La mostra di Claudio Magris - Il Rossetti
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<strong>La</strong> Mostra<br />
<strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong><br />
<strong>di</strong>retto da Antonio Calenda
Vito Timmel - “Autoritratto”<br />
per gentile concessione del Museo Revoltella <strong>di</strong> Trieste
lo spettacolo
Conversazione con Antonio Calenda<br />
«Un testo che è libretto d’opera, e contemporaneamente<br />
comme<strong>di</strong>a surreale, dramma, e letteratura,<br />
ma una letteratura in movimento, perché la<br />
parola <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong> sulla scena <strong>di</strong>venta atto,<br />
con forza. Un testo in cui attraverso generi e linguaggi<br />
<strong>di</strong>versi, si dà voce a emozioni struggenti,<br />
come a momenti <strong>di</strong> fantasiosa ironia, e che procede<br />
per flash, tasselli <strong>di</strong> memoria, immagini, sogni,<br />
come se il tempo e lo spazio, per questo racconto,<br />
non fossero categorie plausibili... <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> offre<br />
induzioni e spazi amplissimi per <strong>di</strong>ventare materia<br />
teatrale, e ciò nel momento della messinscena<br />
va assecondato, liberando il respiro creativo, la<br />
fantasia, la poesia».<br />
Antonio Calenda ha amato fin dalla prima lettura<br />
<strong>La</strong> <strong>mostra</strong> <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>, testo che per il<br />
Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia è <strong>di</strong>ventato<br />
punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> un rilevante impegno produttivo,<br />
e che giunge ora al palcoscenico della<br />
Sala Bartoli.<br />
«È stato emozionante allestire <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> – continua<br />
infatti il regista – innanzitutto perché rappresenta<br />
un incontro bellissimo e importante fra il<br />
nostro Teatro e un grande autore qual è Clau<strong>di</strong>o<br />
<strong>Magris</strong>. Poi per i talenti e le energie che abbiamo<br />
potuto comporre nella compagnia d’interpreti,<br />
che ritengo adatta a dar corpo a un progetto<br />
inconsueto come questo, e che trova due maestri<br />
<strong>di</strong> rilievo in Roberto Herlitzka e Mario<br />
Maranzana»<br />
Interpreti che l’hanno seguita lungo linee<br />
registiche che si scostano dal naturalismo e<br />
che hanno affrontato i personaggi senza<br />
rimanere rigidamente legati a percorsi razio-<br />
nali…<br />
<strong>di</strong> <strong>Il</strong>aria Lucari<br />
«In questo spettacolo, l’irrazionalità (un’irrazionalità<br />
pensata, ovviamente) è il fondamento <strong>di</strong> un<br />
sogno che ho voluto gli attori creassero e vivessero<br />
assieme al pubblico. È lo stesso autore a sottolineare<br />
come per <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> non sia stato possibile<br />
seguire una struttura ipotattica, esprimere una<br />
consequenzialità, un mondo <strong>di</strong> pensieri organizzati<br />
secondo logica causalità. Per raccontare Vito<br />
Timmel è stato necessario invece ricorrere a una<br />
scrittura notturna, vitale, non filtrata. Proprio<br />
perché al centro del testo è l’universo interiore del<br />
protagonista, ricco d’emozioni, vibrazioni, contrad<strong>di</strong>zioni,<br />
animato <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, voci, sogni, dolenze.<br />
Lo spettacolo fa propria questa <strong>di</strong>mensione e<br />
si evolve come se ci si inoltrasse nel mistero <strong>di</strong><br />
una coscienza, nella mente <strong>di</strong> Timmel, fra le luci<br />
e le ombre <strong>di</strong> un “Io” che sta precipitando nella<br />
follia».<br />
Vito Timmel è simbolo <strong>di</strong> una particolare<br />
con<strong>di</strong>zione esistenziale.<br />
«<strong>Il</strong> personaggio <strong>di</strong> Timmel ha una notevole<br />
<strong>di</strong>mensione teatrale e ci permette <strong>di</strong> portare in<br />
scena una con<strong>di</strong>zione esistenziale molto affascinante:<br />
l’incapacità <strong>di</strong> sopportare la forza dei sentimenti<br />
e delle passioni, da cui egli resta quasi<br />
accecato, a causa <strong>di</strong> un’acuita sensibilità.<br />
In effetti è <strong>di</strong> questo tema, che si sostanzia la trage<strong>di</strong>a:<br />
l’impossibilità <strong>di</strong> affrontare l’incongruenza<br />
dell’esistere (un tema che trova forti assonanze<br />
con quel filone novecentesco, che a teatro denuncia<br />
dolorosamente l’assur<strong>di</strong>tà della vita), l’inca-<br />
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pacità <strong>di</strong> resistere alle proprie inadeguatezze,<br />
come pure alle proprie potenzialità... In un estremo<br />
tentativo d’auto<strong>di</strong>fesa Timmel vorrebbe essere<br />
un oggetto – ci racconta un “coro <strong>di</strong> se<strong>di</strong>e”, che<br />
l’autore surrealmente inserisce nel testo – senza<br />
possibilità <strong>di</strong> sentire nulla, né gioia né dolore.<br />
È significativa una sua splen<strong>di</strong>da battuta: “...un<br />
punto, ecco. Io sono un punto, Io è un punto. Un<br />
punto non ha estensione, non c’è, non è niente”.<br />
Preferirebbe dunque confondersi col resto del<br />
mondo percepibile, non essere evidente, “ab<strong>di</strong>care”<br />
per non soffrire la propria limitante con<strong>di</strong>zione.<br />
E invece la coglie fino alla fine, fino all’ultimo<br />
dei suoi “mille giorni” <strong>di</strong> reclusione all’Ospedale<br />
psichiatrico <strong>di</strong> San Giovanni (paradossale suggello<br />
ad una vita anarchica e randagia): solo la<br />
morte lo libererà, facendolo cadere, <strong>di</strong>ssolvere<br />
quasi – come gli fa <strong>di</strong>re <strong>Magris</strong> – “...in tanti punti<br />
luminosi, tanti petali <strong>di</strong> un sorriso, una margherita<br />
che si sfoglia nella notte”».<br />
Eppure è profonda la capacità d’amare <strong>di</strong><br />
Timmel, che per la moglie Maria rivive sentimenti<br />
delicatissimi e un dolente senso <strong>di</strong><br />
colpa, attraverso le parole che Euripide<br />
pensò per Admeto…<br />
«Si tratta <strong>di</strong> uno dei momenti più commoventi<br />
dello spettacolo, che adombra accenti autobiografici<br />
dello stesso autore: come Admeto, Timmel<br />
evoca la sua Alcesti perduta, una donna che ha<br />
dato senso alla sua vita e al cui ricordo si appiglia<br />
con tutte le forze e con grande struggimento. Ma<br />
Timmel non è solo Admeto: se vogliamo, si riflette<br />
pure in E<strong>di</strong>po, che deve conoscere un destino che<br />
non riesce ad affrontare. E poi ci sono Damone e<br />
Pizia, Armo<strong>di</strong>o e Aristogitone: in essi è trasfigurata<br />
quell’amicizia piena che lega Timmel a Cesare<br />
Sofianopulo, a Marcello Mascherini, ad altri artisti<br />
triestini... Sono la rappresentazione <strong>di</strong> una<br />
“<strong>di</strong>sciplina del sentimento”, <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>visione<br />
profonda delle emozioni e della vita, che il nostro<br />
tempo non conosce più (e che sulla scena, abbiamo<br />
cercato <strong>di</strong> restituire attraverso un finissimo<br />
velo <strong>di</strong> nostalgia) e allo stesso tempo <strong>di</strong> un modo<br />
<strong>di</strong> vivere la cultura – anche alta, raffinatissima –<br />
nella quoti<strong>di</strong>anità, che pure ormai abbiamo perduto.<br />
<strong>La</strong> nostra società solitaria, passiva, ha scelto<br />
altri tessuti connettivi: nel passato (e – per<br />
come la conosciamo dalle testimonianze <strong>di</strong> altri<br />
artisti importanti, Svevo, Slataper – probabilmente<br />
nella Trieste del passato, con particolare<br />
intensità) esistevano preziose “cellule” <strong>di</strong> intellettuali,<br />
che anche nelle piccole cose della vita si trovavano<br />
uniti, e sulla base <strong>di</strong> motivazioni culturali<br />
forti, fondavano certezze e legami esistenziali<br />
eterni.<br />
Non sono dunque parallelismi casuali, o peggio<br />
gratuiti, quelli che coinvolgono le figure mitologiche.<br />
<strong>Il</strong> climax culturale in cui Timmel visse e<br />
operò, era decisamente segnato dalla presenza del<br />
mito: Hoffmanstahl ne fece materia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong><br />
creazione artistica, Richard Strauss da un suo<br />
libretto – l’Elettra – trasse una delle opere più<br />
belle e innovative della musica dell’ultimo secolo...<br />
Possiamo allora essere certi che Timmel sentisse<br />
fortemente il legame con il mondo della<br />
mitologia.<br />
Admeto, Pizia, Aristogitone, Morfeo, l’Ade...<br />
Risonanze meravigliose per noi che facciamo tea-
tro: una moltiplicazione <strong>di</strong> echi, <strong>di</strong> chiavi <strong>di</strong> lettura,<br />
<strong>di</strong> prospettive che rendono il testo mosso e<br />
intenso.<br />
Tali tensioni drammatiche e liriche – prosegue<br />
Calenda – sono spesso interrotte, anche in modo<br />
violento, da sciabolate <strong>di</strong> banalità, da filastrocche<br />
e nenie in <strong>di</strong>aletto (linguaggio riservato soprattutto<br />
ai matti ricoverati assieme a Timmel), da altre<br />
contaminazioni. Un duro controcanto all’espansione<br />
del senso poetico dei protagonisti: tutto ciò<br />
ci ha reso possibili decisi momenti <strong>di</strong> straniamento,<br />
ma ci ha imposto anche un sottile lavoro <strong>di</strong><br />
calibratura... Ognuno <strong>di</strong> questi tasselli d’espressione<br />
infatti deve contribuire in propria misura<br />
alla creazione <strong>di</strong> un universo <strong>di</strong> sensazioni, che<br />
ho ritenuto fondamentale peculiarità de <strong>La</strong><br />
<strong>mostra</strong>.<br />
Prezioso in questo senso è stato il lavoro <strong>di</strong><br />
Germano Mazzocchetti che ha ricreato per lo<br />
spettacolo un pathos musicale fra echi della tra<strong>di</strong>zione<br />
e accenti mitteleuropei».<br />
<strong>La</strong> <strong>di</strong>mensione della follia ha nel testo uno<br />
spazio rilevante…<br />
«I matti che circondano Timmel nei “mille giorni”<br />
sono uno sfondo tragico e dolente che a volte<br />
appare anche stranamente surreale, lieve. Ho<br />
chiesto agli attori <strong>di</strong> non pensare ai cliches della<br />
rappresentazione della follia, ma <strong>di</strong> far sentire –<br />
in ogni gesto, nella voce, nell’espressione – la<br />
paura e la profonda solitu<strong>di</strong>ne della pazzia.<br />
Un merito che va certo riconosciuto all’autore, è<br />
poi quello <strong>di</strong> aver <strong>di</strong>pinto la follia <strong>di</strong> Timmel (in<br />
un teatro che ha costruito sulla pazzia gran<strong>di</strong> testi<br />
e gran<strong>di</strong> protagonisti, basti pensare al pirandelliano<br />
Enrico IV, ma anche molti stereotipi) con<br />
originalità. In tutto il testo non sentiamo mai la<br />
caratterizzazione “bassa” della follia: e nel protagonista,<br />
potremmo affermare che proprio non c’è<br />
follia (almeno secondo le convenzioni a cui siamo<br />
abituati). C’è invece una creazione poetica della<br />
follia. <strong>Il</strong> manicomio offre uno sfondo “immanente”<br />
a ogni sofferenza e paradossalmente – proprio<br />
in quel mondo <strong>di</strong> dolore e costrizione – Timmel<br />
trova una propria plausibilità, una serenità leggera<br />
che gli fa vedere bontà e pace in chi popola<br />
l’Ospedale <strong>di</strong> San Giovanni.<br />
Questa “caduta agli Inferi” <strong>di</strong> Timmel non è definibile<br />
secondo vecchi stereotipi, o secondo gli<br />
schemi della vecchia o della nuova psichiatria...<br />
sembra impossibile cogliere scientificamente le<br />
profonde complessità e le contrad<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />
un’anima fervida e creatrice. Ciò alimenta<br />
un’ulteriore e affascinante opposizione, nel testo,<br />
fra la figura del protagonista e quella del <strong>di</strong>rettore<br />
del maniconio (e dell’allestimento della <strong>mostra</strong><br />
pittorica, da cui il testo prende titolo): una sorta<br />
<strong>di</strong> suo “alter ego” se vogliamo, sinceramente<br />
impegnato a ricordarlo e capirlo, ma attanagliato<br />
costantemente da un senso d’inadeguatezza, <strong>di</strong><br />
leggera incapacità, una <strong>di</strong>mensione che trascolora<br />
– nel personaggio – fra accennata ironia e malinconia.<br />
<strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore è uomo <strong>di</strong> forme, ama illustrare le<br />
cose, creare ossature certe, spiegare... resta <strong>di</strong>sorientato<br />
davanti alla misteriosa assolutezza <strong>di</strong><br />
Timmel, alla sua nobile rinuncia, al suo quieto<br />
annientamento. Ai <strong>di</strong>scorsi necessariamente retorici<br />
sulla realtà, proposti dal <strong>di</strong>rettore, Timmel<br />
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8<br />
risponde gettando i suoi “frammenti” <strong>di</strong> vita<br />
vera, fatta <strong>di</strong> storie, <strong>di</strong> flash, <strong>di</strong> sensazioni anche<br />
incomprensibili, ma vive e assolutamente reali. E<br />
mettendo a nudo l’incapacità del <strong>di</strong>rettore a capire<br />
il decadere delle sicurezze che appartiene al<br />
mondo dell’inferiorità.<br />
Interessante è infine la <strong>di</strong>alettica che si attua fra<br />
folli e sani, fra reclusi e coloro che vivono “nel<br />
mondo <strong>di</strong> fuori” – come appare evidente da alcuni<br />
scambi <strong>di</strong> battute fra Timmel e l’amico<br />
Sofianopulo: chi appare più matto? <strong>Il</strong> pittore<br />
emarginato Timmel o il <strong>di</strong>rettore? Una <strong>di</strong>alettica<br />
che vorrei si estendesse anche fra attori e pubblico».<br />
<strong>Il</strong> pubblico sarà molto coinvolto in questa<br />
messinscena, posto a <strong>di</strong>stanza minima dagli<br />
attori, quasi “immerso” in una scena concepita<br />
per lo spazio raccolto della Sala<br />
Bartoli…<br />
«C’è un’attinenza “architettonica”, <strong>di</strong> epoca e <strong>di</strong><br />
stili fra gli e<strong>di</strong>fici storici dell’Ospedale <strong>di</strong> San<br />
Giovanni e quelli della zona del Politeama<br />
<strong>Rossetti</strong>, gli stessi finestroni <strong>di</strong> Sala Bartoli... e<br />
questo fin dalle prime ipotesi <strong>di</strong> allestimento mi<br />
ha regalato interessanti suggestioni. <strong>La</strong> messinscena<br />
– per il tipo <strong>di</strong> scrittura e <strong>di</strong> struttura usate<br />
da <strong>Magris</strong> – non avrebbe potuto rifarsi a canoni<br />
realistici: richiedeva invece un forte coinvolgimento<br />
del pubblico, ritmi serrati. Sul piano degli<br />
spazi, abbiamo lavorato assieme a Pier Paolo<br />
Bisleri, che ha creato una scenografia che supera i<br />
confini dello “spazio degli attori” e avvince lo<br />
spettatore fin dalla sua entrata a teatro. Una gal-<br />
leria infatti lo introduce alle atmosfere de <strong>La</strong><br />
Mostra, fra voci e immagini che troveranno il loro<br />
pieno significato nello spettacolo. Che si svolge in<br />
una sorta <strong>di</strong> caverna platonica, uno spazio mentale<br />
nero in cui prendono forma le immagini del<br />
passato e del presente <strong>di</strong> Vito Timmel.<br />
Un universo stilizzato, in cui lo spazio del passato<br />
<strong>di</strong> Timmel (le osterie, la vita d’artista e <strong>di</strong> bambino)<br />
sfuma in quello del manicomio, in quello del<br />
presente (con gli amici che lo piangono, con il<br />
<strong>di</strong>rettore che lo ricorda). Uno spettacolo in cui lo<br />
spazio degli attori sfuma in quello degli spettatori<br />
e si apre violentemente sulla realtà.».
Conversazione con Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong><br />
Mentre alla Sala Bartoli <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o<br />
<strong>Magris</strong> sta trovando voce, fisicità, la propria<br />
<strong>di</strong>mensione scenica – “tradotto” dalla pagina al<br />
palcoscenico, dal fervido lavoro del regista<br />
Calenda, <strong>di</strong> Roberto Herlitzka, Mario Maranzana<br />
e degli attori e collaboratori dello Stabile regionale<br />
– l’autore ci regala qualche riflessione sul testo<br />
e sull’esperienza <strong>di</strong> questa messinscena, che ha<br />
seguito “da vicino” assistendo spesso alle prove.<br />
«È molto bello – commenta – veder nascere lo<br />
spettacolo, un po’ come vedere un figlio che va<br />
per la sua strada...»<br />
Per quale motivo, per raccontare la storia <strong>di</strong><br />
Timmel ha sentito necessario esprimersi in<br />
forma teatrale?<br />
<strong>Il</strong> primo motivo, forse meno rilevante, è che Fabio<br />
Nieder mi chiese <strong>di</strong> scrivere assieme un’opera su<br />
Timmel, e dunque avrei dovuto concepire <strong>La</strong><br />
<strong>mostra</strong> come un libretto d’opera. Dapprima<br />
rifiutai, poi questa figura mi rimuginava dentro e<br />
ho scritto. Però ognuno <strong>di</strong> noi è andato per la sua<br />
strada e credo che alla fine le nostre opere siano<br />
molto <strong>di</strong>verse: ci siamo reciprocamente debitori<br />
per lo scambio d’idee, d’intuizioni. Ci sono invece<br />
ragioni più profonde. Intanto credo che uno scrittore,<br />
se ha un minimo <strong>di</strong> autenticità, non scelga<br />
mai a priori: fa quello che può. Non ho scelto <strong>di</strong><br />
scrivere Danubio in quel modo, è nato così: ogni<br />
storia nasce in<strong>di</strong>ssolubilmente legata alla propria<br />
forma.<br />
Ci sono poi due tipi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> scrittura. Un conto<br />
è quando scriviamo un articolo per il giornale,<br />
oppure per una ragione politica o morale: quando<br />
<strong>di</strong> <strong>Il</strong>aria Lucari<br />
cioè trattiamo un problema dando un giu<strong>di</strong>zio,<br />
sulla base <strong>di</strong> una visione globale, esprimendo<br />
anche quelle che sono le nostre <strong>di</strong>rette concezioni<br />
del mondo. Tutt’altro è invece se facciamo i conti<br />
con certe esperienze nostre o altrui, capaci <strong>di</strong> provocare<br />
pensieri e sentimenti che emergono senza<br />
che li controlliamo o analizziamo: non esprimiamo<br />
allora le nostre “risposte”, ma le nostre<br />
domande. <strong>Il</strong> teatro è la forma più adatta a dar<br />
voce all’elemento che chiamo “notturno”, a questo<br />
“fluire della vita” che non raccontiamo per<br />
dare un giu<strong>di</strong>zio morale, ma che “ascoltiamo”<br />
quasi e registriamo...<br />
Una scrittura più dell’anima che della<br />
mente?<br />
È una scrittura che non nasce da quanto vogliamo<br />
<strong>di</strong>re responsabilmente sul mondo. Sono piuttosto<br />
brandelli <strong>di</strong> vita, <strong>di</strong> emozioni: per me la<br />
forma teatrale è strettamente legata a questa<br />
scrittura selvaggia, meno analitica, meno ideologica,<br />
più vitale. Espressione delle inquietu<strong>di</strong>ni,<br />
delle domande che ci si pone quando si è sbattuti<br />
faccia a faccia col grado zero dell’esistenza, con la<br />
Medusa. <strong>Il</strong> teatro può testimoniare quel momento,<br />
proprio perché gli appartiene l’hic et nunc, in<br />
ogni gesto, in ogni battuta, in ogni attimo.<br />
Ha potuto seguire le <strong>di</strong>verse fasi della “genesi”<br />
dello spettacolo. Come ha vissuto questa<br />
esperienza?<br />
Mi ha molto interessato, ho seguito <strong>di</strong>verse prove,<br />
fin dall’inizio. Devo <strong>di</strong>re che mi sono sentito<br />
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molto capito. Sono intervenuto quando mi hanno<br />
chiesto qualcosa, ma non ho sentito mai <strong>di</strong> dover<br />
spiegare.<br />
<strong>Il</strong> testo certo è mio, lo spettacolo però è un po’<br />
mio, un po’ <strong>di</strong> Calenda, <strong>di</strong> Herlitzka, <strong>di</strong><br />
Maranzana. Io agisco da autore, la messinscena è<br />
compito loro. Lo stesso mi accade con i traduttori:<br />
do qualche chiarimento, poi il lavoro è loro.<br />
Mi riconosco in pieno nell’impostazione dello<br />
spettacolo, nelle idee registiche, nel lavoro <strong>di</strong><br />
Herlitzka che sta interpretando Timmel in modo<br />
straor<strong>di</strong>nario, in quello <strong>di</strong> Maranzana, che ha<br />
colto a fondo la parte fra il fraterno e lo scurrile<br />
<strong>di</strong> Sofianopulo. Poi accade che nel corso della<br />
messinscena, si scopre sempre qualcosa <strong>di</strong> nuovo<br />
e questo è affascinante. Sono colpito dal fatto che<br />
solo per il tono con cui l’attore <strong>di</strong>ce certe cose, il<br />
lavoro acquista un ritmo, una <strong>di</strong>mensione che<br />
non solo rende giustizia al testo, ma anche gli dà<br />
senso, lo arricchisce... Mentre seguo le prove, sono<br />
portato a riandare non solo al libro, ma a qualcosa<br />
<strong>di</strong> più conturbante per me, ed è il momento in<br />
cui l’ho scritto, il vissuto che si è metabolizzato<br />
nelle pagine de <strong>La</strong> <strong>mostra</strong>. C’è allora un’emozione<br />
autentica, perché non riguarda la piccola<br />
vanità d’autore, ma l’intensità del vissuto. <strong>Il</strong> vissuto,<br />
i sentimenti a teatro possiedono una forza<br />
speciale, <strong>di</strong>ventano storia, voce, corpo, movimento...<br />
Che cosa l’ha affascinata del Timmel uomo e<br />
artista?<br />
Più d’ogni cosa mi ha colpito il fatto che Timmel<br />
vivesse così intensamente la vita da poterla trova-<br />
re insostenibile: mi ha affascinato questa sua<br />
“regale ab<strong>di</strong>cazione”. Tutto forse è nato da una<br />
frase, in cui <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare tutto,<br />
quando invece stava <strong>di</strong>menticando per malattia:<br />
trasfigura un sintomo clinico, in un desiderio <strong>di</strong><br />
libertà...<br />
È talmente anarchico da non voler nemmeno<br />
impegnarsi nella vita, vuole essere “una cosa”.<br />
Perciò ho inserito nel testo un “coro <strong>di</strong> se<strong>di</strong>e”: a<br />
volte si desidera essere oggetti, per non soffrire,<br />
per non sentire nulla. Ecco mi colpiscono le persone<br />
che “sentono” in modo così intenso, da essere<br />
costrette a rinunciare alla vita vera. Timmel<br />
arriva a desiderare la schiavitù. Un’aspirazione<br />
incon<strong>di</strong>visibile in cui c’è però qualcosa <strong>di</strong> molto<br />
commovente: una brama <strong>di</strong> essere bambini, <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>pendere, per essere felici... Così in questo “no”<br />
