Porto Cesareo, Lecce - malachia
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PUBBLICATO DA:<br />
Associazione Naturalistica Malachia (A.N.M.)<br />
Registrata presso A.E. Roma in data 11/01/2012<br />
Sede Regionale Lazio: Via C. Fiamma 130 - 00175 Roma<br />
Sede Regionale Sardegna: Via Mameli 8 – 07026 Olbia (OT)<br />
Sede Regionale Lombardia: via Masaccio, 7 26027 Rivolta d'Adda (CR)<br />
Sede Regionale Campania: via P. Castellino n 51 80128 Napoli<br />
website: www. <strong>malachia</strong>.it<br />
e-mail address: info@<strong>malachia</strong>.it<br />
DIRETTORE RESPONSABILE: Domenico Ramazzotti<br />
VICE DIRETTORE RESPONSABILE: Raffaele Petrone<br />
RESPONSABILE COMITATO SCIENTIFICO:<br />
Malacologia: Edoardo Perna<br />
Astronomia: Roberto Mura<br />
Pubblicazione semestrale:<br />
Anno I numero 1 – 2012<br />
Copertina AcherontiaLab<br />
www.acherontia.it<br />
Versione on line su www.<strong>malachia</strong>.it<br />
Le versioni cartacee vanno richieste a redazione@<strong>malachia</strong>.it<br />
Supplementi ed allegati:<br />
serie<br />
I Quaderni di Malachia
Indice<br />
DANIELE TRONO. La malacofauna dell’Insenatura La Strea (<strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong>, <strong>Lecce</strong>)…………….…2<br />
RAFFAELE PETRONE. Micromolluschi delle Filippine - Parte I. …...……………………………….18<br />
CLAUDIO FANELLI. Un sito al giorno leva il ... dubbio di torno…………………………………….27<br />
ROBERTO MURA. La storia geologica della Luna…………………………………………………...43<br />
Il Notiziario di Malachia A. I n. 1 - 2012<br />
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Il Notiziario di Malachia A. I n. 1 - 2012<br />
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La malacofauna dell’Insenatura La Strea<br />
(<strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong>, <strong>Lecce</strong>)<br />
Daniele Trono<br />
Parole Chiave: Molluschi, checklist, La Strea, Mar Ionio<br />
Riassunto<br />
Ricevuto 20/06/2012<br />
Accettato 01/07/2012<br />
Viene fornito un elenco delle specie di molluschi viventi all’interno dell’insenatura de La Strea,<br />
a <strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong> (LE), dando una descrizione dell’ambiente e delle biocenosi presenti. I dati<br />
provengono dalla letteratura e da ricerche dell’Autore.<br />
Introduzione<br />
L’insenatura de La Strea si affaccia sul Golfo di Taranto, Mar Ionio; occupa la parte di costa a<br />
Sud Est del centro abitato di <strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong> (LE). È limitata nell’entroterra dalla linea di costa che,<br />
spostandosi verso Sud, va da P. <strong>Cesareo</strong> a S. Isidoro (LE), verso il mare da una lingua di terra lunga<br />
circa 1.5 Km, denominata penisola de La Strea. La comunicazione con il mare è assicurata da<br />
un’apertura, posta tra l’estremo lembo della suddetta penisola e l’isolotto detto “Lo Scoglio” (su cui<br />
sorge un ristorante), prospiciente il centro abitato di P. <strong>Cesareo</strong>. La profondità media è di 1.35 m,<br />
con punte di 2 m.<br />
Le biocenosi presenti sono essenzialmente cinque: biocenosi fotofile infralitorali di substrato<br />
duro e prateria di Posidonia oceanica nella parte esterna della penisola de La Strea; prateria mista a<br />
Caulerpa e Cymodocea nella parte centrale e nella zona compresa tra il fondo dell’insenatura e il<br />
centro abitato, con popolamenti nitrofili di substrato duro nella parte ad esso immediatamente<br />
prospiciente; associazioni fotofile e termofile di substrato duro e mobile, quest’ultimo caratterizzato<br />
da una bassa granulometria, dovuta al limitato idrodinamismo presente in questa zona (AA.VV.,<br />
1988).<br />
Una ricerca promossa dalla Regione Puglia e commissionata alle Università di <strong>Lecce</strong>, Modena e<br />
Pisa (AA.VV., 1988) ha investigato vari parametri, sia abiotici (temperatura, salinità, ossigeno<br />
disciolto, etc), sia biotici (plancton e benthos),<br />
dimostrando che l’insenatura de La Strea non<br />
presenta caratteristiche proprie di una laguna.<br />
Nonostante ciò la presenza di polle di acqua dolce, il<br />
limitato idrodinamismo e la scarsa comunicazione<br />
con il mare, fanno sì che, almeno la zona più interna,<br />
presenti caratteristiche particolari. Questo è<br />
testimoniato dalla presenza di tre organismi, un’alga,<br />
Anadyomene stellata (Agardh, 1823), un porifero,<br />
Geodia cydonium O. F. Mueller, 1798, e<br />
Foto 1: Holoturia impatiens
un’echinoderma, Holoturia impatiens (Forskaal, 1775), specie termofile ad affinità subtropicale<br />
(Parenzan P., 1983). (Foto1-4)<br />
Foto 2: Holoturia impatiens<br />
Foto 3: Anadiomene stellata<br />
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Foto 4: Associazione tra Holuturia impatiens e Anadiomene stellata.<br />
Dal 1997, anno di istituzione dell’Area Marina Protetta di <strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong> (D.M. 12 dicembre<br />
1997), l’area esterna la penisola, quella che si affaccia sul mare aperto, è zona A della suddetta<br />
AMP, mentre l’insenatura oggetto del presente lavoro è stata esclusa da tale protezione per l’intenso<br />
traffico diportuale dovuto alla presenza di tre darsene.<br />
L’accesso da terra sulla penisola è disagevole ma, nonostante ciò, la presenza umana è massiccia<br />
in special modo nel periodo estivo. Dal 2006 la penisola de La Strea fa parte della Riserva Naturale<br />
Orientata “Palude del Conte e Duna Costiera – <strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong>”, istituita con legge regionale della<br />
Regione Puglia 15 marzo 2006, n. 5. Tale legge istituisce in realtà una zona protetta terrestre ma,<br />
grazie a questa misura, è stato interdetto l’accesso alla penisola, salvaguardando quindi<br />
indirettamente anche la costa. È quindi particolarmente importante conoscere la consistenza delle<br />
popolazioni malacologiche al fine di verificare nel tempo le variazioni quali-quantitative che<br />
eventualmente possono verificarsi, soprattutto considerando l’importanza che i molluschi ricoprono<br />
come indicatori della salute delle biocenosi.<br />
Materiali e metodi<br />
La ricerca si è svolta nell’arco di circa 10 anni, dal 1995 al 2005 in modo non sistematico, con<br />
raccolta di detrito, spiaggiato e campionato a varie profondità e in diverse zone, lavaggio di alghe e<br />
immersioni in apnea e con autorespiratore.<br />
Si è inoltre tenuto conto delle specie raccolte dalla già citata campagna promossa dalla Regione<br />
Puglia (AA.VV., 1988), e da Parenzan (1984).
Per quanto riguarda la sistematica si è seguito il CLEMAM.<br />
Discussione<br />
Come detto, da circa tre anni la penisola de La Strea è riserva naturale, anche se solo da un anno<br />
sono state fattivamente prese misure atte ad interdire completamente l’accesso ed è stata apposta<br />
l’opportuna segnaletica.<br />
Appare quindi importante segnare un punto zero per verificare, negli anni, l’efficacia della tutela<br />
sulle popolazioni di molluschi presenti.<br />
In Tab. 1 sono comprese tutte le specie fino ad ora rinvenute nell’insenatura da Parenzan (1984),<br />
AA. VV. (1988) e dall’Autore; sono riportate la specie, la fonte, l’abbondanza relativa e<br />
l’indicazione degli esemplari rinvenuti viventi. Per quanto riguarda l’abbondanza essa è ricavata<br />
solo dall’incrocio dei dati personali dell’Autore con quelli di Cinelli et al., in quanto Parenzan<br />
(1984) non riporta dati di frequenza.<br />
La parte più interna dell’insenatura è soggetta a fenomeni estremi di marea, con momenti di<br />
totale emersione (Foto 5 e 6) in relazione alle basse maree ed è interessata da risorgive di acqua<br />
Foto 5: Durante la bassa marea la parte più interna dell’insenatura rimane emersa.<br />
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Foto 6: Durante la bassa marea la parte più interna dell’insenatura rimane emersa<br />
dolce, quindi gli organismi presenti sono caratterizzati da spiccate caratteristiche di euritermia ed<br />
eurialinità. In questa zona è dominante Cerastoderma glaucum (Poiret, 1789), raccolto<br />
massicciamente a scopo alimentare; nelle polle di acqua dolce (Foto 7)
Foto 7: Salicornieto con polle di acqua sorgiva.<br />
