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La mostra di Claudio Magris - Il Rossetti

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Nel dramma<br />

la complessità della vita<br />

86 Pochi giorni fa, a proposito della riproposta e<strong>di</strong>toriale<br />

del teatro <strong>di</strong> Pasolini, osservavo che negli<br />

ultimi decenni l’unico contributo davvero vitale<br />

alla drammaturgia italiana è venuto dagli outsider,<br />

cioè da poeti e narratori (come Pasolini,<br />

appunto, o come Testori) che hanno affrontato e<br />

praticato il linguaggio teatrale con una sorta <strong>di</strong><br />

geniale improvvisazione “<strong>di</strong>lettantesca”, ignorando<br />

o ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>sprezzando sia i precetti del<br />

buon mestiere tra<strong>di</strong>zionale sia quelli, forse ancora<br />

più aborriti, della cosiddetta modernità.<br />

Dopo aver letto <strong>La</strong> Mostra, seconda e più sostanziosa<br />

prova drammaturgica <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>,<br />

sarei tentato <strong>di</strong> rovesciare o, meglio, <strong>di</strong> rendere<br />

simmetrico il <strong>di</strong>scorso: se la passione teatrale <strong>di</strong><br />

alcuni gran<strong>di</strong> non-professionisti è stata una risorsa<br />

preziosa per un teatro altrimenti anemico o routinier,<br />

il teatro è – può essere – una risorsa preziosa<br />

per i gran<strong>di</strong> professionisti della parola non teatrale<br />

quando il caso o l’ispirazione li metta <strong>di</strong> fronte a<br />

una materia particolarmente densa e incandescente,<br />

una materia non del tutto riducibile, per una<br />

ragione o per l’altra, alla linearità <strong>di</strong> un racconto<br />

più o meno canonico o a una razionalità <strong>di</strong> tipo<br />

saggistico.<br />

<strong>Il</strong> caso del testo <strong>di</strong> <strong>Magris</strong> mi sembra, da questo<br />

punto <strong>di</strong> vista, para<strong>di</strong>gmatico. Con quale altro linguaggio,<br />

in quale altro spazio espressivo l’autore<br />

<strong>di</strong> Danubio e <strong>di</strong> Lontano da dove avrebbe potuto<br />

dare alla vicenda <strong>di</strong> Vito Timmel una collocazione<br />

ambientale e storica così rapso<strong>di</strong>ca e al tempo<br />

stesso così corposa, una risonanza allegorica così<br />

imme<strong>di</strong>ata, una profon<strong>di</strong>tà introspettiva (e persino,<br />

verrebbe voglia <strong>di</strong> insinuare, autobiografica)<br />

così ineluttabile? <strong>Il</strong> fatto è che il teatro è per sua<br />

<strong>di</strong> Giovanni Raboni<br />

natura un efficacissimo evidenziatore e semplificatore<br />

della complessità. Ciò che altri linguaggi<br />

devono costruire – la simultaneità effettiva <strong>di</strong><br />

tempi e luoghi <strong>di</strong>versi, l’intreccio reale (e continuamente<br />

mutevole) <strong>di</strong> fisicità e astrazione – il<br />

teatro lo fornisce, se così si può <strong>di</strong>re, gratis, per il<br />

fatto stesso <strong>di</strong> prodursi, <strong>di</strong> avere luogo; e si <strong>di</strong>rebbe<br />

quasi che a noi fruitori non occorra, per goderne,<br />

la verifica della <strong>di</strong>mensione scenica, basta<br />

averla “in memoria”, riattivarla con la fantasia.<br />

Ma è chiaro che si tratta <strong>di</strong> una gratuità ipotetica,<br />

<strong>di</strong> un “dono” che il me<strong>di</strong>atore (l’autore) deve<br />

sapersi meritare; e mi sembra che <strong>Magris</strong> <strong>di</strong>mostri,<br />

qui, <strong>di</strong> meritarselo appieno. Basti vedere con<br />

quanta precisione, nel susseguirsi e combinarsi<br />

delle scene, sia riuscito ad alternare gravità e leggerezza,<br />

toni tragici e toni svagati o grotteschi;<br />

come tutti i conti che via via vengono aperti finiscono<br />

prima o poi col tornare; come ogni richiamo<br />

o promessa tonale (dalle canzoni da osteria e dalle<br />

filastrocche infantili a Euripide, a Baudelaire)<br />

trovi a suo tempo, nel maturare della rievocazione<br />

e più ancora nell’avverarsi della partitura simbolica,<br />

un suo naturale, fatale adempimento.<br />

dal “Corriere della Sera” del 10 maggio 2001

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