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Etty Hillesum: kairós e dono assoluto - Edizioni Studium

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<strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>:<br />

<strong>kairós</strong> e <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong><br />

di Rita Fulco<br />

1. Nelle stagioni dell’anima<br />

«Come il guardiano ha la sua capanna,<br />

nella vigna, e sorveglia,<br />

capanna sono io nelle tue mani,<br />

Signore, e notte della notte tua.<br />

Vigna, pascolo, brolo antico,<br />

e campo che non perde primavera,<br />

e fico che dà mille frutti<br />

anche in terreno rigido di marmo:<br />

Aroma esala dai tuoi rami in cerchio.<br />

Non chiedi se son vigile,<br />

senza paura, sciolte negli umori,<br />

mi sfiorano, salendo, le tue profondità».<br />

R. M. Rilke, Stundenbuch.<br />

Si può attraversare il tempo della vita come corridori che ten<strong>dono</strong><br />

al traguardo, concentrati sui propri passi e sul proprio ritmo cardiaco,<br />

vedendo scorrere ai lati della propria corsa un variopinto fiume<br />

di colori senza forma, oppure si può vivere come contadini, pastori,<br />

gente legata alla terra e al cielo, impregnati del sapore delle<br />

cose, senza fretta, percorrendo le stagioni, seminando, raccogliendo,<br />

amando i buoni raccolti e disperandosi per quelli mancati.


672 Rita Fulco<br />

Se tutti gli amici di <strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong> 1 parlano dell’incontro con<br />

lei come di un momento ricco, fecondo e felice, è proprio perché<br />

la giovane ebrea olandese ha attraversato la vita come un seminatore,<br />

come una grande conoscitrice di quei territori misteriosi, a<br />

volte generosi, a volte aridi e impervi, che sono gli uomini, ciascuno<br />

di loro, lei compresa. Il movimento della fecondazione spirituale<br />

non è mai un movimento univoco e chiuso, ma necessita di<br />

un’apertura ontologica all’oltre e se <strong>Hillesum</strong> non avesse percepito<br />

per prima il suo essere terra bisognosa di nutrimento e di aratura,<br />

non avrebbe potuto, a sua volta, prendersi cura di altri, in un<br />

tempo capace di far disseccare anche gli alberi più forti, nell’aridità<br />

dello spirito creata dall’occupazione nazista dell’Olanda, nel<br />

deserto d’angoscia e di terrore delle deportazioni, dei campi di lavoro,<br />

di smistamento, di sterminio.<br />

Nonostante la sua giovane età, come per una concentrazione<br />

improvvisa del tempo, <strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong> diventava luogo di riparo,<br />

tenda accogliente, porto sicuro per tutti coloro che l’avvicinavano<br />

pieni di smarrimento, timore, incertezza, ma anche di rabbia e<br />

odio per tutto ciò che stava avvenendo. Come lei stessa scriveva a<br />

Westerbork nel suo Diario, la sua età anagrafica sembrava non<br />

corrispondere alle profondità della sua anima:<br />

«L’età dell’anima è diversa da quella registrata all’anagrafe. Credo<br />

che l’anima abbia una determinata età fin dalla nascita, e che questa<br />

età non cambi più. Si può nascere con un’anima che ha dodici anni.<br />

Si può anche nascere con un’anima che ne ha mille, esistono ragazzini<br />

dodicenni in cui si sente un’anima simile. Credo che l’anima sia la<br />

parte più inconscia dell’uomo, soprattutto in Occidente, penso che<br />

un orientale ‘viva’ la propria anima molto di più. L’occidentale non sa<br />

bene che farsene e se ne vergogna come di una cosa immorale. [...]<br />

Quando ci capitava di parlare della nostra grande differenza d’età, S.<br />

diceva sempre: “Chi mi dice che la sua anima non sia più vecchia della<br />

mia?”» 2 .<br />

L’esperienza del dolore, come quella della felicità, ha probabilmente<br />

il potere di catalizzare l’energia interiore e di creare dei varchi<br />

temporali in cui tutto si concentra, un salto quantico, inaspettato,<br />

non prevedibile; per questo i ragazzini dodicenni incontrati<br />

da <strong>Hillesum</strong> nel campo di lavoro erano lo specchio più fedele dell’orrore<br />

dei tempi e della mancanza d’anima dell’Occidente, che li<br />

aveva rinchiusi a Westerbork, e l’accoglienza assoluta poteva esse-


<strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>: <strong>kairós</strong> e <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong> 673<br />

re l’unica risposta nei confronti di quei bambini, così come di tutti<br />

gli uomini, affamati di cibo materiale, carnale e spirituale: «Ho<br />

spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini.<br />

Perché no? Erano così affamati, e da tanto tempo. [...] Si<br />

vorrebbe essere un balsamo per molte ferite» 3 .<br />

Un tempo particolare, raro e misterioso, e un <strong>dono</strong> dalle caratteristiche<br />

speciali, forse un <strong>dono</strong> impossibile, sono le cifre attraverso<br />

cui si vuole provare ad ascoltare l’esperienza di <strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>,<br />

nella consapevolezza dell’incommensurabilità delle epoche<br />

in cui ci è toccato vivere, ma certi che per comprendere il disastro<br />

sempre possibile del nostro Occidente occorra tenere fisso<br />

lo sguardo sul tempo più oscuro della nostra storia.<br />

2. L’irruzione e l’interruzione del tempo<br />

Qualificare il tempo, dargli qualità o, forse, più semplicemente,<br />

essere sempre vigilanti a che la sua qualità originaria e preziosa<br />

non sia dissolta nella mera quantità del succedersi delle ore e dei<br />

giorni, risulta uno dei compiti più difficili per ogni essere umano<br />

inserito in una società civile che chiede produzione, attivismo,<br />

operosità. Come se si avesse di fronte un tempo infinito, gli «operai»<br />

laboriosi dell’Occidente si affannano a riempirne i secondi<br />

nella ripetizione di un’altrettanto infinita serie di azioni, negano e<br />

aborriscono l’attesa inoperosa, fuggono il vuoto del tempo senza<br />

prassi e senza oggetti da utilizzare.<br />

Il continuum temporale, con la sua sublime illusione dell’occupazione<br />

uniforme di tutto lo spazio, con la tranquillizzante certezza<br />

del possesso del mondo, della sua manipolabilità, tramite<br />

azioni ordinate al fine della massima produzione, è il mortifero<br />

compagno dell’Occidente che certamente contribuisce a quello<br />

che <strong>Hillesum</strong> individuava come uno dei problemi più grandi dell’uomo<br />

