoso ha<br />

un’incidenza annuale dell’1-2‰ nelle popolazioni occidentali. Gli stati trombofilici<br />

sono, quindi, alterazioni del meccanismo fisiologico della coagulazione, in cui<br />

l'equilibrio fra le forze emostatiche è spostato a favore di quelle protrombotiche.<br />

Questi stati possono essere distinti in congeniti o acquisiti (Fig.1).<br />

Fig. 1 Cause di trombofilia (modificata da Hematology 2008)<br />

La trombofilia congenita, o ereditaria, può essere legata a una riduzione quantitativa<br />

o un deficit qualitativo dei meccanismi anticoagulanti e/o della fibrinolisi, o alla<br />

presenza di polimorfismi di fattori implicati sia direttamente che indirettamente nella<br />

cascata coagulativa. Si può sospettare una condizione di trombofilia su base<br />

ereditaria quando si è in presenza di episodi tromboembolici ricorrenti, esordio in età<br />

giovanile, tromboembolia a localizzazione anatomica anomala (vene mesenteriche,<br />

vena porta, vene cerebrali) e anamnesi familiare positiva. La trombofilia acquisita è<br />

caratterizzata cause molteplici, che agiscono alterando l’equilibrio emostatico in<br />

senso protrombotico: alcune di esse possono essere persistenti nel tempo, come la<br />

sindrome da anticorpi antifosfolipidi e le patologie croniche di tipo infettivo,<br />

infiammatorio, dismetabolico o neoplastico, altre invece transitorie, come i traumi, gli<br />

interventi chirurgici, la gravidanza, il puerperio e l’assunzione di estroprogestinici<br />

(Fig.1). E’ possibile che nello stesso individuo concorrono sia fattori genetici che, più<br />

frequentemente, acquisiti soprattutto quando si e in presenza di un effettivo evento<br />

trombotico. Bisogna infatti sottolineare che l’identificazione di uno stato trombofilico<br />

non significa che l’evento trombotico si debba necessariamente verificare: la<br />

maggior parte degli individui portatori di uno o più difetti trombofilici sono destinati a<br />

rimanere asintomatici nel tempo. Solo in una minoranza di casi si realizza una<br />

trombosi clinicamente manifesta, spesso come risultato dell’intervento di fattori<br />

trombogeni intercorrenti (ad es. un trauma o un intervento chirurgico) su uno stato<br />

trombofilico preesistente. Questo significa che l’identificazione di un difetto<br />

trombofilico non deve portare automaticamente ad effettuare una terapia<br />

anticoagulante. L’uso di questi farmaci a scopo profilattico primario o secondario,<br />

infatti, dovrebbe essere riservato solo ai soggetti con un difetto trombofilico, che<br />

hanno una storia personale o familiare di trombosi.<br />

Epidemiologia<br />

La maggior parte delle alterazioni trombofiliche sono congenite, alcune molto rare<br />

nella popolazione generale come, ad esempio i deficit di antitrombina III con una<br />

prevalenza stimata pari al 0, 02%, altre invece più frequenti come la resistenza alla<br />

proteina C attivata (Fattore V Leiden) e la variante genica della protrombina (Fattore<br />

II) G20210A (Fig. 2).<br />

Fig. 2 Prevalenza dei principali fattori di rischio ereditari (modificata da<br />

Haematologica 2002)<br />

Sebbene l’ introduzione sistematica di misure di prevenzione del tromboembolismo<br />

venoso abbia ridotto, negli ultimi 15 anni, la prevalenza degli eventi tromboembolici,<br />

l’ incidenza totale e la mortalità rimangono ancora molto elevate. Da studi<br />

epidemiologici emerge infatti, che l’incidenza annuale di trombosi venosa profonda<br />

(TVP) aumenta esponenzialmente con l’età passando da meno di 10 casi /100.000<br />

abitanti, tra i ragazzi al di sotto di 15 anni, a 450-600 casi/100.000 abitanti tra gli<br />

individui al di sopra di 70 anni, senza differenza statisticamente significativa tra<br />

uomini e donne. Le manifestazioni cliniche associate ai difetti trombofilici finora<br />

elencati, nella grande maggioranza dei casi, sono trombosi venose profonde degli<br />

arti inferiori complicate o meno da embolia polmonare. Tuttavia tali difetti<br />

comportano un significativo aumento di rischio sia per manifestazioni minori, quali<br />

tromboflebiti superficiali, che per manifestazioni potenzialmente fatali quali trombosi<br />

venose del circolo cerebrale e splancnico. Nei soggetti con fattore V Leiden è stata<br />

più volte segnalata una minore tendenza all’embolia polmonare rispetto ai soggetti<br />

non portatori, ipotizzando in tali soggetti la presenza di un trombo più stabile e più<br />

aderente alla parete vascolare, ma il reale significato di tale dato clinico è tuttora non<br />

chiarito. Tali difetti non comportano nel complesso un aumentato rischio di eventi<br />