è abbondante Potamides conicus (Blainville, 1829) e sulle rocce litorali sono presenti in gran<br />
numero Cerithium lividulum Risso, 1826 e Osilinus articulatus (Lamarck, 1822) (Foto 8 e 9).<br />
Foto 8 e 9: Osilinus articulatus e Cerithium lividulum.<br />
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In condizioni normali di marea C. lividulum colonizza i primi centimetri di acqua, adagiato sul<br />
fondo sabbioso in centinaia di esemplari, O. articulatus occupa il suo abituale habitat, sulle rocce<br />
all’interfaccia aria-acqua; durante i frequenti abbassamenti del livello dell’acqua C. lividulum ha un<br />
comportamento peculiare: raggiunge O. articulatus condividendone l’habitat, forse cercando<br />
l’umidità residua delle nicchie negli scogli e del tappeto algale.<br />
A partire dalla zona centrale l’insenatura perde le caratteristiche lagunari grazie all’abbondante<br />
ricambio assicurato dall’ampia comunicazione con il mare aperto. In tale zona dominanti sono<br />
Tapes decussatus (Linnè, 1758) e Paphia aurea (Gmelin, 1791) con numerosi individui per metro<br />
quadro.<br />
Nella parte centrale dell’insenatura si rinviene Cerithium vulgatum Bruguiere, 1792 nella forma<br />
peculiare delle lagune (foto 10, 11 e 12).<br />
Foto 10, 11 e 12: Cerithium vulgatum
Posizione geografica di <strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong> e dell’Insenatura La Strea (Foto satellitari da Google Map).<br />
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Conclusioni<br />
Parenzan (1984) segnala 114 specie rinvenute nell’insenatura. Rimangono dubbi sulla<br />
segnalazione di Siphonium afrum (Gmelin, 1791) di cui lo stesso Parenzan (1970) fornisce questa<br />
descrizione: “Minuscolo vermetide, di 5 mm di apertura, noto per il mare dell’Africa occidentale<br />
fino al Gabon. Repertato sulla Costa Neretina (det. Nordsieck). Una costola prominente e molte<br />
strie longitudinali. Linee di accrescimento ondulate”.<br />
AA.VV. (1988) durante i campionamenti necessari alla loro indagine rinvengono 47 specie.<br />
Strana la segnalazione di Caecum glabrum (Montagu, 1803), molto probabilmente confuso con<br />
Caecum armoricum De Folin, 1869 (Panetta, 1980).<br />
Questa breve nota permette di portare il numero di specie viventi all’interno dell’insenatura a<br />
201, cui vanno eventualmente aggiunte alcuni cefalopodi di cui non si hanno a disposizione dati.<br />
Questo numero rappresenta circa il 26 % delle specie viventi nel Salento (Trono & Macrì, in<br />
lav.), ed è un dato considerevole, tenendo conto della limitatezza dell’area oggetto della ricerca e,<br />
conseguentemente, delle poche biocenosi presenti.<br />
Checklist<br />
Specie Fonte Frequenza<br />
PATELLIDAE<br />
Patella caerulea Linné, 1758 1 C<br />
Patella ulyssiponensis Gmelin, 1791<br />
FISSURELLIDAE<br />
1,2 C<br />
Diodora gibberula (Lamarck, 1822) 1,2 C<br />
Diodora italica (Defrance, 1820) 1 R<br />
Fissurella nubecula (Linné, 1758)<br />
HALIOTIDAE<br />
1 R<br />
Haliotis tuberculata tuberculata Linné, 1758<br />
TURBINIDAE<br />
1,2 C<br />
Bolma rugosa (Linneo, 1767) 1,2 R<br />
Homalopoma sanguineum (Linné, 1758)<br />
PHASIANELLIDAE<br />
1 R<br />
Tricolia tenuis (Michaud, 1829)<br />
TROCHIDAE<br />
1,3 R<br />
Clanculus corallinus (Gmelin, 1791) 1 C<br />
Clanculus cruciatus (Linné, 1758) 1 C<br />
Clanculus jussieui (Payraudeau, 1826) 1 R<br />
Gibbula adansonii adansonii (Payraudeau, 1826) 1,2 A<br />
Gibbula ardens (Von Salis, 1793) 1,2 C<br />
Gibbula divaricata (Linné, 1758) 1 PC<br />
Gibbula guttadauri (Philippi, 1836) 2<br />
Gibbula philberti (Récluz, 1843) 1 PC<br />
Gibbula racketti (Payraudeau, 1826) 1 PC<br />
Gibbula umbilicaris nebulosa (Philippi, 1848) 1 C<br />
Gibbula varia (Linné, 1758) 1 C<br />
Jujubinus exasperatus (Pennant, 1777) 2<br />
Jujubinus striatus striatus (Linné, 1758) 1 A<br />
Osilinus articulatus Lamarck, 1822 1 A<br />
Osilinus turbinatus (Von Born, 1778) 1 PC<br />
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CALLIOSTOMATIDAE<br />
Calliostoma laugieri (Payraudeau, 1826) 1 PC<br />
NERITIDAE<br />
Smaragdia viridis (Linné, 1758) 1,2 A<br />
RISSOIDAE<br />
Rissoa decorata Philippi, 1846 1 R<br />
Rissoa guerini Récluz, 1843 1,2 C<br />
Rissoa labiosa (Motagu, 1803) 1 R<br />
Rissoa similis Scacchi, 1836 1 C<br />
Rissoa variabilis (Von Muehlfeldt, 1824) 1 C<br />
Rissoa violacea Récluz, 1843 1,2 C<br />
Alvania cancellata (Da Costa, 1778) 1 C<br />
Alvania cimex (Linné, 1758) 1,2 R<br />
Alvania discors (Allan, 1818) 1 A<br />
Alvania hirta Monterosato, 1884 1 C<br />
Alvania lactea (Michaud, 1832) 1 PC<br />
Alvania lineata Risso, 1826 1 PC<br />
Alvania mamillata Risso, 1826 1 C<br />
Pusillina lineolata (Michaud, 1832) 1 PC<br />
BARLEEIDAE<br />
Barleia unifasciata (Montagu, 1803) 1 A<br />
CAECIDAE<br />
Caecum auriculatum De Folin, 1868 3 R<br />
Caecum trachea (Montagu, 1803) 3 PC<br />
Caecum glabrum (Montagu, 1803) 3 R<br />
HYDROBIIDAE<br />
Hydrobia acuta (Draparnaud, 1805) 1<br />
TORNIDAE<br />
Tornus subcarinatus (Montagu, 1803) 1,3 R<br />
CERITHIIDAE<br />
Bittium lacteum (Philippi, 1836) 1<br />
Bittium reticulatum (Da Costa, 1778) 1,2 A<br />
Cerithium lividulum Risso, 1826 1,2 A<br />
Cerithium vulgatum Bruguière, 1792 1,2 C<br />
POTAMIDIDAE<br />
Potamides conicus (de Blainville 1829) 1 A<br />
VERMETIDAE<br />
Petaloconchus glomeratus (Linné, 1758) 1,2 R<br />
Serpulorbis arenaria (Linné, 1767) 2<br />
Vermetus semisurrectus Bivona Ant., 1832 1 R<br />
Vermetus sp. 2<br />
Siphonium afrum (Gmelin, 1791) 2<br />
LITTORINIDAE<br />
Melaraphe neritoides (Linné, 1758) 1,2 A<br />
TRUNCATELLIDAE<br />
Truncatella subcylindrica (Linné, 1767) 1 A<br />
FOSSARIDAE<br />
Fossarus ambiguus (Linné, 1758) 1 R<br />
CYPRAEIDAE
Luria lurida (Linné, 1758) 1,2 PC<br />
TRIVIIDAE<br />
Trivia pulex (Solander in Gray, 1828) 1 PC<br />
NATICIDAE<br />
Espira guillemini (Payraudeau, 1826) 1,2,3 R<br />
Natica hebraea (Martyn, 1784) 1,2 PC<br />
Natica stercusmuscarum (Gmelin, 1791) 1,2,3 PC<br />
Neverita josephinia Risso, 1826 3 R<br />
Tectonatica rizzae (Philippi, 1844) 3 R<br />
CERITHIOPSIDAE<br />
Cerithiopsis minima (Brusina, 1865) 3 R<br />
TRIPHORIDAE<br />
Monophorus perversus (Linné, 1758) 2<br />
EPITONIIDAE<br />
Epitonium commune (Lamarck, 1822) 1 R<br />
Epitonium pulchellum (Bivona Ant., 1832) 1 R<br />
Gyroscala lamellosa (Lamarck, 1822) 2<br />
MURICIDAE<br />
Bolinus brandaris (Linné, 1758) 1,2,3 C<br />
Dermomurex scalaroides (Blainville, 1829) 2<br />
Hexaplex trunculus (Linné, 1758) 1,2 A<br />
Muricopsis cristata (Brocchi, 1814) 1,2 R<br />
Ocinebrina aciculata (Lamarck, 1822) 2<br />
Ocinebrina edwardsii (Payraudeau, 1826) 1,2 PC<br />
Orania fusulus (Brocchi, 1814) 2<br />
Typhinellus labiatus (Cristofori & Jan, 1832) 1 R<br />
CORALLIOPHILIDAE<br />
Coralliophila meyendorffii (Calcara, 1845) 1 R<br />
BUCCINIDAE<br />
Engina leucozona (Philippi, 1843) 1 R<br />
Pisania striata (Gmelin, 1791) 1,2 C<br />
Pollia dorbignyi (Payraudeau, 1826) 1,2 PC<br />
BUCCINIDAE<br />
Euthria cornea (Linné, 1758) 1,2 PC<br />
Colubraria reticulata (Blainville, 1826) 1 R<br />
COLUMBELLIDAE<br />
Columbella rustica (Linné, 1758) 1,2 A<br />
Mitrella minor (Scacchi, 1836) 1 PC<br />
Mitrella scripta (Linné, 1758) 2<br />
NASSARIIDAE<br />
Cyclope neritea (Linné, 1758) 1,2 A<br />
Cyclope pellucida Risso, 1826 1,2 A<br />
Nassarius corniculus (Olivi, 1792) 2<br />
Nassarius cuvierii (Payraudeau, 1826) 1,2 A<br />
Nassarius incrassatus (Stroem, 1768) 1,2 A<br />
Nassarius mutabilis (Linné, 1758) 1,2,3 C<br />
Nassarius nitidus (Jeffreys, 1867) 1 C<br />
Nassarius unifasciatus (Kiener, 1835) 2<br />
FASCIOLARIIDAE<br />
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Fasciolaria lignaria (Linné, 1758) 1,2 R<br />
Fusinus syracusanus (Linné, 1758) 1,2 R<br />
CYSTISCIDAE<br />
Gibberula miliaria (Linné, 1758) 1,2 C<br />
Gibberula philippi (Monterosato, 1878) 1,3 C<br />
Granulina boucheti Gofas, 1992 1 C<br />
Granulina marginata (Bivona, 1832) 2,3 R<br />
MARGINELLIDAE<br />
Volvarina mitrella (Risso, 1826) 2<br />
MITRIDAE<br />
Mitra cornicula (Linné, 1758) 1,2 PC<br />
COSTELLARIIDAE<br />
Vexillum ebenus (Lamarck, 1811) 1,2 PC<br />
Vexillum littorale (Forbes, 1844) 1 R<br />