occidentale, cioè il suo «imbarazzo» nei confronti dell’anima,<br />

rispetto a cui «non sa bene che farsene e se ne vergogna come<br />

di una cosa immorale». Lo spazio dell’anima, «altro» rispetto<br />

allo spazio del mondo, richiede e richiama un altro tempo, in cui<br />

l’uniformità diventa impossibile, la prevedibilità assurda e la programmazione<br />

inconcepibile, in cui ciò che qualifica non è la quantità<br />

d’opere ma l’assenza d’opera. Dunque, la concezione del tempo<br />

è, per <strong>Hillesum</strong>, strettamente connessa alla «ricchezza d’ani-


674 Rita Fulco<br />

ma», alla possibilità di manifestazione del luogo senza luogo che è<br />

l’interiorità:<br />

«Mi sembra presuntuoso affermare che un uomo possa determinare<br />

il proprio destino dall’interno. Quel che invece un uomo ha in mano<br />

è il proprio orientamento interiore verso il destino. [...] Mercoledì<br />

mattina presto, quando con un gruppo numeroso ci siamo trovati in<br />

quel locale della Gestapo, i fatti delle nostre vite erano tutti uguali:<br />

eravamo tutti nello stesso ambiente, gli uomini dietro la scrivania come<br />

quelli che venivano interrogati. Ciò che qualificava la vita di ciascuno<br />

era l’atteggiamento interiore verso quei fatti. [...] E il fatto storico<br />

di quella mattina non era che un infelice ragazzo della Gestapo si<br />

mettesse ad urlare contro di me, ma che francamente io non ne provassi<br />

sdegno – anzi, che mi facesse pena [...]. È solo il sistema che usa<br />

questo tipo di persone ad essere criminale. [...] Quel che fa paura è il<br />

fatto che certi sistemi possano crescere al punto da superare gli uomini<br />

e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime:<br />

così grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani,<br />

s’innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso<br />

e seppellirci» 4 .<br />

La tremenda coincidenza tra pubblico e privato, tra interiore ed<br />

esteriore, può innescare le conseguenze più terribili, se la consapevolezza<br />

di uno «scarto» d’anima non intervenisse a ristabilire i<br />

giusti rapporti, la prospettiva corretta, la corretta scala assiologica.<br />

Il sistema che, mediante la burocratizzazione totale, annette il<br />

tempo interiore del singolo al tempo totale del sistema, cosicché<br />

una mancanza di efficienza del singolo innesta una perdita nel sistema,<br />

spinge il singolo verso un volontario assopimento del pensiero<br />

e alla contemporanea liberazione degli elementi istintivi primordiali,<br />

quali la rabbia, la violenza, la volontà di sopraffazione,<br />

per salvaguardare la propria vita e la propria posizione o, semplicemente,<br />

per dare sfogo alle proprie frustrazioni 5 . Gli edifici e le<br />

torri che, costruite da mani umane, possono crollarci addosso e<br />

seppellirci, non sono sempre quelli del nemico, anzi <strong>Hillesum</strong><br />

parla di «nostre» mani. Il problema messo in luce è inerente sempre<br />

al rapporto spazio-tempo-anima: si può essere nello stesso<br />

spazio, nella medesima stanza, eppure vivere in un tempo del tutto<br />

differente. L’anima di ciascuno funge da crogiolo e, come i cercatori<br />

d’oro scuotevano la terra dei fiumi per far restare solo le<br />

preziose pagliuzze, così ci si può lasciar attraversare dal fiume del


<strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>: <strong>kairós</strong> e <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong> 675<br />

tempo e coglierne le inedite e brillanti aperture mediante la vigilanza,<br />

la capacità di attendere, di ascoltare, di astrarsi da tutto ciò<br />

che distragga dal vedere il luccichio, poiché, quando questo si manifesta,<br />

potrebbe anche non essere colto, col rischio di gettare via<br />

l’oro della rivelazione inedita di un’altra dimensione del tempo, il<br />

<strong>kairós</strong>, con la sabbia della clessidra del tempo cronologico, del<br />

continuum temporale 6 .<br />

L’addestramento interiore di <strong>Hillesum</strong> era durato lunghi ed<br />

intensi anni, prima che la sua maturità di sentimenti e di spirito<br />

le consentisse di guardare a testa alta l’orrore e la verità, senza<br />

tuttavia perdere la capacità di amare gli uomini, senza che l’orrore<br />

stesso la riducesse al livello dei carnefici, facendole perdere<br />

ogni senso del tempo e della vita. Le tracce di questo addestramento<br />

le troviamo nel Diario e risalgono già ai primi periodi in<br />

cui la giovane aveva iniziato la terapia con Spier. Il passaggio da<br />

una percezione adolescenziale ed egocentrica del proprio vissuto<br />

interiore è lento e si compone di vari tornanti, di percorsi comunque<br />

in avanti, ma che spesso prevedevano dei cambiamenti<br />

di sguardo, col rischio continuo di ripiegarsi in se stessa, di chiudersi<br />

al mondo, agli altri, al suo tempo così oscuro, ma tanto bisognoso<br />

d’occhi vigilanti:<br />

«Ed eccomi là, con la mia “costipazione spirituale”. E lui doveva mettere<br />

ordine nel mio caos interiore, venire a capo delle forze contraddittorie<br />

che operano in me. [...] E ora questo sconosciuto, questo signor<br />

S. dal viso complicato, ha compiuto miracoli in una settimana:<br />

ginnastica, esercizi di respirazione, parole illuminanti e liberatrici sulle<br />