occlusivi arteriosi, alcune evidenze suggeriscono pero’ che la protrombina G20210A<br />

possa avere una importanza nella patogenesi dell’evento occlusivo arterioso in<br />

alcuni particolari gruppi di pazienti relativamente giovani e senza tradizionali fattori di<br />

rischio cardiovascolari .<br />

A chi eseguire lo screening trombofilico e quali test richiedere<br />

La malattia tromboembolica venosa, come accennato in precedenza, è una malattia<br />

a patogenesi multifattoriale in cui sono responsabili, della comparsa delle<br />

manifestazioni cliniche della malattia, fattori genetici unitamente a fattori ambientali e<br />

comportamentali. I soggetti candidati a effettuare lo screening per la trombofilia


appartengono a diverse categorie (Fig.3). Sono da indagare, infatti, pazienti con<br />

tromboembolismo venoso ricorrente o idiopatico, familiari di 1° grado di pazienti<br />

portatori di difetti trombofilici, donne in età fertile candidate alla terapia con<br />

estroprogestinici, o in corso di gravidanza/puerperio (incremento da 4 a 10 volte del<br />

rischio trombotico), pazienti che in età giovanile (< 45 anni) hanno manifestato un<br />

evento trombotico arterioso da causa ignota, bambini che hanno sviluppato un<br />

evento trombotico venoso o un ictus ischemico, se pur raro . Quando la trombosi<br />

venosa compare in età adulta o senile, soprattutto se vi è una causa contingente<br />

(intervento chirurgico, tumore, immobilizzazione prolungata, etc…) non è opportuno<br />

eseguire l’indagine, poiché in questi casi la conoscenza dell’esistenza o meno di una<br />

causa congenita di trombofilia non cambia l’approccio terapeutico. Individui sani,<br />

senza storia personale o familiare di trombosi venosa, anche se esposti<br />

elettivamente a fattori di rischio trombotici contingenti, come per esempio la<br />

gravidanza, la chirurgia ortopedica ad alto rischio e la prolungata non dovrebbero<br />

essere sottoposti alle indagini di laboratorio per lo studio trombofilico. La loro ricerca<br />

indiscriminata non è infatti giustificata dal rapporto costo-beneficio. Lo screening di<br />

laboratorio è invece fortemente raccomandato nei familiari di soggetti già<br />

diagnosticati, anche se asintomatici, perché possano beneficiare dell’ instaurarsi di<br />

una profilassi antitrombotica in occasione di esposizione a rischi contingenti di<br />

trombosi.<br />

Fig. 3 Indicazioni allo screening trombofilico (modificata da Hematology 2008)<br />

Non esistono al momento test globali che consentano una diagnosi semplice di<br />

trombofilia, ma vi è la necessità di eseguire più indagini secondo un protocollo ben<br />

standardizzato al fine di contenerne i costi ed evitare di fornire informazioni non<br />

corrette. Il dosaggio degli inibitori fisiologici viene preferibilmente eseguito con test<br />

funzionali, tenendo presente che se ne sconsiglia l’ esecuzione in particolari<br />

situazioni quali: la fase acuta di un evento trombotico (è buona regola attendere<br />

almeno 3 mesi), durante la terapia anticoagulante, in corso di trattamento<br />

estroprogestinico, in presenza di epatopatie etc. etc. Si può, invece, effettuare lo<br />

studio molecolare per la ricerca di polimorfismi genetici (FV Arg506Gln, FII<br />

G20210A) in qualsiasi momento, poiché non subisce modifiche in particolari<br />

situazioni patologiche e non è influenzato da eventuali terapie.<br />

Fig. 4 Test da eseguire (modificata da Hematology 2008)<br />

Studio molecolare di polimorfismi genetici per lo screening trombofilico<br />

Mutazioni o polimorfismi di geni coinvolti nella coagulazione, regolazione della<br />

pressione del sangue, metabolismo dei lipidi, glucosio e omocisteina possono<br />

direttamente o indirettamente influenzare la bilancia emostatica ed innescare uno<br />

stato protrombotico.<br />

Tra i geni canditati, quali marker di rischio protrombotico, possono essere<br />

considerati principalmente i fattori procoagulanti comprendenti il fattore II, fattore V,<br />

fattore XIII, HPA e β-fibrinogeno. Alcuni polimorfismi del sistema fibrinolitico (PAI-1),<br />

del ciclo dell’omocisteina (MTHFR), del sistema renina-angiotensina (ACE) e del<br />

metabolismo dei lipidi (APOB e APOE) risultano associati sia positivamente che<br />

negativamente a trombosi. Presso il nostro centro è possibile eseguire, mediante<br />

l’utilizzo del CVD StripAssay (Fig.5), lo screening trobofilico genetico completo con<br />

la valutazione di tali dieci geni.<br />

Fig. 5 CVD StripAssay<br />

La protrombina o fattore II della coagulazione svolge un ruolo fondamentale nella<br />

cascata coagulativa. La trombina o fattore II attivato (FIIa), è responsabile della<br />

