70 vengono sentite come un assoluto, come un dolore terribile. Se qualcuno ci tortura con le tenaglie roventi, in quel momento non ci interessa, non può interessarci il significato del mondo, ma viviamo l’assoluto <strong>di</strong> quel dolore fisico, e altrettanto vale per certi dolori morali; talvolta, per rendere giustizia a un fenomeno, bisogna mettersi faccia a faccia con la Medusa della vita - senza trarne una filosofia né un’ideologia della catastrofe, un pessimismo compiaciuto, una retorica della negatività. Ma collocandosi appunto faccia a faccia, a <strong>di</strong>stanza zero dalla Medusa della vita. È soprattutto il teatro che sa sbattere in faccia quello che viene <strong>di</strong>rettamente fuori dalla voce, dal cuore, dal corpo, dal gesto. E allora la scrittura si fa spezzata, rotta, come se raccogliesse delle schegge, <strong>di</strong> oggetti fatti a pezzi a colpi d’ascia, frantumi d’esistenza, <strong>di</strong> sentimenti, <strong>di</strong> vite <strong>di</strong>sgregate. Non avrei saputo scrivere <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> in una forma <strong>di</strong> scrittura <strong>di</strong>versa, perché l’ho vissuta in un certo modo dall’interno dei personaggi. Ho l’impressione come se questo libro fosse un libro scritto dopo un <strong>di</strong>luvio; come raccogliendo relitti portati dal mare sulla riva, cose bellissime e meravigliose, porcherie, frammenti [...]. Daniele Del Giu<strong>di</strong>ce: [...] L’altra parte a mio avviso fortemente drammatica, fortemente violenta a cui fa riferimento Clau<strong>di</strong>o è un vero vortice, un vero gorgo che sta nel cuore del libro, dove c’è proprio una scrittura dell’essere preso con le tenaglie, dove maggiormente emerge l’essere preso con le tenaglie, dove il dolore personale scrive <strong>di</strong>rettamente e non trova più conforto in una messa in or<strong>di</strong>ne o messa in caos o messa in <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne del mondo, in un pensiero filosofico. C’è proprio un punto che è il punto <strong>di</strong> maggiore violenza <strong>di</strong> questo testo ed è vero che mai Clau<strong>di</strong>o ha trattato in maniera così violenta una situazione esistenziale <strong>di</strong> dolore. È un momento che è introdotto anche questa volta dal <strong>di</strong>rettore, inteso qui come <strong>di</strong>rettore della <strong>mostra</strong>, il quale parla della crisi <strong>di</strong> Timmel che a un certo punto smette <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere, ma soprattutto smette <strong>di</strong> far mostre per quasi una dozzina d’anni. Non ci sarebbe niente <strong>di</strong> male in questo, fa parte del percorso; il fatto è che la deriva che ne risulta, cioè il suo vivere nelle osterie, il suo vendere schizzetti fatti nelle osterie in cambio <strong>di</strong> vino, il suo <strong>di</strong>pingere i muri delle osterie in cambio <strong>di</strong> cibo, è una deriva totalmente <strong>di</strong> abbandono, <strong>di</strong> indegnità; finché c’è un momento <strong>di</strong> riscatto, ma questo riscatto è ancora più indegno ed è un pezzo straor<strong>di</strong>nario. Accade che la moglie <strong>di</strong> Timmel muore e questa sua deriva, questa sua impotenza trova, in qualche modo, prima <strong>di</strong> tutto una nuova <strong>di</strong>gnità, nel senso che può avere un motivo [...]. [...] C’è dunque un riuso dell’indegnità trasformata in una nuova <strong>di</strong>gnità per la malattia e la morte della moglie. Questo è anche un altro tratto, ma non ne parlo in senso <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione letteraria ma <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione esistenziale. Anche Emilio Brentani, in Senilità, è bravissimo nel misurare la propria indegnità, conoscere la propria indegnità e riutilizzarla, passare dallo stato <strong>di</strong> vergogna profonda, trovando motivi che in qualche modo la nobilitino. C’è poi, nel momento della morte della moglie, questo notevolissimo e anche qui assai catastrofi-
co, assai drammatico vortice che riguarda appunto il tema <strong>di</strong> Alcesti, della donna che va nell’Ade, prendendo su <strong>di</strong> sé questo compito e sottraendolo invece al proprio uomo. Qui c’è una coincidenza, in senso <strong>di</strong> autobiografia rovesciata; qui c’è una partecipazione <strong>di</strong> te Clau<strong>di</strong>o come narratore molto forte la cui spia, tra l’altro, è proprio l’abbandono del <strong>di</strong>aletto, il passaggio alla lingua. 71