mie depressioni, sui miei rapporti con gli altri ecc. All’improvviso<br />

ho cominciato a vivere in modo più libero e “scorrevole”, quel senso<br />

di “costipazione” è sparito, nella mia anima c’è un po’ più d’ordine e<br />

un po’ più di pace: adesso è ancora l’influenza della sua personalità<br />

magica a produrre quest’effetto, ma in futuro si formerà una base nella<br />

mia psiche, sarà un processo cosciente» 7 .<br />

In piena occupazione nazista la ventisettenne <strong>Hillesum</strong> apre una<br />

porta, dice sì alla chiamata di un altro tempo e di un altro spazio,<br />

mettendosi in gioco e provando a dare assoluta priorità all’essere<br />

responsabile di se stessa e, contemporaneamente, del proprio<br />

tempo. L’acconsentire al tempo «altro» è un sì senza condizioni e,<br />

del resto, l’avvento di un altro nella propria vita può essere il soffio<br />

di vento che apre la porta, che vince le remore e la paura di ab-


676 Rita Fulco<br />

bandonare la propria terra sicura, fatta di consuetudini, di piccole<br />

gioie e di piccoli dolori quotidiani che annegano lo spirito nell’abitudine,<br />

tanto consolante quanto mortifera, di lidi conosciuti e<br />

circoscritti. Dopo l’apertura della porta, dopo l’irruzione del<br />

<strong>kairós</strong>, come momento opportuno, momento favorevole, tempo<br />

ricco o pienezza del tempo 8 , il sì deve essere rinnovato in continuazione,<br />

nella fedeltà e nella corrispondenza all’imperativo interiore<br />

che annuncia la venuta, sempre sorprendente, del novum,<br />

dell’imprevedibile possibile del tempo rinnovato e riqualificato<br />

dell’interiorità. Fare spazio ad un tempo «altro», con quell’attitudine<br />

tipicamente ebraica che si manifesta splendidamente nell’attesa<br />

e nella celebrazione del Sabato 9 , diviene per <strong>Hillesum</strong> il compito<br />

principale da tenere presente durante la sua terapia con Spier<br />

ma, soprattutto, nella sua rinnovata ricerca spirituale, anch’essa<br />

venuta ad irrompere nella sua vita e ad interrompere il circolo vizioso<br />

dei ripiegamenti egocentrici su se stessa:<br />

«31 dicembre 1941. Le otto di sera. [...] Con gran fatica siamo riusciti<br />

a comprare tre limoni da un carretto, pagandoli dieci centesimi l’uno<br />

invece che sette – e avevamo tanta voglia di pasticcini con la panna<br />

montata! Così ce ne siamo andati di nuovo in giro per le strade come<br />

una bizzarra coppia di innamorati [...]. Ora sono quasi le otto e mezzo<br />

di sera: l’ultima sera di un anno che è stato per me il più ricco e<br />

fruttuoso, e insieme il più felice di tutti. E se dovessi spiegare in una<br />

parola perché quest’anno è stato così buono – a partire dal 3 febbraio,<br />

quando avevo suonato timidamente il campanello al 27 della<br />

Courberstraat e un tipo da far paura mi aveva esaminato le mani tenendo<br />

un’antenna sulla testa –, allora dovrei dire: per la mia grande<br />

presa di coscienza. Il che significa anche poter disporre delle mie forze<br />

più profonde. [...] E ora mi capita di dovermi inginocchiare di colpo<br />

davanti al mio letto, persino in una fredda notte d’inverno. Ascoltarsi<br />

dentro. Non lasciarsi più guidare da quello che si avvicina da<br />

fuori, ma da quello che s’innalza dentro. È solo un inizio, me ne rendo<br />

conto. Ma non è più un inizio vacillante, ha già delle basi» 10 .<br />

La riscoperta dell’interiorità come terra fertile crea il luogo ospitale<br />

necessario all’incontro, non solo con l’altro uomo, ma con<br />

l’Altro, nella misteriosità e nella bellezza seducente e tremenda di<br />

un abisso ignoto. Questo Altro necessita di un tempo es-posto,<br />

posto fuori dal tempo cronologico, affinché possa radicarsi e<br />

prendere dimora nello spirito, nutrirlo di quella certezza d’amore


<strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>: <strong>kairós</strong> e <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong> 677<br />

che <strong>Hillesum</strong> sembrava avere fuori d’ogni misura, in un’epoca che<br />

appariva, invece, come un deserto d’amore.<br />

Il tempo esposto all’eternità dell’av-venire, alla sua continua<br />

novità, è quel <strong>kairós</strong> che permette di incrociare l’eterno dei giorni<br />

diventandone l’icona, così che ogni momento del tempo cronologico<br />

possa aprirsi al <strong>kairós</strong>, se soltanto si acconsente a corrispondere<br />

alle tensioni del mondo obbedendo unicamente all’appello<br />

dell’oltre, che indica una strada fatta di silenzio e di ascolto. La pesanteur,<br />

come direbbe Weil, la gravità, la forza che tira verso il<br />

basso, che spinge alla «bassezza» del male, si oppone sempre alla<br />

levità della grazia del <strong>kairós</strong>, questo fanciullo con le ali alle caviglie,<br />

secondo l’immagine tramandataci da Lisippo, che dona la fiducia<br />

nella possibilità dell’impossibile, nella possibilità del dialogo<br />

con un’alterità ignota, verso cui ogni sforzo gnoseologico è destinato<br />

miseramente a fallire:<br />

«Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta<br />

ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano<br />

immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa,<br />

Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi<br />

con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo<br />

richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò<br />

di aiutarti affinché tu non venga distrutto in me, ma a priori<br />

non posso promettere nulla. Una cosa però diventa sempre più evidente<br />

per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a<br />

dovere aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa<br />

che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente<br />

conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo<br />

contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì,<br />

mio Dio, sembra che tu non possa fare molto per modificare le circostanze<br />

attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo<br />

in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili<br />

noi» 11 .<br />

L’evento decisivo, l’evento che chiede di scegliere, di tagliare con<br />

un tempo fatto di certezze, abitudini e tranquillità, è sempre lì ad<br />

attendere, dietro la porta, e nessuno meglio degli ebrei incarna<br />

questa consapevolezza dell’imprevedibilità dell’evento, tanto da<br />

lasciare sempre un posto vuoto al tavolo di Pesaq per Elia, sempre<br />

ad-veniente. Quel posto vuoto <strong>Hillesum</strong> lo lascia inginocchiandosi<br />

