La mostra di Claudio Magris - Il Rossetti
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<strong>Magris</strong>: l’oscuro<br />
riflettersi nell’“altro”<br />
74 Ra<strong>di</strong>cato nella precoce convinzione che l’unico<br />
modo <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> sé, della propria esperienza,<br />
consiste nel parlare degli altri raccontandoli con<br />
gli occhi della propria identità, l’impulso a scrutare<br />
negli oscuri cunicoli della Storia, attratto da<br />
in<strong>di</strong>vidui le cui vicende, non solo letterarie, meritavano<br />
<strong>di</strong> essere meglio illuminate, Clau<strong>di</strong>o<br />
<strong>Magris</strong> l’aveva già manifestato e assolto, agli inizi<br />
della sua smagliante carriera, nei saggi de<strong>di</strong>cati<br />
alla cultura mitteleuropea. Scrittori noti appena<br />
per qualche frettolosa riga <strong>di</strong> manuali accademici,<br />
o per spora<strong>di</strong>che traduzioni, nelle sue pagine<br />
hanno trovato un rilievo degno della loro complessa<br />
umanità, del loro valore estetico.<br />
Acuto storiografo della <strong>di</strong>sarmonia, stratega della<br />
<strong>di</strong>ssonanza, rabdomante <strong>di</strong> sontuose apocalissi <strong>di</strong><br />
corpi e <strong>di</strong> anime, questo fascinoso vociano postmoderno<br />
armato <strong>di</strong> Etica e <strong>di</strong> Stile si era rivelatoai<br />
suoi lettori e forse anche a se stesso – in libri<br />
felicemente ispirati. Penso soprattutto a <strong>Il</strong> mito<br />
absburgico nella letteratura austriaca moderna<br />
(Einau<strong>di</strong>, Torino 1963 e 1988) e a Lontano da<br />
dove. Joseph Roth e la tra<strong>di</strong>zione ebraico orientale<br />
(Einau<strong>di</strong>, Torino 1971), libri in cui le frontiere<br />
geografiche venivano assunte in trasparenza al<br />
dettato letterario sia come realtà antropologiche e<br />
geopolitiche sia come ferite esistenziali e storiche.<br />
<strong>La</strong> propria scrittura <strong>Magris</strong> ha saputo <strong>di</strong>agnosticarla<br />
con icastica efficaci, quel “periodare ipotattico<br />
che cerca <strong>di</strong> inseguire e <strong>di</strong> avvolgere le contrad<strong>di</strong>zioni<br />
del mondo” (Fra il Danubio e il mare,<br />
con videocassetta, Garzanti, Milano, 2001). <strong>Il</strong><br />
sinuoso andamento e la ricchezza lessicale dello<br />
stile, l’esegesi critica <strong>di</strong> intellettuali e scrittori<br />
campiti sullo sfondo storico-culturale, andavano<br />
<strong>di</strong> Enzo Golino<br />
al <strong>di</strong> là del limpido specialismo del germanista<br />
(cattedratico prima a Torino dove ha stu<strong>di</strong>ato e si<br />
è laureato, poi a Trieste dove è nato nel 1939, e in<br />
giro per le più importanti se<strong>di</strong> universitarie non<br />
solo italiane) con un piglio narrativo <strong>di</strong> cui già si<br />
poteva intuire l’ambiziosa promessa. Ernestina<br />
Pellegrini nel saggismo <strong>di</strong> <strong>Magris</strong> avvertiva la<br />
presenza <strong>di</strong> “uno scrittore in esilio imprigionato<br />
in una gabbia saggistica (...) schiacciato contro le<br />
sue frontiere intellettuali, ma che avrebbe sempre<br />
lottato perché non avvenisse una separazione<br />
ra<strong>di</strong>cale all’interno <strong>di</strong> questa “visuale doppia”.<br />
(Epica sull’acqua. L’opera letteraria <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o<br />
<strong>Magris</strong>, Moretti e Vitali, Bergamo 1997).<br />
<strong>Magris</strong> infatti aveva dato alle stampe un breve<br />
racconto <strong>Il</strong>lazioni su una sciabola (Garzanti,<br />
Milano, 1984) accolto da critiche per lo più favorevoli,<br />
poi ristampato in varie se<strong>di</strong> e<strong>di</strong>toriali. Non<br />
fui molto persuaso da questo debutto e neppure<br />
dalla successiva prova narrativa in forma <strong>di</strong><br />
romanzo, Un altro mare, pubblicato sette anni<br />
dopo sempre da Garzanti. Anche perché nel frattempo,<br />
il mio interesse per il <strong>Magris</strong> saggista era<br />
stato ulteriormente arricchito dalla lettura <strong>di</strong><br />
Danubio (Garzanti, Milano, 1986): libro senza<br />
etichette, incrocio quasi perfetto <strong>di</strong> miti e <strong>di</strong><br />
realtà, <strong>di</strong> Storia e <strong>di</strong> storie, geniale ibrido <strong>di</strong> sensazioni<br />
in<strong>di</strong>viduali e <strong>di</strong> sensibilità collettive<br />
costruito come una metafora ideale e materiale<br />
dell’esistenza sull’eterno tema del viaggio.<br />
L’acqua del fiume, testimonianza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ffusa<br />
“idrofilia” dell’autore, e qui onnipresente e onnicomprensivo<br />
simbolo da sviscerare secondo i dettami<br />
<strong>di</strong> una psicoanalisi degli elementi primor<strong>di</strong>ali<br />
alla Gaston Bachelard.