alla vita reale, si sente un immenso amore per la<br />
vita. Come se per chi ha troppa sensibilità,<br />
l’unica soluzione fosse quella <strong>di</strong> ottundersi: soluzione<br />
sbagliata, ma che contiene una grande<br />
verità esistenziale.<br />
Timmel nel suo “ab<strong>di</strong>care” non è affatto apatico...<br />
<strong>La</strong> sua vitalità non è quella banale, trionfante e<br />
“muscolosa”, ma quella interiore e sempre così<br />
insi<strong>di</strong>ata, scalcagnata, minacciata da tutto, da noi<br />
stessi, dal mondo <strong>di</strong> fuori, dalla nostra debolezza<br />
fisica e psicologica... In Timmel c’è pure un che <strong>di</strong><br />
riottoso, quin<strong>di</strong> la <strong>di</strong>mensione dell’osteria,<br />
dell’amicizia. Invece non è mai rabbioso: mi<br />
incanta che cerchi fino all’ultimo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che tutto<br />
è bellissimo, che l’Ospedale <strong>di</strong> San Giovanni è
meglio <strong>di</strong> Vienna. Qualche volta ha durezza, protesta,<br />
ma in modo nobile, includendo se stesso fra<br />
coloro che vorrebbe criticare.<br />
Spesso usa nelle sue opere personaggi realmente<br />
esistiti: qui Timmel ma anche Sofianopulo<br />
e Mascherini, che ha conosciuto<br />
<strong>di</strong>rettamente. È più <strong>di</strong>fficile operare creativamente<br />
su figure storiche?<br />
Ho conosciuto poco Sofianopulo, Mascherini<br />
invece era un caro amico <strong>di</strong> mio padre. Più che<br />
<strong>di</strong>fficoltà ci può essere un po’ <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zio verso<br />
chi scrive <strong>di</strong> personaggi veramente esistiti. A mio<br />
parere, che si scriva <strong>di</strong> figure reali o inventate, ciò<br />
non ha alcuna attinenza col risultato finale: un<br />
libro può essere comunque bello, brutto, capolavoro...<br />
Da sempre personaggi veri popolano la letteratura<br />
e il teatro: ne hanno scritto Schiller,<br />
Manzoni, Tolstoj... Un personaggio che ha una<br />
collocazione storica pone solo alcuni limiti<br />
all’invenzione (Tomizza, ad esempio, non avrebbe<br />
potuto dare un lieto fine a Gli sposi <strong>di</strong> via <strong>Rossetti</strong><br />
perché si sa che gli sposi furono assassinati), però<br />
credo che arte sia anche conciliare libertà con<br />
limiti <strong>di</strong> genere, <strong>di</strong> forma. Ci sono personaggi che<br />
interessano molto per il complesso della loro figura<br />
nella storia, e altri che uno prende perché colpito<br />
da un dettaglio. Per esempio Sofianopulo,<br />
qui, mi interessava proprio per la combinazione<br />
positiva <strong>di</strong> creatività, fraternità, bizzarria anche<br />
gigionesca: non c’è la pretesa <strong>di</strong> raccontare tutto<br />
il personaggio.<br />
Come <strong>di</strong>ceva Svevo, la vita è originale, più <strong>di</strong> ciò<br />
che posso inventare... Basta guardare la storia <strong>di</strong><br />
Timmel, il funerale nel giorno <strong>di</strong> capodanno, la<br />
buffa e profonda amicizia con Sofianopulo: non<br />
sono mie invenzioni. Questo è il punto: la vita<br />
può permettersi quegli ar<strong>di</strong>menti d’invenzione<br />
che farebbero apparire l’autore esagerato.<br />
Alla delicata figura <strong>di</strong> Maria, prima moglie <strong>di</strong><br />
Timmel è de<strong>di</strong>cato un commovente canto<br />
d’amore espresso attraverso le parole <strong>di</strong><br />
Euripide. Perché questa citazione?<br />
È la storia <strong>di</strong> Alcesti, che muore affinché il marito<br />
viva e della colpa dell’uomo che ne approfitta.<br />
Alcesti è simbolo <strong>di</strong> tutte o molte donne, che<br />
hanno vissuto meno, affinché il loro uomo potesse<br />
vivere <strong>di</strong> più. Sento molto questa parte d’ombra...<br />
<strong>La</strong> citazione d’Euripide avviene pure per altri<br />
motivi. Dovevo raccontare una grande figura<br />
femminile, un amore immenso e contemporaneamente<br />
colpevole, perché mescolato alla debolezza<br />
struggente e anche ignobile dell’uomo. È talmente<br />
forte in ciò il richiamo ad Alcesti, che sembrava<br />
sciocco <strong>di</strong>menticarlo. Poi la citazione è anche un<br />
argine: forse temevo scrivendo, <strong>di</strong> essere travolto<br />
dall’emotività, poiché nel testo ho metaforizzato<br />
cose estremamente e violentemente personali.<br />
Infine ritengo che esistano preziose e rare versioni<br />
poetiche d’altri, che <strong>di</strong>cono sulla nostra vita più<br />
<strong>di</strong> quanto possiamo con le nostre parole: è un po’<br />
come la preghiera, per un religioso l’Ave Maria<br />
non è meno forte e personale delle sue proprie<br />
parole. <strong>Il</strong> mio scopo non è suscitare ammirazione<br />
per me scrivente, ma che il testo <strong>di</strong>ca ciò che mi<br />
sta a cuore. Meglio se una citazione mi aiuta.<br />
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Usa filastrocche, nenie, il <strong>di</strong>aletto, affastellando<br />
tante frazioni <strong>di</strong> linguaggio. <strong>Il</strong> testo<br />
possiede una forte musicalità...<br />
Ho pensato molto alla musica. C’è nel testo una<br />
babele <strong>di</strong> linguaggi che rivela lo spappolarsi<br />
dell’“Io” <strong>di</strong> Timmel nella follia. Timmel deve<br />
dunque possedere linguaggi <strong>di</strong>versi, deve parlare<br />
alto, sublime, folle, cattivo... <strong>Il</strong> <strong>di</strong>aletto è fra questi,<br />
e non ha nulla <strong>di</strong> folclorico, non è espressione<br />
calda della familiarità. È inteso come ventre della<br />
vita, quando si è messi faccia a faccia con lei. Le<br />
filastrocche – in parte riprese, in parte inventate –<br />
rappresentano il “non senso” della vita brada,<br />
fatta dall’accostamento non me<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />
piani. <strong>La</strong> cultura alta cerca sempre una me<strong>di</strong>azione,<br />
usando un registro stilistico preciso... Per<br />
Timmel la vita pone un corto circuito violentissimo<br />
fra il sublime e il basso, fra la vita e la morte.<br />
È là che il <strong>di</strong>aletto, <strong>di</strong>struggendo il decoro, esprime<br />
una specie d’infanzia, oppure certe fasi estreme<br />
della vecchiaia, dove la vita si riduce all’osso,<br />
non ha più me<strong>di</strong>azioni e procede sul filo fra<br />
<strong>di</strong>pendenza e assoluta libertà.<br />
Molte “me<strong>di</strong>azioni” connotano invece il<br />
<strong>di</strong>rettore...<br />
All’inizio il <strong>di</strong>rettore era per me un espe<strong>di</strong>ente per<br />
“tenere assieme” la storia, ma è <strong>di</strong>ventato un personaggio<br />
complesso. Da un lato è l'alter ego <strong>di</strong><br />
Timmel e dunque dell’autore. Ma è anche un<br />
uomo retore, come lo siamo tutti quando – a <strong>di</strong>fferenza<br />
<strong>di</strong> Timmel che può stare silenzioso,<br />
accucciato a terra – dobbiamo “fare”, vivere nel<br />
mondo reale. C’è sempre un elemento <strong>di</strong> compro-<br />
messo retorico in tutto ciò che facciamo. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore<br />
però ha anche la sua nobiltà. Attraverso <strong>di</strong><br />
lui non intendo certo irridere la critica figurativa<br />
o la psichiatria, e men che meno l’opera <strong>di</strong><br />
Basaglia che ho seguito con passione (del resto<br />
proprio assieme a Franco Basaglia, Michele<br />
Zanetti e Anita Pittoni pubblicai il Magico Taccuino<br />
<strong>di</strong> Timmel): desidero però ricordare che<br />
tutte le cose – perfino queste – hanno un lato un<br />
po’compromissorio e retorico. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore dunque<br />
deve essere così: ha scadenze, responsabilità,<br />
impegni. Io stesso, mentre scrivo un libro, mi<br />
sento un po’ falso rispetto qualunque accattone<br />
che si presenta in strada senza schermi... <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore<br />
non è un personaggio assoluto, è uno <strong>di</strong> noi<br />
altri.<br />
Marginalità: per Timmel una <strong>di</strong>mensione<br />
totale e drammatica. In quale misura un<br />
intellettuale può vivere la marginalità, nel<br />
confrontarsi con la realtà attuale?<br />
Ritengo che nessuno sia più al centro del mondo:<br />
anche chi vive a New York, nella Quinta Strada,<br />
che è forse il posto più importante del pianeta,<br />
per capire il mondo deve sentirsi un periferico.<br />
Così sentiva Joseph Roth. Guai però ad avere il<br />
compiacimento della marginalità, che è interessante<br />
solo se chi la vive cerca <strong>di</strong>speratamente <strong>di</strong><br />
capire la realtà e <strong>di</strong> portarsi al centro. È come il<br />
piccolo: non è che “small is beautiful”. <strong>Il</strong> piccolo<br />
non è né brutto né bello: è la nostra con<strong>di</strong>zione. <strong>Il</strong><br />
cortile dove ho giocato da bambino non era il<br />
giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Versailles, ma non per questo era per<br />
forza più bello <strong>di</strong> Versailles. <strong>Il</strong> fatto è che anche in
un piccolo cortile un bambino trova il gioco, la<br />
cultura, l’amicizia, trova cioé il grande. Trova il<br />
Mondo. Penso poi che il de<strong>di</strong>carsi a certe forme<br />
d’espressione anziché ad altri tipi <strong>di</strong> lavoro non<br />
sia <strong>di</strong> per sé garanzia <strong>di</strong> capire meglio il mondo:<br />
la marginalità rispetto alla vita, il sentirsi in<br />
<strong>di</strong>sparte, è una <strong>di</strong>sposizione umana. Timmel è un<br />
caso un po’ particolare: la sua marginalità coesiste<br />
col fatto che egli è stato un vero artista. Ma<br />
non l’ho scelto per questo. Nel testo ho dato poco<br />
spazio alla sua grandezza d’artista: m’interessa<br />
infatti non tanto la sua arte, ma il modo in cui la<br />
vive.<br />
Abbiamo infine chiesto a Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>,<br />
un’impressione a caldo dopo la prima del 26<br />
marzo...<br />
Sono felice, e quasi turbato. A parte il mio testo,<br />
sul quale non spetta certo a me dare giu<strong>di</strong>zi, mi<br />
riconosco in pieno in questa splen<strong>di</strong>da messa in<br />
scena, che – nell’interpretazione, nelle scene,<br />
nella musica e nel ritmo musicale <strong>di</strong> tutto lo spettacolo<br />
– dà voce a tanti strati, echi, risonanze<br />
della storia che ho cercato <strong>di</strong> scrivere. L’interpretazione<br />
<strong>di</strong> Herlitzka è <strong>di</strong> una ricchezza, <strong>di</strong> una<br />
varietà, <strong>di</strong> una intensità incre<strong>di</strong>bili, perfette;<br />
Maranzana dà straor<strong>di</strong>naria, possente voce e<br />
corpo a un personaggio fondamentale e <strong>di</strong>fficile,<br />
credo, da portare in scena, nel <strong>di</strong>alogo con un<br />
interlocutore – il protagonista – che è dall’altra<br />
parte della vita; trovo molti bravi tutti gli altri, a<br />
cominciare da Marco Casazza (che interpreta un<br />
altro personaggio essenziale come il <strong>di</strong>rettore),<br />
agli altri, che spesso, anche solo con un gesto, con<br />
una battuta, con una mossa <strong>di</strong> ballo giungono al<br />
cuore.<br />
Non credo che il mio giu<strong>di</strong>zio sia parziale. È<br />
ovvio che io sia felice che Calenda abbia messo in<br />
scena con tanta maestria e poesia il mio testo, ma<br />
semmai un autore è più facilmente sospettoso,<br />
criticone, incontentabile, viziato da come ha<br />
immaginato i suoi personaggi quando li inventava<br />
sulla carta, insi<strong>di</strong>ato dal narcisismo sempre<br />
insod<strong>di</strong>sfatto. Posso esprimere liberamente la mia<br />
ammirazione perché la bellezza <strong>di</strong> una rappresentazione<br />
è una creazione a sé, che può riuscire o<br />
fallire in<strong>di</strong>pendentemente dal testo. In certi<br />
momenti, taluni gesti <strong>di</strong> Herlitzka, inflessioni <strong>di</strong><br />
15
16<br />
voce o espressioni del viso mi hanno fatto scoprire<br />
nuove sfumature, nuovi sentimenti e lati del personaggio<br />
– <strong>di</strong> un personaggio tanto <strong>di</strong>verso da me<br />
ma che ha tanto <strong>di</strong> me. È emozionante sentire le<br />
proprio parole che, dette e vissute da altri, appartengono<br />
anche a loro, s’incarnano in forme<br />
nuove, fanno la loro vita con fedeltà a chi le ha<br />
pensate la prima volta ma anche liberamente, un<br />
po’ come accade con i figli. Tanto più questo<br />
tocca il cuore, quando si tratta <strong>di</strong> un testo che,<br />
come <strong>La</strong> Mostra, è strettamente legato, pur nella<br />
totale invenzione <strong>di</strong> situazioni e figure, al profondo<br />
sentimento e vissuto <strong>di</strong> chi l’ha scritto.<br />
Sono stato fortunato e sono assai grato a tutti gli<br />
autori <strong>di</strong> questo nostro spettacolo. Cercherò <strong>di</strong><br />
rivedere lo spettacolo il più spesso possibile. Ho la<br />
sensazione <strong>di</strong> vivere un’avventura comune a tutti<br />
coloro che lo hanno realizzato, mi sento insieme a<br />
loro, parte dello stesso equipaggio, come in quei<br />
romanzi <strong>di</strong> Conrad, in cui i marinai, in ogni traversata,<br />
attraversano insieme la vita.
note dei collaboratori
Bozzetto <strong>di</strong> scena<br />
<strong>di</strong> Pier Paolo Bisleri
Note sulla scenografia e sui costumi <strong>di</strong> Pier Paolo Bisleri<br />
Lo spazio, in cui si sarebbero dovuti muovere gli<br />
attori/personaggio immaginati dall’autore, <strong>di</strong>viene<br />
per me, il luogo mentale, la stratificazione dei<br />
ricor<strong>di</strong> che accompagna il percorso drammaturgico<br />
<strong>di</strong> Timmel.<br />
Immaginare questo spazio, la collocazione tri<strong>di</strong>mensionale<br />
della scena all’interno della Sala<br />
Bartoli, luogo non convenzionale, del Politeama<br />
<strong>Rossetti</strong> <strong>di</strong> Trieste, si è <strong>di</strong><strong>mostra</strong>ta subito un’interessante<br />
sfida ed una giustissima scelta da parte<br />
del regista. Era necessario immaginare e realizzare<br />
un luogo in cui il pubblico non era solo spettatore<br />
<strong>di</strong>staccato, ma sarebbe dovuto <strong>di</strong>venire parte<br />
fondamentale e partecipe all’azione drammaturgica,<br />
con la propria presenza così vicina alla<br />
scena. Essere parte della scena.<br />
Dall’ingresso, lo spettatore, è accompagnato<br />
attraverso un corridoio museale, labirintico spazio<br />
oscuro, in cui appaiono immagini, i primi<br />
quadri <strong>di</strong> Timmel e che introduce alla sala della<br />
rappresentazione.<br />
Lo spazio è semplice, minimale. È un rettangolo<br />
nero, buio, collocato frontalmente al pubblico. È<br />
il luogo dei ricor<strong>di</strong>, la mente, lo spazio neroblunero<br />
<strong>di</strong> Timmel. Un pavimento <strong>di</strong> pietra, una zona<br />
rialzata – il palcoscenico/stanza – con le gran<strong>di</strong><br />
finestre della cella manicomiale <strong>di</strong> Timmel.<br />
<strong>La</strong> mia necessità era quella <strong>di</strong> de-strutturare i<br />
luoghi dell’azione. Ecco così, che la trattoria “da<br />
Erminio”, la stanza con il letto/macchina dello<br />
psichiatrico <strong>di</strong> San Giovanni e il Cimitero in cui<br />
viene sepolto l’Artista <strong>di</strong>vengono sculture/oggetto,<br />
rappresentano tautologicamente se stesse, sono<br />
neroblunero, come il colore amato da Timmel.<br />
Luogo mentale che, successivamente, si aprirà<br />
all’azione, per farci approdare alla realtà, con i<br />
fantasmi – Baconiani – del periodo della segregazione<br />
presso lo psichiatrico triestino.<br />
19
Note sulla composizione<br />
delle musiche<br />
L’osteria “da Erminio” e gli echi della cultura<br />
mitteleuropea, i cori popolari e i valzer trasfigurati<br />
secondo stilemi novecenteschi… Ne <strong>La</strong><br />
<strong>mostra</strong>, la musica possiede - fin dal momento<br />
della concezione strutturale del testo – un ruolo<br />
significativo, una presenza che oltrepassa i limiti<br />
della funzione <strong>di</strong> commento.<br />
E fin dall’inizio appare naturale che essa – coerentemente<br />
all’intero dramma, costruito ed<br />
espresso attraverso un affastellarsi <strong>di</strong> brandelli <strong>di</strong><br />
ricor<strong>di</strong>, citazioni, memorie popolari, momenti lirici<br />
– si sviluppi lungo <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>rezioni.<br />
Quella ad esempio del recupero e della riproposta<br />
filologica <strong>di</strong> musiche della tra<strong>di</strong>zione triestina,<br />
citate dall’autore; quella dell’invenzione <strong>di</strong> musiche<br />
sulla falsariga delle canzoni popolari, un’operazione<br />
à la mianière de; quella infine che guarda<br />
alla tra<strong>di</strong>zione colta mitteleuropea, e a tutto un<br />
universo <strong>di</strong> forme compositive, affini al climax<br />
della Trieste fra Ottocento e Novecento, che fa da<br />
sfondo alla vicenda <strong>di</strong> Vito Timmel.<br />
Oltre alla <strong>di</strong>mensione legata alla tra<strong>di</strong>zione popolare<br />
dunque, ho proceduto nella composizione<br />
isolando alcuni contesti, no<strong>di</strong> <strong>di</strong> particolare tensione<br />
drammatica: il contesto del manicomio, ad<br />
esempio, tutto caratterizzato da una musica quasi<br />
esclusivamente ritmica, che permette ai malati <strong>di</strong><br />
scan<strong>di</strong>re alcune filastrocche. Particolarmente suggestivo<br />
nell’ambito del manicomio è il coro delle<br />
se<strong>di</strong>e: un momento originale, tutto giocato nella<br />
<strong>di</strong>mensione della surrealtà. Mi ha <strong>di</strong>vertito creare<br />
una partitura che rendesse plausibile un coro <strong>di</strong><br />
se<strong>di</strong>e, che improvvisamente si animano, si muovono<br />
e soprattutto cantano... <strong>Il</strong> loro ingresso asseconda<br />
il clima della sorpresa e ricorda certe com-<br />
<strong>di</strong> Germano Mazzocchetti<br />
posizioni degli anni Quaranta, dall’aura leggera<br />
un po’ da Trio Lescano. Gli altri interventi delle<br />
se<strong>di</strong>e sono invece costruiti come una sorta <strong>di</strong> solfeggio<br />
ritmico su un’armonia <strong>di</strong> sapore strawinskiano.<br />
Differente è il pathos dei brani che riguardano la<br />
rievocazione <strong>di</strong> Alcesti, strettamente legati alla<br />
trage<strong>di</strong>a euripidea: abbiamo scelto <strong>di</strong> trattare i<br />
cori come quelli <strong>di</strong> una trage<strong>di</strong>a greca, trasmettendo<br />
emozioni profonde. Gli interventi cantati <strong>di</strong><br />
Timmel-Herlitzka invece tendono a straniarsi da<br />
tale clima: basta pensare alla piccola romanza<br />
ironica “O viso, o corpo”, che si richiama al<br />
melodramma ottocentesco, o al Lied finale “Sì<br />
<strong>di</strong>menticar”.<br />
Dettata da questa duplicità fra musiche d’ispirazione<br />
popolare e stilemi colti, è anche la scelta<br />
degli strumenti usati: la fisarmonica e il violino,<br />
che pur essendo <strong>di</strong> derivazione popolare permettono<br />
<strong>di</strong> trascolorare facilmente nell’ambito <strong>di</strong> linguaggi<br />
musicali d’estrazione <strong>di</strong>versa.<br />
21
<strong>La</strong> Mostra<br />
fotografie <strong>di</strong> Tommaso Le Pera
<strong>di</strong>retto da Antonio Calenda<br />
Roberto Herlitzka<br />
<strong>La</strong> Mostra<br />
<strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong> regia <strong>di</strong> Antonio Calenda<br />
con la partecipazione <strong>di</strong> Mario Maranzana<br />
scene e costumi Pier Paolo Bisleri musiche Germano Mazzocchetti<br />
luci Nino Napoletano suono Carlo Turetta<br />
personaggi e interpreti<br />
Direttore Marco Casazza<br />
Vito Timmel Roberto Herlitzka<br />
Sacerdote Manuel Fanni Canelles<br />
Cesare Sofianopulo Mario Maranzana<br />
Marcello Mascherini Maurizio Zacchigna<br />
Avventore Igor Pison<br />
Professor Campitelli Maurizio Soldà<br />
Professor Baroni Alessandro Mizzi<br />
Coro dei Matti<br />
Stefano Bembi, <strong>La</strong>ura Bussani, Manuel Fanni-Canelles<br />
Antonio Kozina, Alessandro Mizzi, Igor Pison, Maurizio Zacchigna<br />
Inserviente Maurizio Soldà<br />
Fisarmonica Stefano Bembi<br />
Violino Antonio Kozina<br />
Voce fuori campo e suggeritore Guido Penne<br />
Aiuto regista Roberta Torcello Assistente ai costumi Serena Boccardelli<br />
Assistente ai movimenti coreografici Luciano Pasini<br />
Direttore <strong>di</strong> scena Giuliano Gionchetti Capo macchinista Massimo Tatarella<br />
Attrezzista Flavio Dogani Capo elettricista Alessandro Macorigh<br />
Fonico Borut Vidau Sarta Benedetta Schepis<br />
Direttore d'allestimento Paolo Giovanazzi<br />
<strong>La</strong> scena è stata realizzata dal <strong>La</strong>boratorio del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, Daco srl, Starc Enterprise<br />
Capo costruttore Giorgio Zar<strong>di</strong>ni Costruzioni in ferro Ra<strong>di</strong>voi Zobin<br />
Decorazione pittorica Flavio Dogani<br />
Elettricisti d'allestimento Massimo Carli, Roberto Starec, Antonio Di Giuseppe<br />
I costumi sono stati realizzati dalla Sartoria Arrigo srl e dal <strong>La</strong>boratorio del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia<br />
Capo sarta Benedetta Schepis Sarta Marina Kobau<br />
Calzature Epoa Tele Peroni Trasporti Nuova Cooperativa Alfa1<br />
Riproduzione quadri Technograph foto <strong>di</strong> scena Tommaso Le Pera<br />
Si ringraziano la Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Ver<strong>di</strong>” e Antonio Sofianopulo<br />
prima rappresentazione Trieste, Sala Bartoli, 26 marzo 2003<br />
25
Roberto Herlitzka
il “coro dei matti”<br />
Stefano Bembi<br />
<strong>La</strong>ura Bussani<br />
Manuel<br />
Fanni Canelles<br />
Antonio Kozina<br />
Alessandro Mizzi<br />
Igor Pison<br />
Maurizio Zacchigna
da sinistra<br />
Maurizio Zacchigna<br />
Alessandro Mizzi<br />
Roberto Herlitzka<br />
Maurizio Soldà<br />
Mario Maranzana<br />
Roberto Herlitzka<br />
Mario Maranzana
<strong>La</strong>ura Bussani
Roberto Herlitzka
Roberto Herlitzka
Mario Maranzana
Maurizio Zacchigna<br />
Igor Pison
Marco Casazza
Alessandro Mizzi<br />
Roberto Herlitzka<br />
Mario Maranzana<br />
Maurizio Zacchigna
Manuel<br />
Fanni Canelles<br />
Maurizio Zacchigna<br />
Igor Pison<br />
<strong>La</strong>ura Bussani<br />
Alessandro Mizzi<br />
Stefano Bembi<br />
Antonio Kozina
Vito Timmel - “Fochi”<br />
collezione Museo Revoltella - Trieste
al <strong>di</strong> là della “finzione”:<br />
i personaggi della “Timmel & Co.”
