Monog. VI/IT (Page 90) - Sindrome da anticorpi antifosfolipidi
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C OAGULAZIONE<br />
Tiziano Barbui<br />
Monica Galli<br />
<strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong><br />
<strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong><br />
<strong>VI</strong>
Tiziano Barbui, Monica Galli<br />
<strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong><br />
<strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong>
Indice<br />
<strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> anti-fosfolipidi primaria e secon<strong>da</strong>ria:<br />
due facce della stessa me<strong>da</strong>glia? Pag. 7<br />
Fisiopatologia e possibili meccanismi<br />
di trombogenesi degli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> Pag. 15<br />
Aspetti clinici e terapeutici delle trombosi arteriose e venose Pag. 23<br />
Aspetti clinico-terapeutici delle complicanze ostetriche Pag. 33<br />
Diagnosi di laboratorio degli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong>.<br />
1. Anticoagulante tipo lupus: diagnosi di laboratorio Pag. 46<br />
2. Anticorpi anticardiolipina: diagnosi di laboratorio Pag. 53<br />
3. Anticorpi anti-ß2glicoproteina 1: diagnosi di laboratorio Pag. 63<br />
4. Anticorpi antiprotrombina: diagnosi di laboratorio Pag. 81<br />
3
Prefazione<br />
L’esistenza di <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> fu per la prima volta provata nel 1941<br />
cimentando il siero di pazienti con sifilide ed estratti di cuore bovino. Il siero<br />
interagiva con la cardiolipina ed il test fu ritenuto specifico per la diagnosi<br />
di sifilide e chiamato VDRL (Veneral Disease Research Laboratory).<br />
La specificità diagnostica fu peraltro resa insicura con le osservazioni di<br />
una positività <strong>da</strong>lla VDRL nei pazienti con malattie autoimmmuni sistemiche<br />
(Lupus Eritematoso Sistemico,LES), in assenza di malattia venerea.<br />
Nel 1983 Harris et al. (Lancet 2: 1211, 1983) pubblicarono un immunoassay<br />
per la misura quantitativa degli <strong>anticorpi</strong> anticardiolipina e rapi<strong>da</strong>mente si<br />
confermò che la loro presenza si associava a manifestazioni cliniche di<br />
trombosi venosa e arteriosa e ad aborti ripetuti (sindrome <strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong><br />
<strong>antifosfolipidi</strong>; APA).<br />
Una tappa fon<strong>da</strong>mentale per il meccanismo d’azione degli <strong>anticorpi</strong> fu il<br />
19<strong>90</strong>. Due gruppi indipendenti dimostrarono che il target antigenico non<br />
era, nei casi associati a malattie autoimmuni e non a sifilide, il fosfolipide<br />
ma la beta2 glicoproteina I che si trovava complessata ai fosfolipidi anionici<br />
(Galli et al., Lancet 335: 1544, 19<strong>90</strong>; McNeil et al. PNAS 87: 4120, 19<strong>90</strong>).<br />
Fu poi confermato che in alcuni casi gli <strong>anticorpi</strong> interagiscono con la beta2<br />
glicoproteina I in assenza di fosfolipidi (Arvieux et al., J. Immunol. Methods<br />
143: 223, 1991) e queste osservazioni spinsero i ricercatori a sviluppare<br />
tests in cui l’antigene non era il fosfolipide ma le proteine legate ai fosfolipidi<br />
alimentando nuove ipotesi patogenetiche della sindrome. Le trombosi<br />
sarebbero la conseguenza delle azioni degli <strong>anticorpi</strong> sul pathway della<br />
proteina C, dell’antitrombina III, sulla protrombina, sugli endoteli, sulle piastrine,<br />
sulle cellule apoptotiche, sulle LDL ossi<strong>da</strong>te. Così ciascun ricercatore,<br />
di volta in volta, proponeva (e propone) questi tests e li correlava con gli<br />
eventi clinici nell’ambito peraltro di studi il cui disegno non consentiva di<br />
valutarne il significato e quindi la loro utilizzazione nel processo diagnostico<br />
rivolto al singolo paziente.<br />
Fortunatamente gli esperti del settore hanno riconosciuto la necessità di<br />
fare ordine nella diagnosi e nella definizione di sindrome <strong>da</strong> APA che<br />
rischiava di comprendere quadri clinici disparati non facilmente ascrivibili<br />
agli <strong>anticorpi</strong> in questione. Il consenso internazionale per la diagnosi di sindrome<br />
<strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> comprende criteri clinici e criteri di laboratorio.<br />
I primi riguar<strong>da</strong>no le trombosi vascolari (uno o più episodi nelle arterie,<br />
vene o piccoli vasi di qualsiasi tessuto od organo) e le complicanze<br />
della gravi<strong>da</strong>nza (una o più morti di feto normale che avvengono dopo la<br />
10° settimana di gestazione; una o più nascite premature di neonati normali<br />
prima della 34° settimana di gestazione; tre o più aborti consecutivi spontanei<br />
prima della 10° settimana di gestazione).<br />
Per i criteri di laboratorio gli <strong>anticorpi</strong> anticardiolipina IgG o IgM devono<br />
essere a titolo elevato o intermedio in due o più occasioni a distanza di<br />
almeno 6 settimane. La definizione di livelli moderati di ACA è insicura (più<br />
di 20-30 unità internazionali?).<br />
Per il lupus anticoagulante si devono seguire le linee gui<strong>da</strong> della Società<br />
Internazionale dell’Emostasi e Trombosi (Thromb. Haemost. 74: 1185,<br />
1995). La diagnosi viene formulata quando vi è presenza di almeno un<br />
criterio clinico e di un criterio di laboratorio.<br />
Pertanto gli ACA IgA, gli anti beta2-glicoproteina1, gli antoprotrombina,<br />
gli antiproteina C o S non fanno parte dei criteri di laboratorio.<br />
La continua produzione di informazioni sui meccanismi d’azione nella clinica,<br />
nella profilassi e nella terapia rende necessario aggiornare le conoscenze.<br />
In questo volume si è inteso appunto offrire e discutere le risposte<br />
per alcune tra le principali domande che la pratica clinica pone in questa<br />
condizione clinica la cui frequenza sta diventando sempre più rilevante<br />
nell’ambito degli stati trombofilici.<br />
5
<strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> anti-fosfolipidi<br />
primaria e secon<strong>da</strong>ria:<br />
due facce della stessa me<strong>da</strong>glia?<br />
PL Meroni, *A Tincani, *G Balestrieri<br />
Unità di Allergologia e Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina<br />
Interna, Università degli Studi di Milano, IRCCS Istituto Auxologico Italiano;<br />
* Servizio di Reumatologia, Allergologia e Immunologia Clinica,<br />
Spe<strong>da</strong>li Civili, Brescia<br />
7
8<br />
Introduzione<br />
Lidentificazione di <strong>anticorpi</strong> anti-fosfolipidi (aPL) risale a più di 40 anni<br />
fa come condizione responsabile delle false positività croniche per i<br />
test sierologici della sifilide (FBP-STS) e genericamente correlata ad<br />
autoimmunità (1) . Negli anni ’60 l’identificazione del fenomeno del Lupus<br />
Anticoagulant (LA), la sua dipendenza <strong>da</strong>lla presenza di aPL, la sua associazione<br />
con le FBS-STS e soprattutto con manifestazioni trombotiche,<br />
trombocitopenia ed abortività configurarono per la prima volta l’esistenza<br />
di un subset di pazienti caratterizzati <strong>da</strong> un quadro clinico peculiare (2) .<br />
A dispetto del nome, fon<strong>da</strong>mentalmente dovuto al tipo di patologia in cui<br />
il LA venne individuato inizialmente, fu chiaro sin <strong>da</strong>ll’inizio che non tutti i<br />
pazienti con LA presentavano un lupus eritematoso sistemico (LES). In altre<br />
parole, la dizione Lupus Anticoagulant risultò fuorviante non solo perché in<br />
realtà rappresentava una condizione di rischio trombofilico ma anche perché<br />
non necessariamente risultava essere strettamente legata alla malattia<br />
lupica.<br />
L’utilizzo di un test in fase soli<strong>da</strong> per la determinazione degli aPL (test<br />
dell’anti-cardiolipina [aCL]) ha permesso di estendere gli studi epidemiologici<br />
e di confermare l’esistenza della sindrome <strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong> anti-fosfolipidi<br />
(APS) non solo in pazienti con LES (Secon<strong>da</strong>ry APS) ma anche in pazienti<br />
in cui non era diagnosticabile alcuna chiara malattia autoimmuni sistemica<br />
(Primary APS) (3,4,5) .<br />
Le forme secon<strong>da</strong>rie, seppur prevalentemente identificabili in pazienti con<br />
LES, sono state descritte in quasi tutte le altre malattie autoimmune sistemiche.<br />
Addirittura, se inizialmente la APS fu più frequentemente diagnosticata<br />
in pazienti con LES, risultò successivamente che le forme primitive risultavano<br />
essere altrettanto se non più frequenti.<br />
Lo studio multicentrico più recente coordinato <strong>da</strong> R. Cervera per l’European<br />
aPL Forum su una casistica di 1000 pazienti ha chiaramente confermato<br />
questa tendenza (Tabella 1) (6) ’<br />
.<br />
Malattia sottostante No. %<br />
PAPS 531 53<br />
LES 370 37<br />
Lupus-like 47 4<br />
<strong>Sindrome</strong> di Sjogren 1 a 23 2<br />
Artrite Reumatoide 20 2<br />
Sclerodermia 8 1<br />
Vasculiti sistemiche 7 1<br />
Dermatomiosite 2 0.2<br />
Tabella 1: Classificazione dei pazienti con APS
APS: un’unica malattia con diverso spettro clinico<br />
o entità cliniche diverse?<br />
Forme primitive e secon<strong>da</strong>rie<br />
La APS è formalmente caratterizzata <strong>da</strong>lla presenza persistente di aPL e di<br />
trombosi arteriose e/o venose e/o abortività ricorrente (7) . La letteratura ha<br />
tuttavia indicato negli ultimi anni la possibilità di uno spettro di presentazioni<br />
della APS (Tabella 2) (8) . L’insieme di queste segnalazioni suggerisce che i<br />
pazienti con APS rappresentino un gruppo eterogeneo e che essi costituiscano<br />
mo<strong>da</strong>lità diverse di presentazione di una stessa malattia piuttosto<br />
che entità cliniche distinte. In quest’ottica vanno considerati i report di casi<br />
in cui un Lupus Eritematoso Sistemico (LES) conclamato si è sviluppato nel<br />
tempo in pazienti diagnosticati inizialmente come forme primitive (9) .<br />
1. APS associata ad una malattia autoimmune sistemica, prevalentemente LES<br />
(Secon<strong>da</strong>ry APS);<br />
2. pazienti con APS ma senza una malattia autoimmune sistemica diagnosticabile<br />
(Primary APS);<br />
3. pazienti con APS e con “lupus-like disease”, che in altre parole manifestano segni<br />
di interessamento sistemico ma per i quali non è formalmente possibile soddisfare<br />
i criteri di classificazione per il LES;<br />
4. presenza di aPL legati ad altre cause, quali farmaci, neoplasie, processi infettivi.<br />
La maggior parte di questi pazienti non presentano le manifestazioni tipiche della<br />
sindrome ma solo un titolo elevato di aPL. In taluni report è stata anche descritta<br />
la comparsa di manifestazioni cliniche (solitamente trombosi), ma questi casi<br />
sembrano rappresentare più l’eccezione che non la regola.<br />
Tabella 2: Spettro delle presentazioni cliniche della APS<br />
Quadro clinico<br />
Dall’analisi della letteratura emerge che essenzialmente il quadro clinico di<br />
presentazione della APS sia in corso di LES (o di altre malattie autoimmuni<br />
sistemiche) sia nelle forme primitive è sostanzialmente sovrapponibile.<br />
La tabella 3 riporta la prevalenza delle diverse manifestazioni cliniche nelle<br />
PAPS e nelle APS associate a LES riscontrate nella casistica di 1000<br />
pazienti dell’European aPL Forum (6) .<br />
Va sottolineato che quanto descritto più recentemente coincide con i risultati<br />
riportati in varie casistiche numericamente inferiori e pubblicate negli<br />
anni antecedenti (8) .<br />
Sono tuttavia riscontrabili alcune differenze che appaiono per la maggior<br />
parte imputabili all’esistenza della malattia di fondo delle forme secon<strong>da</strong>rie.<br />
Questo vale soprattutto per la maggiore prevalenza di artriti franche, di epilessia,<br />
di osteonecrosi, di interessamento renale, di valvulopatie cardiache,<br />
di anemia emolitica e leucopenia. Tutte le sopracitate manifestazioni non<br />
solo fanno parte del contesto clinico del LES - patologia prevalentemente<br />
associata – ma costituiscono anche criteri classificativi noti per la malattia<br />
lupica stessa (10) . La stessa associazione con il sesso femminile (rapporto<br />
maschi/femmine di 7:1 nella APS associata LES vs 3.5:1 in corso di PAPS)<br />
o con l’età di insorgenza (più giovane nella APS associata al LES rispetto<br />
alla PAPS) sono chiaramente influenzate <strong>da</strong>lla malattia lupica.<br />
Sovrapponibili appaiono le caratteristiche delle principali manifestazioni<br />
cliniche (abortività e trombosi) nelle due forme.<br />
9
10<br />
In particolare è prevalente l’interessamento dell’albero venoso rispetto a<br />
quello arterioso ed in quest’ultimo caso la predilezione per il distretto del<br />
sistema nervoso centrale. Le recidive degli eventi trombotici sembrano<br />
inoltre prediligere sia nella PAPS sia nella forma secon<strong>da</strong>ria le stesse sedi<br />
dell’evento primitivo. Infine, analoghe sono le caratteristiche istologiche dei<br />
tessuti interessati <strong>da</strong>lla trombosi con scarsa o completamente assente<br />
infiammazione.<br />
Tipo delle manifestazioni PAPS % APS associata a LES %<br />
Artrite 4 62<br />
Livedo reticularis 17 35<br />
Tromboflebiti superficiali 8 17<br />
Epilessia 4 9<br />
Necrosi cutanea superficiale 1 4<br />
Lesioni cutanee pseudo-vasculitiche 2 6<br />
Osteonecrosi 1 4<br />
Miocardiopatia cronica 1 4<br />
Trombosi glomerulare 21 38<br />
Anemia emolitica 5 16<br />
Leucopenia 3 36<br />
Stroke 22 16<br />
Trombosi arti superiori 2 0.4<br />
Valvulopatia cardiaca 37 63<br />
Tabella 3: Prevalenza delle diverse manifestazioni cliniche in corso di<br />
PAPS e di APS secon<strong>da</strong>ria a LES.<br />
Profilo Sierologico<br />
Da un punto di vista sierologico le forme primitive e quelle secon<strong>da</strong>rie presentano<br />
una reattività nei confronti degli antigeni cosiddetti “fosfolipidici”<br />
del tutto sovrapponibile:<br />
a) i sieri di entrambe le forme cross-reagiscono con i fosfolipidi (PL)<br />
a carica elettrica anionica e<br />
b) riconoscono le principali PL-binding protein attualmente considerate<br />
i veri target antigenici (ß2 glicoproteina 1 [ß2GP1], protrombina).<br />
Inoltre sia nelle PAPS sia nelle APS secon<strong>da</strong>rie è stato <strong>da</strong> più gruppi<br />
descritto un identico profilo autoanticorpale costituito <strong>da</strong> reattività anticorpali<br />
associate agli aPL ma apparentemente distinte <strong>da</strong> essi <strong>da</strong> un punto di<br />
vista di specificità antigenica: anti-proteina C/S, anti-trombomodulina, antikininogeno,<br />
anti-Annessina V, anti-LDL ossi<strong>da</strong>te, anti-mitocondrio di tipo<br />
M5, anti-lamine nucleari, anti-endotelio, anti-eritrociti, anti-piastrine (11) .<br />
La specificità e la sensibilità dei principali test diagnostici per APS (LA,<br />
aCL e anti-ß2GP1) risultano essere analoghe nelle due forme (8) .<br />
Identico discorso sembra poter essere fatto anche per il valore prognostico<br />
degli stessi test. Il LA ed alti titoli di IgG aCL mostrerebbero infatti un maggiore<br />
peso prognostico sulla comparsa/recidiva delle manifestazioni cliniche;<br />
ancora dibattuto resta il peso prognostico della presenza di <strong>anticorpi</strong><br />
anti-ß2GP1 (8, 12) .<br />
D’altra parte non sorprende che la prevalenza di marcatori sierologici<br />
specifici quali ANA e anti-dsDNA o le alterazioni dei livelli sierici del complemento<br />
sia maggiore in corso di APS associata a LES (6) .
Quando e come formulare la diagnosi di PAPS<br />
Esiste veramente una forma primitiva?<br />
Una diagnosi di PAPS può essere formulata se il paziente soddisfa i criteri<br />
classificativi della APS (7) e se può essere esclusa la contemporanea presenza<br />
di una malattia autoimmune sistemica. La stragrande maggioranza<br />
delle forme secon<strong>da</strong>rie sono state riportate in corso di LES conclamato.<br />
Quando la patologia sistemica associata non può essere formalmente classificabile<br />
come tale a causa della mancanza di un numero sufficiente di criteri<br />
classificativi, la maggior parte degli autori parla di sindromi lupus-like.<br />
Appare quindi essenziale per una diagnosi di PAPS poter escludere un tipo<br />
di patologia simile. In pratica è esperienza comune come ciò sia difficile in<br />
considerazione del fatto che molte manifestazioni cliniche della APS costituiscono<br />
esse stesse criteri classificativi (o manifestazioni) del LES.<br />
Queste considerazioni hanno spinto alcuni autori a suggerire specifici criteri<br />
di esclusione, in presenza dei quali la diagnosi di PAPS non sarebbe possibile<br />
(Tabella 4) (13) . Anche seguendo questi suggerimenti rimarrebbe tuttavia<br />
aperta la possibilità che il paziente possa avere una forma di passaggio<br />
quale una lupus-like APS e pertanto solo un follow-up sufficientemente<br />
lungo potrà dirimere la questione in ultima istanza.<br />
• Rash malare<br />
• Rash discoide<br />
• Fotosensibilità<br />
• Ulcere orali o naso-faringee (con l’esclusione di un’ulcerazione del setto nasale)<br />
• Artrite<br />
• Pleurite (in assenza di un’embolia polmonare od uno scompenso sinistro)<br />
• Pericardite (in assenza di un infarto miocardio o di un’uremia)<br />
• Proteinuria persistente (> 0.5 gr/die) dovuta a glomerulonefrite <strong>da</strong> immunocomplessi<br />
• Anticorpi anti-dsDNA (individuati con tecnica di Farr o CLIFTI<br />
• Anticorpi anti-ENA<br />
• ANA a titolo>1:320<br />
• Terapia con farmaci noti per indurre aPL<br />
• Linfopenia < 1.0/10 g/l<br />
Un follow-up maggiore di 5 anni dopo la comparsa delle prime manifestazioni è necessario<br />
per escludere un’eventuale comparsa di LES.<br />
Tabella 4: Criteri di esclusione per la diagnosi di PAPS (13)<br />
Sebbene vi siano solide evidenze che più della metà dei pazienti possa<br />
all’esordio manifestare solo sintomi associati agli aPL (6) , è altrettanto noto<br />
in letteratura che nel lungo decorso un numero consistente sviluppi progressivamente<br />
manifestazioni che consentano di formulare una diagnosi<br />
di LES o di lupus-like disease<br />
(8, 9, 13).<br />
Vi è accordo che ciò avvenga in un lasso di tempo lungo, giustificando<br />
la necessità di un follow-up di almeno 5 anni (8, 9, 13) . Mancano tuttavia studi<br />
multicentrici e sufficientemente ampi per poter documentare l’entità numerica<br />
di questo fenomeno.<br />
11
12<br />
Una terapia diversa per la forma primitiva?<br />
In linea con l’ipotesi che la presenza degli aPL sia espressione di una<br />
forma autoimmune potenzialmente evolventesi nel tempo, vi è la recente<br />
osservazione della comparsa di manifestazioni cliniche della sindrome in<br />
quasi la metà di pazienti con aPL e trombocitopenia idiopatica nell’arco di<br />
38 mesi (14) .<br />
Il trattamento delle forme primitive ricalca in linea di massima quello attuato<br />
nelle forme associate ad altre malattie autoimmune sistemiche sia per<br />
quanto riguar<strong>da</strong> la terapia delle manifestazioni acute sia per quanto concerne<br />
la profilassi. Ciò è vero tanto per le manifestazioni trombotiche quanto<br />
per l’abortività e le complicanze gravidiche. La differenza fon<strong>da</strong>mentale<br />
risiede nell’uso di steroidi e/o di farmaci immunosoppressori necessario<br />
per il controllo della malattia di fondo nelle forme secon<strong>da</strong>rie.<br />
La presenza di aPL influenza il decorso delle forme secon<strong>da</strong>rie?<br />
La descrizione relativamente recente delle forme primitive non consente al<br />
momento attuale una valutazione oggettiva della loro prognosi. Tuttavia<br />
questo sembra essere possibile nelle forme secon<strong>da</strong>rie a LES. In effetti,<br />
alcuni anni fa era stato suggerito <strong>da</strong> più gruppi che la mortalità tra i pazienti<br />
lupici con aPL fosse maggiore rispetto a quella dei pazienti senza aPL.<br />
Eventi tromboembolici (arteriosi e/o venosi), trombocitopenia ed anemia<br />
emolitica furono riportati quali fattori responsabili della maggiore mortalità<br />
(15, 16, 17, 18) . Pazienti con LES e positività per LA avrebbero una probabilità del<br />
50% di manifestare un evento trombotico arterioso e/o venoso in un followup<br />
di 20 anni (19) . La terapia profilattica con aspirina sarebbe d’altra parte in<br />
grado di ridurre significativamente questo rischio (20, 21). Che l’approccio terapeutico<br />
sia capace di migliorare la prognosi è suggerito anche <strong>da</strong> una<br />
recente analisi di Alarcon Segovia et al. in un’ampia casistica seguita per<br />
un lungo periodo di tempo (22) . Questi autori hanno infatti riportato una diminuzione<br />
dell’incidenza delle manifestazioni legate alla APS nel tempo ed<br />
hanno messo in relazione questo <strong>da</strong>to alla terapia profilattica con antiaggreganti<br />
e/o anticoagulanti orali. L’attuale approccio terapeutico sarebbe<br />
inoltre responsabile di una sopravvivenza a 15 anni maggiore rispetto a<br />
quella riportata per il LES in generale (22-25) . Alternativamente non si può tuttavia<br />
escludere che la prognosi migliore possa essere in relazione ad<br />
un’associazione tra APS e forme meno aggressive di LES (22) .<br />
Più recentemente, la presenza di aPL è stata anche associata ad un inte<br />
ressamento renale su base vasculopatica e caratterizzato <strong>da</strong> ipertensione<br />
arteriosa e fibrosi interstiziale; l’interessamento renale condizionerebbe<br />
una maggiore morbidità dei pazienti con LES e aPL (23) .
