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quirino bezzi - Centro Studi Val di Sole

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speciale Quirino Bezzi<br />

Alla Sat Quirino Bezzi si ritagliò un ruolo del tutto particolare:<br />

per lunghi anni fu nel Consiglio Centrale, ma<br />

non ricopriva incarichi <strong>di</strong>rettivi. Era però il riferimento<br />

della memoria, della storia, dell’identità, della progettualità.<br />

Sapeva che un’associazione è destinata a morire se<br />

ad ogni generazione (ogni quin<strong>di</strong>ci, vent’anni al massimo)<br />

non rinnova i suoi riti, la sua memoria, gli incontri fra i<br />

giovani e il passato. La sua mansione era quella <strong>di</strong> <strong>di</strong>rettore<br />

del “Bollettino”, ed egli la esplicava con visione ampia,<br />

come palestra <strong>di</strong> incontro con i giovani, che stimolava a<br />

collaborare, come occasione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> e ricerche, come<br />

mezzo per fare incontrare la cultura dell’alpinismo classico<br />

con quella profonda delle valli, della montagna, dei<br />

suoi abitanti. Era attentissimo ad ogni dettaglio con un<br />

atteggiamento anche pedagogico che gli derivava dalla<br />

sua vocazione <strong>di</strong> maestro <strong>di</strong> scuola. Le copertine della<br />

rivista, ad esempio, non erano mai casuali, né si limitavano<br />

ad annunciare l’evento eclatante, la spe<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

successo, lo scalatore famoso. Seguivano invece un progetto<br />

meto<strong>di</strong>co <strong>di</strong> conoscenza, numero dopo numero: le<br />

antiche carte geografiche, i vecchi rifugi, i mestieri…alla<br />

Sat era insostituibile perché faceva da raccordo fra le varie<br />

anime, le varie sollecitazioni del movimento, perché<br />

era sempre <strong>di</strong>sponibile a spendersi per aiutarle lì dove<br />

veniva a mancare qualche forza. Appassionato com’era<br />

dell’autonomia locale del sodalizio, della storia trentina<br />

e della piccola patria solandra, Quirino Bezzi capiva però<br />

che gli ideali della montagna avevano bisogno <strong>di</strong> cornici<br />

e risonanze vaste. La Sat doveva essere autonoma, far<br />

da laboratorio perché l’alpinismo non <strong>di</strong>ventasse tecnicismo<br />

da crodaioli, ma espressione <strong>di</strong> un comune sentire<br />

territoriale, ma questa autonomia aveva senso se si<br />

poneva all’interno del Cai nazionale. A stare soli, isolati,<br />

l’autonomia si lacera nelle fazioni, nei litigi, si <strong>di</strong>sgrega,<br />

perde la sua profezia. Nei primi anni Ottanta Bezzi fu<br />

tra quanti si batterono convinti perché non avessero<br />

seguito le richieste <strong>di</strong> qualche sezione <strong>di</strong> staccarsi dal<br />

Cai e soffrì per la separazione del Convegno Trentino-<br />

Alto A<strong>di</strong>ge da quello Triveneto, che tanti incontri d’amicizia<br />

aveva propiziato e tanti fermenti dolomitici aveva<br />

trasmesso anche all’ambiente alpinistico trentino. Un<br />

<strong>di</strong>scorso che andrà sicuramente ripreso - quello della<br />

collaborazione con le sezioni venete - ora che l’Unesco<br />

ha riconosciuto le Dolomiti, nelle tre province <strong>di</strong> Trento,<br />