54<br />
Vito Timmel - “il viandante”<br />
collezione privata
I cinque personaggi<br />
della “Timmel & Co.”<br />
Fino ad almeno due decenni dopo la fine della<br />
seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, gli artisti triestini –<br />
soprattutto quelli figurativi, pittori e scultori –<br />
avevano mantenuto la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ritrovarsi in<br />
“santuari” benevolmente – e generosamente –<br />
accoglienti.<br />
L’ultimo, forse, è stata quella “spezieria” che<br />
Velic aveva aperto in via della Geppa e dove –<br />
attorno ai pochi tavoli e sulle pareti – si ritrovava<br />
quella che allora era l’ultima generazione, dei<br />
pittori Livio Rosignano e Marino Sormani e dello<br />
scultore Marino Carne. <strong>La</strong> “spezieria” aveva<br />
introdotto una caratteristica ignota a Trieste, ma<br />
largamente <strong>di</strong>ffusa in tutto il Friuli, <strong>di</strong> tenere solo<br />
vino <strong>di</strong> qualità e <strong>di</strong> aprire una bottiglia anche per<br />
servire soltanto un bicchiere (non pagato – nel<br />
caso degli artisti).<br />
Meno raffinato il panorama enologico <strong>di</strong> un’osteria,<br />
tra le due gallerie, in via Risorta, dove la personalità<br />
<strong>di</strong> maggiore spicco era quella del musicista<br />
Mario Bugamelli con i “sodali” Glauco Del<br />
Basso, pianista e critico musicale, e Fabio<br />
Todeschini, poeta, figlio dell’autore del libretto de<br />
<strong>Il</strong> trittico musicato da Antonio <strong>Il</strong>lesberg. Anche<br />
Del Basso e Bugamelli avevano scritto e musicato<br />
una “comme<strong>di</strong>a musicale” intitolata “Luluria”<br />
(c’è qualcuno che pensa <strong>di</strong> recuperare questo<br />
spartito <strong>di</strong> uno dei maggiori compositori triestini<br />
<strong>di</strong> tutti i tempi?).<br />
Ma il ritrovo più rinomato – e celebrato –<br />
nell’imme<strong>di</strong>ato primo dopoguerra era il ristorante<br />
“Venturi alla luce”, nella centralissima Piazza<br />
Goldoni (ove vi è subentrata una grande torrefazione):<br />
il “maitre” era celebre per i suoi piatti<br />
“alla fiamma” (non so con quanto senso<br />
<strong>di</strong> Guido Botteri<br />
dell’umorismo manderà tutti due i suoi figli, e<br />
collaboratori, a fare il servizio militare nei vigili<br />
del fuoco). Rimaneva aperto fino a notte inoltrata<br />
e i giornalisti che uscivano dalla tipografia <strong>di</strong> via<br />
Silvio Pellico, per un “piatto caldo” e l’ultimo<br />
bicchiere <strong>di</strong> vino vi ritrovavano i rappresentanti<br />
della più fertile stagione dell’arte figurativa, a<br />
Trieste: Nino Perizi, Federico Righi, Dino<br />
Predonzani e quello che ormai era <strong>di</strong>ventato il<br />
“guru” dell’Arte a Trieste, lo scultore Marcello<br />
Mascherini. Le altissime pareti del “Ristorante<br />
alla luna” erano tutte tappezzate o da fotografie<br />
con autografo e de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> cantanti lirici e attori <strong>di</strong><br />
prosa (quello <strong>di</strong> piazza Goldoni era uno dei pochi<br />
ristoranti aperti “dopoteatro”) o <strong>di</strong> opere firmate<br />
dagli artisti triestini, alcune delle quali nate proprio<br />
sulle tavole imban<strong>di</strong>te (dove è andato a finire<br />
questo patrimonio <strong>di</strong> memoria e d’arte?), a<br />
“saldo” delle consumazioni.<br />
Se nel secondo dopoguerra i “santuari” erano<br />
rappresentati da più o meno prestigiose osterie, a<br />
cavallo della prima grande guerra – come ci <strong>di</strong>ce<br />
Giani Stuparich, nel suo Trieste nei miei ricor<strong>di</strong> –<br />
gli artisti, pittori e scultori, ma anche scrittori e<br />
poeti si ritrovano al mitico “Caffè Garibal<strong>di</strong>”,<br />
aperto al pianterreno del municipio, in Piazza<br />
Grande (nel dopoguerra “dell’Unità”), per poi<br />
passare tutti al vicino “Bar Nazionale”, per collettiva<br />
solidarietà con un cameriere ingiustamente<br />
– secondo gli artisti – licenziato dal gestore. <strong>Il</strong><br />
“cenacolo” del “Caffè Garibal<strong>di</strong>” vede presenti,<br />
oltre agli Stuparich, Italo Svevo, Umberto Saba,<br />
Virgilio Giotti, Bobi Bazlen, lo scultore Ruggero<br />
Rovan (che Stuparich, nel suo volume uscito nel<br />
1948 giu<strong>di</strong>cava non adeguatamente apprezzato)<br />
55
Vito Timmel - “Disegni dal labirinto”<br />
per gentile concessione <strong>di</strong> Antonio Sofianopulo e Na<strong>di</strong>a Bassanese
e il pittore Giorgio Bolaffio. «Anche Timmel –<br />
aggiunge Stuparich – si sedeva spesso al nostro<br />
tavolo sfoderando violenti paradossi nel suo gergo<br />
scolorito e sboccato». Può essere che Timmel<br />
abbia incontrato Saba nelle sale del caffè: nel<br />
1919 si ritroveranno nello splen<strong>di</strong>do, restaurato,<br />
“Cinema Italia”, Timmel come autore della decorazione<br />
e dell’eccezionale ciclo delle “Maschere”,<br />
Saba come gestore del nuovo cinematografo,<br />
incarico che gli aveva affidato il cognato, l’impresario<br />
Wölfer-Lupi.<br />
Fino all’avvento del Fascismo gli artisti triestini<br />
avevano anche una sede “istituzionale”-corporativa,<br />
dove si ritrovavano: “<strong>Il</strong> Circolo Artistico”.<br />
Fondato nel 1884 da tutti i maggiori pittori e<br />
scultori triestini dell’epoca, ma anche dall’èlite<br />
degli architetti, dal 1891 ha sede nell’elegante e<br />
spaziosa “sala Fenice” progettata da Ruggero<br />
Berlam (che <strong>di</strong>viene anche presidente del<br />
Circolo). In quegli anni ha più <strong>di</strong> 600 soci.<br />
All’allestimento della nuova sede partecipano, tra<br />
gli altri, anche i pittori Vito Timmel e Cesare<br />
Sofianopulo, i due protagonisti della Mostra <strong>di</strong><br />
<strong>Magris</strong>, anche nella versione teatrale allestita dal<br />
Teatro Stabile <strong>di</strong> Prosa della regione Friuli-<br />
Venezia Giulia, per la regia <strong>di</strong> Tonino Calenda. Al<br />
Circolo Marcello Mascherini presenterà – ma<br />
Gian Matteo Campitelli<br />
qualche decennio dopo, nel 1925, e in altra sede<br />
– la sua prima personale.<br />
<strong>Magris</strong> configura una sorta <strong>di</strong> “sodalizio” intorno<br />
a Timmel formato oltre che da Sofianopulo (<strong>di</strong><br />
cui è storicamente assodata l’attenzione che ebbe<br />
nei confronti dell’infelice collega, specialmente<br />
negli ultimi anni della sua esistenza, dal 14 luglio<br />
del 1946, quando viene ricoverato per l’ultima<br />
volta al manicomio <strong>di</strong> San Giovanni, sino alla<br />
morte, avvenuta alle ore 9.45 del primo gennaio<br />
del 1949), anche da due altri docenti <strong>di</strong> storia<br />
dell’arte-pittori come Gian Matteo Campitelli e<br />
Renato Baroni ed un artista della nuova generazione:<br />
lo scultore Marcello Mascherini, che è nato<br />
a U<strong>di</strong>ne nel 1906 ed è più giovane degli altri<br />
quattro <strong>di</strong> 18-20 anni.<br />
Uno dei luoghi d’incontro – prima dell’internamento<br />
– è l’osteria “<strong>La</strong> Sardella”, in via Delle<br />
Vecchie Beccherie, citato da Timmel nel suo<br />
Magico taccuino, che scrive tra la metà degli anni<br />
Venti e il 1936 (e sarà pubblicato, nel 1973,<br />
dallo Zibaldone <strong>di</strong> Anita Pittoni, con saggi <strong>di</strong><br />
Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>, dei coniugi Basaglia e <strong>di</strong> Michele<br />
Zanetti).<br />
Anche se è impensabile che alla “Sardella” abbiano<br />
mai messo piede lo “snob” Sofianopulo o il<br />
“baciapile” Campitelli, il delineato “sodalizio<br />
Timmel & Co.” ha comunque tutte le caratteristiche<br />
delle tra<strong>di</strong>zionali aggregazioni degli artisti<br />
triestini: pluralismo <strong>di</strong> culture e <strong>di</strong> identità nazionali<br />
(Timmel è un tedesco, nato a Vienna,<br />
Sofianopulo è <strong>di</strong> nazionalità e <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza<br />
greca, Campitelli è un istriano – è nato a Valle, a<br />
pochi chilometri da Pola con ascendenti<br />
dell’Italia centrale, Baroni è un trentino della Val<br />
57
58<br />
Vito Timmel - “Le tre carrozze”<br />
collezione privata
<strong>La</strong>garina e Mascherini è un friulano, che a quattro<br />
anni si trasferisce, con la famiglia, a Trieste);<br />
pluralismo <strong>di</strong> tendenza artistica (Baroni, come<br />
presidente del Circolo Artistico “assorbito”<br />
dall’“Associazione fascista delle Belle Arti” e<br />
quin<strong>di</strong> ritornato al vecchio nome, è il catalizzatore<br />
delle posizioni più conservatrici, mentre<br />
Campitelli presiede il sindacato democratico<br />
costituito dagli artisti più “progressisti”; Timmel<br />
fa parte a sé, richiamandosi piuttosto ai suoi<br />
maestri austriaci, Klimt in testa; Sofianopulo –<br />
che, come fantasia creativa potrebbe essere il più<br />
vicino al pittore nato a Vienna – non fa testo perché<br />
la famiglia gli proibisce <strong>di</strong> vendere i suoi quadri);<br />
pluralismo religioso (Sofianopulo, malgrado<br />
il suo irriverente scettiscismo fa parte della comunità<br />
religiosa greco-ortodossa, partecipando ai riti<br />
nella chiesa <strong>di</strong> via San Nicolò, che si trova vicino<br />
alla sua abitazione; Campitelli, che era partito da<br />
posizioni ateiste, approda ad un’intensa religiosità<br />
cattolica e promuove, negli anni Trenta, le<br />
prime Mostre d’arte sacra; Mascherini nel secondo<br />
dopoguerra si avvicinerà alla massoneria).<br />
Anche i percorsi formativi dei cinque hanno tutta<br />
una serie <strong>di</strong> coincidenze, che possono essere servite,<br />
se contemporanee, ad approfon<strong>di</strong>re l’amicizia<br />
e la solidarietà, artistica ed umana, e comunque a<br />
Marcello Mascherini<br />
con l’attore Ottorino Guerrini<br />
durante le prove <strong>di</strong><br />
“Assassinio nella Cattedrale”<br />
farli sentire “affini”, soprattutto per i tre quasi<br />
coetanei (Timmel è del 1886, Campitelli ha due<br />
anni meno <strong>di</strong> lui e Sofianopulo tre): Timmel frequenta,<br />
a Trieste, dal 1901 al 1905, la celebrata<br />
“Scuola per capi d’arte”, che così profonde tracce<br />
lascerà in intere generazioni <strong>di</strong> artisti e <strong>di</strong> artigiani<br />
triestini; nella stessa prestigiosa “scuola”<br />
Campitelli vi entra come allievo (probabilmente<br />
nella stessa sezione per “pittori e decoratori”,<br />
scelta da Timmel, e <strong>di</strong>retta da Eugenio<br />
Scomparini) e quin<strong>di</strong> vi ritorna come insegnante,<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>segno e <strong>di</strong> storia dell’Arte; analogo il percorso<br />
<strong>di</strong> Sofianopulo e nelle stesse aule approderà –<br />
ma ormai siamo nel 1919 – anche Mascherini.<br />
Come tutti gli artisti giuliani <strong>di</strong> quegli anni<br />
(prima cioè della caduta dell’Impero austroungarico)<br />
anche “Timmel & Co.” completano e<br />
perfezionano gli stu<strong>di</strong> nei maggiori centri culturali<br />
tedeschi, Timmel e Campitelli a Vienna,<br />
Sofianopulo a Monaco <strong>di</strong> Baviera (ma anche a<br />
Parigi), Mascherini sarà allievo <strong>di</strong> uno scultore<br />
formatosi nella capitale austriaca.<br />
<strong>La</strong> consuetu<strong>di</strong>ne artistico-professionale è altro<br />
terreno d’incontro tra i cinque: anzitutto il sindacato,<br />
retto prima da Campitelli e poi da<br />
Mascherini, che non è solo l’organo <strong>di</strong> rappresentanza<br />
corporativa, ma anche – e soprattutto –<br />
promotore ed organizzatore <strong>di</strong> mostre e rassegne<br />
collettive; Campitelli e Sofianopulo esercitano<br />
anche la critica militante, il primo per il quoti<strong>di</strong>ano<br />
promosso dal Governo Militare anglo-americano,<br />
<strong>Il</strong> Giornale Alleato, che esce a Trieste, e<br />
l’altro sulle pagine triestine del quoti<strong>di</strong>ano u<strong>di</strong>nese,<br />
Messaggero Veneto.<br />
Malgrado tutte queste “coincidenze” e affinità,<br />
59
60<br />
Vito Timmel - “Comme<strong>di</strong>a”<br />
per gentile concessione del Consorzio Culturale del Monfalconese
estano fortissime le caratterizzazioni dei singoli<br />
personaggi (s’intende della loro reale identità).<br />
Anzitutto Vito Timmel, o meglio Vittorio von<br />
Thümmel (e non c’è bisogno <strong>di</strong> Freud per spiegare<br />
perché i suoi “sogni” <strong>di</strong>pinti negli anni 1943-<br />
44, durante il primo ricovero all’ospedale psichiatrico<br />
siano firmati con il cognome originale,<br />
scomparso in tutta la produzione precedente).<br />
Figlio <strong>di</strong> un nobile tedesco e <strong>di</strong> una contessa friulana,<br />
che a Trieste (dove la famiglia si trasferisce<br />
da Vienna, quando il piccolo Vito-Vittorio ha<br />
quattro anni) apre un’atelier <strong>di</strong> moda. Alla<br />
meningite avuta da bambino sarà attribuita<br />
anche la malattia mentale che lo porterà alla<br />
morte. <strong>Il</strong> primo matrimonio dura soltanto quattro<br />
anni, perché la moglie muore <strong>di</strong> tbc. L’unico<br />
figlio emigrerà in Cile, dove <strong>di</strong>venterà coreografo:<br />
in manicomio una delle ossessioni <strong>di</strong> Timmel è<br />
rappresentata dal desiderio <strong>di</strong> raggiungere il<br />
figlio in Sud America.<br />
<strong>La</strong> “scheda sanitaria” compilata nel novembre<br />
del 1945 al manicomio triestino (e pubblicata nel<br />
prezioso volumetto Vito Timmel, e<strong>di</strong>to nel 1985<br />
da Na<strong>di</strong>a Bassanese) ne dà un ritratto, che non è<br />
solo sanitario: «ha condotto sempre vita sregolata;<br />
si dava al bere smodatamente; da un anno<br />
progressivo indebolimento della memoria e <strong>di</strong>so-<br />
Cesare Sofianopulo<br />
rientamento e fatti demenziali; i suoi <strong>di</strong>pinti<br />
dell’ultimo tempo hanno l’impronta dell’infantilismo;<br />
cambia rapidamente <strong>di</strong> proposito, associa<br />
molto superficialmente».<br />
Personaggio altrettanto ricco <strong>di</strong> risvolti è Cesare<br />
Sofianopulo. Figlio <strong>di</strong> un greco commerciante <strong>di</strong><br />
“zibibe” (anche Demetrio Carciotti aveva fatto<br />
fortuna, a Trieste, con il commercio dell’uva<br />
passa, fino al punto <strong>di</strong> costruirsi il magnifico<br />
palazzo neoclassico sulle Rive) che volendo accrescere<br />
<strong>di</strong> prestigio era passato all’export-import.<br />
Un genitore così rigido aveva “accettato” che il<br />
figlio Cesare stu<strong>di</strong>asse, in Germania ed in<br />
Francia, da artista, a patto che non si piegasse al<br />
commercio “poco <strong>di</strong>gnitoso” dei suoi lavori pittorici.<br />
Evidentemente questo rigido genitore non<br />
considerava “indecoroso” che uno dei red<strong>di</strong>ti più<br />
sicuri per Cesare gli provenisse dagli affitti della<br />
sua casa in Cittavecchia, in via del Fortino, pagati<br />
dai gestori delle case <strong>di</strong> tolleranze.<br />
<strong>La</strong> fedeltà alla nazionalità greca gli darà il vantaggio<br />
<strong>di</strong> un posto sicuro alla Biennale <strong>di</strong> Venezia,<br />
nel pa<strong>di</strong>glione del Regno <strong>di</strong> Grecia, ma gli costa il<br />
mancato incarico <strong>di</strong> docente perché straniero, sia<br />
sotto l’Austria che sotto l’Italia, e il mancato<br />
matrimonio con un’insegnante triestina con la<br />
quale conviveva da anni e che, sposandolo,<br />
avrebbe perso il posto <strong>di</strong> lavoro, perché <strong>di</strong>ventata<br />
citta<strong>di</strong>na straniera.<br />
Considerava, come suo modello, anche d’eleganza,<br />
Gabriele D’Annunzio. Eleganza che gli era<br />
valso – così credeva, in un primo momento –<br />
l’applauso dei colleghi dell’Accademia <strong>di</strong> Parigi,<br />
che lo accoglie al grido <strong>di</strong> “Voilà le comte!”.<br />
Sofianopulo pensava che lo paragonassero a un<br />
61
62<br />
Vito Timmel - “Arlecchino”<br />
per gentile concessione del Consorzio Culturale del Monfalconese
nobile, un conte appunto, mentre i suoi colleghi<br />
l’avevano definito un “con”. “Ecco el mona!” è la<br />
traduzione che lo stesso Sofianopulo dava al saluto,<br />
raccontando l’episo<strong>di</strong>o.<br />
Intelligente, raffinato e poliglotta Sofianopulo è il<br />
primo traduttore, in versi italiani, dei Fiori del<br />
male <strong>di</strong> Baudelaire e <strong>di</strong> alcuni poeti greci contemporanei.<br />
Celebri sono rimasti i bigliettini che aveva appiccato,<br />
<strong>di</strong> notte, sui muri del centro città e fatto<br />
“volantinaggio” al teatro Ver<strong>di</strong>, scritti con la sua<br />
inconfon<strong>di</strong>bile scrittura “liberty” e riferiti al<br />
generale inglese, governatore militare <strong>di</strong> Trieste:<br />
“Airey is money”.<br />
Sono questi due – Timmel e Sofianopulo – che<br />
negli ultimi tragici anni del pittore austriaco<br />
danno vita a quella che <strong>Magris</strong> definisce una<br />
“buffa e profonda amicizia”.<br />
È Sofianopulo che va a visitarlo, quasi quoti<strong>di</strong>anamente,<br />
a San Giovanni; che lo riporta al manicomio<br />
dopo un’avventurosa fuga dallo<br />
Psichiatrico; che tiene informati figlio e moglie<br />
(la seconda, sposata nel 1922); che gli porta cibi<br />
e indumenti.<br />
E Timmel contraccambia, de<strong>di</strong>candogli “con<br />
saluti cor<strong>di</strong>ali” i <strong>di</strong>segni dei suoi “sogni”.<br />
<strong>La</strong> Mostra <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong> – il libro e lo spetta-<br />
Una veduta del Teatro del Cantiere Navale<br />
Triestino <strong>di</strong> Panzano.<br />
Le tavole <strong>di</strong> Vito Timmel, che si credevano<br />
perdute, sono state ritrovate nell’autunno<br />
del 2000. Attualmente è in corso<br />
il restauro delle opere a cura del<br />
Consorzio Culturale del Monfalconese,<br />
che ne ha acquisito la proprietà<br />
colo – ha anche il merito <strong>di</strong> aver posto l’accento<br />
su questa struggevole amicizia tra due gran<strong>di</strong><br />
artisti.<br />
63
i commenti sul testo
Daniela Giovanetti
Colloquio su “<strong>La</strong> <strong>mostra</strong>”<br />
Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>: [...] Come è nato questo libro?<br />
Come ricordava Daniele, nella mia ossessiva<br />
fedeltà mi sono ripetutamente accostato, negli<br />
anni passati, alla figura <strong>di</strong> Timmel, quel notevole<br />
pittore, <strong>di</strong>ciamo grosso modo liberty, nato a<br />
Vienna e morto a Trieste nel 1949 in manicomio,<br />
il quale ha scritto un geniale e delirante taccuino<br />
(trascritto, in certi casi quasi “tradotto” dalla sua<br />
viva voce da Anita Pittoni, che gli era vicina)<br />
mentre stava venendo <strong>di</strong>sgregato psichicamente,<br />
taccuino da cui ho preso qualche frammento. Mi<br />
interessava questa figura <strong>di</strong> randagio, <strong>di</strong> fuggiasco,<br />
questo “io” sempre in bilico fra il <strong>di</strong>sgregarsi<br />
e il tenersi insieme, tra il non essere più nessuno<br />
(o essere soltanto una manciata <strong>di</strong> atomi, <strong>di</strong> frantumi<br />
<strong>di</strong>sgregati che si perdono nel niente) e l’essere<br />
invece ancora una personalità forte, riottosa,<br />
caparbia. Soprattutto mi interessava e mi interessa<br />
il suo destino (un po’ come quello <strong>di</strong> Enrico<br />
Mreule, il protagonista <strong>di</strong> Un altro mare, che sono<br />
molto grato a Daniele <strong>di</strong> aver ricordato), Timmel<br />
è una <strong>di</strong> quelle personalità che cercano <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi<br />
dalla <strong>di</strong>fficoltà o talora dall’insostenibilità <strong>di</strong><br />
vivere rifugiandosi nell’apatia, in una regale e<br />
anarchica auto<strong>di</strong>struzione.<br />
Personalità troppo sensibili che cercano <strong>di</strong> spegnere<br />
questa sensibilità che li fa soffrire: come<br />
qualcuno che chiudesse gli occhi <strong>di</strong> fronte allo<br />
splendore <strong>di</strong> un mare troppo intenso, che gli<br />
ricorda come la vita dovrebbe essere e che dunque<br />
gli risulta insostenibile. Allora si chiudono gli<br />
occhi, ci si ottunde; si cerca l’apatia, la sottrazione,<br />
l’insignificanza, quasi la non esistenza, per<br />
non soffrire troppo sentendo sulla propria carne<br />
quello che si potrebbe, che si dovrebbe e si vor-<br />
<strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong><br />
e Daniele Del Giu<strong>di</strong>ce<br />
rebbe essere. Rendere opaca la vita, per soffrire<br />
un po’ <strong>di</strong> meno della mancanza della vita vera.<br />
Sono esistenze, come quella <strong>di</strong> Timmel, anarchiche;<br />
l’anarchismo <strong>di</strong> chi cerca <strong>di</strong>speratamente un<br />
or<strong>di</strong>ne per venir liberato dal peso della libertà e<br />
della responsabilità. Così Timmel, assolutamente<br />
anarchico, finisce per esaltare perfino il fascismo,<br />
per vagheggiare un’infanzia in cui si è beati perché<br />
si obbe<strong>di</strong>sce, perché si è liberi dal peso delle<br />
libertà e ci si abbandona ai propri sogni. Anche il<br />
coro delle se<strong>di</strong>e nasce da questo sentimento, dal<br />
desiderio <strong>di</strong> essere una cosa: una cosa - come una<br />
se<strong>di</strong>a - anche quando la si sbatte non soffre, gli<br />
spigoli della realtà non le fanno male, come fanno<br />
male a chi vive. C’è come un desiderio <strong>di</strong> essere<br />
stati piuttosto che <strong>di</strong> essere, per soffrire <strong>di</strong> meno,<br />
cercando <strong>di</strong> amputarsi <strong>di</strong> ciò che fa soffrire <strong>di</strong><br />
più.<br />
A parte i lunghi anni in cui, <strong>di</strong> tanto in tanto,<br />
come è stato ricordato, mi sono occupato <strong>di</strong><br />
Timmel (scrivendone all’inizio degli anni Settanta<br />
sul “Corriere della Sera”, pubblicando insieme a<br />
Franco Basaglia, Anita Pittoni, e Michele Zanetti<br />
il suo Magico taccuino e scrivendone l’introduzione,<br />
facendolo apparire <strong>di</strong> scorcio pure in<br />
Microcosmi), il libro è nato da una spinta, da<br />
un’occasione precisa. Io ho sempre bisogno, in<br />
qualche modo, <strong>di</strong> qualche stimolo esterno, anche<br />
occasionale, che funga per così <strong>di</strong>re da levatrice,<br />
che porti alla superficie qualcosa che certo c’era<br />
già prima in me, ma forse magari solo oscuramente,<br />
e che altrimenti forse non sarebbe giunto<br />
all’espressione. Anche Danubio, Un altro mare,<br />
Microcosmi, o Le voci sono nati da questa mescolanza<br />
<strong>di</strong> un interesse profondo e <strong>di</strong> una causa<br />
67
68 prossima, <strong>di</strong> un’occasione stimolante. Più <strong>di</strong> due<br />
anni fa, Fabio Nieder, musicista triestino che vive<br />
e opera fra Trieste e la Germania, dove fra l’altro<br />
la sua musica incontra un particolare successo,<br />
mi ha cercato (prima ci conoscevamo poco, credo<br />
che ci fossimo incontrati solo una volta o due brevemente)<br />
e mi ha proposto <strong>di</strong> fare insieme a lui<br />
un’opera su Timmel. Lui avrebbe scritto la musica<br />
e io il testo.<br />
Gli ho risposto subito <strong>di</strong> no; ho riba<strong>di</strong>to poco<br />
dopo il no, ma ho cominciato a pensarci, a girare<br />
dentro <strong>di</strong> me questa idea e tutto questo ha fatto<br />
emergere con violenza, dentro <strong>di</strong> me, la storia e il<br />
destino <strong>di</strong> Timmel e un particolare significato che<br />
esso mi sembrava assumere, in qualche modo,<br />
quale specchio, nonostante le enormi <strong>di</strong>ssomiglianze<br />
e antitesi, <strong>di</strong> me steso.<br />
Sono molto grato a Nieder, e non soltanto per<br />
questa spinta iniziale, ma perché nei numerosi e<br />
sempre più intensi e fraterni incontri che ho<br />
avuto con lui ho imparato molte cose; dalla<br />
nostra conversazione, dallo scambio <strong>di</strong> idee, è<br />
nata una certa tensione fantastica, una specie <strong>di</strong><br />
ribollente laboratorio creativo, senza il quale non<br />
avrei scritto questo libro. <strong>La</strong> nostra collaborazione<br />
è stata singolare, in quanto ognuno è andato<br />