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Corrispondenza: PL Meroni<br />
Unità di Allergologia e Immunologia Clinica, IRCCS Istituto Auxologico Italiano<br />
Via L. Ariosto, 13 - 20145 Milano - Fax 02-58211-559<br />
e-mail:pierluigi.meroni@unimi.it
Fisiopatologia e possibili meccanismi<br />
di trombogenesi degli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong><br />
Monica Galli<br />
U.S. Emostasi e Trombosi, U.O. Ematologia,<br />
Ospe<strong>da</strong>li Riuniti, Bergamo<br />
15
16<br />
Introduzione<br />
La <strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> (APS) è un disordine acquisito<br />
di origine ignota, caratterizzato <strong>da</strong> trombosi arteriose e/o venose e<br />
complicanze della gravi<strong>da</strong>nza che si associano alla presenza nel<br />
sangue degli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> (aPL) (1) .<br />
Gli aPL allungano i tempi di coagulazione dei tests fosfolipide-dipendenti<br />
della coagulazione (si parla in questo caso di anticoagulante tipo lupus,<br />
LAC) (2) , oppure sono evidenziati mediante metodiche ELISA che utilizzano<br />
la cardiolipina o altri fosfolipidi a carica netta negativa come antigeni in fase<br />
soli<strong>da</strong> (<strong>anticorpi</strong> anticardiolipina, aCL) (3) .<br />
In realtà, gli aPL non reagiscono direttamente con i fosfolipidi, bensì sono<br />
diretti contro proteine plasmatiche che hanno affinità per le superfici a carica<br />
netta negativa. Tra queste proteine, le più importanti sono la ß 2 -glicoproteina<br />
1 (ß 2 GP1) (4) e la protrombina (PT) (5) , che sono il bersaglio antigenico<br />
della maggior parte degli aPL. Queste proteine sono trattate estensivamente<br />
in altre parti di questo libro. In questo capitolo ci occuperemo degli<br />
altri bersagli antigenici degli aPL, dei meccanismi di trombogenesi e dei<br />
modelli sperimentali di APS.
Antigeni degli aPL<br />
Proposti meccanismi di trombogenesi<br />
Gli antigeni degli aPL sono indicati nella Tabella 1 (6-12) .<br />
Poichè la maggior parte di queste proteine sono coinvolte nella regolazione<br />
della coagulazione del sangue, è verosimile che <strong>anticorpi</strong> capaci di<br />
ridurre la loro concentrazione plasmatica e/o di interferire con le loro<br />
funzioni possano produrre uno squilibrio dei sistemi pro- ed anti-coagulanti.<br />
Questo rappresenta il razionale dell’aumentato rischio trombotico dei<br />
pazienti con aPL.<br />
I <strong>da</strong>ti disponibili riguardo alla prevalenza e al significato clinico di <strong>anticorpi</strong><br />
diversi <strong>da</strong>l LAC, aCL, anti-ß 2 GP1 ed aPT sono piuttosto limitati e derivano,<br />
in genere, <strong>da</strong> studi retrospettivi su piccoli gruppi di pazienti.<br />
Uno degli studi più ampi è stato recentemente pubblicato <strong>da</strong> Nojima e collaboratori<br />
(13) su 168 pazienti affetti <strong>da</strong> lupus eritematoso sistemico: la prevalenza<br />
degli <strong>anticorpi</strong> diretti contro la proteina C, la proteina S e l’annessina<br />
V era compresa <strong>da</strong> 21 e 56% quando i tests ELISA erano eseguiti con piastre<br />
gamma-irradiate. La rilevanza clinica di questi <strong>da</strong>ti era, peraltro, modesta,<br />
poiché solo gli <strong>anticorpi</strong> anti-proteina S risultavano associati alle trombosi<br />
venose.<br />
• ß 2 glicoproteina 1<br />
• Protrombina<br />
• Proteina C (attivata)<br />
• Proteina S<br />
• Trombomodulina<br />
• Annessina V<br />
• Attivatore tissutale del plasminogeno<br />
• Chininogeni a basso ed alto peso molecolare<br />
• Fattore XII della coagulazione<br />
• Lipoproteine a bassa densita’ ossi<strong>da</strong>te (ox-LDL)<br />
Tabella 1. Antigeni degli aPL<br />
Le ipotesi via via suggerite per spiegare la trombogenesi nell’APS sono<br />
indicate nella Tabella 2.<br />
Interferenza con il sistema anticoagulante della proteina C<br />
Il sistema della proteina C è uno dei principali sistemi di controllo della<br />
coagulazione del sangue. Difetti qualitativi e/o quantitativi della proteina C<br />
e del suo cofattore, la proteina S, sono associati ad aumentato rischio di<br />
trombosi venose ed embolie polmonari (14) . Gli aPL sono in grado di inibire<br />
l’inattivazione del fattore V attivato <strong>da</strong> parte della proteina C attivata (aPC)<br />
su una superficie fosfolipidica (15) . Il termine “resistenza acquisita” all’aPC<br />
identifica questa condizione, che potrebbe spiegare, almeno in parte,<br />
l’aumentato rischio di trombosi venose dei pazienti con aPL.<br />
Il nostro gruppo (15) ha studiato l’inattivazione del fattore Va nel plasma di 42<br />
pazienti con aPL, dimostrando che in 26 di loro (62%) rimanevano livelli più<br />
alti di fattore Va rispetto ai controlli. In un sistema plasmatico abbiamo, inoltre,<br />
dimostrato la capacità degli anti-ß 2 GP1 di inibire l’inattivazione del fattore<br />
Va <strong>da</strong> parte del sistema della proteina C endogena.<br />
17
18<br />
• Interferenza con meccanismi antitrombotici dipendenti <strong>da</strong>i fosfolipidi<br />
Interferenza con il sistema anticoagulante della proteina C;<br />
Inibizione del TFPI (“tissue factor pathway inhibitor”);<br />
Esposizione di fosfolipidi anionici a seguito della dislocazione dell’annessina V;<br />
Ridotta fibrinolisi a seguito della riduzione dell’autoattivazione del fattore XII<br />
della coagulazione fosfolipide-dipendente;<br />
Inibizione dei complessi eparina-antitrombina.<br />
• Stimolazione della sintesi/esposizione del fattore tissutale su monociti e cellule endoteliali<br />
• Danno vascolare/induzione di apoptosi<br />
• Promozione dell’adesione cellulare a superfici vascolari<br />
• Attivazione piastrinica/Rilascio di miscrovescicole<br />
• Cross-reattivita’ con ox-LDL<br />
• Aumento dell’endotelina 1<br />
• Alterazione della sintesi degli eicosanoidi<br />
• Aumento del PAI-I (“plasminogen activator inhibitor-1”)<br />
Tabella 2. Proposti meccanismi di trombogenesi nell’APS<br />
Interazione con l’annessina V<br />
L’annessina V è un potente inibitore fisiologico della coagulazione che, in<br />
presenza in presenza di ioni calcio, forma una struttura cristallina bidimensionale<br />
sulla superficie fosfolipidica. In tal modo riesce a dislocare i fattori della<br />
coagulazione ed esercita anche un ruolo di protezione dei meccanismi di<br />
apoptosi. Gli aPL in presenza di ß 2 GP1 sono risultati in grado di dislocare<br />
l’annessina V <strong>da</strong>lla superficie fosfolipidica, rendendola, pertanto, nuovamente<br />
disponibile per i fattori della coagulazione (16) . Inoltre, alcuni aPL che reagiscono<br />
con l’annessina V inducono apoptosi delle cellule endoteliali (17) .<br />
Effetti sulle cellule endoteliali<br />
Gli aPL sono in grado di riconoscere, <strong>da</strong>nneggiare e/o attivare le cellule<br />
endoteliali (18) . Cellule endoteliali incubate con aPL e ß 2 GP1 esprimono livelli<br />
aumentati di molecole di adesione (19) , possono aumentare l’adesione leucocitaria<br />
e stimolare i processi di flogosi e trombosi. Questi effetti sono verosimilmente<br />
mediati <strong>da</strong> molecole quali ICAM-1, <strong>VI</strong>CAM-1, P-selettina, come suggerito<br />
<strong>da</strong> un modello di topo carente di ICAM-1 e P-selettina. Pazienti aPLpositivi<br />
con trombosi arteriosa esprimono livelli aumentati di endotelina-1 (20) .<br />
Si tratta di una molecola il cui ruolo fisiologico non è ancora ben definito, ma<br />
che potrebbe essere implicata nei processi di regolazione del tono arterioso<br />
e del vasospasmo. Anticorpi LAC sono risultati capaci di stimolare il “release”<br />
di miscrovescicole <strong>da</strong> parte delle cellule endoteliali (21) .<br />
Induzione del fattore tissutale<br />
Gli aPL sono in grado di stimolare la sintesi leucocitaria di fattore tissutale (22) .<br />
Dopo appropriata stimolazione, i monociti isolati <strong>da</strong> pazienti con APS, ma non<br />
quelli di pazienti aPL-positivi senza complicanze trombotiche, producevano<br />
livelli aumentati di fattore tissutale (22) . Ciò richiedeva la presenza di linfociti<br />
CD 4+ e molecole del sistema maggiore di istocompatibilita’ di classe II.<br />
In uno studio, la capacità degli aPL di stimolare l’espressione di fattore tissutale<br />
era associata a ridotti livelli di proteina S libera ed aumento di alcuni marcatori<br />
di stato protrombotico (23) . Gli aPL possono aumentare il fattore tissutale<br />
anche inibendo l’attività del TFPI (tissue factor pathway inhibitor) (24) .
Modelli animali di APS<br />
Conclusioni<br />
Effetto sulle piastrine e sul metabolismo degli eicosanoidi<br />
Alcuni ricercatori hanno dimostrato la presenza di piastrine attivate nel sangue<br />
dei pazienti con APS (25) , e che gli aPL possono stimolare l’aggregazione<br />
piastrinica (26) e favorirne l’agglutinazione (27) . Gli aPL possono alterare<br />
l’equilibrio della sintesi degli eicosanoidi in senso protrombotico, come suggerito<br />
<strong>da</strong>ll’aumentata escrezione urinaria dei metaboliti del trombossano (28) .<br />
Peraltro, altri ricercatori non hanno confermato questi <strong>da</strong>ti (29) .<br />
Inibizione dell’antitrombina<br />
L’antitrombina e’ un inibitore fisiologico della coagulazione, la cui azione è<br />
accelerata <strong>da</strong>ll’eparina. I pazienti congenitamente carenti di antitrombina<br />
sono ad elevato rischio di complicanze trombotiche venose.<br />
E’ stato dimostrato che in alcuni casi gli aPL cross-reagiscono con l’eparina<br />
e con sostanze eparino-simili, in tal modo inibendone il loro effetto di accelerazione<br />
dell’azione dell’antitrombina (30) .<br />
Altri effetti<br />
Gli aPL possono cross-reagire con le ox-LDL (7) , stimolando, in tal modo, il<br />
processo di aterogenesi. Inoltre, è stato suggerito anche che gli aPL possono<br />
interferire con la fibrinolisi. Infatti, livelli aumentati di PAI-I (“plasminogen<br />
activator inhibitor-I”) sono stati trovati in donne aPL-positive (31) .<br />
Inoltre, gli anti-ß 2 GP1 possono inibire l’autoattivazione del fattore XII (32) , perciò<br />
riducendo la callicreina e l’urochinasi. Infine, mutazioni genetiche - quali<br />
la mutazione G1691A del gene del fattore V e la mutazione G20210A del<br />
gene della protrombina, la cui presenza aumenta il rischio di trombosi<br />
venose – possono contribuire a definire il rischio trombotico nell’APS (33) .<br />
Diversi modelli murini di APS suggeriscono che gli aPL possano svolgere<br />
un ruolo causativo nello sviluppo delle trombosi e delle complicanze ostetriche.<br />
Infatti, l’immunizzazione con ß 2 GP1 (34) o con aPL (35) comporta un<br />
aumentato riassorbimento fetale (l’equivalente murino della poliabortività),<br />
mentre la somministrazione di un anticorpo monoclonale umano derivato<br />
<strong>da</strong> un paziente con APS provoca trombosi nei topi (36) . Topi sottoposti ad<br />
infusione endovenosa di aPL e successivamente a <strong>da</strong>nno della vena femorale<br />
sviluppano trombi nella sede di ingiuria vascolare, che sono di dimensioni<br />
maggiori rispetto agli animali di controllo (37) . In un modello di aterosclerosi<br />
murina (topi “knock out” per il gene del recettore delle LDL) l’immunizzazione<br />
con aCL umani accelera i processi di aterosclerosi (38) , fornendo<br />
un’ulteriore prova della patogenicità degli aPL.<br />
Una relazione causa-effetto diretta tra gli aPL e le complicanze trombotiche<br />
e ostetriche non è ancora stata <strong>da</strong>ta negli esseri umani. Tuttavia, la recente<br />
caratterizzazione della ß 2 GP1 nello scimpanzé, insieme al riscontro di<br />
un’elevata prevalenza di <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 in questi animali (39) offre la<br />
possibilità di studiare l’APS in un modello animale più simile all’uomo.<br />
In condizioni di laboratorio particolari, gli aPL esercitano numerosi effetti a<br />
causa dei molteplici processi biologici che coinvolgono i fosfolipidi e le membrane<br />
fosfolipidiche. E’, peraltro, difficile stabilire quali di questi effetti siano<br />
biologicamente rilevanti, basti pensare, ad esempio, all’effetto paradosso del<br />
LAC sui tests fosfolipide-dipendenti della coagulazione. Perciò, la rilevanza<br />
clinica di ogni proposto meccanismo d’azione basato su studi “in vitro” deve<br />
essere vali<strong>da</strong>to mediante modelli animali e studi clinici ben disegnati.<br />
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Aspetti clinici e terapeutici delle<br />
trombosi arteriose e venose<br />
Guido Finazzi<br />
U.S. Emostasi e Trombosi, U.O. Ematologia,<br />
Ospe<strong>da</strong>li Riuniti, Bergamo<br />
23
24<br />
Introduzione<br />
Le trombosi arteriose e venose rappresentano l’evento clinico più frequente<br />
e clinicamente rilevante della sindrome <strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong><br />
(aPL) (1) . Dati epidemiologici indicano che circa il 30-40% dei<br />
pazienti con gli <strong>anticorpi</strong> ha una storia di trombosi, venosa nel 70% e arteriosa<br />
in circa il 30% dei casi (2) .<br />
Le trombosi profonde degli arti inferiori, con o senza embolia polmonare,<br />
sono gli eventi venosi più frequenti, mentre il circolo cerebrale è la sede più<br />
comune delle occlusioni arteriose.<br />
Le trombosi tendono a recidivare, tipicamente nello stesso distretto del<br />
primo evento, e pertanto richiedono una attenta valutazione prognostica e<br />
terapeutica. In questo capitolo, prenderemo in esame i fattori di rischio clinici<br />
e di laboratorio per lo sviluppo di eventi vascolari e discuteremo le<br />
opzioni terapeutiche per il trattamento di questi pazienti.
