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Rivista Italiana di <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology<br />
Anno III numero 1 - gennaio 2010 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali<br />
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Screening trombofilico: aspetti clinici e genetici<br />
Thrombophilia screening: clinical and genetic aspects<br />
Valeria Ferraù, Elisa Ferro, Chiara Barone, Rosy Civa, Piera Vicchio, Italia Loddo, Marzia Sturiale, Maria Angela La Rosa<br />
Dipartimento di Scienze Pediatriche, UOC di <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> Università di Messina<br />
Abstract<br />
Thrombophilia describes a tendency to develop thrombosis on the basis of<br />
inherited or acquired disorders of blood coagulation or fibrinolysis leading to a<br />
prothrombotic state. The thrombotic event being the result of gene-gene and<br />
gene-environment interactions. All patients with venous thromboembolism are<br />
potentials candidates for screening, regardless of the age at wich the event<br />
occurs, the circumstances of thrombosis, and the severity of the clinical<br />
manifestations. Potential candidates for screening are also women who have<br />
suffered from complications of pregnancy, other than venous<br />
thromboembolism. Screening should be limited to those traits that are more<br />
frequent or carry a higher thrombotic risk. For the rarity of these defects is<br />
indispensable the collaboration of multiple specialistics center for the bearing<br />
patients in the diagnostics and therapeutics choice.<br />
Riassunto<br />
Gli stati trombofilici sono difetti della coagulazione in cui l'equilibrio fra le<br />
forze emostatiche è spostato a favore di quelle protrombotiche. Questi<br />
possono essere distinti in congeniti o acquisiti. I soggetti candidati a<br />
effettuare lo screening per trombofilia appartengono a diverse categorie. Sono<br />
da indagare pazienti con tromboembolismo venoso ricorrente o idiopatico,<br />
familiari di 1° grado di pazienti portatori di difetti trombofilici, donne in età<br />
fertile candidate alla terapia con estroprogestinici o in corso di<br />
gravidanza/puerperio e pazienti che in età giovanile hanno manifestato un<br />
evento trombotico arterioso da causa ignota. Non esistono al momento test<br />
globali che consentano una diagnosi semplice di trombofilia, per cui è<br />
necessario eseguire più indagini secondo un protocollo ben standardizzato.<br />
Per la relativa rarità dei difetti trombofilici è necessaria la collaborazione tra<br />
centri specialistici al fine di supportare i pazienti e adottare scelte<br />
diagnostiche e terapeutiche efficaci.<br />
Introduzione<br />
Il termine “trombofilia” identifica una tendenza a sviluppare trombosi venosa e/o<br />
arteriosa sulla base di difetti ereditari o acquisiti dell’emostasi o della fibrinolisi in<br />
senso protrombotico. Tale fenomeno rappresenta, per il versante arterioso, la<br />
principale causa di morte nelle società sviluppate, mentre per quello venoso ha<br />
un’incidenza annuale dell’1-2‰ nelle popolazioni occidentali. Gli stati trombofilici<br />
sono, quindi, alterazioni del meccanismo fisiologico della coagulazione, in cui<br />
l'equilibrio fra le forze emostatiche è spostato a favore di quelle protrombotiche.<br />
Questi stati possono essere distinti in congeniti o acquisiti (Fig.1).<br />
Fig. 1 Cause di trombofilia (modificata da Hematology 2008)<br />
La trombofilia congenita, o ereditaria, può essere legata a una riduzione quantitativa<br />
o un deficit qualitativo dei meccanismi anticoagulanti e/o della fibrinolisi, o alla<br />
presenza di polimorfismi di fattori implicati sia direttamente che indirettamente nella<br />
cascata coagulativa. Si può sospettare una condizione di trombofilia su base<br />
ereditaria quando si è in presenza di episodi tromboembolici ricorrenti, esordio in età<br />
giovanile, tromboembolia a localizzazione anatomica anomala (vene mesenteriche,<br />
vena porta, vene cerebrali) e anamnesi familiare positiva. La trombofilia acquisita è<br />
caratterizzata cause molteplici, che agiscono alterando l’equilibrio emostatico in<br />