per la sua strada, <strong>di</strong>versamente da ciò che succede<br />
<strong>di</strong> solito. Abitualmente, quando un musicista e<br />
uno scrittore collaborano, l’uno fa da spalla<br />
all’altro; il musicista si mette al servizio <strong>di</strong> chi<br />
scrive il testo, componendogli magari le musiche<br />
<strong>di</strong> scena, oppure, cosa ben più frequente, chi scrive<br />
il libretto si pone al servizio del musicista e gli<br />
scrive le scene o le parole <strong>di</strong> cui egli ha bisogno.<br />
Noi invece abbiamo proceduto ognuno per pro-<br />
prio conto, tanto è vero che io ho scritto questo<br />
testo e lui sta componendo un’opera, in cui utilizzerà<br />
come crederà quello che io ho scritto, traendone<br />
un libretto che potrà conservare tali e quali<br />
alcune mie battute o scene, ma mo<strong>di</strong>ficarne altre<br />
o tralasciarne altre magari per me fondamentali.<br />
Credo del resto che ogni collaborazione realmente<br />
creativa sia paritetica, un <strong>di</strong>alogo che avviene<br />
quando ci si pone, con apertura e <strong>di</strong>sponibilità al<br />
rischio, l’uno <strong>di</strong> fronte all’altro. Per quel che<br />
riguarda questa atmosfera creativa, senza la<br />
quale tante cose <strong>di</strong> questo libro non sarebbero<br />
nate, sono anche debitore a Paolo Bozzi, a Pino<br />
Roveredo (quanti incontri con Fabio Nieder e<br />
Paolo Bozzi, nelle osterie e birrerie triestine!) e a<br />
qualche amico e amica cui ho fatto leggere il testo<br />
finito e che mi hanno dato preziosi suggerimenti,<br />
soprattutto mi hanno suggerito preziosi tagli.<br />
Qualche consigliere e/o consigliera segreta è<br />
anche presente in questa sala.<br />
Ho scritto, come sempre mi succede, questo testo<br />
<strong>di</strong> getto, in modo selvaggio, senza un piano preciso,<br />
tranne l’idea generale; personaggi, scene, episo<strong>di</strong><br />
mi sono anche nati via via, mentre scrivevo,<br />
senza che mi fossero presenti prima. Ho finito<br />
questa stesura, <strong>di</strong>ciamo così selvaggia nel Natale<br />
1999, l’ho lasciata riposare per molti mesi, poi è<br />
cominciato il lavoro puntiglioso <strong>di</strong> correzione,<br />
controllo, rifinitura, potatura; un preciso lavoro<br />
razionale dopo il momento selvaggio. Finché,<br />
pochi giorni fa, è uscito il libro.<br />
Questa è la sua storia esterna. Alla scrittura del<br />
libro hanno concorso pure dei fattori curiosi,<br />
anche ambivalenti. <strong>Il</strong> destino, la vita, il modo <strong>di</strong><br />
essere, <strong>di</strong> sentire e <strong>di</strong> pensare <strong>di</strong> Timmel mi sono,
ovviamente, lontanissimi; sono anzi, sotto molti<br />
aspetti, l’opposto <strong>di</strong> me. Ma in qualche modo è<br />
stato come se avessi trovato uno specchio deforme<br />
o deformante, in cui mi sono riconosciuto e che<br />
mi ha permesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>re certe cose che altrimenti<br />
forse non sarei riuscito a <strong>di</strong>re. Talvolta si scrivono<br />
libri che sono come la nostra fotografia; rileggendoli,<br />
uno si riconosce in essi, trova in essi ciò che<br />
egli pensa del mondo, la sua concezione e il suo<br />
sentimento della vita. Ma ci sono dei libri che si<br />
scrivono e che sono un po’ come il negativo della<br />
nostra fotografia. Libri che non <strong>di</strong>cono le nostre<br />
risposte ai problemi della vita, ma che fanno sentire<br />
intensamente le domande su quei problemi<br />
che noi ci poniamo nel nostro profondo, anche se<br />
<strong>di</strong>amo loro risposte <strong>di</strong>verse; libri che <strong>di</strong>cono non<br />
solo quello che siamo, ma quello che potremmo,<br />
vorremmo o temiamo <strong>di</strong> essere; che <strong>di</strong>cono le<br />
nostre ossessioni, cui magari non indulgiamo<br />
nella nostra vita pratica e nella elaborazione della<br />
nostra visione del mondo. Libri che esprimono<br />
una visione del mondo che non potremmo certo<br />
firmare, come se fosse la nostra, ma in cui sentiamo<br />
risuonare, magari in<strong>di</strong>rettamente, tante possibili,<br />
sognate, temute, esorcizzate o represse visioni<br />
del mondo nascoste dentro <strong>di</strong> noi. Io credo <strong>di</strong><br />
assomigliare un po’ al protagonista <strong>di</strong> Danubio e<br />
a quello <strong>di</strong> Microcosmi, vorrei assomigliare a<br />
quello del Conde, non assomiglio affatto nel mio<br />
comportamento e nei miei sentimenti (a parte<br />
l’amore per il mare) a Enrico Mreule, ma le<br />
domande che egli si pone nel suo intimo le sento<br />
fortemente, sono le mie domande, anche se le mie<br />
risposte sono ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>verse.<br />
Un altro problema è costituito dalla scrittura <strong>di</strong><br />
questo testo, che è molto <strong>di</strong>versa da quella della<br />
maggior parte delle cose che ho scritto. Forse<br />
ricorda un po’, per certi versi, Stadelmann, o<br />
ancora <strong>di</strong> più Le voci, per qualche aspetto anche<br />
Un altro mare. Ma <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> ha una scrittura<br />
molto più violenta, dura e visionaria, spezzata, in<br />
certi momenti forse anche ardua, <strong>di</strong>fficile. Ci<br />
sono, in quello che scrivo, come due scritture. C’è<br />
quella che cerca <strong>di</strong> capire il mondo, <strong>di</strong> rendersi<br />
ragione dei suoi fenomeni, <strong>di</strong> collocare i singoli<br />
destini, anche dolorosi, sullo sfondo della totalità<br />
del mondo, e del suo significato, che dunque in<br />
qualche modo li me<strong>di</strong>a. È una scrittura avvolgente,<br />
con perio<strong>di</strong> ipotattici ben costruiti, gerarchizzati,<br />
che pongono le cose importanti nelle frasi<br />
principali e quelle secondarie nelle subor<strong>di</strong>nate,<br />
mettendo per così <strong>di</strong>re al loro posto gli aspetti del<br />
mondo. Questo è il tipo <strong>di</strong> scrittura che ho praticato<br />
<strong>di</strong> più, sia nella narrativa, sia nella saggistica;<br />
una scrittura che vuole dare senso alle cose,<br />
collocare ogni singola esperienza, anche dolorosa,<br />
in una totalità che la comprenda e che, solo per il<br />
fatto <strong>di</strong> comprenderla, può conciliarla, ovvero<br />
inquadrarla in un contesto più ampio.<br />
C’è invece la scrittura (soprattutto, ma non solo,<br />
quella teatrale) che mi sembra <strong>di</strong>a la possibilità<br />
<strong>di</strong> rendere giustizia a certe esperienze brucianti,<br />
<strong>di</strong>rette. Una sofferenza grande, anche la nostra<br />
morte, se collocata nella storia del mondo, per il<br />
solo fatto <strong>di</strong> esservi collocata, assume un senso<br />
che non sminuisce certo la sua tragicità ma in<br />
qualche modo la mitiga. Quest’altra scrittura<br />
invece cerca <strong>di</strong> non sottrarsi alla bruciante imme<strong>di</strong>atezza,<br />
<strong>di</strong> confrontarsi con l’assolutezza <strong>di</strong> certi<br />
istanti. Ci sono dei momenti, delle sofferenze, che<br />
69
70 vengono sentite come un assoluto, come un dolore<br />
terribile. Se qualcuno ci tortura con le tenaglie<br />
roventi, in quel momento non ci interessa, non<br />
può interessarci il significato del mondo, ma<br />
viviamo l’assoluto <strong>di</strong> quel dolore fisico, e altrettanto<br />
vale per certi dolori morali; talvolta, per<br />
rendere giustizia a un fenomeno, bisogna mettersi<br />
faccia a faccia con la Medusa della vita - senza<br />
trarne una filosofia né un’ideologia della catastrofe,<br />
un pessimismo compiaciuto, una retorica della<br />
negatività. Ma collocandosi appunto faccia a faccia,<br />
a <strong>di</strong>stanza zero dalla Medusa della vita.<br />
È soprattutto il teatro che sa sbattere in faccia<br />
quello che viene <strong>di</strong>rettamente fuori dalla voce, dal<br />
cuore, dal corpo, dal gesto. E allora la scrittura si<br />
fa spezzata, rotta, come se raccogliesse delle<br />
schegge, <strong>di</strong> oggetti fatti a pezzi a colpi d’ascia,<br />
frantumi d’esistenza, <strong>di</strong> sentimenti, <strong>di</strong> vite <strong>di</strong>sgregate.<br />
Non avrei saputo scrivere <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> in una<br />
forma <strong>di</strong> scrittura <strong>di</strong>versa, perché l’ho vissuta in<br />
un certo modo dall’interno dei personaggi. Ho<br />
l’impressione come se questo libro fosse un libro<br />
scritto dopo un <strong>di</strong>luvio; come raccogliendo relitti<br />
portati dal mare sulla riva, cose bellissime e<br />
meravigliose, porcherie, frammenti [...].<br />
Daniele Del Giu<strong>di</strong>ce: [...] L’altra parte a mio<br />
avviso fortemente drammatica, fortemente violenta<br />
a cui fa riferimento Clau<strong>di</strong>o è un vero vortice,<br />
un vero gorgo che sta nel cuore del libro, dove<br />
c’è proprio una scrittura dell’essere preso con le<br />
tenaglie, dove maggiormente emerge l’essere<br />
preso con le tenaglie, dove il dolore personale<br />
scrive <strong>di</strong>rettamente e non trova più conforto in<br />
una messa in or<strong>di</strong>ne o messa in caos o messa in<br />
<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne del mondo, in un pensiero filosofico.<br />
C’è proprio un punto che è il punto <strong>di</strong> maggiore<br />
violenza <strong>di</strong> questo testo ed è vero che mai Clau<strong>di</strong>o<br />
ha trattato in maniera così violenta una situazione<br />
esistenziale <strong>di</strong> dolore. È un momento che è<br />
introdotto anche questa volta dal <strong>di</strong>rettore, inteso<br />
qui come <strong>di</strong>rettore della <strong>mostra</strong>, il quale parla<br />
della crisi <strong>di</strong> Timmel che a un certo punto smette<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere, ma soprattutto smette <strong>di</strong> far mostre<br />
per quasi una dozzina d’anni. Non ci sarebbe<br />
niente <strong>di</strong> male in questo, fa parte del percorso; il<br />
fatto è che la deriva che ne risulta, cioè il suo<br />
vivere nelle osterie, il suo vendere schizzetti fatti<br />
nelle osterie in cambio <strong>di</strong> vino, il suo <strong>di</strong>pingere i<br />
muri delle osterie in cambio <strong>di</strong> cibo, è una deriva<br />
totalmente <strong>di</strong> abbandono, <strong>di</strong> indegnità; finché c’è<br />
un momento <strong>di</strong> riscatto, ma questo riscatto è<br />
ancora più indegno ed è un pezzo straor<strong>di</strong>nario.<br />
Accade che la moglie <strong>di</strong> Timmel muore e questa<br />
sua deriva, questa sua impotenza trova, in qualche<br />
modo, prima <strong>di</strong> tutto una nuova <strong>di</strong>gnità, nel<br />
senso che può avere un motivo [...].<br />
[...] C’è dunque un riuso dell’indegnità trasformata<br />
in una nuova <strong>di</strong>gnità per la malattia e la<br />
morte della moglie. Questo è anche un altro tratto,<br />
ma non ne parlo in senso <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione letteraria<br />
ma <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione esistenziale. Anche Emilio<br />
Brentani, in Senilità, è bravissimo nel misurare la<br />
propria indegnità, conoscere la propria indegnità<br />
e riutilizzarla, passare dallo stato <strong>di</strong> vergogna<br />
profonda, trovando motivi che in qualche modo<br />
la nobilitino.<br />
C’è poi, nel momento della morte della moglie,<br />
questo notevolissimo e anche qui assai catastrofi-
co, assai drammatico vortice che riguarda appunto<br />
il tema <strong>di</strong> Alcesti, della donna che va nell’Ade,<br />
prendendo su <strong>di</strong> sé questo compito e sottraendolo<br />
invece al proprio uomo.<br />
Qui c’è una coincidenza, in senso <strong>di</strong> autobiografia<br />
rovesciata; qui c’è una partecipazione <strong>di</strong> te<br />
Clau<strong>di</strong>o come narratore molto forte la cui spia,<br />
tra l’altro, è proprio l’abbandono del <strong>di</strong>aletto, il<br />
passaggio alla lingua.<br />
71
<strong>Magris</strong>, storia del pittore<br />
che attraversò la notte scura<br />
72 È un testo che viene da lontano, <strong>La</strong> Mostra.<br />
Almeno dal 1973 della pubblicazione del Magico<br />
taccuino <strong>di</strong> Vito Timmel (1886-199) morto nel<br />
manicomio <strong>di</strong> San Giovanni a Trieste. Di sicuro<br />
dall’11 settembre 1980 quando <strong>Magris</strong> alla<br />
Fondazione Cini tiene una conversazione su<br />
L’acci<strong>di</strong>a del superuomo: il viandante <strong>di</strong> Vito<br />
Timmel e il suo taccuino magico, entro un ciclo in<br />
cui affronta i temi a lui cari del Viandante, del<br />
Fuggiasco e dell’Io <strong>di</strong>viso. Un Timmel «randagio<br />
pittore nato a Vienna e venuto a completare la<br />
sua auto<strong>di</strong>struzione a Trieste» <strong>di</strong> lunga se<strong>di</strong>mentazione,<br />
richiamato in Microcosmi col suo «miscuglio<br />
<strong>di</strong> folgoranti epifanie liriche e <strong>di</strong> singulti verbali<br />
prossimi all’afasia e sbriciolati dall’amnesia,<br />
ch’egli chiamava nostalgia, desiderio <strong>di</strong> cancellare<br />
tutti i nomi e tutti i segni che irretiscono l’in<strong>di</strong>viduo<br />
nel mondo». Ed è a quelle pagine che mi vien<br />
spontaneo rinviare il lettore che voglia riassunta<br />
con rapida intensità la figura del «viandante<br />
ribelle» Timmel, un «viandante dell’anima» che<br />
nella Mostra <strong>Magris</strong> ripropone nella cangiante<br />
eppur unitaria forma <strong>di</strong> racconto e struttura teatrale<br />
e da libretto d’opera tesa a rievocarlo in un<br />
gioco <strong>di</strong> visivi piani spaziali attraverso incroci <strong>di</strong><br />
brandelli <strong>di</strong>scorsivi <strong>di</strong> amici, personale e compagni<br />
<strong>di</strong> manicomio, avventori d’osterie, voci <strong>di</strong><br />
passanti colte dal fondo, cori e semicori <strong>di</strong> persone<br />
e oggetti (le se<strong>di</strong>e) che si trovano pure a scambiarsi<br />
i ruoli: il tutto chiamato a contrapporre lo<br />
spezzato monologo <strong>di</strong> Timmel, che nel trascorrere<br />
del testo si fa via via sempre più visionario, increpandosi<br />
anche <strong>di</strong> cadenze <strong>di</strong>alettali triestine. Un<br />
contrappunto sviluppato anche su più piani temporali:<br />
appartenendo i vari personaggi in scena<br />
<strong>di</strong> Ermanno Paccagnini<br />
all’ieri dell’imme<strong>di</strong>ato postmortem del pittore,<br />
all’altrieri presentificato dello stesso Timmel,<br />
all’oggi della <strong>mostra</strong> <strong>di</strong> suoi quadri organizzata<br />
da un <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> manicomio in cui s’affaccia il<br />
Franco Basaglia prefatore anche al Magico taccuino.<br />
Figure che <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> un’altra costante <strong>di</strong><br />
<strong>Magris</strong>: l’operare creativamente su personaggi<br />
reali, come già col romanzo Un altro mare; e, qui,<br />
anche con lo scultore Marcello Mascherini e<br />
soprattutto il Cesare Sofianopulo già ricordato in<br />
Microcosmi come «pittore, poeta, traduttore <strong>di</strong><br />
Baudelaire e devoto ai tramonti sulle rive, i cui<br />
raggi inclinati a suo <strong>di</strong>re rendevano trasparenti i<br />
vestiti delle donne»: battuta che qui torna messagli<br />
<strong>di</strong>rettamente in bocca. Un operare con fedeltà<br />
– ciò che con Timmel significa appoggiarsi anche<br />
alle parole del suo “magico taccuino” (e ne è spia<br />
il «bisogna assolutamente <strong>di</strong>pendere per raggiungere<br />
l’atmosfera beata» citato in Microcosmi e<br />
riproposto nella Mostra). Ma anche con una rilettura<br />
del personaggio (in Utopia e <strong>di</strong>sincanto, scriveva<br />
<strong>di</strong> viandanza e <strong>di</strong> «esperienze <strong>di</strong> frontiera<br />
perduta o cercata» da ricostruire «nella realtà e<br />
nel cuore»). Qui: un Timmel – uomo anche del<br />
“<strong>di</strong>sincanto” – che egli appoggia e stringe a sé per<br />
riviverlo dall’interno: appropriandosene; per trasferirvisi,<br />
e per parlare in prima persona attraverso<br />
<strong>di</strong> lui. Intellettualmente, come in passato. Ma<br />
qui, nella Mostra, soprattutto emozionalmente.<br />
Una emozionalità che fa a braccio <strong>di</strong> ferro con la<br />
razionalità.<br />
Ed è tale abbraccio che carica <strong>di</strong> densità <strong>di</strong> percorsi<br />
tematici questo testo. Per raccogliere solo<br />
talune sollecitazioni: i rapporti sanità-follia e<br />
arte-follia; la follia (in passato: il suici<strong>di</strong>o) come
ifugio estremo; fuga fisica e mentale; rapporto<br />
tra “nostalgie” e “desmentegar”, ricordo e rimozione;<br />
prigionia nella libertà e libertà nella prigionia;<br />
quella “responsabilità” che impregna le pagine<br />
più recenti <strong>di</strong> Utopia e <strong>di</strong>sincanto; la colpa<br />
orginaria; il male e la sua necessità. Ma pure contrapposizione<br />
tra espressività libera e senza<br />
me<strong>di</strong>azioni (Timmel) e me<strong>di</strong>azioni devianti, come<br />
quelle del <strong>di</strong>rettore-interprete o dell’amico<br />
Sofianopulo, che s’esprime soprattutto per citazioni<br />
e stilemi classicheggianti (spesso in versi)<br />
riversati pure nelle sue versioni da Baudelaire,<br />
così narcotizzando il bohème per eccellenza.<br />
Senza <strong>di</strong>menticare il linguaggio: i felicissimi<br />
incroci tra espressività ora dotte (come lingua, e<br />
come continui calchi e citazioni: <strong>di</strong> parole e<br />
forme), ora <strong>di</strong> parlato (o cantato), ora <strong>di</strong>alettali:<br />
<strong>di</strong>stribuiti per <strong>di</strong>versi stilemi tra vari personaggi e<br />
invece fusi in Timmel.<br />
Insomma: tanti i possibili percorsi <strong>di</strong> lettura. Tutti<br />
però a fare alone quasi protettivo attorno<br />
all’aspetto «più straziato e sincero». Da libro-confessione.<br />
Che ha scelto <strong>di</strong> misurarsi «con la demonicità<br />
della vita», a partire dall’aspetto più<br />
profondamente personale. Ed è questo che fa<br />
della Mostra un atto e insieme un canto d’amore:<br />
e Timmel parla anche col Cantico dei cantici (ma<br />
pure col Qohèlet), mentre altre sue espressioni mi<br />
ricordano Giotti e Marin e altre ancora passi <strong>di</strong><br />
Marisa, la moglie e fine scrittrice. Un canto –<br />
attraverso Timmel – per una moglie, Mari(s)a,<br />
che non c’è più: riletta come Alcesti, la sposa «che<br />
muore per lui», per salvarlo dalla conoscenza<br />
«dell’orrido niente». In cui si deposita un’interrogazione<br />
scarnificata e scarnificante sui propri<br />
sentimenti: a tratti da grido mistico <strong>di</strong> noche<br />
scura.<br />
Interrogazione sul <strong>di</strong>ritto a trovare una conciliazione<br />
salvifica e facilitante tra “libertà” e “necessità”<br />
(la morte d’una persona cara).<br />
Un’interrogazione al limite (ma anche oltre)<br />
d’uno straziante senso <strong>di</strong> colpa. Non tanto<br />
dell’essere stato: ossia dei sentimenti; dell’aver<br />
succhiato la vita “da quel seno che si spolpava e<br />
sfasciava”. Quanto: senso <strong>di</strong> colpa del continuare<br />
a “essere”. A “vivere”. Anche creativamente.<br />
dal “Corriere della Sera” del 10 maggio 2001<br />
73
<strong>Magris</strong>: l’oscuro<br />
riflettersi nell’“altro”<br />
74 Ra<strong>di</strong>cato nella precoce convinzione che l’unico<br />
modo <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> sé, della propria esperienza,<br />
consiste nel parlare degli altri raccontandoli con<br />
gli occhi della propria identità, l’impulso a scrutare<br />
negli oscuri cunicoli della Storia, attratto da<br />
in<strong>di</strong>vidui le cui vicende, non solo letterarie, meritavano<br />
<strong>di</strong> essere meglio illuminate, Clau<strong>di</strong>o<br />
<strong>Magris</strong> l’aveva già manifestato e assolto, agli inizi<br />
della sua smagliante carriera, nei saggi de<strong>di</strong>cati<br />
alla cultura mitteleuropea. Scrittori noti appena<br />
per qualche frettolosa riga <strong>di</strong> manuali accademici,<br />
o per spora<strong>di</strong>che traduzioni, nelle sue pagine<br />
hanno trovato un rilievo degno della loro complessa<br />
umanità, del loro valore estetico.<br />
Acuto storiografo della <strong>di</strong>sarmonia, stratega della<br />
<strong>di</strong>ssonanza, rabdomante <strong>di</strong> sontuose apocalissi <strong>di</strong><br />
corpi e <strong>di</strong> anime, questo fascinoso vociano postmoderno<br />
armato <strong>di</strong> Etica e <strong>di</strong> Stile si era rivelatoai<br />
suoi lettori e forse anche a se stesso – in libri<br />
felicemente ispirati. Penso soprattutto a <strong>Il</strong> mito<br />
absburgico nella letteratura austriaca moderna<br />
(Einau<strong>di</strong>, Torino 1963 e 1988) e a Lontano da<br />
dove. Joseph Roth e la tra<strong>di</strong>zione ebraico orientale<br />
(Einau<strong>di</strong>, Torino 1971), libri in cui le frontiere<br />
geografiche venivano assunte in trasparenza al<br />
dettato letterario sia come realtà antropologiche e<br />
geopolitiche sia come ferite esistenziali e storiche.<br />
<strong>La</strong> propria scrittura <strong>Magris</strong> ha saputo <strong>di</strong>agnosticarla<br />
con icastica efficaci, quel “periodare ipotattico<br />
che cerca <strong>di</strong> inseguire e <strong>di</strong> avvolgere le contrad<strong>di</strong>zioni<br />
del mondo” (Fra il Danubio e il mare,<br />
con videocassetta, Garzanti, Milano, 2001). <strong>Il</strong><br />
sinuoso andamento e la ricchezza lessicale dello<br />
stile, l’esegesi critica <strong>di</strong> intellettuali e scrittori<br />
campiti sullo sfondo storico-culturale, andavano<br />
<strong>di</strong> Enzo Golino<br />
al <strong>di</strong> là del limpido specialismo del germanista<br />
(cattedratico prima a Torino dove ha stu<strong>di</strong>ato e si<br />
è laureato, poi a Trieste dove è nato nel 1939, e in<br />
giro per le più importanti se<strong>di</strong> universitarie non<br />
solo italiane) con un piglio narrativo <strong>di</strong> cui già si<br />
poteva intuire l’ambiziosa promessa. Ernestina<br />
Pellegrini nel saggismo <strong>di</strong> <strong>Magris</strong> avvertiva la<br />
presenza <strong>di</strong> “uno scrittore in esilio imprigionato<br />
in una gabbia saggistica (...) schiacciato contro le<br />
sue frontiere intellettuali, ma che avrebbe sempre<br />
lottato perché non avvenisse una separazione<br />
ra<strong>di</strong>cale all’interno <strong>di</strong> questa “visuale doppia”.<br />
(Epica sull’acqua. L’opera letteraria <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o<br />
<strong>Magris</strong>, Moretti e Vitali, Bergamo 1997).<br />
<strong>Magris</strong> infatti aveva dato alle stampe un breve<br />
racconto <strong>Il</strong>lazioni su una sciabola (Garzanti,<br />
Milano, 1984) accolto da critiche per lo più favorevoli,<br />
poi ristampato in varie se<strong>di</strong> e<strong>di</strong>toriali. Non<br />
fui molto persuaso da questo debutto e neppure<br />
dalla successiva prova narrativa in forma <strong>di</strong><br />
romanzo, Un altro mare, pubblicato sette anni<br />
dopo sempre da Garzanti. Anche perché nel frattempo,<br />
il mio interesse per il <strong>Magris</strong> saggista era<br />
stato ulteriormente arricchito dalla lettura <strong>di</strong><br />
Danubio (Garzanti, Milano, 1986): libro senza<br />
etichette, incrocio quasi perfetto <strong>di</strong> miti e <strong>di</strong><br />
realtà, <strong>di</strong> Storia e <strong>di</strong> storie, geniale ibrido <strong>di</strong> sensazioni<br />
in<strong>di</strong>viduali e <strong>di</strong> sensibilità collettive<br />
costruito come una metafora ideale e materiale<br />
dell’esistenza sull’eterno tema del viaggio.<br />
L’acqua del fiume, testimonianza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ffusa<br />
“idrofilia” dell’autore, e qui onnipresente e onnicomprensivo<br />
simbolo da sviscerare secondo i dettami<br />
<strong>di</strong> una psicoanalisi degli elementi primor<strong>di</strong>ali<br />
alla Gaston Bachelard.
<strong>La</strong> scrittura polifonica e inquieta <strong>di</strong> Danubio, un<br />
fluttuante mobile <strong>di</strong> parole, mi conquistava progressivamente<br />