Fattori di rischio trombotico<br />
Clinici<br />
La storia naturale e i fattori di rischio per le trombosi nei pazienti con <strong>anticorpi</strong><br />
<strong>antifosfolipidi</strong> sono stati analizzati in dettaglio in uno studio prospettico<br />
del Registro Italiano (3) . Trecentosessanta pazienti consecutivi (M/F<br />
118/242, età mediana 39 anni, range 2-78), con diagnosi di lupus anticoagulant<br />
(LA) secondo i criteri internazionalmente stabiliti (4) e/o con aumentati<br />
livelli di <strong>anticorpi</strong> anticardiolipina (aCL) di classe IgG sono stati seguiti <strong>da</strong><br />
16 Centri Italiani. Dopo un follow-up mediano di 3.9 anni (range 0.5-5), 34<br />
pazienti hanno sviluppato una complicanza trombotica, con una incidenza<br />
totale di 2.5% pazienti-anno. L’analisi multivariata dei fattori di rischio ha<br />
identificato l’anamnesi positiva per un precedente evento vascolare come<br />
il più forte predittore clinico di trombosi (Tab.1). I pazienti con storia positiva<br />
per trombosi presentavano un’incidenza di complicanze vascolare pari a<br />
5.4% pazienti-anno in confronto a 0.95% pazienti-anno nei soggetti asintomatici.<br />
L’età, il sesso, un precedente evento abortivo, la diagnosi di lupus<br />
eritematosus sistemico (LES) o malattie correlate, la piastrinopenia e il fumo<br />
non erano fattori di rischio indipendenti per trombosi. Invece, una storia di<br />
aborto era significativamente associata ad un fallimento gravidico anche<br />
nel follow-up.<br />
Questi <strong>da</strong>ti sono stati confermati <strong>da</strong> altri studi. In uno studio multicentrico<br />
europeo (5) , l’incidenza di trombosi ricorrenti è stata di 4.5% pazienti-anno,<br />
molto simile a quanto osservato nello studio italiano. Inoltre, nessuna differenza<br />
di rischio trombotico è stata osservata fra pazienti con o senza LES,<br />
ipertensione arteriosa, iperlipidemia o diabete.<br />
In un altro studio in donne con LES (6) , una precedente gravi<strong>da</strong>nza abortiva<br />
è stata identificata come il più importante predittore di aborto ricorrente.<br />
Pertanto, i pazienti con <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> possono essere suddivisi in<br />
due classi di rischio: i pazienti asintomatici hanno una bassa incidenza di<br />
complicanze vascolari e necessitano solo di attenta sorveglianza; i pazienti<br />
con pregressa trombosi, o gravi<strong>da</strong>nza abortiva, sono invece candi<strong>da</strong>ti ad<br />
una terapia anticoagulante.<br />
Variabile Rischio Relativo (95% CI) P<br />
Età < 40 anni 1.02 (0.54-1.<strong>90</strong>) 0.96<br />
Sesso femminile 1.41 (0.49-4.06) 0.52<br />
Precedente trombosi 4.<strong>90</strong> (1.76-13.7)
26<br />
L’analisi di 12 studi in 1608 pazienti ha dimostrato che l’associazione del<br />
test con la trombosi era sempre statisticamente significativa con un odds<br />
ratio compreso fra 7.3 e 10.7. Peraltro, il LA è un fenomeno di laboratorio<br />
eterogeneo in termini di bersagli antigenici, di meccanismi di interferenza<br />
con i fosfolipidi della cascata coagulatoria e quindi anche di test coagulativi<br />
necessari per la diagnosi. Ne consegue che nessun singolo test coagulativo<br />
è al 100% sensibile e specifico per la diagnosi di LA. Ci si può pertanto<br />
chiedere quale sia il singolo test coagulativo che, nell’ambito della diagnosi<br />
di LA, è il miglior predittore del rischio trombotico.<br />
Il Russell’s Viper Venom Time diluito (dRVVT) e il Kaolin Clotting Time (KCT)<br />
sono due test di coagulazione comunemente usati per la diagnosi di LA.<br />
In uno studio recente, questi due test si sono dimostrati differentemente<br />
associati al rischio di sviluppare eventi vascolari (8) . Infatti, nessuna correlazione<br />
è stata osservata tra la storia trombotica dei pazienti e il grado di<br />
positività del KCT, indipendentemente <strong>da</strong>l laboratorio dove è stato eseguito<br />
il test e <strong>da</strong>l tipo di strumentazione usata. La stessa mancanza di associazione<br />
è stata osservata analizzando separatamente le trombosi arteriose e<br />
venose. Invece, la maggior parte dei tests basati sul dRVVT erano associati<br />
con una storia di eventi vascolari quando si considerava un dRVVT ratio<br />
>1.5. Questi risultati sono in accordo con un altro studio di 100 pazienti<br />
LA-positivi seguiti per una mediana di circa 3 anni: più alto era il valore di<br />
dRVVT ratio, più alta la frequenza di trombosi (9) . Peraltro, bisogna considerare<br />
un punto importante circa l’associazione fra grado di positività al<br />
dRVVT e rischio trombotico. I vari tipi di dRVVT commercialmente disponibili<br />
o preparati “in-house” <strong>da</strong>i singoli ricercatori sono diversi fra loro per<br />
composizione e concentrazione dei reagenti fosfolipidici (10) .<br />
Questo può modificare la loro specificità e sensibilità diagnostica e può<br />
spiegare i risultati di alcuni studi che hanno dimostrato l’associazione fra<br />
dRVVT e trombosi con alcuni tipi di reagenti ma non con altri (11) .<br />
E’ pertanto necessario un ulteriore lavoro di stan<strong>da</strong>rdizzazione del test<br />
prima di raggiungere conclusioni definitive. Certamente, comunque, il<br />
dRVVT appare oggi come il più promettente candi<strong>da</strong>to per identificare<br />
i pazienti con LA ad alto rischio trombotico.<br />
Per quanto riguar<strong>da</strong> gli <strong>anticorpi</strong> aCL, l’analisi sopra citata (7) ha valutato 14<br />
studi (esclusi quelli retrospettivi) che hanno riportato l’OR del test nei confronti<br />
del rischio trombotico. L’associazione risultava statisticamente significativa<br />
solo nel 50% degli studi (OR compreso fra non significativo e 4.9).<br />
L’associazione degli aCL con la trombosi era comunque strettamente<br />
dipendente <strong>da</strong>l titolo anticorpale. Infatti, negli studi nei quali erano inclusi<br />
solo pazienti con aCL >40 U GPL l’associazione con gli eventi vascolari<br />
raggiungeva la significatività statistica con un OR compreso fra 1.5 e 10.<br />
Il significato clinico degli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 -glicoproteina 1 (anti-ß 2 GP1) e<br />
anti-protrombina (aPT) è stato analizzato principalmente in studi retrospettivi<br />
(7) . La maggioranza degli studi relativi agli anti-ß 2 GP1 ha dimostrato una<br />
significativa associazione con le trombosi: l’analisi cumulativa di 1506<br />
pazienti ha <strong>da</strong>to un OR di 5.3 (4.06-6.98), indipendentemente <strong>da</strong>ll’isotipo<br />
dell’anticorpo e <strong>da</strong>lla sede di trombosi. Quando le trombosi arteriose e<br />
venose venivano analizzate separatamente, solo uno studio riportava una<br />
significativa associazione tra anti-ß 2 GP1 di tipo IgM e trombosi arteriose<br />
(peraltro non confermata in analisi multivariata), mentre cinque studi<br />
mostravano che <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 di classe IgG conferivano un OR<br />
statisticamente significativo per trombosi venose. Dieci studi retrospettivi<br />
o caso-controllo hanno valutato l’associazione tra aPT e trombosi.<br />
Sette studi hanno trovato un OR statisticamente significativo in analisi univariata,<br />
ma solo in due l’associazione si è confermata in analisi multivariata.<br />
In conclusione, l’insieme di questi studi indica che il LA è il più potente pre-
Prevenzione e trattamento delle trombosi<br />
dittore di laboratorio del rischio trombotico in questi pazienti. Fra i test coagulativi<br />
per la diagnosi di LA, il dRVVT è stato più frequentemente associato<br />
agli eventi trombotici rispetto al KCT, ma discrepanze fra i risultati ottenuti<br />
con diversi tipi di dRVVT sottolineano la necessità di una migliore stan<strong>da</strong>rdizzazione<br />
del test. I <strong>da</strong>ti relativi agli aCL suggeriscono che solo alti titoli<br />
anticorpali possono essere considerati come eventuali predittori di trombosi.<br />
Rispetto agli aCL, gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 sembrano mostrare una<br />
migliore associazione con gli eventi vascolari ma mancano studi prospettici<br />
definitivi. Infine, il dosaggio degli aPT non sembra attualmente di grande<br />
utilità nel singolo paziente e dovrebbe essere eseguito solo nell’ambito di<br />
studi clinici ‘ad hoc’ (tab. 2)<br />
Tipo di anticorpo Forza dell’associazione con la trombosi<br />
Studi Retrospettivi Studi Prospettici<br />
Lupus Anticoagulant<br />
dRVVT test * ++ ++<br />
KCT test - -<br />
Anticardiolipina<br />
Alti titoli + +<br />
Bassi titoli - -<br />
Anti-ß 2 -glicoproteina 1 + ND<br />
Antiprotrombina +/- +/-<br />
dRVVT= dilute Russell Venom Viper Test; KCT=Kaolin Clotting Time; ND non disponibili<br />
++ associazione forte; + associazione significativa;<br />
+/- associazione incerta; - nessuna associazione<br />
* risultati eterogenei con diversi reagenti<br />
(<strong>da</strong> Galli M, Haemostasis 2000; 30: 57-62)<br />
Tabella 2. Fattori laboratoristici di rischio trombotico in pazienti con<br />
<strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> Anticorpi Antifosfolipidi. Analisi cumulativa della letteratura<br />
1988-2000.<br />
Non ci sono studi clinici controllati sul trattamento o la profilassi delle trombosi<br />
nei pazienti con aPL e le raccoman<strong>da</strong>zioni attuali sono basate, nel<br />
migliore dei casi, su serie retrospettive di pazienti consecutivi. C’è un generale<br />
consenso sul fatto che i soggetti asintomatici non debbano ricevere<br />
una profilassi primaria e la bassa incidenza di trombosi osservata nello studio<br />
italiano sostiene questa raccoman<strong>da</strong>zione (3) . Una profilassi con eparina<br />
non frazionata o a basso peso molecolare, alle dosi usuali, è indicata nelle<br />
situazioni ad aumentato rischio tromboembolico come la chirurgia, la gravi<strong>da</strong>nza,<br />
il puerperio o in caso di immobilizzazione prolungata. L’assunzione<br />
dei contraccettivi orali è sconsigliata, sebbene non ci siano studi conclusivi<br />
al riguardo. L’evento tromboembolico acuto viene trattato come nei pazienti<br />
senza aPL. Un problema particolare riguar<strong>da</strong> il monitoraggio della terapia<br />
eparinica, perchè l’APTT è fortemente influenzato <strong>da</strong>lla presenza del LA.<br />
Si raccoman<strong>da</strong> di utilizzare un test basato sull’attività anti-Xa, mantenendo<br />
un range terapeutico compreso fra 0.35 e 0.7 U/ml.<br />
Dopo il primo evento trombotico, è indicata la profilassi secon<strong>da</strong>ria con<br />
anticoagulanti orali. Due studi recenti hanno confermato che il sistema di<br />
monitoraggio della terapia basato sull’International Normalized Ratio (INR)<br />
è valido anche per i pazienti con LA (12,13) .<br />
27
28<br />
Aspetti clinici particolari<br />
Si raccoman<strong>da</strong>, però, attenzione nell’uso di alcune tromboplastine ricombinanti<br />
(Innovin e Thromborel R) che hanno prodotto significative sovrastime<br />
dell’INR. La durata e l’intensità del trattamento anticoagulante orale in questi<br />
pazienti non sono chiaramente stabiliti. Derksen et al. (14) hanno riportato<br />
che la probabilità di non avere ricorrenze di trombosi in un periodo di otto<br />
anni era 100% nei pazienti trattati con anticoagulanti orali con INR tra 2.5 e<br />
4.0 contro 22% tra i pazienti che avevano sospeso la warfarina. Rosove et<br />
al. (15) hanno osservato in 70 pazienti che la terapia anticoagulante orale ad<br />
alta intensità (PT INR >3) conferiva una migliore protezione antitrombotica<br />
(0 eventi per anno) rispetto a quella ad intensità intermedia (INR 2-2.9; 7%<br />
eventi per anno), bassa (INR3), con o senza aspirina, è stato significativamente più efficace che il<br />
trattamento con warfarina a bassa intensità (INR3.0). Peraltro, diversi Autori<br />
hanno sollevato serie preoccupazioni circa il rischio di raccoman<strong>da</strong>re tale<br />
terapia sulla base solo di studi retrospettivi e non randomizzati (17-19) .<br />
Emorragie cerebrali fatali sono possibili in corso di terapia anticoagulante<br />
orale e la probabilità cumulativa di sanguinamenti gravi aumenta sia con la<br />
durata che con l’intensità del trattamento. Inoltre, in studi più recenti, anche<br />
se su casistiche più limitate, il trattamento ad intensità convenzionale (PT<br />
INR 2.0–3.0) è risultato efficace, soprattutto nella prevenzione del tromboembolismo<br />
venoso (20-24) .<br />
Pertanto, il rischio-beneficio della terapia anticoagulante orale ad alte dosi<br />
e a lungo termine in questi pazienti è ancora incerto e richiede studi prospettici<br />
e controllati prima che venga raccoman<strong>da</strong>ta.<br />
Uno studio clinico controllato multicentrico in grado di <strong>da</strong>re una risposta a<br />
questo problema si è recentemente concluso e i <strong>da</strong>ti dovrebbero essere<br />
disponibili entro l’anno 2002 (studio WAPS, Warfarin in AntiPhospholipid<br />
Syndrome) (25) . Nel frattempo, la decisione sulla durata e l’intensità della<br />
profilassi con anticoagulanti orali deve essere presa su base individuale<br />
tenendo in considerazione i fattori di rischio trombotico e quelli di complicanze<br />
emorragiche del singolo paziente. Le raccoman<strong>da</strong>zioni suggerite<br />
<strong>da</strong>lla British Society of Haematology a questo proposito sono riassunte<br />
nella Tabella 3 (26) .<br />
Due complicanze particolarmente gravi della sindrome <strong>da</strong> aPL meritano di<br />
essere segnalate a parte. La prima è la rara “catastrophic antiphospholipid<br />
syndrome” (27) , caratterizzata <strong>da</strong> una microangiopatia trombotica multidistrettuale,<br />
che si associa ad insufficienza cardiaca e respiratoria ed una<br />
mortalità di circa il 50%. Circa il 30% dei pazienti presenta anche evidenza<br />
di coagulazione intravascolare disseminata.<br />
La patogenesi di questa complicanza è incerta, mentre sono noti alcuni fattori<br />
scatenanti fra i quali, infezioni, traumi chirurgici, farmaci o la sospensione<br />
del trattamento anticoagulante.
Il trattamento che ha dimostrato finora la maggiore efficacia è la plasmaferesi,<br />
avvicinando questa condizione clinica alla porpora trombotica trombocitopenica.<br />
Altre terapie che hanno dimostrato un beneficio parziale includono<br />
gli steroidi ad alte dosi, le immunoglobuline e.v. e la ciclofosfamide.<br />
Un’altra severa manifestazione clinica associata alla sindrome <strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong><br />
<strong>antifosfolipidi</strong> è l’ipertensione polmonare secon<strong>da</strong>ria a tromboembolismo<br />
polmonare ricorrente (28) .<br />
La profilassi secon<strong>da</strong>ria con anticoagulanti orali è obbligatoria ma non è<br />
sempre in grado di frenare l’evoluzione peggiorativa della sindrome che<br />
può portare ad una grave insufficienza congestizia del cuore destro.<br />
In questi casi, l’intervento di tromboendoarteriectomia può essere indicato (29) .<br />
In due nostri pazienti, la rimozione chirurgica dei trombi ostruenti l’arteria<br />
polmonare ha portato ad un significativo miglioramento delle condizioni cliniche<br />
e dei parametri strumentali.<br />
In conclusione, la sindrome <strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> può presentarsi con<br />
una vasta gamma di manifestazioni cliniche e di laboratorio, che vanno<br />
<strong>da</strong>lla diagnosi di portatore asintomatico degli <strong>anticorpi</strong> ad emergenze cliniche<br />
e rianimatorie potenzialmente catastrofiche.<br />
Questa eterogeneità di espressione sottolinea l’importanza di un approccio<br />
multidisciplinare ed articolato alla malattia ed al suo trattamento.<br />
Evento Durata Range terapeutico (PT INR)<br />
Prima trombosi venosa 6 mesi* 2.0 – 3.0<br />
Prima trombosi arteriosa Indefinita 2.0 – 3.0<br />
(ictus ischemico)<br />
Trombosi recidivante Indefinita 3.0 – 4.5 **<br />
* Da prolungare a giudizio clinico sulla base del rischio trombotico ed emorragico del singolo<br />
paziente (vedi testo)<br />
** Se la recidiva è avvenuta con PT INR tra 2.0 e 3.0<br />
(<strong>da</strong> Greaves M et al. Br J Haematol 2000; 109: 704-15)<br />
Tabella 3. Raccoman<strong>da</strong>zioni della British Society of Haematology<br />
per il trattamento con anticoagulanti orali dei pazienti con <strong>Sindrome</strong><br />
<strong>da</strong> Anticorpi Antifosfolipidi e trombosi.<br />
29
30<br />
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Corrispondenza: Dr. Guido Finazzi<br />
Unità Semplice Emostasi e Trombosi, Unità Operativa Ematologia,<br />
Ospe<strong>da</strong>li Riuniti, Largo Barozzi 1, 24128 Bergamo, Italy.<br />
Tel 035 269492. Fax: 035 266667.<br />
E-mail: gfinazzi@ospe<strong>da</strong>liriuniti.bergamo.it
Aspetti clinico-terapeutici delle<br />
complicanze ostetriche<br />
Tincani A., Taglietti M., Biasini Rebaioli C., Frassi M., Gorla R., Balestrieri G.,<br />
Meroni P.L.*, Motta M. # , Zatti S, Lojacono A.°, Faden D.°<br />
Servizio di Reumatologia, Allergologia e Immunologia Clinica;<br />
# Divisione di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale;<br />
° Divisione di Ostetricia e Ginecologia, Spe<strong>da</strong>li Civili di Brescia;<br />
* Unità di Allergologia e Immunologia Clinica,<br />
Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Milano,<br />
IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Milano.<br />
33
34<br />
Introduzione<br />
Storicamente la prima descrizione di <strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> Antifosfolipidi (APS)<br />
risale a più di 20 anni fa, quando fu segnalata la positività del Lupus<br />
Anticoagulant (LA) in pazienti con episodi trombotici e ripetute perdite<br />
fetali nel periodo centrale della gravi<strong>da</strong>nza (1) .<br />
Dagli anni ’80 a oggi sono state approntate varie metodiche per lo studio<br />
dei così detti <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> (aPL) basate su metodi ELISA e non<br />
funzionali come il LA: il test per anticardiolipina (aCL) (2) , per anti-ß 2 glicoproteina<br />
1 (anti-ß 2 GP1) (3) , per anti-protrombina (aPT) (4) ed altri ancora.<br />
Il test per gli <strong>anticorpi</strong> anticardiolipina con le sue caratteristiche di metodo<br />
a largo impiego ha svolto una funzione “trainante” rendendo possibile studi<br />
epidemiologici numericamente significativi. Attraverso questi studi è stato<br />
possibile identificare la sindrome, che comprendeva nei criteri clinici la<br />
patologia ostetrica fino <strong>da</strong>lla sua prima descrizione (5) .<br />
In questi 20 anni, le numerose osservazioni raccolte, gli studi clinici, i protocolli<br />
applicati hanno portato al concetto moderno che gli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong><br />
rappresentino una causa curabile di aborto o di perdita fetale (6) .
Antifosfolipidi e Patologia Ostetrica<br />
I <strong>da</strong>ti della letteratura sono oggi concordi nel ritenere che la presenza di<br />
aPL, comunque determinati, sia associata a patologia ostetrica.<br />
In effetti, sin <strong>da</strong>lla sua prima identificazione il LA è stato descritto come un<br />
prolungamento dei test di coagulazione fosfolipido-dipendenti in pazienti<br />
con storia di ripetuti aborti del 2° trimestre di gravi<strong>da</strong>nza, associato o meno<br />
a fatti trombotici, spesso nell’ambito di malattie sistemiche come il lupus eritematoso<br />
sistemico (<strong>da</strong> cui il nome “lupus anticoagulant”, LA) (7-8) .<br />
D’altra parte, negli anni ’80, l’introduzione del test aCL (2) ha confermato<br />
come altamente significativa l’associazione con la patologia abortiva, sia<br />
nell’ambito della malattia lupica che in donne altrimenti sane (aborto idiopatico)<br />
(9-10) . Per questo motivo la presenza di aPL, in<strong>da</strong>gati con il LA e/o con<br />
gli aCL, in donne con taluni problemi ostetrici (più di 3 aborti, o morte<br />
endouterina del feto, o parti pretermine, accompagnati <strong>da</strong> preeclampsia o<br />
severa insufficienza placentare) è an<strong>da</strong>ta configurando una popolazione di<br />
pazienti originariamente definite come “Lupus Ostetrico” (11) . Questa definizione<br />
è stata successivamente abbandonata, <strong>da</strong>l momento che la patologia<br />
ostetrica è considerata uno dei due criteri clinici per la diagnosi e la classificazione<br />
della <strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> Antifosfolipidi (12) .<br />
E’ di interesse che la presenza di aCL in donne affette <strong>da</strong> Lupus eritematoso<br />
sistemico si sia dimostrata un fattore di rischio significativo per incidenti<br />
ostetrici (9) e che d’altra parte sia risultata molto compromessa la prognosi<br />
riproduttiva (50% di insuccessi) di donne con riscontro di aCL e/o LAC al<br />
2° trimestre di gravi<strong>da</strong>nza, senza che le pazienti avessero precedenti<br />
anamnestici significativi (10) .<br />
Non è ancora oggi chiaro se i titoli, l’isotipo dell’anticorpo o la sua specificità<br />
siano influenti nel determinare il livello del rischio. Per quanto riguar<strong>da</strong><br />
il titolo dell’anticorpo è interessante notare come taluni trials controllati, tra<br />
quelli che hanno codificato il trattamento, inclu<strong>da</strong>no pazienti con bassi titoli<br />
di aCL (13) ; al contrario altri autori associano il rischio di insuccessi gravidici<br />
con l’isotipo IgG a titolo >20 unità GPL (o con LA positivo) (14) .<br />
Anche sul ruolo degli <strong>anticorpi</strong> anti-ß2GP1 nell’inquadrare le pazienti con<br />
problemi ostetrici i pareri non sono concordi. In effetti secondo taluni autori<br />
questo test non aggiungerebbe informazioni rispetto a quelle fornite <strong>da</strong>i test<br />
classici (aCL e LA) (15) mentre per altri il test avrebbe una specificità maggiore<br />
per taluni subset di patologia ostetrica (16) . Probabilmente queste<br />
discor<strong>da</strong>nze sono <strong>da</strong> imputarsi alla mancata stan<strong>da</strong>rdizzazione delle metodologie<br />
applicate per la determinazione degli <strong>anticorpi</strong> anti-ß2GP1. Modelli sperimentali: patogenesi della sindrome.<br />
Nonostante le numerose segnalazioni di associazione tra <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong><br />
e perdite fetali, la dimostrazione che gli <strong>anticorpi</strong> causino le perdite<br />
fetali si è avuta soltanto attraverso la osservazione dell’effetto che la presenza<br />
di aPL è in grado di esercitare sull’an<strong>da</strong>mento della gravi<strong>da</strong>nza in<br />
animali <strong>da</strong> esperimento.<br />
In effetti è stato rilevato che ceppi di animali lupus prone, caratterizzati<br />
<strong>da</strong>lla presenza di aCL (MRL/lpr), hanno un minor numero di nati vivi rispetto<br />
ad altri ceppi, pure lupus prone, ma senza aCL (NZB x W F1).<br />
D’altra parte, l’infusione di <strong>anticorpi</strong> in topi naive (BALB/c, ICR, CD1)<br />
durante la gravi<strong>da</strong>nza risulta in un’alta percentuale di riassorbimento fetale,<br />
equivalente a quello che nell’uomo si definisce aborto/morte endouterina<br />
del feto (17) .<br />
35
36<br />
Anche se genericamente il meccanismo patogenetico degli <strong>antifosfolipidi</strong><br />
viene ricondotto alla trombofilia, è risultato chiaro nel corso degli anni che i<br />
fenomeni trombotici non sono sufficienti a giustificare la particolare influenza<br />
di questi <strong>anticorpi</strong> sullo sviluppo della gravi<strong>da</strong>nza.<br />
E’ infatti ipotizzabile che gli <strong>anticorpi</strong> si leghino direttamente al trofoblasto,<br />
<strong>da</strong>l momento che:<br />
1) è stato dimostrato che alla sua superficie viene esposta, durante la sua<br />
differenziazione in sinciziotrofoblasto, la fosfatidilserina (18) e inoltre<br />
2) nelle placente di pazienti poliabortive con sindrome <strong>da</strong> <strong>antifosfolipidi</strong><br />
è stata rilevata <strong>da</strong> metodiche di immunoistochimica la presenza di<br />
ß2GP1 (19) .<br />
Pertanto il trofoblasto verrebbe ad assemblare i possibili bersagli degli <strong>anticorpi</strong><br />
circolanti. A conferma di questa ipotesi sta la dimostrazione che, in<br />
vitro, gli aPL sono in grado di legare cellule trofoblastiche e di modularne<br />
l’attività interferendo con la formazione del sinciziotrofoblasto, con la sintesi<br />
di gonadotropina corionica e con la capacità di invasione.<br />
In sintesi è stato dimostrato un possibile effetto degli <strong>anticorpi</strong> sullo sviluppo<br />
e l’impianto della placenta, giustificando <strong>da</strong> un lato un <strong>da</strong>nno non<br />
necessariamente legato a fenomeni trombotici e <strong>da</strong>ll’altro l’associazione<br />
tra aPL ed aborti precoci (20) .<br />
D’altra parte, recentemente è stato focalizzato anche il ruolo della annessina<br />
V o placental anti-coagulant protein I (PAP-I) nel mantenimento della<br />
integrità della placenta. La annessina V, fortemente espressa sulla superficie<br />
apicale dei microvilli del sinciziotrofoblasto (21, 22) , è dotata di una potente<br />
attività anticoagulante in quanto ha la capacità di legare le superfici di<br />
fosfolipidi a carica elettrica negativa, formando uno strato protettivo che<br />
impedisce l’avvio di reazioni coagulative.<br />
Nelle placente di pazienti con sindrome <strong>da</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> è stata riscontrata<br />
una diminuita quantità di annessina V a livello placentare. Inoltre in vitro è<br />
stato dimostrato che gli aPL, probabilmente complessati con ß2GP1, riducono<br />
il livello di annessina V di cellule trofoblastiche in coltura (23) .<br />
Questa potrebbe essere una secon<strong>da</strong> via patogenetica di <strong>da</strong>nno aPLmediato<br />
della gravi<strong>da</strong>nza, basata su fenomeni trombotici a livello delle<br />
strutture (trofoblasto e/o endotelio) che esprimono annessina V.<br />
La Clinica della Gravi<strong>da</strong>nza nelle Pazienti con la <strong>Sindrome</strong>.<br />
Molto è stato scritto riguardo al tipo di perdita gravidica associata agli aPL.<br />
In questo senso i criteri internazionali della conferenza di consenso tenutasi<br />
a Sapporo (Giappone) nel 1998 (12) , hanno permesso un accordo sulle manifestazioni<br />
<strong>da</strong> prendere in considerazione:<br />
1) una o più morti dopo la 10 settimana di gestazione di un feto altrimenti<br />
sano, e con normale morfologia;<br />
2) uno o più parti pretermine ( = 34 settimane) conseguenti a preeclampsia<br />
severa o insufficienza placentare;<br />
3) tre o più aborti spontanei prima della 10 settimana di gestazione,<br />
con escluse altre cause di aborto (genetiche, anatomiche, infettive,<br />
endocrine, anomalie placentari, etc.).<br />
I criteri di consenso hanno fatto chiarezza anche in termini di nomenclatura.<br />
In effetti i <strong>da</strong>ti talora discor<strong>da</strong>nti dei vari reports potrebbero essere dipesi<br />
anche <strong>da</strong>lla diversa nomenclatura applicata. Ad esempio alcuni gruppi fissavano<br />
la differenza tra aborti e morti del feto a 20 settimane mentre altri<br />
a 16 settimane di gestazione.