senso protrombotico: alcune di esse possono essere persistenti nel tempo, come la<br />
sindrome da anticorpi antifosfolipidi e le patologie croniche di tipo infettivo,<br />
infiammatorio, dismetabolico o neoplastico, altre invece transitorie, come i traumi, gli<br />
interventi chirurgici, la gravidanza, il puerperio e l’assunzione di estroprogestinici<br />
(Fig.1). E’ possibile che nello stesso individuo concorrono sia fattori genetici che, più<br />
frequentemente, acquisiti soprattutto quando si e in presenza di un effettivo evento<br />
trombotico. Bisogna infatti sottolineare che l’identificazione di uno stato trombofilico<br />
non significa che l’evento trombotico si debba necessariamente verificare: la<br />
maggior parte degli individui portatori di uno o più difetti trombofilici sono destinati a<br />
rimanere asintomatici nel tempo. Solo in una minoranza di casi si realizza una<br />
trombosi clinicamente manifesta, spesso come risultato dell’intervento di fattori<br />
trombogeni intercorrenti (ad es. un trauma o un intervento chirurgico) su uno stato<br />
trombofilico preesistente. Questo significa che l’identificazione di un difetto<br />
trombofilico non deve portare automaticamente ad effettuare una terapia<br />
anticoagulante. L’uso di questi farmaci a scopo profilattico primario o secondario,<br />
infatti, dovrebbe essere riservato solo ai soggetti con un difetto trombofilico, che<br />
hanno una storia personale o familiare di trombosi.<br />
Epidemiologia<br />
La maggior parte delle alterazioni trombofiliche sono congenite, alcune molto rare<br />
nella popolazione generale come, ad esempio i deficit di antitrombina III con una<br />
prevalenza stimata pari al 0, 02%, altre invece più frequenti come la resistenza alla<br />
proteina C attivata (Fattore V Leiden) e la variante genica della protrombina (Fattore<br />
II) G20210A (Fig. 2).<br />
Fig. 2 Prevalenza dei principali fattori di rischio ereditari (modificata da<br />
Haematologica 2002)<br />
Sebbene l’ introduzione sistematica di misure di prevenzione del tromboembolismo<br />
venoso abbia ridotto, negli ultimi 15 anni, la prevalenza degli eventi tromboembolici,<br />
l’ incidenza totale e la mortalità rimangono ancora molto elevate. Da studi<br />
epidemiologici emerge infatti, che l’incidenza annuale di trombosi venosa profonda<br />
(TVP) aumenta esponenzialmente con l’età passando da meno di 10 casi /100.000<br />
abitanti, tra i ragazzi al di sotto di 15 anni, a 450-600 casi/100.000 abitanti tra gli<br />
individui al di sopra di 70 anni, senza differenza statisticamente significativa tra<br />
uomini e donne. Le manifestazioni cliniche associate ai difetti trombofilici finora<br />
elencati, nella grande maggioranza dei casi, sono trombosi venose profonde degli<br />
arti inferiori complicate o meno da embolia polmonare. Tuttavia tali difetti<br />
comportano un significativo aumento di rischio sia per manifestazioni minori, quali<br />
tromboflebiti superficiali, che per manifestazioni potenzialmente fatali quali trombosi<br />
venose del circolo cerebrale e splancnico. Nei soggetti con fattore V Leiden è stata<br />
più volte segnalata una minore tendenza all’embolia polmonare rispetto ai soggetti<br />
non portatori, ipotizzando in tali soggetti la presenza di un trombo più stabile e più<br />
aderente alla parete vascolare, ma il reale significato di tale dato clinico è tuttora non<br />
chiarito. Tali difetti non comportano nel complesso un aumentato rischio di eventi<br />
occlusivi arteriosi, alcune evidenze suggeriscono pero’ che la protrombina G20210A<br />
possa avere una importanza nella patogenesi dell’evento occlusivo arterioso in<br />
alcuni particolari gruppi di pazienti relativamente giovani e senza tradizionali fattori di<br />
rischio cardiovascolari .<br />
A chi eseguire lo screening trombofilico e quali test richiedere<br />
La malattia tromboembolica venosa, come accennato in precedenza, è una malattia<br />
a patogenesi multifattoriale in cui sono responsabili, della comparsa delle<br />
manifestazioni cliniche della malattia, fattori genetici unitamente a fattori ambientali e<br />