– e con me ha conquistato tanti<br />
lettori, anche stranieri – <strong>di</strong>spiegando i suoni delle<br />
sue multiple sirene stilistiche; e trasmetteva quasi<br />
me<strong>di</strong>anicamente una dote precipua dell’autore: la<br />
capacità tecnica <strong>di</strong> orchestrare temi, personaggi,<br />
scritture come se stesse <strong>di</strong>rigendo una grande<br />
orchestra. Idea <strong>di</strong> cui devo ringraziare l’orecchio<br />
musicale <strong>di</strong> Luigi Baldacci che nel suo recente<br />
Trasferte (Rizzoli, Milano, 2001) l’ha applicata a<br />
Hector Bianciotti, narratore franco-italo-argentino.<br />
Per mio conto, da profano, quel gesto largo e<br />
imperioso dello scrivere <strong>di</strong> <strong>Magris</strong> in Danubio l’ho<br />
letto, ascoltato, vissuto come se fossi immerso nei<br />
colori e nelle sonorità <strong>di</strong> una sinfonia <strong>di</strong> Gustav<br />
Mahler.<br />
Altri libri ha scritto <strong>Magris</strong> prima e dopo Danubio<br />
fino agli ultimi titoli Microcosmi (Garzanti,<br />
Milano, 1997) e Utopia e <strong>di</strong>sincanto (Garzanti,<br />
Milano, 1999). E ha inaugurato il nuovo secolo<br />
con <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> (Garzanti, Milano, 2001), testo<br />
singolare felicemente anomalo della genesi tripartita<br />
in quanto nasce – <strong>di</strong>etro sollecitazione <strong>di</strong> un<br />
musicista triestino, Fabio Nieder – come ipotesi <strong>di</strong><br />
un libretto d’opera, e si <strong>di</strong>stende in frastagliate<br />
pagine dal respiro ora teatrale ora narrativo, animoso<br />
e sperimentale concentrato dei temi cari<br />
all’autore.<br />
A cominciare dal fondatore storico, artistico, letterario<br />
della civiltà mitteleuropea <strong>di</strong> cui <strong>Magris</strong><br />
ha raccolto e ricomposto amorevolmente, grazie<br />
ai suoi abili strumenti <strong>di</strong> paleontologo <strong>di</strong> quella<br />
cultura, i brandelli più significativi. Un’ad<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> perspicacia che ha reso attraente e in<strong>di</strong>spensa-<br />
bile la conoscenza della sua galleria <strong>di</strong> “uomini<br />
senza qualità”, parte irrinunciabile del mosaico<br />
letterario europeo. Per le cure affabulatrici del<br />
paleontologo, <strong>di</strong> frammento in frammento Vito<br />
Timmel <strong>di</strong>venta il protagonista <strong>di</strong> quell’oratorio<br />
laico che è <strong>La</strong> Mostra. <strong>Il</strong> percorso della ricostruzione<br />
è stato in<strong>di</strong>viduato da più d’un recensore,<br />
ma il più attento e circostanziato credo sia stato<br />
Ermanno Paccagnini (Corriere della sera, 10<br />
maggio 2001). Prima tappa 1973, pubblicazione<br />
del Magico taccuino <strong>di</strong> Vito Timmel nelle triestine<br />
E<strong>di</strong>zioni dello Zibaldone <strong>di</strong> Anita Pittoni,<br />
vestale della triestitu<strong>di</strong>ne, testi introduttivi <strong>di</strong><br />
<strong>Magris</strong>, dall’in<strong>di</strong>menticabile Basaglia (pioniere<br />
italiano dell’antipsichiatria) e <strong>di</strong> sua moglie<br />
Franca. Seconda tappa 11 settembre 1980, conferenza<br />
<strong>di</strong> <strong>Magris</strong> a Venezia, Fondazione Cini, sul<br />
tema L’acci<strong>di</strong>a del superuomo: il viandante <strong>di</strong><br />
Vito Timmel e il suo taccuino magico. Terza tappa<br />
della lunga incubazione è il 1997, con le pagine<br />
<strong>di</strong> Microcosmi in cui appare la figura <strong>di</strong> Timmel<br />
devastato dai fantasmi della follia, intriso <strong>di</strong> una<br />
<strong>di</strong>sperata poesia dell’esistenza che trova sbocco<br />
lancinante soltanto nel delirio. Infine, quarta<br />
tappa, 2001: <strong>La</strong> Mostra.<br />
Vito Timmel è un altro dei personaggi realmente<br />
vissuti che <strong>Magris</strong> ha evocato nelle sue invenzioni<br />
narrative proiettandone le <strong>di</strong>stonie esistenziali<br />
sull’orizzonte storico, intellettuale, sociale. Nato a<br />
Vienna nel 1886 “quasi scolaro <strong>di</strong> Klimt”, era<br />
rimasto precocemente vedovo. Nel suo ossessivo<br />
monologare ricorda la moglie con parole tenere e<br />
straziate, oppresso da un senso <strong>di</strong> colpa per<br />
l’“osceno scambio”: lui vive e Maria non più.<br />
Vibrano in questo epice<strong>di</strong>o intarsiato <strong>di</strong> immagini<br />
75
76 barocche risonanze dell’analogo lutto vissuto da<br />
<strong>Magris</strong> con la scomparsa della moglie Marisa<br />
Ma<strong>di</strong>eri.<br />
“Bohémien da strapazzo”, Tmmel incarna il rifiuto<br />
degli agi borghesi, del conformismo sociale e<br />
familiare, la ribellione dell’anarchismo. Vende i<br />
suoi quadri per una cena o un calice <strong>di</strong> vino,<br />
riducendosi a patetico zimbello <strong>di</strong> osteria.Si considera<br />
un pittore finito per almeno quin<strong>di</strong>ci anni,<br />
ma nel 1941 torna ad esporre. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore del<br />
manicomio triestino dove Timmel è stato a lungo<br />
ricoverato (fino alla morte avvenuta nel 1949), si<br />
ispira alle idee <strong>di</strong> Franco Basaglia, ma appare<br />
piuttosto un suo replicante imbecille, una caricatura<br />
dell’originale. E proprio nel manicomio –<br />
improvvisandone una funzione museale – organizza<br />
la prima <strong>mostra</strong> postuma <strong>di</strong> Timmel per<br />
ricordare l’artista che invece ha voluto vivere<br />
nella <strong>di</strong>menticanza <strong>di</strong> sé. L’intreccio <strong>di</strong> almeno tre<br />
livelli temporali, la babele linguistica <strong>di</strong> voci singole<br />
e <strong>di</strong> intermezzi corali, tracciano via via e<br />
commentano la vicenda <strong>di</strong> Timmel evocando<br />
nomi, date, amicizie, versi <strong>di</strong> Baudelaire e <strong>di</strong><br />
Euripide, filastrocche e proverbi, gemme lessicali<br />
in <strong>di</strong>aletto triestino assai espressive (“infogonà”,<br />
“desmentegar”), estasi e rabbie.<br />
Artefice <strong>di</strong> questo magma eruttato da una ispirazione<br />
densa <strong>di</strong> pathos, <strong>Magris</strong> percorre il confine<br />
tra ragione e follia sul qual vive, in bilico, il suo<br />
protagonista; nutre <strong>di</strong> storie e memorie l’amalgama<br />
quasi onirico <strong>di</strong> fantasia e realtà; esplora il<br />
<strong>di</strong>fficile crinale che separa e unisce amore e<br />
morte. Lo sguardo fisso a ogni sorta <strong>di</strong> marginalità<br />
esistenziale, geografica, culturale, <strong>Magris</strong><br />
scruta com’è suo costume, per trarne in<strong>di</strong>zi e pre-<br />
sagi, quel vuoto oscuro generato dalla per<strong>di</strong>ta del<br />
centro, motore <strong>di</strong> ogni decadenza, gran<strong>di</strong>osa o<br />
infima che sia.<br />
Per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> cui anche Timmel patisce, vittima del<br />
lutto e della demenza, <strong>di</strong> una Storia troppo<br />
schiacciante per le sue gracili spalle, per la sua<br />
tempra evanescente. Con la strenua luci<strong>di</strong>tà che<br />
lo <strong>di</strong>stingue, <strong>Magris</strong> ha chiarito in una intervista a<br />
Franco Marcoal<strong>di</strong> la fase creativa <strong>di</strong> quest’ultimo<br />
periodo e quin<strong>di</strong> anche la fase che ha presieduto<br />
alla scrittura <strong>di</strong> <strong>La</strong> Mostra. Ho come l’impressione<br />
che per me, in questo momento, l’unica possibilità<br />
<strong>di</strong> scrivere inventando consista nel raccogliere<br />
schegge <strong>di</strong> cose fatte a pezzi con l’ascia. Si<br />
va sulla riva del mare e si vede che alcune <strong>di</strong><br />
quelle schegge sono meravigliose e altre delle porcherie.<br />
E le si mette insieme. Naturalmente sono<br />
consapevole del fatto che tutto ciò fa a pugni con<br />
un’altra parte della mia natura: morale, intellettuale,<br />
sistematica. (<strong>La</strong> Repubblica, 6 giugno<br />
2001).<br />
Natura che <strong>Magris</strong> aveva già delineato in “due<br />
componenti molto <strong>di</strong>verse, antitetiche e contrad<strong>di</strong>torie”<br />
in una lettera a Ernestina Pellegrini precisando<br />
la componente epica [...] omerica e tolstoiana:<br />
il senso, nonostante tutto, dell’unità della<br />
vita del mondo […]. E, all’opposto, il senso<br />
kafkiano, il senso del negativo, del frammento,<br />
del nulla; il desiderio <strong>di</strong> sparire, la sensazione <strong>di</strong><br />
non poter rappresentare, il silenzio, l’assenza,<br />
l’oblio”. (Epica sull’acqua).<br />
Non vorrei eccedere i simbolismi né produrre<br />
oscure glosse dov’è chiara sentenza. Comunque,<br />
non si potrà negare che persino nell’intervista che<br />
ho citato <strong>Magris</strong> senta il bisogno <strong>di</strong> parlare del
mare a proposito <strong>di</strong> un libro, <strong>La</strong> Mostra, dove il<br />
mare, sia pure incidentalmente, è <strong>di</strong> nuovo presente,<br />
evocato dal pittore Cesare Sofianopulo,<br />
amico <strong>di</strong> Timmel e autore <strong>di</strong> una brutta traduzione<br />
dei Fiori del male, da Timmel medesimo, dal<br />
coro nel suo ultimo intervento rivolto appunto a<br />
Timmel: Tu, uomo libero senza nome – Niente ha<br />
nome, miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> atomi senza nome, i punti non<br />
hanno nome, sei entrano nel mare, le gocce non<br />
hanno nome, grande ad<strong>di</strong>o <strong>di</strong> nessuno a nessuno….<br />
Simbolo “della prova, della sfida”, il mare per<br />
<strong>Magris</strong> “è soprattutto legato all’immagine<br />
dell’eros, dell’amore, della posizione <strong>di</strong>stesa orizzontale,<br />
in abbandono”. (Fra il Danubio e il<br />
mare). Tutto nasce dal mare, acqua in continuo<br />
movimento, e tutto ritorna al mare, immagine<br />
della vita e della morte <strong>di</strong> cui <strong>La</strong> Mostra è una<br />
serrata rappresentazione <strong>di</strong>alettica. Siamo<br />
nell’ambito largamente praticato <strong>di</strong> valori mitici<br />
accertati e co<strong>di</strong>ficati. L’ascia anche, strumento <strong>di</strong><br />
lotta e <strong>di</strong> lavoro, ha numerosi significati simbolici:<br />
usata dagli dei del cielo e della tempesta per<br />
combattere le forze nemiche: attributo <strong>di</strong> San<br />
Giuseppe in quanto falegname; gli In<strong>di</strong>ani del<br />
Nord America, <strong>di</strong>ssotterrandola, manifestavano<br />
così la decisione <strong>di</strong> entrare in guerra; deposta alla<br />
ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> un albero è il simbolo del Giu<strong>di</strong>zio<br />
Universale… e il catalogo non finisce qui. L’ascia<br />
si avventa sulle cose e le riduce in frantumi <strong>di</strong><br />
<strong>Magris</strong>, una funzione che nella sua fantasia mitica<br />
potrebbe rappresentare la storia, motore <strong>di</strong><br />
creazioni e <strong>di</strong> rovine, <strong>di</strong> significato e <strong>di</strong> nonsenso,<br />
del tutto e del Nulla. Non a caso <strong>La</strong> Mostra racconta<br />
allegoricamente, con la “frantumazione <strong>di</strong><br />
tutte le forme letterarie organizzate” (Marcoal<strong>di</strong>),<br />
un punto in cui tutto è finito, l’io, la storia, il<br />
Mondo. Mai come in <strong>La</strong> Mostra, nella sua eterogenea<br />
e ancorché imperfetta drammaturgia,<br />
<strong>Magris</strong> ha filtrato in piena autonomia la lezione<br />
<strong>di</strong> Nietzsche e <strong>di</strong> Musil che da prospettive <strong>di</strong>verse<br />
enunciano l’assenza <strong>di</strong> “un soggetto unitario che<br />
possa abbracciare, selezionare e unificare il molteplice<br />
da una prospettiva superiore e dunque<br />
afferrare il modo nell’unità della frase”. Un pensiero<br />
frequente nell’opera <strong>di</strong> <strong>Magris</strong> – qui ricavato<br />
dalla sua lezione inaugurale al Collège de France,<br />
Parigi, 25 ottobre 2001 (Corriere della Sera, 26<br />
ottobre 2001) – e che scolpisce il tema dominante<br />
del libro: il naufragio dell’Io nel mare della vita,<br />
sbattuto in quello sfasciume che è la Storia. Non è<br />
dunque un paradosso il fatto che la creatività letteraria<br />
<strong>di</strong> <strong>Magris</strong>, nelle pagine non strettamente<br />
saggistiche, si esprima in modo più convincente<br />
in un testo per così <strong>di</strong>re fratturato, sparso nelle<br />
mille schegge <strong>di</strong> uno specchio rotto come <strong>La</strong><br />
Mostra, anziché in altri titoli dall’andamento narrativo<br />
e stilistico più lineare. L’occasione marcatamente<br />
letteraria <strong>di</strong> questo incontro fiorentino<br />
sollecita a non lasciare in ombra la figura del<br />
<strong>Magris</strong> politico e intellettuale, anzi intellettuale<br />
politico: definizione che non significa certamente<br />
organicità a un partito, a uno schieramento, alla<br />
politica politicante dei corridoi <strong>di</strong> Montecitorio,<br />
dei teatrini me<strong>di</strong>atici. <strong>Magris</strong> è stato in<br />
Parlamento, eletto al Senato “quale rappresentante<br />
<strong>di</strong> un movimento inventato” <strong>di</strong> cui era<br />
l’unico iscritto. Lui stesso ha raccontato la singolare<br />
vicenda (<strong>La</strong> rivista dei Libri, n.2, febbraio<br />
2000) che la <strong>di</strong>ce lunga sul suo modo <strong>di</strong> parteci-<br />
77
78 pare ai destini della cosa pubblica. <strong>Magris</strong> si è<br />
schierato, dentro e fuori l’istituzione parlamentare,<br />
sia pure lavorando in sintonia con il<br />
Centrosinistra, sempre e solo con le proprie idee,<br />
animate da spiriti liberaldemocratici, o socialdemocratici<br />
non collocabili in schemi precostituiti.<br />
E lo <strong>di</strong><strong>mostra</strong> un caso macroscopico, il suo intervento<br />
del 1975 contro l’aborto, come aveva fatto<br />
Pasolini, con argomentazioni ben <strong>di</strong>verse per<br />
finezza, grazia, intelligenza e responsabilità civile<br />
da quelle molto più rozze d’impronta talebanica<br />
manifestate da alcuni fronti politici d’allora.<br />
Altro esempio: le riflessioni sul terrorismo, la<br />
paura, il coraggio dopo l’attentato dell’11 settembre<br />
2001 alle Twin Towers le ho interpretate<br />
come un’alta lezione <strong>di</strong> neoumanesimo occidentale<br />
che deve fronteggiare i demoni da esso stesso<br />
creati. Infine, la denuncia (Corriere della sera, 30<br />
novembre 2001) che non si può essere in<strong>di</strong>fferenti<br />
al Male, così motivando l’intenzione <strong>di</strong> togliere la<br />
sua foto dalla parete del caffè triestino – il glorioso<br />
Caffè San Marco, “arca <strong>di</strong> Noè della Mitteleuropa”<br />
– dove ha passato ore e ore a scrivere i<br />
suoi articoli, i suoi libri, a parlare con gli studenti,<br />
perché il locale avrebbe ospitato un <strong>di</strong>battito a<br />
cui partecipava una ex SS della Divisione<br />
Charlemagne. Per definire l’atteggiamento <strong>di</strong><br />
<strong>Magris</strong> verso la politica ricordo volentieri un pensiero<br />
<strong>di</strong> Lionello Trilling, un intellettuale americano<br />
<strong>di</strong> tendenze liberali […] il nostro destino, bene<br />
o male, è politico. Non è quin<strong>di</strong> un destino felice,<br />
anche se può suonare eroico, ma non v’è modo <strong>di</strong><br />
sfuggirlo, e l’unico modo <strong>di</strong> sopportarlo sta<br />
nell’introdurre a forza nella nostra definizione<br />
della politica ogni attività umana ed ogni detta-<br />
glio <strong>di</strong> tutte le attività umane. Nel fare questo vi<br />
sono evidenti pericoli, ma pericoli anche maggiori<br />
vi sono nel non farlo. Se non insistiamo che la<br />
politica è immaginazione ed intelligenza sono<br />
fatti politici, e d’un genere che non gra<strong>di</strong>remo<br />
affatto”. (Lionel Trilling, <strong>La</strong> letteratura e le idee,<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino, 1962).<br />
Si sarà capito, da questa lunga citazione, che<br />
l’idea <strong>di</strong> politica che a mio giu<strong>di</strong>zio unisce <strong>Magris</strong><br />
e Trilling non è quella che abbiamo sotto gli occhi<br />
quoti<strong>di</strong>anamente né quella praticata negli ambulacri<br />
vespeschi <strong>di</strong> Porta a porta. Del resto, analizzando<br />
il linguaggio etico-politico <strong>di</strong> <strong>Magris</strong>, risulta<br />
senz’ombra <strong>di</strong> dubbio la sua <strong>di</strong>stanza dalle formule<br />
correnti del gergo politico. E credo sarebbe<br />
d’accordo l’autore <strong>di</strong> Utopia e <strong>di</strong>sincanto<br />
(Garzanti, Milano 1999) nell’apprezzare l’opinione<br />
<strong>di</strong> V.S. Naipaul incastonata nel <strong>di</strong>scorso<br />
d’accettazione del Premio Nobel 2001 per la<br />
Letteratura: “Là dove il gergo trasforma le questioni<br />
vive in astrazioni e là dove il gergo finisce<br />
per competere con il gergo, il popolo non ha una<br />
causa. Ha soltanto nemici”. (Leggere e scrivere,<br />
Adelphi, Milano, 2002). Vorrei terminare, e chiedo<br />
licenza, con un ricordo personale che riguarda<br />
il mare, ancora il mare, amniotico protagonista<br />
delle narrazioni <strong>di</strong> <strong>Magris</strong>, culla primor<strong>di</strong>ale in<br />
cui le marginalità da lui narrate cercano <strong>di</strong> riacquistare<br />
il senso del centro perduto. Nel novembre<br />
1991 (Millelibri n.47, ora in Sottotiro, 48<br />
stroncature, Manni, Lecce 2002, pag, 26, e a<br />
pagina 189 la replica <strong>di</strong> <strong>Magris</strong> <strong>di</strong>eci anni dopo)<br />
pubblicai una severa recensione <strong>di</strong> Un altro mare<br />
e ho già detto che il romanzo non mi aveva persuaso.<br />
Per due volte nel corso dell’articolo sba-
gliai il titolo: scrissi L’altro mare. Ai redattori<br />
della rivista Millelibri il lapsus sfuggì e io stesso<br />
me ne accorsi solo quanto un giornalista del settimanale<br />
<strong>Il</strong> sabato mi accusò dell’errore dopo avermi<br />
incluso tra i cospiratori <strong>di</strong> un complotto e<strong>di</strong>toriale<br />
anti-<strong>Magris</strong>, campione della concorrenza<br />
giornalistica. Cercai <strong>di</strong> ricostruire i motivi del<br />
lapsus e trovai una plausibile spiegazione. Nel<br />
periodo in cui mi accingevo a scrivere la recensione<br />
<strong>di</strong> Un altro mare riguardavo alcuni libri <strong>di</strong><br />
<strong>Magris</strong> e tra essi L’altra ragione. Tre saggi su<br />
Hoffmann (E<strong>di</strong>zioni Stampatori, Torino 1978):<br />
questo titolo può avermi indotto a scrivere L’altro<br />
mare. Ma più ancora il lapsus può essere stato<br />
provocato dal fatto che in quel medesimo tempo<br />
leggevo e rileggevo le poesie <strong>di</strong> Emily Dickinson,<br />
la segregata del New England. Mare e fiumi non<br />
mancano nelle sue liriche: ne cito una, bellissima:<br />
«<strong>Il</strong> mio fiume corre a te -/azzurro mare, mi vorrai<br />
ricevere?/ <strong>Il</strong> mio fiume è in attesa <strong>di</strong> risposta - /Ti<br />
prego mare, accoglimi benigno! /Ti porterò<br />
ruscelli/ dai nascon<strong>di</strong>gli umbratili – Mare, ti<br />
prego – pren<strong>di</strong>mi!».<br />
Ero sicuro che <strong>Magris</strong> fosse consapevole <strong>di</strong> questa<br />
<strong>di</strong>mensione acquatica <strong>di</strong>ckinsoniana, <strong>di</strong> grande<br />
forze simbolica, anche senza averne scritto. Tanto<br />
sicuro da non cercare tra i suoi testi se vi fossero<br />
pagine su Emily. Non pensai invece che il titolo<br />
Un altro mare potesse derivare letteralmente da<br />
un testo della Dickinson, che pure avevo sotto gli<br />
occhi. E inconsapevolmente saltai l’ostacolo annidato<br />
come un fantasma nei miei an<strong>di</strong>rivieni<br />
<strong>Magris</strong>-Dickinson-<strong>Magris</strong>. Se l’ispirazione ci sia<br />
stata non lo so, e quando ho interpellato <strong>Magris</strong><br />
lui ne aveva negato recisamente l’eventualità.<br />
Peraltro, all’uscita <strong>di</strong> Un altro mare, intervistato<br />
da Giulio Nascimbeni (Corriere della sera, 15 settembre<br />
1991), <strong>Magris</strong> spiegò il significato del<br />
titolo senza alcun riferimento alla Dickinson. <strong>Il</strong><br />
mio nodo mentale <strong>di</strong> trasferì in un lapsus e arbitrariamente<br />
venne fuori L’altro mare, cioè il mare<br />
<strong>di</strong> <strong>Magris</strong>. E mi sembra d’obbligo a questo punto<br />
de<strong>di</strong>care a voi, pubblico, e a <strong>Magris</strong>, dopo aver<br />
derubato spazio a <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> e al suo mare, i versi<br />
<strong>di</strong> Emily che sono all’origine del lapsus: “Come se<br />
il mare separandosi/svelasse un altro mare/questo<br />
un altro, ed i tre/solo il presagio fossero/d’un infinito<br />
<strong>di</strong> mari/non visitati da riva/il mare stesso al<br />
mare fosse riva – questo è l’eternità”. Sarebbe<br />
troppo cercare in questi versi tra “mari”, “presagio”,<br />
“infinito”, “eternità”, la cifra nel tappeto<br />
che <strong>di</strong>stingue la ricerca <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>?<br />
Sarebbe una forzatura indebita allineare quelle<br />
quattro parole al lessico che scorre nel tessuto<br />
verbale dello scrittore triestino? Certamente: le<br />
parole sono <strong>di</strong> tutti, quali più e quali meno o per<br />
nulla fraterne, vanno e vengono, partono e ritornano<br />
in circuiti insondabili, mosse da ragioni<br />
spesso impren<strong>di</strong>bili. Ma quelle parole, in cui<br />
<strong>Magris</strong> riconoscerebbe un suono fraterno oltre le<br />
parole stesse, richiamano uno sguardo sul mondo<br />
– il suo – che <strong>di</strong> libro in libro costruisce un’epica<br />
laicità della finitu<strong>di</strong>ne.<br />
da “<strong>Il</strong> Piccolo” del 13 settembre 2002. <strong>Il</strong> testo è<br />
stato scritto da Enzo Golino per la presentazione<br />
de “<strong>La</strong> <strong>mostra</strong>” <strong>di</strong> <strong>Magris</strong> alla Biblioteca<br />
Comunale Centrale <strong>di</strong> Firenze.<br />
79
<strong>Magris</strong> si rivela<br />
<strong>di</strong> Cesare De Michelis<br />
abbacinante poeta del dolore<br />
80 <strong>La</strong> <strong>mostra</strong>, l’ultimo libro <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>, è <strong>di</strong>f-<br />
ficile da descrivere: è scritto come un testo teatrale,<br />
nel senso che i personaggi parlano ciascuno in<br />
prima persona e all’autore resta lo spazio delle<br />
<strong>di</strong>dascalie, ma il lettore sente <strong>di</strong> trovarsi <strong>di</strong> fronte<br />
a qualcosa <strong>di</strong> più che a una rappresentazione,<br />
perché doppio è il tempo e il luogo in cui subito<br />
precipitiamo.<br />
Per un verso c’è un presente che si interroga su<br />
un’esperienza, forte <strong>di</strong> una sapienza intellettuale<br />
che pretende <strong>di</strong> interpretarla e persino <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>carla,<br />
ma alla fine è costretto a riconoscere il suo<br />
patetico scacco, non senza qualche sottile ironia<br />
sulla funzione liberatrice dell’intelligenza e della<br />
cultura; per l’altro c’è un passato che riconquista<br />
a sprazzi la scena, forte soltanto <strong>di</strong> un’intrinseca<br />
vitalità, <strong>di</strong> un’insopprimibile effervescenza, <strong>di</strong><br />
una lacerante drammaticità.<br />
Persino strutturalmente il testo è compreso tra un<br />
prologo e un epilogo che stentano a contenenrne<br />
la <strong>di</strong>rompente liricità, il <strong>di</strong>sperato lamento esistenziale,<br />
l’instabile resistere sulla soglia tra<br />
nostalgia e smemoratezza, tra razionalità e follia.<br />
Protagonista del libro è il pittore triestino Vito<br />
Timmel, attivo nella prima metà del ‘900, destinato<br />
a perdersi nelle nebbie dell’auto<strong>di</strong>struzione e<br />
a precipitare nel delirio della follia.<br />
Di Timmel <strong>Magris</strong> cominciò a occuparsi una trentina<br />
<strong>di</strong> anni fa, non senza qualche <strong>di</strong>ffidenza<br />
verso il suo inarticolato sproloquiare in un<br />