Tuttavia non è ancora chiaro se siano più tipiche della sindrome le perdite<br />
fetali (dopo la 10 settimana di gestazione), come sostenuto <strong>da</strong> un certo<br />
numero di autori tra quelli che ne hanno inizialmente disegnato il profilo (24-<br />
26) a , o le perdite preembrioniche/embrioniche (prima della 10 settimana di<br />
gestazione), come risulterebbe <strong>da</strong> altre più recenti segnalazioni (13) .<br />
Oltre agli aborti spontanei e alle perdite fetali del 2° e 3° trimestre, numerose<br />
complicanze ostetriche materno-fetali sono associate alla sindrome: la<br />
preeclampsia-HELLP, la insufficienza uteroplacentare, lo IUGR (intrauterine<br />
growth retar<strong>da</strong>tion) ed il parto pretermine (27) .<br />
In questo ambito, il rapporto tra aPL e preeclampsia è uno degli argomenti<br />
più dibattuti. Infatti numerosi studi hanno sottolineato come l’incidenza di<br />
preeclampsia sia particolarmente elevata in pazienti con classica <strong>Sindrome</strong><br />
<strong>da</strong> Antifosfolipidi, primaria o secon<strong>da</strong>ria (25, 28) .<br />
D’altra parte, anche nella popolazione ostetrica con preeclampsia è stata<br />
osservata una elevata frequenza di pazienti con <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> (29,<br />
30) (31) , anche se non in modo univoco .<br />
Peraltro, uno studio recente (32) , che esamina 317 pazienti gravide con un<br />
episodio di preeclampsia in una precedente gravi<strong>da</strong>nza e quindi ritenute a<br />
rischio di recidive, concludeva che <strong>anticorpi</strong> di classe IgG <strong>antifosfolipidi</strong><br />
non classici (anti-fosfatidilserina) erano associati con la preeclampsia severa,<br />
gli aCL di classe IgG erano associati con lo IUGR, ma entrambi i test<br />
avevano uno scarso valore predittivo per le citate complicazioni.<br />
In apparente contrasto con questo <strong>da</strong>to, abbiamo recentemente dimostrato<br />
una significativa associazione tra LA e preeclampsia in una casistica di 132<br />
gravi<strong>da</strong>nze seguite prospetticamente in 92 pazienti con lupus eritematoso<br />
sistemico, con un valore predittivo estremamente significativo (RR 9.2) (33) .<br />
D’altra parte, anche per quanto riguar<strong>da</strong> la frequenza dello IUGR o la predittività<br />
degli aPL verso questa complicazione si ricavano <strong>da</strong>lla analisi della<br />
letteratura voci contrastanti. In effetti lo IUGR è riportato con frequenze che<br />
variano <strong>da</strong>l 30 al 12% in una serie di studi che comunque concor<strong>da</strong>no<br />
almeno su un significativo aumento di prevalenza (27, 34, 35) , contrariamente ad<br />
altri che non la confermano affatto (29, 31) .<br />
I diversi risultati sulla associazione dei problemi ostetrici agli aPL possono<br />
trovare varie spiegazioni.<br />
Come sopra ricor<strong>da</strong>to, una certa responsabilità nel creare risultati discor<strong>da</strong>nti<br />
è probabilmente attribuibile alla non sempre rigorosa classificazione<br />
degli esiti sfavorevoli della gravi<strong>da</strong>nza. Inoltre in questa ottica è necessario<br />
non dimenticare un esame attento delle metodologie applicate <strong>da</strong>i singoli<br />
studi alla determinazione degli aPL.<br />
In effetti con questo nome si intende una famiglia di <strong>anticorpi</strong> eterogenei,<br />
identificabili con test diversi e con diversa specificità diagnostica per la<br />
<strong>Sindrome</strong>; pertanto i risultati ottenuti sulla stessa casistica con test diversi<br />
non sono sempre paragonabili.<br />
Dall’altro è utile ricor<strong>da</strong>re che i 50 anni trascorsi <strong>da</strong>lla introduzione del LA<br />
non ne hanno appianato completamente i problemi metodologici (36) , così<br />
come i 19 anni trascorsi <strong>da</strong>lla introduzione degli aCL non sono bastati a<br />
completarne il lavoro di stan<strong>da</strong>rdizzazione (37) . Pertanto risultati ottenuti in<br />
Centri diversi non sempre sono completamente sovrapponibili.<br />
Se comunque, come è generalmente accettato, nella APS si registra un<br />
aumento di complicanze ostetriche, la conseguenza logica dovrebbe essere<br />
un aumento dei parti pretermine. In effetti nelle casistiche di gravi<strong>da</strong>nze<br />
in pazienti con APS la frequenza del parto pretermine è stata stimata attorno<br />
al 30% (28) .<br />
37
38<br />
La terapia<br />
Fortunatamente però, la prematurità grave (prima della trentesima settimana)<br />
è oggi infrequente e comunque i mezzi e la capacità raggiunte nei<br />
reparti di terapia intensiva neonatale trasformano queste nascite pretermine<br />
in esiti globalmente favorevoli nella larga maggioranza dei casi.<br />
Infine non si può trascurare, tra i problemi clinici delle gravi<strong>da</strong>nze in pazienti<br />
con APS, la possibilità di un evento tromboembolico.<br />
Va al riguardo sottolineata la potenziale sinergia tra il rischio trombofilico<br />
proprio della gravi<strong>da</strong>nza e/o del puerperio e quello rappresentato <strong>da</strong>gli<br />
aPL.<br />
I primi tentativi terapeutici degli anni ’80 utilizzarono un trattamento steroideo<br />
a dosaggio immunosoppressivo associando aspirina a basse dosi<br />
come antiaggregante (38) .<br />
Benché questo trattamento si sia mostrato allora e anche in studi successivi<br />
(39) certamente efficace nel migliorare la prognosi fetale, uno studio controllato<br />
del 1992 (40) ha mostrato come altrettanto efficace fosse l’utilizzo di eparina<br />
a dosaggio profilattico (20.000 U), anche in questo caso in associazione<br />
a basse dosi di aspirina (81 mg), con il vantaggio non indifferente che il<br />
trattamento con eparina sembra indurre un minor numero di complicanze<br />
ostetriche (parto pretermine, ipertensione, etc.) (40-42) rispetto ai corticosteroidi.<br />
A partire <strong>da</strong> queste osservazioni il trattamento di pazienti gravide con APS<br />
è stato codificato come associazione di basse dosi di aspirina ed eparina<br />
<strong>da</strong>pprima non frazionata e poi a basso peso molecolare. In questo atteggiamento,<br />
comunque, ci sono ancora dei punti non uniformemente interpretati.<br />
Per esempio non è chiaro il timing dell’inserimento dell’eparina soprattutto<br />
per le pazienti in cui la sindrome è stata diagnosticata sulla base di<br />
trombosi anamnestiche e che sono quindi in trattamento con anticoagulanti<br />
orali. In effetti il problema si pone in quanto gli anticoagulanti orali sono<br />
teratogeni in un periodo tra la settima e la dodicesima settimana di gestazione<br />
e pertanto una conversione ad eparina in periodo preconcezionale<br />
viene considerata <strong>da</strong> taluni autori più sicura.<br />
D’altra parte, il periodo intercorrente prima del verificarsi del concepimento<br />
non è facilmente valutabile e può prolungarsi nel tempo, pertanto, se è già<br />
stata instaurata terapia eparinica, questo periodo può essere gravato <strong>da</strong><br />
effetti collaterali non trascurabili.<br />
Il ruolo preciso della aspirina a basso dosaggio è anche fino ad oggi<br />
discusso. In questo ambito è interessante considerare i risultati di 2 studi<br />
randomizzati relativamente recenti, che includevano solo pazienti poliabortive,<br />
escludendo quelle con malattia autoimmune e con precedenti trombosi.<br />
I due studi differivano tuttavia <strong>da</strong>l momento che in uno le pazienti<br />
mostravano la sola positività per aCL (essendo state escluse le donne gravide<br />
LA positive) (43) e nell’altro erano in larga maggioranza LA positive (13) .<br />
Entrambi questi trials attribuiscono maggiore efficacia al trattamento eparinico<br />
associato all’antiaggregante (acido acetilsalicilico a basso dosaggio:<br />
75-100 mg/die), rispetto a quello basato sul solo antiaggregante anche se<br />
in realtà Rai et al. (13) puntualizzano che il vantaggio della associazione con<br />
eparina si esaurisce alla tredicesima settimana di gestazione.<br />
Comunque, nonostante le differenze citate, entrambi questi 2 gruppi di<br />
lavoro dimostrano una percentuale di nati vivi nel braccio della sola aspirina<br />
intorno al 40%.
Conclusioni<br />
Questo <strong>da</strong>to è in stridente contrasto con il valore di sopravvivenza emerso<br />
<strong>da</strong> altri studi che riportano in pazienti con APS trattate in gravi<strong>da</strong>nza con la<br />
sola aspirina una percentuale di successi attorno all’80%. Infine un recente<br />
studio controllato dimostrerebbe un effetto della aspirina paragonabile al<br />
placebo (44) in una casistica di poliabortive genericamente positive ai test<br />
per aCL (senza cioè necessariamente includere solo le positività medio-alte,<br />
come suggerito <strong>da</strong>i criteri classificativi) in cui erano prevalenti gli aborti<br />
embrionici o pre-embrionici.<br />
In effetti, in questa casistica, anche le pazienti in placebo avevano un outcome<br />
ostetrico assolutamente favorevole (intorno all’80% di esiti favorevoli).<br />
È utile in questo contesto ricor<strong>da</strong>re che l’uso della aspirina ha un suo razionale<br />
riconducibile allo stimolo sulla produzione di IL-3 (45) . Infatti quest’ultima<br />
costituisce un fattore di crescita per il trofoblasto e, come tale, contribuisce<br />
al mantenimento di una gravi<strong>da</strong>nza normale (46) . I livelli sierici di IL-3 sono<br />
ridotti in donne gravide con APS (47) e, nel modello sperimentale, l’aggiunta<br />
di IL-3 esogena è stata in grado di abrogare completamente le complicanze<br />
ostetriche correlate agli aPL (48) . In contrasto con questi riscontri in vivo,<br />
stanno alcuni esperimenti in vitro, ove l’IL-3 non sembra in grado di impedire<br />
l’effetto degli aPL sul trofoblasto (49) .<br />
Un’altra fonte di dibattito è stata a lungo considerata l’impiego delle immunoglobuline<br />
umane endovena come trattamento profilattico della perdita<br />
della gravi<strong>da</strong>nza in pazienti con APS. Recentemente, tuttavia, uno studio<br />
controllato condotto su un numero significativo di pazienti ha dimostrato<br />
che il trattamento con immunoglobuline in vena aggiunto al trattamento<br />
classico con eparina aspirina non migliora la prognosi riproduttiva delle<br />
pazienti con APS (50) . Questo trattamento quindi sarebbe <strong>da</strong> riservare a<br />
pazienti in cui la terapia convenzionale sia fallita o a gravi<strong>da</strong>nze che necessitino<br />
di un trattamento complementare estemporaneo per superare problemi<br />
intercorrenti. In questi casi le immunoglobuline in vena potrebbero essere<br />
ragionevolmente impiegate anche senza che ci sia l’evidenza della loro<br />
reale efficacia.<br />
A queste indicazioni di “supporto” si aggiunge anche, ovviamente, quella<br />
della piastrinopenia, complicanza non rara nelle pazienti gravide con APS,<br />
e che trova un trattamento generalmente pronto ed efficace nell’uso delle<br />
immunoglobuline in vena.<br />
Infine, se l’atteggiamento condiviso per la profilassi della gravi<strong>da</strong>nza nelle<br />
pazienti con APS è basato sull’impiego di aspirina a basse dosi associata<br />
ad eparina, conviene non dimenticarne i possibili effetti collaterali.<br />
La concomitanza del trattamento eparinico con l’effetto della gravi<strong>da</strong>nza<br />
stessa può diventare un fattore di rischio non trascurabile per osteoporosi,<br />
soprattutto quando, per una concomitante patologia autoimmune, la<br />
paziente abbia assunto o assuma corticosteroidi.<br />
L’incidenza di osteoporosi associata all’uso di eparina in gravi<strong>da</strong>nza può<br />
assestarsi tra lo 0.2 (eparina a basso peso molecolare) e il 2% (eparina non<br />
frazionata) e per questo motivo è generalmente consigliata un’adeguata<br />
integrazione calcica (51) .<br />
La conoscenza della sindrome e l’applicazione di un trattamento ad personam<br />
(evidentemente evolutosi nel corso degli anni in seguito alle informazioni<br />
progressivamente acquisite), ha radicalmente mutato la prognosi ostetrica<br />
delle donne con APS.<br />
E’ comunque opinione condivisa che i risultati in questo ambito non siano<br />
esclusivamente legati ai trattamenti farmacologici applicati.<br />
39
40<br />
In effetti, senza togliere nulla ai benefici dei trattamenti applicati, è necessario<br />
ricor<strong>da</strong>re che in questo particolare settore è determinante una sorveglianza<br />
ostetrica attenta che, tramite le nuove metodologie diagnostiche (doppler-flussimetria)<br />
finalizzate a valutare il benessere del feto, stabilisca il<br />
momento più favorevole per espletare il parto.<br />
Questa politica aggressiva, unita ai progressi compiuti nel campo della neonatologia<br />
che permette buona sopravvivenza con ridotta incidenza di handicap<br />
a distanza anche in feti prematuri, è stata determinante nel cambiare<br />
radicalmente la prognosi ostetrica delle pazienti con la sindrome (fig. 1).<br />
AS<br />
MP<br />
INSUCCESSI<br />
91%<br />
NV<br />
MEU<br />
MEU NATI <strong>VI</strong><strong>VI</strong><br />
91 gravi<strong>da</strong>nze anamnestiche 92 gravi<strong>da</strong>nze dopo la diagnosi<br />
AS<br />
Figura 1. Esito della gravi<strong>da</strong>nza in 65 pazienti<br />
(Spe<strong>da</strong>li Civili di Brescia 1983-2002)<br />
SUCCESSI<br />
81%<br />
MEU=morti endouterina; AS=aborti spontanei; NV=nati vivi; MP=morti perinatali
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Corrispondenza:<br />
Dr.ssa Angela Tincani<br />
Servizio di Reumatologia, Allergologia, Immunologia Clinica,<br />
Spe<strong>da</strong>li Civili di Brescia<br />
P.le Spe<strong>da</strong>li Civili, 1 25123 BRESCIA<br />
Tel: 030-3996449; fax: 030-3995085;<br />
e-mail: tincani@bshosp.osp.unibs.it
Diagnosi di laboratorio<br />
degli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong>.<br />
45
46<br />
1. Anticoagulante tipo lupus:<br />
diagnosi di laboratorio<br />
Armando Tripodi<br />
Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi,<br />
Dipartimento di Medicina Interna,<br />
Università e IRCCS Ospe<strong>da</strong>le Maggiore, Milano.<br />
Introduzione<br />
Considerata l’impossibilità di identificare con un singolo test le diverse<br />
classi di anticoagulante tipo lupus (LA), il Comitato Scientifico e di<br />
Stan<strong>da</strong>rdizzazione (SSC) della Società Internazionale per l’Emostasi e<br />
Trombosi (ISTH), ha disegnato una strategia diagnostica basata su tre criteri<br />
(1) . Il primo prevede che uno (o più) dei test dipendenti <strong>da</strong>i fosfolipidi<br />
sia prolungato oltre i limiti della norma (test di screening).<br />
Bisogna poi dimostrare che il prolungamento sia effettivamente dovuto alla<br />
presenza di un anticoagulante circolante e non ad una carenza di uno (o<br />
più) dei fattori della coagulazione (test della miscela per il secondo criterio).<br />
Per soddisfare il terzo criterio bisogna provare che l’anticoagulante sia<br />
diretto contro i fosfolipidi, o complessi proteine-fosfolipidi e non contro i singoli<br />
fattori della coagulazione (test di conferma).
Test di screening<br />
Test della miscela<br />
Test di conferma<br />
In teoria, qualsiasi test dipendente <strong>da</strong>i fosfolipidi, che esplori globalmente,<br />
o in parte, la cascata coagulatoria potrebbe essere idoneo a svelare la presenza<br />
del LA. In pratica, il test più usato per ragioni storiche e di praticità<br />
è il tempo di tromboplastina parziale attivato (APTT). Tuttavia, nonostante la<br />
sua popolarità, l’APTT non è in generale idoneo allo screening dei pazienti<br />
con sospetto di LA, a causa della scarsa sensibilità, che dipende essenzialmente<br />
<strong>da</strong>l tipo e concentrazione dei fosfolipidi (2) . Test più sensibili sono<br />
il tempo di coagulazione al caolino (KCT) (3) e il test al veleno di Vipera<br />
Russell diluito (dRVVT) (4) . Il primo è un test globale della coagulazione,<br />
che ha dimostrato una elevata sensibilità, dovuta probabilmente al fatto<br />
che nella sua formulazione i fosfolipidi sono (quasi) assenti, rendendo la<br />
presenza del LA molto più evidente anche quando esso è presente a<br />
basso titolo. Gli svantaggi del KCT sono la necessità di eseguirlo con<br />
tecnica manuale, i tempi di coagulazione piuttosto lunghi e la variabilità<br />
dei risultati, che impongono una rigi<strong>da</strong> stan<strong>da</strong>rdizzazione ed una accurata<br />
definizione del range di normalità.<br />
Il dRVVT è anch’esso un test globale dipendente <strong>da</strong>i fosfolipidi, che esplora<br />
la porzione di cascata coagulatoria a valle del fattore X attivato. La sua<br />
semplicità di esecuzione,anche con strumenti automatici e la sua buona<br />
sensibilità, ne hanno favorito la rapi<strong>da</strong> diffusione in tutti i laboratori. Anche il<br />
tempo di protrombina (PT), se eseguito con tromboplastina opportunamente<br />
diluita, si può considerare per la diagnostica del LA (5) . Come per l’APTT<br />
anche per il PT i risultati dipendono in larga misura <strong>da</strong>lla tromboplastina<br />
adoperata. Risultati soddisfacenti sono stati segnalati con l’uso di tromboplastine<br />
ricombinanti (6) .<br />
Si esegue con uno qualunque dei test di screening precedentemente<br />
esaminati e consiste nella ripetizione del test su una miscela plasma<br />
paziente/plasma normale. La persistenza del prolungamento del tempo di<br />
coagulazione eseguito sulla miscela (mancata correzione), suggerisce la<br />
presenza di un anticoagulante circolante.<br />
Il test della miscela deve essere molto ben stan<strong>da</strong>rdizzato ed i risultati<br />
devovo essere interpretati secondo criteri ben precisi. Di solito il test sulla<br />
miscela, in parti uguali (plasma paziente/plasma normale), è eseguito senza<br />
incubazione. Titoli di anticorpo molto bassi potrebbero richiedere miscele<br />
più ricche in plasma paziente ed alcuni <strong>anticorpi</strong> tempo-dipendenti potrebbero<br />
richiedere una incubazione a 37°C. Non esistono criteri ben definiti<br />
per giudicare in maniera univoca se la miscela “corregge”.<br />
Un criterio semplice potrebbe essere quello di giudicare “corrette” quelle<br />
miscele i cui tempi di coagulazione rientrino nei limiti della norma stabiliti<br />
per quel test, in quel laboratorio.<br />
Sono basati sull’incremento, o la diminuzione della concentrazione dei<br />
fosfolipidi, o sull’uso di fosfolipidi a conformazione particolare. Il tempo di<br />
coagulazione di un test dipendente <strong>da</strong>i fosfolipidi, prolungato per la presenza<br />
del LA, si accorcia sensibilmente fino a correggere quasi completamente<br />
il difetto, se ripetuto aumentando la concentrazione dei fosfolipidi.<br />
Alternativamante, il test si prolungherà se viene diminuita la concentrazione<br />
dei fosfolipidi. Esistono numerosi test di conferma, almeno tanti quanti sono<br />
i test di screening, ed esistono diverse fonti possibili di fosfolipidi.<br />
47
48<br />
Fra i test di conferma piu’ usati ricordiamo l’APTT con aggiunta di lisato piastrinico<br />
quale fonte di fosfolipidi (5) . Esso è di semplice esecuzione, più<br />
complessa è però la preparazione delle piastrine lisate, ottenute per<br />
lavaggio e ripetuti congelamenti/scongelamenti di un plasma ricco in piastrine.<br />
I risultati dipendono <strong>da</strong>lla preparazione della piastrine e vi possono<br />
essere notevoli differenze fra una preparazione e la successiva. Il test di<br />
conferma può anche essere eseguito con il dRVVT con aggiunta di fosfolipidi<br />
concentrati.<br />
Esistono dei kit commerciali che consentono di eseguire in maniera integrata<br />
l’iter diagnostico di screening e conferma, avendo tutto il materiale<br />
necessario già pronto. L’uso di silice micronizzata in combinazione con<br />
fosfolipidi a bassa concentrazione può essere un buon sostituto del KCT<br />
nella procedura di screening (7) . La ripetizione del test con fosfolipidi a più<br />
alta concentrazione consente di disporre di un test di conferma facilmente<br />
automatizzabile e di semplice esecuzione (8). La Textarina, veleno di rettile<br />
capace di attivare la protrombina in presenza di fattore V e fosfolipidi può<br />
essere usata per disegnare un test di screening per il LA. La ripetizione<br />
della procedura con Ecarina, altro veleno di rettile, che attiva la protrombina<br />
senza fattore V e fosfolipidi, consente di disporre di un test di conferma<br />
basato sul rapporto Textarina/Ecarina (9). Infine, fra le procedure di conferma<br />
bisogna ricor<strong>da</strong>re l’APTT eseguito mediante fosfolipidi a conformazione<br />
esagonale (10) per il quale esiste anche un kit commerciale. La conformazione<br />
esagonale renderebbe i fosfolipidi più disponibili a legare il LA che verrebbe,<br />
pertanto, riconosciuto con una maggiore specificità. Tutte queste<br />
procedure, non hanno tuttavia risolto definitivamente il problema della specificità.<br />
False positività in plasmi con inibitori diretti contro il fattore V o <strong>VI</strong>II,<br />
o in presenza di eparina, si possono occasionalmente riscontrare anche<br />
con l’uso di questi test. La storia clinica del paziente, che dovrà sempre<br />
di necessità accompagnare la provetta in laboratorio, aiuterà a risolvere<br />
eventuali dubbi.<br />
L’influenza della fase preanalitica e la sua stan<strong>da</strong>rdizzazione<br />
Se è vero che nessuno dei test di screening e di conferma può in assoluto<br />
garantire il successo nella diagnosi di laboratorio per il LA, è però altrettanto<br />
vero che qualunque dei test sopra menzionati ha buone probabilità di successo<br />
se eseguito su un plasma raccolto tenendo presente alcune precauzioni.<br />
Contaminazione <strong>da</strong> eparina. Un test prolungato, il cui plasma è stato raccolto<br />
al di fuori della responsabilità diretta del Centro che esegue le in<strong>da</strong>gini di<br />
laboratorio, dovrebbe essere considerato con sospetto e prima di intraprendere<br />
lunghe e costose procedure analitiche (test di miscela, test di conferma), è<br />
opportuno eseguire almeno un tempo di trombina per escludere la presenza<br />
di eparina.<br />
Residuo piastrinico. Poiché il LA è diretto contro i fosfolipidi (o complessi proteine-fosfolipidi),<br />
la presenza nel plasma di piastrine residue può, mascherando<br />
quegli <strong>anticorpi</strong> a basso titolo, ridurre la capacità diagnostica dei test di<br />
screening (11) e di conferma (12) . L’effetto può essere marcato soprattutto nei<br />
campioni di plasma che saranno conservati congelati prima della esecuzione<br />
dei test. Il congelamento e lo scongelamento facilitano la frammentazione piastrinica,<br />
con esposizione dei fosfolipidi di membrana. La doppia centrifugazione<br />
è in genere sufficiente a rimuovere la maggior parte delle piastrine. La filtrazione<br />
del plasma attraverso filtri di a<strong>da</strong>tta porosità (0.22 µm), assicura l’eliminazione<br />
di tutte le piastrine. Quando possibile, è consigliabile di eseguire i test<br />
su plasma fresco.