comportamentali. I soggetti candidati a effettuare lo screening per la trombofilia
appartengono a diverse categorie (Fig.3). Sono da indagare, infatti, pazienti con<br />
tromboembolismo venoso ricorrente o idiopatico, familiari di 1° grado di pazienti<br />
portatori di difetti trombofilici, donne in età fertile candidate alla terapia con<br />
estroprogestinici, o in corso di gravidanza/puerperio (incremento da 4 a 10 volte del<br />
rischio trombotico), pazienti che in età giovanile (< 45 anni) hanno manifestato un<br />
evento trombotico arterioso da causa ignota, bambini che hanno sviluppato un<br />
evento trombotico venoso o un ictus ischemico, se pur raro . Quando la trombosi<br />
venosa compare in età adulta o senile, soprattutto se vi è una causa contingente<br />
(intervento chirurgico, tumore, immobilizzazione prolungata, etc…) non è opportuno<br />
eseguire l’indagine, poiché in questi casi la conoscenza dell’esistenza o meno di una<br />
causa congenita di trombofilia non cambia l’approccio terapeutico. Individui sani,<br />
senza storia personale o familiare di trombosi venosa, anche se esposti<br />
elettivamente a fattori di rischio trombotici contingenti, come per esempio la<br />
gravidanza, la chirurgia ortopedica ad alto rischio e la prolungata non dovrebbero<br />
essere sottoposti alle indagini di laboratorio per lo studio trombofilico. La loro ricerca<br />
indiscriminata non è infatti giustificata dal rapporto costo-beneficio. Lo screening di<br />
laboratorio è invece fortemente raccomandato nei familiari di soggetti già<br />
diagnosticati, anche se asintomatici, perché possano beneficiare dell’ instaurarsi di<br />
una profilassi antitrombotica in occasione di esposizione a rischi contingenti di<br />
trombosi.<br />
Fig. 3 Indicazioni allo screening trombofilico (modificata da Hematology 2008)<br />
Non esistono al momento test globali che consentano una diagnosi semplice di<br />
trombofilia, ma vi è la necessità di eseguire più indagini secondo un protocollo ben<br />
standardizzato al fine di contenerne i costi ed evitare di fornire informazioni non<br />
corrette. Il dosaggio degli inibitori fisiologici viene preferibilmente eseguito con test<br />
funzionali, tenendo presente che se ne sconsiglia l’ esecuzione in particolari<br />
situazioni quali: la fase acuta di un evento trombotico (è buona regola attendere<br />
almeno 3 mesi), durante la terapia anticoagulante, in corso di trattamento<br />
estroprogestinico, in presenza di epatopatie etc. etc. Si può, invece, effettuare lo<br />
studio molecolare per la ricerca di polimorfismi genetici (FV Arg506Gln, FII<br />
G20210A) in qualsiasi momento, poiché non subisce modifiche in particolari<br />
situazioni patologiche e non è influenzato da eventuali terapie.<br />
Fig. 4 Test da eseguire (modificata da Hematology 2008)<br />
Studio molecolare di polimorfismi genetici per lo screening trombofilico<br />
Mutazioni o polimorfismi di geni coinvolti nella coagulazione, regolazione della<br />
pressione del sangue, metabolismo dei lipidi, glucosio e omocisteina possono<br />
direttamente o indirettamente influenzare la bilancia emostatica ed innescare uno<br />
stato protrombotico.<br />
Tra i geni canditati, quali marker di rischio protrombotico, possono essere<br />
considerati principalmente i fattori procoagulanti comprendenti il fattore II, fattore V,<br />
fattore XIII, HPA e β-fibrinogeno. Alcuni polimorfismi del sistema fibrinolitico (PAI-1),<br />
del ciclo dell’omocisteina (MTHFR), del sistema renina-angiotensina (ACE) e del<br />
metabolismo dei lipidi (APOB e APOE) risultano associati sia positivamente che<br />
negativamente a trombosi. Presso il nostro centro è possibile eseguire, mediante<br />
l’utilizzo del CVD StripAssay (Fig.5), lo screening trobofilico genetico completo con<br />
la valutazione di tali dieci geni.<br />
Fig. 5 CVD StripAssay<br />
La protrombina o fattore II della coagulazione svolge un ruolo fondamentale nella<br />
cascata coagulativa. La trombina o fattore II attivato (FIIa), è responsabile della<br />
trasformazione del fibrinogeno in fibrina e quindi della formazione del coagulo. Il FIIa<br />
stimola l’aggregazione piastrinica, attiva i fattori di coagulazione V, VIII, e XIII; di<br />