Magico taccuino, allora amorosamente e<strong>di</strong>to<br />
dall’amica Anita Pittoni, che dell'interminabile<br />
dopoguerra triestino fu operosa protagonista con<br />
le sue E<strong>di</strong>zioni dello Zibaldone e uno straor<strong>di</strong>nario<br />
salotto domenicale, e poi sull’argomento il<br />
nostro tornò più volte con accenti più comprensivamente<br />
complici.<br />
Tuttavia è qui, nella Mostra che la prospettiva<br />
ra<strong>di</strong>calmente si capovolge in un’adesione pressoché<br />
totale, in una sorta <strong>di</strong> stralunata identificazione<br />
dell’autore nel personaggio, libero – il<br />
primo – finalmente <strong>di</strong> svelare la faccia ombrosa,<br />
sulfurea e lunare.<br />
Insomma, <strong>La</strong> Mostra non senza sorpresa, segna<br />
con nettezza una svolta nella scrittura <strong>di</strong> <strong>Magris</strong>,<br />
una svolta che con il senno <strong>di</strong> poi avremmo potuto<br />
intuire in certe sue pagine improvvisamente<br />
turbate, ma che sinora era sempre puntualmente<br />
evitata nel primato <strong>di</strong> una luce solare e <strong>di</strong> una<br />
sapienza magistrale.<br />
Qui la parte del <strong>di</strong>o sole tocca al patetico Direttore,<br />
che non solo pretende <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nare le opere<br />
del pittore nell’itinerario dell’esposizione, ma persino<br />
<strong>di</strong> definirne il senso, prima <strong>di</strong> rassegnarsi ad<br />
ammettere, quando già il sipario è lì per calare,<br />
che «una <strong>mostra</strong>, una vita, spiegarla…non si<br />
può».<br />
Se l’esperienza <strong>di</strong> Timmel non è possibile raccontarla,<br />
non resta altro che lasciare a lui la parola,<br />
che assistere stupefatti al suo sproloquiare, persino<br />
rispettando gli sbalzi <strong>di</strong> tono, gli scarti linguistici,<br />
dal sublime al colloquiale, comprendendo<br />
anche il <strong>di</strong>aletto triestino quando improvvisamente<br />
<strong>di</strong>laga con la sua infantile e materna schietteza.<br />
È una maschera Timmel, che riassume i caratteri<br />
dell’artista novecentesco, al tempo stesso omnipresente<br />
e pauroso, lucido ed ebbro, gran<strong>di</strong>oso e<br />
meschino: un “<strong>di</strong>sgrazià” che o<strong>di</strong>a i bohèmien<br />
come lui, un pazzo lucido e sapiente che si strugge<br />
per la nostalgia ma vuole «desmentegar le
parole de sto porco mondo» per raggiungere<br />
finalmente una quiete para<strong>di</strong>asiaca.<br />
E <strong>Magris</strong>, finalmente ilare e folle, indossa la<br />
maschera carnescialesca del superuomo sconfitto<br />
per svelare la sua vena <strong>di</strong>onisiaca, il suo <strong>di</strong>sperato<br />
agitarsi <strong>di</strong> fronte al dolore, i suoi tormentosi sensi<br />
<strong>di</strong> colpa, il suo desiderio <strong>di</strong> esprimersi anche a<br />
costo <strong>di</strong> non riuscire a spiegare o a spiegarsi.<br />
C’è nella Mostra, liricamente espresso con dolorosa<br />
intensità, il rimpianto <strong>di</strong>sperato della moglie<br />
scomparsa, non solo evocata nei suoi tratti più<br />
luminosi – dolce, tranquilla, libera, coraggiosa,<br />
<strong>di</strong>screta, ferma, inappellabile, sorridente, intrepida,<br />
tenera… ma anche straziata dal maligno che<br />
la assale e dalla sofferenza del coniuge che le<br />
«succhia la vita!», novella Alcesti pronta a sacrificarsi<br />
al suo posto, consolandolo fino all’estremo.<br />
E con Maria/Marisa si impone lo scenario del<br />
mare, come l’unico che riassume felicità e bellezza,<br />
pienezza <strong>di</strong> vita e larghezza d’orizzonte, anche<br />
se «l’ombra intersecante» è piombata giù malefica,<br />
e «da quel giorno la vita è una mela spaccata,<br />
cicatrice che arde... piaga che brucia».<br />
Saggista e narratore, dopo questo libro <strong>Magris</strong> è<br />
soprattutto poeta, abbacinante poeta del dolore.<br />
da “<strong>Il</strong> Giornale <strong>di</strong> Vicenza” e “L’Arena” del 4<br />
luglio 2001<br />
81
L’arte del santo bevitore <strong>di</strong> Lorenzo Mondo<br />
82 Non ho mai visto un quadro <strong>di</strong> Vito Timmel. Di<br />
lui conosco soltanto quello che scrisse Clau<strong>di</strong>o<br />
<strong>Magris</strong> presentando, in Dietro le parole, un suo<br />
taccuino lirico-demenziale e richiamandolo tra i<br />
fantasmi triestini in Microcosmi. L’anima randagia<br />
<strong>di</strong> un pittore <strong>di</strong> strada e <strong>di</strong> osteria, il piccolo, annichilito<br />
superuomo che si sarebbe convertito a una<br />
metafisica inerzia, all’accettazione dello stesso<br />
manicomio in cui finirà i suoi giorni, pago <strong>di</strong> “sentirsi<br />
roteare insieme alla terra nel vuoto”, Nato a<br />
Vienna e naufrago a Trieste, Timmel sembrava<br />
finito per caso sui passi <strong>di</strong> <strong>Magris</strong>, nonostante la<br />
spruzzaglia <strong>di</strong> Mitteleuropa che si portava <strong>di</strong>etro.<br />
E tuttavia, <strong>di</strong> personaggi laterali, umbratili,<br />
<strong>Magris</strong> ha nutrito molti suoi scritti: il generale<br />
cosacco perduto in Carnia (<strong>Il</strong>lazioni su una sciabola),<br />
il servitore vissuto all’ombra <strong>di</strong> Goethe<br />
(Stadelmann), l’amico fuggiasco <strong>di</strong> Michelstaedter<br />
(Un altro mare). Ai qual si aggiunge ora, dopo un<br />
lungo rodìo, il pittore Timmel, protagonista <strong>di</strong> un<br />
testo teatrale, <strong>La</strong> Mostra, che vuole essere insieme<br />
racconto e libretto d’opera.<br />
Lo scenario si apre sul manicomio <strong>di</strong> Trieste, dove<br />
si allestisce una esposizione <strong>di</strong> pittura: mentre al<br />
camposanto viene benedetta la bara dell’autore e<br />
all’osteria viene pronunciato il suo elogio funebre(«Povero,<br />
el iera cussì bon»). È il giorno <strong>di</strong><br />
Capodanno, con sottofondo <strong>di</strong> botti e tappi <strong>di</strong><br />
champagne, che sembrano annunciare (l’ospedale<br />
psichiatrico è intitolato a San Giovanni) una piccola<br />
apocalisse o manifestazione <strong>di</strong> Timmel. Che<br />
osserva come da un inframondo, <strong>di</strong>etro un tramezzo<br />
d’aria, gli amici, il <strong>di</strong>rettore del manicomio,<br />
le comparse penose dei reclusi, la canzonacce degli<br />
avvinazzati, e parla, interloquisce, commenta<br />
inavvertito dagli altri. <strong>La</strong> prima osservazione da<br />
fare sul dramma è proprio la compresenza e<br />
l’incastro dei vari ambienti ed episo<strong>di</strong>, la caleidoscopica<br />
simultaneità degli eventi. Nell’ottica particolare<br />
<strong>di</strong> chi è sottratto ai con<strong>di</strong>zionamenti del<br />
tempo e dello spazio, alla loro futile trama.<br />
Una delle presenze più rilevate è Sofianopulo,<br />
anche lui pittore, e cattivo traduttore <strong>di</strong><br />
Baudelaire, che fino all’ultimo è stato affettuosamente<br />
vicino a Timmel. Riven<strong>di</strong>ca la nobiltà della<br />
sua arte, troppe volte avvilita dalla necessità <strong>di</strong><br />
elemosinare un bicchiere <strong>di</strong> vino. Parla volentieri<br />
per citazioni illustri che dovrebbero illuminare <strong>di</strong><br />
sbieco la figura dell’amico. E Timmel ammette <strong>di</strong><br />
aver aspirato un tempo al fare grande <strong>di</strong><br />
Michelangelo, agli ori secessionisti <strong>di</strong> Klimt, ma ha<br />
finito per rattrappire quietamente la sua arte in<br />
<strong>di</strong>segni minuscoli e infantili, in umiliati “francobolli”.<br />
Si esprime in una lingua sboccata e vituperosa,<br />
la sua affettuosa contestazione <strong>di</strong><br />
Sofianopulo solidarizza semmai con i cori <strong>di</strong>alettali<br />
<strong>di</strong> matti e inservienti, perfino con il ritmico cicaleccio<br />
delle se<strong>di</strong>e battute sul pavimento.<br />
Altro personaggio <strong>di</strong> rilievo è il <strong>di</strong>rettore dell’ospedale.<br />
Campione dell’antipsichiatria, pronuncia<br />
solenni concioni sull’emarginazione paritaria <strong>di</strong><br />
arte e follia ad opera della società borghese.<br />
Timmel dovrebbe essere la <strong>di</strong><strong>mostra</strong>zione esemplare<br />
del suo assunto. Ma lui sembra farsene beffe,<br />
afferma che ab<strong>di</strong>care è «l’unico gesto da re», esalta<br />
i suoi mille giorni <strong>di</strong> manicomio che lo hanno<br />
protetto dallo «scalpore della folla che sta intorno».<br />
Al <strong>di</strong>rettore che ama presentarsi come trafelato<br />
burattinaio dell’ospedale, <strong>mostra</strong> compresa,<br />
contrappone ironicamente la figura <strong>di</strong>stratta <strong>di</strong> un
Dio che, quando ha il raffreddore e starnutisce,<br />
espunge da sé, come bacilli, le sue creature.<br />
Nelle sue frustrazioni, che sembrano ra<strong>di</strong>carsi in<br />
un sentimento <strong>di</strong> generale insensatezza, c’è una<br />
ferita che lo tormenta, il ricordo della moglie<br />
morta. In un periodo <strong>di</strong> sterilità creativa e <strong>di</strong><br />
cupezza esistenziale, lei ha offerto la propria vita<br />
per salvarlo. Si è abbandonata docilmente alla<br />
tubercolosi per dargli linfa e allontanargli la vista<br />
“dell’orrido niente”. Come la mitica Alcesti, è<br />
<strong>di</strong>scesa nel regno delle ombre al posto <strong>di</strong> Admeto.<br />
<strong>Il</strong> libro, che precipita in un gorgo <strong>di</strong> confessione<br />
straziata, è anche e soprattutto la storia <strong>di</strong> un<br />
amore coniugale, e <strong>di</strong> un cocente rimorso (mentre<br />
nel sacrificio espiatorio viene adombrato castamente,<br />
sotto il nome <strong>di</strong> Maria, quello <strong>di</strong> Marisa, la<br />
scrittrice che è stata moglie <strong>di</strong> <strong>Magris</strong>). Timmel<br />
avverte tortuosamente la sua indegnità: <strong>di</strong> avere<br />
accettato un vampiristico patto <strong>di</strong> morte, <strong>di</strong> essersi<br />
consolato con nobili sentimenti, <strong>di</strong> avere trovato<br />
una seconda moglie che sembra ravvivare empiamente<br />
i tratti della scomparsa. Una indegnità che<br />
non risparmia alla fine lo stesso esercizio dell’arte.<br />
Nelle parole del coro “la <strong>di</strong>gnità, la grazia, l’amore<br />
senza paura” <strong>di</strong> Maria umiliano la presunta regalità<br />
dell’artista, spezzano le ali all’albatros, principe<br />
delle nubi. Quando suona per lui la tromba del<br />
Giu<strong>di</strong>zio (che è in realtà il clacson del netturbino)<br />
Timmel si sente accolto, anziché nell’Ade, nella<br />
<strong>di</strong>stesa delle costellazioni, in una miriade <strong>di</strong> punti<br />
luminosi, in cui è possibile avvertire “i petali <strong>di</strong> un<br />
sorriso, una margherita che si sfoglia nella notte”<br />
(la margherita interrogata a sorte dagli innamorati?).<br />
<strong>Il</strong> <strong>di</strong>aletto triestino, utilizzato nei <strong>di</strong>aloghi e spal-<br />
mato decisamente nelle filastrocche e cantilene<br />
(che hanno tra l’altro la funzione <strong>di</strong> un ritmico<br />
collante) aderisce coerentemente a un mondo e a<br />
una cultura, a quello che vuole essere un atteggiamento<br />
<strong>di</strong> arguto stoicismo. Aiuta a smorzare nel<br />
grottesco le pronunce troppo alte, fa da contraltare<br />
a Baudelaire, Valery, Euripide e tutti gli altri<br />
(così, a fronte della donna che dovrebbe sostituire<br />
Maria, si innalza il farnetico della reclusa che<br />
rivuole in<strong>di</strong>etro la sua vecchia bambola). I temi <strong>di</strong><br />
fondo, affidati alla figura contrastata i Timmel, e<br />
segnati da un bruciante graffio autobiografico,<br />
sono quelli che troviamo variamente nell’opera <strong>di</strong><br />
<strong>Magris</strong>: la <strong>di</strong>ssociazione dell’io, la fatalità e l<br />
responsabilità del male, il confronto tra vita e letteratura,<br />
il <strong>di</strong>sincanto sempre incalzato da una<br />
speranza più alta e sfuggente. Con in più, la sensazione<br />
vaga <strong>di</strong> uno spartiacque, <strong>di</strong> un punto <strong>di</strong><br />
non ritorno nella scrittura <strong>di</strong> <strong>Magris</strong>.<br />
da “<strong>La</strong> Stampa” del 24 maggio 2001<br />
83
Sconfitti<br />
dal demone del tempo<br />
84 <strong>La</strong> Mostra costituisce l’esempio più acuto <strong>di</strong> un<br />
bisogno fisico d’intemperanza, che attraversa tutta<br />
l’opera <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>, non importa se saggistica,<br />
romanzesca o teatrale. Intemperanza, ossia<br />
necessità <strong>di</strong> rompere le righe, affinchè le schiere<br />
degli Argomenti e dei Documenti, possano, in libera<br />
uscita, <strong>mostra</strong>re meglio i caratteri in<strong>di</strong>viduali: i<br />
capelli bion<strong>di</strong> <strong>di</strong> Tizio, la camminata <strong>di</strong>noccolata<br />
<strong>di</strong> Caio, e così via. Pittore <strong>di</strong> civiltà, pittore <strong>di</strong> culture,<br />
<strong>Magris</strong> mi è sempre sembrato anche e<br />
soprattutto un pittore d’in<strong>di</strong>vidui, e tutta la sua<br />
saggistica impagabile mi è sempre parsa premere<br />
drammi. Nessuno meglio <strong>di</strong> lui conosce il filo sottile<br />
che separa e unisce insieme fatalità e arbitrarietà,<br />
inevitabilità e capriccio. I suoi ritratti non<br />
sono mai esempi <strong>di</strong> un certo clima culturale, bensì<br />
figure uniche, che sommate ad altre figure uniche<br />
possono dar ragione <strong>di</strong> un orientamento, <strong>di</strong> un<br />
sentimento dominante.<br />
Ne <strong>La</strong> Mostra <strong>Magris</strong> mette in scena, in una successione<br />
rapi<strong>di</strong>ssima <strong>di</strong> sequenze cinematografiche,<br />
l’esistenza <strong>di</strong> Vito Timmel, pittore triestino<br />
morto in manicomio. Dopo la sua morte, il <strong>di</strong>rettore<br />
dell’istituto allestisce una <strong>mostra</strong> con le sue<br />
opere, e mentre i quadri vengono sistemati ne illustra<br />
il senso. Sono presenti anche alcuni amici<br />
dello scomparso: lo scultore Mascherini, due professori<br />
e, soprattutto, Cesare Sofianopulo, traduttore<br />
<strong>di</strong> Baudelaire e pittore a sua volta.<br />
Ma è lo stesso Timmel a comparire, non come una<br />
madama Pace, s’intende, ma come in un film<br />
ritrovato in chissà quale archivio, che unisce spezzoni<br />
(perlopiù un b/n) <strong>di</strong> altri film, ancora più<br />
vecchi, in una giustapposizione volutamente stridente<br />
<strong>di</strong> linguaggi (dal <strong>di</strong>aletto alla lingua lettera-<br />
<strong>di</strong> Luca Doninelli<br />
ria più sofisticata).<br />
Attraverso la <strong>di</strong>scontinuità <strong>di</strong> questi frammenti si<br />
<strong>di</strong>pana la continuità della vita <strong>di</strong> questo pittore <strong>di</strong><br />
gran talento, ma governato da una forza auto<strong>di</strong>struttiva<br />
che lo condurrà, dopo tante traversie (<strong>di</strong><br />
cui la più penosa è la morte della prima moglie,<br />
Maria), all’ubriachezza, alla miseria e alla demenza.<br />
Cinema, dunque. Perché il cinema è il teatro<br />
dell’anima e del tempo, ossia della memoria. È la<br />
rappresentazione del cuore dentro il cuore. E in<br />
questa rappresentazione, lasciando stare ogni<br />
buona creanza, ogni pubblica virtù, <strong>Magris</strong> mette<br />
tutto se stesso (qui sta l’intemperanza massima),<br />
lo scrittore <strong>di</strong> successo non si vergogna <strong>di</strong> scoprirsi<br />
uguale al pittore morto in miseria, abbandonando<br />
alla pagina frasi che non potrebbero essere scritte<br />
se chi le scrive non ne conoscesse per esperienza il<br />
seno: «…me vergognavo vardandome in specio,<br />
un muso de spudarghe in boca, gnanca più me<br />
lavavo e tante volte, de sera, sentivo drento una<br />
paura enorme, nera, spaventosa, schifo e paura».<br />
<strong>Il</strong> testo de <strong>La</strong> Mostra è il più tormentato <strong>di</strong><br />
<strong>Magris</strong>. Se ne avvertono persino le cancellature, le<br />
cicatrici: la traccia <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne più lineare (e più<br />
insincero), la traccia <strong>di</strong> una naturale versificazione,<br />
poi abolita, - nel passo appena citato si riconoscono<br />
quattro ottimi endecasillabi. Ma scrivere è<br />
anche cancellare.<br />
Anche il meccanismo letterario s’inceppa talora, a<br />
<strong>di</strong><strong>mostra</strong>zione della durezza del cammino: come<br />
quando “salta” il correlativo oggettivo tra Timmel<br />
e <strong>Magris</strong> a proposito della morte <strong>di</strong> Maria. Pagine<br />
splen<strong>di</strong>de e commoventi, ma che non traggono la<br />
loro materia dall’interno del testo.<br />
Quante lastre sconnesse, a malcelare morti, come
nella Venezia <strong>di</strong> Proust! Ma qui sta il fascino del<br />
testo e il coraggio del suo autore, attore e regista.<br />
Anche Baudelaire, la Bibbia ed Euripide appartengono<br />
qui, non più alla letteratura, ma al puro<br />
dramma del vivere.<br />
L’Alcesti euripidea assume qui caratteri cristologici,<br />
anche se la colpa – vero motore tematico<br />
dell’opera (perché ci auto<strong>di</strong>struggiamo? Perché<br />
siamo colpevoli) fa pensare più ad Anassimandro<br />
che al Genesi («la colpa era là, prima <strong>di</strong> tutto –<br />
fare è innocente, essere è colpa»), e lascia spazio a<br />
una redenzione solo incompiuta.<br />
Ciò che è compiuto è invece il piccolo capolavoro,<br />
centro <strong>di</strong> tensioni enormi, che ne è uscito. Autore<br />
<strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> pagine impeccabili, <strong>Magris</strong> avverte<br />
sempre più, anno dopo anno, il bisogno <strong>di</strong> sacrificare<br />
ogni impeccabilità affinchè il dono <strong>di</strong> sé sia<br />
totale. E la totalità <strong>di</strong> un uomo è sempre peccabile.<br />
Questo fa <strong>di</strong> lui l’unico vero maestro, forse,<br />
della nostra cultura.<br />
da “<strong>Il</strong> Giornale” del 24 maggio 2001<br />
85
Nel dramma<br />
la complessità della vita<br />
86 Pochi giorni fa, a proposito della riproposta e<strong>di</strong>toriale<br />
del teatro <strong>di</strong> Pasolini, osservavo che negli<br />
ultimi decenni l’unico contributo davvero vitale<br />
alla drammaturgia italiana è venuto dagli outsider,<br />
cioè da poeti e narratori (come Pasolini,<br />
appunto, o come Testori) che hanno affrontato e<br />
praticato il linguaggio teatrale con una sorta <strong>di</strong><br />
geniale improvvisazione “<strong>di</strong>lettantesca”, ignorando<br />
o ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>sprezzando sia i precetti del<br />
buon mestiere tra<strong>di</strong>zionale sia quelli, forse ancora<br />
più aborriti, della cosiddetta modernità.<br />
Dopo aver letto <strong>La</strong> Mostra, seconda e più sostanziosa<br />
prova drammaturgica <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>,<br />
sarei tentato <strong>di</strong> rovesciare o, meglio, <strong>di</strong> rendere<br />
simmetrico il <strong>di</strong>scorso: se la passione teatrale <strong>di</strong><br />
alcuni gran<strong>di</strong> non-professionisti è stata una risorsa<br />
preziosa per un teatro altrimenti anemico o routinier,<br />
il teatro è – può essere – una risorsa preziosa<br />
per i gran<strong>di</strong> professionisti della parola non teatrale<br />
quando il caso o l’ispirazione li metta <strong>di</strong> fronte a<br />
una materia particolarmente densa e incandescente,<br />
una materia non del tutto riducibile, per una<br />
ragione o per l’altra, alla linearità <strong>di</strong> un racconto<br />
più o meno canonico o a una razionalità <strong>di</strong> tipo<br />
saggistico.<br />
<strong>Il</strong> caso del testo <strong>di</strong> <strong>Magris</strong> mi sembra, da questo<br />
punto <strong>di</strong> vista, para<strong>di</strong>gmatico. Con quale altro linguaggio,<br />
in quale altro spazio espressivo l’autore<br />
<strong>di</strong> Danubio e <strong>di</strong> Lontano da dove avrebbe potuto<br />
dare alla vicenda <strong>di</strong> Vito Timmel una collocazione<br />
ambientale e storica così rapso<strong>di</strong>ca e al tempo<br />
stesso così corposa, una risonanza allegorica così<br />
imme<strong>di</strong>ata, una profon<strong>di</strong>tà introspettiva (e persino,<br />
verrebbe voglia <strong>di</strong> insinuare, autobiografica)<br />
così ineluttabile? <strong>Il</strong> fatto è che il teatro è per sua<br />
<strong>di</strong> Giovanni Raboni<br />
natura un efficacissimo evidenziatore e semplificatore<br />
della complessità. Ciò che altri linguaggi<br />
devono costruire – la simultaneità effettiva <strong>di</strong><br />
tempi e luoghi <strong>di</strong>versi, l’intreccio reale (e continuamente<br />
mutevole) <strong>di</strong> fisicità e astrazione – il<br />
teatro lo fornisce, se così si può <strong>di</strong>re, gratis, per il<br />
fatto stesso <strong>di</strong> prodursi, <strong>di</strong> avere luogo; e si <strong>di</strong>rebbe<br />
quasi che a noi fruitori non occorra, per goderne,<br />
la verifica della <strong>di</strong>mensione scenica, basta<br />
averla “in memoria”, riattivarla con la fantasia.<br />
Ma è chiaro che si tratta <strong>di</strong> una gratuità ipotetica,<br />
<strong>di</strong> un “dono” che il me<strong>di</strong>atore (l’autore) deve<br />
sapersi meritare; e mi sembra che <strong>Magris</strong> <strong>di</strong>mostri,<br />
qui, <strong>di</strong> meritarselo appieno. Basti vedere con<br />
quanta precisione, nel susseguirsi e combinarsi<br />
delle scene, sia riuscito ad alternare gravità e leggerezza,<br />
toni tragici e toni svagati o grotteschi;<br />
come tutti i conti che via via vengono aperti finiscono<br />
prima o poi col tornare; come ogni richiamo<br />
o promessa tonale (dalle canzoni da osteria e dalle<br />
filastrocche infantili a Euripide, a Baudelaire)<br />
trovi a suo tempo, nel maturare della rievocazione<br />
e più ancora nell’avverarsi della partitura simbolica,<br />
un suo naturale, fatale adempimento.<br />
dal “Corriere della Sera” del 10 maggio 2001
il Teatro Stabile<br />
del Friuli-Venezia Giulia<br />
dal 1954 al 2003
Teatro Stabile<br />
del Friuli-Venezia Giulia<br />
Le produzioni dal 1954<br />
Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Accademici Intronati <strong>di</strong> Siena Gli Ingannati 1963/64 Fulvio TOLUSSO Adriana Innocenti, Lino Savorani,<br />
Egisto Marcucci, Marisa Fabbri,<br />
Vittorio Franceschi<br />
Vittorio ALFIERI Antigone 1960/61 Giuseppe DI MARTINO Anna Miserocchi, Luciano Alberici,<br />
Ottorino Guerrini, Marisa Fabbri<br />
Antonio ANIANTE <strong>La</strong> rosa <strong>di</strong> zolfo 1958/59 Franco ENRIQUEZ Paola Borboni, Gianmaria Volontè,<br />
Cesco Ferro, Ottorino Guerrini,<br />
Enrica Corti<br />
Jean ANOUILH Leoca<strong>di</strong>a 1954/55 G. Cesare CASTELLO <strong>La</strong>ura Solari, Piero De Santis, Pietro<br />
Privitera<br />
Jean ANOUILH Antigone 1999/00 Furio BORDON Gabriele Ferzetti, Daniela Giovanetti,<br />
Anita Bartolucci, Giampiero<br />
Fortebraccio, Umberto Raho<br />
Alexey ARBUZOV Vecchio mondo 1978/79 Francesco MACEDONIO Lina Volonghi, Ferruccio De Ceresa<br />
Luca ARCHIBUGI <strong>La</strong> notte della vigilia 1995/96 Guglielmo Ferro Federico Grassi, Fulvio D’Angelo,<br />
Nicoletta Corra<strong>di</strong>, Maurizio Rapotec,<br />
Luisa Vermiglio<br />
John ARDEN <strong>La</strong> danza del serg. Musgrave 1966/67 Luciano DAMIANI Egisto Marcucci, Giampiero<br />
Becherelli, Mariangela Melato, Lino<br />
Savorani<br />
ARISTOFANE Le donne a parlamento 1963/64 Fulvio TOLUSSO Marisa Fabbri, Nicoletta Rizzi,<br />
Adriana Innocenti, Vittorio<br />
Franceschi, Lino Savorani Giorgio<br />
Valletta<br />
Jean Pierre AUMONT Incontro 1957/58 Carlo LODOVICI Ottorino Guerrini, Antonio<br />
Pierfederici, Enrica Corti<br />
Alfredo BALDUCCI I da<strong>di</strong> e l’archibugio 1959/60 Sergio VELITTI Leonardo Cortese, Pina Cei, Omero<br />
Antonutti, Carlo Bagno, Lino<br />
Savorani<br />
Alberto BASSETTI Le due sorelle 1996/97 Antonio CALENDA Clau<strong>di</strong>a Poggiani, Daniela<br />
Giovanetti<br />