Plasma normale. Particolare cura deve essere posta nella scelta del plasma<br />
normale <strong>da</strong> usare per il test della miscela. Esso deve avere un contenuto normale<br />
per tutti i fattori della coagulazione e non deve contenere piastrine residue,<br />
o loro frammenti . Non tutti i plasmi liofilizzati commerciali soddisfano<br />
questi requisiti. Un pool di plasmi normali preparato in casa, filtrato, congelato<br />
rapi<strong>da</strong>mente e conservato a -70° C può essere una alternativa efficace e<br />
a basso costo.<br />
Diagnosi di laboratorio nei pazienti anticoagulati<br />
Un problema di rilevanza pratica è costituito <strong>da</strong>i pazienti il cui plasma giunge<br />
all’osservazione del laboratorio quando essi sono già stati trattati con eparina<br />
(trattamento dell’evento acuto), o con anticoagulanti orali (prevenzione secon<strong>da</strong>ria<br />
del tromboembolismo). In tali condizioni il tempo di coagulazione di tutti<br />
i test dipendenti <strong>da</strong>i fosfolipidi è più o meno prolungato, rendendo di fatto<br />
problematica l’interpretazione dei risultati dei test di miscela e di conferma.<br />
Sebbene la diagnosi di laboratorio possa essere più como<strong>da</strong>mente effettuata<br />
alla fine delle terapia, vi possono essere delle ragioni per richiedere una in<strong>da</strong>gine<br />
di laboratorio anche in corso di terapia. Gli approcci che si possono<br />
seguire saranno diversi a secon<strong>da</strong> che la terapia sia eparinica, o anticoagulante<br />
orale.<br />
Terapia eparinica. Quello che si può fare è tentare di neutralizzare l’eparina<br />
mediante aggiunta di sostanze anti-epariniche, quali il polibrene o l’eparinasi.<br />
Scegliendo con cura le proporzioni plasma/inibitore, mediante esperimenti<br />
eseguiti con i propri metodi e reagenti, è possibile identificare le condizioni<br />
ottimali per neutralizzare l’eparina senza alterare i risultati del test.<br />
E’ però richiesta una notevole perizia nel maneggiare questi reagenti, soprattutto<br />
il polibrene. Una alternativa apparentemente più praticabile è la neutralizzazione<br />
dell’eparina mediante una resina (Ecteola), che mescolata al plasma,<br />
dopo incubazione è capace di adsorbire quantitativamente l’eparina,<br />
lasciando il plasma supernatante apparentemente inalterato. Per informazioni<br />
più dettagliate sull’uso dell’Ecteola si può consultare la letteratura (13) .<br />
Anticoagulanti orali. Nel caso che il paziente sia anticoagulato con dicumarolici,<br />
il problema può essere affrontato in due modi. Il primo è l’esecuzione dei<br />
test previa miscela del plasma paziente con una aliquota equivalente di plasma<br />
normale. Il plasma normale dovrebbe correggere interamente il difetto<br />
indotto <strong>da</strong>i dicumarolici e, pertanto, sulla miscela si può successivamente<br />
eseguire la comune diagnostica per il LA.<br />
Un’alternativa vali<strong>da</strong> è quella di eseguire direttamente un test di conferma a<br />
due diverse concentrazioni di fosfolipidi, senza correggere preventivamente il<br />
difetto coagulatorio indotto <strong>da</strong>i dicumarolici. Anche se i tempi di coagulazione<br />
di base sono prolungati, l’entità della correzione dopo aggiunta di fosfolipidi<br />
concentrati consente di effettuare la diagnosi con modeste interferenze.<br />
Recentemente, abbiamo avuto modo di vali<strong>da</strong>re questa strategia. Plasmi <strong>da</strong><br />
pazienti in terapia anticoagulante e positivi per LA, raccolti in diversi centri italiani,<br />
sono stati sottoposti alla diagnostica centralizzata presso il nostro laboratorio<br />
mediante due procedure di conferma basati sull’SCT (7) ed il dRVVT a<br />
due diverse concentrazioni di fosfolipidi, senza aggiunta di plasma normale.<br />
I risultati sono stati paragonati con quelli ottenuti con l’APTT con fosfolipidi<br />
esagonali e aggiunta di plasma normale (Staclot LA, Stago, Asnieres,<br />
Francia), <strong>da</strong> noi considerato come stan<strong>da</strong>rd d’oro, proprio per la presenza<br />
del plasma normale. La sensibilità e specificità dell’SCT e dRVVT, <strong>da</strong><br />
noi disegnati, rispetto allo Staclot LA è risultata molto vicina, o superiore<br />
al <strong>90</strong>% (14). L’SCT e il dRVVT hanno rispetto allo Staclot LA il vantaggio<br />
di un costo nettamente inferiore e la possibilità di essere eseguibili con<br />
qualsiasi tipo di coagulometro.<br />
49
50<br />
Considerazioni conclusive<br />
Una alternativa ulteriore nella diagnostica del LA nei pazienti anticoagulati<br />
potrebbe essere costituita <strong>da</strong>l test ecarina/textarina (9), ma la sua validità<br />
resta ancora <strong>da</strong> dimostrare.<br />
Nessuna strategia diagnostica per quanto elaborata assicura il successo<br />
nella totalità dei casi. Un solo test potrebbe non essere adeguato in tutti i<br />
casi. D’altro canto, molti test renderebbero difficile l’interpretazione e non<br />
giustificherebbero i costi. La responsabilità della scelta della strategia diagnostica<br />
più adeguata spetta al laboratorio, noi possiamo suggerire le<br />
seguenti regole.<br />
1. Selezione accurata dei pazienti, riservando l’in<strong>da</strong>gine di laboratorio<br />
ai casi con pregressa storia. Questo si realizza curando i rapporti fra<br />
laboratorio e medici prescrittori dei test, specialmente gli specialisti<br />
d’organo (ematologi, angiologi, ginecologi, immunologi clinici, internisti,<br />
ecc.), che sono fra i maggiori fruitori della diagnostica per il LA.<br />
2. Esecuzione del prelievo sotto la diretta responsabilità del laboratorio,<br />
o concor<strong>da</strong>ndone le mo<strong>da</strong>lità.<br />
3. Preparazione del plasma secondo le indicazioni di cui sopra, specialmente<br />
se esso sarà congelato per in<strong>da</strong>gini future.<br />
4. Esecuzione di almeno due test di screening scelti fra KCT (o test equivalente)<br />
e dRVVT. L’APTT, a meno di certezze sulla sua sensibilità,<br />
dovrebbe essere eseguito insieme, non in alternativa ai primi due.<br />
5. Esclusione che il test di screening sia prolungato per la presenza di<br />
eparina.<br />
6. Esecuzione del test della miscela, ponendo cura nella scelta del plasma<br />
normale e nei criteri di interpretazione.<br />
7. Esecuzione del test di conferma. E’ buona norma che questo sia scelto<br />
sulla base del test di screening.<br />
8. Per una corretta interpretazione dei risultati dei test della miscela e di<br />
conferma, è opportuno acquisire esperienza mediante prove simulate<br />
con plasmi test sicuramente negativi e positivi per LA, o altri inibitori<br />
confondenti (es. inibitori contro il fattore <strong>VI</strong>II).<br />
9. Misura del titolo degli <strong>anticorpi</strong> in fase soli<strong>da</strong> (anticardiolipina). La misura<br />
degli <strong>anticorpi</strong> in fase soli<strong>da</strong> non è <strong>da</strong> considerarsi alternativa, ma complementare<br />
alla ricerca del LA. La positività per LA e anticardiolipina<br />
non è necessariamente coesistente in tutti i pazienti.<br />
10.In caso di positività, è necessario riconfermare la diagnosi a distanza<br />
di 3-4 mesi, soprattutto là dove essa è stata riscontrata occasionalmente<br />
(screening pre-chirurgico). Uno dei criteri diagnostici per la sindrome <strong>da</strong><br />
<strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> è la persistenza degli <strong>anticorpi</strong>. Talvolta gli <strong>anticorpi</strong><br />
<strong>antifosfolipidi</strong> insorgono in seguito a infezioni virali o batteriche, o in<br />
seguito all’assunzione di farmaci e non hanno di solito rilevanza clinica.<br />
Un caso esemplare di <strong>anticorpi</strong> transitori senza storia clinica di trombosi<br />
è costituito <strong>da</strong>i pazienti in età pediatrica, che vengono trovati positivi al<br />
LA in occasione dello screening pre-chirurgico che precede la tonsillectomia.<br />
Gli <strong>anticorpi</strong> spariscono invariabilmente dopo la rimozione<br />
della causa.
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51
52<br />
14. Tripodi A, Chantarangkul V, Clerici M, Mannucci PM. Laboratory<br />
diagnosis of lupus anticoagulants for patients on oral anticoagulant<br />
treatment. Performance of dilute Russell viper venom test and silica clotting<br />
time in comparison to Staclot-LA ® . Submitted<br />
Corrispondenza:<br />
A. Tripodi<br />
Via Pace, 9 - 20122 Milano<br />
Tel.: 02 55035437 - FAX: 02 5516093<br />
e-mail: armando.tripodi@unimi.it
2. Anticorpi anticardiolipina:<br />
diagnosi di laboratorio<br />
Angela Tincani*, Massimo Cinquini*, Michela Spunghi*, Flavio Allegri*,<br />
Genesio Balestrieri*, Pierluigi Meroni°<br />
* Reumatologia, Allergologia e Immunologia Clinica, Spe<strong>da</strong>li Civili di Brescia<br />
° Allergologia e Immunologia Clinica, Istituto Auxologico Milano<br />
Introduzione<br />
Gli <strong>anticorpi</strong> anticardiolipina (aCL) costituiscono uno dei due criteri laboratoristici<br />
per la diagnosi di <strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> Antifosfolipidi (APS) (1) , che è caratterizzata,<br />
come è noto, <strong>da</strong>ll’associazione di trombosi artero-venose, patologia<br />
gravidica e <strong>anticorpi</strong> anti fosfolipidi (aPL) (2,3) .<br />
La frequenza della APS, sia primaria che secon<strong>da</strong>ria ad altre malattie<br />
autoimmuni sistemiche, giustifica ampiamente la diffusione dei test per la<br />
ricerca di aPL (4) .<br />
53
54<br />
Le indicazioni cliniche del test per aCL<br />
Dal momento che gli <strong>anticorpi</strong> anticardiolipina configurano un criterio classificativo<br />
per la <strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> Antifosfolipidi, devono essere ricercati in tutti<br />
i pazienti con sintomi suggestivi per questa patologia.<br />
Per la identificazione di questi sintomi ci si deve rifare ad analisi epidemiologiche<br />
sufficientemente ampie <strong>da</strong> far emergere le caratteristiche cliniche<br />
significativamente associate alla presenza di aPL, sia in pazienti con malat-<br />
tia autoimmune sistemica che in soggetti senza altra patologia<br />
E’ interessante notare come l’analisi di due coorti, diverse per criteri di<br />
inclusione e pubblicate a 9 anni di distanza, evidenzi una sostanziale concor<strong>da</strong>nza<br />
nelle manifestazioni cliniche correlate agli aPL, sia pure con una<br />
incidenza specifica diversa (Tabella 1).<br />
Alla luce di quanto detto, le indicazioni cliniche alla ricerca di aCL sono<br />
quindi sintetizzabili nelle condizioni sottoelencate:<br />
• in caso di presenza di uno o più dei sintomi elencati in tabella 1, per<br />
cui è stata dimostrata una associazione significativa con gli aPL, in<br />
particolare in tutti i soggetti con evento trombotico non riconducibile<br />
a causa nota e nelle donne con abortività idiopatica;<br />
• in tutti i pazienti con lupus eritematoso sistemico, nel contesto del quale,<br />
tra l’altro, la presenza di aPL costituisce un criterio classificativo (6) ;<br />
• in donne con malattie autoimmuni sistemiche che programmino una<br />
gravi<strong>da</strong>nza o prima di una terapia con estroprogestinici, considerato<br />
che, <strong>da</strong> un lato, la presenza di aPL dovrebbe condizionare una particolare<br />
politica nella gestione della gravi<strong>da</strong>nza e, <strong>da</strong>ll’altro, che il potenziale<br />
rischio tromboembolico di un trattamento estroprogestinico andrebbe a<br />
sommarsi a quello della presenza di <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> (7, 8) ;<br />
• in soggetti con malattia autoimmune che presentino familiarità per fatti<br />
tromboembolici (9) .<br />
manifestazioni cliniche associate frequenza delle manifestazioni<br />
agli aPL in 667 pazienti con LES (5) cliniche alla diagnosi (4)<br />
perdite fetali ricorrenti 17% perdite fetali 8.3%<br />
trombosi venose 76% trombosi venosa profon<strong>da</strong> 31.7%<br />
trombosi venosa superficiale 9.1%<br />
embolia polmonare 9%<br />
trombosi arteriose 3% ictus 13.1%<br />
attacchi ischemici transitori 7%<br />
infarto miocardico 3.4%<br />
epilessia 2.8%<br />
amaurosi fugace 2.8%<br />
ulcere arti inferiori 3% ulcere cutanee 3.9%<br />
livaedo reticularis 30% livaedo reticularis 20.4%<br />
lesioni pseudovasculitiche 2.6%<br />
gangrena digitale 1.9%<br />
anemia emolitica 9% anemia emolitica 6.6%<br />
piastrinopenia 20% piastrinopenia 21.9%<br />
ipertensione polmonare 2%<br />
mielite traversa 1%<br />
Tabella 1.<br />
(4, 5).
Anti cardiolipina: perché nel 2002?<br />
Il test degli <strong>anticorpi</strong> anti cardiolipina è a tutt’oggi probabilmente il mezzo<br />
più usato per la diagnosi di <strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> Antifosfolipidi. Le ragioni della sua<br />
fortuna risiedono in motivazioni sia storiche che concettuali.<br />
In effetti, il ruolo della falsa positività della reazione di Wassermann (che utilizza<br />
la cardiolipina come substrato) in pazienti con malattie autoimmuni<br />
sistemiche in stadio clinico o preclinico (10) talvolta associata al LAC (11) è<br />
noto <strong>da</strong>gli anni ’50. E, d’altra parte, il fenomeno del LAC è stato definito<br />
come un allungamento dei tempi di coagulazione fosfolipide dipendente,<br />
dovuto ad <strong>anticorpi</strong> diretti contro fosfolipidi a carica negativa, quale appunto<br />
la cardiolipina (così chiamata perchè originariamente estratta <strong>da</strong>l muscolo<br />
cardiaco bovino) (12, 13) . Su queste basi nel 1983 fu concepito un nuovo<br />
test in fase soli<strong>da</strong>, <strong>da</strong>pprima radioimmunologico (14) , poi immunoenzimatico<br />
(15) per la rilevazione degli aCL. La applicazione dell’ELISA aCL su vaste<br />
casistiche, consentì di definire la APS così come la conosciamo oggi (2) ,<br />
dimostrando, nei fatti, la validità di questo test.<br />
Nel 19<strong>90</strong> venne fornita la dimostrazione (16-18) , che <strong>anticorpi</strong> così detti “anticardiolipina”,<br />
erano in realtà in larga maggioranza diretti contro un cofattore plasmatico<br />
che lega la CL e i fosfolipidi a carica elettrica negativa: la ß2-glicoproteina<br />
1 (ß 2 GP1). Si può pertanto paradossalmente affermare che il test<br />
degli <strong>anticorpi</strong> anticardiolipina risulta essere basato su un equivoco. Questa<br />
scoperta consentì di interpretare quello che era già risultato chiaro <strong>da</strong>l primo<br />
workshop collaborativo per la stan<strong>da</strong>rdizzazione della metodica e cioè che il<br />
test risultava più stabile ed efficiente se veniva aggiunto ai tamponi di reazione<br />
siero bovino, che in effetti, a posteriori, risultò essere fonte di ß 2 GP1 (19) .<br />
La qualità più interessante del test aCL ELISA classico è quella di essere in<br />
grado di rilevare, almeno in via teorica, diverse popolazioni anticorpali che<br />
potrebbero tutte essere comprese nella così detta famiglia degli “anti fosfolipidi”<br />
(figura 1).<br />
aCL ELISA CLASSICO<br />
Cardiolipina (CL)<br />
ß2 Glicoproteina 1 bovina (ß2GP1)<br />
ß2GP1 Umana<br />
principalmente<br />
in malattie autoimmuni<br />
anti ß2GP1<br />
principalmente<br />
in malattie infettive<br />
veri aCL che reagiscono<br />
con il fosfolipide<br />
Figura 1. Il test aCL ELISA classico può rilevare <strong>anticorpi</strong> diretti verso la<br />
cardiolipina, verso la ß 2 GP1 e verso il complesso CL-ß 2 GP1. Il test ELISA<br />
anti-ß 2 GP1 umana rileva esclusivamente <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1; gli <strong>anticorpi</strong><br />
aCL evidenziati con questa metodica sono definiti aCL-ß 2 GP1 dipendenti,<br />
principalmente presenti nelle malattie autoimmuni sistemiche.<br />
Gli aCL rilevabili con un test ELISA in assenza di ß 2 GP1 rilevano <strong>anticorpi</strong><br />
principalmente presenti nelle malattie infettive.<br />
55
56<br />
1. Innanzitutto, <strong>da</strong>ta l’alta affinità della ß 2 GP1 per i fosfolipidi a carica<br />
negativa, quali appunto la CL, la ß 2 GP1 si legherà al fosfolipide copulato<br />
alla micropiastra. In questo modo il sistema è in grado di concentrare<br />
la ß 2 GP1 sulla superficie delle micropiastre, ottenendo un effetto simile<br />
a quello della plastica attivata o “high antigen binding”. Un sistema di<br />
questo genere diventa a<strong>da</strong>tto alla rilevazione di <strong>anticorpi</strong> anti ß 2 GP1,<br />
che oggi sembrano rappresentare la maggior parte degli <strong>anticorpi</strong><br />
<strong>antifosfolipidi</strong> dei pazienti con la sindrome (20) .<br />
2. Anche nell’ipotesi, sostenuta <strong>da</strong> taluni autori (21), che il target dell’anticorpo<br />
sia non tanto la ß 2 GP1 di per sé, ma piuttosto il complesso<br />
ß 2 GP1-CL, è facilmente comprensibile che il test aCL ELISA classico<br />
che include sulla micropiastra sia la CL che la ß 2 GP1 viene ad essere<br />
il mezzo più adeguato di osservazione.<br />
3. Infine, almeno teoricamente, il test aCL ELISA è in grado di legare gli<br />
anti CL “veri”, cioè realmente diretti verso la molecola fosfolipidica.<br />
Il significato di questi <strong>anticorpi</strong> è ancora discusso. In effetti è comunemente<br />
accettato che questi <strong>anticorpi</strong> siano caratteristici nel corso di<br />
malattie infettive, anche se recentemente è stato ipotizzato un loro possibile<br />
ruolo quali fattori indipendenti di rischio per fatti tromboembolici (21, 22) .<br />
Una parte rilevante delle interpretazioni sopra riportate, si basa sul fatto che<br />
la ß2GP1 ha una struttura altamente conservata nelle diverse specie, cosicché<br />
fra molecola umana e bovina esiste una omologia superiore al <strong>90</strong>% (23) .<br />
In questo modo gli <strong>anticorpi</strong> rilevabili in un sistema in cui è presente ß2GP1 bovina sono in gran parte sovrapponibili agli <strong>anticorpi</strong> rilevabili utilizzando<br />
ß2GP1 umana. Esistono comunque talune eccezioni.<br />
In effetti, la scoperta del cofattore ha condotto alla creazione di un test<br />
ELISA per anti ß2GP1 umana (24) , ed alla conseguente dimostrazione che<br />
la popolazione anticorpale così rilevabile mostrava una associazione più<br />
significativa con le manifestazioni cliniche della APS (25) . Inoltre è stata dimostrata<br />
l’esistenza di anti ß2GP1 in assenza di aCL-ß2GP1 dipendenti e\o di<br />
LAC (26) . I motivi per cui i due tipi di test ELISA (aCL classico e anti-ß2GP1) rilevano popolazioni anticorpali solo parzialmente sovrapponibili sono <strong>da</strong><br />
imputarsi al fatto che taluni <strong>anticorpi</strong> presenti in pazienti con sindrome sembrano<br />
riconoscere solo la ß2GP1 umana e pertanto reagiscono solo con il<br />
test degli anti ß2GP1, mentre altri sembrano diretti verso la CL di per sè<br />
o verso un complesso CL-ß2GP1 e pertanto vengono rilevati solo <strong>da</strong>l test<br />
classico della cardiolipina. E’ comunque utile sottolineare che entrambi<br />
questi casi rappresentano eccezioni.<br />
Certamente, l’analisi della letteratura indica nel LAC il maggiore fattore di<br />
rischio conosciuto per la patologia trombotica in corso di patologia autoimmune<br />
sistemica e il maggior fattore di rischio per recidiva trombotica in caso<br />
di sindrome primaria (9, 27) . Tuttavia i vantaggi offerti <strong>da</strong>i test ELISA, quali la<br />
valutazione semi-quantitativa e la identificazione dell’isotipo dell’anticorpo,<br />
non sono trascurabili. Un innegabile vantaggio è inoltre quello di poter effettuare<br />
la ricerca di <strong>anticorpi</strong> anti fosfolipidi in pazienti già in trattamento anticoagulante.<br />
L’impiego contemporaneo del LAC e del test ELISA aCL consente<br />
d’altra parte di accrescere la sensibilità diagnostica per la APS.<br />
Esiste infatti una quota non trascurabile, sebbene variabile nelle diverse casistiche<br />
(28) , di pazienti con APS rilevabili solo grazie alla positività per aCL.<br />
La motivazione è <strong>da</strong> ricercare nel fatto che i test ELISA consentono di rilevare<br />
anche concentrazioni anticorpali basse, non sufficienti a determinare una<br />
modifica dei processi coagulativi in un test funzionale come il LAC, ma in<br />
grado di identificare pazienti con un rischio trombotico, che possono sperimentare<br />
eventi clinicamente significativi, soprattutto in caso di variazione del<br />
titolo e/o di sovrapposizione di altri fattori di rischio trombotico.