trasformazione del fibrinogeno in fibrina e quindi della formazione del coagulo. Il FIIa<br />

stimola l’aggregazione piastrinica, attiva i fattori di coagulazione V, VIII, e XIII; di<br />

contro inibisce la coagulazione mediante l’attivazione della proteina C. Il gene<br />

codificante F2 mappa nella regione 11p11-q12 (Fig.6). La variante genetica<br />

G20210A, localizzata nella regione 3’ non trascritta, è coinvolta nella regolazione<br />

genica trascrizionale e post-trascrizionale. Questa condizione è associata ad elevati<br />

livelli di protrombina funzionale nel plasma e di conseguenza a un aumentato rischio<br />

di trombosi, specie di tipo venosa. La frequenza genica del G20210A è del 2-3%di<br />

eterozigoti, mentre l’omozigosi è rara. Per gli eterozigoti si registra un rischio<br />

aumentato di trombosi venosa, ictus ischemico, infarto miocardico in donne giovani<br />

maggiore rispetto agli uomini, soprattutto nelle donne che assumono contraccettivi<br />

orali.<br />

Fig. 6 Cromosoma 11, regione 11p11-q12 gene FII<br />

Il fattore V attivato è un cofattore essenziale per l'attivazione della protrombina<br />

(fattore II) a trombina. Il suo effetto procoagulante è normalmente inibito dalla<br />

Proteina C attivata che taglia il fattore V attivato in tre parti. Il gene F5 mappa nel<br />

locus 1p23 (Fig.7). La mutazione nel nucleotide G1691A corrispondente alla<br />

sostituzione amminoacidica in posizione 506 della arginina in glutammina impedisce<br />

il taglio da parte della Proteina C attivata. Questo comporta una resistenza alla<br />

proteina C attivata (APC) nei test di laboratorio ed una maggiore attività<br />

procoagulante del fattore V attivato che predispone alla trombosi. Tale variante<br />

G1691A è definita variante di Leiden (Arg506Gln), ed ha una frequenza genica dell’<br />

1, 4-4, 2% in Europa. In Italia la frequenza di portatori eterozigoti è del 2-3% e hanno<br />

un rischio 8 volte superiore di sviluppare una trombosi venosa, mentre la mutazione<br />

in omozigosi ha un’incidenza di 1:5000 con un rischio pari ad 80 volte. In presenza<br />

di altre condizioni predisponenti quali la gravidanza, l'assunzione di contraccettivi<br />

orali e gli interventi chirurgici il rischio è maggiore. In gravidanza una condizione<br />

genetica di eterozigosi per il Fattore Leiden è considerata predisponente all'aborto<br />

spontaneo, alla eclampsia, ai difetti placentari e alla Sindrome HELLP (emolisi,<br />

elevazione enzimi epatici, piastrinopenia).Tali manifestazioni sarebbero legate a<br />

trombosi delle arterie spirali uterine con conseguente inadeguata perfusione<br />

placentare. I soggetti portatori di mutazione del Fattore V di Leiden dovrebbero<br />

pertanto sottoporsi a profilassi anticoagulativa in corso di gravidanza, in funzione di<br />

interventi chirurgici ed evitare l'assunzione di contraccettivi orali. La resistenza alla<br />

proteina C attivata, dovuta alla variante FV Leiden, rappresenta quindi il più comune<br />

fattore di rischio genetico per le manifestazioni trombotiche, finora conosciuto.<br />

Recentemente sono state individuate altre due mutazioni del Fattore V associate a<br />

trombofilia. La prima è determinata dalla sostituzione di una adenina con una<br />

guanina (G4070A) in posizione nucleotidica 4070 nell’esone 13, che inserisce una<br />

arginina al posto di una istidina in posizione aminoacidica 1299 (His1299Arg). La<br />

seconda consiste nella medesima sostituzione in posizione 5279 del gene e<br />

comporta la presenza di una tirosina in posizione 1702 al posto di un residuo di<br />

cisteina (Y1702C) nella catena aminoacidica del fattore V.<br />

Fig. 7 Cromosoma 1, locus 1p23 gene FV<br />

Il Fattore XIII è composto da 2 subunità A e due subunità B. Nel gene codificante la<br />

subunità A1 (locus genico 6p25-p24) è presente un polimorfismo comune, prossimo<br />

al sito di attivazione della trombina, che porta alla sostituzione di una valina con una<br />

leucina in posizione 34 (Val34Leu) della catena polipeptidica. Questa modificazione<br />

favorisce significativamente il taglio di attivazione da parte della trombina risultando


in un FXIII con più alta attività transglutaminasica e di cross-linking della fibrina.<br />

Nonostante tale variante genica sembrerebbe aumentare l’attività procoagulante del<br />

fattore XIII si registra una minore prevalenza di questo polimorfismo in soggetti con<br />

infarto del miocardio suggerendone un ruolo protettivo contro il rischio trombotico. La<br />

glicoproteina di membrana piastrinica umana (GP), formata da due subunità GPIIb e<br />