improvvisamente, quasi costretta da una chiamata a venire a


678 Rita Fulco<br />

colloquio con un amante pieno d’urgenza e di bisogno di parlarle,<br />

di toccarle il cuore. La forte tensione erotica di <strong>Etty</strong> si traduce<br />

sempre in altrettanta at-tenzione spirituale e, forse, ha ragione<br />

Weil quando scrive che «quando autentici amici di Dio, quale a<br />

mio avviso fu Meister Eckart, ripetono parole che hanno udito nel<br />

più segreto silenzio, durante l’unione d’amore, se queste parole<br />

non concordano con l’insegnamento della Chiesa, ciò significa<br />

soltanto che il linguaggio della pubblica piazza non è quello della<br />

camera nuziale» 12 .<br />

Lo scarto del tempo provoca anche uno scarto nel linguaggio,<br />

cosicché sembra anche instaurarsi una logica altra, una logica dell’assurdo,<br />

in cui il principio di non contraddizione è scalzato dalla<br />

sovrabbondanza di senso, non comprensibile a meno di non<br />

cambiare orizzonte e prospettiva, sciogliendo i legami rigidi imposti<br />

dall’essere sociale e rivolgendosi verso un absolutus a cui si<br />

risponde solo accordando un consenso alla pienezza del tempo<br />

con tutta la propria vita:<br />

«18 maggio 1942. [...] Le minacce e il terrore crescono di giorno in<br />

giorno. M’innalzo intorno la preghiera come un muro oscuro che offra<br />

riparo, mi ritiro nella preghiera come nella cella di un convento, ne<br />

esco fuori più “raccolta” concentrata e forte. Questo ritirarmi nella<br />

chiusa della preghiera diventa per me una realtà sempre più grande, e<br />

anche un fatto sempre più oggettivo. La concentrazione interna costruisce<br />

alti muri fra cui ritrovo me stessa e la mia unità, lontana da tutte<br />

le distrazioni. E potrei immaginarmi un tempo in cui starò inginocchiata<br />

per giorni e giorni – sin quando sentirò di avere intorno questi<br />

muri, che m’impediranno di sfasciarmi, perdermi e rovinarmi» 13 .<br />

3. Il <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong><br />

La fiducia nella sovrabbondanza e nella generosità dell’essere, il<br />

gusto della bellezza della vita e del mondo, la certezza dell’amore<br />

di Dio costituiscono i muri che la preghiera dona a <strong>Hillesum</strong> in<br />

quel tempo di estrema povertà. A partire da questa nuova dimensione<br />

interiore, <strong>Hillesum</strong> si apre alla dimensione del <strong>dono</strong>, in una<br />

costante ricerca di modalità sempre più intense, libere e feconde<br />

rispetto agli eventi che la coinvolgono e nei confronti di ogni persona<br />

che le passa accanto, condividendone l’amore e le difficoltà<br />

o, semplicemente, il tempo: in una stanza ad ascoltare Spier o, in


<strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>: <strong>kairós</strong> e <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong> 679<br />

seguito, nelle baracche rumorose e maleodoranti di Westerbork.<br />

L’apparente diversità del tempo, sereno e disteso nelle riunioni<br />

con gli amici ebrei, teso e terribilmente volto alla fine quello delle<br />

notti prima delle deportazioni, assume il tratto comune della necessità<br />

assoluta, quasi ontologica, di essere vissuto come <strong>dono</strong> per<br />

se stessa e per gli altri.<br />

La dimensione del <strong>dono</strong>, nelle sue implicazioni di relazione<br />

fra donatore e donatario, nel difficile equilibrio di debiti e crediti,<br />

nella necessità della libertà generosa del darsi, è evidente nelle lettere<br />

che <strong>Hillesum</strong> invia da Westerbork agli amici rimasti ancora<br />

fuori dal campo. Fra coloro che sono nel campo e coloro che stanno<br />

fuori si crea un sistema di relazioni necessarie alla sopravvivenza<br />

sia degli internati che degli affetti, ulteriormente rafforzati<br />

negli anni difficili della guerra. Uno dei segni decisivi che indica il<br />

mutamento nel modo di rapportarsi agli altri, da una esclusività di<br />

relazione verso un absolutus nella prospettiva del <strong>dono</strong>, è lo stile<br />

di scrittura di <strong>Hillesum</strong>: alla dimensione di unicità e relativa chiusura<br />

delle pagine del diario, all’inizio molto concentrate su se stessa<br />

e sul suo rapporto con Spier, si sostituisce un respiro quasi universale<br />

nel momento in cui, costretta dalla restrizione nella spedizione<br />

delle lettere, <strong>Etty</strong> inizia ad indirizzarle non più ad un unico<br />

destinatario per lettera, ma a più destinatari contemporaneamente,<br />

nella speranza che le notizie da lei fornite servano da contatto<br />

con il maggior numero possibile di persone. Così lei stessa usa le<br />

sue lettere per fornire notizie di gente che non può più scrivere ai<br />

familiari, pregando i suoi amici di fare da tramite.<br />

Il messaggio diviene <strong>dono</strong> circolante di intere esistenze sull’orlo<br />

dell’abisso e <strong>Hillesum</strong>, cosciente di essere un ponte, uno<br />

spazio vivente di mediazione tra la vita e la morte di molti, compresa<br />

lei stessa e i suoi familiari, accetta di fare della sua scrittura<br />

un luogo di incontro, di ricerca di senso, anche per chi sta fuori da<br />

Westerbork. Certamente la morte di Spier, avvenuta prima che lei<br />

fosse internata nel campo, le dà la misura dell’incommensurabilità<br />

di tutti gli altri rapporti rispetto all’amore <strong>assoluto</strong> che l’aveva legata<br />

indissolubilmente a lui. Quell’amore sperimentato nella sua<br />

rara preziosità diviene, insieme alla preghiera, la fonte inesauribile<br />

della volontà di offrire agli altri anche solo un po’ di quel <strong>dono</strong><br />