Infine, <strong>da</strong>l punto di vista speculativo, la conoscenza del sistema antigeneanticorpo,<br />
consente di accrescere le conoscenze dei meccanismi patogenetici<br />
alla base delle manifestazioni cliniche e, auspicabilmente consentirà<br />
di mettere a fuoco approcci terapeutici più mirati. In questa ottica si sviluppano<br />
“nuovi” test ELISA mirati a rilevare popolazioni anticorpali con significato<br />
patogenetico, che consentano di accrescere la sensibilità diagnostica<br />
della APS.<br />
Rivisitazione del test ELISA classico per la ricerca di aCL ß 2 GP1 dipendenti<br />
Dalla fine degli anni’80 il test ELISA per aCL ha conosciuto una ampia diffusione,<br />
grazie anche alla disponibilità di kit commerciali. Tuttavia già a pochi<br />
anni di distanza <strong>da</strong>lla descrizione originale del test, risultò chiara la necessità<br />
di una stan<strong>da</strong>rdizzazione del metodo (29) . Nonostante i numerosi sforzi compiuti<br />
in questa direzione (30, 31) , a tutt’oggi il grado di ripetibilità del test ELISA<br />
classico per aCL è assai basso. In questo ambito hanno operato e operano<br />
diversi gruppi collaborativi a livello nazionale ed internazionale. Negli ultimi 5<br />
anni, per esempio, il Forum Europeo sugli Antifosfolipidi, un gruppo di lavoro<br />
interdisciplinare che si è spontaneamente aggregato nel 1997, ha “fotografato”<br />
lo stato dell’arte riguardo il test ELISA per aCL, spingendosi anche a proporre<br />
alcune possibili soluzioni a talune problematiche (32) .<br />
Una prima parte del lavoro ha consentito di appurare le discor<strong>da</strong>nze metodologiche<br />
esitenti fra un campione di 30 Centri Europei (procedure, reagenti,<br />
mo<strong>da</strong>lità esecutive, calcolo dei risultati), che si riflettevano nello scarso<br />
livello di concor<strong>da</strong>nza ottenibile testando nei diversi centri uno stesso<br />
set di sieri ad attività nota (figura 2).<br />
100%<br />
80%<br />
60%<br />
40%<br />
20%<br />
0%<br />
neg basso<br />
% negativo<br />
IgG aCL<br />
medio alto<br />
100%<br />
neg basso<br />
IgM aCL<br />
medio alto<br />
Figura 2. Livello di concor<strong>da</strong>nza ottenuto testando in 30 diversi Centri<br />
Europei uno stesso set di sieri ad attività nota.<br />
In una secon<strong>da</strong> fase, sulla base dell’analisi delle metodiche che avevano fornito<br />
le migliori performance (in termini di concor<strong>da</strong>nza con la media dei risultati<br />
ottenuti), è stato proposto un “protocollo di consenso”, che ha consentito<br />
di ottenere risultati mediamente migliori rispetto alle metodiche originali.<br />
Infine è stato proposto l’utilizzo di <strong>anticorpi</strong> monoclonali come stan<strong>da</strong>rd<br />
riproducibili e costanti nel tempo. Per le IgG è stato scelto un monoclonale<br />
chimerico (HCAL) costituito <strong>da</strong> una regione costante γ umana ed una regione<br />
variabile derivante <strong>da</strong> un monoclonale murino aCL (33) . Per le IgM è stato<br />
utilizzato un monoclonale anti-ß 2 GP1 umano ottenuto <strong>da</strong> un paziente con<br />
APS (EY2C9) (34) . Questi stan<strong>da</strong>rd monoclonali hanno consentito un ulteriore<br />
gua<strong>da</strong>gno in termini di concor<strong>da</strong>nza dei risultati fra i vari centri coinvolti nel<br />
progetto di stan<strong>da</strong>rdizzazione (figura 3).<br />
80%<br />
60%<br />
40%<br />
20%<br />
0%<br />
% pos basso % pos medio % pos alto<br />
57
58<br />
GPL<br />
140<br />
120<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
21.4<br />
1<br />
11 9.9<br />
2<br />
0<br />
0 1/50<br />
3<br />
17.8 7.4<br />
9.3<br />
5.9 5.9<br />
5.3<br />
4.1 2.6<br />
3.1<br />
3.1 4.1 2.6<br />
1/100 1/200 1/400 1/800<br />
1) aCL eseguito con metodica e stan<strong>da</strong>rd "in house"<br />
2) aCL eseguito con metodica "in house" e stan<strong>da</strong>rd monoclonali<br />
3) aCL eseguito con metodica "consenso" e stan<strong>da</strong>rd monoclonali<br />
Figura 3. Diminuzione della variabilità fra test ELISA aCL effettuati con<br />
metodica consenso e stan<strong>da</strong>rd monoclonali rispetto a test “in house” con<br />
stan<strong>da</strong>rd di laboratorio. Diluizioni di sieri positivi ad alto titolo per aCL IgG.<br />
I <strong>da</strong>ti prodotti <strong>da</strong>l Gruppo Europeo per la stan<strong>da</strong>rdizzazione degli aPL<br />
sono stati recentemente riconosciuti <strong>da</strong>l Comitato Internazionale per la<br />
Stan<strong>da</strong>rdizzazione degli auto<strong>anticorpi</strong> nelle malattie reumatiche (IUIS\WHO<br />
\AF\CDC), che intende considerare i 2 monoclonali per accertare la loro<br />
idoneità a funzionare come vali<strong>da</strong>ti campioni di riferimento per i test ELISA<br />
aCL e anti-ß 2 GP1.<br />
A livello nazionale, opera <strong>da</strong>l 1998 il gruppo FIRMA (Forum Interdisciplinare<br />
per la Ricerca nelle Malattie Autoimmune), che ha come obiettivo lo studio<br />
delle problematiche legate alla determinazione degli auto<strong>anticorpi</strong>. In questi<br />
anni, nell’ambito di un progetto che prevedeva la stesura di linee gui<strong>da</strong><br />
per l’esecuzione e l’utilizzo dei test per gli auto<strong>anticorpi</strong> non organo specifici,<br />
sono state prese in esame anche le metodiche per gli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong>.<br />
In particolare riportiamo le raccoman<strong>da</strong>zioni o le linee gui<strong>da</strong> FIRMA<br />
alle quali i laboratori che testano routinariamente gli aCL dovrebbero attenersi:<br />
• i campioni debbono essere testati in duplicato;<br />
• il test aCL ELISA deve rilevare <strong>anticorpi</strong> ß 2 GP1 dipendenti di classe IgG<br />
o IgM. I tamponi utilizzati nella metodica devono contenere il 10% di<br />
siero bovino (fetale o adulto) per garantire la quantità idonea di ß 2 GP1<br />
nel sistema.<br />
• Il cut-off deve essere determinato in ogni laboratorio testando un campione<br />
di almeno 100 sieri <strong>da</strong> soggetti normali distribuiti per età e sesso.<br />
E’ necessario utilizzare il sistema dei percentili per il calcolo del cut-off,<br />
in quanto la distribuzione dei valori risulta non parametrica.<br />
Considerato che il test ELISA è molto sensibile, è consigliabile utilizzare<br />
almeno il 99° percentile;
• I risultati devono essere espressi in unità GPL o MPL (mg/ml di anticorpo),<br />
introducendo in ogni test una curva di calibrazione di almeno 5 punti,<br />
creata con gli stan<strong>da</strong>rd di Harris o con stan<strong>da</strong>rd secon<strong>da</strong>ri calibrati su<br />
questi. Sono attualmente in corso di valutazione <strong>anticorpi</strong> monoclonali<br />
umani o umanizzati.<br />
• E’ consigliabile una valutazione semiquantitativa dei risultati:<br />
negativo, se sotto il cut-off;<br />
positivo basso, se >del cut-off e < 30 GPL/MPL;<br />
positivo medio, se >30 e 80GPL/MPL;<br />
• Utile uno scambio periodico interlaboratori di sieri, per valutare la<br />
riproducibilità della metodica.<br />
59
60<br />
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Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Dr.ssa Angela Tincani<br />
Reumatologia Allergologia e Immunologia Clinica<br />
P.le Spe<strong>da</strong>li Civili 1, 25123 Brescia<br />
Tel: 030 3996449 - 030 3995448<br />
Fax: 030 382796 - 030 3995085<br />
e-mail: tincani@bshosp.osp.unibs.it
3. Anticorpi anti-ß 2 glicoproteina 1:<br />
diagnosi di laboratorio<br />
A. Biasiolo, V. Pengo<br />
Servizio Prevenzione e Terapia Trombosi<br />
Dipartimento medicina Clinica e Sperimentale<br />
Ospe<strong>da</strong>le “ex Busonera” Padova<br />
Introduzione<br />
Gli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> (aPL) associati a manifestazioni cliniche particolari<br />
come trombosi venose ed arteriose o aborti ricorrenti, caratterizzano la<br />
cosiddetta <strong>Sindrome</strong> <strong>da</strong> Anticorpi <strong>antifosfolipidi</strong> (APS). Il ruolo fisiopatologico<br />
di questi <strong>anticorpi</strong> nel provocare le trombosi non è attualmente noto<br />
nonostante le numerose ipotesi proposte.<br />
Nell’ultimo decennio il significato degli aPL è stato completamente rivoluzionato<br />
<strong>da</strong>ll’osservazione che tali <strong>anticorpi</strong> non sono diretti contro i fosfolipidi<br />
anionici, bensì riconoscono particolari proteine plasmatiche legate ad altre<br />
superfici anioniche (es. fosfolipidi).<br />
E’ stato abbon<strong>da</strong>ntemente dimostrato inoltre, che la maggior parte degli<br />
<strong>anticorpi</strong> presenti nel siero di pazienti affetti <strong>da</strong> APS sono diretti principalmente<br />
contro due proteine leganti i fosfolipidi: la ß 2 glicoproteina 1 (ß 2 GP1)<br />
e la protrombina.<br />
Gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 glicoproteina 1 (anti-ß 2 GP1) sono responsabili della<br />
reattività anticardiolipina presente nel siero dei pazienti con APS, mentre<br />
l’attività Lupus Anticoagulant (LA) spesso co-presente è attribuibile sia ad<br />
anti-ß 2 GP1 che ad <strong>anticorpi</strong> anti-protrombina.<br />
La diagnosi di laboratorio degli anti-ß 2 GP1 si basa su un test ELISA che utilizza<br />
come antigene la ß 2 GP1 umana purificata.<br />
Tuttavia la mancanza di stan<strong>da</strong>rdizzazione di questo metodo e quindi i differenti<br />
risultati ottenuti su pazienti aventi uguali patologie, rende per alcuni<br />
dubbia l’utilità clinica della determinazione degli anti-ß 2 GP1.<br />
63
64<br />
Anticorpi anti-ß 2 glicoproteina 1: antigene<br />
La ß 2 GP1 è una glicoproteina conosciuta <strong>da</strong> molto tempo: è stata isolata<br />
<strong>da</strong> Schultze e collaboratori più di 40 anni fa (1) . Ha un peso molecolare di<br />
50 KDa ed è presente nel plasma alla concentrazione di 0,2 mg/ml. E’ una<br />
singola catena polipeptidica costituita <strong>da</strong> 326 amminoacidi (in prevalenza<br />
prolina, cisteina e triptofano) e <strong>da</strong> 5 oligosaccaridi contenenti glicosammina<br />
(2) . Mediante tecniche di clonaggio e sequenziamento del c-DNA (3,4) è stata<br />
stabilita la completa e corretta sequenza amminoacidica della proteina la<br />
quale risulta altamente conservata per più dell’ 80% fra le diverse specie<br />
animali (umana, bovina, murina). La molecola della ß 2 GPI è organizzata<br />
in 5 unità omologhe ripetute di circa 60 residui amminoacidici dette”sushi<br />
domains” (5) ciascuna con due ponti disolfuro, a parte il V° dominio che ne<br />
possiede tre. Numerosi studi, identificando il V° dominio della ß 2 GP1 come<br />
importante nel legame della proteina ai fosfolipidi (6-9) suggerivano che il<br />
sito di legame fosse localizzato fra gli aminoacidi Cys 281-288 (10).<br />
Recentemente, interessanti studi cristallografici, facendo luce sulla struttura<br />
tridimensionale della proteina, hanno fornito utili informazioni circa il funzionamento<br />
di questa molecola. La ß 2 GP1 appare come una struttura lunga<br />
130 e larga 80 Åmstrong (Fig.1) simile ad una J allungata, organizzata in<br />
5 domini (11,12) . Il ripiegamento spaziale del V° dominio devia fortemente <strong>da</strong><br />
quello stan<strong>da</strong>rd osservato negli altri 4 domini.<br />
Figura 1. Struttura tridimensionale della ß 2 GP1 umana (Bouma B. et al.,<br />
EMBO J 1999; 18:5166-5177).
La sequenza carica positivamente CKNKEKKC presente nel V° dominio<br />
e il vicino uncino idrofobico (Ser 311-Lys 317) sembrano essere coinvolti<br />
rispettivamente nel legame della proteina ai fosfolipidi anionici e al suo<br />
ancoraggio sulle membrane cellulari (Fig.2). Per quanto riguar<strong>da</strong> gli altri<br />
domini sembra che il III° ed il IV°, fortemente glicosilati, siano protetti <strong>da</strong>lle<br />
interazioni proteina–proteina, mentre i domini I° e II° rappresentino i siti di<br />
legame riconoscuti <strong>da</strong>gli anti-ß 2 GP1 (13) .<br />
Il gene che codifica per la ß 2 GP1 umana è localizzato sul cromosoma<br />
17 (q23-qter) (14) e a tutt’oggi sono stati identificati ben 4 polimorfismi, dovuti<br />
a mutazioni puntiformi, responsabili di precise sostituzioni amminoacidiche:<br />
Ser/Asn 88, Leu/Val 247, Cys/Gly 306, Trp/Ser 316. La differenza anche di<br />
un solo amminoacido, può portare ad anomale modificazioni conformazionali<br />
della proteina, in seguito ad alterate interazioni con i fosfolipidi di membrana.<br />
Polimorfismi sul sito di legame per i fosfolipidi, oppure sul sito antigenico<br />
della ß 2 GP1 potrebbero influenzare la produzione di <strong>anticorpi</strong> antiß<br />
2 GP1 e lo sviluppo della APS. Atsumi e collaboratori hanno osservato che<br />
la mutazione in posizione 247, cioè quella localizzata fra i siti di legame ai<br />
fosfolipidi nel dominio V° e il potenziale epitopo per gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1,<br />
è più frequente in soggetti bianchi affetti <strong>da</strong> APS con gli anti-ß 2 GP1, rispetto<br />
ai pazienti con APS, ma senza tali <strong>anticorpi</strong> (15) . Hirose e colleghi, considerando<br />
la stessa mutazione fra diversi gruppi razziali con APS, ha osservato<br />
l’elevata frequenza dell’allele valina in tutti i gruppi considerati (asiatici,<br />
bianchi, neri) e una netta predominanza nei soggetti sani bianchi (16) .<br />
Questi <strong>da</strong>ti potrebbero spiegare l’alta prevalenza della APS nella popolazione<br />
dei bianchi. La ß 2 GP1 mutata in posizione 316, è invece incapace di<br />
riconoscere i fosfolipidi anionici. Ciò ha fatto pensare che la presenza di<br />
65<br />
Figura 2.<br />
Schema rappresentativo<br />
dell’interazione fra<br />
ß 2 GP1 umana e membrana<br />
fosfolipidica<br />
(Bouma B. et al.,<br />
EMBO J 1999;<br />
18:5166-5177).
66<br />
Interazioni antigene-anticorpo<br />
questa mutazione potesse proteggere in qualche modo i soggetti <strong>da</strong>lla produzione<br />
di <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1. Horbach e collaboratori hanno dimostrato<br />
che il difetto in forma eterozigote non è protettivo nei pazienti con LES e<br />
APS considerati e che forse potrebbe esserlo in forma omozigote (17) .<br />
L’osservazione della frequenza della mutazione Trp/Ser 316 nella popolazione<br />
ha portato a risultati discor<strong>da</strong>nti, Gushinken ha osservato che la serina<br />
in questa posizione è associata a trombosi in un piccolo gruppo di<br />
pazienti con LES (18) , mentre Kamboh, nello stesso anno, ha dimostrato che<br />
questa mutazione è meno comune nei pazienti con aPL rispetto ai controlli (19) .<br />
Con i <strong>da</strong>ti attualmente in nostro possesso è difficile stabilire i fattori di<br />
rischio genetico correlati alla comparsa di <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> e alle<br />
manifestazioni cliniche della APS. Possiamo dedurre che la maggior parte<br />
dei pazienti con APS o con solo gli aPL positivi, hanno la forma più comune<br />
di ß 2 GP1.<br />
La ß 2 GP1 è sintetizzata principalmente <strong>da</strong>gli epatociti (3), ma anche <strong>da</strong> altri<br />
tipi cellulari come cellule endoteliali, neuroni e linfociti (20) .<br />
Tra le principali proprietà della ß 2 GP1 ricordiamo la sua capacità di legarsi<br />
ai fosfolipidi anionici (21) , alle piastrine (22) , all’eparina (23) , al DNA (24) ed ai mitocondri<br />
(25) . “In vitro” possiede attività anticoagulante infatti è capace di inibire<br />
la fase di contatto della coagulazione (26) , l’attività protrombinasica delle<br />
piastrine normali ed attivate (27) e l’aggregazione indotta <strong>da</strong> ADP (28) .<br />
La ß 2 GP1 ha anche attività procoagulante, infatti inibisce l’attività anticoagulante<br />
del più importante inibitore della coagulazione: la proteina C attivata<br />
(29,30) . Tuttavia l’importanza fisiologica della ß 2 GP1 nella coagulazione<br />
rimane in discussione, infatti persone carenti di questa proteina non hanno<br />
né segni di sanguinamento né di trombosi (31,32) .<br />
In passato è stato proposto il suo coinvolgimento nel metabolismo lipidico,<br />
come cofattore della lipoproteina lipasi (33) . E’ stata definita apolipoproteina<br />
H perché presente nei chilomicroni, VLDL, HDL, e soprattutto nella frazione<br />
lipoproteica pesante (d>1.23 g/ml) (34) , oggi sembra che solo piccole quantità<br />
di proteina siano legate alle lipoproteine (35) . La ß 2 GP1 sembra anche<br />
coinvolta nella rimozione di particelle “non-self” e nel processo dell’apoptosi<br />
(36,37) . Recentemente è stata dimostrata la suscettibilità della ß 2 GP1 al trattamento<br />
con plasmina ed altre proteasi. Nel 1999 Horbach ha dimostrato<br />
“in vivo” il clivaggio proteolitico della proteina durante la fibrinolisi e<br />
l’aumento della concentrazione plasmatica di una forma di ß 2 GP1 clivata<br />
che possiede minore affinità per i fosfolipidi anionici (38) . L’anno successivo<br />
Matsuura ha dimostrato che il trattamento con plasmina induce una modificazione<br />
conformazionale del V° dominio, che sembra riflettersi in un’ alterata<br />
esposizione degli epitopi criptici presenti sul IV° dominio responsabili del<br />
legame fra ß 2 GP1 ed <strong>anticorpi</strong> specifici. Tutto ciò si traduce in una minore<br />
antigenicità della proteina clivata (39) .<br />
Poiché nel plasma di pazienti con CID (38) e APS (40) si sono dimostrate elevate<br />
concentrazioni di ß 2 GP1 clivata si ritiene questo processo, importante<br />
nella down-regulation dei fenomeni atero-trombotici autoimmuni nella APS.<br />
La ß 2 GP1 è il principale “cofattore” degli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> di tipo<br />
autoimmune. Per molti anni questi <strong>anticorpi</strong> ed in particolare gli <strong>anticorpi</strong><br />
aCL sono stati ritenuti diretti contro i fosfolipidi anionici. E’ ormai ampiamente<br />
dimostrato che gli aCL, nel test ELISA utilizzato per individuarli, riconoscono<br />
la ß 2 GP1 umana presente nel campione in esame o la ß 2 GP1 bovina<br />
presente nei tamponi di lavaggio e bloccaggio. E’ l’interazione fra la superficie<br />
fosfolipidica con le sue cariche negative (nel caso specifico rappresentata<br />
<strong>da</strong>lla cardiolipina) e la ß 2 GP1 a favorire il legame con gli <strong>anticorpi</strong> (41-43) .