contro inibisce la coagulazione mediante l’attivazione della proteina C. Il gene<br />
codificante F2 mappa nella regione 11p11-q12 (Fig.6). La variante genetica<br />
G20210A, localizzata nella regione 3’ non trascritta, è coinvolta nella regolazione<br />
genica trascrizionale e post-trascrizionale. Questa condizione è associata ad elevati<br />
livelli di protrombina funzionale nel plasma e di conseguenza a un aumentato rischio<br />
di trombosi, specie di tipo venosa. La frequenza genica del G20210A è del 2-3%di<br />
eterozigoti, mentre l’omozigosi è rara. Per gli eterozigoti si registra un rischio<br />
aumentato di trombosi venosa, ictus ischemico, infarto miocardico in donne giovani<br />
maggiore rispetto agli uomini, soprattutto nelle donne che assumono contraccettivi<br />
orali.<br />
Fig. 6 Cromosoma 11, regione 11p11-q12 gene FII<br />
Il fattore V attivato è un cofattore essenziale per l'attivazione della protrombina<br />
(fattore II) a trombina. Il suo effetto procoagulante è normalmente inibito dalla<br />
Proteina C attivata che taglia il fattore V attivato in tre parti. Il gene F5 mappa nel<br />
locus 1p23 (Fig.7). La mutazione nel nucleotide G1691A corrispondente alla<br />
sostituzione amminoacidica in posizione 506 della arginina in glutammina impedisce<br />
il taglio da parte della Proteina C attivata. Questo comporta una resistenza alla<br />
proteina C attivata (APC) nei test di laboratorio ed una maggiore attività<br />
procoagulante del fattore V attivato che predispone alla trombosi. Tale variante<br />
G1691A è definita variante di Leiden (Arg506Gln), ed ha una frequenza genica dell’<br />
1, 4-4, 2% in Europa. In Italia la frequenza di portatori eterozigoti è del 2-3% e hanno<br />
un rischio 8 volte superiore di sviluppare una trombosi venosa, mentre la mutazione<br />
in omozigosi ha un’incidenza di 1:5000 con un rischio pari ad 80 volte. In presenza<br />
di altre condizioni predisponenti quali la gravidanza, l'assunzione di contraccettivi<br />
orali e gli interventi chirurgici il rischio è maggiore. In gravidanza una condizione<br />
genetica di eterozigosi per il Fattore Leiden è considerata predisponente all'aborto<br />
spontaneo, alla eclampsia, ai difetti placentari e alla Sindrome HELLP (emolisi,<br />
elevazione enzimi epatici, piastrinopenia).Tali manifestazioni sarebbero legate a<br />
trombosi delle arterie spirali uterine con conseguente inadeguata perfusione<br />
placentare. I soggetti portatori di mutazione del Fattore V di Leiden dovrebbero<br />
pertanto sottoporsi a profilassi anticoagulativa in corso di gravidanza, in funzione di<br />
interventi chirurgici ed evitare l'assunzione di contraccettivi orali. La resistenza alla<br />
proteina C attivata, dovuta alla variante FV Leiden, rappresenta quindi il più comune<br />
fattore di rischio genetico per le manifestazioni trombotiche, finora conosciuto.<br />
Recentemente sono state individuate altre due mutazioni del Fattore V associate a<br />
trombofilia. La prima è determinata dalla sostituzione di una adenina con una<br />
guanina (G4070A) in posizione nucleotidica 4070 nell’esone 13, che inserisce una<br />
arginina al posto di una istidina in posizione aminoacidica 1299 (His1299Arg). La<br />
seconda consiste nella medesima sostituzione in posizione 5279 del gene e<br />
comporta la presenza di una tirosina in posizione 1702 al posto di un residuo di<br />
cisteina (Y1702C) nella catena aminoacidica del fattore V.<br />
Fig. 7 Cromosoma 1, locus 1p23 gene FV<br />
Il Fattore XIII è composto da 2 subunità A e due subunità B. Nel gene codificante la<br />
subunità A1 (locus genico 6p25-p24) è presente un polimorfismo comune, prossimo<br />
al sito di attivazione della trombina, che porta alla sostituzione di una valina con una<br />
leucina in posizione 34 (Val34Leu) della catena polipeptidica. Questa modificazione<br />
favorisce significativamente il taglio di attivazione da parte della trombina risultando
in un FXIII con più alta attività transglutaminasica e di cross-linking della fibrina.<br />
Nonostante tale variante genica sembrerebbe aumentare l’attività procoagulante del<br />