Vexillum tricolor (Gmelin, 1790) 1 PC<br />
TURRIDAE<br />
Haedropleura septangularis (Montagu, 1803) 2 R<br />
CONIDAE<br />
Bela laevigata (Philippi, 1836) 1,3 R<br />
Bela menkhorsti Van Aartsen, 1988 2,3 R<br />
Conus mediterraneus Hwass in Bruguière, 1792 1,2,3 C<br />
Mangelia multilineolata (Deshayes, 1835) 1 PC<br />
Mangelia taeniata (Deshayes, 1835) 1,3 R<br />
Mangelia unifasciata (Deshayes, 1835) 1,3 R<br />
Mangelia vauquelini (Payraudeau, 1826) 1 C<br />
Raphitoma concinna (Scacchi 1836) 3 R<br />
Raphitoma echinata (Brocchi, 1814) 2<br />
Raphitoma linearis (Montagu, 1803) 1 PC<br />
PYRAMIDELLIDAE<br />
Odostomia turriculata Monterosato, 1869 1 R<br />
ACTEONIDAE<br />
Acteon tornatilis (Linné, 1758) 2<br />
RINGICULIDAE<br />
Ringicula conformis Monterosato, 1877 1,2 PC<br />
BULLIDAE<br />
Bulla striata Bruguière, 1792 1,2,3 C<br />
RETUSIDAE<br />
Cylichnina umbilicata (Montagu, 1803) 1,3 R<br />
Retusa leptoeneilema (Brusina, 1866) 1 R<br />
Retusa mammillata (Philippi, 1836) 3 R<br />
Retusa truncatula (Bruguière, 1792) 1,2<br />
Volvulella acuminata (Bruguière, 1792) 3 R<br />
APLYSIIDAE<br />
Aplysia sp. 2<br />
NOTARCHIDAE<br />
Notarchus punctatus Philippi 1836 1 R<br />
ELLOBIIDAE<br />
Auriculinella bidentata (Montagu, 1808) 1 R<br />
Ovatella firmini (Payraudeau, 1826) 1 R
Myosotella myosotis (Draparnaud, 1801) 1 R<br />
TRIMUSCULIDAE<br />
Trimusculus mammillaris (Linné, 1758) 1 PC<br />
BIVALVIA<br />
NUCULIDAE<br />
Nucula nucleus (Linné, 1758) 2<br />
NUCULANIDAE<br />
Nuculana pella (Linné, 1758) 1 R<br />
ARCIDAE<br />
Arca noae (Linné, 1758) 1,2 PC<br />
NOETIDAE<br />
Striarca lactea (Linné, 1758) 1,2,3 R<br />
GLYCYMERIDIDAE<br />
Glycymeris glycymeris (Linné, 1758) 1,2,3 R<br />
MYTILIDAE<br />
Lithophaga lithophaga (Linné, 1758) 1 R<br />
Modiolus barbatus (Linné, 1758) 1,2 R<br />
Mytilaster solidus Monterosato, 1872 ex Martin H. ms. 1 C<br />
Mytilus galloprovincialis Lamarck, 1819 1 R<br />
PINNIDAE<br />
Pinna nobilis (Linné, 1758) 1,2 A<br />
LIMIDAE<br />
Lima hians (Gmelin, 1791) 2<br />
Lima lima (Linné, 1758) 1 PC<br />
OSTREIDAE<br />
Ostrea edulis (Linné, 1758) 1,2 C<br />
PECTINIDAE<br />
Chlamys glabra (Linné, 1758) 1,2 C<br />
Chlamys varia (Linné, 1758) 1,2 PC<br />
ANOMIIDAE<br />
Anomia ephippium (Linné, 1758) 1,2 PC<br />
LUCINIDAE<br />
Ctena decussata (Costa O.G., 1829) 1,2,3 PC<br />
Loripes lacteus (Linné 1758) 1,2,3 A<br />
Lucinella divaricata (Linné, 1758) 2,3 C<br />
CARDITIDAE<br />
Cardita calyculata (Linné, 1758) 1 PC<br />
Glans trapezia (Linné, 1758) 2<br />
Venericardia antiquata (Linné, 1758) 1,2,3 C<br />
KELLIIDAE<br />
Bornia sebetia (Costa O.G., 1829) 1,2,3 R<br />
Kellia suborbicularis (Montagu, 1803) 3 R<br />
LASAEIDAE<br />
Hemilepton nitidum (Turton, 1822) 3 R<br />
MONTACUTIDAE<br />
Tellimya ferruginosa (Montagu, 1808) 3 R<br />
Mysella bidentata (Montagu, 1803) 3 R<br />
ASTARTIDAE<br />
Goodallia triangularis (Montagu, 1803) 3 A<br />
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CARDIIDAE<br />
Acanthocardia paucicostata (Sowerby G.B. II, 1841) 1 R<br />
Acanthocardia tuberculata (Linné, 1758) 1,2 A<br />
CARDIIDAE 1 R<br />
Cerastoderma glaucum (Linné, 1758) 1,2 A<br />
Parvicardium exiguum (Gmelin, 1791) 1,2 R<br />
Parvicardium minimum (Philippi, 1836) 3 R<br />
Parvicardius scriptum ((Bucquoy, Dautzenberg & Dollfus, 1892) 1 R<br />
Papillicardium papillosum (Poli, 1795) 2<br />
MACTRIDAE<br />
Mactra stultorum (Linné, 1758) 1 PC<br />
Spisula subtruncata (Da Costa, 1778) 1,2,3 PC<br />
TELLINIDAE<br />
Gastrana fragilis (Linné, 1767) 2<br />
Tellina balaustina (Linné, 1758) 1 PC<br />
Tellina distorta Poli, 1791 1,3 R<br />
Tellina donacina (Linné, 1767) 3 C<br />
Tellina fabula Gmelin, 1791 2<br />
Tellina incarnata (Linné, 1761) 1,2 C<br />
Tellina planata (Linné, 1767) 1,2 C<br />
Tellina tenuis Da Costa, 1778 2<br />
SCROBICULARIIDAE<br />
Scrobicularia cottardi (Payraudeau, 1826) 1,2 R<br />
SEMELIDAE<br />
Abra alba (Wood W., 1802) 2<br />
PSAMMOBIIDAE<br />
Psammobia depressa (Pennant, 1777) 1 R<br />
Psammobia fervensis (Gmelin, 1791) 1,3 R<br />
SOLECURTIDAE<br />
Solecurtus strigilatus (Linné, 1767) 1,2 C<br />
DONACIDAE<br />
Capsella variegata (Gmelin 1791) 3 R<br />
Donax semistriatus Poli, 1795 1,2 R<br />
Donax venustus Poli, 1795 1 R<br />
VENERIDAE<br />
Callista chione (Linné, 1758) 1 A<br />
Chamelea gallina (Linné, 1758) 1,3 C<br />
Dosinia lupinus (Linné, 1758) 1,3 PC<br />
Gouldia minima (Montagu, 1803) 1,2,3 PC<br />
Irus irus (Linné, 1758) 1,2,3 R<br />
Venerupis aurea (Gmelin 1791) 1,2 A<br />
Venerupis senegalensis (Gmelin 1791) 1,2 C<br />
Tapes decussatus (Linné, 1758) 1,2 A<br />
Venus verrucosa Linné, 1758 1,2 A<br />
PETRICOLIDAE<br />
Mysia undata (Pennant, 1777) 2<br />
Petricola lajonkairii (Payraudeau, 1826) 1 R<br />
Petricola lithophaga (Retzius, 1786) 1 R<br />
CORBULIDAE
Corbula gibba (Olivi, 1792) 3 PC<br />
HIATELLIDAE<br />
Hiatella arctica (Linné, 1767) 1 R<br />
THRACIIDAE<br />
Thracia papyracea (Poli, 1791) 1 R<br />
Legenda: 1: Coll. Trono; 2: Parenzan, 1985; 3: AA. VV., 1988 R: rara 1-3 es; PC: 4-10 es.; C:<br />
11-20 es; A: > 20 es<br />
Le specie in grassetto sono state rinvenute viventi.<br />
Ringraziamenti<br />
Ringrazio Italo Nofroni e il Dott. Paolo D’Ambrosio (Direttore della AMP <strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong>) per le utili<br />
informazioni e Domenico Ramazzotti per la composizione delle tavole.<br />
Bibliografia<br />
AA.VV., .Studio Ecologico dell’area marina di <strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong>. Congedo Editore. 138 pp.<br />
CLEMAM (Check List of European Marine Mollusca);<br />
URL: www.somali.asso.fr/clemam/index.php<br />
Panetta P., 1980. La famiglia Caecidae nel Mediterraneo. Bollettino Malacologico, 16 (7-8): 277-<br />
300<br />
Parenzan P., 1970. Carta d’identità delle conchiglie del Mediterraneo. Vol. 1 Gasteropodi. Bios<br />
Taras, Taranto. 283 pp.<br />
Parenzan P., 1984. L’insenatura della Strea di <strong>Porto</strong> <strong>Cesareo</strong>. Thalassia Salentina, 14: 28-38<br />
Trono D. & Macrì G.. Trono, 2006: errata corrige e nuovi dati. In stampa.<br />
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Introduzione:<br />
Micro conchiglie delle Filippine<br />
Parte I<br />
Raffaele Petrone<br />
Ricevuto il 10/07/2012<br />
Approvato il 15/07/2012<br />
Questo è il primo dei lavori dove tratterò varie specie di piccole dimensioni che riguardano<br />
alcune famiglie, quali Rissoidae, Turridae, Columbellidae, Triphoridae, ecc. Non è un lavoro<br />
scientifico basato sullo studio del mollusco della radula o del DNA, anche perché non ho ne le<br />
competenze ne gli strumenti adatti per questo tipo di studio. Mi limito a descrivere (anche attraverso<br />
lavori già esistenti) e fare delle osservazioni per rendere più facile la determinazione di queste<br />
micro conchiglie, quindi lo scopo è di far meglio conoscere queste piccole e affascinanti conchiglie<br />
attraverso una più chiara trattazione correlata da fotografie perlomeno corrispondenti alla<br />
descrizione (visto che con l’avvento di internet si è creato un po’ di confusione).<br />
Sto esaminando centinaia di micro conchiglie di conseguenza descriverò quelle che prima<br />
riuscirò a classificare. Non prenderò in esame una famiglia per volta ma diverse famiglie, partendo<br />
da quelle di più facile determinazione. Questo lavoro si è realizzarlo grazie all’amico Luciano<br />
Petruccioli, che tornato dalle Filippine, mi ha fornito le conchiglie per lo studio.<br />
Il materiale è stato dragato dai pescatori locali a circa 50 metri di profondità, a largo di<br />
Aliguay una piccolissima isola al centro delle Filippine (vedi foto)<br />
purtroppo non è stato possibile sapere su quali sedimenti è stato raccolto, Aliguay comunque è un<br />
isola con spiagge sabbiose, e fondale corallino.<br />
Superfamiglia: Conoidea<br />
Famiglia: Raphitomidae Genere: Microdaphne McLean, 1971<br />
Microdaphne morrisoni Rehder, 1980<br />
OIotipo: USNM 758.390 [Raroia, Tuamotus]<br />
Conchiglia: piccola 2 - 3 mm di altezza, elongata e fusiforme con i giri a spalla angolata, e una<br />
serie di noduli spinosi su tutta la superficie della teleoconca.