Anticorpi anti-ß 2 GP1: patogenesi<br />
Esistono comunque <strong>anticorpi</strong> aCL di tipo infettivo che riconoscono direttamente<br />
la cardiolipina.<br />
Gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 invece riconoscono la ß 2 GP1 in assenza di fosfolipidi<br />
anionici. Una superficie di plastica particolarmente idrofilica come il<br />
polivinilcloruro o il polistirene irradiato con raggi γ è sufficiente per rendere<br />
antigenica la molecola.<br />
La necessità di una superficie idrofilica a<strong>da</strong>tta, per indurre l’antigenicità<br />
della proteina è stata spiegata in due diversi modi. Secondo alcuni, l’interazione<br />
tra la ß 2 GP1 e la superficie carica negativamente indurrebbe una<br />
modificazione conformazionale nella proteina tale <strong>da</strong> esporre alcuni epitopi<br />
criptici sulla molecola, accessibili agli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 (44,45) .<br />
Altri invece ritengono che solo un’elevata densità di superficie della ß 2 GP1<br />
(come si verifica su una piastra ELISA oppure su una superficie fosfolipidica)<br />
possa stabilizzare il legame con l’anticorpo, che ha una bassa affinità (46) .<br />
Sembra che gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 monoclonali riconoscano bene epitopi<br />
localizzati sul IV° dominio (47) , mentre pare che gli <strong>anticorpi</strong> policlonali preferiscano<br />
epitopi localizzati sul I° dominio (13) .<br />
Il coinvolgimento degli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 nella patogenesi delle manifestazioni<br />
cliniche che caratterizzano la APS è più recente e pertanto meno<br />
documentato se paragonato con i <strong>da</strong>ti a disposizione in letteratura circa<br />
l’associazione fra aPL in generale e APS (48,49) .<br />
I meccanismi fisiopatologici attraverso i quali gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 indurrebbero<br />
le trombosi (venose e/o arteriose) e gli aborti ripetuti non sono<br />
ancora conosciuti.<br />
La purificazione per affinità di questi <strong>anticorpi</strong>, cioè mediante una matrice<br />
soli<strong>da</strong> inerte a cui viene legata stabilmente la ß 2 GP1 umana, è sicuramente<br />
l’approccio migliore per studiarne il comportamento “in vitro” (50) . Tuttavia in<br />
letteratura non sono molti i lavori basati su questa logica, spesso gli studi<br />
vengono condotti su plasma di pazienti positivi per gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1,<br />
oppure su IgG totali o IgG isolate mediante liposomi di cardiolipina, quindi<br />
con sistemi non completamente puri.<br />
E’ ormai accettato che gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 possiedono un’attività anticoagulante<br />
nei comuni test fosfolipide-dipendenti (es. dRVVT).<br />
Nel 1999 il nostro gruppo ha dimostrato che sei preparazioni di <strong>anticorpi</strong><br />
anti-ß 2 GP1, isolate per affinità mostravano un’attività procoagulante “in<br />
vitro” tale <strong>da</strong> accorciare consistentemente il Tempo di Protrombina (PT).<br />
Tale accorciamento dipendeva <strong>da</strong>lla concentrazione di anticorpo nel sistema<br />
e <strong>da</strong>lla presenza o meno di ß 2 GP1, mentre non era influenzato <strong>da</strong>l tipo<br />
di tromboplastina utilizzata. L’accorciamento del PT si potrebbe spiegare<br />
con la maggior o più rapi<strong>da</strong> produzione di trombina in relazione ad una<br />
maggiore produzione di fattore X attivato (Xa).<br />
Salemink e collaboratori infatti hanno dimostrato che gli <strong>anticorpi</strong> antiß<br />
2 GP1 presenti nel plasma di pazienti con APS, inducono un aumento di<br />
fattore Xa, dipendente <strong>da</strong>lla presenza di ß 2 GP1 e TFPI. Secondo gli autori i<br />
complessi anticorpo anti-ß 2 GP1 - ß 2 GP1 formati in presenza di PL, potrebbero<br />
inibire il TFPI impedendo la formazione del complesso quaternario<br />
TFPI/FXa/F<strong>VI</strong>Ia/TF con conseguente maggior produzione di fattore Xa (51) .<br />
Nel tentativo di spiegare il ruolo degli anti-ß 2 GP1 nella APS, altri autori<br />
hanno dimostrato che il plasma di pazienti con aPL, così come le IgG totali<br />
e le IgG purificate con liposomi di CL impediscono l’inattivazione del fattore<br />
Va, suggerendo come spiegazione alla patogenesi degli eventi tromboembolici<br />
l’ipotesi che gli anti-ß 2 GP1 possano indurre una acquisita resistenza<br />
alla proteina C attivata (52) .<br />
67
68<br />
Diagnosi di laboratorio<br />
L’ipotesi invece proposta <strong>da</strong> Rand e Wu (53) circa lo spiazzamento dell’annexina<br />
V (proteina con attività anticoagulante) <strong>da</strong>lle cellule endoteliali e <strong>da</strong>i<br />
trofoblasti placentari indotta <strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong> è stata recentemente smentita <strong>da</strong><br />
Willems e Bevers. Gli esperimenti di Willems e colleghi, su modelli di membrana,<br />
hanno dimostrato che gli <strong>anticorpi</strong> aCL/ anti-ß 2 GP1 in presenza di<br />
ß 2 GP1, non sono in grado di alterare lo scudo formato <strong>da</strong>ll’annexina V sulle<br />
membrane di queste cellule (54) .<br />
Bevers e collaboratori, peraltro, non riscontrano alcun ostacolo <strong>da</strong> parte<br />
degli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 sull’inibizione della produzione di trombina indotta<br />
<strong>da</strong>ll’annexina V (55) .<br />
Fino ad oggi l’attenzione dei ricercatori è stata rivolta principalmente alla<br />
capacità della ß 2 GP1 di stimolare i linfociti B nella produzione di auto<strong>anticorpi</strong>,<br />
tralasciando o considerando marginale l’importanza che questo antigene<br />
potrebbe avere nell’immunità di tipo cellulare. Già nel 1994 Kornberg<br />
aveva riportato che gli aPL erano capaci di stimolare i monociti a produrre<br />
un’attività procoagulante (PCA) simile al fattore tissutale (TF) (56) . Più recentemente<br />
Visvanathan e McNeil riportano che nel 44% dei pazienti con APS<br />
esistono dei linfociti T CD4+ ß 2 GP1 specifici che proliferano e secernono<br />
interferone se stimolati con ß 2 GP1 (57) . Gli stessi ricercatori dimostrano con<br />
un successivo lavoro che se si stimolano i monociti di pazienti affetti <strong>da</strong><br />
APS con ß 2 GP1 in presenza di linfociti T CD4+ e molecole di classe II<br />
(MHC) si assiste ad un esposizione di TF sulla superficie cellulare (58) .<br />
Poiché questo comportamento è esclusivo dei monociti di pazienti con APS<br />
e non riguar<strong>da</strong> i monociti di pazienti con aPL, ma senza la sindrome, gli<br />
autori suggeriscono che la diatesi procoagulante nella APS potrebbe essere<br />
dovuta ad una up-regulation dell’espressione del TF sui monociti indotta<br />
<strong>da</strong>lla continua stimolazione dei linfociti T-ß 2 GP1 specifici ad opera della<br />
ß 2 GP1. Anche altri ricercatori (Hattori e coll.) hanno identificato cellule<br />
T-ß 2 GP1 specifiche. Al contrario del precedente gruppo, Hattori dimostra<br />
tuttavia la presenza di queste cellule sia nelle APS che nel gruppo di controllo<br />
e osserva la capacità di proliferare in risposta alla stimolazione con<br />
ß 2 GP1 ridotta e non nella forma nativa (59) .<br />
Attualmente le ipotesi proposte sono parimenti accettabili pur non essendo<br />
prive di elementi opinabili. Riteniamo molto probabile che gli <strong>anticorpi</strong> aß<br />
2 GP1 possano essere coinvolti in più di un meccanismo fisiologico nel<br />
provocare lo stato di ipercoagulabilità tipico della APS.<br />
Gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 sono identificabili mediante test ELISA nei quali<br />
la ß 2 GP1 umana viene adsorbita sulla plastica di piastre <strong>da</strong> microtitolazione<br />
in assenza di fosfolipidi. Il test, proposto per la prima volta nel 1991 <strong>da</strong>lla<br />
Dott.ssa Arvieux, è un test ELISA di tipo indiretto (60) . Gli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1<br />
presenti nel campione <strong>da</strong> analizzare reagiscono con lo specifico antigene<br />
(ß 2 GP1) fissato alla plastica. Per impedire i legami aspecifici al sistema,<br />
solitamente si impiega una soluzione al 10% di siero fetale bovino in tampone<br />
fosfato. Dopo ripetuti lavaggi per allontanare i materiali non legati specificamente<br />
all’antigene, l’isotipo (IgG, IgM o IgA) del complesso antigeneanticorpo<br />
viene rivelato, come nell’ELISA aCL, mediante un antisiero antiimmunoglobuline<br />
umane marcato con un’enzima (fosfatasi alcalina o perossi<strong>da</strong>si).<br />
L’aggiunta del substrato specifico (p-nitrofelilfosfato o perossido di<br />
idrogeno) innesca una reazione cromogenica, misura dell’attività enzimatica<br />
e proporzionale alla quantità di anticorpo specifico presente nel campione<br />
originale.<br />
La determinazione degli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1 in questo test è fortemente<br />
correlata al tipo di piastra utilizzata. Superfici molto idrofiliche, come le pia-
stre di polivinilcloruro (45) o di polistirene ossi<strong>da</strong>te <strong>da</strong>l trattamento con raggi γ (44)<br />
rendono antigenica la ß 2 GP1 favorendo il legame dell’anticorpo specifico.<br />
Il plasma dei pazienti affetti <strong>da</strong> APS, così come gli anti-ß 2 GP1 purificati per<br />
affinità <strong>da</strong> questi soggetti, non sono in grado di riconoscere la ß 2 GP1 né<br />
immobilizzata su piastre in polistirene normale, né in fase flui<strong>da</strong>.<br />
Il comportamento eterogeneo degli anti-ß 2 GP1 nel riconoscere l’antigene<br />
impiegando supporti solidi di diversa composizione è stato dimostrato<br />
recentemente <strong>da</strong> Tsutsumi e colleghi. Il siero di 10 pazienti con APS e 3<br />
<strong>anticorpi</strong> monoclonali anti-ß 2 GP1 diretti contro epitopi localizzati su domini<br />
diversi, sono stati testati utilizzando ben 20 differenti tipi di piastre ELISA.<br />
Nonostante la maggior parte delle piastre fosse in grado di misurare gli<br />
anti-ß 2 GP1, significative differenze si verificavano utilizzando gli <strong>anticorpi</strong><br />
monoclonali (61) .<br />
E’ auspicabile che i risultati di questo lavoro, unitamente all’esito del progetto<br />
europeo di stan<strong>da</strong>rdizzazione condotto <strong>da</strong> Arvieux e Reber, portino<br />
all’identificazione di un gold-stan<strong>da</strong>rd per l’ELISA anti-ß 2 GP1.<br />
Infatti nella determinazione degli anti-ß 2 GP1 la maggior parte dei laboratori<br />
utilizza kit del commercio rapidi e di facile esecuzione, pur essendo altresì<br />
numerosi i gruppi che impiegano invece metodi “fatti in casa”. L’enorme<br />
variabilità interlaboratorio dei risultati ha spinto i ricercatori alla realizzazione<br />
del progetto multicentrico di stan<strong>da</strong>rdizzazione i cui risultati preliminari sono<br />
stati presentati all’ 8° Simposio Internazionale degli aPL (Sapporo 1998).<br />
Dallo studio è emerso che le differenze nei risultati sono dovute principalmente<br />
ai diversi valori di cut-off calcolati nei laboratori partecipanti e che<br />
l’uso di uno stan<strong>da</strong>rd di riferimento unico permetterebbe di migliorare la<br />
stan<strong>da</strong>rdizzazione del test (62) . Il processo di stan<strong>da</strong>rdizzazione non è sicuramente<br />
un compito facile, infatti il test ELISA è caratterizzato <strong>da</strong> tanti<br />
passaggi ed è particolarmente ricco di variabili. Nel tentativo di una sua<br />
Figura 3. SDS-PAGE di due preparazioni<br />
di ß 2 -GP1 umana.<br />
In entrambe le preparazioni sono<br />
evidenti solo le bande a 50kDa<br />
relative alla proteina in esame.<br />
69
70<br />
stan<strong>da</strong>rdizzazione pertanto sarà necessario valutare per ogni sua singola<br />
fase tutte le diverse possibilità. Alcuni punti sono già stati individuati come<br />
particolarmente delicati: la qualità della preparazione della ß 2 GP1 ne fa<br />
sicuramente parte. Come antigene, nel test, si dovranno utilizzare esclusivamente<br />
preparazioni di ß 2 GP1 umana estratte con metodiche tali <strong>da</strong> evitare<br />
parziali proteolisi della proteina, responsabili dell’alterazione degli epitopi<br />
riconosciuti <strong>da</strong>gli anti-ß 2 GP1. Anche il grado di purezza dell’antigene è un<br />
punto cruciale. Solo l’utilizzo di preparazioni di ß 2 GP1 pure (Fig. 3) permetteranno<br />
di ridurre i risultati falsamente positivi del test, dovuti al riconoscimento<br />
<strong>da</strong> parte dei campioni, dei contaminanti presenti nella preparazione,<br />
anziché della ß 2 GP1. Non sono quindi <strong>da</strong> trascurare gli effetti che lotti diversi<br />
di ß 2 GP1 possono avere sui risultati del test ELISA (Fig.4).<br />
Unità arbitrarie (differenza)<br />
100<br />
50<br />
0<br />
-50<br />
-100<br />
0<br />
50 100<br />
Unità arbitrarie (media)<br />
150 200<br />
Figura 4. Grafico relativo alla concor<strong>da</strong>nza fra i risultati dell’ELISA<br />
anti-ß 2 GP1 utilizzando diversi lotti di ß 2 GP1 umana.<br />
Anche la quantità di ß 2 GP1 <strong>da</strong> adsorbire sulla piastra rappresenta un elemento<br />
molto importante (63) . La concentrazione di 10 µg/ml di ß 2 GP1 nel<br />
pozzetto della piastra sembra discriminare, meglio di altre, i campioni patologici<br />
<strong>da</strong> quelli normali (Fig. 5). Tale quantità è pertanto considerata la concentrazione<br />
ottimale ed è utilizzata nella quasi totalità dei tests ELISA.<br />
Sicuramente si dovranno utilizzare piastre molto idrofiliche come quelle in<br />
PVC o in PST γ irradiate per la migliore espressione antigenica della proteina.<br />
La maggior parte dei test per anti-ß 2 GP1 è condotta su piastre di PST<br />
trattate, tuttavia, come rappresentato in Fig. 6, i risultati ottenuti usando queste<br />
piastre correlano strettamente con quelli ottenuti se si utilizzano piastre<br />
di PVC, che rispetto alle prime hanno anche il vantaggio di un minor costo.<br />
Un altro punto critico è rappresentato <strong>da</strong>ll’individuazione di uno stan<strong>da</strong>rd<br />
di riferimento unico, con cui costruire una curva di diluizione a cui riferire<br />
i campioni <strong>da</strong> testare. La maggior parte dei kit o dei metodi “home made”<br />
prevede l’utilizzo di <strong>anticorpi</strong> policlonali anti-ß 2 GP1 a diverso grado di positività<br />
e disponibili in ridotta quantità. Forse l’uso di <strong>anticorpi</strong> monoclonali (64)<br />
o di <strong>anticorpi</strong> chimerici (65) potrebbe essere preso in considerazione per<br />
risolvere queste problematiche.
OD 405 nm<br />
1.00<br />
0.75<br />
0.50<br />
0.25<br />
0.00<br />
0<br />
Controllo<br />
Paziente<br />
1.25 2.5 5.0 10.0 20.0 40.0 80.0 160.0<br />
Concentrazione di antigene ug/ml<br />
Figura 5. Effetto su un plasma patologico ed uno normale delle diverse<br />
concentrazioni di antigene nel test ELISA anti-ß 2 GP1.<br />
OD 405 nm (PST trattate)<br />
3.0<br />
2.5<br />
2.0<br />
1.5<br />
1.0<br />
0.5<br />
0.0<br />
0.0<br />
0.5 1.0 1.5 2.0<br />
OD 405 nm (PVC)<br />
71<br />
r= 0.82<br />
p< 0.0001<br />
Figura 6. Correlazione dei risultati ottenuti utilizzando due tipi di piastre.
72<br />
Proprietà anticoagulante degli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1<br />
E’ accettato che il Lupus Anticoagulant (LA) rappresenti, tra i test che misurano<br />
gli aPL, il più importante fattore di rischio tromboembolico.<br />
Un sottogruppo di anti-ß 2 GP1 si comporta “in vitro” come un classico LA:<br />
questi <strong>anticorpi</strong> sono capaci infatti di interferire con i più comuni test coagulativi<br />
fosfolipide-dipendenti. E’ probabile che essi, formando dei complessi<br />
bivalenti stabili con la ß 2 GP1 sulla superficie fosfolipidica (66) o potenziando<br />
la concentrazione di ß 2 GP1 sulla superficie stessa (67) , impediscano il<br />
legame dei fattori della coagulazione (68) . Nel 1997 abbiamo dimostrato che<br />
la concentrazione dei fosfolipidi è cruciale per l’espressione dell’attività LA<br />
di anti-ß 2 GP1 purificati per affinità nel test dRVVT (69) . Tale attività tende a<br />
scomparire in presenza di un eccesso o in caso di completa assenza di<br />
fosfolipidi nel sistema. Pertanto l’esecuzione del dRVVT in queste due condizioni<br />
potrebbe a nostro avviso rappresentare un buon test di screening<br />
per individuare gli anti-ß 2 GP1 con attività LA. Test privi di PL esogeni come<br />
il Tempo di coagulazione al caolino (KCT) o che impiegano reagenti con<br />
bassissime concentrazioni di fosfolipidi come il Tempo di inibizione della<br />
tromboplastina (TTI) sono <strong>da</strong> considerare invece inadeguati (70) .<br />
Galli e colleghi hanno proposto due profili coagulativi diversi per distinguere<br />
<strong>anticorpi</strong> differenti aventi attività LA. I pazienti positivi per LA, che prolungano<br />
più il dRVVT rispetto al KCT (profilo dRVVT) hanno un maggior<br />
rischio per le trombosi rispetto a quelli che appartengono all’altro profilo.<br />
Sembra che il profilo dRVVT, associato agli <strong>anticorpi</strong> ß 2 GP1 dipendenti sia<br />
più strettamente correlato agli eventi tromboembolici mentre il profilo KCT<br />
sarebbe più indicativo della presenza di <strong>anticorpi</strong> anti-protrombina (71) .<br />
Poter individuare la prevalenza di un tipo di anticorpo rispetto all’altro<br />
mediante un profilo coagulativo sarebbe di enorme importanza <strong>da</strong>l punto<br />
di vista clinico.<br />
Per misurare l’effetto degli anti-ß 2 GP1 sull’inibizione della produzione di<br />
trombina Sheng e collaboratori hanno recentemente proposto un metodo<br />
cromogenico più sensibile rispetto ai convenzionali test coagulativi normalmente<br />
impiegati nella diagnosi del LA e capace di distinguere gli antiß<br />
2 GP1 caratteristici delle APS <strong>da</strong> quelli prodotti <strong>da</strong> cause diverse (72) .<br />
Significato clinico degli <strong>anticorpi</strong> anti-ß 2 GP1<br />
Gli anti-ß 2 GP1 sono più fortemente associati alle manifestazioni cliniche della<br />
APS rispetto agli aCL (73) . Numerosi sono ormai gli studi che stabiliscono una<br />
stretta correlazione fra anti-ß 2 GP1 e trombosi arteriose e venose (45,74-76) .<br />
Balestrieri e colleghi hanno trovato anche un’associazione fra questi <strong>anticorpi</strong><br />
e perdite fetali ricorrenti (63) .<br />
La doman<strong>da</strong> che ci si pone <strong>da</strong> qualche anno è la seguente: gli anti-ß 2 GP1<br />
si possono considerare un marker per fare la diagnosi di APS? Allo stato<br />
attuale, disponendo solo di <strong>da</strong>ti relativi a studi retrospettivi, condotti su un<br />
numero esiguo di pazienti e ottenuti impiegando metodi non ben stan<strong>da</strong>rdizzati,<br />
rispondere è difficile.<br />
Tuttavia alcuni ricercatori hanno dimostrato che gli anti-ß 2 GP1 hanno un<br />
valore predittivo per le trombosi più alto rispetto agli aCL (77,78) .<br />
L’importanza di questi <strong>anticorpi</strong> è stata solo parzialmente riconosciuta a<br />
livello internazionale, tanto che i criteri per fare diagnosi certa di APS sono<br />
stati leggermente rivisti e modificati. Fra i criteri di laboratorio compare la<br />
definizione di positività per IgG e/o IgM a medio-alto titolo persistente, di<br />
<strong>anticorpi</strong> anticardiolipina-ß 2 dipendenti. Tale definizione ci sembra tuttavia<br />
confondente, perché non stabilisce con precisione il test <strong>da</strong> eseguire.