immenso che lei aveva vissuto in prima persona. In realtà, il processo<br />

di distacco dal desiderio egocentrico di esclusività era cominciato<br />

ben prima della morte di Spier, proprio grazie all’im-


680 Rita Fulco<br />

mensa generosità di quell’uomo sempre totalmente disponibile<br />

per tutti, con una parola profonda per chiunque andasse da lui alla<br />

ricerca di una risposta sui problemi della vita, a riprova che il<br />

modo migliore per entrare nella dimensione del <strong>dono</strong> non è quello<br />

di mettersi a praticare una dottrina, ma di avere davanti ai propri<br />

occhi dei testimoni della possibilità, offerta a ciascun essere<br />

umano, di liberarsi dal filo spinato che protegge, a tutti i costi, il<br />

proprio tempo e il proprio spazio:<br />

«Ogni camicia pulita che puoi ancora indossare è quasi una festa; e<br />

così pure se ti lavi con un sapone profumato, in un bagno che è tutto<br />

tuo per quella mezz’ora. È proprio come se io mi stessi già congedando<br />

da queste raffinatezze della civiltà. E se un giorno non potrò più<br />

goderne, saprò in ogni caso che esistono e che possono rendere piacevole<br />

la vita, e in quanto tali le loderò, anche se non mi saranno toccate<br />

in sorte. Quel che conta infatti non è che tocchino proprio a me<br />

– vero?» 14 .<br />

La consapevolezza che, rispetto alle cose del mondo, non si è padroni<br />

ma custodi, è l’atteggiamento di fondo del donatario, che<br />

non si sente scelto in base a suoi meriti specifici, ma solo dalla generosità<br />

di una vita che non bisogna rinnegare nel momento in cui<br />

diviene difficile e, apparentemente, avara, proprio perché ciò che<br />

conta per <strong>Hillesum</strong>, in un afflato universalistico di difficile comprensione,<br />

non è che i doni siano diretti a proprio uso e consumo,<br />

ma che essi, ontologicamente, ci siano; che esista la possibilità del<br />

donare e del ricevere, del godere dei doni.<br />

La povertà e la privazione potrebbero portare, come succede<br />

spesso, ad un inaridimento dello spirito, ad un adeguamento alla<br />

dimensione meno elevata, eppure così umana, dell’esistenza che<br />

valuta soltanto il sistema di debiti e crediti, in un continuo raffronto<br />

fra ciò che non si ha rispetto a ciò che, invece, ci si aspetterebbe<br />

di avere. In questo caso, la dimensione prevalente da cui<br />

si considera la possibilità del <strong>dono</strong> non è quella dell’absolutus,<br />

ma quella economica, in cui al primo posto non si valuta la relazione<br />

affettiva o, meglio, l’azione pura del <strong>dono</strong>, bensì quella materiale<br />

della quantità di averi 15 . Come nella dimensione del tempo,<br />

anche in questa dimensione del <strong>dono</strong>, a fare la differenza è il<br />

passaggio dalla quantità alla qualità, dall’oggetto all’azione, ma<br />

ciò non implica un distacco ascetico dalla realtà materiale delle<br />

cose, bensì una rilettura di essa, concentrando l’attenzione non


<strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>: <strong>kairós</strong> e <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong> 681<br />

tanto sui dati «economici» quanto sulla generosità libera della relazione<br />

personale:<br />

«Westerbork, 1 luglio 1943. Christien cara [...]. Gli occhiali contro<br />

la polvere mi hanno strappato un vero urlo di gioia. Altrimenti i nostri<br />

occhi si rovinano, ed è bello che tu li abbia spediti di tua iniziativa.<br />

Trovo commovente come ti prendi cura di noi. Voi che state<br />

fuori avrete già abbastanza preoccupazioni, a cui ora vi tocca aggiungere<br />

tutte quelle per noi. [...] Sai qui pronunciamo tranquillamente<br />

molte “parole importanti”. Io dico con grande disinvoltura:<br />

frutta, pomodori e cose simili. Eppure non so se esistano ancora là<br />

fuori. Quindi non prenderla come un’indiscrezione se ti facciamo<br />

richieste impossibili, ma attribuiscile alla nostra ignoranza. Papà<br />

per esempio ha un grandissimo bisogno di frutta e cose fresche. Qui<br />

infatti ci si prosciuga per le continue tempeste di sabbia. Papà [...]<br />

mangia pochino, e così diamo via molto pane; lo facciamo con gran<br />

piacere perché molte persone cominciano a tirare la cinghia, ora che<br />

il mondo esterno – da cui abitualmente ricevevano provviste – si è<br />

tanto ristretto. Ormai i più hanno i loro parenti e amici qui a Westerbork»<br />

16 .<br />

Il <strong>dono</strong> di coloro che stanno fuori dal campo diviene occasione<br />

per <strong>Hillesum</strong> di continuo ringraziamento per le cose materiali ricevute,<br />

ma anche di riflessione sulla stessa azione del donare, in<br />

grado di superare il filo spinato e i legami di sangue, per diventare<br />

simbolo stesso di una resistenza dell’anima all’abbrutimento<br />

umano generale a cui si assisteva dappertutto. Affinché ciò si possa<br />

realizzare, però, dimensione interiore e dimensione esteriore<br />

devono restare necessariamente in continua corrispondenza perché<br />

l’attenzione possa mantenersi concentrata su pensieri elevati e<br />

non degradarsi al puro bisogno e alla disperazione, nella coscienza<br />

della fine imminente.<br />

Ciò che tiene insieme queste due dimensioni non è la materialità<br />

dell’esistenza, ma una determinata concezione del tempo:<br />

esso, in questa rete di rapporti interpersonali, diviene il vero luogo<br />

del <strong>dono</strong>, anzi, il <strong>dono</strong> per eccellenza. Mandare dei pacchi a<br />