Protoconca: di un giro e mezzo papillata di color marroncina; a forte ingrandimento si osservano<br />
circa 8 cordoncini spirali intersecate da numerose costolature assiali che formano una reticolatura<br />
quadrangolare.<br />
(Protoconca dell’olotipo)<br />
Teloconca: formata da sei giri convessi con sutura distinta, con costole assiali e cordini spirali che<br />
formano una scultura clatrata spinosa, tre serie di spine per ogni giro di cui la prima più grande e la<br />
seconda e terza più piccole distanti dalla prima.<br />
Il colore varia dal giallo vitreo al grigio bianco con occasionalmente delle macchie sparse rostrate, e<br />
la riga periferica di spine spesso bianca opaco.<br />
Il seno del labbro esterno dietro la sutura è come una U profonda e arrotondata, con una forte<br />
varice spinosa dietro il bordo. Nel labbro interno sono visibili 6 dentelli; il canale anteriore è<br />
moderatamente lungo.<br />
Distribuzione: conosciuta dalle Isole Tuamotus alle Filippine, non troppo comune<br />
Discussione: Conchiglia spesso confusa con Microdaphne trichodes Dall, 1919 (vedi bibliografia)<br />
che è specie simile, dalla quale si differenzia per la protoconca, per il giro della spalla meno<br />
angolata e dalle spine meno pronunciate. La distribuzione dovrebbe essere ridotta dal Sud della<br />
California alle Galapagos.<br />
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Superfamiglia: Conoidea<br />
Famiglia: Horaiclavidae Genere: Carinapex Dall, 1924<br />
Carinapex minutissima (Garrett, 1873)<br />
Sinonimo: Drillia minutissima Garrett, 1873<br />
Conchiglia: di 3 mm, clavifore minuta, solida, spira con andamento rettilineo moderatamente alta,<br />
di colore marroncino percossa da noduli.<br />
Protoconca: è molto grande con 3 giri e mezzo con apice liscio e bombato. La scultura è di due<br />
spire distanti con granuli ravvicinati.<br />
Teloconca: di 4 giri con costole assiali arrotondate e divise in due noduli da un solco profondo. I<br />
noduli apicali sono generalmente arrotondati, mentre quelli sub-apicali sono più allungati inoltre i<br />
noduli apicali spesso non sono in ordine nella spirale, si notano 4 cordoni spirali alla base della<br />
columella.<br />
Il seno è profondo posto sotto un callo parietale sub suturale massiccio, apertura stretta e ovale il<br />
labbro esterno è sottile e internamente non ci sono dentelli.
L’opercolo è a forma di foglia con nucleo apicale.<br />
Distribuzione: Pacifico, dalle Filippine alle isole Marchesi, comune<br />
Discussione: I campioni delle Filippine sembrano essere più grandi di quelli delle Isole Marchesi.<br />
Specie affine è Carinapex papillosus (Garrett, 1873) che sarà descritto prossimamente.<br />
Carinapex minutissima<br />
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Superfamiglia: Triphoroidea<br />
Famiglia: Triphoridae Gray, 1847 Subfamiglia: Triphorinae Gray, 1847<br />
Sinonimi: Mastonia triticea auct.<br />
Triphoris triticea Pease, 1861<br />
Triphoris crassula Martens, 1880<br />
OIotipo: B.M.(N.H.) Reg. N° 1962844<br />
Genere: Opimaphora Laseron, 1958<br />
Opimaphora triticea (Pease, 1861)<br />
Descrizione originale: “Shell minute, fusiformly ovate, ornamented throughout by spiral rows of<br />
regular-sized granules; aperture oval and in a line with the axial of the shell, lip slightly recurved<br />
and thickened (plicate on the inner side?); canal posterior, enclosed, tubular. Color dark purplishred,<br />
granules dusky white.”<br />
Descrizione:<br />
Conchiglia: di 3 mm, fusiforme, spesso di forma pupoidale come una botticella allungata. La<br />
colorazione di fondo è bruno-rossastro con le perline circolari blue – bianco e le spirali apicali<br />
bianche.<br />
Protoconca: di 3 giri e mezzo di colore marrone chiaro bicarinata ornata da linee assiali, apice<br />
liscio .<br />
Teloconca: di 8 giri circa; tre o quattro rigonfi, di colore marrone scuro ornati da due cordoni di<br />
granuli spirali papillati (perline circolari) blue –bianco, solo l’ultimo ne ha tre ; queste perline sono<br />
unite da un cordoncino assiale; il resto dei giri apicali sono bianchi; sutura superficiale e indistinta.<br />
Due cordoni basali il primo granulato il secondo liscio.<br />
Apertura subcircolare, il canale anteriore è chiuso corto e tubolare ricurvo posteriormente; cordoni<br />
soprannumerari dietro il peristoma
Distribuzione: Hawaii, Chrismas Is., Australia, Fiji, Taiwan, Okinawa, Amami of Japan, Filippine<br />
Opimaphora triticea<br />
Superfamiglia: Rissoidea<br />
Famiglia: Rissoidae Gray, 1847 Subfamiglia: Rissoininae Gray, 1847<br />
Genere: Rissoina Laseron, 1958<br />
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Rissoina (Apataxia) cerithiiformis Tryon, 1887<br />
Sinonimi:<br />
Rissoina erythraea Philippi, 1851<br />
Rissoa strigillata Gould, 1861<br />
Rissoina costulata Pease, 1868 (ANSP, MCZ)<br />
Rissoina seguenziana Issel, 1869<br />
Rissoina balteata Pease, 1869 Am.Journ. Conchology. V. 5 p. 72<br />
Rissoa cerithiiformis Tryon, 1887<br />
Rissoina cerithiiformis (Dunker in Schmeltz, 1861) nome nudum (HUM)<br />
Rissoina miltozona Tomlin, 1915Journ. Conchology. V. 14 p. 321 (BMNH) (fi.3)<br />
Rissoina harperi Dautzenberg&Bouge, 1933<br />
Apataxia erecta Laseron, 1956specie tipo (AMS)<br />
Apataxia eripona Laseron, 1956 (AMS)<br />
Conchiglia: 3 mm di altezza piccola e sottile con spire e fianchi quasi piatti. Colore di fondo bianco,<br />
con tutti i giri ornati da una banda gialla o arancio-bruno immediatamente al di sopra della sutura<br />
Protoconca: di due giri e mezzo apparentemente lisce, ma a forte ingrandimento si vedono 7-8<br />
giri di cordoncini finemente papillati, apice liscio<br />
Teloconca: circa sette spire quasi piatte con sutura strettamente canalizzata, scolpite da robuste<br />
coste assiali (circa 19 sull’ultimo giro), ortocline (con interspazi leggermente più grandi) intersecate<br />
da 4 larghe coste spirali divise da un fine solco, queste coste spirali sono a loro volta finemente<br />
striate, il tutto da luogo a un disegno di noduli allungati ma non ben definiti . Le coste assiali e<br />
spirali raggiungono la columella.<br />
Apertura piccola, lenticolare con tre (raramente quattro o cinque denti allungati), in basso<br />
all’interno del labbro. Labbro esterno sottile, dando l’impressione di rottura e poi una ricrescita,<br />
varice dietro il peristoma, canale anteriore obliquo, moderatamente stretto e profondo.
Distribuzione: Intera area indo-pacifica, personalmente ho esemplari dal Madagascar alle Is.<br />
Marchesi, in quest’ultima questa specie si rinviene sempre con dimensioni minori.<br />
Olotipo di Rissoina miltozona<br />
Rissoina cerithiiformis<br />
Discussione: conchiglia tormentata da sinonimi nel tempo. Riporto gli originali di due discussioni e<br />
relative riviste.<br />
Ann. Naturhist. Mus. Wien, Serie A 113 pag. 416<br />
Remarks: Sleurs (1993) considered R. erythraea Philippi, 1851 a nomen dubium and placed this<br />
taxon only tentatively into the synonymy of R. cerithiiformis, but Dekker & Orlin (2000) listed the<br />
species under that name. The interpretation of R. erythraea mainly was based on a figure given by<br />
Schwartz von Mohrenstern (1860: Pl. 8, Fig. 59) under that name. This figure clearly shows R.<br />
cerithiiformis. However, later authors apparently overlooked Jickeli’s (1884: p. 256) observation<br />
that Philippi’s original specimens agree with R. seguenziana Issel, 1869! The identity of R. balteata<br />
Pease is dubious because all type material is lost.<br />
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6<br />
Chen-Kwoh Chang - Small Mollusks from Lutao, Taiwan pag. 570 -571<br />
Remarks:. Cernohorsky (1978) used Rissoina (Phosinella) balteata Pease and indicated Rissoina<br />
Cerithiformis (Dunker) is a synonym of R. (P.) balteata, but Rissoina balteata Pease has grooves at<br />
the base according to (Pease, 1870, p.72), while A cerithiformis Dunker does not have basal<br />
grooves. Cernohorsky’s (plate 12-7) is A. cerithiformis Dunker rather than R. balteata Pease.<br />
R balteata (Maes, 1967) is A. cerithiformis (Dunker) too, but not R. balteata Pease. Kay (1979,<br />
page 84) stated that R. cerithiformis Dunker is a synonym of Rissoina miltozona Tomlin, 1915. The<br />
below figure is the holotype of R. miltozona Tomlin which has basal grooves. Kay’s figure (1979,<br />
29D) is A. cerithiformis Dunker without grooves rather than R. miltozona Tomlin. Rissoina<br />
miltozona Tomlin 1915 (Fig. 3 Hototype) this is a synonym of R. balteata Pease.<br />
Ringraziamenti<br />
Desidero ringraziare gli amici Italo Nofroni per tutti i consigli e la rilettura del testo, e Claudio<br />
Fanelli per le foto e le ultime correzioni.<br />
Bibliografia:<br />
Kay E. Alison (1979) - Hawaiian marine shells pag. 144, 150, 344, 345<br />
Poppe G. T. (2008) - Philippines Marine Mollusks volume I pag. 504, 505<br />
Poppe G. T. (2008) - Philippines Marine Mollusks volume II pag. 742, 743, 762, 763<br />
Rehder Harald A. (1980) Smithsonian Contributions To Zoology • N° 289 The Marine Mollusks of<br />
Easter Island (Isla de Pascua) and Sala y Gómez pag. 88, 89, 150, 151<br />
Okutani (2000) - Marine Mollusks in Japan pag. 158, 159, 316, 317, 640, 641, 660, 661<br />
Cernohorsky Walter O. (1978) - Tropical Pacific Marine shells pag. 47, 171, 214, 215, 310, 311<br />
Keen A. Myra (1971) - Sea Shells of Tropical West America (Second edition) pag. 762, 763<br />
Chen-Kwoh Chang (2005) - Small Mollusks from Lutao, Taiwan pag. 540, 541, 791, 1002<br />
Ponder W. F. (1985) - Record of the Australian Museum – A Review of the Genera of the Rissoidae<br />
supplement 4 - 12 Februaey 1985 - pag.84<br />
Salvat & Rivers (1975) - Conquillages de Polynésie pag. 264<br />
Kay E. Allison (1965) - Marine Molluscs in The Cuming Collection, British Museum (Natural<br />
History) described by W.H. Pease E. Supplement 1 – London, pag. 69, 69 Plat 10<br />
Jarrett Alnan G. (2000) – Marine Shells of the Seychelles pag. 13,<br />
Sasaki Takenori (2008) - Micromolluscs in Japan - Zoosymposia 1: 147–232 (2008) pag. 179, 180,<br />
181<br />
Ronald Janssen , Martin Zuschin and Christian Baal (2011) - Gastropods and their habitats from the<br />
northern Red Sea - Ann. Naturhist. Mus. Wien, Serie A - 113 - Wien, Mai 2011 Pag. 484, 485<br />
Sleurs Willy J. M. (1993) – Bulletin de l’Istitut Royal des Sciences Naturelles de Belgique vol. 63 A<br />
revision of the Recent species of Rissoina pag. 105 - 112
Un sito al giorno leva il…dubbio di torno<br />
Claudio Fanelli<br />
Ricevuto il 01/07/2012<br />
Accettato il 05/07/2012<br />
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Quasi sicuramente ci siamo trovati nella spiacevole situazione di essere in viaggio in luoghi<br />
sconosciuti per, disponendo di tempo ristretto, cercare una cala o una spiaggia dove raccogliere le<br />
nostre tanto amate conchiglie.<br />
Ricordiamo con disagio l’affannosa ricerca di una accesso al mare tra ville, muri, scogliere<br />
impraticabili.<br />
La delusione provata quando, giunti in riva al mare o, se in acqua, vicino ad uno scoglio, ne<br />
siamo tornati con un bel nulla o con qualche brutto e insignificante esemplare.<br />
La beffa finale è poi quella dell’aver letto su una rivista o in forum tra amici che qualcuno,<br />
proprio cento metri più avanti di dove eravamo andati noi, aveva raccolto cose di eccezionale<br />
bellezza e qualità.<br />
Quanti i dubbi, i se e i ma. Se avessi dedicato qualche minuto in più, se mi fossi spostato un<br />
chilometro più in la; ma se avessi…<br />
Ecco quindi il titolo di questo articolo derivato dalla parafrasi di un noto proverbio:<br />
“un sito al giorno … leva il dubbio di torno”<br />
Ed ecco la mia idea e la mia sfida a tutti gli amici: descrivere un sito, magari quello a noi più<br />
vicino o a noi più noto, o del quale ricordiamo la presenza di questa o quella specie.<br />
Un ostacolo a questa iniziativa potrebbe essere dato dalla meschina “privatizzazione” che taluni<br />
fanno dei propri luoghi di raccolta.<br />
Naturalmente non parliamo di descrivere i luoghi dove reperire questa o quella specie protetta o<br />
quella rara specie che, purtroppo, può cadere nelle mani di certi spregiudicati rivenditori.<br />
Lo scopo, nella mia mente, sarebbe quello di offrire una grande facilitazione al lettore o<br />
all’amico che, trovandosi a passare in quella certa zona, può usufruire della nostra esperienza diretta<br />
su quel luogo e, magari, riuscire a raccogliere buoni esemplari senza sprecare tempo per cercare<br />
inutilmente e con grande dispendio di tempo questa o quella spiaggia più idonea.