fattore XIII si registra una minore prevalenza di questo polimorfismo in soggetti con<br />
infarto del miocardio suggerendone un ruolo protettivo contro il rischio trombotico. La<br />
glicoproteina di membrana piastrinica umana (GP), formata da due subunità GPIIb e<br />
GPIIIa, determina l’aggregazione piastrinica interagendo come recettore con<br />
molecole di fibrinogeno nella formazione del coagulo. Agisce, inoltre, come recettore<br />
per il fattore di von Willebrand e per la fibronectina. Il gene ITGB3, che codifica per<br />
GPIIIa, è caratterizzato, da un polimorfismo, Leu33Pro, che consiste in una<br />
variazione nucleotidica T1565C nell’esone 2 del gene. La presenza/assenza del<br />
polimorfismo identifica rispettivamente le due forme alleliche PlA2 e PlA1<br />
dell’alloantigene piastrinico specifico PlA. Questo sistema diallelico è stato definito<br />
come HPA (Human platelet alloantigens) e le due forme alleliche sono HPA-1a<br />
(PlA1) con una maggiore frequenza genica e HPA-1b (PlA2) meno presente nella<br />
popolazione caucasica. Differenti studi hanno associato la presenza dell’ allele PlA2<br />
(HPA-1b), in etero/omozigosi, ad una maggiore aggregazione piastrinica,<br />
ipercoagulazione, infarto, ischemia e trombosi venosa. Alti valori di fibrinogeno sono<br />
associati prevalentemente a malattia cardiovascolare ma costituiscono un fattore di<br />
rischio anche per la trombosi venosa. Il fibrinogeno è un esamero costituito da 3<br />
catene polipeptidiche, ciascuna presente in due copie: Aα, Bβ, γ. La lettera A e B si<br />
riferiscono alla presenza di due corti peptidi (fibrinopeptide A e B) nella regione<br />
N-terminale. Le tre catene polipeptidiche sono codificate da 3 geni diversi<br />
denominati rispettivamente FGA, FGB, FGG localizzati in posizioni adiacenti sul<br />
braccio lungo del cromosoma 4. Il gene per la catena Bβ è costituito da 8 esoni e 6<br />
introni mappa nel locus 4q28. Sono stati descritti diversi polimorfismi nel gene FGB<br />
ma quello più studiato è il polimorfismo G-A nella regione 5’ del promotore in<br />
posizione -455. La presenza di questa variante allelica (allele A) è responsabile di un<br />
incremento dei livelli di fibrinogeno soprattutto nei maschi e nelle donne post<br />
menopausa.<br />
Fig. 8 Cromosoma 4, locus 4q28 gene FGB<br />
Fig. 9 Cromosoma 7, locus 7q21.3-q22 gene PAI-1<br />
L'inibitore dell'attivatore del plasminogeno di tipo 1 (PAI-1) rappresenta il principale<br />
inibitore del processo di attivazione del plasminogeno nel sangue. Questa molecola<br />
inibisce gli attivatori del plasminogeno (PLAT e PLAU) regolando negativamente la<br />
fibrinolisi e inibendo la dissoluzione del coagulo. I livelli plasmatici di PAI-1 sono<br />
sottoposti a regolazione genica e sono correlati ad una serie di fattori di rischio per<br />
l'aterosclerosi quali, ipertrigliceridemia, diabete e insulino-resistenza. A livello della<br />
regione promotore del gene SERPINE1, che codifica per PAI-1 (Fig.9), è presente<br />
un polimorfismo 1-pb del/ins 4G/5G, del tipo insezione/delezione di una G in<br />
posizione -675. L’allele 4G può legare solo enhancers di trascrizione, mentre il 5G<br />
interagisce con enhancers e suppressors; questo si traduce in un più basso livello di<br />
trascrizione in presenza dell’allele 5G. Numerosi studi hanno dimostrato che soggetti<br />
4G/5G hanno livelli plasmatici di PAI-1 più alti con conseguente inibizione della<br />
fibrinolisi e accumulo di fibrina; gli omozigoti 4G/4G hanno livelli plasmatici di PAI-1<br />
più alti del 25% rispetto ai soggetti 5G/5G, con aumento rischio di malattie<br />
coronariche, infarto e, nelle donne in gravidanza, aumentato rischio di preeclampsia.<br />
Il polimorfismo 5G/5G è caratterizzato da un aumento della fibrinolisi, è quindi un<br />
fattore protettivo contro le patologia cardiovascolari. La<br />
metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nella trasformazione<br />
del 5-10 metilentetraidrofolato in 5 metiltetraidrofolato che funge da donatore di<br />
gruppi metilicie interviene nella rimetilazione della omocisteina a metionina<br />
utilizzando come cofattore la vitamina B12. L’omocisteina è un aminoacido non<br />