Infatti nel test ELISA aCL classico, in cui l’antigene è rappresentato <strong>da</strong>lla<br />
CL, la ß 2 GP1 è presente nel siero fetale bovino del tampone bloccante e<br />
di diluizione. Pertanto, con questa tecnica si possono evidenziare tantissimi<br />
<strong>anticorpi</strong>: quelli che riconoscono la ß 2 GP1(bovina o umana), quelli diretti contro<br />
la CL (<strong>da</strong> noi definiti aCL autentici) presenti nelle patologie infettive e quelli<br />
diretti contro altre proteine leganti la CL (protrombina, fattore C4, fattore H) (79) .<br />
Nel fare la diagnosi di APS l’utilizzo del test ELISA per anti-ß 2 GP1 (descritto<br />
precedentemente), offre a nostro avviso alcuni vantaggi:<br />
1. permette di quantificare gli anti-ß 2 GP1 specie-specifici, cioè capaci<br />
di riconoscere la ß 2 GP1 umana e non quella bovina<br />
2. non rileva gli aCL autentici che non sono associati alle APS ma a<br />
patologie di tipo infettivo.<br />
Nel nostro laboratorio solitamente il plasma positivo in ELISA aCL stan<strong>da</strong>rd<br />
viene testato anche in ELISA per anti-ß 2 GP1 umana soprattutto se il campione<br />
è risultato LA negativo secondo lo schema riportato nella Fig.7.<br />
Se il dosaggio risulta positivo a medio-alto titolo (>40 unità) anche a<br />
distanza di 6 settimane, facciamo diagnosi di APS.<br />
Nonostante la buona correlazione esistente fra ELISA anti-ß 2 GP1 ed aCL<br />
spesso troviamo campioni che mostrano dei risultati discor<strong>da</strong>nti.<br />
ELISA anti-ß 2 GP1<br />
bovina<br />
aCL + (LA -)<br />
ELISA anti-ß 2 GP1<br />
umana<br />
negativo positivo<br />
ELISA a CL<br />
modificato<br />
ELISA proteine leganti la CL<br />
(protrombina, Fattore H,<br />
Fattore C4, etc.)<br />
Figura 7. Schema per lo studio degli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> in presenza<br />
di aCL positivi e LA negativo.<br />
73
74<br />
Se il test ELISA anti-ß 2 GP1 risulta negativo, procediamo <strong>da</strong>pprima<br />
nell’escludere la presenza di <strong>anticorpi</strong> aCL di tipo infettivo testando il campione<br />
con un’ ELISA aCL modificato (cioè utilizzando tamponi privi di<br />
ß 2 GP1). Ripetiamo poi l’ELISA a-ß 2 GPI utilizzando come antigene la<br />
ß 2 GP1 bovina, poiché sono state dimostrate in letteratura anche positività<br />
specie-specifiche (80) . Infine procediamo nella ricerca di <strong>anticorpi</strong> diretti contro<br />
altre proteine leganti i fosfolipidi (Fig. 8). Per fare la diagnosi di APS, la<br />
nostra esperienza ci suggerisce di affiancare il test ELISA anti-ß 2 GP1 ai test<br />
convenzionali (ELISA aCL, LA) e di testare anche i soggetti che possiedono<br />
le caratteristiche cliniche tipiche della sindrome, ma che risultano negativi<br />
ai test classici. La diagnosi basata solamente sulla positività in ELISA aCL,<br />
in mancanza di anti-ß 2 GP1 ed LA, potrebbe infatti indurre ad una sovrastima<br />
dei pazienti con APS (81) .<br />
Sicuramente la realizzazione della stan<strong>da</strong>rdizzazione del test e di studi prospettici<br />
longitudinali aiuterà a chiarire il ruolo di questi <strong>anticorpi</strong> nella pratica<br />
clinica.<br />
Figura 8. A) SDS-PAGE relativo alle proteine leganti la CL, oltre all’albumina<br />
(66kDa), alla ß2-GP1 (50kDa) ed alle IgG (150kDa), sono evidenti 3<br />
bande ad elevato peso molecolare; B) SDS-PAGE delle tre proteine isolate;<br />
C) identificazione mediante Western blot del componente C4 del complemento<br />
(1) e del Fattore H (2).
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4. Anticorpi antiprotrombina:<br />
diagnosi di laboratorio<br />
Monica Galli<br />
U.S. Emostasi e Trombosi, U.O. Ematologia,<br />
Ospe<strong>da</strong>li Riuniti, Bergamo<br />
Introduzione<br />
La prima descrizione degli <strong>anticorpi</strong> antiprotrombina (aPT) risale al 1959,<br />
quando Loeliger riportò il caso di un paziente il cui anticoagulante tipo<br />
lupus (LAC) era più evidente nella miscela con plasma normale di controllo<br />
che nel plasma del paziente stesso (1) . Il livello plasmatico della protrombina<br />
era ridotto. Loeliger dimostrò che la protrombina era necessaria per<br />
l’espressione dell’attività LAC del paziente. Successivamente, fu descritto<br />
un altro caso di LAC associato a severa ipoprotrombinemia e a manifestazioni<br />
emorragiche importanti (2) . Negli anni successivi furono descritti numerosi<br />
casi di LES con manifestazioni emorragiche, associate alla presenza<br />
di LAC e di ipoprotrombinemia.<br />
Tipicamente, si osservava la riduzione sia dell’antigene, sia dell’attività della<br />
protrombina.<br />
Negli anni ‘80 fu dimostrato che l’ipoprotrombinemia dei pazienti con LAC<br />
era causata <strong>da</strong>lla presenza di <strong>anticorpi</strong> non neutralizzanti, che legavano la<br />
protrombina senza inibirne la conversione in trombina (3) . Fu ipotizzato che<br />
l’ipoprotrombinemia fosse conseguente alla rapi<strong>da</strong> eliminazione <strong>da</strong>l circolo<br />
dei complessi protrombina-antiprotrombina. Nel 1984 Edson et al. (4) dimostrarono<br />
la presenza di <strong>anticorpi</strong> antiprotrombina (aPT) nel plasma di<br />
pazienti LAC-positivi senza ipoprotrombinemia severa. Fleck et al. (5) studiarono<br />
42 pazienti LAC-positivi, riscontrando la presenza di aPT in 31 di essi<br />
(74%), 15 dei quali presentavano l’allungamento del tempo di protrombina.<br />
Questi ricercatori conclusero, sulla base di esperimenti di assorbimento del<br />
plasma con protrombina insolubile, che questi <strong>anticorpi</strong> LAC erano polispecifici,<br />
poichè reagivano sia con la protrombina, sia con i fosfolipidi a carica<br />
netta negativa.<br />
81
82<br />
Proprietà immunologiche e siti di riconoscimento antigenico<br />
Gli aPT si legano alla protrombina immobilizzata su piastre di polistirene<br />
gammairradiate (6) , oppure di PVC altamente attivate (7, 8) , ma non su piastre<br />
di polistirene normale. In queste condizioni, la loro prevalenza è di circa il<br />
50% dei pazienti con <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong> (aPL). Sia la protrombina<br />
umana, sia quella bovina sono abitualmente riconosciute, anche se quella<br />
umana è un antigene migliore (6, 9) .<br />
La protrombina è riconosciuta in modo più efficiente quando è legata,<br />
mediante ioni calcio, alla fosfatidilserina immobilizzata sulle piastre ELISA:<br />
la prevalenza degli aPT sale a circa il <strong>90</strong>% (7) .<br />
Ciò può avere diverse spiegazioni. In primo luogo, il legame alla fosfatidilserina<br />
può permettere un orientamento ed una concentrazione migliori,<br />
favorendo, perciò, il legame anticorporale. Inoltre, la fosfatidilserina in fase<br />
soli<strong>da</strong> può legare, mediante gli ioni calcio, i complessi protrombina-aPT<br />
eventualmente circolanti. Infine, non si può escludere che gli aPT interagiscono<br />
con neoepitopi che la protrombina espone solo a seguito del legame<br />
con la fosfatidilserina.<br />
Attualmente, non è del tutto chiaro se gli aPT siamo <strong>anticorpi</strong> a bassa affinità<br />
oppure siano diretti contro neo-epitopi della protrombina.<br />
A favore della prima possibilità sta l’osservazione che la protrombina modifica<br />
la sua conformazione tridimensionale a seguito del legame calciomediato<br />
con superfici contenenti fosfatidilserina.<br />
A favore della secon<strong>da</strong> vi sono i <strong>da</strong>ti di Field et al. (10) , che hanno dimostrato<br />
che il legame delle IgG aPT alla protrombina è divalente, e richiede la presenza<br />
di entrambe le porzioni Fab. Esperimenti di cinetica di legame condotti<br />
<strong>da</strong> Willems et al. (11) confermano che IgG aPT (ma non il loro frammento<br />
Fab1) formano complessi divalenti (o multivalenti) con la protrombina su<br />
una membrana contenente fosfatidilserina, aumentando, in tal modo, grandemente<br />
l’affinità della protrombina per la superficie fosfolipidica.<br />
Rauch et al. (12) hanno dimostrato che gli aPT riconoscono anche la protrombina<br />
legata alla fosfatidiletanolamina in fase esagonale, e che questo complesso<br />
neutralizza l’attività LAC. Nel nostro laboratorio abbiamo dimostrato<br />
che l’interazione della protrombina con la prevalenza di <strong>anticorpi</strong> IgG e IgM<br />
diretti contro il complesso calcio-mediato protrombina-fosfatidiletanolamina<br />
in fase esagonale è di circa il 70% (13) . Il legame era strettamente dipendente<br />
<strong>da</strong>lla presenza del calcio.<br />
L’epitopo riconosciuto <strong>da</strong>gli aPT non è ancora stato chiaramente definito.<br />
In due casi LAC-positivi con severa ipoprotrombinemia, Bajaj et al. (14) hanno<br />
dimostrato che il plasma reagiva non solo con la protrombina, ma anche<br />
con la pretrombina I (ovvero, il segmento carbossi-terminale della protrombina)<br />
e con la DIP-alfa-trombina (ovvero, il segmento carbossi-terminale<br />
della pretrombina 1). Al contrario, non venne rilevata reattività con il segmento<br />
amino-terminale della protrombina, nè della pretrombina 1, nè con l<br />
a trombina. Malia et al. (15) hanno confermato che gli aPT reagiscono con la<br />
protrombina ed il suo frammento 1-2, ma non con la trombina.<br />
È probabile che la maggioranza degli aPT sia di natura poli-od oligo-clonale.<br />
Puurunen et al. (16) hanno dimostrato che gli aPT cross-reagiscono con il<br />
plasminogeno in un gruppo di pazienti con infarto miocardico. Studi di inibizione<br />
hanno dimostrato che il legame anticorporale alla protrombina poteva<br />
essere impedito <strong>da</strong>lla protrombina, <strong>da</strong>l plasminogeno e <strong>da</strong> peptidi sintetici<br />
di entrambe le proteine in fase flui<strong>da</strong>.<br />
Questi ricercatori hanno ipotizzato che gli aPT, cross-reagendo con il plasminogeno,<br />
possono interferire con la via fibrinolitica.
Dosaggio aPT<br />
Inizialmente, vennero usate metodiche di doppia immunodiffusione o di<br />
cross-immunoelettroforesi, che hanno il vantaggio di identificare i complessi<br />
protrombina/aPT. Questi tests, tuttavia, non <strong>da</strong>nno nessuna stima quantitativa<br />
degli aPT. Inoltre, in alcuni casi il titolo o l’affinità anticorpale sono<br />
troppo bassi per <strong>da</strong>re linee di precipitazione chiare.<br />
I test ELISA sono attualmente i più usati per l’identificazione degli aPT (6-8) .<br />
Di seguito viene indicata la metodica di impiego comune nel nostro laboratorio<br />
per il dosaggio degli aPT di isotipo G e M. Si sottolinea che si tratta di<br />
una metodica “in-house”.<br />
Materiali:<br />
• piastre ELISA Titertek in PVC altamente attivato (ICN-Flow);<br />
• protrombina umana (Stago);<br />
• <strong>anticorpi</strong> di coniglio coniugati con perossi<strong>da</strong>si anti-IgG ed anti-IgM<br />
umane (DAKO);<br />
• tampone carbonato, pH 9.6;<br />
• tampone di lavaggio (Tris 50 mM, NaCl 120 mM, pH 7.4,<br />
contenente 0.05% Tween 20);<br />
• tampone di diluizione dei campioni e degli <strong>anticorpi</strong> coniugati<br />
(Tris 50 mM, NaCl 120 mM, pH 7.4, contenente 0.05% Tween 20 e<br />
BSA 1%);<br />
• soluzione cromogenica: preparare una soluzione di substrato cromogenico<br />
TMB (Sigma) 6 mg/ml in DMSO, diluirne 418 µl in 25 ml di tampone acetato,<br />
a cui si aggiungono 10 µl di acqua ossigenata 10 vol;<br />
• acido solforico 4N;<br />
•lettore di piastre ELISA.<br />
Metodo:<br />
• seminare in ogni pozzetto di una piastra ELISA 50 µl di soluzione di<br />
protrombina 10 µl/ml in tampone carbonato ed incubare per tutta la notte<br />
a + 4 C°. I successivi passaggi sono eseguiti tutti a temperatura ambiente;<br />
• lavare la piastra 1 volta con tampone di lavaggio (100 µl/pozzetto);<br />
• incubare la piastra per 1 ora con tampone di diluizione (150 µl/pozzetto)<br />
per il blocco del legame aspecifico;<br />
• lavare la piastra 2 volte con tampone di lavaggio (100 µl/pozzetto);<br />
• incubare per 1 ora i campioni (50 µl/pozzetto, in doppio) diluiti 1:100<br />
in tampone di diluizione;<br />
• lavare la piastra 4 volte con tampone di lavaggio (100 µl/pozzetto);<br />
• incubare per 1 ora gli <strong>anticorpi</strong> coniugati diluiti in tampone di diluizione<br />
(50 µl/pozzetto) (per la diluizione degli <strong>anticorpi</strong> coniugati debbono essere<br />
seguite le indicazioni della ditta produttrice);<br />
• lavare la piastra 4 volte con tampone di lavaggio (100 µl/pozzetto);<br />
• seminare il substrato cromogenico (100 µl/pozzetto) ed incubare finchè<br />
un controllo positivo abbia raggiunto una OD di circa 1;<br />
• bloccare la conversione del substrato cromogenico con acido solforico<br />
(50 µl/pozzetto);<br />
• leggere a 450 nm di lunghezza d’on<strong>da</strong>.<br />
Poichè non esistono stan<strong>da</strong>rd di riferimento, si consiglia di seminare in ogni<br />
piastra almeno 8 controlli normali ed almeno 3 controlli patologici.<br />
I campioni vengono considerati positivi quando la loro OD supera di almeno<br />
2 deviazioni stan<strong>da</strong>rd la media degli 8 controlli negativi inseriti in ogni<br />
piastra.<br />
Attualmente, non sono ancora a disposizione kits commerciali per l’identificazione<br />
di questi <strong>anticorpi</strong>.<br />
83
84<br />
Attività anticoagulante<br />
Rilevanza clinica<br />
Fisiopatologia della trombosi<br />
L’attività LAC nel plasma è, in genere, causata <strong>da</strong>ll’effetto combinato degli<br />
aPT e di un altro tipo di anticorpo antifosfolipide (aPL), gli <strong>anticorpi</strong> antiß<br />
2 glicoproteina 1 (17) . Tuttavia, in una minoranza di pazienti, essa è prodotta<br />
esclusivamente <strong>da</strong>lla presenza degli aPT. L’attività LAC degli aPT si esercita<br />
nel plasma umano, ma non in quello animale (18) . L’origine di questa specie-specificità<br />
non è chiara.<br />
Studi condotti in sistemi purificati della coagulazione hanno dimostrato che<br />
gli aPT interferiscono con l’attivazione della protrombina <strong>da</strong> parte del complesso<br />
del fattore Xa e Va attivato su una superficie fosfolipidica anionica<br />
artificiale (18) o piastrinica (19) in presenza di ioni calcio. L’attività anticoagulante<br />
si esercitava sulla protrombina di origine umana ma non di quella<br />
bovina, ed era indipendente <strong>da</strong>lla fonte umana o bovina dei fattori Xa e Va.<br />
In presenza di fosfolipidi, calcio e protrombina gli aPT interferiscono anche<br />
con l’attivazione del fattore X <strong>da</strong> parte del complesso dei fattori IX e <strong>VI</strong>IIa (20) .<br />
Alcuni aPT non hanno attività anticoagulante e, quindi, possono essere evidenziati<br />
solo mediante tests immunoenzimatici. Fino ad ora, non è ancora<br />
stata <strong>da</strong>ta spiegazione all’esistenza di aPT che differiscono per le loro proprietà<br />
anticoagulanti.<br />
Per rispondere alla doman<strong>da</strong> se la misurazione degli aPT debba essere<br />
inserita nello screening dei pazienti con sindrome <strong>da</strong> <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong>,<br />
abbiamo eseguito una ricerca della letteratura pubblicata in inglese <strong>da</strong>l<br />
1992 al 2001 (21) . Abbiamo trovato 17 studi che fornivano o permettevano di<br />
calcolare l’Odds Ratio con il 95% intervallo di confidenza degli aPT per le<br />
trombosi venose ed arteriose in 2352 casi e 611 controlli.<br />
Nonostante il grande numero di pazienti e di associazioni con le trombosi,<br />
il disegno retrospettivo della maggior parte degli studi disponibili non ci ha<br />
permesso di giungere ad una chiara conclusione rispetto alla rilevanza clinica<br />
degli aPT. La mancanza di una documentazione oggettiva della trombosi,<br />
della sequenza temporale tra la misurazione degli <strong>anticorpi</strong> e il verificarsi<br />
dell’evento, e di un gruppo di controllo riducono grandemente il livello<br />
di evidenza degli studi retrospettivi. Inoltre, gli studi erano troppo eterogenei<br />
per permettere una meta-analisi.<br />
Con queste limitazioni, la nostra rivisione sistematica ha dimostrato che 18<br />
associazioni con le trombosi su 43 (42%) erano significative. In particolare,<br />
lo erano 3 di 12 associazioni con le trombosi arteriose, 7 di 16 con le trombosi<br />
venose ed 8 di 15 con qualunque tipo di trombosi. L’insieme di questi<br />
<strong>da</strong>ti non sembra sostenere l’utilità di misurare gli aPT nei pazienti aPL-positivi<br />
a particolare rischio trombotico.<br />
Gli aPT aumentano la generazione di trombina sulle cellule endoteliali (22)<br />
così come in un sistema dinamico (23) . Ciò è probabilmente causato<br />
<strong>da</strong>ll’effetto stabilizzante il legame della protrombina alle superfici procoagulanti<br />
e può suggerire la possibilità che gli aPT con attività anticoagulante<br />
abbiano un significato protrombotico. Tuttavia, in un altro sistema purificato<br />
gli aPT non si sono dimostrati capaci di aumentare la generazione di trombina<br />
in presenza di monociti e piastrine (24) .<br />
Apparentemente, gli aPT non interferiscono con due reazioni coagulative<br />
fosfolipide-dipendenti che regolano la cascata coagulativa: l’inibizione <strong>da</strong><br />
parte del TFPI (tissue factor pathway inhibitor) della generazione del fattore
Trattamento<br />
Xa indotta <strong>da</strong>l complesso fattore <strong>VI</strong>Ia/fattore tissutale (25) ; 2. l’inattivazione<br />
del fattore Va <strong>da</strong> parte del sistema della proteina C/proteina S (26). Tuttavia,<br />
questi esperimenti sono stati condotti in sistemi plasmatici ed i loro risultati<br />
non sono stati confermati in sistemi purificati della coagulazione.<br />
In conclusione, non è ancora chiaro se gli aPT siano rilevanti rispetto<br />
all’eziopatogenesi delle trombosi.<br />
In generale, gli aPT non richiedono trattamento, tranne che nei casi di manifestazioni<br />
emorragiche severe. Le condizioni che possono richiedere terapia<br />
sono gli interventi chirurgici, ed il sanguinamento muco-cutaneo o genito-urinario.<br />
La terapia di scelta sono gli steroidi (27, 28) . Sono stati usati con<br />
successo il metilprednisolone, 30 mg/kg/die per 3 giorni di seguito <strong>da</strong> prednisone,<br />
2 mg/kg/die per 14 giorni (28); la ciclofosfamide, 1 gr al giorno uno<br />
in combinazione con il prednisone, 1 mg/kg/die per un mese (27) . In caso di<br />
insuccesso, il <strong>da</strong>nazolo (29), le gammaglobuline ad alte dosi (30) , e la ciclofosfamide<br />
(29) sono state riportate avere un variabile grado di efficacia.<br />
Il trattamento delle trombosi solleva due tipi di problemi nei pazienti con<br />
aPT. L’eparina, gli anticoagulanti orali, gli antiaggreganti piastrinici possono<br />
aumentare il rischio emorragico causato <strong>da</strong>ll’ipoprotrombinemia. Perciò, è<br />
necessario essere cauti nel somministrare questi trattamenti.<br />
Sono in via di completameno diversi studi clinici multicentrici randomizzati,<br />
che stabiliranno la durata e l’intensità ottimali della terapia antitrombotica<br />
nei pazienti con PL (esempio, studio WAPS, ref. 31).<br />
L’altro aspetto è legato al controllo della terapia anticoagulante orale.<br />
La presenza degli aPT, associata ad un grado variabile di ipoprotrombinemia,<br />
potrebbe influenzare il risultato del tempo di protrombina calcolato<br />
mediante l’INR (International Normalized Ratio). In effetti, è stata riportata<br />
una variabile risposta delle tromboplastine del commercio alla presenza<br />
degli <strong>anticorpi</strong> <strong>antifosfolipidi</strong>, ed alcune di esse, in particolare quelle ricombinanti,<br />
sono risultate molto sensibili al LAC (32-34) . Uno studio multicentrico<br />
ha, però, dimostrato che la presenza di questi <strong>anticorpi</strong> non interferisce in<br />
modo significativo con il tempo di protrombina misurato con le tromboplastine<br />
comunemente usate in Italia nei pazienti LAC-positivi in terapia anticoagulante<br />
orale (35) .<br />
85
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