PALO LAZIALE<br />
Inizio quindi con questa descrizione della località denominata Palo Laziale.<br />
Come mostra la mappa si tratta di una zona situata circa 30 km ad ovest di Roma e facilmente<br />
raggiungibile dalla capitale in una trentina di minuti.<br />
Per raggiungere i punti di più facile raccolta si può accedere al mare dal centro residenziale di<br />
Marina di S. Nicola, poco a sud di Palo, oppure dal comune di Ladispoli che è situato invece un<br />
poco più a nord.<br />
Questa zona è stata da noi molto usata nelle attività didattiche condotte con i ragazzi del Museo<br />
Naturalistico “Francesco Settepassi”.<br />
Posso rassicurare il lettore che questo sito non deluderà mai il raccoglitore data la ricchezza di<br />
biodiversità delle sue coste.<br />
Nelle nostre visite didattiche gli alunni, età comprese tra gli 11 e i 13 anni e neofiti della<br />
malacologia, hanno sempre effettuato una piccola sfida con le altre classi e con quelle degli anni<br />
precedenti. Si trattava di spianare un metro quadrato di sabbia e deporvi sopra, in bell’ordine, tutte<br />
le specie rinvenute in un ora di raccolta. Il totale delle specie non è mai sceso sotto le 120 e, in<br />
alcuni casi, ha superato le 150.<br />
L’ambiente è tale che ci è stato possibile condurre visite guidate di ricerca anche in giornate<br />
piovose e disturbate dalle intemperie.<br />
In questo articolo indicherò due punti ben precisi come i più adatti alla “raccolta rapida” da parte<br />
di un viaggiatore con scarsa disponibilità di tempo.<br />
Vorrei però far presente che una zona lunga circa un chilometro a partire dalle case a nord del<br />
“Castello Odescalchi” fino a poco più a sud della “Posta vecchia”, è quella complessivamente più<br />
indicata per raccolta e studio.<br />
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ACCESSO DA MARINA DI SAN NICOLA<br />
Per il primo accesso al mare si percorre la via Aurelia da Roma verso nord (Civitavecchia) e in<br />
prossimità del Km 34 si trova uno svincolo sulla destra con l’indicazione di Marina di San Nicola.<br />
Nella mappa ho indicato il percorso, tutto asfaltato, che vi porta vicino al luogo di ricerca.<br />
Si procede a sinistra sul cavalcavia soprastante la via consolare e si gira a destra davanti alla<br />
guardiola della vigilanza ricordando che l’accesso è libero. Si procede per circa 500 m fino alla<br />
prima rotonda nella quale si gira sulla sinistra per scavalcare la ferrovia. Subito dopo il ponte altra<br />
rotonda, si gira a destra e si percorre il viale alberato fino in fondo dove, incontrando il “secondo<br />
centro commerciale” si devia sulla destra per via Marte. Dopo 300 m si gira a destra per via Diana e<br />
la si percorre fino in fondo dove c’è un ampio parcheggio e una rotonda sul mare.<br />
Adeguati cartelli segnalano quando il parcheggio è a pagamento.<br />
Si scende al mare e si punta decisamente sulla destra verso la Posta Vecchia e il Castello.<br />
Trovate subito materiale spiaggiato di un certo interesse ma vi consiglio di proseguire per circa<br />
trecento metri dove si trova una piccola lingua di scogli affioranti in direzione del mare aperto.<br />
Qui potete fermarvi per tutto il tempo che avete e raccogliere grandi quantità di detrito grosso e<br />
buoni esemplari.<br />
Poco più avanti, altri trecento metri, vedrete l’albergo “Posta Vecchia” e, a seguire, il “Castello<br />
Odescalchi”.<br />
Siete quindi a sud di Palo Laziale.<br />
Ecco come appare in estate il punto indicato. Sullo sfondo, come detto, appaiono il lato sud della<br />
Posta Vecchia e le nuove barriere frangiflutti.
Come potete vedere, la quantità di detrito, come in quasi tutta la zona, è decisamente<br />
rimarchevole e le possibilità di trovare pezzi importanti è elevata.<br />
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ACCESSO DAL COMUNE DI LADISPOLI<br />
Proseguendo sulla via Aurelia per altri 3-4 chilometri, oltrepassando l’uscita prima detta, trovate<br />
sulla destra lo svincolo per Ladispoli. Lo prendete e vi districate nelle rotatorie per arrivare al primo<br />
nucleo di villette (sulla sinistra) dove, al primo incrocio, prendete a sinistra per via dei Delfini che<br />
vi conduce in riva la mare. Anche qui ampi parcheggi, alcuni a pagamento altri liberi.<br />
Prendete la costa verso sinistra e dopo circa 600 m incontrate, dopo i resti di una garitta militare<br />
del periodo bellico, una zona a scogli bassi che si protendono verso il mare.<br />
Questo è il primo e il miglior punto di raccolta, il secondo dopo quello dal lato Marina di San<br />
Nicola.<br />
Ecco, in una visita didattica condotta con un gruppo di scout di Roma, i primi scogli che<br />
appaiono in acqua mentre sullo sfondo si notano le case di Ladispoli.<br />
Per chi non volesse affrontare la fatica di camminare sulla sabbia, sulla destra, a ridosso della<br />
rete, c’è un più facile sentiero battuto posto a tre metri sopra il livello del mare.
Qui si vedono bene, durante una lezione di malacologia, gli scogli di cui si parla. Sullo<br />
sfondo si può vedere, sulla sinistra, il Castello Odescalchi.<br />
Questa immagine rende bene l’idea della ricchezza del detrito disponibile in questa zona.<br />
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Tornando a guardare l’immagine del titolo, che mostra i due complessi edilizi del Castello<br />
Odescalchi e della Posta Vecchia, potrete ora facilmente orientarvi: sulla destra c’è l’albergo che<br />
quindi è più vicino a Marina di San Nicola mentre il castello, sulla sinistra, è più vicino a Ladispoli.<br />
La zona è tutta collegata via costa e si può percorre a piedi la distanza tra l’abitato di Marina e la<br />
città di Ladispoli in meno di un ora.<br />
Si può incontrare qualche difficoltà nel percorrere la costa sotto il muro di sostegno della Posta<br />
Vecchia solo in questo punto, quello in primo piano, dove, dopo i lavori di costruzione delle<br />
barriere frangiflutti, hanno rotto gli scogli affioranti addossandoli lungo la stretta battigia.
COSA TROVARE<br />
Difficile fare al momento un elenco di cosa offre questo sito: con alcuni amici stiamo preparando<br />
un articolo che sarà pubblicato sulla rivista Argonauta dell’AMI entro la prima metà del 2013, nel<br />
quale inseriremo anche una lista di quanto fin qui raccolto. Posso però proporvi, in anteprima,<br />
alcune immagini su cose viste e facilmente visibili.<br />
Da giugno a luglio Aplysia depilans Gmelin, 1791 è abbondantissima: si avvicina alla costa per<br />
la riproduzione e la deposizione delle uova.<br />
Senza disturbare animali vivi, si possono raccogliere belle conchiglie interne come questa,<br />
eccezionale, che misura 57,43 mm.<br />
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Le rocce appena sommerse sono l’habitat ideale, in quasi tutte le stagioni, per molte comunità di<br />
molluschi. Convivono assieme e per lunghi periodi in grandi quantità: cosa che dovrebbe indicare<br />
l’assenza di competitività alimentare. Ecco due belle comunità di Patella caerulea Linné, 1758 e di<br />
Mytilus galloprovincialis (Lamarck, 1819).<br />
Abbondanti anche Nodilittorina punctata (Gmelin, 1719) e Mytilus galloprovincialis,
Nella foto seguente Osilinus turbinatus (Von Born, 1791), Patella caerulea e Mytilus<br />
galloprovincialis.<br />
La famiglia Trochidae è rappresentata anche da ricche comunità di Porchus richardi (Von Born,<br />
1778), Gibbula varia (Linné, 1758), Gibbula philberti (Recluz, 1843) e Gibbula divaricata (Linné,<br />
1758), con maggiore o minore presenza e diverso posizionamento su rocce separate le une dalle<br />
altre.<br />
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Abbonda Conus mediterraneus (Hwass in Bruguiere, 1791) ma con esemplari sempre di piccole<br />
dimensioni, non più di 30 mm.<br />
Abbondante anche Stramonita haemastoma (Linné, 1767), nonostante la raccolta indiscriminata,<br />
sacchi con centinaia e centinaia di esemplari, che ne fanno i locali. Fino a una ventina di anni fa era<br />
anche possibile rinvenire la forma consul (Chemnitz, 1795).
