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La mostra di Claudio Magris - Il Rossetti

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Sconfitti<br />

dal demone del tempo<br />

84 <strong>La</strong> Mostra costituisce l’esempio più acuto <strong>di</strong> un<br />

bisogno fisico d’intemperanza, che attraversa tutta<br />

l’opera <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>, non importa se saggistica,<br />

romanzesca o teatrale. Intemperanza, ossia<br />

necessità <strong>di</strong> rompere le righe, affinchè le schiere<br />

degli Argomenti e dei Documenti, possano, in libera<br />

uscita, <strong>mostra</strong>re meglio i caratteri in<strong>di</strong>viduali: i<br />

capelli bion<strong>di</strong> <strong>di</strong> Tizio, la camminata <strong>di</strong>noccolata<br />

<strong>di</strong> Caio, e così via. Pittore <strong>di</strong> civiltà, pittore <strong>di</strong> culture,<br />

<strong>Magris</strong> mi è sempre sembrato anche e<br />

soprattutto un pittore d’in<strong>di</strong>vidui, e tutta la sua<br />

saggistica impagabile mi è sempre parsa premere<br />

drammi. Nessuno meglio <strong>di</strong> lui conosce il filo sottile<br />

che separa e unisce insieme fatalità e arbitrarietà,<br />

inevitabilità e capriccio. I suoi ritratti non<br />

sono mai esempi <strong>di</strong> un certo clima culturale, bensì<br />

figure uniche, che sommate ad altre figure uniche<br />

possono dar ragione <strong>di</strong> un orientamento, <strong>di</strong> un<br />

sentimento dominante.<br />

Ne <strong>La</strong> Mostra <strong>Magris</strong> mette in scena, in una successione<br />

rapi<strong>di</strong>ssima <strong>di</strong> sequenze cinematografiche,<br />

l’esistenza <strong>di</strong> Vito Timmel, pittore triestino<br />

morto in manicomio. Dopo la sua morte, il <strong>di</strong>rettore<br />

dell’istituto allestisce una <strong>mostra</strong> con le sue<br />

opere, e mentre i quadri vengono sistemati ne illustra<br />

il senso. Sono presenti anche alcuni amici<br />

dello scomparso: lo scultore Mascherini, due professori<br />

e, soprattutto, Cesare Sofianopulo, traduttore<br />

<strong>di</strong> Baudelaire e pittore a sua volta.<br />

Ma è lo stesso Timmel a comparire, non come una<br />

madama Pace, s’intende, ma come in un film<br />

ritrovato in chissà quale archivio, che unisce spezzoni<br />

(perlopiù un b/n) <strong>di</strong> altri film, ancora più<br />

vecchi, in una giustapposizione volutamente stridente<br />

<strong>di</strong> linguaggi (dal <strong>di</strong>aletto alla lingua lettera-<br />

<strong>di</strong> Luca Doninelli<br />

ria più sofisticata).<br />

Attraverso la <strong>di</strong>scontinuità <strong>di</strong> questi frammenti si<br />

<strong>di</strong>pana la continuità della vita <strong>di</strong> questo pittore <strong>di</strong><br />

gran talento, ma governato da una forza auto<strong>di</strong>struttiva<br />

che lo condurrà, dopo tante traversie (<strong>di</strong><br />

cui la più penosa è la morte della prima moglie,<br />

Maria), all’ubriachezza, alla miseria e alla demenza.<br />

Cinema, dunque. Perché il cinema è il teatro<br />

dell’anima e del tempo, ossia della memoria. È la<br />

rappresentazione del cuore dentro il cuore. E in<br />

questa rappresentazione, lasciando stare ogni<br />

buona creanza, ogni pubblica virtù, <strong>Magris</strong> mette<br />

tutto se stesso (qui sta l’intemperanza massima),<br />

lo scrittore <strong>di</strong> successo non si vergogna <strong>di</strong> scoprirsi<br />

uguale al pittore morto in miseria, abbandonando<br />

alla pagina frasi che non potrebbero essere scritte<br />

se chi le scrive non ne conoscesse per esperienza il<br />

seno: «…me vergognavo vardandome in specio,<br />

un muso de spudarghe in boca, gnanca più me<br />

lavavo e tante volte, de sera, sentivo drento una<br />

paura enorme, nera, spaventosa, schifo e paura».<br />

<strong>Il</strong> testo de <strong>La</strong> Mostra è il più tormentato <strong>di</strong><br />

<strong>Magris</strong>. Se ne avvertono persino le cancellature, le<br />

cicatrici: la traccia <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne più lineare (e più<br />

insincero), la traccia <strong>di</strong> una naturale versificazione,<br />

poi abolita, - nel passo appena citato si riconoscono<br />

quattro ottimi endecasillabi. Ma scrivere è<br />

anche cancellare.<br />

Anche il meccanismo letterario s’inceppa talora, a<br />

<strong>di</strong><strong>mostra</strong>zione della durezza del cammino: come<br />

quando “salta” il correlativo oggettivo tra Timmel<br />

e <strong>Magris</strong> a proposito della morte <strong>di</strong> Maria. Pagine<br />

splen<strong>di</strong>de e commoventi, ma che non traggono la<br />

loro materia dall’interno del testo.<br />

Quante lastre sconnesse, a malcelare morti, come

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