Westerbork significava certamente fare le file nei pochissimi luoghi<br />

dove si potevano trovare risorse alimentari o di altro genere,<br />

significava, comunque, dedicare ad altri, a volte anche sconosciuti,<br />

molte ore della propria giornata per cercare di rispondere al<br />

meglio ai bisogni dei prigionieri. La vera corrispondenza, dunque,


682 Rita Fulco<br />

si realizzava nella misura in cui si decideva di donare ciò di cui<br />

nessun essere umano può fare provvista, cioè il proprio tempo<br />

che, di fronte a quello di coloro che da un giorno all’altro potevano<br />

essere caricati sui vagoni merci e deportati nei campi di sterminio,<br />

doveva certamente assumere la preziosità di un tesoro tanto<br />

gratuito nell’averlo ricevuto, quanto fragile nel suo essere in balia<br />

degli eventi 17 .<br />

La verità del tempo è questa per tutti gli esseri umani ed in<br />

ogni epoca, ma certe verità diventano evidenti solo se considerate<br />

sullo sfondo di situazioni limite, di abissi insondabili e tremendi.<br />

<strong>Hillesum</strong>, dal canto suo, aveva fatto del <strong>dono</strong> del suo tempo la cifra<br />

esistenziale della sua vita a Westerbork, proiettata continuamente<br />

nella cura di coloro che vedeva in difficoltà, convinta che la<br />

saldezza della sua interiorità le permettesse di conservare una libertà<br />

di spirito e una forza che ben pochi altri sarebbero riusciti a<br />

mantenere in quello stato di prostrazione, il cui effetto deleterio<br />

era verificabile nel gran numero di suicidi, soprattutto di persone<br />

giovani – come <strong>Hillesum</strong> stessa sottolinea nelle lettere – che avvenivano<br />

regolarmente nel campo. La continua ricerca di senso,<br />

l’appigliarsi con tutte le proprie energie interiori alla bellezza ancora<br />

visibile nel mondo attorno a lei, sono gli elementi che le permisero<br />

di custodire la qualità del tempo, vissuto in un orizzonte di<br />

consapevolezza e nella volontà di essere capace di offrire risposte<br />

anche di fronte alla sua incrollabile speranza nel futuro, proprio e<br />

dei suoi amici:<br />

«3 luglio 1943. Joopie, Klaas, cari amici, [...], la miseria che c’è qui è<br />

veramente terribile – eppure la sera tardi, quando il giorno si è inabissato<br />

dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo<br />

lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce<br />

– non ci posso fare niente, è così, è di una forza elementare – e questa<br />

voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo<br />

costruire un mondo nuovo. A ogni nuovo crimine e orrore dovremo<br />

opporre un pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato<br />

in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere.<br />

E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto<br />

anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il<br />

diritto di dire la nostra parola a guerra finita» 18 .<br />

<strong>Hillesum</strong> ha potuto dire la sua parola a guerra finita solo attraverso<br />

il diario e le lettere ed è singolare come l’amore per la let-


<strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>: <strong>kairós</strong> e <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong> 683<br />

tura e la scrittura sia stato una delle cifre esistenziali più importanti<br />

per lei, la passionale <strong>Etty</strong>, tanto carnale quanto ricolma di<br />

spiritualità, che sapeva riversare in una pagina, scritta con concentrazione,<br />

i momenti più intensi della sua vita. In compagnia<br />

dello Stundenbuch di Rilke e della Bibbia, tenuti sotto il cuscino<br />

a Westerbork, trascorse i suoi ultimi giorni e, sicuramente, i momenti<br />

di fecondazione spirituale più profonda di quel periodo<br />

sono legati a questi due libri, fondamentali lungo tutta la sua vita.<br />

Il tempo della scrittura diviene allora tempo del <strong>dono</strong>, tempo<br />

donato, anche se apparentemente sottratto alle necessità sempre<br />

più pressanti che venivano dalla gente del campo. Il desiderio di<br />

trovare un posto solitario, ovviamente impossibile se non per<br />

tempi brevissimi, testimonia lo struggimento di <strong>Hillesum</strong> nella<br />

ricerca di quel luogo custodito in cui potere continuare a coltivare<br />

la sua anima, a raccogliersi, nonostante tutto e tutti. Ma<br />

proprio perché abitata da una generosità essenziale, anche questa<br />

sua ricerca, riversata nella scrittura, è divenuta fonte inesauribile<br />

di riflessione e di confronto per tutti coloro che si sono lasciati<br />

interrogare e mettere in gioco da un pensiero sempre imbevuto<br />

di vita, da una carne intrisa di spirito, come sono stati<br />

quelli di <strong>Hillesum</strong>. Testimone di un donare <strong>assoluto</strong>, fino al <strong>dono</strong><br />

impossibile della propria morte, anche l’ultima sua parola,<br />

l’ultimo suo gesto di cui ci è consegnata memoria, parla di un<br />

tempo altro e dice con un’azione, quella del lanciare una cartolina<br />

postale, l’ultima, dal treno su cui era stata caricata per essere<br />

portata ad Auschwitz, l’imprevedibilità e la dimensione inedita<br />

di un’esistenza divenuta un unico e fedele dire sì alla vita e alla<br />

morte:<br />

«Christien, apro a caso la Bibbia e trovo questo: “il Signore è il mio<br />

alto ricetto”. Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone<br />

merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti.<br />

La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine<br />

improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato<br />

il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così<br />

Mischa. Viaggeremo per tre giorni. Grazie per tutte le vostre buone<br />

cure. Alcuni amici rimasti a Westerbork scriveranno ancora a Amsterdam,<br />

forse avrai notizie? Anche della mia ultima lunga lettera?<br />

Arrivederci da noi quattro. <strong>Etty</strong>» 19 .<br />

Rita Fulco


684 Rita Fulco<br />

NOTE<br />

1 Esther (<strong>Etty</strong>) <strong>Hillesum</strong> nasce a Middelburg il 15 gennaio 1914 da Louis <strong>Hillesum</strong>,<br />

insegnante di lingue classiche e studioso rigoroso, e Rebecca Bernstein, nata in Russia e<br />

fuggita in Olanda in seguito ai pogrom. I fratelli di <strong>Etty</strong>, Misha, musicista promettente, e<br />

Jaap, brillante studioso di medicina, erano anch’essi di intelligenza vivace e di grande cultura.<br />

Gli <strong>Hillesum</strong> si stabiliscono a Deventer nel 1924, dove il padre diviene preside del<br />