GPIIIa, determina l’aggregazione piastrinica interagendo come recettore con<br />

molecole di fibrinogeno nella formazione del coagulo. Agisce, inoltre, come recettore<br />

per il fattore di von Willebrand e per la fibronectina. Il gene ITGB3, che codifica per<br />

GPIIIa, è caratterizzato, da un polimorfismo, Leu33Pro, che consiste in una<br />

variazione nucleotidica T1565C nell’esone 2 del gene. La presenza/assenza del<br />

polimorfismo identifica rispettivamente le due forme alleliche PlA2 e PlA1<br />

dell’alloantigene piastrinico specifico PlA. Questo sistema diallelico è stato definito<br />

come HPA (Human platelet alloantigens) e le due forme alleliche sono HPA-1a<br />

(PlA1) con una maggiore frequenza genica e HPA-1b (PlA2) meno presente nella<br />

popolazione caucasica. Differenti studi hanno associato la presenza dell’ allele PlA2<br />

(HPA-1b), in etero/omozigosi, ad una maggiore aggregazione piastrinica,<br />

ipercoagulazione, infarto, ischemia e trombosi venosa. Alti valori di fibrinogeno sono<br />

associati prevalentemente a malattia cardiovascolare ma costituiscono un fattore di<br />

rischio anche per la trombosi venosa. Il fibrinogeno è un esamero costituito da 3<br />

catene polipeptidiche, ciascuna presente in due copie: Aα, Bβ, γ. La lettera A e B si<br />

riferiscono alla presenza di due corti peptidi (fibrinopeptide A e B) nella regione<br />

N-terminale. Le tre catene polipeptidiche sono codificate da 3 geni diversi<br />

denominati rispettivamente FGA, FGB, FGG localizzati in posizioni adiacenti sul<br />

braccio lungo del cromosoma 4. Il gene per la catena Bβ è costituito da 8 esoni e 6<br />

introni mappa nel locus 4q28. Sono stati descritti diversi polimorfismi nel gene FGB<br />

ma quello più studiato è il polimorfismo G-A nella regione 5’ del promotore in<br />

posizione -455. La presenza di questa variante allelica (allele A) è responsabile di un<br />

incremento dei livelli di fibrinogeno soprattutto nei maschi e nelle donne post<br />

menopausa.<br />

Fig. 8 Cromosoma 4, locus 4q28 gene FGB<br />

Fig. 9 Cromosoma 7, locus 7q21.3-q22 gene PAI-1<br />

L'inibitore dell'attivatore del plasminogeno di tipo 1 (PAI-1) rappresenta il principale<br />

inibitore del processo di attivazione del plasminogeno nel sangue. Questa molecola<br />

inibisce gli attivatori del plasminogeno (PLAT e PLAU) regolando negativamente la<br />

fibrinolisi e inibendo la dissoluzione del coagulo. I livelli plasmatici di PAI-1 sono<br />

sottoposti a regolazione genica e sono correlati ad una serie di fattori di rischio per<br />

l'aterosclerosi quali, ipertrigliceridemia, diabete e insulino-resistenza. A livello della<br />

regione promotore del gene SERPINE1, che codifica per PAI-1 (Fig.9), è presente<br />

un polimorfismo 1-pb del/ins 4G/5G, del tipo insezione/delezione di una G in<br />

posizione -675. L’allele 4G può legare solo enhancers di trascrizione, mentre il 5G<br />

interagisce con enhancers e suppressors; questo si traduce in un più basso livello di<br />

trascrizione in presenza dell’allele 5G. Numerosi studi hanno dimostrato che soggetti<br />

4G/5G hanno livelli plasmatici di PAI-1 più alti con conseguente inibizione della<br />

fibrinolisi e accumulo di fibrina; gli omozigoti 4G/4G hanno livelli plasmatici di PAI-1<br />

più alti del 25% rispetto ai soggetti 5G/5G, con aumento rischio di malattie<br />

coronariche, infarto e, nelle donne in gravidanza, aumentato rischio di preeclampsia.<br />

Il polimorfismo 5G/5G è caratterizzato da un aumento della fibrinolisi, è quindi un<br />

fattore protettivo contro le patologia cardiovascolari. La<br />

metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nella trasformazione<br />

del 5-10 metilentetraidrofolato in 5 metiltetraidrofolato che funge da donatore di<br />

gruppi metilicie interviene nella rimetilazione della omocisteina a metionina<br />

utilizzando come cofattore la vitamina B12. L’omocisteina è un aminoacido non<br />

proteico prodotto dal metabolismo della metionina. Da alcuni anni<br />

l'iperomocisteinemia è considerata un importante fattore di rischio per lo sviluppo di<br />

malattie cardiovascolari (aterosclerosi coronarica ed infarto miocardico),<br />

cerebrovascolari (ictus cerebrale) e vascolari periferiche (trombosi arteriose e<br />

venose). I valori di omocisteina considerati normali sono inferiori a 10µmol,<br />

l’incremento del 5 µmol aumenta del 40% il rischio di sviluppare cardiopatia<br />

coronarica. Si suppone, infatti, che elevati livelli plasmatici di omocisteina possano<br />

danneggiare l’endotelio vascolare riducendo la sintesi e l’azione dilatante dell’acido<br />

nitrico. Sembrerebbe che l’iperomocisteinemia aumenti la produzione di radicali liberi<br />

con conseguente danno ossidativi, e che favorisca la proliferazione delle cellule<br />

muscolari lisce aumentando l’adesione a livello endoteliale e i depositi di colesterolo<br />