Alberto BASSETTI Sopra e sotto il ponte 1996/97 Maurizio PANICI Ivana Monti, Bruno Armando<br />
Alberto BASSETTI Ma che c’entra Peter Pan? 1998/99 Antonio CALENDA Gabriele Ferzetti, Daniela Giovanetti,<br />
Riccardo Peroni<br />
Samuel BECKETT Beckett concerto 1987/88 Marco SCIACCALUGA Vittorio Franceschi<br />
Angelo BEOLCO detto Ruzante Parlamento de Ruzante... 1955/56 Gianfranco DE BOSIO Cesco Baseggio, Mario Bardella,<br />
Marisa Mantovani<br />
Angelo BEOLCO detto Ruzante Parlamento, Bilora 1971/72 Francesco MACEDONIO Gianfranco Saletta, Mimmo Lo<br />
Vecchio, Li<strong>di</strong>a Braico, Luciano<br />
D’Antoni, Orazio Bobbio<br />
Carlo BERTOLAZZI Lulù 1956/57 Fernando DE CERESA <strong>La</strong>ura Solari, Ottorino Guerrini,<br />
Cesco Ferro, Giulio Bosetti<br />
Carlo BERTOLAZZI L’egoista 1972/73 Fulvio TOLUSSO Mario Feliciani, Mimmo Lo Vecchio,<br />
AngioIa Baggi, Lino Savorani,<br />
Gianfranco Saletta<br />
Ugo BETTI <strong>Il</strong> paese delle vacanze 1954/55 Carlo LODOVICI <strong>La</strong>ura Solari, Isabella Riva, Giuseppe<br />
Caldani<br />
Ugo BETTI <strong>La</strong> fuggitiva 1955/56 Ottavio SPADARO Pietro Privitera, Marisa Mantovani,<br />
Mario Bardella, Lino Savorani,<br />
Renato Lupi, Micbele Riccar<strong>di</strong>ni<br />
91
92 Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Ugo BETTI Una bella domenica 1957/58 Sergio VELITTI Enrica Corti, Antonio Pierfederici,<br />
<strong>di</strong> settembre Carlo Bagno, Lino Troisi, Maria<br />
Grazia Francia, Marisa Bartoli, Rina<br />
Centa, Dario Mazzoli, Michele<br />
Riccar<strong>di</strong>ni<br />
Francesco Augusto BON <strong>Il</strong> matrimonio <strong>di</strong> Ludro 1955/56 Gianfranco DE BOSIO Cesco Baseggio, Lino Savorani,<br />
Isabella Riva<br />
Furio BORDON Canto e controcanto 1966/67 Giovanni POLI Mariangela Melato, Oreste Rizzini,<br />
Werner Di Donato, Edda Valente<br />
Furio BORDON (a cura <strong>di</strong>) <strong>Il</strong> mio Carso (da S. Slataper) 1968/69 Francesco MACEDONIO Franco Mezzera, Mimmo Lo Vecchio,<br />
Orazio Bobbio, Franco Jesurum, Cip<br />
Barcellini, Marianella <strong>La</strong>zlo,<br />
Giampiero Becherelli, Lino Savorani<br />
Furio BORDON (a cura <strong>di</strong>) <strong>Il</strong> maggio francese 1969/70 Furio BORDON Orazio Bobbio, Mimmo Lo Vecchio,<br />
LinoSavorani, Giorgio Valletta,<br />
Giampiero Becherelli<br />
Furio BORDON Le avventure <strong>di</strong> Fior<strong>di</strong>nando 1970/71 Francesco MACEDONIO Giorgio Valletta, Orazio Bobbio, Lino<br />
Savorani, Mimmo Lo Vecchio, Li<strong>di</strong>a<br />
Braico, Gianfranco Saletta, Saverio<br />
Moriones, Elisabetta lonino<br />
Furio BORDON (a cura <strong>di</strong>) Teatro me<strong>di</strong>oevale 1970/71 Furio BORDON Elisabetta Bonino, Orazio Bobbio,<br />
Lino Savorani, Ariella Reggio, Li<strong>di</strong>a<br />
Braico, Mimmo Lo Vecchio<br />
Furio BORDON Amico Sciacallo 1970/71 Aldo TRIONFO Giulio Bosetti, Mario Scaccia, Leda<br />
Negroni<br />
Furio BORDON (a cura <strong>di</strong>) Per l’anima in tormento 1972/73 Francesco MACEDONIO Li<strong>di</strong>a Braico, Riccardo Canali, Elvia<br />
che ci hai dato Du<strong>di</strong>ne, Franco Jesurum, Mimmo Lo<br />
Vecchio<br />
Furio BORDON (a cura <strong>di</strong>) <strong>La</strong> comme<strong>di</strong>a dell’arte 1973/74 Furio BORDON Nico Pepe, Ada Prato, Franco Però<br />
Furio BORDON (a cura <strong>di</strong>) Lezione documento:<br />
Trieste 1919-1945<br />
Estate 75 Furio BORDON Registrazione su nastro<br />
Furio BORDON (a cura <strong>di</strong>) Lontani da tutto 1975/76 Furio BORDON Mimmo Lo Vecchio, Li<strong>di</strong>a Braico,<br />
Daniele Griggio, Giorgio Valletta<br />
Furto BORDON (testo) <strong>Il</strong> viaggio incantato 1989/90 Francesco MACEDONIO Marionette <strong>di</strong> Podrecca<br />
Angelo BRANDUARDI (musiche originali)<br />
Furio BORDON In confidenza 1990/91 Furio BORDON Nicoletta Corra<strong>di</strong>, Marionette <strong>di</strong><br />
siamo marionette Podrecca<br />
Furio RORDON Oblomov (da GONCAROV) 1991/92 Furio BORDON Glauco Mauri, Tino Schirinzi,<br />
Barbara Valmorin, <strong>La</strong>ura Ferrari,<br />
Silvio Fiore, Giorgio <strong>La</strong>nza, Beatrice<br />
Visibelli, Clau<strong>di</strong>o Marchione,<br />
Nicoletta Corra<strong>di</strong><br />
Furio BORDON (a cura <strong>di</strong>) Amici devo <strong>di</strong>rvi 1992/93 Furio BORDON Roberto Sturno, Gianni De Lellis,<br />
Poesie e prose <strong>di</strong> David Maria Turoldo Stefania Barca<br />
Furio BORDON L’i<strong>di</strong>ota (da DOSTOEVSKIJ) 1993/94 Glauco MAURI Roberto Sturno, Massimo Do Rossi,<br />
Miriam Crotti, Gianni De Lellis,<br />
Elena Ghiaurov, Stefania Micheli,<br />
Amerigo Fontani, Patrizia Burul,<br />
Cesare <strong>La</strong>nzoni, Nicoletta Corra<strong>di</strong>,<br />
Giulia Monte, Matteo Chioatto
Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Giuseppe Antonio BORGESE L’arciduca 1957/58 Franco ENRIQUEZ Ottorino Guerrini, Enrica Corti,<br />
Antonio Pierfederici, Lino Troisi,<br />
Carlo Bagno<br />
Gianni BORGNA Fin de Siècle 1999/00 Antonio CALENDA Piera Degli Esposti<br />
Viaggio nella canzone italiana del Novecento<br />
Bertolt BRECHT Un uomo è un uomo 1962/63 Fulvio TOLUSSO Renzo Montagnani, Marisa Fabbri,<br />
Lino Savorani, Oreste Rizzini,<br />
Vittorio Franceschi<br />
Bertolt BRECHT L’Antigone <strong>di</strong> Sofocle 1963/64 Fulvio TOLUSSO Nicoletta Ruzi, Marisa Fabbri,<br />
Franco Mezzera, Massimo De Vita<br />
Bertolt BRECHT Baal 1985/86 Roberto GUICCIARDINI Giulio Brogi, Giancarlo Dettori,<br />
Anna Teresa Rossini, Margherita<br />
Guzzinati<br />
Alexandre BREFFORT Irma la dolce 1996/97 Antonio CALENDA Daniela Giovanetti, Fabio Camilli,<br />
Paolo Triestino, Gian<br />
Antonio CALENDA (a cura <strong>di</strong>) Rappresentazione 1997/98 Antonio CALENDA Piera Degli Esposti, Giampiero<br />
della Passione Fortebraccio, Maximilian Nisi,<br />
dal Co<strong>di</strong>ce V.E. 361 della Biblioteca Nazionale <strong>di</strong> Roma, curato dalla copista Maria Jacoba Fioria Giancarlo Cortesi<br />
Andrea CALMO <strong>Il</strong> Saluzza 1961/62 Giovanni POLI Gino Cavalieri, Gina Sammarco,<br />
Marisa Fabbri, Gianni Musy, Carlo<br />
Bagno<br />
Achille CAMPANILE Un’in<strong>di</strong>menticabile serata 1996/97 Antonio CALENDA Piera Degli Esposti, Stefano Galante<br />
Albert CAMUS I giusti 1966/67 Giuseppe MAFFIOLI Germana Paolieri, Mariangela<br />
Melato, Egisto Marcucci<br />
Lino CARPINTERI <strong>La</strong> pignatta 1965/66 Ugo AMODEO Oreste Rizzini, Lino Savorani, Caria<br />
e Mariano FARAGUNA (da L’AULULARIA <strong>di</strong> Plauto) Colosimo, Vittorio Francescbi<br />
Lino CARPINTERI Le maldobrie 1970/71 Francesco MACEDONIO Lino Savorani, Orazio Bobbio, Ariella<br />
e Mariano FARAGUNA Reggio, Giorgio Valletta, Mimmo Lo<br />
Vecchio, Gianfranco Saletta, Li<strong>di</strong>a<br />
Braico<br />
Lino CARPINTERI Noi delle vecchie province 1972/73 Francesco MACEDONIO Lino Savorani, Orazio Bobbio, Ariella<br />
e Mariano FARAGUNA Reggio, Giorgio Valletta, Mimmo Lo<br />
Vecchio, Gianfranco Saletta, Li<strong>di</strong>a<br />
Braico<br />
Lino CARPINTERI L’Austria era 1974/75 Francesco MACEDONIO Lino Savorani, Giorgio Valletta, Li<strong>di</strong>a<br />
e Mariano FARAGUNA un paese or<strong>di</strong>nato Braico, Riccardo Canali, Franco<br />
Jesurum, Luciano D’Antoni,<br />
Gianfranco Saletta, Ariella Reggio,<br />
Orazio Bobbio<br />
Roberto CAVOSI <strong>Il</strong> maresciallo Butterfly 1995/96 Antonio CALENDA Virginio Gazzolo, Andreja Blagojevic,<br />
Sergio Pierattini, Lucka Pockaj,<br />
Silvano Torrieri<br />
Anton CECOV <strong>Il</strong> tabacco fa male, 1954/55 Luchino VISCONTI Memo Benassi<br />
<strong>La</strong> villeggiatura, <strong>Il</strong> canto del cigno<br />
Anton CECOV Ivanov 1968/69 Orazio COSTA Giulio Bosetti, Ottavia Piccolo, Mario<br />
Pisu, Massimo De Francovich, Lino<br />
Savorani, Paola Bacci<br />
Anton CECOV Zio Vania 1970/71 Giulio BOSETTI Ferruccio De Ceresa, Paola Bacci,<br />
Mario Erpichini, Giulia <strong>La</strong>zzarini<br />
93
94 Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Dante CICOGNANI <strong>Il</strong> gatto con gli stivali 1956/57 Spiro DALLA PORTA Allievi Scuola <strong>di</strong> Recitazione e Maria<br />
Grazia Spinazzi<br />
Tonino CONTE e Aldo TRIONFO (Ve<strong>di</strong> Aldo TRIONFO)<br />
Roberto DAMIANI <strong>La</strong> vita xe fiama<br />
(da Biagio Marin)<br />
1991/92 Furio BORDON Gastone Moschin<br />
Ezio D’ERRICO L’amante in città 1954/55 Carlo LODOVICI Mimmo Lo Vecchio, Giorgio Valletta,<br />
Gianni Mantesi, <strong>La</strong>ura Solari<br />
René DE CECCATY Pallido oggetto del desiderio 2001/02 Alfredo ARIAS Pino Micol, Daniela Giovanetti,<br />
Francesca Benedetti<br />
Ghigo DE CHIARA Un capriccio 1996/97 Nino MANGANO Valeria Ciangottini, Andreja<br />
Blagojevic<br />
Salvatore DI GIACOMO Assunta Spina 1958/59 Sandro BOLCHI Lorica Corti, Gianmaria Volonté,<br />
Ottorino Guerrini, Margherita<br />
Guzzinati, Lino Savorani<br />
Feodor DOSTOEVSKIJ Delitto e castigo 1955/56 Fernando DE CRUCCIATI Lino Savorani, Giorgio Valletta, Li<strong>di</strong>a<br />
Riduzione teatrale <strong>di</strong> Gaston Baty Braico, Marisa Mantovani<br />
Mario DRSIC-DARSA I nobili ragusei 1969/70 Coita SPAIC Gianrico Tedeschi, Franco Mezziera,<br />
Giampiero Becherelli, Lino Savorani,<br />
Gianni Musy, Nicoletta Rizzi,<br />
Friedricb DÜRRENMATT Romolo il Grande 1983/84 Giovanni PAMPIGLIONE Mario Scaccia, Jerzi Stuhr, CarIa<br />
Cassola, Li<strong>di</strong>a Koslovich<br />
Massimo DURSI <strong>La</strong> giostra 1958/59 Massimo DURSI Carlo Bagno, Ottorino Guerrini,<br />
Umberto Raho, Enrica Corti,<br />
Gianmaria Volontè<br />
Tbomas S. ELIOT Assassinio nella cattedrale 1956/97 Franco ENRIQUEZ Ottorino Guerrini, Giulio Bosetti,<br />
Lino Savorani, Cesco Ferro, Lino<br />
Troisi, Marisa Mantovani<br />
ESCHILO Prometeo incatenato Estate 65 Aldo TRIONFO Franco Mezzera, Egisto Marcucci.<br />
Angela Car<strong>di</strong>le, Nicoletta Rizzi,<br />
Enrico D’Amato<br />
ESCHILO Agamennone 2000/01 Antonio CALENDA Mariano Rigillo, Piera Degli Esposti,<br />
Roberto Herlitzka, Daniela<br />
Giovanetti, Osvaldo Ruggieri,<br />
Giampiero Fortebraccio, Pino<br />
Michienzi, Giancarlo Cortesi,<br />
Alessandro Preziosi<br />
ESCHILO Coefore 2000/01 Antonio CALENDA Piera Degli Esposti, Alessandro<br />
Preziosi, Daniela Giovanetti, Osvaldo<br />
Ruggieri, Giampiero Fortebraccio,<br />
Pino Michienzi, Giancarlo Cortesi<br />
Diego FABBRI Inquisizione 1997/98 Sergio VELITTI Ottorino Guerrini, Antonio<br />
Pierfederici, Enrica Corti, Lino Troisi<br />
Diego FABBRI Processo a Gesù 1962/63 Fulvio TOLUSSO Fosco Giachetti, Marisa Fabbri,<br />
Mario Pisu, Lino Savorani, Oreste<br />
Rizzini<br />
Mariana FARAGUNA e Lino CARPINTERI (Ve<strong>di</strong> Lino CARPINTERI)<br />
Silvio FIORE <strong>La</strong> coscienza <strong>di</strong> Ulisse 1996/97 Silvio FIORE Giulio Pizzirani, Fernando Pannullo<br />
Vittorio FRANCESCHI Pinocchio minore 1963/64 Massimo de VITA Vittorio Franceschi, Sonia Gessner,<br />
Lino Savorani, Carlo Montagna,<br />
Adriana Innocenti
Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Vittorio FRANCESCHI Gorizia 1916 1966/67 Francesco MACEDONIO Mimmo Lo Vecchio, Oreste Rizzini,<br />
Lino Savorani, Vittorio Franceschi,<br />
Nicoletta Rizzi, Alessandro Galante<br />
Garrone<br />
Vittorio FRANCESCHI Scacco pazzo 1990/91 Nanny LOY Alessandro Haber, Vittorio<br />
Franceschi, Monica Scattini<br />
Vittorio FRANCESCHI Jack lo sventratore 1992/93 Nanni GARELLA Alessandro Haber, Gianna Piaz,<br />
Mariella Valentini, Nicola Pistoia,<br />
Vittorio Franceschi<br />
Carlo Emilio GADDA <strong>Il</strong> guerriero, l’amazzone, 1996/97 Virginio GAZZOLO Virginio Gazzolo, Angela Car<strong>di</strong>le<br />
lo spirito della poesia nel verso<br />
immortale del Foscolo<br />
Dodo GAGLIARDE Ma cos’è questa crisi? 1996/97 Enrico PROTTI Dodo Gagliarde, Sara Alzetta, Livia<br />
Enrico PROTTI Bonifazi, Paolo Fagiolo, Maurizio<br />
Zacchigna<br />
Vittorio GASSMAN Anima e corpo 1996/97 Vittorio GASSMAN Vittorio Gassman, Luciano Lucignani,<br />
talk show d’ad<strong>di</strong>o Attilio Cucari, Marco Alotto,<br />
Emanuele Salce, Antonetta<br />
Capriglione<br />
Vittorio GASSMAN Bugie Sincere 1997/98 Vittorio GASSMAN Ugo Pagliai, Paola Gassman, Virgilio<br />
Zernitz, Michela Cadel, Alessandra<br />
Celi, <strong>La</strong>mberto Consani, Paolo<br />
Fagiolo, Gianluigi Fogacci, Paolo<br />
Giovannucci, Tiziano Pelanda, Enzo<br />
Saturni<br />
Giuseppe GIACOSA Tristi amori 1961/62 Sandro BOLCHI Ottorino Guerrini, Marisa Fabbri,<br />
Omero Antonutti, Carlo Bagno<br />
Silvio GIOVANINETTI Gli ipocriti 1956/57 Carlo LODOVICI Giulio Bosetti, Ottorino Guerrini,<br />
<strong>La</strong>ura Solari, Marisa Mantovani<br />
Nikolaj GOGOL L’ispettore generale 1959/60 Giacomo COLLI Leonardo Cortese, Carlo Bagno,<br />
Cesco Ferro, Pina Cei, Anna<br />
Menichetti, Omero Antonutti<br />
Carlo GOLDONI <strong>La</strong> donna <strong>di</strong> garbo 1954/55 Carlo LODOVICI <strong>La</strong>ura Solari, Luigi Almirante<br />
Carlo GOLDONI <strong>La</strong> donna <strong>di</strong> garbo 1978/79 Francesco MACEDONIO Lucilla Morlacchi, Gianni Galavotti,<br />
Carlo Montagna, Franco Mezzera<br />
Carlo GOLDONI <strong>La</strong> bottega del caffe 1956/57 Carlo LODOVICI Memo Benassi, Ottorino Guerrini,<br />
Giulio Bosetti<br />
Carlo GOLDONI <strong>La</strong> vedova scaltra 1960/61 Giovanni POLI Anna Miserocchi, Margherita<br />
Guzzinati, Giorgio Valletta, Carlo<br />
Bagno, Omero Antonutti<br />
Carlo GOLDONI Arlecchino 1961/62 Fulvio TOLUSSO Lino Savorani, Margherita<br />
servitore <strong>di</strong> due padroni Guzzinati, Omero Antonutti, Marisa<br />
Fabbri<br />
Carlo GOLDONI Arleccbino 1972/73 Fulvio TOLUSSO Lino Savorani, Giorgio Valletta,<br />
servitore <strong>di</strong> due padroni Mimmo Lo Vecchio, Gianfranco<br />
Saletta, Ariella Reggio<br />
Carlo GOLDONI <strong>Il</strong> teatro comico 1964/65 Eriprando VISCONTI Franco Mezzera, Marisa Fabbri,<br />
Nicoletta Rizzi, Egisto Marcucci,<br />
Adriana Innocenti, Vittorio<br />
Franceschi, Lino Savorani<br />
95
96 Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Carlo GOLDONI Tonin Bella grazia 1966/67 Giuseppe MAFFIOLI Lino Toffolo, Mariangela Melato,<br />
Fulvia Gasser, Lino Savorani<br />
Carlo GOLDONI <strong>Il</strong> bugiardo 1967/68 Gianfranco DE BOSIO Paola Bacci, Elisabetta Bonino, Leda<br />
Palma, Gabriele <strong>La</strong>via, Giulio<br />
Bosetti, Clau<strong>di</strong>o Cassinelli<br />
Carlo GOLDONI Le massere 1970/71 Giovanni POLI Giusy Carrara, Li<strong>di</strong>a Braico,<br />
Donatella Ceccarello, Anna Maestri,<br />
Lino Savorani, Ariella Reggio<br />
Carlo GOLDONI Sior Todero Brontolon 1975/76 Francesco MACEDONIO Corrado Gaipa, Elsa Vazzoler,<br />
Umberto D’Orsi, Marina Dolfin<br />
Carlo GOLDONI <strong>La</strong> famiglia dell’antiquario 1976/77 Furio BORDON Regina Bianchi, Michele Abruzzo,<br />
Gianni Galavotti, Anna Bonaiuto,<br />
Geppy Glejeses<br />
Carlo GOLDONI Le donne gelose 1977/78 Francesco MACEDONIO Maria Dolfin, Paolo Bonacelli,<br />
Donatella Ceccarello<br />
Carlo GOLDONI <strong>Il</strong> mondo della Luna 1982/83 Francesco MACEDONIO Marionette <strong>di</strong> Podrecca<br />
Carlo GOLDONI I Rusteghi 1985/86 Francesco MACEDONIO Giulio Brogi, Valeria Ciangottini,<br />
Anna Teresa Rossini, Margherita<br />
Guzzinati, Giampiero Becherelli,<br />
Alvise Battain, Riccardo Peroni,<br />
Barbara Cupisti<br />
Carlo GOLDONI L’Arca<strong>di</strong>a in Brenta 1985/86 Francesco MACEDONIO Marionette <strong>di</strong> Podrecca<br />
Carlo GOLDONI L’adulatore 1986/87 Giorgio PRESSBURGER Giulio Brogi, Anna Teresa Rossini,<br />
Anna Campori, Franco Angrisano,<br />
Riccardo Peroni<br />
Carlo GOZZI L ‘augellin belverde 1962/63 Giovanni POLI Renzo Montagnani, Marisa Fabbri,<br />
Oreste Rizzini, Lino Savorani<br />
Carlo COZZI Re Cervo 1965/66 Spiro DALLA PORTA Allievi Scuola <strong>di</strong> Recitazione<br />
Carlo GOZZI L’amore delle tre melarance 1984/85 Francesco MACEDONIO Marionette <strong>di</strong> Podrecca<br />
Franz GRILLPARZER Medea 1994/95 Nanni GARELLA Ottavia Piccolo, Gianni De Lellis,<br />
Dorotea Aslani<strong>di</strong>s, Graziano Piazza,<br />
Sara D’Amario, Riccardo<br />
Maranzana, Valeria D’Onofrio<br />
Clau<strong>di</strong>o GRISANCICH Alida Valli che nel<br />
Quaranta iera putela<br />
1996/97 Mario LICALSI Orazio Bobbio, Ariella Reggio<br />
Slavko GRUM Avvenimento 1971/72 Francesco MACEDONIO Franca Nuti, Gina Sammarco,<br />
nella città <strong>di</strong> Goga Gabriele <strong>La</strong>via, Franco Mezzera<br />
Dante GUARDAMAGNA Delitto e castigo 1972/73 Sandro BOLCHI Ugo Pagliai, Angiola Baggi, Lino<br />
(da DOSTOEVSKIJ) Savorani, Orazio Bobbio, Giorgio<br />
Valletta, Saverio Moriones<br />
Dante GUARDAMAGNA <strong>La</strong> breccia 1963/64 Ruggero JACOBBI Oreste Rizzini, Nicoletta Rizzi, Lino<br />
e Maria Silvia CODECASA Savorani, Franco Mezzera, Massimo<br />
De Vita, Vittorio Franceschi, Marisa<br />
Fabbri<br />
Peter HANDKE Attraverso i villaggi 1984/85 Roberto GUICCIARDINI Marisa Fabbri, Giancarlo Dettori,<br />
Giulio Brogi, Regina Bianchi, Anna<br />
Teresa Rossini
Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Peter HANDKE L’ora in cui non sapevamo 1994/95 Giorgio PRESSBURGER Livio Bogatec, Patrizia Burul, Stojan<br />
niente l’uno dell’altro Colja, Andreina Garella, Alojz Milic,<br />
Lucka Pockaj, Riccardo Maranzana,<br />
Monica Samassa, Maurizio Soldà, e<br />
con Mariano Rigillo (voce recitante)<br />
Vaclav HAVEL L’opera dello straccione 1975/76 Fulvio TOLUSSO Corrado Gaipa, Marina Dolfin,<br />
Umberto D’Orsi<br />
Hugo von HOFFMANSTHAL <strong>La</strong> leggenda <strong>di</strong> Ognuno 1957/58 Franco ENRIQUEZ Ottorino Guerrini, Umberto Raho,<br />
Carlo Bagno, Mario Verdani, Lino<br />
Troisi, Marisa Bartoli, Li<strong>di</strong>a<br />
<strong>La</strong>gonegro, Lino Savorani, Mario<br />
Adorf<br />
Arthur HONEGGER<br />
e Paul CLAUDEL<br />
Giovanna d’Arco al rogo 1995-96 Antonio CALENDA Daniela Giovanetti, Virginio Gazzolo<br />
Odön von HORVATH Storie del bosco viennese 1977-78 Franco ENRIQUEZ Valeria Moriconi, Corrado Pani, Pina<br />
Cei, Micaela Esdra, Nestor Garay<br />
Odön von HORVATH Fräulein Pollinger 1984-85 Giorgio PRESSBURGER Daniela Mazzucato, Sandro<br />
Massimini, Franco Nebbia<br />
Bohumil HRABAL Una solitu<strong>di</strong>ne 1992-93 Giorgio PRESSBURGER Paolo Bonacelli, Patrizia Burul,<br />
troppo rumorosa Paolo Meloni, Franco Noè, Tiziano<br />
Pelan<strong>di</strong><br />
Albert HUSSON <strong>La</strong> cucina degli angeli 1954-55 Alessandro BRISSONI <strong>La</strong>ura Solari, Gianni Mantesi, Pietro<br />
Privitera<br />
Henrik IBSEN <strong>Il</strong> piccolo Eyolf 1967/68 Aldo TRIONFO Giulio Bosetti, Franca Nuti, Paola<br />
Bacci, Massimo Gridolfi<br />
Henrik IBSEN Casa <strong>di</strong> bambola 1973/74 Francesco MACEDONIO Ludovica Modugno, Carlo Montagna,<br />
Mario Maranzana, Delia Bertolucci,<br />
Franco Mezzera<br />
Eugene JONESCO Sicario senza paga 1968/69 Josè QUAGLIO Giulio Bosetti, Marina Bonfigli,<br />
Alvise Battain, Josè Quaglio<br />
Georg KAISER Davide e Golia 1957/58 Sandro BOLCHI Ottorino Guerrini, Enrica Corti,<br />
Carlo Bagno<br />
Georg KAISER <strong>Il</strong> funzionario Krehler 1979/80 Paolo MAGELLI Cecilia Polizzi, Flavio Bucci, Gianni<br />
Galavotti, Micaela Pignatelli<br />
Tullio KEZICH <strong>La</strong> coscienza <strong>di</strong> Zeno 1978/79 Franco GIRALDI Renzo Montagnani, Marina Dolfin,<br />
(da I. SVEVO) Gianni Galavotti<br />
Tullio KEZICH Bouvard e Peuchet 1982/83 Giovanni PAMPIGLIONE Mario Maranzana, Vittorio<br />
e Luigi SQUARZINA (da G. FLAUBERT) Franceschi<br />
Heinrich von KLEIST <strong>La</strong> brocca rotta 1977/78 Giorgio PRESSBURGER Paolo Bonacelli, Marina Dolfin, Lino<br />
Savorani, Franco Jesurum,<br />
Francesca Muzio<br />
Pavel KOHOUT Roulette 1976/77 Roberto GUICCIARDINI Regina Bianchi, Paolo Graziosi,<br />
Lorenza Guerrieri, Daniele Griggio<br />
Franz Xavier KROETZ Renzo e Anna 1974/75 Furio BORDON Orazio Bobbio, Ariella Reggio<br />
Eugene LABICHE <strong>La</strong> Cagnotte 1959/60 Giacomo COLLI Leonardo Cortese, Omero Antonutti,<br />
Lino Savorani, Pina Cei<br />
Stefano LAURI Hänsel e Gretel 1967/68 Ugo AMODEO Edoardo Zammarchi, Maria Pia<br />
(dai F.lli Grimm) Bellizzi, Mimmo Lo Vecchio, Mariella<br />
Terragni<br />
97
98 Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Vla<strong>di</strong>miro LISIANI Un buso in mia contrada 1969/70 Francesco MACEDONIO Li<strong>di</strong>a Braico, Ariella Reggio, Cip<br />
Barcellini, Franco Rossi, Giorgio<br />
Valletta, Giusy Carrara, Fulvia<br />
Gasser, Gianfranco Saletta<br />
Giuseppe MAFFIOLI del povaro soldato 1965/66 Giuseppe MAFFIOLI Vittorio Franceschi, Oreste Rizzini,<br />
(da RUZANTE) Nicoletta Rizzi<br />
Clau<strong>di</strong>o MAGRIS Stadelmann 1990/91 Egisto MARCUCCI Tino Schirinzi, Barbara Valmorin,<br />
Gianni De Lellis<br />
Clau<strong>di</strong>o MAGRIS <strong>La</strong> <strong>mostra</strong> 2002/03 Antonio CALENDA Roberto Herlitzka, Mario Maranzana<br />
Curzio MALAPARTE Das Kapital 1981/82 Franco GIRALDI Mario Maranzana, Vittorio<br />
Franceschi, Margherita Guzzinati<br />
Libero MAZZI Trieste con tanto amore 1968/69 Giulio BOSETTI Cesco Baseggio, Giulio Bosetti,<br />
Franca Nuti, Luigi Vannucchi<br />
Libero MAZZI Omaggio ai poeti triestini:<br />
Camber Barni<br />
1971/72 Franca Nuti, Franco Mezzera<br />
Arthur MILLER <strong>Il</strong> crogiuolo 1974/75 Sandro BOLCHI Marina Dolfin, Giorgio Valletta, Lino<br />
Troisi, Ludovica Modugno, Franco<br />
Mezzera<br />
Sergio MINIUSSI L’anno della peste 1959/60 Ugo AMODEO Dario Mazzoli, Mario Licalsi, Giorgio<br />
Valletta, Dario Penne, Franco<br />
Jesurum<br />
Sergio MINIUSSI Dialoghi con Leucò 1963/64 Aldo TRIONFO Marisa Fabbri, Egisto Marcucci,<br />
e Aldo TRIONFO (da PAVESE) Nicoletta Rizzi, Franco Mezzera,<br />
Oreste Rizzini<br />
MOLIERE Don Giovanni 1971/72 Giulio BOSETTI Giulio Bosetti, Lino Savorani, Paola<br />
Bacci, Giampiero Becherelli, Cesare<br />
Gelli<br />
Ferenc MOLNAR <strong>La</strong> leggenda <strong>di</strong> Liliom 1959/60 Leonardo CORTESE Leonardo Cortese, Anna Menichetti,<br />
Li<strong>di</strong>a <strong>La</strong>gonegro, Omero Antonutti,<br />
Pina Cei, Lino Savorani<br />
Robert MUSIL Vinzenz e l’amica 1963/64 Aldo TRIONFO Marisa Fabbri, Vittorio Franceschi,<br />
degli uomini importanti Franco Mezzera<br />
Alfred de MUSSET I capricci <strong>di</strong> Marianna 1956/57 Gianfranco DE BOSIO <strong>La</strong>ura Solari, Giulio Bosetti, Cesco<br />
Ferro, Ottorino Guerrini<br />
Aldo NICOLAI Gli asini magri 1960/61 Sandro BOLCHI Luciano Alberici, Marisa Fabbri,<br />
Anna Miserocchi, Margherita<br />
Guzzinati, Omero Antonutti, Rino<br />
Romano, Carlo Bagno<br />
Clifford ODETS <strong>La</strong> ragazza <strong>di</strong> campagna 1958/59 Franco ENRIQUEZ Gianmaria Volontè, Ottorino<br />
Guerrini, Enrica Corti<br />
John OSBORNE Motivo <strong>di</strong> scandalo 1965/66 Raffaele MAIELLO Egisto Marcucci, Nicoletta Rizzi, Lino<br />
e riflessione Savorani, Vittorio Franceschi<br />
John OSBORNE Un patriota per me 1996/97 Giancarlo COBELLI Massimo Belli<br />
Alcide PAOLINI Lezione <strong>di</strong> tiro 1973/74 Furio BORDON Giampiero Becherelli, Antonella<br />
Marchi, Stefano Lescovelli<br />
Pier Paolo PASOLINI Calderon 1979/80 Giorgio PRESSBURGER Paolo Bonacelli, Marina Dolfin,<br />
Gianni Galavotti, Francesca Muzio<br />
Pier Paolo PASOLINI I Turcs tal Friùl 1994/95 Elio DE CAPITANI Lucilla Morlacchi, Fabiano Fantini,<br />
Renato Rinal<strong>di</strong>, Giovanni Visentin
Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
John PATRICK Attimo fermati, sei bello! 1954/55 Gianfranco DE BOSIO <strong>La</strong>ura Solari, Pietro Privitera, Grazia<br />
Migneco, Gianni Mantesi<br />
Franco PERO’ Winckelmann: “Finalmente<br />
verrà la quiete”<br />
1996/97 Franco PERO’ Giulio Brogi, Massimo De Rossi<br />
Aldo PERRINI Non si dorme a Kirkwall 1955/56 Gianfranco DE BOSIO Pietro Privitera, Isabella Riva,<br />
Marisa Mantovani, Mario Bardella,<br />
Lino Savorani<br />
Harold PINTER Tra<strong>di</strong>menti 1988/89 Furio BORDON Paola Bacci, Giampiero Bianchi,<br />
Paolo Bonacelli<br />
Luigi PIRANDELLO Lumie <strong>di</strong> Sicilia 1955/56 Ottavio SPADARO Pietro Privitera, Marisa Mantovani,<br />
Isabella Riva<br />
Luigi PIRANDELLO Ma non è una cosa seria 1956/57 Carlo LODOVICI Ottorino Guerrini, Giulio Bosetti,<br />
Marisa Mantovani, Cesco Ferro, Lino<br />
Savorani<br />
Luigi PIRANDELLO Questa sera 1958/59 Franco ENRIQUEZ Paola Borboni, Gianmaria Volontè,<br />