proteico prodotto dal metabolismo della metionina. Da alcuni anni<br />
l'iperomocisteinemia è considerata un importante fattore di rischio per lo sviluppo di<br />
malattie cardiovascolari (aterosclerosi coronarica ed infarto miocardico),<br />
cerebrovascolari (ictus cerebrale) e vascolari periferiche (trombosi arteriose e<br />
venose). I valori di omocisteina considerati normali sono inferiori a 10µmol,<br />
l’incremento del 5 µmol aumenta del 40% il rischio di sviluppare cardiopatia<br />
coronarica. Si suppone, infatti, che elevati livelli plasmatici di omocisteina possano<br />
danneggiare l’endotelio vascolare riducendo la sintesi e l’azione dilatante dell’acido<br />
nitrico. Sembrerebbe che l’iperomocisteinemia aumenti la produzione di radicali liberi<br />
con conseguente danno ossidativi, e che favorisca la proliferazione delle cellule<br />
muscolari lisce aumentando l’adesione a livello endoteliale e i depositi di colesterolo<br />
LDL. L’iperomocisteinemia sembrerebbe avere importanti implicazioni nella<br />
riproduzione umana, in relazione al momento concezionale (aborti ripetuti), allo stato<br />
gravidico (patologie vasculodipendenti quali preeclampsia, difetto di crescita fetale,<br />
distacco di placenta) e alla menopausa. Rare mutazioni (trasmesse con modalità<br />
autosomica recessiva) possono causare un grave deficit di MTHFR, una attività<br />
enzimatica inferiore al 20%, comparsa di omocisteinemia ed omocistinuria e bassi<br />
livelli plasmatici di acido folico. La sintomatologia clinica è grave con ritardo dello<br />
sviluppo psicomotorio e massivi fenomeni trombotici. Il gene MTHFR mappa nel<br />
locus 1p36.3 (Fig.10) ; è stato identificato un polimorfismo genetico comune, dovuto<br />
alla sostituzione al nucleotide 677 (C677T), che causa una sostituzione di una<br />
alanina in valina nella proteina finale. La mutazione in etero/omozigosi codifica per<br />
una variante termolabile con una ridotta attività enzimatica. Soggetti omozigoti per<br />
tale mutazione presentano livelli di omocisteina significativamente aumentati,<br />
confermando che la variante Ala222Val è un importante fattore di rischio per le<br />
malattie vascolari. Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR<br />
(A1298C) è stata associata ad una ridotta attività enzimatica. Questa variante<br />
Glu429Ala non modifica la concentrazione plasmatica dell’omocisteina. La<br />
condizione di doppio eterozigote per entrambe le mutazioni di MTHFR comporta<br />
livelli di omocisteina maggiori rispetto alla singola C677T e rappresenta un fattore di<br />
rischio per difetti del tubo neurale e per gli aborti spontanei nel primo trimestre.<br />
Fig. 10 Cromosoma 1, locus 1p36.3 gene MTHFR<br />
Angiotensin Converting Enzyme (ACE) interviene nella regolazione della pressione<br />
arteriosa/venosa attraverso il sistema renina-angiotensina, un regolatore<br />
fondamentale del bilancio idrosalino e della pressione arteriosa dell’organismo<br />
umano. Alcuni geni di questo sistema si ritiene siano coinvolti in varia misura nello<br />
sviluppo dell’ipertensione arteriosa. Condizioni di eterozigoti/omozigosi per alcune<br />
varianti di questi geni contribuiscono a ridurre l’eliminazione del sodio a livello<br />
renale, e sono associate a un rischio maggiore di ipertensione arteriosa. A livello<br />
dell'introne 16 del gene ACE è presente un polimorfismo del tipo<br />
Inserzione/Delezione (I/D), che è strettamente correlato ai livelli di enzima circolante.<br />
Tale polimorfismo è dovuto alla presenza (allele I - Insertion) o assenza (allele<br />
D-Deletion) di una sequenza ripetuta Alu di 287 bp, e può produrre tre differenti<br />
genotipi: II -Inserzione in omozigosi; ID -eterozigosi per Inserzione/Delezione; DD<br />
-Delezione in omozigosi. Studi differenziati hanno associato il genotipo ID con un<br />
aumento del rischio trombotico e il genotipo DD con un incremento ancora maggiore<br />
a causa di un conseguente aumento dei livelli plasmatici di ACE (doppi rispetto ai<br />
soggetti con genotipo II).<br />
Le apolipoproteine svolgono un ruolo fondamentale nel catabolismo delle<br />