Ginnasio Municipale. Completata la scuola nel 1932, <strong>Etty</strong> si trasferisce ad Amsterdam,<br />

dove si laurea in giurisprudenza e continua le sue appassionate letture di filosofia, di letteratura<br />

e lo studio delle lingue slave. Ad Amsterdam vive in casa con altre cinque persone,<br />

che spesso cita nel suo diario, e si avvicina al gruppo di Julius Spier, studioso di psicochirologia<br />

e personalità carismatica, a cui <strong>Etty</strong> si legherà sentimentalmente. L’incontro<br />

con Spier muterà del tutto la personalità della giovane <strong>Etty</strong>, approfondendo la sua maturità<br />

affettiva e spirituale. Il Diario di <strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong> prende avvio in piena seconda guerra<br />

mondiale, nel marzo 1941, su suggerimento di Spier, con cui aveva iniziato degli incontri<br />

per una terapia psicologica. Si conclude dopo che <strong>Etty</strong> era già stata trattenuta definitivamente<br />

nel campo di Westerbork, dove si era recata come volontaria. Il 7 settembre 1943,<br />

<strong>Etty</strong>, con i suoi genitori e Misha, che erano intanto stati rinchiusi a Westerbork, vennero<br />

deportati ad Auschwitz, e qui <strong>Etty</strong> morì il 30 novembre 1943. Oltre al Diario ci restano<br />

anche numerose lettere inviate agli amici da Westerbork. Cfr. E. <strong>Hillesum</strong>, Diario 1941-<br />

1943, tr. it. di C. Passanti, Adelphi, Milano 1996, e Id., Lettere 1942-1943, tr. it. di C. Passanti,<br />

Adelphi, Milano 1990. Sulla vita di E. <strong>Hillesum</strong> cfr. P. Lebeau, <strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>. Un<br />

itinerario spirituale. Amsterdam 1941 - Auschwitz 1943, tr. it. di L. Passerone, Ed. Paoline,<br />

Milano 2000; N. Neri, Un’estrema compassione. <strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong> testimone e vittima del<br />

Lager, Mondadori, Milano 1999; P. Ricci Sindoni, <strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>: come aiutare Dio in<br />

tempi bui, in Horeb, 12/3, 1995, pp. 78-85. L’interesse sempre crescente per <strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong><br />

ha coinvolto molti studiosi italiani fino a giungere, nel 2002, all’organizzazione di<br />

una manifestazione internazionale svoltasi a Roma dal 19 gennaio al 26 febbraio, ricca<br />

di iniziative culturali, culminate in un Convegno di studi a cui hanno partecipato autorevoli<br />

studiosi italiani e stranieri. Dalla manifestazione romana sono partite varie altre<br />

iniziative in molte città italiane, in cui verrà portata la mostra fotografica itinerante su<br />

<strong>Hillesum</strong>, accompagnata da seminari e convegni (Messina, 1-15 novembre 2002 e Venezia,<br />

febbraio 2003, sono solo alcuni degli appuntamenti programmati).<br />

2 E. <strong>Hillesum</strong>, Diario, cit., p. 236. S. è Julius Spier, uomo misterioso e pieno di carisma.<br />

Nato a Francoforte nel 1887, dopo una buona carriera di circa venticinque anni<br />

in un’azienda commerciale, entrerà in analisi con Jung a Zurigo. Anche su consiglio di<br />

quest’ultimo, farà del suo talento naturale del comprendere gli altri tramite l’analisi della<br />

mano una propria scienza, la psicochirologia, che eserciterà trovando ed aiutando un<br />

gran numero di pazienti, in qualsiasi città egli iniziasse la sua attività. Di origine ebrea,<br />

dovette fuggire dalla Germania e si stabilì ad Amsterdam, dopo aver cercato, senza successo,<br />

di raggiungere la sua compagna in Inghilterra. Morirà di cancro il giorno prima<br />

che i nazisti lo andassero a cercare nella sua casa per deportarlo. <strong>Etty</strong> diventerà sua<br />

amante, tenera e appassionata, nonostante i ventisette anni di differenza che la separavano<br />

da lui.<br />

3 Ibid., p. 238.<br />

4 Ibid., pp. 101-102.<br />

5 Sono note le analisi che molti grandi pensatori hanno fatto a proposito della responsabilità<br />

del singolo all’interno dei sistemi totalitari e della gravità della situazione<br />

creata dalla coincidenza tra spazio privato e spazio pubblico, a partire, certamente, da<br />

quelle di H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, tr. it. di P. Bernardini,<br />

Feltrinelli, Milano 1964, e Id., Vita activa. La condizione umana, tr. it. di S. Finzi,<br />

Bompiani, Milano 1991 3 ; cfr. anche M. Horkeimer-G. Adorno, Dialettica dell’illuminismo,<br />

a cura di C. Galli, tr. it. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1997; M. Horkeimer, L’eclisse


<strong>Etty</strong> <strong>Hillesum</strong>: <strong>kairós</strong> e <strong>dono</strong> <strong>assoluto</strong> 685<br />

della ragione. Critica della ragione strumentale, tr. it. di E. Vaccari Spagnol, Einaudi, Torino<br />

2000 e Z. Baumann, Modernità e olocausto, tr. it. di M. Baldini, Il Mulino, Bologna<br />

1992. L’assenza di pensiero e l’uniformità degli individui però, lungi dall’essere circoscritta<br />

ai regimi totalitari, è tipica di una civiltà in cui l’operaio diviene il tipo umano prevalente,<br />

come si può ben vedere nell’Occidente industrializzato, in cui non solo i veri e<br />

propri lavoratori possono essere inseriti in questo ingranaggio, ma ogni uomo, nella misura<br />

in cui lascia che l’avere abbia prevalenza sull’essere, che la produttività riempia gli<br />

insopportabili vuoti da cui, per usare le parole di S. Weil, potrebbe entrare la grazia. Le<br />

analisi weiliane del rapporto col vuoto sono di fondamentale importanza per comprendere<br />

il fenomeno di orrore del vuoto come causa di questo sradicamento dell’essere umano:<br />