LDL. L’iperomocisteinemia sembrerebbe avere importanti implicazioni nella<br />

riproduzione umana, in relazione al momento concezionale (aborti ripetuti), allo stato<br />

gravidico (patologie vasculodipendenti quali preeclampsia, difetto di crescita fetale,<br />

distacco di placenta) e alla menopausa. Rare mutazioni (trasmesse con modalità<br />

autosomica recessiva) possono causare un grave deficit di MTHFR, una attività<br />

enzimatica inferiore al 20%, comparsa di omocisteinemia ed omocistinuria e bassi<br />

livelli plasmatici di acido folico. La sintomatologia clinica è grave con ritardo dello<br />

sviluppo psicomotorio e massivi fenomeni trombotici. Il gene MTHFR mappa nel<br />

locus 1p36.3 (Fig.10) ; è stato identificato un polimorfismo genetico comune, dovuto<br />

alla sostituzione al nucleotide 677 (C677T), che causa una sostituzione di una<br />

alanina in valina nella proteina finale. La mutazione in etero/omozigosi codifica per<br />

una variante termolabile con una ridotta attività enzimatica. Soggetti omozigoti per<br />

tale mutazione presentano livelli di omocisteina significativamente aumentati,<br />

confermando che la variante Ala222Val è un importante fattore di rischio per le<br />

malattie vascolari. Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR<br />

(A1298C) è stata associata ad una ridotta attività enzimatica. Questa variante<br />

Glu429Ala non modifica la concentrazione plasmatica dell’omocisteina. La<br />

condizione di doppio eterozigote per entrambe le mutazioni di MTHFR comporta<br />

livelli di omocisteina maggiori rispetto alla singola C677T e rappresenta un fattore di<br />

rischio per difetti del tubo neurale e per gli aborti spontanei nel primo trimestre.<br />

Fig. 10 Cromosoma 1, locus 1p36.3 gene MTHFR<br />

Angiotensin Converting Enzyme (ACE) interviene nella regolazione della pressione<br />

arteriosa/venosa attraverso il sistema renina-angiotensina, un regolatore<br />

fondamentale del bilancio idrosalino e della pressione arteriosa dell’organismo<br />

umano. Alcuni geni di questo sistema si ritiene siano coinvolti in varia misura nello<br />

sviluppo dell’ipertensione arteriosa. Condizioni di eterozigoti/omozigosi per alcune<br />

varianti di questi geni contribuiscono a ridurre l’eliminazione del sodio a livello<br />

renale, e sono associate a un rischio maggiore di ipertensione arteriosa. A livello<br />

dell'introne 16 del gene ACE è presente un polimorfismo del tipo<br />

Inserzione/Delezione (I/D), che è strettamente correlato ai livelli di enzima circolante.<br />

Tale polimorfismo è dovuto alla presenza (allele I - Insertion) o assenza (allele<br />

D-Deletion) di una sequenza ripetuta Alu di 287 bp, e può produrre tre differenti<br />

genotipi: II -Inserzione in omozigosi; ID -eterozigosi per Inserzione/Delezione; DD<br />

-Delezione in omozigosi. Studi differenziati hanno associato il genotipo ID con un<br />

aumento del rischio trombotico e il genotipo DD con un incremento ancora maggiore<br />

a causa di un conseguente aumento dei livelli plasmatici di ACE (doppi rispetto ai<br />

soggetti con genotipo II).<br />

Le apolipoproteine svolgono un ruolo fondamentale nel catabolismo delle<br />

lipoproteine ricche di trigliceridi e colesterolo. E’ noto da tempo che elevati livelli di<br />

colesterolo costituiscono uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie<br />

cardiovascolari. In particolare non solo il livello di colesterolo totale ma anche il livelli<br />

relativi di HDL, LDL e trigliceridi rivestono notevole importanza nella patogenesi delle<br />

malattie vascolari.<br />

L'Apolipoproteina B (Apo B) è il principale costituente dei chilomicroni e delle<br />

proteine a bassa densità (LDL) coinvolte nel metabolismo del colesterolo, e ne<br />

promuovono il trasporto a livello epatico. Una delle principali cause dell'insorgere<br />

delle malattie cardiovascolari è l'aterosclerosi, caratterizzata da ispessimento degli<br />

strati interni delle pareti delle arterie che si presentano irregolari a causa di depositi<br />

lipidici e di colesterolo, con una diminuzione del flusso sanguigno. Le pareti di questi<br />

