Il Cattivo Zelo - Virgilio e il segreto dell'Eneide - ANTICA MADRE
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che i greci ribaltarono la storia dei loro colonizzatori che sposavano per interesse e<br />
diplomazia le donne figlie di re locali, facendo vedere una donna (Didone) in procinto di<br />
essere sposata lei da un locale (Iarba). Erodoto ci ha lasciato la testimonianza di come alcune<br />
donne di popoli libici (gli Ausei e gli Zavechi) fossero guerriere║Dirae ultrices et di<br />
morientis Elissae “Furie vendicatrici e Dei della morente Elissa” Didone invoca delle<br />
potenze infernali, le Furie o Dire e i Mani suoi personali; più plausib<strong>il</strong>mente quest’ultimi<br />
anzichè gli Dei di Cartagine. S<strong>il</strong>io Italico (I, 81 seg.) tramanda la notizia di un tempio<br />
dedicato alla regina 192 , che lui chiama, forse contrapponendola a Venere, “Elissa Genitrice”.<br />
Ai piedi della sua statua, seduta ieraticamente, vi era posta la spada che Enea le aveva<br />
donato…║haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo ”Questo chiedo,<br />
quest’ultima volontà fisso col sangue”; la maledizione di Didone viene veicolata e portata<br />
ad agire grazie all’effusione di sangue. Una pratica rituale ben nota nel mondo<br />
antico║exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor, qui face Dardanios ferroque sequare<br />
colonos, nunc, olim, quocumque dabunt se tempora vires ”Che sorga dalle nostre ossa un<br />
vendicatore che perseguiti col ferro e col fuoco i coloni Dardani, ora, un domani,<br />
ogniquandove ce ne sarà la possib<strong>il</strong>ità” 193 . Per quanto questa invocazione magica sia stata<br />
messa in bocca a Didone morente da <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> per consolidare <strong>il</strong> mito augusteo delle sorti<br />
metafisiche della romanità 194 , bisogna riconoscere che non sono state prive di una loro<br />
efficacia. C’è sempre chi, nel tempo, è pronto a raccogliere e riaccendere una fiaccola spenta;<br />
poiché se le cose materiali possono esaurirsi e morire non così avviene per quelle animiche.<br />
Da ciò la grande responsab<strong>il</strong>ità di quanti suscitano nei giovani passioni che non avrebbero più<br />
ragione di essere║Iovi Stygio ”Giove Stigio” è la latinizzazione del Baal Hammon saturnio<br />
cui i Cartaginesi offrivano sacrifici umani║la Dardanii rogum “pira del dardano”; perché <strong>il</strong><br />
rogo predisposto da Didone in realtà, più che per se stessa, è per distruggere magicamente<br />
Enea║Irim ”Iride”, rappresentazione femmin<strong>il</strong>e dell’arcobaleno che, congiungendo terra e<br />
cielo, veniva considerato <strong>il</strong> collegamento fra <strong>il</strong> mondo della materia e dello spirito. Essere<br />
alato, era anche sorella delle Arpie ma, al contrario di quest’ultime, aveva fattezze umane e<br />
aggraziate. Messaggera di Giove al pari di Mercurio, lo era però anche di Giunone, celando in<br />
stesso tipo, seppure sotto varie forme. Sembra infatti che Tanit non sia un nome fenicio ma libio, e che quindi i<br />
coloni siano stati influenzati dal culto locale così come lo furono in seguito da quello greco” (B. Warmington:<br />
STORIA DI CARTAGINE. Einaudi, Torino 1968).<br />
192 Gli archeologi hanno trovato sulla costa di Cartagine un tempio effettivamente dedicato a Didone.<br />
193 Questa maledizione ha delle impressionanti analogie con le invettive contro Roma contenute nei cosiddetti<br />
Libri Sib<strong>il</strong>lini. Forse già alla sua epoca, <strong>Virg<strong>il</strong>io</strong> ebbe sentore di un diffuso stato d’animo antiromano - cui si<br />
associarono solo in un secondo tempo gli Ebrei - e a cui volle dare espressione nel personaggio didoneo. In<br />
Appendici inseriamo un documento riguardante questi libri sib<strong>il</strong>lini.<br />
194 I Romani che vantavano una discendenza troiana si sarebbero certamente meravigliati di apprendere che<br />
avevano dei fratelli bastardi rimasti pressocchè ignoti fino al XV secolo: “…da altre testimonianze storiche si<br />
apprende che Maometto II non si sentiva imperatore dei Greci solo per aver conquistato Costantinopoli. Lo<br />
storico Critobulo ci ha tramandato <strong>il</strong> testo di un discorso che <strong>il</strong> Sultano «saggio, f<strong>il</strong>elleno e gran re» pronunciò<br />
davanti ad un piccolo contingente di giannizzeri tra le rovine di <strong>Il</strong>io, dove si recò per rendere omaggio agli eroi<br />
di Troia. In quella occasione Maometto II avrebbe affermato la discendenza dei Turchi dall'eroe troiano Teucro.<br />
La testimonianza di Critobulo è avvalorata da una lettera che circolava in Francia nella seconda metà del XV<br />
secolo e che si diceva scritta da Maometto II al Papa Niccolo V. In questa lettera <strong>il</strong> Sultano si meravigliava<br />
dell'ost<strong>il</strong>ità dei Romani, nonostante la comune origine troiana. Da altre fonti si apprende che nel corso della<br />
spedizione condotta dal Sultano contro l'isola di Lesbo nel 1462, egli visitò la collina di Ach<strong>il</strong>le, la tomba di<br />
Aiace e le rovine di Troia. Tale era la sua venerazione per questa città, che in Occidente molti ritenevano che<br />
egli avesse compiuto sui discendenti dei Greci le vendette dei Troiani. Troia, dunque, è una città legata<br />
indissolub<strong>il</strong>mente ad una tradizione imperiale m<strong>il</strong>lenaria. Da qui per misteriosi motivi avevano tratto le loro<br />
nob<strong>il</strong>i origini la gens Iulia degli Imperatori romani e Re Meroveo, discendente da Galli Sicambri provenienti<br />
dall'Arcadia, una regione dell'antica Grecia da cui — stando agli storici greci — provenivano anche i fondatori<br />
di Troia.” (P. Calò: L’ISLAM E L’EREDITÀ BIZANTINA All’insegna del Veltro, Parma 1990). Non sembra<br />
che i moderni cultori del mito troiano si siano dati troppo da fare per pubblicizzare questa notizia…<br />
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