«Cattivo modo di cercare. Attenzione aggrappata ad un problema. Ancora un fenomeno<br />

di orrore del vuoto. Non si vuole che il proprio sforzo vada perduto. [...] Come<br />

nel caso della dedizione eccessiva, si viene a dipendere dall’oggetto dello sforzo. Si ha<br />

bisogno di una ricompensa esteriore, che a volte il caso fornisce, e che si è pronti a ricevere<br />

a prezzo di una deformazione della verità» (S. Weil, Quaderni II, a cura di G. Gaeta,<br />

Adelphi, Milano 1985, p. 65). Per un approfondimento del pensiero filosofico di S.<br />

Weil mi permetto di rinviare a R. Fulco, Corrispondere al limite. Simone Weil: il pensiero<br />

e la luce, <strong>Studium</strong>, Roma 2002.<br />

6 Sul tema del tempo e delle differenti accezioni di esso (chronos, <strong>kairós</strong>, aiòn) cfr.<br />

M. Cacciari, Dell’inizio, Adelphi, Milano 1990; G. Marramao, Kairós. Apologia del tempo<br />

debito, Laterza, Roma-Bari 1993. Per le implicazioni etiche legate al <strong>kairós</strong>, mi permetto<br />

di rinviare a R. Fulco, L’istante necessario: tracce per un ethos del tempo, in<br />

AA.VV., Tempo sacro e tempo profano. Visione laica e visione cristiana del tempo e della<br />

storia, a cura di L. De Salvo e A. Sindoni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, pp. 321-<br />

336.<br />

7 E. <strong>Hillesum</strong>, Diario, cit., p. 27.<br />

8 Cfr. a tale proposito le differenti, ma altrettanto interessanti, interpretazioni del<br />

momento da parte di Kierkegaard e Nietzsche: S. Kierkegaard, Briciole filosofiche, tr. it.<br />

a cura di S. Spera, Queriniana, Brescia 2001 3 ; F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, a cura<br />

di G. Pasqualotto, Rizzoli, Milano 1988.<br />

9 Sulla concezione del tempo e dello spazio nella celebrazione del Sabato cfr. A. J.<br />

Heschel, Il sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, tr. it. di L. Mortara ed E. Mortara<br />

di Veroli, Rusconi, Milano 1972. Molte questioni sviluppate da Heschel, legate alla<br />

religione ebraica, hanno un notevole interesse filosofico. Per un approfondimento si veda<br />

l’illuminante saggio di P. Ricci Sindoni, Abraham Joshua Heschel, Dio e pathos, EMP,<br />

Padova 2002.<br />

10 E. <strong>Hillesum</strong>, Diario, cit., p. 93.<br />

11 Ibid., p. 169.<br />

12 S. Weil, Attesa di Dio, tr. it. di O. Nemi, Rusconi, Milano 1972, p. 42.<br />

13 E. <strong>Hillesum</strong>, Diario, cit., p. 111.<br />

14 Ibid., p. 146.<br />

15 Su questa tematica è fondamentale la ricerca portata avanti dal gruppo che ruota<br />

attorno alla rivista MAUSS, a partire dalla riflessione di M. Mauss, Saggio sul <strong>dono</strong>.<br />

Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, in M. Mauss, Teoria generale della<br />

magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1965, pp. 153-292. Cfr. a tal proposito anche J. T.<br />

Godbout, Il linguaggio del <strong>dono</strong>, tr. it. di A. Salsano, Bollati Boringhieri, Torino 1998, e<br />

Id., Lo spirito del <strong>dono</strong>, tr. it. di A. Salsano, Bollati Boringhieri, Torino 1993; A. Caillé,<br />

Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del <strong>dono</strong>, tr. it. di A. Cinato, Bollati Boringhieri,<br />

Torino 1998.<br />

16 E. <strong>Hillesum</strong>, Lettere, cit., pp. 81-84.<br />

17 La riflessione sul <strong>dono</strong> ha impegnato alcuni dei più grandi filosofi del Novecento,<br />

tra cui Heidegger, Bataille, Derrida, Lévinas, Blanchot. Il rapporto fra l’oggetto donato<br />

e l’azione stessa del donare risulta il nucleo preferenziale attorno a cui pensare, per


686 Rita Fulco<br />

provare a stabilire l’autenticità e il valore <strong>assoluto</strong> del <strong>dono</strong>, come si nota, ad esempio,<br />

nelle pagine che Blanchot dedica a questo tema: «Donare non è donare qualcosa né donarsi,<br />

poiché allora donare significherebbe tenere e salvaguardare, se la caratteristica di<br />

ciò che si dona consiste nel fatto che nessuno può prendervelo, riprendervelo o ritirarvelo,<br />

apice dell’egoismo, astuzia del possesso. Dal momento che il <strong>dono</strong> non è il potere<br />

di una libertà, né l’esercizio sublime di un soggetto libero, ci può essere <strong>dono</strong> solo di ciò<br />

che non si ha, nella costrizione e al di là della costrizione, nella supplica di un supplizio<br />

infinito, là dove non c’è nulla, salvo, al di fuori del mondo, l’attrazione e la pressione<br />

dell’altro: <strong>dono</strong> del disastro, di ciò che non si potrebbe domandare né donare. Dono del<br />

<strong>dono</strong> – che non l’annulla, senza né donatore né donatario, che fa sì che nulla accada, in<br />

questo mondo della presenza e sotto il cielo dell’assenza dove le cose acca<strong>dono</strong> anche<br />

non accadendo» (M. Blanchot, La scrittura del disastro, tr. it. a cura di F. Sossi, SE, Milano<br />

1990, p. 66). A proposito del legame fra <strong>dono</strong> e tempo è fondamentale il testo di J.<br />

Derrida, Donare il tempo. La moneta falsa, tr. it. di G. Berto, Raffaello Cortina Editore,<br />

Milano 1996.<br />

18 E. <strong>Hillesum</strong>, Lettere, cit., p. 87.<br />

19 Ibid., p. 149. Cartolina postale gettata da <strong>Hillesum</strong> fuori dal treno per Auschwitz,<br />

il 7 settembre 1943, ritrovata lungo la linea ferroviaria e spedita il 15 settembre 1943.

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