vasi, anche in assenza di un ispessimento significativo, sono sede di meccanismi<br />

biologici che possono provocare la formazione di un trombo ostacolando<br />

completamente il flusso sanguigno e provocando un danno permanente all'organo<br />

irrorato dal vaso: cuore o cervello. L'aterosclerosi è una patologia generalizzata che<br />

può coinvolgere le arterie in diverse aree dell'organismo e conduce all'infarto se è<br />

localizzata a livello cardiaco, all'ictus se localizzata a livello cerebrale. Le<br />

ipercolesterolemie monogeniche a trasmissione co-dominante comprendono un<br />

gruppo geneticamente eterogeneo di disordini, caratterizzati da un aumento dei<br />

livelli di LDL-C (colesterolo- LDL). Esse possono essere causate da mutazioni: nel<br />

recettore delle LDL (LDL-R) con conseguente ridotta captazione e catabolismo<br />

cellulare delle LDL plasmatiche (Ipercolesterolemia Familiare - tipo 1, FH-1), e nel<br />

gene per l’apolipoproteina B-100 (ApoB-100) con sintesi di ApoB-100 difettiva<br />

incapace di legare l’LDL-R. Il gene dell’ApoB mappa nel locus 2p24, l’ApoB<br />

èpresente nel plasma in due forme apoB48 e apoB100. La mutazione responsabile<br />

della sostituzione dell’arginina con la glutammina (Arg3500Gln) codifica per una<br />

ApoB100 variante, l’arginina in posizione 3500 è responsabile della conformazione<br />

finale di apoB100 necessaria per il legame delle LDL. E’ stato dimostrato che<br />

soggetti eterozigoti per tale mutazione presentano un rischio maggiore di sviluppare<br />

malattie cardiovascolari. Il gene ApoE mappa nel locus 19q13.2 e codifica per<br />

l’Apolipoproteina E (ApoE), proteina plasmatica coinvolta nel trasporto del<br />

colesterolo, che si lega alla proteina amiloide. Sono presenti tre isoforme di ApoE:<br />

Apoε2, Apoε3 e Apoε4 che sono i prodotti di 3 forme alleliche diverse (ε2, ε3, ε4).<br />

Queste diverse isoforme sono determinate dalla sostituzione dell’amminoacido in<br />

due diverse posizioni (varianti Cys112Arg e Arg158Cys). L’ApoE viene sintetizzata<br />

principalmente nel fegato ed ha la funzione di trasportatore lipidico, è stato uno dei<br />

primi marcatori genetici ad essere studiati come fattore di rischio per l’infarto del<br />

miocardio. Studi effettuati su una ampia popolazione di pazienti con infarto del<br />

miocardio e relativo gruppo di controllo hanno confermato, quanto già descritto in<br />

letteratura, che l’allele ε4 dell’ApoE (ApoE4) è un allele di suscettibilità per la<br />

patologia arteriosa coronaria e per l’Azheimer. L’isoforma ApoE4 (Cys112Arg) ha in<br />

posizione 112 una cisteina al posto di una arginino, è una variante presente dal 6 al<br />

37% in individui di differenti popolazioni. I soggetti eterozigoti per l’allele E4 hanno<br />

bassi livelli di ApoE e concentrazioni plasmatiche più elevate di colesterolo totale,<br />

LDL-C, ApoB, lipoproteina (a) e quindi hanno un aumentato di patologie coronariche<br />

arteriose rispetto alla popolazione generale. La presenza del genotipo ApoE4, anche


in eterozigosi, determinerebbe un rischio tre volte superiore di sviluppare la malattia<br />

nelle forme familiari, ad esordio tardivo e sporadiche. Anche il genotipo ApoE2 si<br />

associa ad un maggior rischio di sviluppare patologie cardiovascolari.<br />

L’Apolipoproteina E2 ha due isoforme principali arg158 and cys158. L’omozigosi<br />

E2/E2 comporta livelli di LDL significativamente più bassi rispetto all’omozigosi<br />

E4/E4.<br />

Trombofilia e gravidanza<br />

La gravidanza costituisce una condizione di ipercoagulabilità che comporta un<br />

incrementato rischio trombotico per tutto il periodo gestazionale e del puerperio.<br />

Nella gravidanza fisiologica si assiste infatti ad un aumento dell’ attività<br />

procoagulante, caratterizzato da un incremento del fibrinogeno, dei fattori VII, VIII, X<br />

e del fattore di Von Willebrand ; inoltre si rileva un incremento del frammento della<br />

protrombina e del complesso trombina-antitrombina . Di contro si assiste ad una<br />

riduzione significativa degli anticoagulanti fisiologici come la proteina S, e alla<br />

comparsa di una resistenza alla proteina C attivata.<br />

Anche l’attività fibrinolitica complessiva risulta diminuita, ma ritorna rapidamente<br />

nella norma nel post partum. Ciò è in gran parte dovuto all’inibitore dell’attivatore del<br />

plasminogeno di origine placentare di tipo 2 (PAI-2) presente in quantità rilevanti<br />

durante la gravidanza. Inoltre, il D-dimero aumenta con il progredire della<br />

gravidanza. Complessivamente durante la gestazione e il puerperio si assiste quindi<br />

ad un incremento da 4 a 10 volte del rischio trombotico. Nel caso in cui alla<br />

gravidanza si associ uno stato trombofilico è facile intuire come questo possa<br />

significativamente aumentare il rischio tromboembolico. Tra i fattori responsabili<br />

degli stati trombofilici ereditari, quelli che più frequentemente interessano la<br />

gravidanza, sono le mutazioni a carico del fattore V di Leiden (FVL), del gene della<br />

protrombina (PGM G20210A) e della metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR<br />