lipoproteine ricche di trigliceridi e colesterolo. E’ noto da tempo che elevati livelli di<br />
colesterolo costituiscono uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie<br />
cardiovascolari. In particolare non solo il livello di colesterolo totale ma anche il livelli<br />
relativi di HDL, LDL e trigliceridi rivestono notevole importanza nella patogenesi delle<br />
malattie vascolari.<br />
L'Apolipoproteina B (Apo B) è il principale costituente dei chilomicroni e delle<br />
proteine a bassa densità (LDL) coinvolte nel metabolismo del colesterolo, e ne<br />
promuovono il trasporto a livello epatico. Una delle principali cause dell'insorgere<br />
delle malattie cardiovascolari è l'aterosclerosi, caratterizzata da ispessimento degli<br />
strati interni delle pareti delle arterie che si presentano irregolari a causa di depositi<br />
lipidici e di colesterolo, con una diminuzione del flusso sanguigno. Le pareti di questi<br />
vasi, anche in assenza di un ispessimento significativo, sono sede di meccanismi<br />
biologici che possono provocare la formazione di un trombo ostacolando<br />
completamente il flusso sanguigno e provocando un danno permanente all'organo<br />
irrorato dal vaso: cuore o cervello. L'aterosclerosi è una patologia generalizzata che<br />
può coinvolgere le arterie in diverse aree dell'organismo e conduce all'infarto se è<br />
localizzata a livello cardiaco, all'ictus se localizzata a livello cerebrale. Le<br />
ipercolesterolemie monogeniche a trasmissione co-dominante comprendono un<br />
gruppo geneticamente eterogeneo di disordini, caratterizzati da un aumento dei<br />
livelli di LDL-C (colesterolo- LDL). Esse possono essere causate da mutazioni: nel<br />
recettore delle LDL (LDL-R) con conseguente ridotta captazione e catabolismo<br />
cellulare delle LDL plasmatiche (Ipercolesterolemia Familiare - tipo 1, FH-1), e nel<br />
gene per l’apolipoproteina B-100 (ApoB-100) con sintesi di ApoB-100 difettiva<br />
incapace di legare l’LDL-R. Il gene dell’ApoB mappa nel locus 2p24, l’ApoB<br />
èpresente nel plasma in due forme apoB48 e apoB100. La mutazione responsabile<br />
della sostituzione dell’arginina con la glutammina (Arg3500Gln) codifica per una<br />
ApoB100 variante, l’arginina in posizione 3500 è responsabile della conformazione<br />
finale di apoB100 necessaria per il legame delle LDL. E’ stato dimostrato che<br />
soggetti eterozigoti per tale mutazione presentano un rischio maggiore di sviluppare<br />
malattie cardiovascolari. Il gene ApoE mappa nel locus 19q13.2 e codifica per<br />
l’Apolipoproteina E (ApoE), proteina plasmatica coinvolta nel trasporto del<br />
colesterolo, che si lega alla proteina amiloide. Sono presenti tre isoforme di ApoE:<br />
Apoε2, Apoε3 e Apoε4 che sono i prodotti di 3 forme alleliche diverse (ε2, ε3, ε4).<br />
Queste diverse isoforme sono determinate dalla sostituzione dell’amminoacido in<br />
due diverse posizioni (varianti Cys112Arg e Arg158Cys). L’ApoE viene sintetizzata<br />
principalmente nel fegato ed ha la funzione di trasportatore lipidico, è stato uno dei<br />
primi marcatori genetici ad essere studiati come fattore di rischio per l’infarto del<br />
miocardio. Studi effettuati su una ampia popolazione di pazienti con infarto del<br />
miocardio e relativo gruppo di controllo hanno confermato, quanto già descritto in<br />
letteratura, che l’allele ε4 dell’ApoE (ApoE4) è un allele di suscettibilità per la<br />
patologia arteriosa coronaria e per l’Azheimer. L’isoforma ApoE4 (Cys112Arg) ha in<br />
posizione 112 una cisteina al posto di una arginino, è una variante presente dal 6 al<br />
37% in individui di differenti popolazioni. I soggetti eterozigoti per l’allele E4 hanno<br />
bassi livelli di ApoE e concentrazioni plasmatiche più elevate di colesterolo totale,<br />
LDL-C, ApoB, lipoproteina (a) e quindi hanno un aumentato di patologie coronariche<br />
arteriose rispetto alla popolazione generale. La presenza del genotipo ApoE4, anche
in eterozigosi, determinerebbe un rischio tre volte superiore di sviluppare la malattia<br />
nelle forme familiari, ad esordio tardivo e sporadiche. Anche il genotipo ApoE2 si<br />
associa ad un maggior rischio di sviluppare patologie cardiovascolari.<br />
