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La mostra di Claudio Magris - Il Rossetti

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ovviamente, lontanissimi; sono anzi, sotto molti<br />

aspetti, l’opposto <strong>di</strong> me. Ma in qualche modo è<br />

stato come se avessi trovato uno specchio deforme<br />

o deformante, in cui mi sono riconosciuto e che<br />

mi ha permesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>re certe cose che altrimenti<br />

forse non sarei riuscito a <strong>di</strong>re. Talvolta si scrivono<br />

libri che sono come la nostra fotografia; rileggendoli,<br />

uno si riconosce in essi, trova in essi ciò che<br />

egli pensa del mondo, la sua concezione e il suo<br />

sentimento della vita. Ma ci sono dei libri che si<br />

scrivono e che sono un po’ come il negativo della<br />

nostra fotografia. Libri che non <strong>di</strong>cono le nostre<br />

risposte ai problemi della vita, ma che fanno sentire<br />

intensamente le domande su quei problemi<br />

che noi ci poniamo nel nostro profondo, anche se<br />

<strong>di</strong>amo loro risposte <strong>di</strong>verse; libri che <strong>di</strong>cono non<br />

solo quello che siamo, ma quello che potremmo,<br />

vorremmo o temiamo <strong>di</strong> essere; che <strong>di</strong>cono le<br />

nostre ossessioni, cui magari non indulgiamo<br />

nella nostra vita pratica e nella elaborazione della<br />

nostra visione del mondo. Libri che esprimono<br />

una visione del mondo che non potremmo certo<br />

firmare, come se fosse la nostra, ma in cui sentiamo<br />

risuonare, magari in<strong>di</strong>rettamente, tante possibili,<br />

sognate, temute, esorcizzate o represse visioni<br />

del mondo nascoste dentro <strong>di</strong> noi. Io credo <strong>di</strong><br />

assomigliare un po’ al protagonista <strong>di</strong> Danubio e<br />

a quello <strong>di</strong> Microcosmi, vorrei assomigliare a<br />

quello del Conde, non assomiglio affatto nel mio<br />

comportamento e nei miei sentimenti (a parte<br />

l’amore per il mare) a Enrico Mreule, ma le<br />

domande che egli si pone nel suo intimo le sento<br />

fortemente, sono le mie domande, anche se le mie<br />

risposte sono ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>verse.<br />

Un altro problema è costituito dalla scrittura <strong>di</strong><br />

questo testo, che è molto <strong>di</strong>versa da quella della<br />

maggior parte delle cose che ho scritto. Forse<br />

ricorda un po’, per certi versi, Stadelmann, o<br />

ancora <strong>di</strong> più Le voci, per qualche aspetto anche<br />

Un altro mare. Ma <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> ha una scrittura<br />

molto più violenta, dura e visionaria, spezzata, in<br />

certi momenti forse anche ardua, <strong>di</strong>fficile. Ci<br />

sono, in quello che scrivo, come due scritture. C’è<br />

quella che cerca <strong>di</strong> capire il mondo, <strong>di</strong> rendersi<br />

ragione dei suoi fenomeni, <strong>di</strong> collocare i singoli<br />

destini, anche dolorosi, sullo sfondo della totalità<br />

del mondo, e del suo significato, che dunque in<br />

qualche modo li me<strong>di</strong>a. È una scrittura avvolgente,<br />

con perio<strong>di</strong> ipotattici ben costruiti, gerarchizzati,<br />

che pongono le cose importanti nelle frasi<br />

principali e quelle secondarie nelle subor<strong>di</strong>nate,<br />

mettendo per così <strong>di</strong>re al loro posto gli aspetti del<br />

mondo. Questo è il tipo <strong>di</strong> scrittura che ho praticato<br />

<strong>di</strong> più, sia nella narrativa, sia nella saggistica;<br />

una scrittura che vuole dare senso alle cose,<br />

collocare ogni singola esperienza, anche dolorosa,<br />

in una totalità che la comprenda e che, solo per il<br />

fatto <strong>di</strong> comprenderla, può conciliarla, ovvero<br />

inquadrarla in un contesto più ampio.<br />

C’è invece la scrittura (soprattutto, ma non solo,<br />

quella teatrale) che mi sembra <strong>di</strong>a la possibilità<br />

<strong>di</strong> rendere giustizia a certe esperienze brucianti,<br />

<strong>di</strong>rette. Una sofferenza grande, anche la nostra<br />

morte, se collocata nella storia del mondo, per il<br />

solo fatto <strong>di</strong> esservi collocata, assume un senso<br />

che non sminuisce certo la sua tragicità ma in<br />

qualche modo la mitiga. Quest’altra scrittura<br />

invece cerca <strong>di</strong> non sottrarsi alla bruciante imme<strong>di</strong>atezza,<br />

<strong>di</strong> confrontarsi con l’assolutezza <strong>di</strong> certi<br />

istanti. Ci sono dei momenti, delle sofferenze, che<br />

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