C677T). La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è invece la più comune<br />

trombofilia acquisita della gravidanza . È ormai nota l’esistenza di un’associazione<br />

tra trombofilia e sviluppo di esiti materno-fetali avversi . In particolare dalla<br />

letteratura emerge una correlazione tra la trombofilia e lo sviluppo dei seguenti<br />

quadri patologici gravidici: aborto ricorrente (RM), ritardo di crescita intrauterina<br />

fetale (IUGR), morte endouterina fetale (MEF), preeclampsia (PE), distacco<br />

intempestivo di placenta normalmente inserta (DIP). Nel caso in cui si verifichi la<br />

combinazione di più difetti trombofilici, aumenterà ulteriormente la possibilità di<br />

sviluppare complicanze vascolari durante lo stato gravidico. Una condizione non<br />

meno importante è quella che si riferisce alla ripetitività del fenomeno. È infatti<br />

chiaramente riconosciuto che le donne con anamnesi ostetrica di MEF, PE severa,<br />

IUGR, DIP e RM presentano un rischio aumentato di eventi avversi nelle successive<br />

gravidanze. Basandosi su queste evidenze, molti autori raccomandano quindi lo<br />

screening per la trombofilia nelle donne che hanno presentato eventi ostetrici avversi<br />

ricorrenti.<br />

Conclusioni<br />

Per la relativa rarità dei difetti trombofilici, la complessità nell’esecuzione dei test e<br />

nell’interpretazione delle informazioni, che essi ci forniscono, sono necessarie<br />

competenze specialistiche specifiche. E’ quindi opportuno rivolgersi a centri di<br />

riferimento, al fine di orientare correttamente l’approccio diagnostico e di consulenza<br />

genetica, finalizzata sia a una adeguata scelta terapeutica, che a un counselling<br />

diretto al paziente e ai suoi familiari.<br />

Bibliografia<br />

De Stefano V., Finazzi G., Mannucci P.M. Inherited thrombophilia: Pathogenesis,<br />

clinical syndromes, and management. Blood 87: 3531, 2006.<br />

Lane D.A., Mannucci P.M., Bauer K.A., et al. Inherited thrombophilia: Part I. Thromb<br />

Haemostas, 76: 651, 1996.<br />

De Stefano V., Rossi E., Paciaroni K. et al. Screening for inherited thrombophilia :<br />

indications and therapeutic implications Haematologica 87:1095-1108, 2002.<br />

Bertina R.M., Genetic approach to thrombophilia. J Endocrinol Invest. Feb;33 (2)<br />

:77-82, 2010.<br />

SISET Gruppo di Lavoro per le Linee Guida sul Tromboembolismo Venoso. Lo<br />

studio della trombofilia. Hematologica;88: 28-46, 2003.<br />

Vossen CY, Conard J, Fontcuberta J, et al. Familial thrombophilia and lifetime risk of<br />

venous thrombosis. J Thromb Haemost 2: 1526-33, 2004.<br />

De Stefano V. Inherited thrombophilia and life time risk of venous thromboembolism:<br />

is the burden reducible? J Thromb Haemost 2: 1522-25, 2007.<br />

Green D. Genetic hypercoagulability: screening should be an informed choice Blood<br />

98: 20, 2001.<br />

Mannucci PM. Genetic hypercoagulability: prevention suggests testing family<br />

members. Blood 98: 21-2, 2010.<br />

Rosendaal FR, Koster T, Vandenbroucke JP, et al. High risk of thrombosis in<br />

patients with homozygous factor V Leiden (activated protein C resistance). Blood<br />

85:1504-8, 2005.<br />

Lindmarker P, Shulman S, Sten-Linder M, et al. The risk of recurrent venous<br />

thromboembolism in carriers and non carriers of the G1691A allele in the coagulation<br />

factor V gene and the G1691A allele in the prothrmbin gene. Thromb Haemost<br />

81:684-9, 2009.<br />

Carraro P; European Communities Confederation of Clinical Chemistry and<br />

Laboratory Medicine, Working Group on Guidelines for Investigation of Disease.<br />

Guidelines for the laboratory investigation of inherited thrombophilias.<br />

Recommendations for the first level clinical laboratories. Clin Chem Lab Med<br />