Nelle ore più calde si rinvengono grandi quantità di Fissurella nubecula (Linné, 1758) che<br />
brucano tra i banchi di Mytilus.<br />
Ovviamente non è possibile rinvenire intera Ostreola stentina (Payraudeau, 1826) piuttosto<br />
comune in queste località ma sempre ben nascosta tra le rocce.<br />
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Questa grande biodiversità, più di trecento specie di molluschi, deriva e si riflette in altrettanta<br />
biodiversità sia nelle alghe, che nei pesci, negli Echinodermi e nei Crostacei che nelle “piante<br />
marine”: Cymodocea e Posidonia.<br />
Ancora qualche foto, tanto per gradire, ma soprattutto l’invito a visitare questo interessantissimo<br />
“Sito Malacologico” (naturalistico).<br />
Nelle foto seguenti, per la maggior parte senza classificazione per mia manifesta ignoranza, vi<br />
propongo quanto si può osservare a vista in una manciata di minuti.<br />
Faccio rilevare che anche il Codium bursa è piuttosto frequente, mentre tra gli Echinodermi è<br />
comune la presenza di Arbacia lixula e Paracentrotus lividus.
La presenza di ville romane in zona porta poi spesso alla “visione” di pezzi di antiche anfore<br />
(naturalmente “intoccabili” ma nessuno lo sa).<br />
Si aggiunge infine una nota “festosa” per gli amanti della natura: una nuova (prima) piantina di<br />
Posidonia oceanica si è sviluppata nell’acqua bassa sotto l’albergo.<br />
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RIASSUMENDO E CONCLUDENDO<br />
Se vi trovate a Roma e avete l’auto, o un amico che possa accompagnarvi, vi occorreranno 70-90<br />
minuti per andare sul luogo di raccolta, quelli indicati in riva al mare, e tornare.<br />
Dipenderà poi dal vostro budget di tempo a disposizione per stabilire quanto dedicare alla<br />
ricerca.<br />
Come si consiglia sempre, quando si ha poco tempo, è meglio dedicarne una buona parte a<br />
selezionare e ridurre al minimo volume il detrito locale, piuttosto che raccogliere, “ventre a terra”, i<br />
singoli esemplari.<br />
Ricordo l’amico Francesco Settepassi che mi mostrava esemplari di Giroscala lamellosa<br />
(Lamarck, 1822), provenienti da Palo, di più di 50 mm. Nel tempo ne ho raccolti molti ma mai così<br />
grandi, però ho aggiunto alla mia collezione tre ottimi esemplari di Epitonium pulchellum (Bivona<br />
Ant., 1832). Tutto questo però, debbo ammetterlo, standomene steso su una stuoia e spulciando il<br />
detrito.<br />
Nella foto seguente il raccolto dell’amica Angela Pierullo in una uscita di alcuni malacologi del<br />
Forum Natura Mediterraneo in questa zona: mentre Lutraria magna (Da Costa, 1778) è molto<br />
frequente Cabestanea cutacea (Linné, 1767) e Cymatium corrugatum (Lamarck, 1822), insieme ad<br />
altre rarità quali Bursa scrobilator (Linné, 1758) o Trivia multilirata (Sowerby, 1870) sono il frutto<br />
dei ripascimenti effettuati in zona a partire dal 2003 e mai raccolti in precedenza.
La storia geologica della Luna<br />
Roberto Mura<br />
(Naturalista e astrofilo)<br />
Ricevuto in data 08/01/2012<br />
Accettato in data 05/05/2012<br />
Abstract<br />
The geological history of the Moon has been defined into six major epochs, called the lunar<br />
geologic timescale. The first important event after Moon’s formation was the cooling and the<br />
crystallization of its surface, previously totally molten. The first minerals to form were the iron and<br />
magnesium silicates olivine and pyroxene. Because these minerals were denser than the molten<br />
material around them, they sank. After crystallization was about 75% complete, less dense<br />
anorthositic plagioclase feldspar crystallized and floated, forming a crust about 50 km in thickness.<br />
The lunar surface went under a heavy meteoric bombardment that created many large craters; a<br />
strong volcanic activity filled these craters of basalt, creating the so called “lunar maria”. Today the<br />
geological activity on the Moon is thought to have effectively ceased.<br />
Introduzione<br />
La Luna è l’unico satellite naturale della<br />
Terra. Con un diametro medio di 3474 km, è il<br />
quinto satellite naturale del sistema solare come<br />
dimensioni, dopo Ganimede, Titano, Callisto e<br />
Io. La Luna compie attorno alla Terra un'orbita<br />
ellittica che viene completata circa ogni 27<br />
giorni, 7 ore, 43 minuti e 11 secondi (periodo<br />
chiamato mese siderale); tuttavia per<br />
l'osservatore sulla Terra si contano circa 29,5<br />
giorni tra una Luna nuova e la successiva, per<br />
via del contemporaneo movimento di<br />
rivoluzione terrestre. Nel corso di un'ora si<br />
muove nel cielo di una distanza prossima alla<br />
sua dimensione apparente, circa mezzo grado.<br />
La Luna rimane sempre in una regione del cielo<br />
chiamata Zodiaco, che si estende circa 8 gradi a<br />
nord e a sud dell'eclittica. Essa viene<br />
attraversata dalla Luna ogni 2 settimane.<br />
La Luna come appare vista da Terra; le aree scure sono i<br />
cosiddetti “mari”, in realtà vaste pianure basaltiche.<br />
Poiché il periodo di rotazione della Luna è esattamente uguale al suo periodo orbitale, noi<br />
vediamo sempre la stessa faccia della Luna, rivolta verso la Terra. Questa sincronia è il risultato<br />
dell'attrito gravitazionale che ha rallentato la rotazione della Luna nella sua storia iniziale. A causa<br />
di queste forze, dette anche forze di marea, anche la rotazione della Terra viene gradualmente<br />
rallentata, e la Luna si allontana lentamente dalla Terra mentre il momento rotazionale di<br />
quest'ultima viene trasferito al momento orbitale della Luna. L'attrazione gravitazionale che la Luna<br />
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esercita sulla Terra è la causa delle maree del mare. Le variazioni della marea sono sincronizzate<br />
con l'orbita della Luna attorno alla Terra.<br />
La faccia visibile della Luna è l’emisfero che è sempre rivolto in direzione della Terra. Essa<br />
appare attraversata da numerose macchie scure, denominate mari lunari; in realtà si tratta di grandi<br />
aree pianeggianti ricoperte da uno spesso strato di una roccia lavica chiamata basalto. Le aree più<br />
chiare invece sono costituite principalmente da una roccia intrusiva chiamata anortosite; queste aree<br />
sono costellate da un gran numero di crateri dalla forma e dalle dimensioni più svariate.<br />
L’emisfero della Luna rivolto in direzione opposta alla Terra è noto anche con il nome di faccia<br />
nascosta. La maggior parte della faccia nascosta non può essere vista dalla Terra, perché la<br />
rivoluzione della Luna attorno alla Terra e la rotazione attorno al suo asse hanno lo stesso periodo.<br />
Una sua piccola porzione può comunque essere vista grazie a un fenomeno noto come librazione,<br />
che rende irregolare il moto di rotazione della Luna; nel complesso dalla Terra è pertanto visibile<br />
circa il 59% della superficie lunare (il 100% della faccia visibile e il 18% della faccia nascosta).<br />
Sequenza che mostra l'intera superficie della Luna. La prima immagine a sinistra mostra la faccia visibile, la terza<br />
mostra la faccia nascosta. Le altre due immagini sono riprese da una posizione intermedia e mostrano metà della<br />
faccia visibile e metà della faccia nascosta.