L’Apolipoproteina E2 ha due isoforme principali arg158 and cys158. L’omozigosi<br />
E2/E2 comporta livelli di LDL significativamente più bassi rispetto all’omozigosi<br />
E4/E4.<br />
Trombofilia e gravidanza<br />
La gravidanza costituisce una condizione di ipercoagulabilità che comporta un<br />
incrementato rischio trombotico per tutto il periodo gestazionale e del puerperio.<br />
Nella gravidanza fisiologica si assiste infatti ad un aumento dell’ attività<br />
procoagulante, caratterizzato da un incremento del fibrinogeno, dei fattori VII, VIII, X<br />
e del fattore di Von Willebrand ; inoltre si rileva un incremento del frammento della<br />
protrombina e del complesso trombina-antitrombina . Di contro si assiste ad una<br />
riduzione significativa degli anticoagulanti fisiologici come la proteina S, e alla<br />
comparsa di una resistenza alla proteina C attivata.<br />
Anche l’attività fibrinolitica complessiva risulta diminuita, ma ritorna rapidamente<br />
nella norma nel post partum. Ciò è in gran parte dovuto all’inibitore dell’attivatore del<br />
plasminogeno di origine placentare di tipo 2 (PAI-2) presente in quantità rilevanti<br />
durante la gravidanza. Inoltre, il D-dimero aumenta con il progredire della<br />
gravidanza. Complessivamente durante la gestazione e il puerperio si assiste quindi<br />
ad un incremento da 4 a 10 volte del rischio trombotico. Nel caso in cui alla<br />
gravidanza si associ uno stato trombofilico è facile intuire come questo possa<br />
significativamente aumentare il rischio tromboembolico. Tra i fattori responsabili<br />
degli stati trombofilici ereditari, quelli che più frequentemente interessano la<br />
gravidanza, sono le mutazioni a carico del fattore V di Leiden (FVL), del gene della<br />
protrombina (PGM G20210A) e della metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR<br />
C677T). La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è invece la più comune<br />
trombofilia acquisita della gravidanza . È ormai nota l’esistenza di un’associazione<br />
tra trombofilia e sviluppo di esiti materno-fetali avversi . In particolare dalla<br />
letteratura emerge una correlazione tra la trombofilia e lo sviluppo dei seguenti<br />
quadri patologici gravidici: aborto ricorrente (RM), ritardo di crescita intrauterina<br />
fetale (IUGR), morte endouterina fetale (MEF), preeclampsia (PE), distacco<br />
intempestivo di placenta normalmente inserta (DIP). Nel caso in cui si verifichi la<br />
combinazione di più difetti trombofilici, aumenterà ulteriormente la possibilità di<br />
sviluppare complicanze vascolari durante lo stato gravidico. Una condizione non<br />
meno importante è quella che si riferisce alla ripetitività del fenomeno. È infatti<br />
chiaramente riconosciuto che le donne con anamnesi ostetrica di MEF, PE severa,<br />
IUGR, DIP e RM presentano un rischio aumentato di eventi avversi nelle successive<br />
gravidanze. Basandosi su queste evidenze, molti autori raccomandano quindi lo<br />
screening per la trombofilia nelle donne che hanno presentato eventi ostetrici avversi<br />
ricorrenti.<br />
Conclusioni<br />
Per la relativa rarità dei difetti trombofilici, la complessità nell’esecuzione dei test e<br />
nell’interpretazione delle informazioni, che essi ci forniscono, sono necessarie<br />
competenze specialistiche specifiche. E’ quindi opportuno rivolgersi a centri di<br />
riferimento, al fine di orientare correttamente l’approccio diagnostico e di consulenza<br />
genetica, finalizzata sia a una adeguata scelta terapeutica, che a un counselling<br />
diretto al paziente e ai suoi familiari.<br />
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Sommario 20 pagine<br />
Trimestrale di divulgazione scientifica dell'Associazione <strong>Pediatrica</strong> di <strong>Immunologia</strong> e <strong>Genetica</strong><br />
Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009<br />
Direttore scientifico Carmelo Salpietro - Direttore responsabile Giuseppe Micali - Segreteria redazione Basilia Piraino - Piera Vicchio<br />
Direzione-Redazione: UOC <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> - AOU Policlicnico Messina