41:382-91, 2003.<br />

Carraro P, Simioni P. Appropriateness of choice and interpretation of tests for<br />

thrombophilic defects: a practical experience. Clin Chim Acta. 333:91-3, 2007.<br />

Martinelli I. Risk factors in venous thromboemolism. Thromb Haemost 86:395-403,<br />

2001.<br />

Rosendaal FR, Helmerhost FM, Vandenbroucke JP. Oral contraceptives, hormone<br />

replacement therapy and thrombosis. Thromb Haemost 86:112-3, 2001..<br />

De Stefano V, Finazzi G, Mannucci PM. Inherited thrombophilia: pathogenesis,<br />

clinical syndromes, and management Blood 87:3531-44, 2006.<br />

Seligsohn U, Lubetsky A. Genetic susceptibility to venous thrombosis. N Engl J Med<br />

344:1222-31, 2001.<br />

Raffini L, Thornburg Testing children for inherited thrombophilia : more questions<br />

than answers British Journal of Haematology 147:277-288, 2009.<br />

Raffini L. Thrombophilia in children: who to test, how, when and why? Hematology<br />

2008.<br />

Poort, S. R., Rosendaal, F. R., Reitsma, P. H., Bertina, R. M. A common genetic<br />

variation in the 3-prime-untranslated region of the prothrombin gene is associated<br />

with elevated plasma prothrombin levels and an increase in venous thrombosis.<br />

Blood 88: 3698-3703, 1996.<br />

Bertina, R. M., Koeleman, B. P. C., Koster, T., Rosendaal, F. R., Dirven, R. J., de<br />

Ronde, H., van der Velden, P. A., Reitsma, P. H. Mutation in blood coagulation factor<br />

V associated with resistance to activated protein C. Nature 369: 64-67, 1994.<br />

Prandini, M. H., Denarier, E., Frachet, P., Uzan, G., Marguerie, G. Isolation of the<br />

human platelet glycoprotein IIb gene and characterization of the 5-prime flanking<br />

region. Biochem. Biophys. Res. Commun. 156: 595-601, 1988.<br />

Newman, P. J., Derbes, R. S., Aster, R. H. The human platelet alloantigens, Pl (A1)<br />

and Pl (A2), are associated with a leucine (33) /proline (33) amino acid<br />

polymorphism in membrane glycoprotein IIIa, and are distinguishable by DNA typing.<br />

J. Clin. Invest. 83: 1778-1781, 1989.<br />

Mehta R and Shapiro AD. Plasminogen activator inhibitor type 1 deficiency.<br />

Haemophilia 14:1255-1260, 2008.<br />

Scott J.M., van der Put NMJ A second mutation in the metyilentetrahydrofolate<br />

reductase gene:an additional risk factor for neural tube defects?<br />

Am.J.Hum.Genet.62:1044-1051, 1998.<br />

Boren, J., Ekstrom, U., Agren, B., Nilsson-Ehle, P., Innerarity, T. L.-The molecular<br />

mechanism for the genetic disorder familial defective apolipoprotein B100 .J. Biol.<br />

Chem. 276: 9214-9218, 2001.<br />

Tybjaerg-Hansen A., Humphries S. E.-Familial defective apolipoprotein B-100: a<br />

single mutation that causes hypercholesterolemia and premature coronary artery<br />

disease-.Atherosclerosis 96: 91-107, 1992.<br />

Turebylu R, Salis R, Erbe R, et al. Angiotensin-converting enzyme D/I and<br />

plasminogen activator inhibito r-1 4G/5G gene polymorphisms are associated with<br />

increased risk of spontaneous abortions Obstet Gynecol 13:115-119, 2010.<br />

Mackay M.T., Monagle P, Increased frequency of genetic thrombophilia in women<br />

with complications of pregnancy J Matern Fetal Neonatal Med. Sep 7, 2010.<br />

Marlar R.A., Neumann A, Analysis of Plasminogen Activator Inhibitor-1, Integrin<br />

Beta3, Beta Fibrinogen, and Methylenetetrahydrofolate Reductase Polymorphisms in<br />

Iranian Women with Recurrent Pregnancy Loss Am J Reprod Immunol. Jan 18,<br />

2011.<br />

Lancellotti, S., De Cristofaro, R. Congenital prothrombin deficiency. Semin. Thromb.<br />

Hemost. 35: 367-381, 2009.<br />

Home page 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 ◀ Indietro <strong>pagina</strong> 3 Avanti ►<br />

<strong>Scarica</strong> <strong>l'articolo</strong>: <strong>pagina</strong> <strong>3.pdf</strong><br />

Sommario 20 pagine<br />

Trimestrale di divulgazione scientifica dell'Associazione <strong>Pediatrica</strong> di <strong>Immunologia</strong> e <strong>Genetica</strong><br />

Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009<br />

Direttore scientifico Carmelo Salpietro - Direttore responsabile Giuseppe Micali - Segreteria redazione Basilia Piraino - Piera Vicchio<br />

Direzione-Redazione: UOC <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> - AOU Policlicnico Messina

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!