Bolzano e Belluno patrimonio dell’umanità...<br />

Dalla lunga consuetu<strong>di</strong>ne con Quirino Bezzi alla Sat tre<br />

ricor<strong>di</strong> personali non possono mancare. Il primio risale<br />

al 1967, quando con la Susat si stava rinnovando il<br />

Taramelli e sostituendo il suo arredamento. Fu Bezzi a<br />

8<br />

prendermi da parte e a <strong>di</strong>rmi: “Non basta che mettiate a<br />

posto il rifugio. Devi avviare una ricerca sulle sue origini,<br />

su Torquato Taramelli, chi era, <strong>di</strong>re che propositi avete<br />

nel gestirlo. Insomma, devi scrivere un articolo sul Bollettino”.<br />

Lo feci. Mi appassionai e fu il mio primo articolo<br />

pubblicato a stampa. Il titolo era “Il nostro Taramelli”.<br />

Ne raccontava la storia e mostrava come quel rifugio<br />

dovesse rimanere una “scuola” per l’approccio dei giovani<br />

alla montagna, una palestra <strong>di</strong> auto<strong>di</strong>sciplinia e autogestione.<br />

Resto molto fiero <strong>di</strong> quell’articolo e molto<br />

grato a Qurino Bezzi che quasi me lo impose. I giovani<br />

hanno bisogno <strong>di</strong> una spinta (e <strong>di</strong> un incoraggiamento)<br />

per darsi da fare. Il secondo ricordo si riferisce ad una<br />

lunga e piovosa domenica pomeriggio, nella sede Sat, a<br />

contare i voti e le preferenze <strong>di</strong> un congresso elettivo.<br />

Nessuno voleva sobbarcarsi quell’incombenza noiosa.<br />

Bezzi se la sobbarcò e prese me, che ero il più giovane<br />

e non potevo rifiutarmi. Io aprivo le schede e leggevo i<br />

nomi, lui segnava le crocette su un foglio e controllava.<br />

Ma quell’operazione noiosa <strong>di</strong>venne, con Quirino, un<br />

viaggio affascinante fra storie <strong>di</strong> uomini e avventure <strong>di</strong><br />

montagne. Dei can<strong>di</strong>dati mi raccontava da dove provenivano,<br />

quali imprese avessero compiuto, perché fossero<br />

stati votati, chi era il più popolare, chi il più rigoroso…<br />

Bezzi conosceva alla perfezione non solo gli uomini, ma<br />

la “macchina” della Sat. La conosceva perché l’amava. Di<br />

montagne, problemi e uomini imparai più in quel pomeriggio<br />

che in molti anni successivi. Capii che la Sat erano<br />

i suoi uomini, più che i progetti o l’organizzazione, ed è<br />

una lezione che non ho più <strong>di</strong>menticato.<br />

Il terzo ricordo riguarda l’inaugurazione del rinnovato<br />

rifugio Cima d’Asta quando Bezzi era Presidente (1985-<br />

1987) il culmine e il giusto riconoscimento della sua de<strong>di</strong>zione<br />

alla Sat e alla montagna. Era già un po’ malato. La<br />

giornata era stata splen<strong>di</strong>da, l’inaugurazione riuscitissima,<br />

stavamo scendendo verso Malga Sorgazza. E allora vi<strong>di</strong><br />

Quirino in montagna e l’ammirai. Portava sempre quel<br />

suo cappelluccio, aveva la barba fiera e scendeva con un<br />

suo modo tutto particolare, veloce tanto da <strong>di</strong>stanziare<br />

noi giovani, appoggiato al suo bastone tra<strong>di</strong>zionale (non i<br />

volantini) che usava come perno per volteggiare attorno<br />

ai massi, e superare quei gradoni che sono più faticosi<br />

in <strong>di</strong>scesa che in salita. Lo vedevamo scendere, il Quirino,<br />

come un folletto della montagna, leggero, felice, non<br />

sbagliava un passo.<br />

Era un grande piccolo uomo Quirino Bezzi. Sapeva vivere<br />

con pienezza, senza mai annoiarsi. Seppe soffrire<br />

in silenzio quando la trage<strong>di</strong>a colpì crudelmente la sua<br />

famiglia. Era un uomo <strong>di</strong> pace sulla montagna e certo la<br />

montagna gli dà pace.

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