A differenza della faccia visibile, questo<br />
lato della Luna presenta pochissimi mari e la<br />
sua superficie appare quasi interamente<br />
ricoperta da crateri. Prima del 1959, quando<br />
venne lanciato il primo satellite verso la Luna,<br />
l'aspetto e le proprietà della faccia nascosta<br />
erano ignote, in quanto non era mai stata<br />
osservata.<br />
La ragione per cui i mari lunari, e quindi le<br />
colate basaltiche, si trovino principalmente<br />
sulla faccia visibile è ancora oggetto di accesi<br />
dibattiti nella comunità scientifica. Basandosi<br />
sui dati raccolti dalla missioni scientifiche<br />
lunari sembrerebbe che una grande quantità di<br />
elementi che producono calore (nella forma di<br />
minerali di tipo KREEP – vedi più avanti) si<br />
Le rocce più abbondanti sul suolo lunare sono i feldspati<br />
anortositici, le rocce di tipo KREEP e i basalti.<br />
trovano in corrispondenza dell’Oceanus Procellarum e del Mare Imbrium, formanti un’unica<br />
provincia geochimica chiamata Procellarum KREEP Terrane. Nonostante il cambiamento della<br />
produzione di calore all’interno di questa provincia sia quasi certamente connessa con la lunga<br />
durata e l’intensità dell’attività vulcanica cui il Terrane è stata soggetta, il meccanismo per cui le<br />
rocce di tipo KREEP si concentrarono in quest’area resta oggetto di studio (vedi più avanti).<br />
La superficie della Luna è stata soggetta per miliardi di anni a collisioni con corpi celesti di<br />
dimensioni variabili. Col tempo questi impatti hanno polverizzato il materiale superficiale formando<br />
uno strato a grana molto fine denominata regolite. Lo spessore di questo strato varia da 2 metri fino<br />
a 20 metri, a seconda che si trovi su giovani colate basaltiche o su aree con rocce molto antiche.<br />
Nonostante non vi sia alcuna attività tettonica, la superficie lunare è soggetta a deboli scosse<br />
sismiche, il cui numero si aggira mediamente attorno alle 3000 all’anno. La causa di questi<br />
movimenti, denominati lunamoti, è data in parte all’impatto con piccole meteore e in parte alla<br />
forza mareale che si instaura a causa dell’attrazione terrestre; quest’ultimo tipo di scosse si<br />
generano in particolare quando la Luna<br />
raggiunge il punto della sua orbita più<br />
vicino alla Terra e sono provocate dalla<br />
fessurazione della superficie lunare o<br />
dallo scorrimento di faglie già esistenti.<br />
La superficie solida lunare, denominata<br />
crosta, si estende fino a una profondità<br />
media di circa 50 km ed è costituita in<br />
prevalenza da silicati, costituenti rocce<br />
feldspatiche. Più in profondità si estende<br />
il mantello esterno e successivamente il<br />
mantello medio, il quale raggiunge una<br />
profondità di circa 1000 km; in questa<br />
regione si originano i lunamoti più profondi. Il limite di fusione parziale (partial melting) delle<br />
rocce è compreso fra il mantello medio e il mantello interno, a una profondità di circa 1150 km. Il<br />
nucleo esterno, molto ricco di ferro, si trova in uno stato fluido a una profondità di circa 1390 km,<br />
mentre il nucleo interno, a 1580 km di profondità, sarebbe composto da ferro puro allo stato solido.<br />
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La formazione della Luna<br />
Le origini della Luna sono al centro di un dibattito scientifico non<br />
ancora risolto definitivamente. La teoria più accreditata suggerisce<br />
uno scenario secondo cui la Luna si sarebbe formata circa 4,5<br />
miliardi di anni fa, quando la Terra, appena formatasi, venne colpita<br />
da un pianeta chiamato Theia, delle dimensioni di Marte. Questo<br />
ipotetico pianeta si sarebbe formato in un punto di Lagrange relativo<br />
alla Terra, ossia in una posizione gravitazionalmente stabile lungo la<br />
stessa orbita del nostro pianeta attorno al Sole. Qui Theia si sarebbe<br />
accresciuto come un qualsiasi pianeta, inglobando i planetesimi e i<br />
detriti che occupavano in gran numero le regioni interne del sistema<br />
solare poco dopo la sua formazione. Quando Theia crebbe fino a<br />
raggiungere la dimensione di Marte, la sua massa divenne troppo<br />
elevata per mantenere la sua posizione in maniera stabile. In accordo<br />
con questa teoria, 34 milioni di anni dopo la formazione della Terra,<br />
questo corpo precipitò sul nostro pianeta, andandolo a collidere con<br />
un angolo di 45°; nell'impatto, Theia si distrusse producendo un<br />
enorme cratere sulla superficie terrestre. I frammenti di Theia,<br />
assieme a una porzione significativa del mantello terrestre, vennero<br />
sparati nello spazio formando un denso anello di detriti attorno alla<br />
Terra; una parte del suo nucleo invece potrebbe essere precipitato<br />
nelle profondità della Terra fondendosi col nucleo terrestre. Entro<br />
circa un secolo dall’impatto, la quasi totalità di questi frammenti si<br />
erano già fusi fra loro formando un nuovo corpo celeste in orbita<br />
attorno alla Terra, la Luna.<br />
Gli indizi che avvalorano questa teoria derivano dalle rocce<br />
raccolte durante gli atterraggi delle missioni Apollo, che mostrarono<br />
composizioni di isotopi di ossigeno quasi uguali a quelle terrestri.<br />
Inoltre la presenza di campioni di rocce di tipo KREEP (ovvero<br />
contenenti K = potassio, REE = Terre rare (in inglese Rare Earth<br />
Elements), P = fosforo) indicano che in un periodo anteriore una grande parte della Luna fosse in<br />
uno stato fluido e la teoria dell'impatto gigante spiega facilmente l'origine dell'energia richiesta per<br />
formare un tale oceano di lava.<br />
Una teoria sviluppata nel 2011 spiega il maggiore spessore della crosta lunare osservabile sul<br />
lato nascosto con un particolare evento di fusione che avrebbe coinvolto un secondo satellite della<br />
Terra. Secondo questa teoria, in origine i frammenti di Theia in orbita attorno alla Terra si riunirono<br />
non in uno, ma in due corpi maggiori: quello presente attualmente e uno con una massa molto più<br />
piccola, pari a 1/30 di quella lunare; il secondo satellite si sarebbe formato in un punto di Lagrange<br />
della stessa orbita lunare, fatto che determinò il progressivo avvicinamento dei due satelliti fino alla<br />
loro collisione. Poiché l’impatto sarebbe avvenuto a una velocità relativamente molto bassa, il<br />
materiale del satellite minore si sarebbe semplicemente unito a quello della Luna senza creare<br />
crateri, distribuendosi principalmente sulla faccia nascosta. Il maggiore spessore della crosta lunare<br />
sulla faccia nascosta potrebbe fra l’altro fornire una spiegazione sul perché su questo lato non si<br />
sono verificati fenomeni vulcanici di una certa rilevanza.<br />
Poiché sulla Luna è del tutto assente l’attività tettonica che caratterizza la superficie terrestre,<br />
l’età media delle rocce lunari è nettamente maggiore di quelle della Terra; non essendoci per altro
un’atmosfera, gli unici fenomeni di disgregazione e alterazione (weathering) delle rocce sono gli<br />
impatti con meteore e comete.<br />
Come per la Terra, si è soliti suddividere la storia della Luna in ere geologiche, definite qui in<br />
base al periodo di formazione di rocce o strutture superficiali caratteristiche del suolo lunare. Le<br />
definizioni esatte dei periodi sono tuttora in discussione, per via della difficoltà di collocare con<br />
precisione nel passato gli eventi geologici più significativi che hanno interessato la Luna. In<br />
generale, sono stati distinti cinque periodi geologici maggiori, elencati qui sotto dal più recente al<br />
più antico.<br />
Periodo Copernicano: da 1100 milioni di anni fa ad oggi<br />
Periodo Eratosteniano: da 3200 a 1100 milioni di anni fa<br />
Periodo Imbriano: da 3850 a 3200 milioni di anni fa<br />
Imbriano superiore: da 3800 a 3200 milioni di anni fa<br />
Imbriano inferiore: da 3850 a 3800 milioni di anni fa<br />
Periodo Nectariano: da 3920 a 3850 milioni di anni fa<br />
Periodo Pre-Nectariano: da 4550 a 3920 milioni di anni fa<br />
Il periodo Pre-Nectariano – la crosta si solidifica<br />
Il periodo Pre-Nectariano è compreso fra 4,55 e 3,92 miliardi di anni fa e coincide con le<br />
primissime fasi della storia della Luna dopo la sua formazione. In quel periodo la Luna si trovava<br />
molto più vicina alla Terra e, almeno inizialmente, aveva un moto di rotazione differente dal suo<br />
moto di rivoluzione attorno alla Terra, mostrando così tutta la sua superficie al nostro pianeta.<br />
Lentamente la rotazione lunare rallentò al punto tale da sincronizzarsi perfettamente col periodo di<br />
rivoluzione, fenomeno noto come rotazione<br />
sincrona; la conseguenza più importante di ciò fu<br />
che da allora la Luna avrebbe mostrato alla Terra<br />
sempre lo stesso emisfero. Si ritiene che questo<br />
processo si sia completato entro 10 milioni di anni<br />
dalla formazione della Luna.<br />
La superficie della Luna, inizialmente fusa a<br />
formare un oceano di magma profondo fino a 500<br />
km, si solidificò rapidamente e iniziò ad essere<br />
pesantemente bombardata da corpi celesti come le<br />
meteoriti, all’epoca molto più abbondanti<br />
dell’attuale. A causa del fenomeno della<br />
cristallizzazione frazionata, i primi minerali<br />
condensatisi sulla Luna furono l’olivina e i<br />
pirosseni, i quali, essendo più densi, precipitarono lentamente al di sotto della crosta in formazione,<br />
formando un mantello sottoposto a temperature e pressioni elevate, similmente e come avviene sulla<br />
Terra; sulla superficie restarono così rocce meno dense, principalmente plagioclasi anortositici.<br />
Questo processo terminò in un periodo compreso fra 4,4 e 4,2 miliardi di anni fa; la crosta<br />
mantenne però un’elasticità tale da rendere possibile una discreta attività tettonica, con fenomeni di<br />
subsidenza e di fratturazione.<br />
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Le rocce risalenti a questo periodo sono piuttosto rare sulla superficie lunare; esse si rinvengono<br />
principalmente sulle aree più elevate, lontano dai mari lunari, e sono state sottoposte a profondi<br />
mutamenti della loro struttura originaria a causa del costante impatto di corpi celesti cui è stata<br />
soggetta la Luna. L’effetto di questi ripetuti impatti è ben evidente anche nel materiale che<br />
costituisce i depositi attorno al Mare Nectaris e al Mare Imbrium, che appare fortemente brecciato<br />
ed è stato probabilmente sottoposto a temperature così elevate da aver subito una fusione parziale<br />
(partial melting).<br />
Il limite superiore del periodo Pre-Nectariano è tracciato dall’impatto che formò il cratere<br />
Nectaris, situato sulla faccia visibile della Luna. Fra le strutture generatesi durante questo periodo vi<br />
sono i grandi bacini depressi oggi occupati dai basalti dell’Oceanus Procellarum, sulla faccia<br />
visibile, e il bacino del Polo Sud-Aitken, situato sulla faccia nascosta.<br />
Il periodo Nectariano – la formazione dei grandi crateri<br />
L’odierno Mare Nectaris ricopre per intero l’antico<br />
bacino del cratere Nectaris, formatosi quasi 4<br />
miliardi di anni fa.<br />
Il periodo Nectariano è compreso fra 3,92 e<br />
3,85 miliardi di anni fa; esso ha inizio dopo la<br />
formazione del cratere Nectaris e ha termine con<br />
l’evento da impatto che creò il cratere Imbrium. In<br />
questo breve periodo la Luna subì degli impatti<br />
meteorici di grande portata che formarono crateri<br />
di dimensioni ragguardevoli; fra questi sono<br />
compresi 12 crateri che presentano ai loro bordi<br />
delle catene montuose ad anello, fra le quali<br />
spiccano il Cratere Serenitatis e il cratere Crisium,<br />
entrambi sulla faccia visibile.<br />
Il periodo della formazione dei grandi crateri è<br />
anche chiamato Intenso bombardamento tardivo (o<br />
con la sigla LHB, dall’inglese Late Heavy<br />
Bombardment); esso durò per un periodo compreso<br />
fra 4,1 e 3,8 miliardi di anni fa, fra il Pre-<br />
Nectariano e il Nectariano, e le sue cause sono tuttora oggetto di dibattiti e di speculazioni. Fra<br />
queste vi è la possibile migrazione delle orbite dei pianeti giganti gassosi, che si sarebbero<br />
avvicinati o allontanati dal Sole in base alle influenze degli oggetti della Fascia di Kuiper<br />
perturbando così i corpi della Fascia principale degli asteroidi situata fra Marte e Giove; un’altra<br />
teoria prevede la presenza di un piccolo pianeta fra Marte e la Fascia principale, che avrebbe<br />
perturbato l’orbita degli asteroidi spingendoli verso i pianeti più interni, prima di essere esso stesso<br />
catapultato verso il Sole. D’altra parte, alcuni scienziati sostengono che il raggruppamento di rocce<br />
alterate da eventi da impatto (impattiti) in un lasso di tempo così breve sia un errore di valutazione<br />
dovuto al fatto che si dispone di campioni provenienti da poche regioni e da un unico sito di<br />
impatto.<br />
Oltre ai bacini maggiori, si ritiene che nel periodo Nectariano si siano formati almeno 1330<br />
crateri con diametro compreso fra 30 e 300 km. A ciò si aggiunge la presenza di una discreta attività<br />
vulcanica, la quale non può però essere quantificata con precisione in quanto manca un’abbondante<br />
determinazione delle unità geologiche vulcaniche di questo periodo; la scarsità di queste importanti<br />
unità potrebbe essere dovuta anche alla pesante alterazione causata dall’Intenso bombardamento<br />
tardivo.