si recita a soggetto Margherita Guzzinati<br />
Luigi PIRANDELLO Questa sera 1986/87 Giuseppe Mariano Rigillo, Paola Bacci,<br />
si recita a soggetto PATRONI GRIFFI Leopoldo Mastelloni, nella ripresa<br />
Vittorio Caprioli, Giovanni Crippa,<br />
<strong>La</strong>ura Marinoni<br />
Luigi PIRANDELLO L’imbecille-<strong>La</strong> patente 1959/60 Fulvio TOLUSSO Carlo Bagno, Dario Mazzoli, Lino<br />
<strong>La</strong> giara Savorani, Mimmo Lo Vecchio,<br />
Giorgio Valletta<br />
Luigi PIRANDELLO Sei personaggi 1960/61 Giuseppe DI MARTINO Marisa Fabbri, Anna Miserocchi,<br />
in cerca d’autore Margherita Guzzinati, Lino<br />
Savorani, Carlo Bagno<br />
Luigi PIRANDELLO Sei personaggi 1987/88 Giuseppe Vittoriti Caprioli, Mariano Rigillo,<br />
in cerca d’autore PATRONI GRIFFI <strong>Il</strong>aria Occhini, Giovanni Crippa,<br />
<strong>La</strong>ura Marinoni, Caterina Boratto<br />
Luigi PIRANDELLO Così è se vi pare 1961/62 Sandro BOLCHI Gianni Musy, Gina Sammarco, Mario<br />
Pisu, Margherita Guzzinati, Marisa<br />
Fabbri, Omero Antonutti<br />
Luigi PIRANDELLO Enrico IV 1966/67 Giuseppe MAFFIOLI Renzo Ricci, Eva Magni, Mariangela<br />
Melato<br />
Luigi PIRANDELLO Non si sa come 1969/70 Josè QUAGLIO Giulio Bosetti, Anna Maria Gherar<strong>di</strong>,<br />
Giampiero Becherelli<br />
Luigi PIRANDELLO Ciascuno a modo suo 1988/89 Giuseppe Mariano Rigillo, <strong>Il</strong>aria Occhini,<br />
PATRONI GRIFFI Giovanni Crippa, <strong>La</strong>ura<br />
Marinoni,Vittorio Caprioli<br />
Stefano PIRANDELLO <strong>La</strong> scuola dei padri 1954/55 Ottavio SPADARO Pietro Privitera, Carla Bizzarri,<br />
Gianni Mantesi<br />
PLAUTO Anfitrione 1955/56 Ottavio SPADARO Mario Mariani, Marisa Mantovani,<br />
Mario Bardella<br />
Giovanni POLI <strong>La</strong> comme<strong>di</strong>a degli Zanni 1967/68 Giovanni POLI Franco Jesurum, Mimmo Lo Vecchio,<br />
Orazio Bobbio, Giorgio Valletta,<br />
Gabriele <strong>La</strong>via, Li<strong>di</strong>a Braico, Mario<br />
Valgoi, Salvo Anselmo, Leda Palma<br />
Giovanni POLI L’alfabeto dei villani 1971/72 Giovanni POLI Aldo Bonato, Daniela Foà, Michela e<br />
Sandra Martni, Mario Zanotto<br />
99
100 Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Marco PRAGA Le vergini 1955/56 Ottavio SPADARO Mario Mariani, Mario Bardella,<br />
Marisa Mantovani, Lino Savorani<br />
Giorgio PRESSBURGER Karl Valentin Kabarett 1980/81 Giorgio PRESSBURGER Vittorio Caprioli, Gianni Galavotti,<br />
Paolo Rossi, Jole Si/vani<br />
Giorgio PRESSBURGER Eroe <strong>di</strong> scena 1985/86 Giorgio PRESSBURGER Carlo Simoni, Lea Padovani, Aldo<br />
fantasma d’amore (Moissi) Reggiani, Clau<strong>di</strong>o Gora, Li<strong>di</strong>a<br />
Kozlovich, Gian Paolo Pod<strong>di</strong>ghe<br />
Stanislawa PRZYBYZEWSKA<br />
e Andrzej WAJDA<br />
L’affare Danton 1982-83 Maciej KARPlNSKY Mario Maranzana, Vittorio Franceschi<br />
RECITAL <strong>di</strong> Paola Borboni 1958/59<br />
RECITAL <strong>di</strong> Diana Torrieri 1959/69<br />
RECITAL <strong>di</strong> Paola Borboni Fantasia in nero 1959/69<br />
RECITAL <strong>di</strong> Paola Borboni 1960/61<br />
RECITAL <strong>di</strong> Marisa Fabbri 1963/64<br />
Antonio RICCARDINI L’ultimo de carneval 1971/72 Francesco MACEDONIO Mimmo Lo Vecchio, Orazio Bobbio,<br />
Ariella Reggio, Giorgio Valletta<br />
Franco Jesurum, Luciano Virgilio,<br />
Marino Masè<br />
Renzo ROSSO <strong>Il</strong> pianeta indecente 1983/84 Roberto GUICCIARDINI Giulio Brogi, Leda Negroni, Anna<br />
Teresa Rossini<br />
William SAROYAN I giorni della vita 1956/57 Franco ENRIQUEZ Ottorino Guerrini, Marisa<br />
Mantovani, Cesco Ferro, Camillo<br />
Milli, Giulio Bosetti, Vittorio Congia,<br />
Lino Troisi<br />
Jean-Paul SARTRE Nekrassov 1969/70 Ernesto GUIDA Giulio Bosetti, Mario Pisu,<br />
Marianella <strong>La</strong>szlo, Lino Savorani,<br />
Gianni Musy<br />
Friedrich SCHILLER Intrigo e amore 1993/94 Nanni GARELIA Ottavia Piccolo, Dorotea Aslani<strong>di</strong>s,<br />
Gianni De Lellis, Graziano Piazza,<br />
Virginio Gazzolo<br />
Eric-Emmanuel SCHMITT <strong>Il</strong> visitatore 1995/96 Antonio CALENDA Turi Ferro, Kim Rossi Stuart, Sabina<br />
(traduzione: Enzo SICILIANO) Vannucchi, Sergio Tar<strong>di</strong>oli<br />
Arthur SCHNITZLER Anatol 1975/76 Roberto GUICCIARDINI Gabriele <strong>La</strong>via, Manuela<br />
Kustermann, Virgilio Zernitz<br />
Arthur SCHNITZLER Anatol 1992/93 Nanni GARELLA Roberto Sturno, Gianni De Lellis,<br />
Sara Alzetta, Monica Bucciantini,<br />
Nicoletta Corra<strong>di</strong>, Alvia Reale,<br />
Stefania Barca<br />
Arthur SCHNITZLER Casanova a Spa 1987/88 Luca de FUSCO Mariano Rigillo, Vittorio Franceschi,<br />
Anna Teresa Rossini, Giampiero<br />
Becherelli<br />
William SHAKESPEARE Molto rumore per nulla 1957/58 Franco ENRIQUEZ Enrica Corti, Antonio Pierfederici<br />
Lino Troisi, Ottorino Guerrini, Carlo<br />
Bagno<br />
William SHAKESPEARE <strong>La</strong> bisbetica domata 1958/59 Franco ENRIQUEZ Enrica Corti, Ottorino Guerrini,<br />
Carlo Bagno, Gianmaria Volontè,<br />
Lino Savorani, Cesco Ferro,<br />
Margherita Guzzinati
Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
101<br />
William SHAKESPEARE <strong>La</strong> do<strong>di</strong>cesima notte 1960/61 Giovanni POLI Carlo Bagno, Ottorino Guerrini,<br />
Marisa Fabbri, Anna Miserocchi,<br />
Margherita Guzzinati, Omero<br />
Antonutti<br />
William SHAKESPEARE Come vi garba 1964/65 Eriprando VISCONTI Marisa Fabbri, Nicoletta Rizzi,<br />
Franco Mezzera, Lino Savorani,<br />
Vittorio Franceschi<br />
William SHAKESPEARE Otello 1965/66 Beppe MENEGATTI Luigi Vannucchi, Nicoletta Rizzi,<br />
Egisto Marcucci, Vittorio Franceschi,<br />
Oreste Rizzini<br />
William SHAKESPEARE Otello 2001/02 Antonio CALENDA Michele Placido, Sergio Romano,<br />
Giancarlo Cortesi, Giorgio <strong>La</strong>nza,<br />
Rossana Mortara, Valentina Valsania<br />
William SHAKESPEARE Macbeth 1966/67 Tino BUAZZELLI Tino Buazzelli, Paola Mannoni,<br />
Egisto Marcucci<br />
William SHAKESPEARE Riccardo III 1989/90 Gabriele LAVIA Gabriele <strong>La</strong>via, Monica Guerritore,<br />
Dorotea Aslani<strong>di</strong>s, Gianni De Lellis,<br />
Barbara Valmorin, Giorgio Crisafi<br />
William SHAKESPEARE Riccardo II 1991/92 Glauco MAURI Roberio Sturno, Gianni Galavotti,<br />
Ireneo Petruzzi, Donatello Falchi<br />
William SHAKESPEARE Riccardo III 1996/97 Antonio CALENDA Franco Branciaroli, Lucilla<br />
Morlacchi, Anita Bartolucci, Giorgio<br />
Bonino, Gea Lionello, Antonio<br />
Zanoletti<br />
William SHAKESPEARE Amleto 1998/99 Antonio CALENDA Kim Rossi Stuart, Gianni Musy,<br />
Osvaldo Ruggieri, Alvia Reale,<br />
Gianfranco Varetto, Rossana<br />
Mortara<br />
George Bernard SHAW L’uomo del destino 1956/57 Gianfranco DE BOSIO <strong>La</strong>ura Solari, Giulio Bosetti, Cesco<br />
Ferro<br />
Georges SHEHADE <strong>La</strong> storia <strong>di</strong> Vasco 1962/63 Aldo TRIONFO Marisa Fabbri, Renzo Montagnani,<br />
Vittorio Franceschi, Massimo De Vita<br />
Valeria SISTO COMAR <strong>La</strong> santa calce 1965/66 Anna GRUBER Nicoletta Rizzi, Ottavio Di Donato,<br />
Giorgio Valletta, Lino Savorani,<br />
Tonino Pavan, Stella Migliore<br />
SOFOCLE Elettra Estate ’64 Fulvio TOLUSSO Marisa Fabbri, Fosco Giacchetti,<br />
Adriana Innocenti, Franco Mezzera,<br />
Egisto Marcucci, Nicoletta Rizzi,<br />
Paola Boccardo<br />
SOFOCLE E<strong>di</strong>po a Colono Estate ’66 Edmo FENOGLIO Tino Buazzelli, Roldano Lupi, Giulia<br />
<strong>La</strong>zzarini, Raul Grassilli, Paola<br />
Mannoni, Tino Bianchi, Omero<br />
Antonutti<br />
SOFOCLE E<strong>di</strong>po a Colono 1996/97 Antonio CALENDA Roberto Herlitzka, Piera Degli Esposti,<br />
scrittura rievocativa Ester Galazzi, Dodo Gagliarde,<br />
<strong>di</strong> Ruggero CAPPUCCIO Gino Monteleone, Paolo Fagiolo,<br />
Stefano Galante, Antonio Tallura,<br />
Maurizio Zacchigna<br />
SOFOCLE E<strong>di</strong>po Re 1967/68 Orazio COSTA Giulio Bosetti, Franca Nuti, Mario<br />
Valgoi, Gabriele <strong>La</strong>via
102 Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Marko SOSIC Ballerina Ballerina 1996/97 Branko ZAVRSAN Lucka Pockaj<br />
Luigi SQUARZINA Tre quarti <strong>di</strong> lana 1961/62 Fulvio TOLUSSO Marisa Fabbri, Gianni Musy, Omem<br />
Antonutti, Mario Maranzana, Omera<br />
<strong>La</strong>zzari<br />
Luigi SQUARZINA Romagnola 1964/65 Eriprando VISCONTI Adriana Innocenti, Vittorio<br />
Franceschi, Franco Mezzera<br />
Luigi SQUARZINA e Tullio KEZICH (Ve<strong>di</strong> Tullio KEZICH)<br />
August STRINDBERG <strong>Il</strong> pellicano 1980/81 Gabriele LAVIA Gabriele <strong>La</strong>via, Lea Padovani, Carlo<br />
Simoni, Paola Pitagora<br />
Italo SVEVO Inferiorità 1955/56 Ottavio SPADARO Filippo Scelzo, Mario Bardella<br />
Italo SVEVO Un marito 1960/61 Sandro BOLCHI Luciano Alberici, Anna Miserocchi,<br />
Omero Antonutti, Marisa Fabbri,<br />
Margherita Guzzinati<br />
Italo SVEVO L’avventura <strong>di</strong> Maria 1968/69 Aldo TRIONFO Franca Nuti, Gianni Galavotti,<br />
Massimo De Francovich, Paola Bacci<br />
Italo SVEVO Terzetto spezzato 1973/74 Furio BORDON Giampiero Becherelli, Stefano<br />
Lescovelli, Antonella Marchi<br />
Italo SVEVO Caro bonbon 1990/91 Marco SCIACCALUGA Massimo De Francovich<br />
Italo SVEVO L’avventura <strong>di</strong> Maria 1995/96 Nanni GARELLA Gabriele Ferzetti, Patrizia Zappa<br />
Mulas, Gianni De Lellis, Giorgio<br />
<strong>La</strong>nza, Umberto Raho, Stefania<br />
Stefanin, Riccardo Maranzana,<br />
Barbara Trost, Daniele Bonnes<br />
Italo SVEVO Senilità 1997/98 Francesco MACEDONIO Roberto Herlitzka, Lucka Pockaj, Alvia<br />
adattamento <strong>di</strong> Alberto BASSETTI Reale<br />
John Milhngton SYNGE <strong>Il</strong> furfantello dell’ovest 1961/62 Fulvio TOLUSSO Gino Cavalieri, Gianni Musy, Carlo<br />
Bagno, Gina Sammarco, Marisa<br />
Fabbri, Omero Antonutti<br />
Carlo TERRON Avevo più stima dell’idrogeno 1959/60 Mario MARANZANA Pina Cei, Omero Antonutti, Dario<br />
Penne<br />
Charles THOMAS Jenny nel frutteto 1955/56 Ottavio SPADARO Marisa Mantovani, Mario Bardella<br />
Sergio TOFANO (Stò) Una losca congiura 1955/56 Spiro DALLA PORTA Allievi della Scuola <strong>di</strong> Recitazione<br />
ovvero Barbariccia contro Bonaventura<br />
Sergio TOFANO (Stò) L’isola dei pappagalli 1956/57 Spiro DALLA PORTA Maria Grazia Spinazzi, Cesco Ferro<br />
Sergio TOFANO (Stò) Bonaventura, 1957/58 Spiro DALLA PORTA Allievi<br />
veterinario per forza della Scuola <strong>di</strong> Recitazione<br />
Fulvio TOMIZZA Vera Verk 1962/63 Fulvio TOLUSSO Paola Borboni, Fosco Giachetti,<br />
Marisa Fabbri, Edda Valente, Renzo<br />
Montagnani, Lino Savorani<br />
Fulvio TOMIZZA <strong>La</strong> storia <strong>di</strong> Bertoldo 1968/69 Giovanni POLI Franco Mezzera, Marina Bonfigli,<br />
Alvise Battain, Lino Savorani<br />
Fulvio TOMIZZA L’idealista (da I. CANKAR) 1976/77 Francesco MACEDONIO Corrado Pani, Leda Negroni, Carlo<br />
Cattaneo, Nestor Garay<br />
Aldo TRIONFO e Sergio MINIUSSI (ve<strong>di</strong> Sergio MINIUSSI)<br />
Aldo TRIONFO Sandokan, Yanez e i tigrotti 1969/70 Aldo TRIONFO Giulio Brogi, Clau<strong>di</strong>a Giannotti,<br />
e Tonino CONTE della Malesia alla conquista Lino Savorani, Franco Mezzera,<br />
della Perla <strong>di</strong> <strong>La</strong>buan (da Salgari) Antonio Francioni, Franco Jesurum,<br />
Orazio Bobbio, Saverio Moriones,<br />
Mimmo Lo Vecchio
Autore Titolo Stagione Regia Interpreti principali<br />
Aldo TRIONFO Margherita Gautier: 1970/71 Aldo TRIONFO Valeria Moriconi, Lia Zoppelli,<br />
e Tonino CONTE la dame aux camelias (da Dumas) Gianni Agus, Ennio Balbo, Rodolfo<br />
Bal<strong>di</strong>ni<br />
David Maria TUROLDO <strong>Il</strong> martirio <strong>di</strong> Lorenzo 1965/66 Giuseppe MAFFIOLI Egisto Marcucci, Vittorio Franceschi,<br />
Enrico d’Amato<br />
Heinrich von KLEIST Anfitrione 2001/02 Shahroo KHERADMAND Roberto Herlitzka, Giorgio <strong>La</strong>nza,<br />
Rossana Mortara<br />
Franz WEDEKIND <strong>Il</strong> Marchese von Keith 1979/80 Nino MANGANO Luigi Diberti, Valeria Ciangottini,<br />
Pietro Bion<strong>di</strong>, Gianni Galavotti<br />
Tennessee WILLIAMS Zoo <strong>di</strong> vetro 1979/80 Tatiana PAVLOVA Tatiana Pavlova, Marisa Mantovani,<br />
Paolo Privitera, Mario Mariani<br />
Tennessee WILLIAMS Lo zoo <strong>di</strong> vetro 1989/90 Furio BORDON Piera Degli Esposti, Franco<br />
Castellano, Diego Ribon, Beatrice<br />
Visibelli<br />
Carl ZUCKMAYER <strong>Il</strong> capitano <strong>di</strong> Köpenik 1973/74 Sandro BOLCHI Renato Rascel, Lino Savorani, Elio<br />
Crovetto, Nino Pavese<br />
103
104<br />
Teatro Stabile<br />
del Friuli-Venezia Giulia<br />
«Teatro Copioni»: la prima collana <strong>di</strong> volumi del Teatro Stabile<br />
Del Bianco E<strong>di</strong>tore<br />
1. “<strong>Il</strong> piccolo Eyolf”<br />
<strong>di</strong> Henrik Ibsen. Versione <strong>di</strong> Gennaro Pistilli. Note <strong>di</strong> Francesco Macedonio alla regia <strong>di</strong> Aldo Trionfo<br />
2. “<strong>La</strong> storia <strong>di</strong> Bertoldo”<br />
<strong>di</strong> Fulvio Tomizza (da Giulio Cesare Croce). Note <strong>di</strong> regia <strong>di</strong> Giovanni Poll<br />
3. “<strong>Il</strong> mio Carso”<br />
4. “I nobili ragusei”<br />
<strong>di</strong> Scipio Slataper. Riduzione per le scene <strong>di</strong> Furio Bordon. Note <strong>di</strong> regia <strong>di</strong> Francesco Macedonio<br />
<strong>di</strong> Marino Darsa. Prima versione italiana <strong>di</strong> Lino Carpinteri e Mariano Faraguna<br />
5. “Sandokan Yanez e i tigrotti della Malesia alla conquista della Perla <strong>di</strong> <strong>La</strong>buan”<br />
<strong>di</strong> Aldo Trionfo e Tonino Conte (da Emilio Salgari)<br />
6. “Margherita Gautier la Dame aux camélias”<br />
<strong>di</strong> Aldo Trionfo e Tonino Conte (da Alessandro Dumas figlio).<br />
Note <strong>di</strong> Alessandro Giupponi alla regia <strong>di</strong> Aldo Trionfo<br />
7. “Don Giovanni”<br />
<strong>di</strong> Molière. Traduzione <strong>di</strong> Giulio Bosetti.<br />
8. “Amico sciacallo. Canto e controcanto”<br />
Due comme<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Furio Bordon<br />
9. “Delitto e castigo”<br />
da Dostoevskij.<br />
Riduzione teatrale in 2 tempi <strong>di</strong> Dante Guardamagna<br />
10. “<strong>Il</strong> capitano <strong>di</strong> Köpenick”<br />
<strong>di</strong> Zuckmayer.<br />
Versione italiana <strong>di</strong> Lino Carpinteri e Mariano Faraguna<br />
I «Quaderni» pubblicati dal Teatro Stabile<br />
12. Svevo “per noi” oggi<br />
<strong>La</strong> coscienza <strong>di</strong> Zeno<br />
13. Arbuzov: la santa ingenuità del teatro<br />
Vecchio mondo<br />
14. Carlo Goldoni “Una donna <strong>di</strong> garbo”<br />
15. Georg Kaiser <strong>Il</strong> funzionario Krehler: alla ricerca dell’tiomo nuovo<br />
16. Franz Wedekind “<strong>Il</strong> marchese von Keith”<br />
17. L’uso della vita<br />
Calderon <strong>di</strong> Pasolini<br />
Le pubblicazioni
18. August Strindberg: la bellezza tragica della vita<br />
<strong>Il</strong> pellicano<br />
19. Karl Valentin “Cabaret”<br />
20. Eduardo: vita <strong>di</strong> un attore comico<br />
21. Le marionette <strong>di</strong> Vittorio Podrecca<br />
22. Curzio Malaparre “Das Kapital”<br />
23. “L’affare Danton” <strong>di</strong> Stanislava Przbyzewska<br />
24. Le marionette <strong>di</strong> Podrecca<br />
<strong>Il</strong> mondo della luna <strong>di</strong> C. Goldoni<br />
25. “Bouvard e Pouchet” <strong>di</strong> Tullio Kezich e Luigi Squarzina (da Gustave Flaubert)<br />
26. Dürrenmatt “Romolo il grande”<br />
27. “<strong>Il</strong> pianeta indecente”<br />
28. “L’amore delle tre melarance”<br />
29. “Fraulein Pollinger”<br />
30. “Attraverso i villaggi”<br />
31. “I Rusteghi” <strong>di</strong> Carlo Goldoni<br />
32. “Eroe <strong>di</strong> scena fantasma d’amore (Moissi)”<br />
33. “Baal”<br />
34. “L’adulatore”<br />
35. “Questa sera si recita a soggetto”<br />
36. “Casanova a Spa”<br />
37. “Beckett concerto”<br />
38. “Sei personaggi in cerca d’autore”<br />
39. “Ciascuno a suo modo”<br />
40. Harold Pinter “Tra<strong>di</strong>menti”<br />
41. “Riccardo III”<br />
I «Quaderni» del Teatro Stabile - Art& e Arti Grafiche Friulane<br />
42. America del ‘900<br />
Lo zoo <strong>di</strong> vetro<br />
43. “<strong>Il</strong> viaggio incantato”<br />
105
106 44. Vittorio Franceschi “Scacco pazzo”<br />
45. <strong>Il</strong> pianeta degli ultimi anni<br />
Stadelmann <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong><br />
45 bis. “Caro bonbon”<br />
dall’Epistolario e dall’Album <strong>di</strong> famiglia <strong>di</strong> Italo Svevo<br />
46. William Shakespeare “Riccardo II”<br />
47. “Oblomov” <strong>di</strong> Ivan Goncarov, adattamento teatrale <strong>di</strong> Furio Bordon<br />
48. “Jack lo sventratore”<br />
<strong>di</strong> Vittorio Franceschi<br />
49. “Una solitu<strong>di</strong>ne troppo rumorosa”<br />
<strong>di</strong> Bobumil Hrabal, versione teatrale <strong>di</strong> Giorgio Pressburger<br />
50. “Anatol”<br />
51. “L’i<strong>di</strong>ota”<br />
<strong>di</strong> Arthur Schnitzler, versione italiana <strong>di</strong> Furio Bordon<br />
<strong>di</strong> F. M. Dostoevskij, adattamento teatrale <strong>di</strong> Furio Bordon su un’ipotesi drammaturgica <strong>di</strong> Padre D. Maria Turoldo<br />
52. “Intrigo e amore”<br />
<strong>di</strong> Friedrich Schiller, traduzione <strong>di</strong> Aldo Busi<br />
53. “Medea”<br />
<strong>di</strong> Franz Grillparzer, traduzione <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong><br />
54. “L’ora in cui non sapevamo niente l’uno dell’altro”<br />
<strong>di</strong> Peter Handke, testi <strong>di</strong> Mario Brandolin, Peter Handke, Giorgio Pressburger, Sabrina Morena, Rolando Zorzi<br />
55. “I Turcs tal Friúl”<br />
<strong>di</strong> Pier Paolo Pasolini, testi <strong>di</strong> Pier Paolo Pasolini, Gianfranco Contini, Novella Cantarutti, Nico Nal<strong>di</strong>ni, Elio De<br />
Capitani<br />
56. “L’avventura <strong>di</strong> Maria”<br />
<strong>di</strong> Italo Svevo, testi <strong>di</strong> Antonio Calenda, Nanni Garella, Franca Nuti, Ruggero Rimini, Italo Svevo, Patrizia Zappa Mulas<br />
I «Quaderni» del Teatro pubblicati dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia<br />
57. “Anima e Corpo” (2 e<strong>di</strong>z.)<br />
<strong>di</strong> Vittorio Gassman, testi <strong>di</strong> Antonio Calenda, Roberto De Monticelli, Giacomo Gambetti, Vittorio Gassman, Maria<br />
Grazia Gregori, Rita Sala<br />
58. Gigi Proietti: un attore e il suo teatro<br />
testi <strong>di</strong> Mario Brandolin, Antonio Calenda, Roberto De Monticelli, Rita Sala<br />
59. “Un’in<strong>di</strong>menticabile serata ovvero gli asparagi e l’immortalità dell’anima”<br />
da Achille Campanile, testi <strong>di</strong> Carlo Bo, Antonio Calenda, Oreste Del Buono, Franco Quadri, Enzo Siciliano
60. “E<strong>di</strong>po a Colono”<br />
<strong>di</strong> Sofocle, scrittura rievocativa <strong>di</strong> Ruggero Cappuccio, testi <strong>di</strong> Antonio Calenda, Ruggero Cappuccio<br />
61. “Bugie Sincere”<br />
<strong>di</strong> Vittorio Gassman, testi <strong>di</strong> Vittorio Gassman, Ruggero Cappuccio, Peter Brown<br />
62. “Irma la dolce”<br />
<strong>di</strong> Alexandre Breffort - Marguerite Monnot, testi <strong>di</strong> Rita Sala, Danilo Soli, Di<strong>di</strong>er C. Deutsch<br />
63. “Senilità”<br />
da Italo Svevo, adattamento teatrale <strong>di</strong> Alberto Bassetti, testi <strong>di</strong> Italo Svevo, Alberto Bassetti, Daniele Del Giu<strong>di</strong>ce,<br />
Mario Brandolin<br />
64. “Riccardo III” <strong>di</strong> William Shakespeare, traduzione <strong>di</strong> Patrizia Valduga, testi <strong>di</strong> Mario Brandolin, Alessandro Serpieri, Giovanna<br />
65. “Amleto”<br />
Mochi, Patrizia Valduga<br />
<strong>di</strong> William Shakespeare, traduzione <strong>di</strong> Agostino Lombardo, testi <strong>di</strong> Mario Brandolin, Agostino Lombardo,<br />
Alessandro Serpieri, Roberta Gefter Wondrich, Renzo S. Crivelli, Giuseppina Restivo, Guido Botteri<br />
66. “Ma che c’entra Peter Pan?”<br />
<strong>di</strong> Alberto Bassetti<br />
67. “Rappresentazione della Passione”<br />
elaborazione drammaturgica <strong>di</strong> Antonio Calenda, testi <strong>di</strong> Odoardo Bertani, Guido De Monticelli, Angelo Mandorlo,<br />
Renzo Tian<br />
68. “Antigone” <strong>di</strong> Jean Anouilh, versione italiana <strong>di</strong> Furio Bordon, testi <strong>di</strong> Furio Bordon, Antonio Calenda, <strong>Il</strong>aria Lucari<br />
69. I Piccoli <strong>di</strong> Podrecca<br />
70. “Agamennone” e “Coefore”<br />
<strong>di</strong> Eschilo, traduzione <strong>di</strong> Manara Valgimigli, testi <strong>di</strong> Antonio Calenda, Caterina Barone, <strong>Il</strong>aria Lucari<br />
71. “<strong>La</strong> Mostra” <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong>, testi <strong>di</strong> Guido Botteri, <strong>Il</strong>aria Lucari<br />
“Teatro/Università” - E<strong>di</strong>zioni Clueb Bologna/Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia<br />
1. “Tradurre/Interpretare Amleto”<br />
a cura <strong>di</strong> Giuseppina Restivo e Renzo S. Crivelli<br />
E<strong>di</strong>zioni speciali<br />
“<strong>Il</strong> nuovo vecchio <strong>Rossetti</strong>”<br />
a cura <strong>di</strong> Guido Botteri e Stefano Curti<br />
107
Teatro Stabile<br />
del Friuli-Venezia Giulia<br />
COEFORE<br />
<strong>di</strong> Eschilo regia <strong>di</strong> Antonio Calenda<br />
con Piera Degli Esposti, Daniela Giovanetti, Alessando Preziosi,<br />
Le produzioni 2002-2003<br />
Osvaldo Ruggieri, Giampiero Fortebraccio, Giorgio <strong>La</strong>nza, Giancarlo Cortesi<br />
in collaborazione con Istituto Nazionale del Dramma Antico Fondazione Onlus<br />
OTELLO<br />
<strong>di</strong> William Shakespeare regia <strong>di</strong> Antonio Calenda<br />
con Michele Placido, Sergio Romano<br />
PALLIDO OGGETTO DEL DESIDERIO<br />
<strong>di</strong> René De Ceccatty dal romanzo <strong>La</strong> femme et le pantin <strong>di</strong> Pierre Louÿs<br />
regia <strong>di</strong> Alfredo Arias<br />
con Pino Micol, Daniela Giovanetti, Francesca Benedetti<br />
LA MOSTRA<br />
<strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>Magris</strong> regia <strong>di</strong> Antonio Calenda<br />
con Roberto Herlitzka, Mario Maranzana<br />
VARIETÀ<br />
con I Piccoli <strong>di</strong> Podrecca<br />
109
Teatro Stabile<br />
del Friuli-Venezia Giulia<br />
Arnaldo NINCHI<br />
presidente<br />
Rodolfo CASTIGLIONE<br />
vicepresidente<br />
Tiziana BENUSSI<br />
Francesco MARANGON<br />
Piero MARTINUZZI<br />
Antonio PAOLETTI<br />
Rossana POLETTI<br />
consiglieri<br />
collegio dei revisori<br />
Cosimo CECERE<br />
presidente<br />
Giuseppe DI BARTOLO ZUCCARELLO<br />
Paolo MUSOLLA<br />
soci<br />
Comune <strong>di</strong> Trieste<br />
Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia<br />
Provincia <strong>di</strong> Gorizia<br />
Provincia <strong>di</strong> Pordenone<br />
Provincia <strong>di</strong> Trieste<br />
Provincia <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne<br />
Camera <strong>di</strong> Commercio Industria<br />
Artigianato e Agricoltura <strong>di</strong> Trieste<br />
Unicre<strong>di</strong>t Banca Spa Divisione CRTrieste<br />
Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia<br />
Viale XX Settembre, 45<br />
34126 TRIESTE<br />
tel. 040.3593511<br />
fax 040.3593555<br />
www.ilrossetti.it<br />
e-mail info@ilrossetti.it<br />
Antonio CALENDA<br />
<strong>di</strong>rettore<br />
Sergio DOVGAN<br />
responsabile amministrazione<br />
Paolo GIOVANAZZI<br />
responsabile tecnico<br />
Stefano CURTI<br />
responsabile marketing e comunicazione<br />
Roberta TORCELLO<br />
responsabile produzione<br />
Lucia DUSSI<br />
Diego PECAR<br />
Daniela SFERCO<br />
ufficio amministrazione<br />
Massimo CARLI<br />
Flavio DOGANI<br />
Giuliano GIONCHETTI<br />
Rosaria SCHIRALDI<br />
Roberto STAREC<br />
Massimo TATARELLA<br />
Carlo TURETTA<br />
Giorgio ZARDINI<br />
Ra<strong>di</strong>voi ZOBIN<br />
ufficio tecnico<br />
Emmanuele BONNES<br />
Oriana CRESSI<br />
Monica FAVARETTO<br />
Marzia GALANTE<br />
<strong>Il</strong>aria LUCARI<br />
ufficio marketing e comunicazione<br />
Giampaolo ANDREUTTI<br />
Alida PECCHIAR<br />
ufficio produzione<br />
Ada D’ACCOLTI<br />
Bruno BOBINI<br />
ufficio segreteria<br />
L’organigramma 2002-2003<br />
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