quirino bezzi - Centro Studi Val di Sole

302; 366-378), compilato sulla base delle schede e dei
riferimenti contenuti nei Regesti di Ciccolini, tanto da
poter costituire, di quest’opera, l’indice per tale argomento.
Molto suggestive dal punto di vista estetico e di
grande interesse storico risultavano le dieci tavole fuori
testo riproducenti gli stemmi dei notai, inserite nella
terza parte del lavoro. L’argomento veniva ripreso nel
1970 con Le patenti notarili in Val di Sole dal 1500 al 1800
(XLIX, pp. 141-156), ancora con riferimento a Ciccolini.
Il saggio conteneva una breve storia dell’arte notarile,
l’utilizzo del manoscritto 1879 presso la Biblioteca comunale
di Trento ed era illustrato da numerosi stemmi
dei notai come segni di tabellionato.
Durante l’annata del 1956 i contributi di Bezzi a “Studi
Trentini” furono ispirati ad un genere che gli risultava assai
confacente, quello legato all’area
chiamata “popolaresca”. Iniziò con
la recensione di “Nonesade”, poesie
“nonese” vecchie e nuove scelte e annotate
da Enrico Quaresima (XXXV,
pp. 132-133) dove vedeva, nella
silloge di versi anauni un “amore
di figlio” e si chiedeva chi avrebbe
raccolto i versi usciti dalle altre valli
prima che il tempo avesse steso
la sua ala nera sulla musa paesana.
Seguivano i Proverbi e motti e Venti
superstizioni raccolte in Val di Sole (pp.
231-233). I proverbi riguardavano
l’agricoltura, le meteore, la morale
e l’economia, mentre le superstizioni
si riferivano alla morte e alle
disgrazie, agli animali e alle piante, al
tempo e ad altre credenze legate al
matrimonio e ai figli. L’anno successivo
descriveva Il gioco della “pòrcola”
nella Val di Sole, simile alla “rùmega” del Perginese, degno
di menzione prima della sua scomparsa (XXXVI, p. 161).
Nel saggio del 1958, Poesia popolare nell’alta Val di Sole
(XXXVII, pp. 104-116), si disvelavano completamente
l’apprezzamento e la sensibilità che egli nutriva nei confronti
della poesia legata alla piccola patria delle sue origini.
Scopo della raccolta, precisava Bezzi, non era quello
di fare uno studio comparato tra le filastrocche delle
valli trentine, ma solo di fissare quel materiale che aveva
potuto raccogliere dalla viva voce della nonna materna,
della mamma e dei convalligiani. I testi riportati, lievi
come carezze, accompagnavano il gestire tra madre e
figlio, dall’infanzia alla crescita dei primi anni, diventando
gioco, narrazione romanzesca, insegnamento di princì-
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speciale Quirino Bezzi
pi e di comportamenti. Altri erano legati ai ritmi della
vita femminile, fatta di lavoro e di usanze arcaiche, altri
ancora avevano al centro la vita religiosa, componente
essenziale dell’identità dei valligiani fin dalle origini.
Molte composizioni poetiche erano riferite ai lavori dei
campi, alla natura animata da graziosi insetti e dagli animali,
all’allevamento del bestiame, ed avevano quasi l’andamento
della propiziazione per l’esito favorevole dei
raccolti e dei prodotti della pastorizia. Fiorivano poi i
versi delle leggende, delle filastrocche, delle cantilene e
delle cantate di Natale, dell’Epifania, del carnevale, della
quaresima e della Pasqua.
La Val di Sole, affermava Bezzi, aveva trovato gli storici
che ne avevano narrato il passato, ma era mancato
“chi si curasse della popolaresca, salvando un prezioso
patrimonio linguistico purtroppo
quasi del tutto scomparso, di cui
questa raccolta non rappresenta
che qualche briciola sfuggita all’incalzare
del tempo”. Egli si dichiarava
poi ben felice se altri avessero
completato “questa raccolta per le
altre zone della nostra valle, fissando
quel poco che ancor resta d’un
patrimonio che va velocemente
morendo”.
In una nota del 1958 (XXXVIII, pp.
76-77) Quirino Bezzi elencava le
numerose onorificenze attribuite
al pittore Bartolomeo Bezzi, appartenente
alla sua famiglia come lo
era stato il garibaldino Ergisto, durante
il periodo trascorso presso
l’Accademia di Brera. La scomparsa
nel 1958 della vedova dell’illustre
artista, che aveva consegnato la custodia
di un consistente numero di dipinti nelle mani
della figlia Pia residente a Milano, lo spingeva ad auspicare
il trasferimento delle opere a Trento “ed iniziare con
esse quella ‘Galleria di artisti trentini’ di cui più volte
fu lanciata, purtroppo sempre inutilmente, l’idea”. Nella
medesima annata della rivista il suo interesse si spostava
su Le lapidi commemorative d’uomini e di avvenimenti
nella Valle di Sole (pp. 201-208), dato che ben pochi potevano
conoscerle “in questa recondita valle”. Il criterio
seguito per la riproduzione delle lapidi non era basato
sulla successione cronologica, ma su quella topografica
seguendo la valle “secondo il corso del Noce da monte
a valle”, che portava ad accostamenti eterogenei come
Pier Fortunato Calvi e Giacomo Matteotti. La buona vo