Il limite inferiore del Nectariano è oggetto di dibattito, dal momento che non è ben definito il<br />
periodo in cui si formò il cratere Nectaris: la maggior parte degli scienziati indicano un periodo<br />
attorno a 3,92 miliardi di anni fa, sebbene si sia avanzata l’ipotesi che possa essere più antico, fino a<br />
4,1 miliardi di anni fa.<br />
Il periodo Imbriano – un vulcanismo diffuso<br />
Il Mare Orientale, situato a cavallo fra la faccia<br />
visibile e quella nascosta della Luna.<br />
Il periodo Imbriano è compreso fra 3,85 e 3,2<br />
miliardi di anni fa. Esso viene di solito suddiviso<br />
in due epoche, denominate a loro volta Imbriano<br />
inferiore e Imbriano superiore; la prima, piuttosto<br />
breve, è compresa fra 3,85 e 3,8 miliardi di anni<br />
fa, mentre la seconda si estende da 3,8 a 3,2<br />
miliardi di anni fa.<br />
L’Imbriano inferiore è caratterizzato dalla<br />
formazione degli ultimi grandi crateri, fra i quali<br />
sono compresi il cratere Imbrium, che ne<br />
determina l’inizio, e il cratere Orientale, situato in<br />
gran parte sulla faccia nascosta, che ne indica la<br />
fine; quest’ultimo impatto sancì inoltre la fine<br />
dell’epoca dei grandi impatti meteorici.<br />
L’Imbriano inferiore si estende dal momento della formazione del cratere Orientale fino al<br />
periodo in cui i processi erosivi hanno causato l’obliterazione dei crateri di diametro maggiore.<br />
L’età del cratere Orientale non è stata<br />
determinata con certezza, ma deve essere<br />
necessariamente più antica di 3,72 miliardi di<br />
anni, età basata sull’età media dei mari lunari.<br />
L’Imbriano superiore è caratterizzato da<br />
un’intensa attività vulcanica che ha coinvolto<br />
(e sconvolto) in prevalenza la parte<br />
settentrionale della faccia visibile della Luna;<br />
sebbene l’attività vulcanica fosse presente già<br />
4,1 miliardi di anni fa, è a partire da 3,5<br />
miliardi di anni fa che il vulcanesimo lunare<br />
assume proporzioni di grande portata. Il<br />
vulcanesimo lunare è dovuto alla fuoriuscita<br />
di magma proveniente direttamente dal<br />
mantello ed è pertanto di natura basaltica,<br />
molto simile al basalto di cui sono costituiti i<br />
vulcani a scudo terrestri, sebbene sia più ricco<br />
di ferro e minerali ricchi di titanio (come<br />
Il Mare Imbrium è costituito da una grande colata<br />
basaltica che ricopre per intero il fondo del cratere<br />
Imbrium, uno dei crateri da impatto più grandi situati sulla<br />
superficie lunare.<br />
l’ilmenite). Il basalto, avente una viscosità molto bassa, fluì velocemente e formò dei grandi fiumi<br />
di lava che inondarono e colmarono progressivamente le grandi depressioni dei crateri lasciati dagli<br />
impatti maggiori; tutti i crateri più grandi vennero così inondati, formando immense aree<br />
pianeggianti e di colore scuro che costituiscono i cosiddetti mari lunari. Le eruzioni interessarono<br />
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anche una vasta area depressa estesa sul bordo della faccia visibile, che venne completamente<br />
colmata di basalto formando una grandissima pianura nota come Oceanus Procellarum.<br />
Il cratere Orientale, a differenza degli altri grandi crateri vicini, si presenta solo parzialmente<br />
inondato da colate laviche; ciò può essere spiegato dal fatto che esso si trova in una regione che non<br />
fu interessata da altri grandi eventi da impatto in grado di assottigliare la crosta e favorire così la<br />
fuoriuscita del basalto.<br />
Alla fine dell’Imbriano superiore, circa 2/3 dell’attività vulcanica lunare si era ormai conclusa.<br />
Il periodo Eratosteniano – le ultime eruzioni<br />
Il cratere Aristarco giace al centro della<br />
grande provincia basaltica dell’Oceanus<br />
Procellarum.<br />
Il periodo Eratosteniano è compreso fra 3,2 e 1,1<br />
miliardi di anni fa; il suo inizio coincide con la<br />
formazione del cratere Eratostene, un periodo in cui le<br />
strutture generatesi dall’impatto di corpi celesti di grandi<br />
dimensioni si erano ormai quasi completamente<br />
consumate dai fenomeni erosivi. Questi fenomeni<br />
furono di fatto causati principalmente dalla<br />
sovrapposizione di nuovi crateri di taglia minore su<br />
quelli più antichi, che progressivamente erosero e<br />
smantellarono le formazioni montuose precedenti; una<br />
causa minore di quest’erosione potrebbe essere stata<br />
l’azione di scosse sismiche, dovute sia all’impatto con<br />
meteore che all’attività vulcanica.<br />
Durante l’Eratosteniano proseguirono le eruzioni basaltiche, che colmarono ulteriori aree<br />
depresse sovrapponendosi in parte a colate preesistenti; la gran parte di quest’attività si concluse<br />
entro 3 miliardi di anni fa, mentre sporadiche eruzioni proseguirono occasionalmente, fino a<br />
estinguersi completamente verso la fine del periodo, circa 1,2 miliardi di anni fa,<br />
contemporaneamente all’attività tettonica, da tempo sempre più ridotta.<br />
Le lave più recenti si rinvengono nei pressi del cratere Aristarco, situato sull’Oceanus<br />
Procellarum, il quale fu interessato da una vivace attività vulcanica persistente. Altro magma fluì<br />
contemporaneamente sul Mare Imbrium.<br />
Il periodo Copernicano – la Luna nel presente<br />
Il periodo Copernicano iniziò circa 1,1 miliardi di anni fa e perdura fino al presente. Il suo inizio<br />
è individuato dalla comparsa degli ultimi crateri, i quali presentano un colore molto chiaro dovuto<br />
probabilmente all’assenza di fenomeni di erosione e di alterazione; fra questi vi è il cratere<br />
Copernico, formatosi circa 800 milioni di anni fa (e che quindi non individua l’inizio del periodo),<br />
che presenta una struttura raggiata ben evidente che si estende fin sulle pianure basaltiche<br />
circostanti. L’idea che il colore chiaro corrisponda all’assenza di alterazione è stata tuttavia messa<br />
in dubbio da alcuni scienziati, poiché questo colore potrebbe dipendere anche soltanto da ragioni<br />
composizionali che possono essere slegate dall’alterazione meteorica; in particolare, è stato fatto<br />
notare che il materiale anortositico resta chiaro anche se sottoposto ad alterazione dovuta a eventi di<br />
impatto.
Sulla Luna sono del tutto assenti rocce basaltiche<br />
con un’età inferiore a 1,1 miliardi di anni, per cui<br />
durante il periodo Copernicano non vi è stato alcun<br />
evento vulcanico; si ritiene pertanto che l’attività<br />
geologica lunare sia di fatto cessata del tutto.<br />
L’ultima attività conosciuta avvenne in corrispondenza<br />
dell’Oceanus Procellarum; successivamente, il<br />
raffreddamento globale, l’esaurimento della fonte di<br />
calore generata dal decadimento radioattivo e il<br />
conseguente ispessimento della crosta impedirono<br />
ulteriori risalite di magma. Si ritiene che l’unica<br />
fascia in cui sono ancora presenti rocce allo stato<br />
fuso si trovi a una profondità di oltre 1000 km, in<br />
corrispondenza del punto in cui si generano i<br />
lunamoti più profondi.<br />
Bibliografia<br />
La grande struttura raggiata del cratere<br />
Copernico si estende sopra i basalti. Si tratta di<br />
uno dei crateri più giovani della superficie lunare.<br />
Kleine, T.; Palme, H.; Mezger, K.; Halliday, A.N. (2005). Hf–W Chronometry of Lunar Metals and<br />
the Age and Early Differentiation of the Moon. Science 310 (5754): 1671–1674. Bibcode<br />
2005Sci...310.1671K. doi:10.1126/science.1118842. PMID 16308422.<br />
Marc Norman (aprile 2004). The Oldest Moon Rocks. Planetary Science Research Discoveries.<br />
Don Wilhelms (1987). Geologic History of the Moon. U.S. Geological Survey Professional Paper<br />
1348.<br />
D. Stöffler and G. Ryder, D.; Ryder, G. (2001). Stratigraphy and Isotope Ages of Lunar Geological<br />
Units: Chronological Standards for the Inner Solar System. Space Sci. Rev. 96: 9–54.<br />
doi:10.1023/A:1011937020193.<br />
Jutzi, M., Asphaug, E. (2011). Forming the lunar farside highlands by accretion of a companion<br />
moon. Nature (476): 69–72. DOI:10.1038/nature10289.<br />
Le immagini delle singole regioni lunari, l’immagine globale e la mappa lunare sono tratte dal file<br />
disponibile su Wikimedia Commons http://commons.wikimedia.org/wiki/File:FullMoon2010.jpg.<br />
La sequenza di immagini della superficie lunare è ottenuta unendo i quattro file seguenti:<br />
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Moon_PIA00302.jpg<br />
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Moon_PIA00303.jpg<br />
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Moon_PIA00304.jpg<br />
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Moon_PIA00305.jpg.<br />
Gli schemi strutturali nella lingua originale sono disponibili ai seguenti indirizzi:<br />
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:BigSplashItalian.svg<br />
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Lunar_rocks_distribution_lmb.jpg<br />
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Moon_Schematic_Cross_Section.svg<br />
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Moonhighlandsformation_lmb.png.<br />
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